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C’è del marcio in Gran Bretagna

Esteri

C’è del marcio in Gran Bretagna

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Aldo AVALLONE

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C’è del marcio in Gran Bretagna, viene da dire parafrasando il grande Shakspeare, dopo la pronuncia del 24 settembre scorso della Corte Suprema presieduta da Lady Brenda Hale. Con una sentenza definitiva il tribunale ha definito “illegale, nulla e priva di effetti” la decisione del premier Boris Johnson di sospendere le attività del Parlamento britannico fino al 14 ottobre per non dare modo ai rappresentati della Camera dei Comuni di ridiscutere la Brexit e per portare, di fatto, il Paese fuori dall’Europa senza nessun tipo di accordo. Secondo la sentenza il governo non ha presentato “alcuna giustificazione plausibile per bloccare i lavori parlamentari” e la chiusura per un tempo così lungo “non è una sospensione normale”.

Il verdetto, pronunciato all’unanimità dagli undici giudici che compongono la Corte, chiude la querelle che si era aperta dopo che Johnson aveva chiesto e ottenuto dalla Regina Elisabetta l’interruzione delle attività parlamentari impedendo altri dibattiti sull’uscita della Gran Bretagna dall’Europa. L’opposizione era insorta definendo il provvedimento “un colpo di mano” e proponendo ricorsi presso le sedi

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giudiziarie. In precedenza si erano già pronunciati, in maniera diametralmente opposta, il tribunale scozzese che aveva giudicato la decisione del governo illegittima e quello inglese che, al contrario, l’aveva ritenuta possibile in quanto “scelta politica”.

Inoltre, per sospendere le attività parlamentari, Johnson aveva chiesto e ottenuto il via libera da parte della Regina; le opposizioni da subito avevano accusato Elisabetta di aver mancato alla neutralità che le impone il ruolo dopo essersi fatta trascinare in una scelta palesemente illegittima. La sentenza della Corte Suprema dimostra che un Paese che possegga meccanismi di garanzia idonei e indipendenti può reggere alle spinte populistiche ed è estremamente confortante sapere che la democrazia è dotata di armi sufficienti per difendere le libertà costituzionali e anticorpi efficaci per contrastare il sovranismo della destra. È di queste ore la notizia che Nancy Pelosi, presidente della Camera statunitense e leader del Partito Democratico al Congresso, ha annunciato l’avvio di una procedura di impeachment contro il presidente Donald Trump dopo che negli ulti-

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mi giorni era emerso che Trump aveva fatto pressioni su un leader straniero – il presidente ucraino Volodymyr Zelensky – perché aprisse un’indagine nei confronti di Joe Biden, ex vicepresidente americano e probabile sfidante dello stesso Trump alle elezioni del 2020.

Ma torniamo in Gran Bretagna. Ci si chiede adesso cosa potrà accadere: la Camera dei Comuni riaprirà la prossima settimana e Johnson, che si trova indubbiamente in una posizione di estrema debolezza anche per l’uscita dal partito conservatore di ventitré deputati, di fatto, non ha più una maggioranza che lo sostenga. Il premier ha già annunciato l’intenzione di andare avanti comunque ma ha un solo asso nella manica da giocarsi: non rispettare la legge. Infatti, il Parlamento ha votato qualche settimana fa il “Benn Act”, un provvedimento che obbliga Johnson a posticipare la Brexit se non riuscisse a trovare un accordo entro il 19 ottobre. Molti commenta-

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tori britannici ritengono che il primo ministro non rispetterà la decisione parlamentare e porterà il Paese fuori dall’Unione europea senza nessun accordo preventivo, disposto a pagare il costo di infrangere la legge e passare come martire di fronte all’opinione pubblica, di proporsi come il leader del popolo che rischia di persona pur di liberare la nazione dai poteri forti legati alla Ue. Teoricamente le opposizioni avrebbero un’arma per provare a fermarlo: presentare e approvare una mozione di sfiducia nei suoi confronti. In base al regolamento del Parlamento britannico, l’unico a poterla presentare sarebbe il leader dell’opposizione, Jeremy Corbyn che, però, non pare intenzionato ad agire in tal senso. Il motivo è che non esiste accordo sull’eventuale sostituto: i laburisti, naturalmente, vorrebbero fosse lo stesso Corbyn mentre i liberali e i ventitré conservatori dissidenti gradirebbero un nome diverso, meno divisivo. Mentre prosegue lo stallo, basterà attendere poco più di un mese per conoscere la conclusione della vicenda che, comunque vada a finire, influirà considerevolmente sui destini futuri dell’Europa.

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