POLITECNICO DI MILANO Scuola di Architettura, Urbanistica e Ingegneria delle Costruzioni CdL in Progettazione dell’Architettura
DELL’ ARCHITETTURA SULL’ ARCHEOLOGIA ATTRAVERSO LA MUSEOGRAFIA
Relatore Prof. Pier Federico Mauro Caliari Tesi di laurea di Antonia Razza Matr. 830893 Lucrezia Rossi Matr. 830239 12 Settembre 2017 Anno accademico 2016 2017
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POLITECNICO DI MILANO Scuola di Architettura, Urbanistica e Ingegneria delle Costruzioni CdL in Progettazione dell’Architettura
DELL’ARCHITETTURA SULL’ARCHEOLOGIA ATTRAVERSO LA MUSEOGRAFIA
ON ARCHITECTURE APPROACHING ARCHEOLOGY THROUGH MUSEOGRAPHY
Relatore Prof. Pier Federico Mauro Caliari Tesi di laurea di Antonia Razza Matr. 830893 Lucrezia Rossi Matr. 830239 12 Settembre 2017 Anno accademico 2016 2017
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L’Italia possiede la maggior parte delle ricchezze artistiche del pianeta; dopo di noi viene la Spagna e non arriva ad accumulare i tesori della Toscana. Ma anche questo, salvo eccezioni, ha smesso di eccitarci. - Giuseppe Severgnini
Foto in copertina: Prospettiva della navata principale Museo Nazionale di Arte Romana Mèrida, Spagna Josè Rafael Moneo 3
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1. ABSTRACT
pag. 7
2. PREMESSA 2.1 Architettura
pag. 15
2.2 Archeologia
pag. 21
2.3 Museografia
pag. 27
3. PATRIMONIO E CONSERVAZIONE 3.1 La consapevolezza del Patrimonio
pag. 33
3.2 Gli scopi della Conservazione
pag. 37
3.3 Le Carte del Restauro
pag. 41
4. MUSEOGRAFIA E COLLEZIONE 4.1 Museo e museografia
pag. 47
4.2 Allestimento e collezione
pag. 53
5. CASI STUDIO 5.1 Museo Nazionale di Arte Romana a Mèrida di Rafael Moneo
pag. 61
5.2 Neues Museum a Berlino di David Chipperfield
pag. 71
5.3 Musealizzazione del Sito Archeologico di Praça Nova a Lisbona di Carrilho da Graça
pag. 79
5.4 The New Acropolis Museum ad Atene di Bernard Tschumi
pag. 87
5.5 The Victoria and Albert Museum a Londra di Francis Fowke
pag. 95
6. BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA
pag. 103 5
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1 ABSTRACT
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La dissertazione verte sulla relazione tra tre mondi distinti: quello dell’architettura, come arte del costruire, quello dell’archeologia, come scienza delle antichità e quello della museografia, come area multidisciplinare della trasmissione del sapere attraverso le tecniche dell’esporre.
e su diversi modelli di dispiegamento dello stesso attraverso la mediazione dell’allestimento, inteso come forma dell’esporre. In questo quadro, sono stati analizzati tre modelli espositivi denominati rispettivamente, modello dell’assenza, modello della ridondanza e modello dell’effimero e confrontati nella loro applicazione, ad una serie di casi studio, considerati esemplari tra le realizzazioni dell’ultimi trenta, quarant’anni: il Museo Nazionale di arte romana a Mérida di Rafael Moneo, il progetto di Musealizzazione del sito archeologico di Praça Nova a Lisbona di Carrilho Da Graça, il Neues Museum a Berlino di David Chipperfield, il New Acropolis Musem ad Atene di Bernard Tschumi e il Victoria and Albert Museum a Londra di Francis Fowke.
Mentre l’archeologia dipende dall’architettura almeno sul piano delle origini, la museografia ne traduce le forme e le vestigia in narrazione figurativa, collocandosi tra le due come “disciplina ponte”, come luogo di convergenza di reciproci interessi, quelli cioè, legati alla valorizzazione, conservazione e tutela del patrimonio, inteso come lascito da perpetuare. A parte una premessa sulla descrizione delle specificità disciplinari, il punto di partenza della dissertazione è proprio il patrimonio nel suo rapporto con il presente (e il futuro) sotto il profilo del progetto di architettura, che è profondamente legato alla sua integrità fisica e pregnanza d’immagine, e che organizza gli aspetti conoscitivi con obbiettivo educativo e identitario sotto l’aspetto culturale. La museografia, dal canto suo, opera per lo più attraverso performance di comunicazione visiva, articolabili su più livelli di coinvolgimento del patrimonio - principalmente sotto l’aspetto del rapporto tra originale - autentico e rappresentazione -
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The dissertation deals with the relationship between three distinct worlds: the architecture one, as art of building, the archeology one, as the science of antiquities and the museography one as a multidisciplinary area of knowledge transmission through the techniques of exhibition.
In this framework, three exhibition models, the model of absence, the model of redundancy and the model of the ephemeral, were compared and analyzed in their application, and a series of case studies, considered as examples of the achievements of the last thirty, fourthy years: the National Museum of Roman Art in Mérida by Rafael Moneo, the project of musealization of the archaeological site of Praça Nova in Lisbon by Carrilho Da Graça, the Neues Museum in Berlin by David Chipperfield, the New Acropolis Musem in Athens by Bernard Tschumi and the Victoria and Albert Museum in London by Francis Fowke.
While archeology depends on architecture in terms of origins, museography translates architecture’s forms into figurative narrative, placing between them as a “bridge discipline”, as a place of convergence of mutual interests, those linked to valorization , conservation and protection of heritage, as a legacy to perpetuate. Aside from a premise on the description of the discipline details, the starting point of the dissertation is the heritage in its relation to the present (and the future) with regard to the design of architecture, which is deeply connected to its physical integrit and organizes the cognitive aspects with educational and cultural goals. Museography works mostly through performance of visual communication, articulable on multiple layers of heritage involvement - mainly in the aspect of the relationship between original-authentic and representation - and on different models of deployment of the same through the mediation of the exhibition, as the form of exhibition.
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2 PREMESSA
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2.1
Per architettura si intende scienza, arte di ideare e progettare, atto creativo dello spirito, come la pittura, la scultura, la musica, la poesia. D’altra parte, però non è possibile riconoscere un’attività umana come scienza e arte contemporaneamente perché queste ultime nascono da operazioni mentali diverse: l’una esclude l’altra, i mezzi tecnici propri di una scienza si annullano nell’atto creativo, proprio dell’arte1.
Architettura
Marco Vitruvio Pollione, architetto e teorico dell’architettura, vissuto nel I secolo a.C., nel I libro del suo trattato2, fu il primo a dare una definizione di architettura: architectura nascitur ex fabrica et ratiocinatione; dove per fabrica egli intendeva la capacità pratica o tecnica costruttiva, e per ratiocinatio, la consapevolezza teorica. La Pratica è una continua, e consumata riflessione sull’uso, e si eseguisce colle mani dando una forma propria alla materia necessaria di qualunque genere ella sia. La Teorica poi è quella, che può dimostrare, e dar conto delle opere fatte colle regole della proporzione, e col raziocinio.
Marco Vitruvio Pollione http://www.inftub.com/architettura/ARCHITETTURA-Destinazione-e-st13793.php Vitruvio Pollione M. De Architettura, 15 a.C., scritto durante l’impero di Augusto a cui il trattato è stato dedicato. È l’unico testo sull’architettura giunto integrWo dall’antichità e divenne il fondamento teorico dell’architettura occidentale, dal Rinascimento fino alla fine del XIX secolo. L’opera costituisce inoltre una delle fonti principali della moderna conoscenza sui metodi costruttivi degli antichi romani, come pure della progettazione di strutture. 1
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Di teoria e pratica in architettura ne parla anche Eugène Viollet Le – Duc3, circa 1800 anni dopo: L’architettura è l’arte del costruire. Si compone di due parti, la teoria e la pratica. La teoria comprende: l’arte propriamente detta, le regole suggerite dal gusto, derivate dalla tradizione, e la scienza, che si fonda su formule costanti e assolute. La pratica è l’applicazione della teoria al bisogni; c’è la pratica che piega l’arte e la scienza alla natura dei materiali, al clima, ai costumi di un’epoca, alle necessità di un periodo. Scrive Viollet Le – Duc che l’architettura è anche arte del costruire o costruire come arte, introducendo anche la differenziazione tra i due concetti: l’atto del costruire implica l’idea di edilizia che è il costruire puramente utilitario, mentre per arte si intende pura creazione dello spirito. La teoria di Vitruvio valida per la funzione del costruire, cioè del realizzare una costruzione edilizia, non è altrettanto valida per spiegare l’atto creativo che si traduce in architettura. Anche i concetti della triade vitruviana non risultano abbastanza esaustivi: l’utilitas riguarda soltanto le necessità funzionali, cui la costruzione deve obbedire; la firmitas concerne la solidità della costruzione, nonché la tecnica edilizia e la natura dei materiali; la venustas si cura del-
Frontespizio trattato De Architectura
Architetto francese, vissuto nell’Ottocento, conosciuto soprattutto per i suoi restauri di edifici medioevali. Fu una figura centrale tanto nell’architettura neogotica in Francia, quanto nel pubblico dibattito sull’”autenticità” in architettura. 3
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le forme pure, della ricerca della bellezza. Anche altri artisti hanno interpretato l’architettura, primo fra tutti Leon Battista Alberti4, che, nel 1450, nel suo De Re Aedificatoria5, scrive: Architettore chiamerò io colui, il quale saprà con certa, e maravigliosa ragione, e regola, sì con la mente, e con lo animo divisare; sì con la opera recare a fine tutte quelle cose, le quali mediante movimenti dei pesi, congiungimenti, e ammassamenti di corpi, si possono con gran dignità accomodare benissimo all’uso de gli homini. La sua è un’idea di architettura che si fonda sulle leggi della proporzione e sulla visione prospettica cara al Rinascimento. Ma una volta ammessa la differenza tra edilizia e architettura, ossia tra finalità puramente pratiche dell’arte del costruire e l’arte stessa del costruire, il solo principio valido per giudicare l’opera architettonica è il concetto di spazio-tempo. Lo spazio è l’essenza creativa dell’architettura e i rapporti spaziali sono i suoi mezzi di espressione; in altri termini l’architettura è creazione dello spazio e dei rapporti spaziali. Lo spazio di cui si parla non è però l’estensione fisica fissa e immutabile, è lo spa-
Statua di Leon Battista Alberti Piazza degli Uffizi, Firenze
Architetto, scrittore, matematico, umanista, crittografo, linguista, filosofo, musicista e archeologo italiano; fu una delle figure artistiche più poliedriche del Rinascimento. 5 De re ædificatoria (lett. “Sull’edilizia”) è un trattato in dieci libri sull’architettura scritto da Leon Battista Alberti intorno al 1450, durante la sua lunga permanenza a Roma, su commissione di Leonello d’Este. 4
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zio-tempo che si realizza nella successione delle sequenze architettoniche, è il ritmo che l’architetto crea e che può essere afferrato soltanto nella meditata e progressiva visione di un edificio da tutti i suoi punti di vista. Senza spazio racchiuso non vi sono né esperienza architettonica né architettura. Lo spazio è dunque la vera materia dell’architetto, e netta è la distinzione tra l’edilizia, che esaurisce nella materiale apprensione di uno spazio, e l’architettura che questo spazio crea. Etimologicamente parlando, architettura deriva da architetto, termine di origine greca: ἀρχιτέκτων, composto da ἀρχή (origine, fondazione, guida) e τέκτων (inventare, creare, plasmare, costruire) che significa “ingegnere”, “capo costruttore”, “primo artefice”, “capo mastro”. Si sa che il primo significato della parola è stato introdotto da Aristotele nella “Metafisica”, che è giunto fino alla modernità. Il filosofo ne distingue sei accezioni dipendenti dalle sfaccettature di entrambe le parti del termine: ἀρχή indica Dio come causa prima di tutte le cose, τέκτων assume il significato di fare tecnico ma anche di arte, di fare manuale ma anche di artigianato.6 Nel prologo del “De re aedificatoria”, Leon Battista Alberti definisce l’attività dell’architetto come progettazione razionale e realizzazione pratica e ne sottolinea la differenza rispetto al lavoro manuale del carpentiere, del faber tignarius. L’abilità delle maestranze e il gusto dei committenti privati hanno un peso ai fini del risultato complessivo ma il merito principale della realizzazione spetta 6
William Blake, The Ancient of Days setting a Compass to the Earth, 1794
https://it.wikipedia.org/wiki/Architettura 18
do è assimilato alla madre. La madre con clude la gestazione con un modello, che presenterà orgogliosa al padre, dimostrando così che l’edificio può essere considerato come un organismo vivente.
all’architetto, il quale si differenzia dal manovale per la sua capacità progettuale, che gli permette di avere chiara in mente l’immagine dell’opera, prima che questa sia compiuta. Con l’affermazione della differenza tra fabri e architecti Vitruvio si qualifica come l’erede di una tradizione di pensiero, sviluppando spunti già contenuti in Platone e in Aristotele, i quali erano giunti a formulare la differenza fra arcitéktonev (architetti) e ceirotécnai (operai).
