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Qualcuno era comunista
Politica
Qualcuno era comunista
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Aldo AVALLONE
“Qualcuno era comunista perché era nato in Emilia. Qualcuno era comunista perchéil nonno, lo zio, il papà… Qualcuno era comunista perché Berlinguer era unabrava persona. Qualcuno era comunista perché Andreotti non era una brava perso-
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na. Qualcuno era comunista perché non ne poteva più di quarant'anni di governi democristiani incapaci e mafiosi. Qualcuno era comunista perché Piazza Fontana, Brescia, la stazione di Bologna, l'Italicus, Ustica, eccetera, eccetera, eccetera. Qualcuno era comunista perché chi era contro, era comunista”. Così scrivevano Giorgio Gaber e Alessandro Luporini nel 1992. Lo scrittore e sceneggiatore Francesco Piccolo nel suo libro “La matematica del gol” racconta che diventò comunista a dieci anni durante la partita Germania Est – Germania Ovest dei mondiali di calcio del 1974. C’erano di fronte due squadre: in una giocavano i forti, nell’altra i deboli; in una i ricchi, nell’altra i poveri; in una c’erano tutti calciatori famosi, nell’altra tutti sconosciuti; una squadra era padrona di casa, l’altra no, anche se si giocava in Germania – ma non era la loro parte di Germania. E, lui, fatalmente, si schierò con i più poveri e i più deboli che vinsero quella partita con un gol dell’ignoto centravanti Sparwasser che costrinse alla sconfitta di fronte ai propri tifosi il grande Beckenbauer. Un altro ragazzino di dieci anni diventò comunista perché giocando ai cow boy nel cortile di casa voleva sempre fare la parte che gli altri rifiutavano: quella dell’indiano. Perché pensava che gli indiani non fossero i cattivi che tutti i film e i fumetti proponevano, che gli americani avevano compiuto un vero genocidio nei loro confronti e che, allora, l’unica potenza che poteva contrastarli era l’Unione Sovietica. Quel ragazzino ero io. E fu da allora che ebbi la precisa consapevolezza che il mondo era ingiusto e che se avessi voluto fare qualcosa di buono nella vita sarei dovuto stare dalla parte dei più deboli. Storie piccole e grandi per raccontare la presa di coscienza, a volta ragionata, altre volte emotiva, per la quale milioni e milioni di persone in Italia e nel mondo hanno deciso un giorno di schierarsi dalla parte dei più deboli, dei non garantiti, dei pove-
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ri e degli sfruttati. E si sono battute, a volte anche sbagliando, per difenderne i diritti. Essere comunisti, o esserlo stato, perché la storia non si ferma e il comunismo inteso in senso storico non esiste più da decenni, significa soprattutto questo e nessuna “deliberazione parlamentare” potrà modificarne il significato profondo. Semplicemente i valori e gli ideali non si decidono in un’aula istituzionale, per quanto autorevole possa essere. La risoluzione approvata giovedì scorso dal Parlamento europeo “sull’importanza della memoria europea” partendo da un’analisi storica del tutto distorta, termina mettendo, di fatto, sullo stesso piano il nazismo e il comunismo. Ma in sintesi cosa dice la risoluzione? Innanzitutto che la responsabilità dello scoppio della seconda guerra mondiale è da attribuirsi non solo alla Germania ma anche all’Unione Sovietica, affermazione che, secondo il Parlamento europeo, trova conferma nel patto Molotov-Ribbentrop, siglato il 23 agosto 1939. Dimentica però altri eventi altrettanto importanti, come il patto di non aggressione del 1934 firmato tra la stessa Germania e la Polonia, le richieste, rifiutate, di alleanze anti germaniche proposte dall’URSS a Francia e Germania, l’offerta di aiuti militari, anch’essa rifiuta, fatta ancora dall’URSS alla Polonia proprio pochi mesi prima dell’invasione nazista. Ultima annotazione, non propriamente priva d’importanza, il patto di non aggressione Molotov – Ribbentrop permise all’Unione Sovietica di riorganizzare il proprio apparato industriale e militare in vista dell’inevitabile scontro con il Terzo Reich. Tutto ciò per documentare quanto sia imprecisa dal punto di vista storico la risoluzione europea che dimentica anche il contributo di sangue (ventidue milioni di morti) dato dall’URSS per sconfiggere il nazismo. La resistenza eroica di Stanlingrado e l’ingresso dell’Armata Rossa prima ad Auschwitz e poi a Berlino vanno ben oltre l’evento militare e segnano, anche simbolicamente, la sconfitta della Germania nazista.
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Nessuno si sogna di affermare che l’Unione Sovietica fosse il paradiso in terra. Qualsiasi regime totalitario è da condannare con la massima determinazione e Stalin è stato certamente un dittatore spietato e disumano. Però è semplicistico, riduttivo e, anche in malafede, far coincidere la dittatura sovietica con l’ideologia comunista. Non credo occorra ricordare il contributo dei comunisti italiani alla lotta contro il fascismo, il sangue dei ragazzi morti in montagna per la libertà di tutti. Erano comunisti i fratelli Cervi massacrati dai fascisti il 28 dicembre 1943, erano comunisti Lauro Farioli, Ovidio Franchi, Emilio Reverberi, Marino Serri e Afro Tondelli, tutti iscritti al PCI, uccisi dalla polizia il 7 luglio 1960 durante una manifestazione sindacale a Reggio Emilia, era comunista, iscritto al PCI e sindacalista della FIOM – CGIL, Guido Rossa, assassinato a Genova il 24 gennaio 1979 dalla Brigate Rosse. Sono solo degli esempi dei tanti operai, contadini, lavoratori comunisti che si sono battuti sempre e comunque per la difesa della libertà e della democrazia nel nostro Paese.
Per la memoria dei compagni morti, per l’impegno civile dei milioni di comunisti italiani, per tutti noi che abbiamo creduto in un mondo migliore, nel quale le diseguaglianze sociali fossero attenuate, la risoluzione del Parlamento europea è offensiva, oltre che anti storica.
Fa male pensare che una grande idea di lotta per l’emancipazione dei più deboli siausata strumentalmente dall’Europa soltanto per attaccare la Russia di Putin.
E fa ancora più male pensare che la grande maggioranza degli eurodeputati del PD, la forza erede del Partito comunista italiano, abbia votato a favore di tale risoluzione.
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