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Il bivio

Il bivio

di Fabio CHIAVOLINI

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Ideologia

All’inizio degli anni ‘80, per motivazioni “logistiche” e nonostante fossi nel Movimento e non nel PCI, grazie all’amicizia di alcuni compagni della FGCI frequentai da “uditore esterno” diverse lezioni magistrali alle Frattocchie, tra cui alcune di Pajetta, Berlinguer, Napolitano, D’Alema, Reichlin, ecc. Di quell’esperienza mi è rimasto un metodo: prima di parlare di risultati elettorali, studi - poi parli. Ho studiato a lungo sia i risultati di tutti i Paesi europei, sia quelli italiani.

La sintesi necessita di relativamente poche parole.

1. Dove la sinistra vince è laburista o verde: tertium non datur. Tutti i partiti socialisti che vincono (sino al raddoppio dei voti) hanno un riferimento nel nome al lavoro (“dei Lavoratori”, che è il significato anche di “Obrero” nel PSOE) e sono, quindi, laburisti. Tutti i partiti socialdemocratici, invece - a partire dai “figli di Bad Godesberg” tedeschi - prendono scoppole micidiali, puniti dall’innaturale alleanza con il PPE ed i suoi partiti nazionali. Caso a parte quello del Labour Party inglese, cui i sondaggi assegnavano un 15% ed ha preso il 14,9% - ma deve fronteggiare il caso abnorme della Brexit e, comunque, viene accreditato dagli stessi sondaggisti del 29% in caso di elezioni politiche. Basta che si schieri apertamente sul fronte del secondo referendum - nonché del Remain - e vincerà le elezioni politiche a mani basse. Altrimenti la sinistra vota i verdi, che cavalcano la preoccupazione per il clima e, quasi ovunque, vanno dal raddoppio alla quadruplicazione dei voti (addirittura in Italia).

2. In Italia questa tendenza non si radica perché, semplicemente, non c’è quell’offerta politica: non esiste un partito laburista ed i verdi “storici” erano - e restano - troppo residuali per rappresentare una solida base di partenza e perché (diciamocelo chiaro) sono “squalificati” come tutte le altre famiglie autoctone della sinistra.

3. L’altro grande polo vincitore delle europee è quello liberal-democratico, terzo polo europeo: anche questo in Italia quasi non esiste, essendo rappresentato dal 3% di Bonino e Pizzarotti.

4. I sovranisti vincono crescendo in Ungheria ed Italia, restano primo partito alle europee in Francia e Polonia (ma in calo), in tutti gli altri Paesi sono residuali

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ed ininfluenti (il Brexit Party non è un partito sovranista ma un “movimento istantaneo” di protesta degli anziani della provincia inglese - non britannica - destinato a scomparire subito come lo UKIP).

5. Le elezioni in Italia hanno detto che il centrosinistra classico “perde con onore” alle europee ed alle regionali ma non può fare nulla di più: se ci si accontenta di battere un M5S in dissoluzione ed arrivare secondi piazzando più poltrone che si può sotto le auguste terga dei soliti noti, certo, se ne può godere come Zingaretti e Gentiloni.

In Italia siamo di fronte ad un bivio: scegliere se unirci alla famiglia vincente laburista o a quella vincente verde. Come abbiamo osservato prima, però, la famiglia verde italiana è squalificata non meno di quelle socialista, socialdemocratica, comunista post-berlingueriana. La scelta, quindi, è obbligata: quella laburista.

Come far nascere un grande partito laburista in Italia?

A. Per quanto possa sembrare incredibile, si parte dal favorire la nascita di un consistente polo liberal-democratico: si tratta di spingere i vari Renzi, Calenda, Boschi, Lotti, Rosato e compagnia cantante ad abbandonare il PD e ad u- nirsi a Bonino, Pizzarotti, Brunetta ed alla “sinistra” italoforzuta nel consistente polo liberal-democratico che è la loro casa naturale, liberandone una che non è loro. Con questo nuovo soggetto si potrà anche dialogare, in un futuro e se assolutamente necessario, per questioni di governo. Ma non sotto lo stesso tetto.

B. I marchi di tutti i partiti di sinistra, dal PD a PaP, sono squalificati: l’elettorato non si fida più delle loro classi dirigenti nazionali e regionali, i risultati elettorali parlano da soli. È necessario, quindi, provvedere ad un processo di generazione del futuro partito laburista non per fusione di marchi stantii ma per scioglimento delle vecchie sigle e confluimento dei singoli attivisti e militanti nella nuova formazione, a titolo personale. Bisogna rompere la logica dei “recinti”, dei “cerchi magici”, delle cordate e dei personalismi: solo così sarà possibile richiamare alle armi, inoltre, la componente maggioritaria della sinistra italiana, che è attualmente nascosta nei numeri dell’astensione. La vecchia logica del “voto d’obbedienza” non regge più: come dimostra l’analisi dei flussi elettorali delle europee, il voto è ormai in stragrande maggioranza d’opinione, se è vero che addirittura il 20% degli elettori dell’ultra-identitaria Lega ha scelto, a questo giro, altre opzioni elettorali.

C. Il laburismo non è un marchio: è un’ideologia. Per questo abbiamo bisogno di

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una vera elaborazione politica, perché solo questa genera identità e fidelizza al massimo il voto. Quindi, bisogna studiare il laburismo e generarne una versione italiana. Il che si fa con una Scuola di formazione politica degna di questo nome.

D. Arriviamo al punto dolente: il ricambio della classe dirigente. Che sia colpa loro o meno, le classi dirigenti nazionali e regionali sono chiaramente non più credibili. I risultati delle comunali - in parziale ma sostanziale controtendenza con europee e regionali - indicano che nei territori esistono, invece, classi dirigenti locali ritenute credibili. Il punto è in uno “swap”: una volta generato il partito, bisognerà rintracciare tra i dirigenti cittadini e provinciali i nuovi dirigenti regionali e nazionali, “spostando” gli attuali dirigenti regionali e nazionali ai rapporti con le famiglie della Sinistra europea (dove la loro lunga esperienza può essere più utile) e provvedendo al ricambio delle dirigenze cittadine e provinciali con chi, in questo momento, “non è nulla”. Ne avremo un vantaggio in termini di novità, passione ed innovazione, a tutti i livelli. Sia chiaro: non è una questione d’età, bensì di essere “nuovi” rispetto al nuovo livello politico con cui ci si raffronta. Il tutto utilizzando la “meritocrazia di sinistra”: “la persona giusta al posto giusto” perché in grado di dare il massimo vantaggio al partito ed alla collettività in virtù delle proprie competenze tecniche e politiche, nonché delle proprie qualità umane - non perché “sta parente a”.

O così, o non ci si salva - e si consegna il Paese a vent’anni di Salvini e d’isolamento in Europa. E bisogna attivare il processo subito.

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