L’architettura, nel tempo, ha assunto diversi ruoli e significati ed è indubbio che in base al periodo storico, alle tradizioni e agli usi delle civiltà ha acquisito un ruolo più o meno importante. La figura dell’architetto si è affermata soltanto nel 1900 e da allora ha avuto un ruolo decisivo nelle sorti del patrimonio architettonico che si sarebbe dovuto tramandare ai posteri. Questa considerazione apre le porte ad un dibattito che negli anni si è sviluppato e ha avuto diversi risvolti: come e con quali modalità si dovesse intervenire sull’esistente e valorizzarlo.
La prima definizione professionale dell’architetto si identifica con quella del suo sapere: architecti est scientia pluribus disciplinis et variis eruditionibus ornata, cuius iudicio probantur omnia quae ab ceteris artibus perficiuntur opera. Il sapere dell’architetto risulta dagli apporti di numerosi ambiti disciplinari e poggia su una preparazione di base che spazia in vari campi; la poliedricità della sua cultura gli fornisce una capacità di iudicium e attribuisce al suo sapere una maggiore completezza rispetto agli altri saperi tecnici, e, quindi, all’architettura un primato sulle altre tecniche. Per quanto riguarda il rapporto rinascimentale tra architetto e committenza, ne dà una definizione puntuale il Filarete7, nel suo “Trattato di Architettura”8, il primo è considerato il padre dell’edificio, il secon-
Antonio di Pietro Averlino, o Averulino, detto il Filarete, è stato uno scultore, architetto e teorico dell’architettura italiano, vissuto nel Quattrocento. Ebbe un ruolo importante nel primo sviluppo di alcuni concetti dell’architettura e dell’urbanistica rinascimentale ed in particolare della “città ideale”. 8 Trattato scritto in 25 libri (capitoli) tra il 1460 e il 1464, dedicato a Francesco Sforza e composto sotto forma di dialogo tra l”architetto” e il “duca”. 7
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2.2
Il termine archeologia deriva dal greco ἀρχαιολογία, parola composta dall’aggettivo ἀρχαῖος, che significa antico, e dal sostantivo λόγος, che vuol dire discorso ma anche studio, quindi “studio di ciò che è antico”, “discorso sul passato”.
Archeologia
Si ritiene appropriato, prima di esaminare le finalità e peculiarità di questa disciplina e le sue interazioni con altre materie, richiamare le definizioni del termine archeologia tratte dai più autorevoli dizionari enciclopedici. Dall’Enciclopedia Treccani emerge che l’archeologia è la scienza dell’antichità che mira alla ricostruzione delle civiltà antiche attraverso lo studio delle testimonianze materiali (monumentali, epigrafiche, numismatiche, dei manufatti ecc.), anche mediante il concorso di eventuali fonti scritte e iconografiche. Caratteristica dell’archeologia è il metodo di acquisizione delle conoscenze, mediante cioè lo scavo sul terreno, la ricognizione di superficie, la lettura dei resti monumentali residui. Tale caratterizzazione ha consentito di concepire questa disciplina come metodo di ricostruzione storica, piuttosto che come indicatore cronologico, così che il termine cronologico basso si è dilatato ad accogliere i periodi post-classici e comunque l’insieme delle informazioni provenienti da indagini archeologiche. Parallelamente, l’integrazione con le scienze chimiche e fisiche ha consentito di ampliare la gamma delle possibilità conoscitive, grazie soprattutto alle indagini diagnostiche. La ricerca archeologica è strettamente con
Immagine del Tempio di Iside semi-sommerso dalle acque del Nilo
Ricostruzione del Partenone ad Atene 21
nessa con le istanze di conservazione e di restauro delle emergenze indagate, per limitare la perdita dei dati e per preservare quanto più possibile le testimonianze del passato, in programmi di valorizzazione e di conoscenza che vedono i beni archeologici studiati e interconnessi con il territorio cui appartengono, che li ha prodotti e in cui sono attualmente inseriti. Nell’ambito della ricerca archeologica, quindi, il lavoro è organizzato sempre più in équipe multidisciplinari e secondo progetti di monumentalizzazione in loco delle emergenze e dei manufatti rinvenuti.9
archeologia teorica), o ancora sulla base del tipo di materiale esaminato (numismatica o epigrafia). La nozione di scoperta archeologica si è evoluta con il progredire dei metodi di indagine: alla ricerca dell’oggetto raro, ma le sue scoperte sono divenute sempre meno dipendenti dal caso o dall’intuizione.10 Dalle definizioni sopra riportate emerge la connessione strettissima tra l’archeologia e la storia, nel senso che attraverso la ricognizione dei reperti e la loro lettura scientifica è possibile ricostruire storicamente le conoscenze acquisite. Viene pertanto sottolineato quanto la ricerca archeologica sia strettamente connessa con le istanze di conservazione e di restauro di quanto emerge dallo scavo sul terreno. L’obiettivo primario, dopo l’attività archeologica in situ vera e propria, è quello di limitare la perdita dei dati emersi e preservare le testimonianze del passato. Tale finalità viene raggiunta attraverso un approccio scientifico e multidisciplinare svolto da diverse figure competenti che cooperano secondo progetti programmati e pianificati.
Analogamente, Wikipedia definisce l’archeologia come la scienza che studia le civiltà e le culture umane del passato e le loro relazioni con l’ambiente circostante, mediante la raccolta, la documentazione e l’analisi delle tracce materiali che hanno lasciato (architetture, manufatti, resti biologici e umani). Venne definita in passato come scienza ausiliaria della storia, adatta a fornire documenti materiali per quei periodi non sufficientemente illuminati dalle fonti scritte. L’archeologia è tradizionalmente suddivisa in discipline a seconda del periodo o della cultura oggetto di studio (ad esempio archeologia classica o archeologia industriale o paletnologia), oppure a seconda di particolari tecniche di indagine (archeologia subacquea o archeologia sperimentale), o di specifiche problematiche (archeologia urbana, 9
Lo scavo archeologico è la tecnica meglio conosciuta e più comunemente usata nell’ambito dell’archeologia, può riguardare un sito archeologico specifico o, specialmente nel caso di grandi progetti, un insieme correlato di siti. La definizione della sua nascita dipende naturalmente dal significato che diamo al termine archeologia. Se per archeologia intendiamo quella disciplina che studia le società passate
Definizione di archeologia dall’Enciclopedia Treccani. Definizione di archeologia da Wikipedia.
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spinte e limitando gli interventi ritenuti risolutori. Le teorie più avanzate sono quelle che definiscono il restauro con operazioni conservative caratterizzate da interventi minimamente invasivi e al massimo reversibili, in modo da frenare il degrado dei materiali e il dissesto delle strutture salvaguardando il potenziale di informazioni che il manufatto, in tempi successivi, potrà ancora fornire.
attraverso le loro testimonianze materiali (artigianali, architettoniche, artistiche), lo scavo archeologico vero e proprio nasce solo nel XIX secolo, con l’archeologia intesa come scienza storica. Se intendiamo l’archeologia come una disciplina “antiquata”, interessata piuttosto al manufatto antico quale oggetto di interesse erudito e non sistematico, allora lo scavo archeologico fa la sua comparsa già alla fine del Medioevo; e se pensiamo a quegli scavi che potremmo definire involontariamente archeologici, essi possono essere fatti risalire ad epoche ancora più lontane.
Si tratta cioè di predisporre un’accorta opera di prevenzione prima dello scavo o dell’intervento previsto per considerare anche i futuri obblighi conservativi ed avviare una successiva opera di manutenzione ordinaria e ripetuta nel tempo.
Nella definizione comune, restauro archeologico11 indica interventi conservativi su manufatti e reperti mobili provenienti prevalentemente da operazioni di scavo. Tale definizione può essere estesa anche a quegli interventi di conservazione e valorizzazione di manufatti edili storici ridotti allo stato di rudere. Nel restauro archeologico è importante identificare un ambito interdisciplinare nel quale gli interventi avvengono nel rispetto e valorizzazione di singole competenze che tra loro interagiscono.
Risulta importante però definire la differenza tra restauro architettonico e restauro archeologico, intendendo con il primo una scienza per cui esistono teorie e conseguenti modi di operare, con il secondo invece una scienza che non ha quasi mai una base teorica ma per la quale ci si basa sulle best practices. Una particolarità di quest’ultimo consiste nel fatto che gli interventi sono per la maggior parte dinamici e che comunque il futuro di essi dipenderà dalle condizioni in cui si troveranno a vivere i manufatti: stati di cura o di abbandono, variabilità degli agenti atmosferici e delle condizioni ambientali.
Risulta inoltre necessario definire, attraverso un’attività di ricerca ed esplorazione preventiva i limiti di applicabilità dell’intervento. Per il restauro archeologico altresì, ancora di più che per quello degli edifici monumentali è importante un’esauriente indagine diagnostica che definisca preventivamente gli interventi più efficaci; nella fase operativa, inoltre, si tende a privilegiare i concetti del minimo intervento e della manutenzione sistematica, ridimensionando il ruolo delle riparazioni 11
In questo quadro di conoscenze legate all’archeologia e a ciò che essa comporta sotto il profilo delle azioni finalizzate al suo sviluppo come scienza e alla fruizione dei suoi risultati, è molto importante avviare un ragionamento sulla valorizzazione del patrimonio.
