MAGGIO 2012
Speciale ENERGIE RINNOVABILI
APPLICAZIONI
GERMANIA-ITALIA:
La Germania è spesso presa a modello, perché non farlo anche nell’ambito del biogas? l’alimentazione degli impianti? In queste pagine abbiamo SUBSTRATI
Cambio di direzione
IMPIANTI A BIOGAS
Il boom dell’ultimo decennio I primi impianti a biogas in Germania sono apparsi nel 1992, ma è solo dal 2001, con l’emanazione di una legge specifica sulle rinnovabili, che il biogas si è sviluppato veramente e ha vissuto il boom che lo ha portato ad avere nel 2011 un totale di 7100 impianti installati per una capacità di circa 2780 MW. Diversamente dallo sviluppo avuto in Italia, la maggior parte degli impianti a biogas appartiene ancora all’agricoltura, a singole aziende o ad aziende agricole consorziate. La dimensione media si aggira tra i 300 e i 400 kW. Raramente vi sono impianti da 1 MW. Il 1° gennaio 2012 è entrato in vigore
un nuovo decreto sulle rinnovabili. Con esso sono state introdotte alcune novità che influenzeranno non poco lo sviluppo del biogas a venire. Oltre alle misure riguardanti lo sfruttamento del termico, si prevedono sovvenzioni di 25c/kWh per impianti fino a 75 kW di potenza, a patto che essi utilizzi-
no reflui zootecnici come substrato in una percentuale almeno dell’80%. Con questa misura si mira ad ottenere due risultati: una maggiore diffusione di impianti di piccola taglia ed un maggiore utilizzo dei reflui zootecnici. Nel primo caso si cerca di rendere possibile l’accesso ad un impianto per un maggior numero di aziende agricole. Con la seconda misura si vuole diminuire l’utilizzo di mais e colture dedicate come substrati per gli impianti a biogas e creare un ciclo chiuso della materia organica. Per impianti di dimensioni maggiori ai 75 kW, gli incentivi base si muovono tra gli 11 (impianti di 5 MW) e i 14,3 (impianti fino a 150 kW) ct/ kWh. Il biogas in Germania gioca un ruolo molto importante nell’approvvigionamento energetico. Nel 2010 il consumo di energia primaria in Germania è stato di 14.044 PJ, di cui il 9,4% è stato prodotto da energie rinnovabili. All’interno del gruppo delle rinnovabili il biogas ha contribuito al 12,6% di tutta l’energia elettrica prodotta e al 5,5% dell’energia termica (N.d.R., nel grafico il valore 2012 è una proiezione).
Ciclo chiuso
I resti della fermentazione di un impianto a biogas possono essere ricondotti sui campi come concime naturale e questo porta ad una chiusura del ciclo della materia, che è l’ambizione massima a cui dovrebbe tendere la conduzione di un impianto a biogas. In Germania, se i substrati utilizzati negli impianti sono colture dedicate o reflui zootecnici, non sono richiesti particolari post-trattamenti del digestato e questo può essere utilizzato in agricoltura. Solo quando nel substrato siano presenti resti organici o altri scarti di natura industriale, sono invece richiesti ben precisi trattamenti per poter poi utilizzare il digestato come concime, ad esempio trattamenti termici e analisi microbiologiche del digestato stesso. Tali analisi, tra l’altro, sono state condotte nell’ultimo anno in manie-
ra particolarmente frequente in Germania in seguito ai sospetti che il digestato distribuito sui campi potesse contenere il batterio Escherichia coli del ceppo enteroemorragico e Clostridium botulinum. L’analisi dei digestati di diversi impianti non ha rivelato la presenza di alcuno dei due patogeni. Il trattamento sia mesofilo che termofilo all’interno degli impianti inattiva sia i batteri Escherichia che i clostridi. In generale, i trattamenti termici a cui è sottoposto il substrato in un impianto a biogas migliorano decisamente le condizio-
