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ARTE E DOLORE LA RETROSPETTIVA DI RUDOLF LEVY
di Emanuele Nesti
Questo è l’ultimo mese per poter osservare da vicino le opere di Rudolf Levy nella retrospettiva a Palazzo Pitti, realizzata come occasione di riflessione in chiave artistica sul fascismo, il cui spettro è spesso protagonista della nostra quotidianità. L’esposizione ripercorre la vita dell’espressionista tedesco attraverso i suoi quadri, dall’inizio della sua carriera fino alla sua tragica morte. Levy nasce a Stettino, in Germania (ora divenuta territorio polacco) e proviene da una famiglia di stirpe ebraica. Allievo di Matisse, la sua produzione artistica è affine alla poetica di Cezanne e alle opere scarlatte e sinuose dei Fauves, oltre alla chiara matrice espressionista. I quadri fino al 1933 sono prevalentemente nature morte e paesaggi, con colori molto accesi e un non-na- turalismo favolistico. Tutto però cambia con l’ascesa al potere di Hitler e l’inizio delle prime persecuzioni antisemite. Levy decide quindi di migrare in diverse città tra Europa e USA; con la revoca della sua cittadinanza tedesca si svilupperà in lui la concezione identitaria del giudeo senza terra, di ascendenza medievale. Il tratto pittorico in questi anni si fa sempre più doloroso, cupo. Le nature morte divengono riflesso della precaria condizione dell’artista, la cui vita potrebbe appassire da un momento all’altro. Allo stesso modo i personaggi da lui ritratti nei suoi più celebri quadri esprimono un’atroce alienazione: i volti sono seri, immersi in una profonda riflessione e ignorano lo spettatore; la bocca è spesso chiusa, in un voluto rifiuto al dialogo con chi gli sta davanti, fino agli occhi, dipinti ormai con un semplice e aggressivo colpo di pennello. La tragicità della sua condizione raggiunge l’apice con l’arresto a Firenze da parte delle SS e la successiva deportazione ad Auschwitz. Rudolf Levy però non arriverà mai in Polonia. Ci è ignoto sapere cosa sia successo, se sia morto durante il tragitto oppure se sia stato direttamente condotto alle vergognose camere a gas. L’esposizione si chiude con l’ultima opera incompleta dell’artista, tragicamente interrotta dalle barbarie fasciste, intitolata Donna che suona la chitarra (in foto), simbolo del tramonto di una vita spezzata.
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