Marino L., Dizionario di restauro archeologico, Firenze, 2003. 23
I beni culturali sono testimonianze materiali aventi valore di civiltà12 e il patrimonio culturale è formato dall’insieme dei beni che permettono di ricostruire l’origine e l’evolversi dei luoghi caratterizzandone le espressioni culturali e artistiche. Tutte le azioni di conservazione hanno come scopo quello di tutelare e salvaguardare la fisicità del bene, cercando di evitarne il danneggiamento e il degrado provocato da condizioni di abbandono o manutenzione approssimativa e superficiale. La visione moderna dell’archeologia è stata riferita principalmente a questioni di narrazione identitaria e di identificazione in modelli culturali, civici e artistici, mentre la visione contemporanea è legata a doppio filo con il problema della valorizzazione. Esistono sostanzialmente due tipi di valorizzazione: una fisico-architettonica, che riguarda l’agire sul bene in maniera diretta, di cui sono un esempio gli interventi sul Colosseo (Raffaele Stern, Giuseppe Valadier, Luigi Canina e Gaspare Salvi), sul Partenone (Nikolaos Balanos) e sul Teatro di Sagunto (Giorgio Grassi); un’altra strategico-produttiva, che riguarda il progetto al di fuori del bene, di cui è un esempio importante il Museo dell’Acropoli di Atene di Bernard Tschumi.
Intervento di restauro di Raffaele Stern, a seguito del terremoto del 1806
E’ necessario considerare il bene anche dal punto di vista del valore che deriva dal coNozione di “bene culturale” dalla Commissione Franceschini, una Commissione d’indagine per la tutela e la valorizzazione del patrimonio storico, archeologico, artistico e del paesaggio. Le proposte della Commissione Franceschini sono suddivise in 84 “Dichiarazioni”; le prime riguardano i profili generali della materia, le altre sono suddivise in quattro grandi categorie: i beni archeologici, i beni artistici e storici, i beni ambientali, i beni archivistici, i beni librari. Le ultime dichiarazioni si occupano di materia amministrativa e finanziaria. 12
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stante aumento della domanda di cultura e dal desiderio di fruizione; da ciò emerge la necessità di attivare tutte quelle operazioni tese alla valorizzazione del bene stesso tramite investimenti privati e pubblici destinati a rendere ostensione e servizi da parte delle istituzioni per il pubblico, il quale allo stesso tempo richiede sapere e comfort. Da quanto finora esplicitato circa la connessione diretta tra l’archeologia e la ricostruzione storica che consegue, si evince che dallo studio del bene, collocato storicamente, si acquisiscono non solo i dati conoscitivi del passato ma anche il “significato” dell’architettura che ci è stata tramandata inteso come quell’insieme di “valori” legati alla cultura di chi l’ha concepita ed alle necessità funzionali e tecniche di quel momento storico. Quindi emerge che il rapporto tra l’archeologia e l’architettura è una questione principalmente di dialettica tra materiale e immateriale, tra durata e consumo, tra ideale eroico e vita quotidiana, tra valori assoluti e relativismo. L’archeologia dimostra quindi che l’architettura ha un significato e va valutato che l’architettura sarà letta nel futuro e attraverso la sua conoscenza sarà espressa una interpretazione contemporanea di quel significato.
Giorgio Grassi Restauro e riabilitazione del teatro romano di Sagunto Sagunto, 1990-1993
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2.3
Viaggiare e scoprire: due elementi fondamentali, a partire dall’antichità, per tutti gli architetti che, con l’ausilio di disegni e schizzi, hanno provato a interpretare e immaginare un passato storico e culturale prendendo le mosse dalla lezione di Viollet Le Duc.
Museografia
Dunque, dalla lettura dei resti e delle rovine del passato si è arrivati alla sua ricostruzione e la nascita del museo ha permesso di realizzare un’istituzione permanente senza scopo di lucro, al servizio della società e del suo sviluppo; esso è aperto al pubblico e compie ricerche che riguardano le testimonianze materiali dell’umanità e del suo ambiente: le acquisisce, le conserva, le comunica e, soprattutto, le espone a fini di studio, educazione e diletto.13 Il primo esempio di allestimento museografico, risalente al XVII secolo, è rappresentato dai Musei Vaticani, quando i papi Clemente XI e XIV e successivamente Pio VI, esposero le loro collezioni private realizzando un allestimento quasi esclusivamente scenografico. Col tempo è cambiata la sensibilità rispetto all’allestimento in quanto si è compreso che le opere d’arte esposte dovevano far immediatamente percepire contesti storici e documentali al fine di trasferire al visitatore la loro contestualizzazione. Non bisogna trascurare l’aspetto che anche i musei forniscono un contesto valido e prezioso per gli oggetti che furono tempo fa sposta13
Definizione di museo secondo l’ICOM. 27
ti dal loro luogo originario.14
Un organismo architettonico del passato è stato pensato per adempiere ad una determinata funzione, complementare al suo aspetto e alla sua struttura. Nel corso degli anni, si è andata a perdere questa “credenza” trasformando gli edifici del passato e dando loro una funzione legata esclusivamente alla forma (conformazione spaziale), con la convinzione che fosse questo il miglior modo per la conservazione del manufatto.
Ogni oggetto e monumento è destinato a trovare una propria collocazione nella stratificazione della Terra.15 In relazione al patrimonio artistico e archeologico, è allora indispensabile capire anche che il sito archeologico è museo e che per la conservazione di esso vanno applicati, adattandoli opportunamente, i metodi della museografia al fine di consentire innanzitutto la sua chiara visione nonché la protezione da qualsiasi forma di possibile danno.16
La modernità ha messo in evidenza in modo peculiare quattro diverse connotazioni del bene culturale: in primis, la questione della continuità-discontinuità tra antico e nuovo e, come conseguenza, la necessità di introdurre il concetto di “diversità” dell’intervento nuovo rispetto all’antico quindi una rinuncia all’unità di stile; poi l’idea, tutta contemporanea, che l’intervento sull’antico sia unicamente legato a processi di musealizzazione, ad interventi quindi rivolti esclusivamente all’obiettivo del mostrare e rendere visitabile il monumento e il suo palinsesto e non finalizzati a reintegrare le funzioni originarie; l’introduzione del concetto di reversibilità, che riguarda quel campo che si occupa della salvaguardia del manufatto originale e che successivamente assume le forme di un vero terrore dell’errore; in ultimo, il rapporto critico tra antico e nuovo, che costituisce uno degli elementi chiave dell’interpretazione che le società contemporanee occidentali danno ai monumenti e ai siti archeologici: a partire
La museografia è dunque una disciplina conservativa che si pone l’obiettivo di garantire la sopravvivenza e la trasmissione al futuro dei beni culturali e pertanto si propone unicamente di evidenziare i valori già propri del bene. Un campo dove la museografia tenta al meglio di fare il proprio lavoro è quindi, come detto, quello della conservazione del patrimonio archeologico, portatore degli usi e costumi delle civiltà passate al presente, che racconta la storia dei popoli e le loro tradizioni. È quindi ovvio che il processo di musealizzazione nasce come testimonianza storico – artistica per la conservazione e tutela del patrimonio. Da ciò è chiaro che ogni azione conservativa presuppone in un certo senso una conservazione del patrimonio museale.
Declaration on the Importance and Value of Universal Museum, 2002. Basso Peressut L., Caliari P. F., Architettura per l’archeologia. Museografia e allestimento, Roma, Prospettive Edizioni, 2014. 16 Minissi F., Ranellucci S., Museografia, Roma, Bonsignori Editore, 1992. 14 15
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dalla fine del Settecento e in modo sempre più deciso fino ai giorni nostri, tale rapporto si sposta da un piano eminentemente culturale ad uno di “politica” culturale. Dunque due sono i momenti fondamentali nel processo museologico-museografico: la conoscenza e l’interpretazione, elementi che accompagnano tutte le fasi di studio a partire dalla scoperta dei resti fino alla definizione di una strategia per la collocazione e l’esposizione temporale oltre che fisica di oggetti che sono giunti a noi in maniera frammentaria o anonima ma che vanno conservati e preservati dalla dimenticanza e dall’incuria.
Interni del Musei Vaticani, Città del Vaticano 29
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3.1
L’individuazione di quel che oggi chiamiamo patrimonio culturale come oggetto di specifiche preoccupazioni e norme di tutela è un processo secolare, che ebbe negli Stati italiani anteriori all’Unità nazionale un momento formativo di grande importanza. Tale processo però non è coinciso con la definizione di monumenti storici nozione che venne a formarsi per reazione al rischio di distruzione di edifici e oggetti del passato e, in particolare, dei monumenta antiquitatis.
La consapevolezza del patrimonio
La nascita della normativa di tutela del patrimonio culturale può invece rintracciarsi in un sistema, esistente già nel Medioevo, di valori non solo artistici e storici, ma anche civici ed etici, che tutelavano l’edificio storico da preservarsi e la forma della città nella sua evoluzione. Veniva allora elaborandosi, a partire dal XII secolo, un forte concetto di cittadinanza, del quale iniziarono a far parte i monumenti storici delle città, intesi come motivo di orgoglio e principio di identità civica. Alla bellezza, da coltivarsi sia mediante la protezione degli edifici e delle opere esistenti sia normando l’aggiunta del nuovo, si associano il decoro, la salubrità dei luoghi e il rispetto delle norme, visti come segnali delle virtù civiche e come fonte di gloria e vanto per i cittadini. Comune riferimento di questa prospettiva di buona norme e pratiche fu allora l’idea di bene comune o di publica utilitas.
Vista dei Fori Romani, Roma
L’ardente interesse per le antichità romane, portate alla luce dopo secoli per rispondere alle ambizioni di umanisti, artisti e sovrani in caccia di exempla nell’antica Roma, si innestò su questo indispensabile movimento di pen33
senti sul territorio italiano. Secoli di ininterrotta attività artistica hanno rappresentato il volto monumentale dell’Italia come il più ricco e il più vario di ogni altro paese al mondo: l’unico vero valore aggiunto su cui possiamo contare nel confronto con gli altri Paesi.
sieri e di idee. Al suo naturale primato come immensa cava di antichità, Roma aggiunse dunque un’imponente serie di norme che tentavano di arginare distruzioni ed esportazioni di antichità. Nel XVIII secolo prese forma l’idea della conservazione del patrimonio culturale nel suo stesso luogo di formazione, per difendere nel luogo di origine tutte le antichità e per arginarne la fuga.
Allo stesso tempo però si può immaginare la quantità di problemi tecnici, gestionali e finanziari posti da un patrimonio culturale così vasto perché ne sia assicurata la conservazione e garantita la sicurezza, la fruizione, la gestione e la valorizzazione.
Una tale emulazione si radicò nel XIX secolo mentre veniva affermandosi, in Francia e in Europa, a cavallo fra Rivoluzione e Restaurazione, il concetto di patrimonio culturale nella sua accezione contemporanea. La denominazione di patrimoine germogliò allora con una radicale innovazione, l’attribuzione della responsabilità di protezione del patrimonio al popolo, alla collettività e la consapevolezza della centralità del patrimonio stesso per promuovere la cultura e per definire il carattere della nazione.
A quasi trent’anni dall’istituzione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, è giusto richiamare alla memoria un articolo del 1974 dal titolo “Un Ministero per recuperare il passato” quando, parlando di Spadolini17, lo storico d’arte Giulio Carlo Argan, conclude il suo articolo scrivendo: il ministro Spadolini è davanti a un dilemma: appoggiarsi alla classe politica e alla burocrazia, accettare le tesi che gli studiosi sono una minoranza trascurabile e che i beni culturali vanno protetti compatibilmente ad altri interessi, o seguire la sua vocazione di studioso e ascoltare l’appello disperato degli studiosi che chiedono la protezione del patrimonio culturale contro tutto e tutti, come lascito storico e argomento di speranza di un’umanità che presto o tardi, ma forse domani, oggi stesso, avrà bisogno di ritrovare nei segni del proprio passato le ragioni del proprio dramma presente e la forza morale di superarlo.
