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Donald Trump, lo Stranamore della Casa Bianca

Esteri

Donald Trump, lo Stranamore della Casa Bianca

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Umberto DE GIOVANNANGELI

Un atto di guerra. Un’”azione difensiva”. Variano le definizioni e i punti di vista, ma una cosa è certa: l’uccisione del generale Qassem Solemani, uno degli uomini più potenti dell’Iran, rischia di far esplodere la polveriera mediorientale, con conseguenze che andrebbero molto al di là di questa cruciale area del mondo. Nulla sarà come prima: su questo non c’è diversità di vedute nelle capitali arabe, a Gerusalemme, nelle cancellerie europee, a Bruxelles come a Mosca. E naturalmente a Washington, da dove è partito l’ordine di eliminare il comandante della Forza3

Quds, il reparto di èlite dei Pasdaran. L’operazione americana è stata condotta con l’uso di un drone che ha individuato come obiettivo l’auto che avrebbe dovuto portare a Baghdad Soleimani e il numero due della milizia paramilitare sciita Hashd Shaabi, Abu Mahdi al-Mohandes, appena sbarcati nell’aeroporto cittadino. Al razzo che ha ucciso il militare iraniano ne sono seguiti altri che hanno provocato “almeno 12 morti”, secondo quanti riferiscono fonti russe. "Su istruzioni del presidente i militari americani hanno intrapreso una decisa azione difensiva con l'uccisione del generale Qassem Soleimani per proteggere il personale americano all'estero". Con questo comunicato il Pentagono ha annunciato il raid compiuto vicino Baghdad. Secondo il Pentagono Soleimani stava "attivamente mettendo a punto piani per colpire i diplomatici americani e uomini in servizio in Iraq e in tutta la regione”.Questo il primo commento su Twitter di Donald Trump al raid della notte scorsa . Prima di questo tweet, il presidente americano - che aveva già espresso lo stesso concetto a fine luglio - aveva postato la bandiera degli Stati Uniti. Soleimani "era responsabile direttamente o indirettamente della morte di milioni di persone tra cui l'enorme numero di manifestanti uccisi" in Iran. Così su Twitter ha poi commentato Trump. The Donald ha deciso: nell’anno presidenziale, il ruolo da rivestire non è quello del presidente che riporta a casa i ragazzi in divisa impegnati al fronte, ma quello del “commander in chief” che ha assestato un colpo durissimo, forse mortale, all’”Impero del male” del Terzo Millennio: l’Iran. E poi cosa c’è di meglio che una guerra contro lo “Stato canaglia, finanziatore del peggiore terrorismo” per cancellare la procedura di impeachment. Non sarebbe la prima volta: 1974, impeachment per Richard Nixon, bombardamento in Cambogia; 1998: Bill Clinton rischia l’impeachment per il caso Lewinsky, bombardamento natalizio su Baghdad. Ed ora, ci prova The Donald. Ma ora è allarme rosso. L'ambasciata Usa a Baghdad ha sollecitato i cittadini americani a "lasciare l'Iraq immediatamente"

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dopo l'attacco in cui è rimasto ucciso il generale Soleimani. "I cittadini americani partano per via aerea dove possibile, altrimenti raggiungano altri paesi via terra", sottolinea l'ambasciata statunitense in una nota. E nella base americana Union III è scattato il livello di allerta estrema. L’avamposto è sede del Combined Joint Task Force-Operation Inherent Resolve e Joint Operations Command-Iraq, la coalizione internazionale anti-Isis e il commando delle operazioni militari irachene. Tutto il personale ha così l’obbligo di indossare giubbotto antiproiettile ed elmetto. È proibito inoltre girare da soli, usare strutture ricreative e fare qualsiasi movimento al di fuori della base. Nessuno si fa illusioni: la reazione iraniana, diretta o attraverso le milizie sciite mediorientali, ci sarà. E sarà durissima. Il primo a saperlo è Israele, dove è scattato lo stato di massima allerta. "L'opera e il percorso del generale Qassem Soleimani non si fermeranno qui. Una dura vendetta attende i criminali, le cui mani nefaste si sono macchiate del sangue di Soleimani e degli altri martiri dell'attacco avvenuto la notte scorsa". E' il messaggio lanciato dall'ayatollah Ali Khamenei, Guida suprema dell'Iran, che ha proclamato tre giorni di lutto nazionale dopo il raid aereo americano all'aeroporto di Baghdad Anche il presidente iraniano, Hassan Rouhani, poco prima di nominare il vice di Soleimani, Esmail Qaani, nuovo capo della Forza Quds, si è scagliato contro gli Stati Uniti: “Gli iraniani e altre nazioni libere del mondo si vendicheranno senza dubbio contro gli Usa criminali per l’uccisione del generale Qassen Soleimani – ha dichiarato – Tale atto malizioso e codardo è un’altra indicazione della frustrazione e dell’incapacità degli Stati Uniti nella regione per l’odio delle nazioni regionali verso il suo regime aggressivo. Il regime americano, ignorando tutte le norme umane e internazionali, ha aggiunto un’altra vergogna al record miserabile di quel Paese”. Un altro alto rango della Forza Quds, Mohammad Reza Naghdi, citato dall’agenzia Fars giura che la vendetta sarà sanguinosissima: gli Usa “devono cominciare a ritirare le loro forze