ni igienico-sanitari del digestato rispetto al concime naturale. A seconda del substrato utilizzato, la composizione del digestato varia e quindi anche il suo valore come concime organico per l’agricoltura. Il processo di fermentazione determina alcune caratteristiche che differenziano il digestato dai concimi naturali e per certi versi ne migliorano la qualità. Rispetto al concime organico naturale il digestato ha: più alta percentuale di azoto minerale; più alto pH, che dunque favorisce la eliminazione di NH3; minor contenuto di sostanze maleodoranti, aspetto che diminuisce notevolmente gli odori durante lo spargimento sui campi. Conoscere le caratteristiche del digestato e i suoi contenuti in materia minerale ed organica aiuta a decidere sulla sua migliore destinazione, ovvero su quali coltivazioni, quando e in quale quantità possa essere distribuito al meglio. Uno studio condotto in Germania ha analizzato diversi digestati in base alla loro origine e ottenuto i dati mostrati in tabella. Tali dati sono un’indicazione di come i digestati possano variare tra di loro e dei rapporti delle sostanze in esso contenute. Il termine di paragone è liquame fresco (da allevamento bovino). f
di Maria Luisa Doldi
Digestato Parametri
Liquame fresco (da allevamento bovino)
Liquame da allevamento bovino + colture dedicate
N totale
4,1
4,6
Azoto ammoniacale
1,8
2,6
Fosforo
1,9
Potassio
4,1
Magnesio Calcio
Liquame da allevamento suino + colture dedicate
Il 1°gennaio 2012 è entrata appunto in vigore una nuova legge sulle rinnovabili. Per il biogas, oltre alle novità nello sfruttamento del termico, vi sono novità interessanti anche per quanto riguarda l’utilizzo dei substrati. Ma andiamo con ordine. L’attuale panorama tedesco del mondo dei substrati per biogas è ben descritto da una statistica del 2010 del ministero per l’agricoltura: il 46% dei substrati utilizzati per la produzione di biogas deriva da colture dedicate e il 45% da escrementi della zootecnia. Questo per quanto riguarda le fonti derivanti dall’agricoltura. Vi sono poi un 7% di rifiuti organici solidi e un 2% di rifiuti industriali. Del 46% da colture dedicate, il 76% è insilato di mais. E qui arriviamo a quello che è oggi il maggiore problema con cui il biogas deve fare i conti in Germania. A causa dei numeri sopra esposti, vi sono regioni in Germania in cui si è affermata una vera e propria monocoltura a mais. Consapevoli della non sostenibilità di tale tendenza, sia dal punto di vista agronomico che ambientale, sia le associazioni di settore - Biogas Verband in primis - sia la legislazione si sono mosse per contrastare questa tendenza, creando il contesto per guardare ad altri materiali come substrato di produzione per il biogas. Ed è proprio questa la novità della legge rinnovabili 2012 – familiarmente chiamata dai Tedeschi EEG2012 (Erneubare Energie Gesetz) – in cui, per quanto riguarda i substrati, si evidenziano tre tendenze fondamentali: affermare maggiormente l’utilizzo di scarti e reflui zootecnici; diminuire l’utilizzo di mais; affermare l’utilizzo di colture energetiche diverse dal mais.
di Maria Luisa Doldi
f
DIGESTATO
Che la Germania sia pioniere in Europa per il settore delle rinnovabili è fuor di dubbio. Da qui l’interesse per le sue decisioni.