La Costituzione italiana e la legislazione ruotano tuttavia ancora intorno al principio che, con consapevolezza, ha ispirato tutta la storia italiana in questa materia: la priorità del pubblico interesse. Secondo tale principio, in quello che chiamiamo patrimonio culturale convivono due distinte componenti patrimoniali: una si riferisce alla proprietà del singolo bene, privata o pubblica, l’altra ai valori storici, etici e culturali, di pertinenza pubblica. Non è facile stimare la consistenza dei beni culturali, archeologici, storici e artistici pre17
Primo Ministro dei Beni Culturali e Ambientali d’Italia, dal 1974 al 1976. 34
Parole queste che hanno iniziato a farsi strada nella coscienza civile degli italiani per dare avvio a una crescente consapevolezza sull’importanza che deve assumere la tutela del patrimonio culturale.
Numerose sono le iniziative sui beni culturali, le campagne itineranti di sensibilizzazione che contribuiscono alla scoperta dei tesori nascosti, alla loro tutela e valorizzazione, nella convinzione di trasformare il nostro patrimonio artistico da pesante eredità del passato a investimento per il futuro.
Un patrimonio al quale è stato riconosciuto un ruolo educativo, in quanto simbolo della memoria storica, elemento indispensabile per garantire la continuità culturale.
Solo migliorando la conoscenza del nostro patrimonio culturale, una ricchezza inestimabile si può imparare ad amarlo, rispettarlo, valorizzarlo; conoscenza che deve arrivare soprattutto dalle fasce più giovani della popolazione, il futuro del nostro Paese. Esso può stimolare nei giovani una coscienza diffusa e condivisa della storia e della cultura del territorio e concorrere alla formazione dell’identità locale e nazionale.
Per valorizzare anche sul piano economico questo patrimonio, affinché vengano sollecitate iniziative che garantiscano la buona conservazione di questi beni, che accrescano l’attrattiva e garantiscano la fruibilità, occorre mettere in campo una politica integrata che coinvolga tutti i soggetti in campo: lo Stato, le Regioni, gli Enti locali, le imprese private, le associazioni non profit. Ad esempio con il miglioramento dell’industria turistica, con la creazione di una più efficace rete di trasporti, con l’organizzazione di eventi culturali ed un sapiente uso delle tecnologie a nostra disposizione. I comuni italiani con un’attrattiva o un pretesto turistico sono pari al 38% del totale18. Questi comuni da soli, assorbono oltre 220 milioni di presenze turistiche. Il turismo culturale muove un giro d’affari pari al 26,4% del fatturato complessivo dell’industria del turismo. I visitatori di mostre e di musei sono aumentati raggiungendo il 28,6% a fronte del 22,7% del 1993. Elevata anche la presenza nei siti archeologici e monumentali, con circa il 23,3%19. 18 19
Dati ACI-Censis 2003. Studi effettuati dal TCI nel 2000. 35
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3.2
Quando si parla di beni culturali, si scatenano sentimenti differenti soprattutto negli archeologi che si occupano di quel determinato oggetto. Ciò accade perché i soggetti che entrano in contatto con i resti e le rovine hanno differenti modi di pensare e di vedere la realtà delle cose; oltre agli archeologi si possono interfacciare esperienze di studiosi, politici, amministratori pubblici, associazioni culturali e ambientali.
Gli scopi della Conservazione
Il problema più grande però, non è sicuramente la molteplicità di opinioni e pareri a riguardo, quanto il significato che questi beni culturali assumono e le modalità di intervento che si devono attuare per i singoli casi specifici. Ogni oggetto ha una storia propria, delle proprie origini, ha delle motivazioni che alla base hanno fatto in modo che si realizzasse in quel modo e in quello soltanto e ciò è dovuto alla differenza di tradizioni, usi, costumi, culture che si sono susseguite negli anni. Ogni oggetto assume diversi valori in quanto memoria20 che fanno sì che ogni oggetto sia diverso da un altro. I valori in quanto memoria sono il valore dell’antico e il valore storico, che evidenziano esigenze opposte: il primo si occupa di studiare il passaggio del tempo sull’oggetto e si manifesta quindi su ogni mancanza, alterazione, trasformazione; il secondo è espressione di civiltà e cultura, è indipendente dalla consistenza materiale del monumento e per questo ogni aggiunta, alterazione e disfacimento sono sgradite. Alois Riegl, giurista di formazione, storico dell’arte, ne “Il culto moderno dei monumenti: il suo carattere e i suoi inizi” parla del concetto di monumento, e di due tipologie di valori che riguardano questo tema: valori in quanto memoria, di cui fanno parte il valore dell’antico, il valore storico e il valore internazionale in quanto memoria, e i valori contemporanei, di cui il valore d’uso, il valore artistico e il valore di novità. 20
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Si può ad oggi affermare e constatare che non esiste un valore artistico assoluto, ma solo relativo. I beni culturali sono sottoposti ad una soggettività e non-oggettività di giudizio, non ci sarà quindi un modo giusto e univoco di approcciarsi ad un oggetto storico. Il progetto di conservazione è quindi singolare e specifico e deve avere come obiettivo quello di fare il bene dell’oggetto affinché possa essere riconosciuto nella sua bellezza e quindi tramandato.
essere quanto più diretto e chiaro possibile. Altro aspetto molto importante è la fruizione dell’oggetto, è la ragion d’essere della conservazione: la fruizione precede la valorizzazione, intesa come un incremento dello stato di conservazione e conoscenza del bene ai fini del pubblico utilizzo, ed interviene di norma sul bene già tutelato, dunque reso fruibile. La fruizione da una parte designa un fine pubblico, dall’altra un insieme di attività materiali e giuridiche necessarie alla realizzazione di tale scopo. Molte istituzioni si occupano di organizzare iniziative per rendere i monumenti appannaggio della collettività e fare in modo che non vengano abbandonati a se stessi e lasciati all’incuria.
Da un’analisi delle forme e dei processi che hanno caratterizzato, nella storia, l’evoluzione dell’approccio alla conservazione (inteso come intero processo di salvaguardia del patrimonio), si può affermare che gli scopi della conservazione sono principalmente tre: preservare, conservare e rendere fruibile.
Considerando che circa 39 beni italiani sono inseriti nella lista mondiale dell’UNESCO, l’intervento sull’esistente deve essere pertinente e relativo, e quindi, appurato che la conservazione è l’insieme delle attitudini della collettività volte a far durare nel tempo il patrimonio ed i suoi monumenti, bisogna attuare e pensare a delle normative che regolino questi interventi senza optare per decisioni arbitrarie e accidentali.
Preservare vuol dire proteggere, salvaguardare con accorgimenti preventivi21. Molti storici del restauro ritengono che se un bene viene preservato e manutenuto nel modo giusto non sarà necessario nessun progetto di conservazione perché l’oggetto si manterrà in buone condizioni. Talvolta ciò non avviene; dunque c’è bisogno di optare per un progetto di conservazione. Anche riguardo questo argomento, si sono susseguite negli anni numerose versioni dei fatti e numerose ipotesi diverse: si può forse affermare che non esiste un modo giusto o sbagliato di agire su un oggetto archeologico piuttosto che su un oggetto d’arte in quanto ognuno di essi ha la propria identità e bisogna costruire un progetto ad hoc, affinché possa 21
L’Italia negli anni ha visto il susseguirsi di numerose Carte del Restauro con lo scopo di conservare e preservare la grande quantità di opere d’arte e architettoniche che rappresentano un patrimonio ineguagliabile nel mondo.
Definizione da vocabolario Treccani. 38
39
40
3.3
Le carte del Restauro sono sostanzialmente delle dichiarazioni di buoni intenti.
Le Carte del Restauro
William Morris22 e John Ruskin23, che ebbero un enorme influsso sull’elaborazione teorica della disciplina del restauro, furono tra i primi interpreti che cercarono di trovare delle risposte in ambito di tutela dei monumenti da distruzioni e alterazioni. Dopo anni di pareri discordanti e teorie contrastanti circa il corretto modo di intervenire sui beni, nel 1883 in seguito ad un congresso che si tenne a Venezia si riuscì a trovare un punto di mediazione e si giunse ad enunciare dei principi che avrebbero dovuto garantire una conservazione e corretta lettura del patrimonio. La prima carta del restauro è la Carta di Atene del 1931 alla quale succede quella Italiana del 1933 con il nome di Carta italiana del Restauro promulgata dal Consiglio Superiore delle antichità e delle Belle Arti, che è una profusa e analitica trascrizione ad uso delle Soprintendenze24. Non a caso la stesura di questo documento avviene dopo la Prima Guerra Mondiale in quanto ci si rende conto che in un periodo storico in cui non può escludersi la possibilità di un evento bellico, era necessario regolamentare gli interventi per salvaguardare il
Artista e scrittore britannico, fu tra i fondatori del movimento Arts and Crafts, e si occupò nella sua vita di design e architettura. Da molti è considerato il fondatore del movimento moderno. 23 Scrittore, pittore, poeta e critico d’arte britannico, vissuto nell’Ottocento, la cui interpretazione dell’arte e dell’architettura influenzarono fortemente l’estetica vittoriana ed edoardiana. 24 Rocchi G., Istituzioni di restauro dei beni architettonici e ambientali. Cause – accertamenti – diagnosi, Milano, Urlico Hoepli Editore S.p.A., 1985. 22
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patrimonio.
della Carta di Venezia e la grande novità è che si parla di patrimonio e non più solo di monumento.
L’aggiornamento della Carta di Atene avviene con la Carta di Venezia del 1964, alla quale viene abbinata quella Italiana del 1972. Questa si pone come obiettivo quello di rinnovare, approfondire e ampliare i contenuti della precedente Carta di Atene. Il restauro deve fermarsi dove inizia l’ipotesi. Qualsiasi opera di completamento a distanza di tempo deve essere riconoscibile. Il restauro sarà sempre preceduto da uno studio storico e archeologico accurato.
L’obiettivo risulta quello di sensibilizzare alla conservazione e manutenzione l’intero territorio, compreso le aree paesaggistiche non costruite in quanto è l’intero territorio a custodire elementi molto importanti della storia e della cultura umana. Nella Carta di Cracovia emergono considerazioni relative al trattamento dell’esistente in materia di conservazione; si afferma infatti che la ricostruzione di intere parti “in stile” deve essere evitata e le ricostruzioni di parti limitate aventi un importanza architettonica possono essere accettate a condizione che siano basate su una precisa ed indiscutibile documentazione.
Nel 1975 un congresso tenuto ad Amsterdam approva la carta europea del patrimonio architettonico, dove si afferma che il patrimonio europeo è parte integrante del patrimonio culturale di tutto il mondo e pone l’accento soprattutto sulla cooperazione crescente tra le nazioni. Questa Carta afferma quanto sia fondamentale il patrimonio e quindi la sua conservazione ed estende il concetto di patrimonio stesso, quindi il campo di azione della conservazione, anche ai quartieri di città e villaggi che abbiano un interesse culturale o storico. Afferma e pone l’accento sulla questione relativa alla fruizione del patrimonio, in quanto sostiene che questo sopravvivrà solo se riceverà un consenso da parte dei cittadini, e bisogna per questa ragione motivare le organizzazioni private in modo che contribuiscano a suscitare maggiore interesse. La conservazione integrata esige la partecipazione dei cittadini.
Si effettuano considerazioni anche relative al patrimonio archeologico e si afferma che data la sua vulnerabilità ogni intervento deve essere contestualizzato e integrato perfettamente con territorio e paesaggio. Come per gli altri casi, l’intervento di conservazione dei ritrovamenti archeologici deve seguire il principio del minimo intervento, e deve essere eseguito da specialisti con tecniche e metodologie strettamente controllate. Oggi la legislazione italiana dei beni culturali rappresenta quella parte del diritto italiano che disciplina la valorizzazione, conservazione, tutela e fruizione dei beni culturali.
