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Odonomastica: Francesco Redi Personaggi fiorentini: La donna della caserma Perotti

di Daniele Pasquini di Tommaso Ciuffoletti illustrazione di Marcho

Francesco Redi

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La memoria degli uomini illustri si disfà - ahinoi - ben più rapida del traffico cittadino, sia esso su gomma o su rotaia tramviaria (nel caso specifico, linea T2). È purtroppo la sorte di Francesco Redi, nato ad Arezzo, morto a Pisa e celebrato a Firenze per tutto il 1600: fino a meritare di dare il nome non solo a una via, bensì a un viale. Google Immagini ce lo restituisce come sosia perfetto di Brian May dei Queen, ma sarà bene andare oltre l’aspetto da parruccone per riscoprirne gli innumerevoli talenti. Le biografie lo definiscono poliedrico, e non a torto: fu medico, biologo e perfino linguista. E non solo fu molte cose insieme, ma fu fenomenale in ognuna di esse: perché per la Crusca lavorò alla stesura del vocabolario, per l’Accademia del Cimento fu un padre fondatore, del Granduca Ferdinando II divenne addirittura Archiatra (che potremmo definire, per brevità, il Primario di Corte). Ma sappiate che quelli elencati sono meriti assolutamente minori rispetto a quanto segue: Redi fu infatti illustre biologo, osservatore della natura e rigoroso pioniere del metodo scientifico. Dimostrò tra le altre cose che gli insetti non si generano dal nulla (!!!) e a lui dobbiamo l’opera Osservazioni intorno alle vipere, in cui studiò genesi ed effetti del veleno dei rettili. Non trovate, forse, che meriti ogni lode? Così pensarono i nostri avi. Prima che gli venisse intitolata la strada, a lui fu tributata una statua nel Piazzale degli Uffizi: più di così, a quel tempo, era davvero impossibile. E a noi, stirpe indifferente per quel nome inciso alle porte di Novoli, è giusto far presente che a Francesco è debitrice pure una varietà di serpente (Vipera Aspis Francisciredi) e che addirittura la sua traccia permane nei cieli: gli è dedicato il Cratere Redi, una buca di 60km su Marte. Da oggi in poi, traversando viale Redi, siatene un po’ più fieri.

La donna della caserma Perotti

Èun ricordo alla periferia dei ricordi, giù verso Coverciano, di fronte alla caserma Perotti. Una donna, non saprei dire l'età, ma una donna con quei sacconi pieni di chissà cosa, gli strati di vestiti addosso, i capelli lasciati andare. Passavamo davanti alla caserma Perotti tornando dalle visite ai nonni quasi tutti i weekend. E per un periodo lei era sempre lì. A volte stava seduta, a volte era in piedi e urlava, altre tirava sassi contro la caserma, altre ancora era forse la mia immaginazione. Così chiesi a qualcuno del quartiere se ne sapesse qualcosa. Non so dire se ricevetti una risposta precisa o ce la costruimmo noi per frammenti e congetture, ma quella donna era la madre di un ragazzo che era morto durante il militare. In caserma. In caserma per atti di nonnismo. In caserma per atti di nonnismo e tutto fu messo a tacere. La cosa tornava, ma poi quella donna non la vidi più e intanto pensavo alla mia visita del militare che di lì a poco sarebbe arrivata (voi giovinetti nemmeno sapete che era). Così mi preparai con due settimane di dieta pannelliana e venni riformato per insufficienza toracica. Ero così felice che volevo festeggiare. Trovai degli amici a un pub e detti loro la bella notizia dicendo che dovevo ringraziare quella donna sconosciuta della caserma Perotti e la sua triste storia. Uno mi guardò strano e mi fece un paio di domande per capire di chi stessi parlando. "Tommaso - mi disse - io questa storia non l'ho mai sentita, ma una cosa è certa, che qui accanto c'è San Salvi e mi sa tanto che la questione è più semplice di quel che pensi". Ci rimasi di sasso e non ci ripensai più. Fino a oggi. E credo che alla fine, qualunque fosse la vera storia che c'era dietro, probabilmente era una storia triste. Io però dovevo un grazie a quella donna. E a distanza di tanti anni, eccolo.

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