Colture dedicate
Rifiuti organici + colture dedicate
4,6
4,7
4,8
3,1
2,7
2,9
2,5
3,5
1,8
1,8
5,3
4,2
5
3,9
1,02
0,91
0,82
0,84
0,7
2,3
2,2
1,6
2,1
2,1
Zolfo
0,41
0,35
0,29
0,33
0,32
Sostanza organica
74,3
53,3
41,4
51,0
42,0
Kg/t materia fresca
6
Quali strumenti utilizza il decreto legislativo per raggiungere questi obiettivi? Con il decreto 2012 tutti gli impianti a biogas ricevono un incentivo di base il cui ammontare dipende dalla potenza dell’impianto stesso. A questo incentivo si somma un ulteriore sostegno che varia dai 4 agli 8 ct/kWh secondo la dimensione degli impianti e che dipende dal substrato immesso nell’impianto. In base a questo si definiscono tre tipologie di impianti e quindi di incentivi: Classe I: colture dedicate Classe II: reflui zootecnici e scarti verdi del paesaggio Classe III: rifiuti solidi organici con le classi II e III che ricevono i maggiori incentivi. Ovviamente è possibile utilizzare miscugli di substrati diversi. In questo caso però è necessaria una dettagliata registrazione di quali e quanti substrati vengono immessi negli impianti, cosa che costituisce uno sforzo burocratico maggiore da parte dei gestori degli impianti. Toccati da questa riforma sono soprattutto quegli impianti che utilizzano essenzialmente mais per le loro produzioni. Infatti, per poter ottenere gli incentivi è necessario che gli impianti di classe I non utilizzino più del 60% di mais. Tutto questo discorso non vale per gli impianti di 75 kWh che vedono gli incentivi maggiori (quasi a livelli italiani di 25c/kWh) ma che per poter avere accesso ad essi, devono utilizzare reflui zootecnici almeno all’80% dei loro substrati. L’Associazione nazionale per il Biogas - Biogas Verband – sulla base di informazioni dall’industria, stima una crescita nel futuro prossimo di impianti di piccole dimensioni e quindi un effettivo maggiore utilizzo di reflui zootecnici come substrato per il biogas tedesco. Condizione fondamentale è però che l’industria riesca a portare sul mercato impianti a prezzi più accessibili rispetto agli attuali. Parallelamente, si favoriscono la ricerca e le applicazioni per poter trovare alternative colturali al mais e portare effettivamente, anche con la produzione di colture energetiche, più diversità sui campi. In Germania, oggi sono in funzione circa 7100 impianti che producono circa 18 miliardi di kWh di energia elettrica, sufficiente per provvedere al fabbisogno di circa il 13% delle abitazioni tedesche. Circa 66 di questi impianti producono biometano d’alta qualità che viene immesso nella rete gas nazionale. f
di Maria Luisa Doldi © RIPRODUZIONE RISERVATA
MAGGIO 2012
Speciale ENERGIE RINNOVABILI
APPLICAZIONI
Due mondi a confronto
Come affrontano i due Paesi temi come la cogenerazione di calore, l’utilizzo del digestato, cercato di fotografare le due realtà. Ai lettori le conclusioni. f
A cura di Maria Luisa Doldi e Elena Consonni
IMPIANTI A BIOGAS
Una distribuzione a macchia di leopardo Il numero di impianti a biogas esistenti in Italia supera di poco le 500 unità, con una potenza elettrica installata che sfiora i 350 MW, almeno secondo i dati forniti dal Consorzio Italiano Biogas. Numeri importanti, certo, se il panorama di riferimento è solo quello interno. A partire dal 2009, in concomitanza con l’introduzione della tariffa onnicomprensiva a seguito del Decreto Rinnovabili di fi-
ne 2008, il settore ha conosciuto una crescita esponenziale. Il numero di chilowatt installati è salito di conseguenza, anzi in maniera ancora più netta: è più che raddoppiata tra il 2010 e il 2011, a testimonianza di
DIGESTATO
Una norma ancora da chiarire Tra i prodotti della digestione anaerobica, oltre all’energia e al calore (quando viene recuperato), c’è anche il digestato. Il suo utilizzo agricolo, però, non è così ovvio, perché la normativa in materia è piuttosto complessa e suscettibile a differenti interpretazioni. Tutto dipende dalla dieta del digestore: se il materiale alimentato è considerato un rifiuto, lo è anche il relativo digestato; in caso contrario, ne è ammesso l’uso agricolo. f