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dalla regione islamica da oggi, o cominciare a comprare bare per i loro soldati – ha affermato – Il regime sionista dovrebbe fare le valigie e tornare nei Paesi europei, da dove è venuto, altrimenti subirà una risposta devastante dalla Ummah (la comunità, ndr) islamica. Possono scegliere, a noi non piacciono gli spargimenti di sangue“. Vendetta promettono Hezbollah, Hamas, la Jihad islamica palestinese, le milizie yemenite... Il leader sciita iracheno Moqtada al-Sadr ha già dato ordine ai suoi combattenti, su Twitter, di “tenersi pronti”, riattivando così la sua milizia ufficialmente dissolta da quasi un decennio e che aveva seminato il terrore tra le fila dei soldati americani in Iraq. In Medio Oriente il 2020 nasce nel segno di guerra. Ed è solo l’inizio. Per i Guardiani della Rivoluzione era diventato una leggenda vivente. Per le milizie sciite mediorientali era l’uomo che le legava, militarmente e finanziariamente, alla casa madre iraniana. Qassem Soleimani non era l’efficiente “strumento” di tutte le operazioni della Repubblica islamica d’Iran all’estero. Era molto di più. Ne era la mente, oltre che l’uomo di fiducia, assoluta, di colui che detiene realmente il potere a Teheran: la Guida Suprema della rivoluzione islamica,, l’ayatollah Ali Khamenei. Il “comandante ombra” era uno dei personaggi più popolari in Iran, aveva milioni di follower sui social e The Times, proprio negli scorsi giorni, lo aveva inserito nella classifica dei 20 personaggi protagonisti del 2020. “Per gli sciiti in Medio Oriente, è un mix di James Bond, Erwin Rommel e Lady Gaga”, come ha scritto l'ex analista della Cia Kenneth Pollack nel suo ritratto di Soleimani per la rivista americana Time dedicata alle 100 le persone più influenti al mondo nel 2017. Fino all'11 settembre del 2001, il generale è il punto di riferimento degli Usa nella lotta ai Talebani afghani. Ma dopo la caduta delle Torri gemelle e l’inserimento dell’Iran, da parte di Bush, nel cosiddetto “asse del male” gli Usa per lui diventano un nemico. Il Pentagono lo considera così un avversario pericoloso. Da eliminare. Un alto funzionario iracheno, qualche tempo fa, lo aveva descrit-

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to come un uomo calmo e loquace. "È seduto dall'altra parte della stanza, da solo, con molta calma. Non parla, non commenta: ascolta soltanto", aveva detto all'inviato del New Yorker. Secondo uno studio pubblicato nel 2018 da IranPoll e dall'Università del Maryland, l'83% degli iraniani intervistati aveva un'opinione favorevole di Soleimani, superiore persino a quella del presidente Rohani e a quella del capo della diplomazia Zarif. “Soleimani – annota Pierre Hasky, direttore di France Inter - era una figura mitica della rivoluzione islamica, una sorta di Che Guevara iraniano, protagonista della vittoria dell’ayatollah Khomeini nel 1979 e diventato l’incarnazione del fervore e del messianismo della rivoluzione, anche oltre le frontiere iraniane. Lo abbiamo visto ovunque: in Siria, in Libano, in Yemen e naturalmente in Iraq. Lo abbiamo visto vittorioso tra le rovine di Aleppo, che Bashar al- Assad non avrebbe mai potuto riconquistare senza l’aiuto dei Guardiani della rivoluzione. Lo abbiamo visto a Mosca mentre parlava di strategia con Vladimir Putin. Ma soprattutto Soleimani ha manovrato per anni per aumentare l’influenza iraniana in Iraq, attraverso le stesse milizie sciite che in settimana hanno preso d’assalto l’ambasciata degli Stati Uniti”. I servizi di intelligence occidentali, e con essi quelli arabi e il Mossad israeliano, concordano su un punto cruciale: l’eliminazione di Soleimani da parte americana è il colpo più duro sferrato alla nomenclatura teocratica-militare che “regna” a Teheran. Perché il sessantaduenne comandante della Forza Quds (lo era dal 1998) reparto di élite dei Guardiani della rivoluzione islamica (i Pasdaran) era lo stratega della penetrazione della mezzaluna rossa sciita in Medio Oriente, sulla direttrice Baghdad-Damasco-Beirut. Non solo: Soleimani era anche al centro della “Pasdaran holding”. Un impero economico, oltre che una potenza militare. Secondo uno studio recente, i Pasdaran controllerebbero addirittura il 40% dell’economia iraniana: dal petrolio al gas e alle costruzioni, dalle banche alle telecomunicazioni. Un’ascesa che si è verificata soprattutto sotto la presidenza7