Nel 2000, in occasione dell’anno internazionale di architettura, a Cracovia la Comunità europea decide di promulgare una nuova Carta: qui si riscontra un grande ritorno ai principi 42
È importante valutare il caso italiano in relazione alla situazione del patrimonio culturale del resto del mondo.
ni di restauri e gli interventi di conservazione oltre che da un patrimonio storico e architettonico meno consistente rispetto a quello italiano, aspetto che senz’altro agevola e semplifica non solo la conservazione ma anche la gestione dei finanziamenti.
Dall’analisi e dall’osservazione della situazione italiana emerge un dato importante: l’Italia possiede un patrimonio storico, artistico e architettonico di dimensione enorme, che annovera un’altissima percentuale rispetto a quello mondiale; ciò, oltre che motivo di vanto e orgoglio nazionale, è una grandissima potenzialità di sviluppo economico e turistico per il nostro paese.
Proprio a causa della grande quantità di beni presenti sul nostro territorio e della nuova consapevolezza del loro potenziale, negli ultimi anni si assiste più frequentemente all’intervento di privati nella sovvenzione e promozione di progetti di valorizzazione. Questo è oggetto di numerosi dibattiti e polemiche, in un Paese che ha sempre considerato la tutela del patrimonio appannaggio esclusivo degli enti pubblici, i quali però faticano sempre più a reperire i fondi necessari.
Benché ciò oggi si concretizza solo in parte rispetto al nostro potenziale, sta aumentando la consapevolezza comune di avere davanti un grande potenziale che deve essere sfruttato e utilizzato, ed anche la sensibilità rispetto all’interesse per la tutela e la cura dei monumenti, dei borghi storici, oltre che dei siti archeologici. Di fondamentale importanza risultano le campagne di informazione e sensibilizzazione circa l’enorme ricchezza del nostro Paese dal punto di vista culturale così come è fondamentale il coinvolgimento dei giovani da parte di associazioni presenti su tutto il territorio nazionale per tutte quelle attività finalizzate all’informazione e alla tutela del patrimonio culturale. Purtroppo l’aspetto legislativo ancora non ci aiuta molto: le normative infatti risultano molto restrittive e le lungaggini burocratiche non sempre incoraggiano interventi migliorativi rilevanti. In altri stati, i notevoli e numerosi progetti di valorizzazione del patrimonio architettonico e archeologico sono resi più agevoli da un’amministrazione più snella e flessibile che incentiva le realizzazio43
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4 MUSEOGRAFIA E COLLEZIONE
45
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4.1
I primi musei erano luoghi sacri, non necessariamente edifici, dedicati al culto delle nove Muse25, ispiratrici dell’espressione artistica e poetica e figlie di Mnemosyne26, dea della Memoria. Da qui anche il significato etimologico della parola Museografia: da μουσεῖον e γράϕος, scrittura delle Muse. Quindi un luogo che nasce principalmente per esprimere il senso del divino, del sacro, che ha una dimensione metafisica e che supera i confini della progettazione architettonica.
Museo e Museografia
Il primo museo era costituito dal luogo di raccolta di manoscritti e testi antichi, un luogo racchiuso in un recinto sacro: il temenos (τέμενος)27. I primi musei menzionati nella storia sono stati le biblioteche dell’Accademia di Platone e del Liceo di Aristotele, dove gli studenti, in un cortile chiuso o porticato, raccoglievano oltre a testi scritti anche opere artistiche e reperti “archeologici”. Nell’accezione odierna, il termine museo ha mantenuto l’idea di protezione di qualcosa che è ritenuto prezioso, un luogo circoscritto dove si espone, un’istituzione permanente, senza scopo di lucro, al servizio della società e del suo sviluppo. E’ aperto al pubblico e compie ricerche che riguardano le testimonianze materiale e immateriali dell’umanità e del suo ambiente; le acquisisce, le conserva, le comunica e, soprattutto, le espone a fini di studio, Le Muse (in greco antico: Μοῦσαι) sono divinità della religione greca. Erano le figlie di Zeus e di Mnemosýne e la loro guida era Apollo. L’importanza delle muse nella religione greca era elevata: esse infatti rappresentavano l’ideale supremo dell’Arte, intesa come verità del tutto ovvero l’eterna magnificenza del divino. 26 Mnemòsine (in greco Μνημοσύνη) è una figura della mitologia greca, la personificazione della memoria. Figlia di Urano (il Cielo) e Gea (la Terra) è una delle titanidi. 27 Il termine, che deriva dal verbo greco τέμνω, “tagliare”, rappresenta un appezzamento di terreno che viene espropriato ed assegnato a capi o regnanti, oppure riservato al culto di un dio o alla costruzione di un santuario. 25
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Carlo Scarpa Museo di Castelvecchio Verona, 1958-1974 48
educazione e dileto.28
La museografia definisce anche in buona parte l’architettura del museo, definisce i rapporti che l’architettura istituisce con le collezioni che dovrà esporre stabilendone un rapporto fisico, fatto di relazioni spaziali. Museografo è infatti l’artista del palinsesto, della stratificazione e della compresenza di codici. Museologo e museografo lavorano insieme in un rapporto hegeliano e il fine della loro unione è una sintesi culturale in cui letteratura, arte e forma trovano espressione ragione di esistere.
È quindi proprio il passaggio dalla memoria orale alla scrittura il momento fondamentale in cui la narrazione acquista una codificazione, preludio per ogni forma di trasmissione strutturata. La museografia, nel suo sviluppo storico ha acquisito il carattere di una specifica espressione di comunicazione visiva e gli oggetti utilizzati nell’esposizione sono diventati elementi primari di codici che concorrono alla comunicazione, diventano parti di un sistema di rappresentazione, e assunti come piano dell’espressione.
C’è differenza nella figura del museografo in Italia e all’esterno. Nel nostro paese il museografo è la maggior parte delle volte sia il progettista dell’architettura del museo sia l’allestitore della collezione; Il Museo di Castelvecchio a Verona di Carlo Scarpa ne è forse l’esempio più classico: un continuum di soluzioni di dettaglio e d’insieme che costituiscono un dialogo tra preesistenza, intervento di recupero e presentificazione delle opere. All’estero invece, la figura del progettista e la figura dell’allestitore sono differenti e si posizionano su piani diversi rispetto ai sistemi di produzione e alla divisione del lavoro; chi progetta l’edificio non è chi ne definisce l’architettura degli interni. Queste rende la museografia, intesa nella sua accezione di disciplina cerniera, un fatto molto italiano. Che trova la sua migliore espressione nella scuola italiana della museografia degli anni Cinquanta.
Il problema della rappresentazione è quindi riferibile a questioni di teoria della comunicazione e ai modi di produzione di informazioni e al mondo del linguaggio. L’obiettivo primo della museografia è la costruzione di una narrazione che opera secondo i principi di una teoria estetica29, perché i suoi contenuti e obiettivi hanno per oggetto fondamentale la contemplazione estetica, la percezione e fruizione estetica30. La museografia lavora in uno spazio-tempo secondo sequenze visive che si sviluppano in senso sincronico e diacronico. Opera nell’arte e per l’arte e intrattiene con essa un rapporto biunivoco capace di strutturare il racconto artistico e, in quanto arte essa stessa, di mettersi in gioco nella creazione dell’evento estetico promosso dall’opera in esposizione.
Definizione ICOM di Museo. L’estetica è un ambito culturale in cui storicamente le attività artistiche acquistano una loro definizione tale da distinguerle dalle comuni attività della vita sociale. Si occupa della conoscenza del bello naturale o artistico. 30 Caliari P. F., Museografia. Teoria estetica e metodologia didattica, Firenze, Alinea Editrice, 2003. 28
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Oggi, la museografia non è riferita solo a lunga durata e all’impianto stabile del museo per collezioni permanenti, ma si è estesa verso la performance visiva dell’effimero e si identifica sempre di più nel paradigma dell’evento, nel temporaneo: in questo senso, il museografo si confronta con l’esistente e stabilisce, per un tempo ben determinato, il rapporto tra contesto ed una collezione d’occasione.
La museografia istituisce la trama del racconto, l’allestimento la sua messa in scena.
Entra qui in gioco la dimensione progettuale dell’allestimento, inteso come tecnica e insieme come prodotto dell’esporre, sospeso tra processo e prodotto. Generalmente, allestimento e museografia acquistano accezioni diverse: l’allestimento è tecnica dell’effimero, definisce l’aspetto morfologico, cioè la forma in cui l’opera viene presentata; la museografia invece è il prodotto di una visione generale, è un fatto proprio dell’architettura che è preludio dell’evento allestitivo, è l’organizzazione di un racconto in cui la disposizione delle opere ne costituisce la sintassi. La museografia è il rapporto esistente tra la collezione e la struttura architettonica che ne fa da sfondo e supporto, si occupa dell’organizzazione della collezione, della posizione delle opere in ragione di un percorso didattico scientifico oppure artistico. L’allestimento (dal francese antico lestèr “esibizione di grandi tessuti”), è invece il progetto dettagliato del mostrare, il rapporto stesso tra collezione e soggetto astante, che opera emozionalmente sulla visione. La museografia quindi costituisce la sintassi, l’allestimento la morfologia espressiva del mostrare. 50
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4.2
Per collezione si intende l’insieme di oggetti naturali o artificiali, mantenuti temporaneamente o definitivamente fuori del circuito di attività economiche, soggetti ad una protezione speciale, in un luogo chiuso sistemato a tale scopo, ed esposti allo sguardo del pubblico31.
Allestimento e Collezione
La soggezione ad una protezione speciale, prelude all’idea di “recinto sacro”, di tèmenos, un limite non solo fisico, ma anche ideale che definisce la differenza tra ciò che è parte della collezione da ciò che non ne è parte. E’ una condizione ontologica che stabilisce un rapporto di valore. Come si commisura tale valore? Chi decide il valore di elemento che si candida all’ingresso nel tèmenos (opera d’arte, reperto o documento)? Il valore non si dà a priori. Se non per mano di artista universale, non nasce come tale ma acquisisce la sua condizione (valore) a valle di considerazioni di ordine diverso: antichità, rarità, complesso di caratteristiche comunicazionali, struttura, capacità riproduttiva, capacità rappresentativa, livello di astrazione, livello di realismo, vita e morte dell’autore. Ma anche autenticità-originalità, ovvero certezza di verità. L’ingresso “ufficiale” nel tèmenos conferisce quindi carisma all’elemento (opera d’arte, reperto o documento) il quale consolida la sua condizione e aumenta il suo valore in quanto parte di un sistema, che è appunto la collezione. Esistono fondamentalmente due tipi di colle31
Krzysztof Pomian, Voce “Collezione”, Enciclopedia Einaudi, 1977-84.
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zione, due idee dalle quali nascono due metodologie: la collezione come restituzione di un percorso storico (cronologico o tipologico) attraverso elementi dati, e la collezione come atto creativo, cioè come progetto, dove gli elementi che la compongono sono il prodotto originale di un’operazione di creazione segnica, cioè di comunicazione pura. In questa seconda declinazione, differentemente rispetto alla prima, l’obiettivo della collezione non è un’asserzione di verità scientifica, ma il bello inteso come libera tensione estetica e narrazione mediata da sistemi simbolici.