di Elena Consonni
Della questione si occupa il D.Lgs. 3 dicembre 2010, n. 205, che modifica la disciplina sulla gestione dei rifiuti contenuta nella Parte Quarta del D.Lgs. 152/2006. Non ci sono dubbi - ne parla l’articolo 185, comma 1 - che i “materiali agricoli” (residui di coltivazioni e produzioni vegetali), utilizzati per produrre biogas siano espressamente esclusi dalla normativa “rifiuti”; non è invece stato chiarito in maniera altrettanto precisa se le deiezioni animali siano o meno rifiuti. Un minimo di chiarezza potrebbe venire dal Regolamento CE 1069/69, che include il letame tra i sottoprodotti di origine animale. Allo stato attuale, si potrebbe arrivare all’ennesimo paradosso italiano. Se l’allevatore sparge direttamente in campo le deiezioni animali, non è soggetto alla normativa rifiuti. Se, invece, li bonifica in un impianto a biogas, migliorandone la qualità agronomica, sanitaria e ambientale, rischia di dover adempiere ai requisiti previsti dalle norme sullo smaltimento dei rifiuti. La situazione, quindi, è tutto fuorché chiara e l’utilizzo agronomico del digestato è una questione ancora controversa, anche perché le autorità locali, deputate a concedere le autorizzazioni, in caso di dubbio o equivoco tendono, per evitare qualunque possibile problema, a fare riferimento alle norme più restrittive. Ancora una volta, la macchinosità normativa rischia di far perdere all’imprenditore agricolo l’opportunità di ottimizzare lo sfruttamento delle risorse che la sua attività gli offre. La composizione media del digestato in Lombardia
Contenuto in Sostanza secca
6,00%
N Totale
3,34 kg/m3
N ammoniacale
1,54 kg/m3
N minerale
1,8 kg/m3
Fosforo
0,9 kg/m3
K20
2,23 kg/m3
Magnesio
0,24 kg/m3
come, negli ultimi anni, la tendenza sia stata quella di investire in impianti di dimensioni e capacità maggiori. La potenza elettrica media è comunque pari a circa 670 kW. La portata di questi risultati, però, si ridimensiona notevolmente se si allarga lo sguardo oltre confine e ci si confronta con chi è all’avanguardia nel comparto. E non basteranno certo i nuovi impianti che si prevede verranno costruiti entro il 2012 – il Crpa (Centro Ricerche Produzioni Animali) stima che si potrebbe arrivare tra 700 e 800 impianti – a colmare questo gap. Oltretutto la realtà nazionale è tutto fuorché omogenea. Se la Lombardia è davvero la protagonista del comparto del biogas in Italia, con 210 impianti installati, le regioni che
la seguono hanno all’incirca un terzo dei biodigestori: sono il Veneto (78), il Piemonte (72) e l’Emilia Romagna (63). Sempre più distanti, in parte anche per ragioni geografiche, il Trentino Alto Adige
e il Friuli Venezia Giulia, che contano rispettivamente 33 e 17 impianti. Le regioni dell’Italia Centrale si attestano tra 4 e 8 impianti ciascuna, mentre quelle del Sud non superano quota 3. Fanalini di coda: Sici-
lia e Puglia, in cui non ci sono impianti a biogas installati, Molise e Valle d’Aosta, con un solo impianto ciascuno. La distribuzione degli impianti va di pari passo con quella degli allevamenti intensivi, che si concentrano, appunto, tra Lombardia, Veneto, Piemonte ed Emilia-Romagna. Il fatto che le autorizzazioni siano concesse a livello locale non agevola una maggiore uniformità del sistema. Parlando di cifre, non si può trascurare un tema particolarmente caldo: il profilo occupazionale. L’industria del biogas, nel solo settore agricolo, nel 2009 ha dato lavoro a 300 addetti, tra occupati diretti e indiretti, che hanno superato 560 nel 2010. Nel 2011 è stata superata la soglia dei 900. f
di Elena Consonni
SOTTOPRODOTTI
Non chiamateli scarti! È lecito sottrarre terreno agricolo disponibile per la produzione di materie prime destinate all’alimentazione umana a vantaggio di quelle energetiche? Questo dibattito è sempre aperto.
