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l'Unità Laburista - SU LE MANI! - Numero 28 del 7 Gennaio 2020

Donne

Teresa e le altre

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Antonella BUCCINI

Teresa Kachindamoto è una capo tribù e una dei 300 leader tribali nel Malawi, uno dei paesi più poveri del mondo dove il matrimonio con bambine o poco più, basato su compensi economici, è una pratica culturalmente accettata. Bene, Teresa, supportata da una rete di donne locali, The Mother’s Group e da UN Women, l’ente delle Nazioni Unite per l’uguaglianza e l’empowerment femminile, ha annullato circa 1000 matrimoni di spose bambine e ha riportato le ragazze a scuola. Ha ricevuto minacce di morte ma Teresa è andata avanti come un treno. Ha stipulato accordi con altri capitribù abolendo per legge i matrimoni tra adulti e bambini e, con l’autorità che le deriva dal ruolo ricoperto, ha allontanato i leader che favorivano ancora questa barbarie. Si prodiga, inoltre, per garantire il finanziamento

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dell’istruzione delle bambine quando la famiglia non può permetterselo: “quando le ragazze sono istruite ogni cosa è possibile” sostiene Teresa. Hefrin Khalaf era Segretaria Generale del Partito del Futuro Siriano, Ministro degli esteri del popolo curdo, popolo che pratica la democrazia e l’uguaglianza di genere e che ha combattuto contro la feroce aggressione della Turchia. Era una giovane magnifica donna, nel pieno della sua vita, riconosciuta a livello internazionale per le sue capacità di mediazione e la sua tenacia nella ricerca di una convivenza pacifica tra etnie e religioni diverse E’ stata barbaramente uccisa in un agguato il 12 ottobre 2019. Valerio Del Grosso è il presunto assassino di Luca Sacchi, ucciso, sembra, per un affare di droga. Una famiglia, la sua, semplice e perbene, coinvolta in una tragedia che, chi vive in quelle periferie, lambisce ogni giorno ma che la risolutezza e l’onestà dei genitori avevano saputo tenere lontana dai quattro figli maschi. Giovanna Proietti, la madre, all’indomani della vicenda si trova di fronte a una serie di sospetti e timori fino a quando, ormai certa del coinvolgimento del figlio, decide di denunciarlo. “E’ meglio saperlo nelle vostre mani che in quelle di spacciatori, delinquenti e criminali” dichiara ai carabinieri. Sahar Khodayari si è travestita da uomo per vedere la partita della sua squadra lo scorso 12 marzo allo stadio Azadi di Teheran. Infatti le donne in Iran non possono entrare in un uno stadio, è considerato un reato e la pena è la galera. Si è anche ripresa in un selfie e per questo era stata soprannominata “the blue girl”. Scoperta è stata arrestata e rinchiusa nel carcere femminile di Gharchak Varamin, tra i peggiori per le condizioni di vita. Rilasciata su cauzione le è stato comunicato che avrebbe dovuto scontare una condanna a sei mesi per oltraggio al pudore. Sconvolta si è data fuoco per protesta davanti a un tribunale di Teheran ed è morta in ospedale il 9 settembre 2019 per la gravità delle ustioni riportate.

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Se cerco un senso all’essere donna e se lo cerco per l’anno appena passato penso al valore della memoria. Una memoria attiva che induca alla riflessione, sia sprone al cambiamento e magari istighi a un agire. Una memoria, oggi drammaticamente evanescente, che custodisca e abbia cura dello spirito di altre donne per ribadire la natura e la forza del femminile tutto. Abbiamo infatti dimenticato Hefrin come tutta la questione curda, archiviata dai media, evaporata nel susseguirsi di notizie spesso ridicole per contenuti e intenti. Siamo come dei bambini che rimuovono le paure chiudendo gli occhi. Il mondo scompare se non guardiamo. Dobbiamo invece aprirli gli occhi e osservare e condividere e sostenere una donna come Teresa che, in un contesto sociale ostile, segna caparbiamente la strada dell’emancipazione e della libertà non solo delle donne: l’istruzione, l’informazione, la cultura veri strumenti di potere e, ancora, accogliere Giovanna di cui possiamo solo vagamente intuire il tormento e il dolore. Quante madri si sarebbero chieste se denunciare il proprio figlio invece di difenderlo al di là di ogni evidenza?. Lei non ha dubbi, vuole salvare suo figlio anche da se stesso. Una complessa declinazione dell’amore materno, e per questo doloroso e immenso, espressione di compassione e determinazione insieme. Ancora di amore si tratta raccontando di Sahar, di passione e di vita. La sua sembra una storia distopica creata dalla fantasia di uno scrittore. Sfugge infatti il senso di una discriminazione tanto crudelmente ottusa. Il calcio è un universo maschile, ostinatamente autoreferenziale, celebrativo spesso di caratteri e stereotipi arcani. L’omosessualità non è contemplata anche se praticata, le giornaliste sono di relativa recente ammissione tanto che ancora in Italia se ne critica la competenza. In Iran la connotazione di un territorio già ostile assume aspetti paradossali ma coerenti con un regime che, a dispetto di una società complessa e più orientata al progresso di quanto si immagini, non arretra su principi e regole contro le donne.

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Conforta l’attenzione prestata alle calciatrici della Nazionale italiana che solo qualche anno fa furono definite “quattro lesbiche”, e anche se il sospetto di una nuova prospettiva di mercato pure si insinua a fronte del loro ingresso nel professionismo, occorre essere ottimisti e dichiarare il passo avanti sulla strada dell’uguaglianza di genere. E’ bene allora tenere a mente queste storie, ci tornerà utile quando sarà evidente che un unico filo stringe insieme il destino degli uomini tutti.

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