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Frammenti della statua di Costantino I nel cortile del Palazzo dei Conservatori, Musei Capitolini, Roma. Allestimento del 1672 55
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5 CASI STUDIO
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Intendendo la museografia come la più grande performance visiva, l’allestimento diventa un elemento cardine e definisce la compresenza di tre tipi di codici: un codice oggettuale, la collezione; un codice sfondo, l’architettura; un codice mediale, l’allestimento. Questi codici vengono messi insieme parzialmente o totalmente da tre modelli a cui si fa riferimento per la realizzazione di un museo: il modello della ridondanza dove codice sfondo, mediale e oggettuale hanno la stessa struttura formale, sia dal punto di vista cromatico che dal punto di vista dei rapporti dimensionali, il grado di percezione è basso, ma si dispone di un’immagine complessiva forte; il modello dell’assenza che prevede una centralità della collezione e una presenza trascurabile sia dell’architettura che dell’allestimento e dove l’opera diventa fondamentale e lo sfondo non può che essere neutro; il modello dell’effimero dove prevale l’allestimento sulla collezione. I casi studio da noi analizzati sono cinque musei, progettati in un recente passato, che riteniamo emblematici in quanto esplicativi al massimo di questo rapporto tra architettura, archeologia e museografia, perché accomunati dal fatto di essere stati realizzati con lo scopo della valorizzazione dell’archeologia attraverso la museografia. 59
Particolare del lucernario della galleria principale 60
5.1 Museo Nazionale di Arte Romana Mèrida, Spagna Josè Rafael Moneo
Committente Ministerio de Cultura, Dirección General de Bellas Artes Collaboratori Francisco González Peyró, Rafael Luque Rojo Progetto 1980 Realizzazione 1980-1985
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La città spagnola di Mèrida capoluogo dell’Estremadura, la romana Emerita Augusta, fu fondata come colonia dai soldati veterani di Augusto nel 25 a.C. e fu costruita quasi completamente da Agrippa. Importantissimo centro culturale, economico e militare, diventa capitale della Lusitania e punto di riferimento spagnolo, anche perché dotata di acquedotti, teatri e strade commerciali. Il Museo Nazionale di Arte Romana viene istituito nel 1838 per mettere in mostra statue, mosaici, epigrafi e steli funerarie dal I al IV secolo. Inizialmente ospitato all’interno del convento di Santa Chiara, in seguito al ritrovamento di materiale archeologico emerso dagli scavi di epoca romana effettuati intorno agli anni ‘80 del Novecento, viene costruito nel 1984 il nuovo Museo Nazionale di Arte Romana di Mèrida, per opera di Rafael Moneo. Il Museo nasce su parte dell’area archeologica, in un terreno che conserva tracce dell’antico tessuto stradale ed edilizio romano, di fronte alle rovine del Teatro e dell’Anfiteatro costruiti da Agrippa nel 18 a.C. Dall’analisi della pianta strutturale emerge chiaramente come la scansione modulare del nuovo si imposti senza seguire la maglia edilizia dei resti sottostanti, ruotandosi di circa 20 gradi, ma piuttosto segue gli assi del tessuto urbano contemporaneo. L’edificio si sviluppa in due blocchi distinti, collegati da una nuova passerella trasparente sospesa sopra l’antica via romana.
Veduta a volo d’uccello del sito archeologico prima della costruzione del Museo
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Facciata Sud 63
Il primo blocco ospita il museo vero e proprio, concepito secondo uno schema atipico rispetto al tradizionale percorso museale che permette al visitatore di muoversi liberamente nel grande spazio prospettico centrale. Quest’ultimo ospita i ritrovamenti di maggior valore ed è caratterizzato da una scansione ritmica dettata da arcate, che consentono la separazione da spazi secondari in cui sono custoditi i reperti di minor valore. Tali spazi, evidentemente pensati in un sistema gerarchizzato, sono stati distribuiti su tre solette di cemento a vista che attraversano i setti murari rompendone la continuità e dichiarandone il ruolo strutturale. Si è voluto porre l’accento sulla distanza temporale tra l’architettura
contemporanea e quella storica. I resti del tessuto edilizio romano si trovano nel piano interrato, la cosiddetta Cripta, dove è stato previsto un passaggio sotterraneo che collega il Museo con il Teatro e l’Anfiteatro prossimi. Moneo rende la serie di archi una chiara allusione ad una tipologia ricorrente nell’architettura romana antica, quella delle terme, nello specifico delle Terme di Caracalla. Il secondo blocco ospita i servizi, gli uffici, la sala conferenze, una biblioteca, un laboratorio di restauro e una caffetteria, ausiliari al
Galleria principale 64
museo. Questo è collegato da passerelle che affacciano su vuoti dai quali è possibile vedere i sottostanti resti archeologici.
Fondamentale è la scelta proporzionale degli spessori murari in confronto all’altezza dell arcate: nel piano interrato lo spessore murario è di 1 metro con altezze che raggiungono i 7 metri, nel piano espositivo la muratura è di 50 centimetri con altezza delle arcate di 14 metri. Si è discusso di influenze gotiche e romaniche combinate insieme durante le prime fasi di progettazione, così da affermare l’eterogeneità dell’edificio stesso.
Il museo nasce con l’intento di dare una percezione massiva di sé, attraverso la struttura imponente in muratura portante in calcestruzzo rivestito di mattoni senza corso orizzontale di malta. Il rivestimento in latericium romano dalla colorazione rossa, che fa da sfondo alle sculture antiche, è in realtà un’interpretazione astratta della muratura romana. I laterizi, commissionati appositamente, sono di forma allungata come i blocchi bipedali romani e montati a secco, sostituendo al corso di malta una sottile linea d’ombra.
Altro elemento essenziale del museo di Moneo è l’illuminazione, che trasforma le sale di esposizione in scenografie teatrali con l’impiego sapiente della luce naturale.
Pianta della fondazioni 65
La luce penetra all’interno in tre differenti modi: grandi vetrate rivolte a nord consentono l’ingresso della luce diretta nelle navate laterali; i lucernari posti tra i setti in copertura illuminano zenitalmente gli oggetti esposti contro il fondo scuro delle pareti in mattoni, mentre una luce indiretta proviene dalle finestre a sud, schermate da una parete interna. L’intenzione prima di Moneo non è stata quella di voler rendere lo spettatore un mero osservatore delle rovine sotto ai suoi occhi, bensì quella di evocare la grandezza e la bellezza di ciò che viene messo in mostra, in modo che esso si immedesimi in un’altra epoca. Il Museo romano di Mérida ha il merito, forse unico tra gli edifici moderni del suo genere, di mostrare nell’aspetto esteriore ciò che cela al suo interno: reperti di epoca romana esposti con estrema chiarezza in una atmosfera che restituisce il tempo e l’anima in cui quei pezzi sono nati e in cui sono vissuti. Questo contraddice con il principio consolidato del modernismo secondo cui un’architettura ha da essere indifferenziata, priva di ogni riferimento temporale e spaziale. E’ evidente la preoccupazione dei commentatori di non far neppure sorgere il dubbio che ci possa essere una copia dell’architettura romana, ma solo un richiamo ovviamente in chiave moderna, possibilmente astratto. Si parla quindi di ambiguità nella quale annegare il sospetto che ci possa essere un rimando troppo diretto ai reali monumenti romani.32
Studio della luce nella galleria principale 32
http://www.lacrimae-rerum.it/documents/00-RafaelMoneoIlmuseoromanodiMerida
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Passerelle sopraelevate 67
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Particolare della differenziazione materica del prospetto 70
5.2 Neues Museum Berlino, Germania David Chipperfield Architects
Committente Stiftung PreuĂ&#x;ischer Kulturbesitz rappresentato dal Bundesamt fĂźr Bauwesen und Raumordnung Gruppo di progettazione David Chipperfield Architects in collaborazione con Julian Harrap Levin MonsignyLandschaftsarchitekten Michele De Lucchi Ingenieurgruppe Bauen Jaeger, Mornhinweg+Partner Ingenieurgesellschaft Progetto 1997 Realizzazione 2009
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Il Neues Museum ridisegnato da David Chipperfield nasce come ricostruzione del museo progettato da Friedrich August Stüler33 tra il 1842 e il 1855 su commissione di Federico Guglielmo IV di Prussia34 che, in seguito ai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale, si trovava in uno stato di completa rovina.
lapidaria classici. Altre porzioni ricostruite sono quelle che rIguardano il museo Egizio, l’abside della corte greca e la cupola a Sud, che in realtà vanno a completamento di ciò che è rimasto. Importante è il nuovo innesto, la Simon Gallery, destinato anche a contenere il nuovo ingresso sul lato del canale Kupfergraben36 restituendo alla città l’antico assetto urbanistico. Viene progettato quindi un edificio lungo e sottile composto da due gallerie parallele collegate al piano interrato mediante un corpo trasversale alto un piano. Una sorta di nuova stoà, che costituisce di fatto il nuovo fronte monumentale del museo.
A seguito della riunificazione delle due Germanie, nel 1997 viene bandito dalla municipalità un concorso per restituire il monumento in seno alla città35, a seguito di un primo concorso, vinto da Giorgio Grassi, indetto nel 1995. Il vincitore è un giovane architetto, David Chipperfield, in collaborazione con un esperto in conservazione dei monumenti, Julian Harrap.
L’edificio contiene ed espone le collezioni del museo Egizio, con il celebre busto della regina Nefertiti e altre opere d’arte dell’epoca del faraone Akhenaton; del Museo di Preistoria e di Protostoria con ritrovamenti dell’età della pietra, del bronzo e del ferro provenienti da Troia con copie del tesoro di Priamo; ritrovamenti provenienti da Cipro dell’epoca delle migrazione e dell’alto Medioevo. Il progetto dell’allestimento è di Michele Lucchi37 e risale al 2003.
Il primo approccio dell’architetto inglese prevede di reintegrare le parti mancanti ideando una nuova ala dell’edificio museale che si appoggia alla preesistente senza replicarla. L’edificio si sviluppa quindi in continuità con l’esistente, realizzando nuove sale espositive. Chipperfield pone l’accento sul nuovo scalone d’onore che evoca le forme e le dimensioni di quello precedente ma viene reso asettico e completamente privo delle decorazioni precedenti. Solo alcuni frammenti di esse vengono esposti sulle murature alla maniera del
Il “nuovo” Neues Museum riunisce le due collezioni originarie: la collezione egizia e la collezione di protostoria e preistoria, distribuite in due percorsi distinti e paralleli, intorno al
Architetto tedesco, allievo di Karl Friedrich Schinkel. Re di Prussia dal 1840 al 1861, in quanto figlio primogenito di Federico Guglielmo III di Prussia e Luisa di Meclemburgo-Strelitz. 35 Marotta A., Neues Museum a Berlino, Germania, in «L’industria delle costruzioni», n. 429, gennaio-febbraio 2013, pp. 26-37. 36 Canale che, con il fiume Sprea, circonda l’isola dei musei nel cuore di Berlino. 37 Designer e architetto italiano, nato a Ferrara nel 1951. 33
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Nuovo scalone d’onore
Sala espositiva interna 73
nucleo centrale dell’Archeologische Promenade che trova spazio nelle due grandi corti coperte.
d’allestimento, per creare un’unità visiva e un’omogeneità di percezione che non distoLga l’attenzione dai pezzi in mostra. Al tempo stesso, se da una parte l’allestimento si pone in continuità con l’architettura, dall’altra mantiene una sua totale indipendenza dal punto di vista distributivo e funzionale. La distribuzione delle vetrine e dei piedistalli segue generalmente un andamento longitudinale alle sale, con elementi lunghi e stretti disposti ad isola in modo da permettere la circolazione e staccarsi dalle pareti e dalle finestre.38
Il tratto distintivo del progetto è quello di intervenire con discrezione all’interno delle sale, nel rispetto delle decorazioni dell’edificio. L’allestimento diventa quindi un legante tra l’edificio, i reperti esposti e i visitatori. La zona espositiva aperta al pubblico è distribuita su quattro piani, per un totale di circa quaranta stanze collegate da percorsi e caratterizzate da oggetti illuminotecnici. I materiali architettonici vengono usati come materiali
Veduta laterale dello scalone d’onore 74
Con la scelta dei materiali, Chipperfield conferma la sua volontà di voler ricreare un distacco dal preesistente, un intervento leggibile e riconoscibile da chiunque, anche a distanza di molti anni.