di Ahmadinejad, ma che è proseguita sotto quella di Rouhani. Se si somma il potere diretto di Khamenei a quello, altrettanto pervasivo e radicato della “Pasdaran Holding”, si ha un quadro sufficientemente nitido su un regime teocratico-militare che si è fatto, per l’appunto, sistema. Un sistema che ha sempre più condizionato le politiche della Repubblica islamica dell’Iran. Per sostenere direttamente il regime di Assad, l’Iran, come Stato, attraverso le proprie banche, ha investito oltre 4,6 miliardi di dollari, che non includono gli armamenti scaricati quotidianamente da aerei cargo iraniani all’aeroporto di Damasco, destinanti principalmente ai Guardiani della Rivoluzione impegnati, assieme agli hezbollah, a fianco dell’esercito lealista. Non basta. Almeno 50mila pasdaran hanno combattuto in questi anni in Siria, ricevendo un salario mensile di 300 dollari. Lo Stato iraniano ha pagato loro anche armi, viaggi e sussistenza. E così è avvenuto anche per i miliziani del Partito di Dio. E al centro di questo impero c’era Qassem Soleimani. Un impero che ruota attorno alla Forza Quds un network esteso in tutto il Medio Oriente, con forze in Libano, Siria, Iraq e Yemen. Per esse, Soleimani è diventato il “Martire” da vendicare. Il leader sciita iracheno Moqtada al-Sadr ha già dato ordine ai suoi combattenti, su Twitter, di “tenersi pronti”, riattivando così la sua milizia ufficialmente dissolta da quasi un decennio e che aveva seminato il terrore tra le fila dei soldati americani in Iraq. E vendetta promettono Hamas e la Jihad islamica palestinese, come Hezbollah libanese. Da comandante-ombra a shahid per cui immolarsi: Qassem Soleimani fa paura anche da morto. Ma cosa ha davvero in testa Donald Trump?. E’ la domanda delle domande, alla quale prova a dare risposta, drammaticamente convincente, Anshel Pfeffer, analista di punta di Haaretz, il quotidiano progressista i- sraeliano: “Fino a quattro mesi fa Trump era circondato da falchi nel National Security Council, poi ha licenziato John Bolton. Ora attorno a lui «c’è a malapena u- no scheletro di staff professionale e soprattutto un gruppo di adulatori». Ha ancora

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le migliori forze armate e la migliore intelligence del pianeta, «ma nessuno capace di pensiero strategico». Potrebbe quindi infilarsi in una guerra feroce senza un piano. L’America è mille volte più potente “ma l’Iran, dal 1979, si è dimostrato in grado di sfruttare ogni esitazione, ogni errore e ogni vuoto temporaneo da parte delle amministrazioni Usa». Per questo siamo nel regno dell’imprevedibile. “Un presidente vanaglorioso e una leadership iraniana che ha perso il suo esponente più saggio — entrambi in lotta per sopravvivere — si affrontano sull’orlo del precipizio”. Donald Trump ha scelto l'opzione estrema tra le tante presentate dai vertici militari, mentre ancora si stavano valutando le informazioni di intelligence su nuove minacce. Lo riporta il New York Times: il 28 dicembre Trump, dopo l'attacco in cui è morto un contractor americano, aveva respinto l'idea di uccidere Soleimani, optando per un raid aereo sulle postazioni di milizie filo-iraniane in Iraq e Siria. Ma dopo l'assedio all'ambasciata Usa di Baghdad il tycoon, furioso dopo aver visto le immagini in tv, ha deciso per la soluzione estrema lasciando esterrefatti i vertici del Pentagono. E questo sarebbe il capo dell’iper potenza mondiale... C’è da avere paura, molta paura.

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