Forse si tratta di un falso problema, se è vero quanto ha riferito Ezio Veggia, vicepresidente di Confagricoltura e presidente del Consorzio per lo sviluppo di agroenergie: “Da un recente studio è emerso che nel nostro Paese un milione di ettari di Sau (Superficie agricola utilizzata) non è in realtà coltivato. Se da qui al 2020 si verificasse un significativo incremento di impianti di biogas, di questo milione di ettari se ne utilizzerebbero a scopi energetici non più di 200-300mila». Ciò non toglie che il tema sia caldo, soprattutto perché queste considerazioni sono poco note ai non addetti ai lavori. Questo significa che gli operatori agricoli devono tener conto anche dell’aspetto alimentazione in fase di progettazione dell’impianto, sia per aumentare il consenso da parte del territorio in cui sorge l’impianto, sia per ragioni meramente economiche. L’acquisto di biomassa dedicata alla produzione energetica o il noleggio di terreni agricoli per coltivarli direttamente possono impattare – anche in maniera significativa – sul conto economico di un biodigestore. Bisogna quindi cercare di sfruttare al meglio tutto il materiale disponibile all’interno dell’azienda o che si possa ritirare da realtà vicine, che costituisca non una materia prima dedicata, ma uno scarto di altre lavorazioni. Anche la normativa in materia di incentivi sembra spingere le aziende agricole in questa direzione. Il Decreto Legislativo n° 28 del 3 marzo 2011, che attua la direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, include, all’articolo 24, i meccanismi di incentivazione che saranno attivi a partire dal 2013. In particolare il nuovo regime incentivante mirerà a premiare, nel settore del biogas, delle biomasse e dei biocarburanti, l’uso efficiente di rifiuti e sottoprodotti, di biogas da reflui zootecnici o da sottoprodotti delle attività agricole, agroalimentari, agroindustriali, di allevamento e forestali. Fin qui tutto chiaro, i problemi compaiono quando si entra nel campo minato delle definizioni legali ovvero cosa intende, la legge italiana, per sottoprodotti? Anzitutto, come precisava già il D.Lgs n.152/2006, i sottoprodotti non sono rifiuti. Per avere una definizione chiara di sottoprodotto bisogna però arrivare al 2010. Il Decreto 205 del 2010, infatti, precisa che i sottoprodotti devono soddisfare quattro requisiti: devono derivare da un processo di produzione, di cui costituiscono parte integrante ma la cui produzione non è lo scopo principale; ci deve essere la certezza di un successivo reimpiego, sia da parte del produttore che da terzi; il sottoprodotto deve
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poter essere reimpiegato direttamente, senza subire ulteriori trattamenti rispetto a quelli della normale pratica industriale; l’ulteriore utilizzo di questa sostanza deve essere legale, cioè deve soddisfare i requisiti merceologici e garantire la protezione della salute e dell’ambiente. Il decreto impone anche che ci sia un contratto tra il produttore del sottoprodotto e l’utilizzatore, per dare la certezza dell’effettivo utilizzo del materiale di scarto. Tale contratto deve riportare il processo da cui deriva il sottoprodotto, la qualità – in termini di sostanza secca, sostanze azotate... - e la quantità di materiale conferito, oltre che le modalità di consegna. Non è obbligatorio indicare il prezzo di cessione. Insomma sulla carta sembra tutto chiaro, ma qualche dubbio resta: sia il decreto 152/2006 che il 205/2010 non sono del tutto chiari a proposito degli effluenti zootecnici, che – da parte di qualche Autorità particolarmente cauta, potrebbero essere addirittura considerati rifiuti e, come tali, vietarne l’uso in un biodigestore in ambito agricolo. E non si tratta di una questione di poco conto. Secondo le stime che Alessandro Marangoni di Althesys ha presentato nel corso della recente Mostra Convegno Agroenergia di Tortona, le potenzialità dei sottoprodotti sono altissime, pari a 10 Mtep di energia all’anno, che corrispondono al 60% della produzione di quei 16,5 Mtep di energia primaria da biomasse che sono l’obiettivo UE entro il 2020, al 5% dei consumi di energia primaria e al 49% della produzione di energia da fonti rinnovabili. f
di Elena Consonni
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MAGGIO 2012
Speciale ENERGIE RINNOVABILI
APPLICAZIONI
Il tema caldo del termico
Anche per quanto riguarda l’utilizzo del termico si confrontano due visioni differenti… TERMICO
TERMICO
Ancora al palo gli incentivi
Obbligatorio l’utilizzo del termico
È passato oltre un anno dall’emanazione del decreto legge N° 28 del 3 marzo del 2011, con cui lo stato italiano recepiva la direttiva dell’Unione Europea n° 28 del 2009 sulle energie da fonti rinnovabili. Per diventare pienamente operativo ha però bisogno dei rispettivi decreti attuativi.