Analizzando l’edificio in pianta e in sezione appare un progetto pesante e massiccio, volenteroso di imporsi a tutti i costi; in realtà ciò emerge è un progetto maturo, che risolve internamente le dialettiche con il passato39. Ogni elemento è stato pensato per valorizzarne un altro e per dare importanza a tutto il complesso.
La struttura del museo di Stüler prevede uno scheletro in ghisa e coperture alleggerite da anfore che si rifaceva alla tradizione costruttiva romana. Il progetto agisce in due diversi modi: da una parte si deve restaurare, dall’altra si devono ricostruire le parti mancanti. Per le sale espositive e lo scalone d’onore d’ingresso utilizza dei blocchi prefabbricati di colore chiaro, che creano un netto contrasto con i mattoni preesistenti; la miscela di cemento bianco e polvere di marmo dà un aspetto quasi asettico e freddo. La sala d’ingresso viene spogliata di quasi tutte le decorazioni, diventate illeggibili e si presenta come un cubo vuoto e spoglio. Le parti ricostruite ricorrono ad un procedimento anastilotico, e per fare ciò utilizza dei mattoni di Brandeburgo, per creare una sorta di continuità con l’esistente. Tutte le macerie vengono utilizzate come palinsesto, come prova, diventando la base su cui costruire una memoria storica che altrimenti andrebbe perduta. Alcune mancanze vengono addirittura accentuate per rimarcare gli effetti della guerra e le ferite inferte dal tempo e dagli eventi.
Colonnato esterno al Museo
http://www.archive.amdl.it/en/archive/view.asp?ID=467 Marotta A., Neues Museum a Berlino, Germania, in «L’industria delle costruzioni», n. 429, gennaio-febbraio 2013, pp. 26-37. 38
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Corte interna 78
5.3 Musealizzazione del sito archeologico di Praça Nova Lisbona, Portogallo João Luís Carrilho da Graça, João Gomes da Silva
Committente EGEAC (Empresa de Gestão de Equipamentos e Animação Cultural), Câmara Municipal de Lisboa Progetto 2008 Realizzazione 2008 - 2010
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Il progetto per la musealizzazione del sito archeologico di Praça Nova presso il Castello di São Jorge a Lisbona è stato condotto dall’architetto portoghese João Luís Carrilho Da Graça, tra il 2008 e il 2010, su una superficie di 3.500 metri quadri.
porta di accesso, atrio, cucina, sala, stanza da letto, dispensa e bagno, tutto attorno ad un patio centrale. Ciò per tutelare gli affreschi degli interni risalenti al XI secolo. L’involucro del volume scatolare è costituito da pareti bianche in cartongesso da esterni, astratte, semplici ed essenziali, che seguono il perimetro della preesistenza, in sospensione sulle fondazioni, per non gravare sulle murature perimetrali e interne, con una struttura “ad ombrello” che poggia su sei punti centrali e si sviluppa a sbalzo fino al profilo esterno delle murature di perimetro.
Le ricerche intraprese su questo perimetro storico attestano ritrovamenti relativi al succedersi degli insediamenti fenici, romani, arabi, fino al periodo aureo che la fortezza vive dal XIII all’inizio del XVI sec., quando è trasformata in palazzo reale.40 Collocato sulla collina occupata dal Castello di São Jorge con le sue mura e le sue celebri torri, che rappresentano il più antico insediamento umano di Lisbona, il progetto nasce per valorizzare, a seguito di scavi archeologici, i reperti relativi alle diverse fasi storiche che hanno segnato l’antropizzazione del sito: l’area delle case islamiche del XI secolo, le rovine del Palazzo eretto nel XV secolo e i resti dell’età del ferro. Carrilho ordina e suddivide le rovine mediante un segno preciso: la costruzione di un recinto o nastro in acciaio corten, il cui colore esalta il fascino dei resti, che scandisce il percorso del visitatore e che contiene la superficie perimetrale dell’area storica alla sua quota più elevata.
La copertura in legno e policarbonato forato semiopaco permette l’ingresso della luce naturale. Quando il sole tramonta, le luci artificiali a led posizionate al di sotto del recinto sottolineano il punto di contatto tra le an-
Sulle fondazioni di un’antica dimora risalente alla dominazione araba, riportata alla luce, l’architetto propone di ricostruire un simulacro, una rappresentazione del volume originario, restituendo gli spazi che la costituivano:
Distacco della parete in cartongesso dall’elemento basamentale preesistente
Bucci F., Carrilho da Graça con Gomes da Silva, Recupero del sito archeologico al castello di San Jorge, Lisbona. Un involucro sospeso sui resti che lo modellano, in «Casabella», n. 794, ottobre 2010, pp. 8-15. 40
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tiche mura e le nuove pareti bianche, dando vita ad uno spettacolare effetto scenografico.
I reperti del villaggio che durante l’età del ferro occupava la collina sono esposti in un nuovo volume essenziale e minimalista, attraverso cui i visitatori possono accedere alle quote più basse dello scavo ed osservare le antiche fondazioni delle architetture che una volta popolavano l’area.
Per evidenziare gli strati archeologici è stata fatta una distinzione nell’uso del terreno: la terra in ocra individua il settore dedicato ai resti islamici, mentre quella bruna l’area dell’età del ferro. Scalinate, percorsi e sedute in pietra basaltica sono stati progettati ex novo, all’interno dell’area.
Infine, nella parte più bassa dell’area, sono esposti i resti dell’insediamento preistorico, protetti da un volume indipendente che, con un movimento a spirale, si estende dalle pareti perimetrali di acciaio corten. Lo scrigno metallico, fatto di materia “modernamente antica”, è attraversato da fessure orizzontali che invitano il visitatore ad osservarne il prezioso contenuto interno.
Una struttura mobile in corten è utilizzata anche per proteggere i resti dei mosaici appartenenti al Palazzo del Vescovo di Lisbona eretto nel XV secolo, la cui parte inferiore della copertura è rivestita da una superficie specchiante di colore nero che riflette le trame e i decori dei pavimenti.
Studio dei volumi in cartongesso bianco 81
Particolare del recinto in corten
Il tema principale del museo è la protezione dell’antico: al suo interno, infatti, vengono salvaguardati i mosaici appartenenti al sito, nonché viene consentita la lettura del palinsesto dei resti presenti. Il linguaggio di questa proposta, legata al regionalismo portoghese e alla scuola di Alvaro Siza e Aires Mateus, ci trascina verso un’opera intrisa di bellezza formale, un segno forte in un contesto così delicato, un oggetto che fa da contrasto tra un attacco a terra studiato e un volume quasi privo di peso, dove nuovo ed esistente si esaltano a vicenda, manifestando un rapporto reciproco. 82
Particolare della copertura dei volumi in cartongesso 83
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Veduta a volo d’uccello del sito archeologico dell’Acropoli di Atene e del New Acropolis Museum 86
5.4 New Acropolis Museum Atene, Grecia Bernard Tschumi Architects
Committente Organization for the Construction of the New Acropolis Museum, a private entity with a board of directors appointed by the Greek Ministry of Culture Gruppo di progettazione Bernard Tschumi Architects, New York and Paris Michael Photiadis ARSY Ltd. architetti associati, Athens Progetto 2003 Realizzazione 2009
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Il Partenone, capolavoro dell’Acropoli ad Atene, fu commissionato da Cimone dopo le distruzioni causate dall’occupazione persiana del 480 a.C. e, successivamente fatto riprogettare da Pericle, nel momento di massima potenza della città a metà del V Secolo, agli architetti Ictino e Callicrate41 e allo scultore Fidia42. Il risultato fu un tempio octastilo anfiprostilo di grandi dimensioni realizzato integralmente in marmo pentelico perfettamente proporzionato, racchiuso in una peristasi di quarantasei colonne dorico-attiche. Il tempo ha molto lavorato su questo edificio, considerato l’essenza stessa dell’architettura occidentale, portandolo ad una situazione di quasi totale distruzione all’inizio del XIX Secolo. Sorte ben più dura di quella toccata agli altri monumenti dell’Acropoli, oggi quasi totalmente recuperati. Nel XIX secolo, Lord Thomas Elgin43, ottenne dalle autorità ottomane l’autorizzazione ad asportare dal monumento elementi architettonici, bassorilievi e sculture e ordinò che venissero raccolti, trasportati e conservati, nel soggiorno e giardino della sua residenza di Londra. Successivamente, a valle del dissesto economico patito a causa dei ventennali costi
Vista dalla Sala delle Cariatidi sul grande dromos e scalinata di accesso alle sale
Architetti greci, attiio nel V secolo a.C. e legati alla costruzione del Partenone e al progetto per il Tempio di Atena Nike sull’Acropoli di Atene. 42 Scultore e architetto ateniese, attivo dal 470 a.C. circa ad Atene, Pellene, Platea, Tebe e Olimpia, fu l’artista che meglio riuscì ad interpretare gli ideali dell’Atene periclea, i quali raggiunsero e informarono di sé il mondo greco di epoca classica. Il cantiere del Partenone, per il quale Fidia lavorò come sovrintendente, fu un grande laboratorio nel quale si formò la scuola dei maggiori scultori ateniesi. 43 Lord Thomas Bruce, VII conte di Elgin è stato un diplomatico britannico, famoso per aver asportato le sculture di marmo dal Partenone ad Atene ed averle trasportate in Inghilterra presso il British Museum. Queste opere sono perciò dette marmi di Elgin. 41
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Sala espositiva delle sculture
del cantiere di espoliazione che portava il suo nome, tutti i marmi vennero acquisiti dal British Museum.
Le sfide nel progettare il Nuovo Museo dell’Acropoli sono iniziate con la decisione di dare una dimora alle sculture dell’antichità greca, con il confronto con gli scavi archeologici di un’area sensibile, con la presenza della città contemporanea e la sua griglia stradale e con la presenza del Partenone. Tutte queste condizioni hanno dato forma al programma di progetto ancora prima della scelta del sito.
Sul fronte ellenico, nel 1833, in seguito all’istituzione dello Stato greco sotto l’egida del Regno di Bavaria di Otto I, iniziò il dibattito riguardante la costruzione del Museo dell’Acropoli e in particolare sulla sua ubicazione. Nel 1888, venne costruito il Little Museum, in un sito a Sud Est del Partenone, sulla rocca che si rivelò col tempo dimensionalmente inadeguato per accogliere tutti i ritrovamenti degli scavi sull’Acropoli e per sostenere il grande numero di visitatori.
