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Il più lungo sciopero dei lavoratori inglesi
Storia e Politica
Il più lungo sciopero dei lavoratoriinglesi
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Giovan Giuseppe MENNELLA
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Il 12 marzo 1984 iniziò quello che doveva rivelarsi il più lungo sciopero mai intrapreso dai lavoratori della Gran Bretagna. Lo sciopero fu proclamato dal Sindacato britannico dei minatori per contrastare il disegno del Primo Ministro Margareth Thatcher di diminuire il numero e la produzione dei pozzi di estrazione del carbone. Lo scontro tra i minatori e il Governo britannico era iniziato molti anni prima, all’inizio degli anni ’70, nel contesto della fine del periodo di espansione economica, durato per tutto il dopoguerra, a causa della crisi petrolifera e dell’energia, della grave inflazione monetaria, della fine della convertibilità del dollaro in oro per il gravissimo deficit statale degli Stati Uniti dovuto alle enormi spese militari per la guerra in Vietnam e, non per ultimo, per l’incipiente processo di ristrutturazione industriale resosi necessario per fronteggiare le innovazioni tecnologiche. In quel contesto l’estrazione del carbone risultava fuori mercato, perché costava troppo, soprattutto di manodopera. Tutta la società britannica, come del resto molte altre realtà dell’occidente, era stata scossa dalla crisi dei primi anni settanta e ne era scaturita quella che è stata definita la maggiore conflittualità sociale in Gran Bretagna in tutto il ‘900. Nel 1970 il Primo Ministro conservatore Edward Heath aveva tentato una manovra economica e sociale per diminuire l’inflazione, abbassare le tasse e lottare contro la disoccupazione. Il primo provvedimento riguardò la diminuzione delle produzioni estrattive e industriali in perdita economica, a cominciare dall’estrazione del carbone. Ciò avrebbe comportato una forte diminuzione dei livelli occupazionali e del salario di molte categorie di lavoratori, a iniziare proprio dai minatori addetti all’estrazione del carbone. Le lotte e le proteste di tutte le categorie e di molta parte della società britannica furono subito durissime. Nel 1974 I minatori arrivarono a scioperare per quaranta20
giorni consecutivi. Scioperarono anche, i lavoratori ferroviari, i vigili del fuoco, i pubblici dipendenti. Per gli effetti della legge antisciopero, cinque portuali finirono in prigione. Ben presto cominciarono a mancare i generi di prima necessità e l’energia per il riscaldamento domestico e per l’industria, a cominciare dal carbone e dal petrolio. Fu necessario razionare l’energia elettrica, le fabbriche potevano lavorare solo tre giorni a settimana, l’inflazione galoppava, la sterlina era sotto attacco speculativo, si giunse a una situazione di emergenza nazionale e quasi insurrezionale. Non pochi arrivarono a temere, o a sperare, in una rivoluzione socialista. In quei giorni dei primi anni settanta il Times arrivò a parlare di “suicidio di una nazione”. Quella lotta si chiuse con una vittoria dei lavoratori. Nel 1974 Heath si dimise da Primo Ministro e negli anni successivi si ottennero notevoli aumenti salariali, che per i minatori arrivarono al 50% nel periodo dal 1975 al 1979. Ma la vittoria fu effimera, perché pagata a caro prezzo, con l’aumento notevolissimo dell’inflazione e la presa di distanza dai lavoratori di una gran parte dei cittadini, preoccupati e impauriti per la perdita di ricchezza e competitività del paese e soprattutto per la possibilità di un rivolgimento sociale in direzione socialista e collettivista. Furono le cause e i prodromi del travolgente successo elettorale che portò al governo nella primavera del 1979 i conservatori di Margareth Thatcher, che doveva assumere il soprannome di “Lady di ferro” sia per la sua conduzione determinata della guerra delle Falkland, sia per la lotta durissima che avrebbe dichiarato contro i lavoratori e i loro sindacati. Nell’ambito della politica industriale e sindacale la signora Thatcher ideò un programma ben preciso, in due punti. 1) Un piano energetico nazionale per diminuire l’uso del carbone, troppo costoso da estrarre e quindi fuori mercato. 2) Adozione di norme per limitare il diritto di sciopero, soprattutto riguardo alla pratica illegale dei
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picchetti.