Si parla di un rapporto di 2:1 ovvero quando si brucia biogas in un processo di cogenerazione si producono due parti di calore e una di energia elettrica. Una parte importante dunque quella termica: se adeguatamente sfruttata permette un utilizzo ottimale degli impianti a biogas. In genere solo il 25% circa di quanto prodotto viene sempre utilizzato per il mantenimento delle temperature nel fermentatore. E il resto? Dipende! Lo sfruttamento del calore prodotto in un processo di cogenerazione non è sempre così ovvio e sembra dipendere più da regole politiche che da possibilità tecnologiche. Uno Stato che da lungo cerca di sostenere l’utilizzo dell’energia termica prodotta è la Germania. Con il decreto rinnovabili del 2004 e poi del 2009 si è cercato di rendere economicamente interessante l’utilizzo del termico con una maggiorazione di 2 o 3 cent pro kwH di energia elettrica prodotta, a seconda delle dimensioni dell’impianto. La filosofia era: utilizzi il termico? Hai un incentivo in più sulla corrente che produci! Il risultato è stato che il calore da prodotto di scarto è divenuto un ulteriore bene prezioso e che nessun impianto a biogas è stato più progettato senza una ragionevole possibilità di utilizzo del calore. E il settore si è dimostrato molto inventivo nel trovare soluzioni e modi per sfruttare il calore, non solo in inverno ma durante tutto l’anno. Così, l’energia termica da biogas nel 2010 è arrivata a coprire il 5,5% del fabbisogno nazionale tedesco di energia termica prodotta da fonti rinnovabili. Le soluzioni che si sono delineate sono molto variegate: dall’utilizzo del calore in loco – quindi per stalle, ambienti, acqua calda, essiccamento, ecc. – alla consegna del calore a acquirenti come piscine, istituti, scuole, fino a soluzioni più complesse come le reti di teleriscaldamento. Il 1° gennaio 2012 è però entrata in vigore la nuova legge sulle rinnovabili (EEG 2012) che, per lo sfruttamento del termico da impianti a biogas, ha portato con sè parecchie novità. L’utilizzo di almeno il 60% del calore prodotto nella cogenerazione
diventa condizione necessaria e obbligatoria per poter ottenere qualunque incentivo anche sull’elettrico prodotto. Si passa cioè da un “se volete” a un “dovete”. Pena: la perdita completa degli incentivi. L’Associazione Nazionale Biogas - Biogas Verband – esprime il suo malcontento: “Si tratta di una decisione che non crea certo binari ottimali per un ulteriore sviluppo del biogas”. Non tanto perché non sia corretto sfruttare il calore, quanto per la rigidità a cui questo utilizzo è legato. L’Associazione vede un problema soprattutto per chi cede il suo calore ad acquirenti. Cosa fare se l’acquirente all’improvviso non ritira più, laddove l’utilizzo del calore deve essere continuativo per poter dare accesso agli incentivi? Questo tipo di politica inoltre indebolisce notevolmente la posizione
Mentre in un anno molto si è fatto sul fronte degli incentivi alla produzione di energia elettrica (seppure con qualche malumore per la penalizzazione al fotovoltaico), quelli relativa all’energia termica – ovvero al calore prodotto da fonti rinnovabili – sono ancora al palo. Eppure non si tratta di un problema da poco perché, come sottolinea Marino Berton, presidente di Aiel, “la maggior parte degli utilizzi dei combustibili fossili è legata alla produzione di energia termica, non di quella elettrica”. Eppure i programmi sono ambiziosi: il Piano di Azione Nazionale prevede che entro il 2020 il 48% dell’energia prodotta da fonti rinnovabili debba essere utilizzata a fini termici (riscaldamento o raffrescamento), contro il 39% dell’energia elettrica e il 13% per il trasporto (biocarburanti). Il PAN prevede anche che si passi da 1875 ktep (dato del 2008) a 5670 (previsioni per il 2020) ktep di energia elettrica prodotta di biomasse, cifra che include sia quelle legnose che il biogas. L’obiettivo non è da poco, ma al momento mancano i supporti concreti per raggiungerlo. “Il problema – prosegue Berton – è che l’emanazione dei decreti attuativi prevede l’accordo di più soggetti: il Ministero dello Sviluppo Economico, quello dell’Ambiente e quello dell’Agricoltura. Una volta trovato un testo che soddisfi tutti questi attori, il decreto
