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La Posta di Sigismondo Froddini Personaggi Fiorentini
La posta di SIGISMONDO FRODDINI
a cura di SpazioPosso
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Il più settembre che ci sia
Caro Dott. Froddini, settembre non lascia scuse: devo riprendere tutto quello che ho interrotto o rimandato tra Covid e vacanze estive. La notte non riesco a dormire bene, la mattina mi sveglio stanca e durante il giorno fatico a fare le mie cose. Sento che dovrei andare a tremila, dare il meglio di me e dar fondo a tutte le mie energie. Non so da che parte iniziare e la sola idea... mi fa fatica, è normale?
Lara, apprezzo la sincerità e il suo non nascondersi dietro ad un dito nel dire “non so da che parte iniziare e la sola idea... mi fa fatica”. Credo anzi che questa sua apertura possa far tirare un sospiro di sollievo a tanti lettori. Settembre: che fatica! Non poteva trovare parola più giusta. Pensiamo che da qui si deciderà l’anno nuovo: potremmo definirlo una sorta di capodanno estivo. La progettualità e l’organizzazione sono una parte impegnativa che non viene né riconosciuta né valorizzata, in primis da noi stessi; eppure è un lavoro a tutti gli effetti, richiede tempo, creatività ed energia. Questi mesi hanno rivoluzionato la routine di tanti e per questo motivo quest’anno, settembre sarà ancor più settembre di tutti gli altri settembri. Se pensiamo di stilare la lista delle cose che dobbiamo fare, sarebbe talmente faticoso e poco realizzabile che anche il mio inconscio sussulterebbe. Perché non provare a essere più realistici? Meno sognatori ad occhi aperti, ma anche meno affaticati e frustrati. Non sarò certo io a dirle a cosa rinunciare, sarebbe troppo facile, ma vorrei aiutarla e quindi le darò uno strumento che forse le potrà essere utile. Se pensiamo alla lista di cose da fare ci viene in mente un gessetto e una lavagna; io le voglio regalare un gessetto speciale: è nero e sulla lavagna non lascia il segno. Ma che senso ha, si chiederà lei. Più ci prefiggiamo obiettivi e traguardi e più sentiamo la pressione che aumenta, oltre al fatto che non ci permettiamo di guardare altrove, come se avessimo dei paraocchi, perché questo ci distoglierebbe dalla meta. Non voglio toglierle la possibilità di scrivere la sua lista, se questo può esserle d’aiuto, ma vorrei alleggerirla dal peso di vedere un elenco bianco su sfondo nero che opprime e schiaccia. Quindi Lara, afferri il suo gessetto nero, scriva la sua lista e si goda quello spazio vuoto. Poi, provi a riposare: domani mattina la lavagna non sarà piena di scritte bianche pronte a ricordarle puntualmente cosa deve fare.
Inviate le vostre domande, crisi e drammi esistenziali a spazioposso@gmail.com. Il dott. Sigismondo Froddini vi risponderà in questo spazio.
di Tommaso Ciuffoletti illustrazione di Marcho
La Romanina
Qualche tempo fa ho letto il solito commento - stavolta era quel politico grillino che fa tanto il rivoluzionario - che guardi signora mia, se questi vogliono i diritti, li chiedessero con garbo invece di fare i gay pride, che oh signora mia, che oscenità. Non dirò cosa penso di commenti del genere perché mia mamma ci tiene che non dica parolacce. Certo che, strana idea della conquista dei diritti. E che strana idea della libertà. Romina Cecconi - nata Romano, ma per tanti conosciuta semplicemente come La Romanina - per conquistare il diritto di un corpo più suo, ha dovuto passare per discriminazioni, violenze, per il carcere ed anche per il confino. Si era tra gli anni Sessanta e gli anni Settanta, quando ancora in questo paese non esisteva il diritto all'aborto (ma l'aborto clandestino sì, quello esisteva), non esisteva nemmeno il diritto al divorzio, ma in compenso esisteva il delitto d'onore (in questo paese fino al 1981, se un marito cornuto ammazzava la moglie adultera, riceveva una pena attenuata rispetto all'omicidio). La Romanina, che oggi vive a Bologna, è stata un mito della Firenze che viveva quegli anni tra perbenismi e curiosità, tra feste, trasgressioni e le sue condanne per travestitismo con relativi coprifuoco imposti e non rispettati. Nel 1972 realizzò, in Svizzera, il sogno di smettere di essere Romano. Tornò in Italia, volle continuare ad essere libera e secondo il metodo della lotta nonviolenta si autodenunciò. Fu condannata, come persona socialmente pericolosa, a 3 anni di confino in quel di Volturino di Foggia dove, racconta, "divenni amica di tutti, per qualcuno anche di più". È stata la seconda persona in Italia ad ottenere sui documenti di identità il riconoscimento del suo nuovo genere. Un diritto conquistato grazie ad una battaglia condotta dal Movimento Identità Trans e dal Partito Radicale. Con buona pace del signore rammentato in apertura.