Quando si accinse a mettere mano a questa parte del programma che riguardava la lotta ai sindacati, la Lady di ferro era stata appena rieletta, nel 1982, e godeva di grande popolarità. Nominò il manager americano di origini scozzesi Ian McGregor, che già aveva guidato la Società britannica per l’acciaio, plenipotenziario per attuare un piano e- nergetico nazionale che portasse ad un minore utilizzo del carbone, con conseguente taglio occupazionale dei minatori. Si minacciarono licenziamenti per 70.000 unità.
McGregor nel marzo 1984 annunciò la chiusura dei primi venti pozzi, col taglio di ventimila posti di lavoro, cominciando dal sud dello Yorkshire dove si riteneva che la situazione fosse più tranquilla e agendo alla fine dell’inverno quando c’era minore fabbisogno di energia. Ma la reazione dei lavoratori fu invece immediata, il primo sciopero iniziò il 12 marzo 1984 e ben presto ci furono disordini e scontri. Tra Inghilterra, Scozia e Galles furono coinvolti nel complesso, da una parte e dall’altra, 165.000 minatori e 60.000 appartenenti alle forze dell’ordine.
Il 12 marzo ci fu il primo morto tra gli scioperanti, il giovane ventenne David Jones. Fu il Governo che cercò per lo più lo scontro fisico, per la Thatcher la priorità non era il negoziato ma la sconfitta del sindacato minatori e la riduzione dei diritti sindacali.
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Un aspetto non secondario della vicenda fu la personalità e il carattere dei due protagonisti che si fronteggiarono. Da una parte Margareth Thatcher, di cui si conosceva ormai la determinazione e la durezza, dall’altra il Segretario del Sindacato dei minatori Arthur Scargill, di cui si sarebbe appresa solo in corso d’opera la scarsa attitudine a trattare e a venire a patti pur di non rinunciare ad un programma socialista e all’intenzione di rovesciare politicamente lo stesso Primo Ministro. Infatti, Scargill dichiarò fin dall’inizio della lotta che si considerava un rivoluzionario che credeva nel marxismo-leninismo e che avrebbe combattuto fino alla fine per ottenere le dimissioni del Primo Ministro. Si dichiarò certo che i lavoratori a- vrebbero vinto come nel 1974 contro Heath, non considerando però il forte appoggio al Governo dei cittadini spaventati dall’intenzione, proclamata da Scargill, di portare il paese verso il socialismo marxista.
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Ci fu comunque a favore dei minatori la solidarietà di un’altra parte della popolazione, anche se non maggioritaria. Alcuni negozianti fecero credito alle famiglie degli scioperanti, le donne impiantarono mense sociali. Non mancò l’appoggio dei sindacati internazionali. Intanto i disordini continuavano. Il 18 giugno 1984 presso i pozzi di Overgrave nel Sud Yorkshire si accese tra minatori e polizia lo scontro più duro dell’intera storia sindacale inglese. Cinquemila lavoratori furono attaccati violentemente dalla polizia a cavallo che contava ottomila uomini in pieno assetto antisommossa. Si contarono tra i minatori decine di feriti e centinaia di arrestati. La violenza della polizia non era giustificata perché i minatori si erano presentati disarmati, anzi in jeans e scarpette da ginnastica. In realtà le forze dell’ordine avevano ricevuto dal potere il preciso ordine di impartire una lezione a tutto il movimento. La giovane Lesly Bolton diventò famosa per le fotografie che la ritraevano mentre scappa terrorizzata sotto le manganellate. Dichiarò inoltre che i minatori non avevano intenzioni violente; infatti si erano tolte le magliette e le sventolavano in segno di pace, sfilando solo con blue jeans e scarpe da ginnastica, mentre la Polizia era in pieno assetto antisommossa. Alcuni anni più tardi, nel 1991, un giudice britannico condannò la polizia a risarcire con centinaia di migliaia di sterline trentanove minatori arrestati illegalmente in quello scontro. Il 6 settembre 1984 a Kellingley, nel Nord Yorkshire, altri duecento scioperanti furono affrontati da settecento poliziotti e ci furono altri feriti e altri arresti. Nonostante la determinazione alla lotta e la solidarietà di una parte dei cittadini, cominciarono a esserci nelle famiglie degli scioperanti ricadute negative. Mancava il denaro anche per comprare il cibo e l’energia per il riscaldamento. In un documentario della rete Channel 4 è riportata la testimonianza di Stewart Taylorson, allora un bambino di nove anni, che come figlio di uno scioperante ricordò quei mesi