del produttore e rafforza quella dell’acquirente, dandogli un forte potere contrattuale sui prezzi. Anche le banche vedono criticamente questa situazione, tanto che sono divenute molto più caute nel concedere crediti. Il panorama del biogas tedesco e soprattutto i costruttori e gestori di impianti dovranno per ora adattarsi a questa nuova situazione, seppur non ideale. Certo, l’Associazione Biogas continuerà a lavorare affinché si creino le condizioni migliori per poter assicurare l’affermazione del biogas, fonte di energia tra le più versatili, e per trovare un metodo ottimale di sfruttamento del termico, elemento decisivo per una buona redditività degli impianti e - aggiungiamo noi – per ottimizzare l’impatto ambientale di questa bioenergia. f
di Maria Luisa Doldi
deve passare al vaglio della Conferenza StatoRegioni. Insomma ottimisticamente, ma non utopisticamente, non mi aspetto che il decreto venga emanato prima della fine di maggio, inizio di giugno”. Al momento i Ministeri preposti stanno vagliando le proposte messe sul tavolo dalle associazioni del settore. Una prima ipotesi prevede che si possa aggiungere alla tariffa omnicomprensiva erogata per la produzione di energia elettrica un bonus per gli impianti più efficienti, quelli cioè che recuperano e utilizzano il calore. Un’altra possibile strada potrebbe essere quella di estendere all’energia termica lo strumento dei cosiddetti “certificati bianchi”, ovvero i Titoli di efficienza energetica. Questo strumento (che attualmente riguarda la sola energia elettrica) prevede l’erogazione di un incentivo per le imprese che dimostrano di aver generato un risparmio energetico, proporzionale al numero di tep risparmiati. La criticità di questo strumento riguarda l’orizzonte temporale: lo strumento dei certificati bianchi ha una durata di 5 anni, contro i 15 della tariffa omnicomprensiva. La proposta è di compensare la differenza con un coefficiente di moltiplicazione: gli incentivi che dovrebbero essere erogati in 15 anni andranno concentrati in un periodo inferiore. Al momento, però, non è prevista la possibilità di cumulare i tep elettrici risparmiati con quelli termici. Al di là delle proposte sul tavolo, non ci si può esimere dal sottolineare che tempi normativi così lunghi non agevolano la propensione delle aziende ad investire. Difficile rimanere al passo con l’Europa “di serie A” quando si deve avere a che fare con simili lungaggini. Infine si segnala una curiosità: mentre si discute se e quanto incentivare la produzione di energia termica da fonti rinnovabili, l’occasione di effettuare un ulteriore prelievo fiscale non è sfuggita all’Agenzia delle Dogane. Lo scorso settembre ha emesso una circolare che ha imposto ai gestori di impianti di cogenerazione di energia elettrica e termica di dotarsi a partire dal primo gennaio 2012 di due distinti contatori, uno per misurare l’energia elettrica, l’altro per il calore. Il gestore è tenuto a comunicare le letture dei contatori in modo da poter permettere i relativi conguagli di imposta: chi produce energia è tenuto a pagare un’accisa su tutto il combustibile utilizzato, per poi ricevere un rimborso – chissà con quali tempi - su quello impiegato per la sola energia elettrica. Insomma, in attesa che arrivino gli incentivi per il termico, chi recupera il calore, anziché sprecarlo, è penalizzato. È l’ennesimo paradosso italiano, che tutto fa meno che premiare i comportamenti virtuosi. f
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di Elena Consonni © RIPRODUZIONE RISERVATA