Nel 1989, Melina Mercouri, in qualità di Ministro della Cultura, indirizzò la sua politica verso la richiesta di ritorno dei marmi del Partenone dal British Museum e avviò una competizione internazionale per l’insediamen-
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to del nuovo museo da realizzarsi al di fuori dell’Acropoli. Il concorso fu annullato in seguito alla scoperta di un grande insediamento urbano sul sito di Makriyianni, che si decise di integrare nel progetto del nuovo museo. Infine il concorso fu vinto dall’architetto svizzero-americano Bernard Tschumi con Michael Photiadis come architetto associato.
dialogo tra gli spazi espositivi del Museo e gli edifici dell’Acropoli stessa. L’ultimo piano della Museo Galleria consta di una terrazza con una vista panoramica che si affaccia sull’Acropoli e sull’Atene moderna. Con i suoi 8.000 metri quadri di spazio espositivo, il Museo racconta la storia dell’Acropoli ed i suoi dintorni, unendo le collezioni precedentemente disperse nelle più antiche istituzioni, tra cui il piccolo Museo dell’Acropoli costruito nel XIX secolo.
Il New Acropolis Museum è situato nell’area di Makryianni, ai piedi dell’Acropoli, e si erge a Sud-Est del Partenone di fronte al Teatro di Dioniso.
L’edificio è articolato stratigraficamente in tre fasce orizzontali dal basso verso l’alto disegnate secondo le necessità specifiche per ogni parte del programma. La base del museo poggia su 100 pilastri in calcestruzzo, poste
Al museo si accede dalla strada pedonale Dionysios Areopagitou, che collega l’Acropoli con gli altri siti archeologici. Questa collocazione è stata selezionata per stabilire un
Studio materico del pavimento e del soffitto 90
Vista esterna della terrazza panoramica del Museo
Veduta esterna della facciata del fronte posteriore con Acropoli sullo sfondo
ordinatamente in modo da non disturbare la simmetria dell’oggetto architettonico, sui resti dell’antica città di Atene risalenti al IV e VII secolo a.C., scoperti dagli archeologi prima la costruzione, integrati nel Museo e resi visibili attraverso il pavimento in vetro del primo piano.
Al centro della Parthenon Gallery, che costituisce il nucleo del museo, un rettangolo in calcestruzzo permette l’esposizione del pezzo più prezioso di tutta la collezione: il fregio del Partenone, orientato di 23 gradi rispetto al resto dell’edificio per posizionarlo in armonia con la giacitura del Tempio sull’Acropoli.
Questo livello è definito da un atrio d’ingresso, spazi espositivi temporanei, un auditorium da 200 posti a sedere e strutture di servizio e a supporto dei visitatori, come il grande bookshop. Particolare è la pavimentazione in cristallo trasparente sostenuto da una struttura in acciaio, che permette la vista sul piano archeologico
Oggi, il nuovo Museo dell’Acropoli ha una superficie totale di 25.000 metri quadrati, con uno spazio espositivo di oltre 14.000 metri quadrati, dieci volte di più di quella del vecchio museo sulla rocca dell’Acropoli.
La ricca collezione, che definisce il percorso del visitatore come un percorso chiuso ad anello, è installata in sequenza cronologica, dalla Preistoria al periodo tardo romano, ma raggiunge il suo punto più alto con il grande attico destinato ad ospitare il Fregio del Partenone.
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Cast Court Sala espositiva con la copia della Colonna Traiana e di altri elementi monumentali riprodotti con calchi realizzati in tutta Europa 94
5.5 The Victoria and Albert Museum Londra, Regno Unito Francis Fowke
Committente Regina Vittoria e Principe Albert Progettista Francis Fowke Progetto 1852 Realizzazione 1899
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Il V&A Museum è il principale museo di arti decorative del mondo. Dai suoi inizi come Museo delle Manifatture nel 1852, alla posa della pietra di fondazione dalla Regina Vittoria nel 1899, fino al suo stato attuale, il Museo si è continuamente sviluppato. La sua collezione, che oggi consta di 2.3 milioni di oggetti che coprono circa 5.000 anni di creatività umana, è ospitata in uno degli edifici vittoriani più belli di tutta la Gran Bretagna. Una delle più grandi risorse per lo studio di architettura, mobili, moda, tessili, fotografia, scultura, pittura, gioielli, vetro, ceramiche, metalli, arti del libro, arte e design asiatici, teatro e performance.
nel 1857, il V&A Museum aprì le sue porte con una raccolta di oggetti del valore di cinquemila sterline. Per oltre 40 anni, fu conosciuto come “Museo di South Kensington” o con l’appellativo di Albertopolis, mentre fu intitolato con il nome con cui si conosce oggi a seguito della commemorazione a ruolo nell’Istituzione ad opera della Regina Vittoria e di suo marito, il Principe Albert, nel 1899.
Fin dal loro concepimento, gli edifici del Victoria and Albert Museum furono intesi come esemplificazione della migliore architettura contemporanea. Dovevano diventare essi stessi un’opera d’arte intensificando la prima missione educativa del Museo e di ispirazione per i cultori all’arte e al design. Il Museo fonda le sue origini nella Great Exhibition del 1851, fiera internazionale del design e della produzione, prima nel suo genere, che ebbe un enorme successo e una grande quantità di visitatori. A seguito dell’Esibizione, il suo creatore e fautore, il Principe Alberto, vide la necessità di migliorare gli standard dell’industria inglese affinché fosse competitiva nel mercato internazionale. A tal fine, egli utilizzò i profitti della Grande Mostra per sviluppare un distretto culturale di musei e collegi dedicati all’arte e all’educazione scientifica, a South Kensington nel quartiere di Brompton. Il Victoria and Albert Museum fu il primo di queste istituzioni. Fondato nel 1852 e portato nella sua attuale dimora in Exhibition Road
Facciata principale del Victoria and Albert Museum
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Credo che rimarrà per secoli un monumento di libertà discernente e una fonte di raffinatezza e di progresso.44 Come primo direttore museale, Henry Cole, colui che dette la prima idea di un’Esibizione a fine didattico, dichiarò che il nuovo Museo dovesse essere una “scuola per tutti”. Il primo edificio eretto era una struttura di ferro temporanea, lunga 81 metri e alta 9, abbastanza grande da ospitare tre gallerie a due piani. “La sua bruttezza è infinita”, ha dichiarato The Builder, il principale giornale di cultura architettonica del tempo. Anche prima che il “Museo del ferro” fosse stato completato emerse chiaramente l’incapacità di offrire spazio sufficiente per tutte le collezioni e i visitatori previsti. Pertanto una nuova struttura, nota come la “Galleria Sheepshanks”, fu progettata dall’architetto Francis Fowke45 per ospitare una collezione di dipinti offerti alla Nazione da un ricco produttore di Leeds. I due edifici furono completati e pronti per la loro apertura ufficiale con il nome di “The South Kensington Museum”, nel 1857.
Cast Court Sala dei gessi con copia del David di Michelangelo
Al fine di fornire spazio il più velocemente ed economicamente possibile, e per ospitare le più grandi opere d’arte, fu proposto che il quadrilatero intorno al quale furono allestite le gallerie di quadri fosse coperto, dividendo l’area in due Corti distinte: la Corte Nord, aperta nell’aprile del 1862, aveva un tetto in ferro e vetro autoportante progettato per massimizzare la luce nell’area espositiva; la Corte Sud, invece, era destinata a contenere oggetti più piccoli e il suo spazio era diviso in due parti da un corridoio. Aperta nel giugno del 1862, questa Corte comprendeva una serie di nicchie che correvano intorno al livello superiore del portico, in cui furono collocati
La Galleria Sheepshanks presentava una serie di innovazioni, tra cui l’illuminazione a gas, che le permetteva di rimanere aperta durante le sere d’inverno, e un sistema combinato di riscaldamento e ventilazione nei passaggi sotto il pavimento, nonché schermi di pulizia dell’aria.
Discorso della Regina Vittoria al momento della commemorazione. Architetto e ingegnere vissuto nella metà del 1800. Fu Capitano del Corpo Reale degli Ingegneri, a servizio della Regina Vittoria. 44 45
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35 ritratti mosaicati di pittori, scultori e architetti europei. Anche prima che le corti Nord e Sud fossero coperte, Francis Fowke elaborò i dettagli di un ambizioso masterplan per il sito di Brompton Park House. Andando contro la moda contemporanea per l’architettura gotica, propose di continuare lo stile rinascimentale nordico in tutti i nuovi edifici. In questo schema, la maggior parte dello spazio museale era suddiviso in due piani, con un grande teatro nel suo centro. Nuove costruzioni, col tempo, attorniarono il nucleo principale: residenze per anziani, edifici per l’amministrazione del museo, scuole di scienze e arte per bambini, un teatro per le conferenze e sale per la comunità, diventando il primo complesso del suo genere al mondo. Alla morte di Fowke, si tenne un concorso per selezionare un nuovo architetto, un professionista, per completare il museo. Fu scelto Aston Webb45, il cui mandato fu quello di creare una facciata in mattoni rossi rivestiti in pietra e mattoni rossi rivestiti in terracotta. Il piano di Webb fu quello di progettare gallerie che si estendessero lungo Cromwell Road, caratterizzate da un ottagono di tre piani sovrastato da una piccola cupola e una grande corte quadrata ad ovest. Mentre l’edificio si avvicinava al completamento, un Comitato di Riordino esaminava la questione riguardante il tipo di collezione da
Hall d’ingresso
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Architetto britannico vissuto a cavallo tra 1800 e 1900, nonchè Presidente della Royal Academy.
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Mostra temporanea su moda e tessuti
introdurre nella nuova parte del Museo. L’obiettivo principale doveva essere il miglioramento della qualità artistica del design e della produzione inglesi; pertanto si decise che tutta la collezione dovesse essere esposta secondo il tipo di materiale (tutto il legno insieme, tutti i tessuti insieme, tutte le ceramiche insieme, ecc.), come in un’enorme enciclopedia tridimensionale di materiali e tecniche.
caratterizzarono infatti la storia di tutto il complesso architettonico nel XX secolo. Il nuovo Exhibition Road Quarter del V&A Museum, completato nel 2017, è la personificazione dell’appello della Regina. Fornendo una nuova galleria d’ingresso dedicata alle mostre temporanee, il V&A Exhibition Road Quarter presenta il meglio del design contemporaneo e celebra la bellezza degli edifici esistenti.
Il museo fu finalmente terminato il 26 giugno 1909, più di 50 anni dopo l’inizio delle opere sulle strutture originarie.
Gli edifici attuali lungo la Road Exhibition furono originariamente il sogno del primo direttore del museo, Henry Cole.
Col passare del tempo, alcune stanze furono demolite per costruire altri fabbricati, affrontando quindi il problema della mancanza di spazio: aggiunte, modifiche e abbattimenti
Sebbene, al tempo, il Ministero del Tesoro non avesse approvato la spesa, quasi 30 anni dopo i disegni dell’architetto Aston Webb su idea di
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Cole furono rivisti per i nuovi interventi (tra cui una nuova facciata di 230 metri che corre lungo la Road Exhibition e Cromwell Road) che completano il Museo, collegano la parte vittoriana frammentaria in uno schema molto più coeso, ma soprattutto permettono ai visitatori di orientarsi all’interno dell’edificio e di ottenere una immediata visualizzazione della mostra. Si può affermare che il Museo continua, come ha fatto fin dalle origini, ad avere un progetto museografico ambizioso e avanguardistico, che esce dagli schemi della museografia tradizionale e punta a un progetto di comunicazione globale della cultura, che passa attraverso le grandi mostre narrative e spettacolari (come quella recente sui Pink Floyd o la prossima sull’Opera lirica) ma anche attraverso un coinvolgimento diretto del pubblico con pubblicazioni, vendita di oggetti di design appositamente studiati, utilizzo mirato delle strategie di comunicazione e dei social network.
Sala espositiva
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Studio di architettura AL_A, V&A Exhibition Road Quarter 101
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