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come orribili; senza sufficiente cibo e senza latte, solo pane e patate, senza i quali sarebbero probabilmente morti tutti di fame. Un riflesso di quelle battaglie e di quei mesi durissimi si coglie in due film. “Billy Elliot” del 2000 in cui il protagonista sopporta le conseguenze della lotta durissima in cui erano impegnati insieme ai minatori il padre e il fratello maggiore. E “Pride” del 2014 in cui alcuni omosessuali portano la loro solidarietà ai minatori e li applaudono nella sfilata del “Gay Pride” del 1984. In realtà, né Margareth Thatcher né Alrthur Scargill avevano intenzione di trattare. Il Governo censurò le notizie che avrebbero potuto portare solidarietà dell’opinione pubblica agli scioperanti, mentre Scargill continuò ad affermare che lo scopo della lotta era la caduta del Primo Ministro e la vittoria del socialismo marxista in Gran Bretagna. Purtroppo per i minatori e per il sindacato, Scargill era l’avversario perfetto per essere sconfitto, incapace di suscitare eccessiva solidarietà e anzi temuto dai cittadini per le sue idee estremiste Lo sciopero terminò quando il 3 Marzo 1985, a più di un anno dall’inizio, con soli 7 voti di maggioranza, 98 a 91, il Sindacato minatori ne decise la fine. Scargill fu sfiduciato e lasciò la guida del Sindacato. Probabilmente si sarebbe potuta evitare la sconfitta totale e ottenere qualche miglioramento della situazione se si fosse fatto svolgere un referendum democratico tra i lavoratori e si fosse trattato separatamente pozzo per pozzo, industria per industria, o anche ampliata la lotta ad altri settori oltre alle miniere. Ma non vi è la certezza che con forme di lotta alternative e con un altro leader sindacale le cose sarebbero andate meglio, considerata la ferma intenzione politica del Governo di stroncare comunque il movimento dei lavoratori. E in effetti, le conseguenze della sconfitta furono gravi. I pozzi furono chiusi, moltissimi minatori licenziati. Le unità impiegate nell’attività estrattiva calarono dalle
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181.000 dei primi anni ’80 alle 8.000 degli anni '90. Anche i livelli di reddito si abbassarono e da quel momento in poi ogni forma di scontro tra i lavoratori e il Governo e le industrie venne criminalizzato. Furono introdotte norme di legge per indebolire i sindacati e le possibilità degli stessi di incidere nella vita sociale ed economica del paese. Lo scrittore David Peace, testimone della lotta, nel suo romanzo “G. B.84”, edito nel 2016 da “Il Saggiatore”, scrive che durante quei mesi in cui la Thatcher pronunciò la famosa frase “non esiste la società, esistono solo gli individui”, l’obiettivo era stato di criminalizzare i vincoli alla proprietà industriale e al mercato, additare i minatori quasi come terroristi dell’IRA e impedire quasi ogni rivendicazione sindacale nei confronti dei Governi. La sconfitta dei lavoratori aprì la strada alla nascita della società odierna in cui la lotta per i diritti sociali raramente fa perno sull’azione collettiva e il lavoro è parcellizzato e disperso in svariate forme a carattere piuttosto individualistico. Comunque quella lotta coraggiosa è passata alla storia negli annali delle lotte sindacali ed è ricordata oggi con maggiore interesse e simpatia dell’azione politica della signora Thatcher. I minatori che lottarono allora sono oggi ricordati quasi come eroi popolari che sfidarono a testa alta il Potere. Non per caso furono fatti oggetto di opere cinematografiche, letterarie e musicali. Come ha detto qualcuno, quei minatori furono orgogliosi nella lotta e dignitosi nella sconfitta.
E comunque, per ironia della storia e della letteratura, quell’anno 1984 della battaglia e della sconfitta dei minatori coincide con quello in cui si svolge il romanzo distopico di George Orwell in cui è instaurata una società subdolamente oppressiva.
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