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Diseguali. I diritti da riconquista

Politica

Diseguali. I diritti da riconquistare

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Aldo AVALLONE

In una recente intervista al Corriere della Sera, Roberto Speranza ha riportato alcentro del dibattito politico il tema dei diritti sul lavoro. «L’idea che comprimere idiritti dei lavoratori aiuti il Paese a crescere è sbagliata» – ha affermato chiaramen-

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te il ministro della Salute. Servirà una profonda revisione del jobs act e sarebbe necessario anche il ripristino dell’art. 18. Per far ripartite l’Italia, il tema del lavoro dovrà essere centrale nell’azione di governo e per contrastare le diseguaglianze occorrono più diritti, non certamente meno. Si tratta di una presa di posizione forte che ribalta totalmente la visione miope degli ultimi governi, anche a guida PD, che sulla questione si sono mossi sempre sulla strada di una deregulation che si è rivelata inefficace nel creare nuova occupazione stabile mentre ha peggiorato nettamente le condizioni dei lavoratori. Anche le battaglie per evitare la delocalizzazione all’estero dei centri di produzione non sono che battaglie di retroguardia; il lavoro ha perso il significato valoriale, che ha sempre avuto, di dignità e di crescita personale e collettiva per diventare solo “fatica” per la sopravvivenza. Le parole di Speranza hanno trovato una sponda importante nelle dichiarazioni del segretario generale della CGIL, Maurizio Landini, che ha auspicato per il 2020 la conquista di un nuovo Statuto dei lavoratori che riaffermi un principio fondamentale: che qualsiasi persona che lavora, con qualsiasi rapporto di lavoro, debba avere gli stessi diritti e le stesse tutele. Parole importanti che vanno nella direzione giusta ma che richiedono un necessario approfondimento che dovrà prendere in esame i profondi mutamenti che sono avvenuti, e che avverranno nei prossimi anni, nel mondo del lavoro per governare i processi e non soltanto subirli. Mi è capitato di leggere, qualche tempo fa, un interessante libro che affronta in maniera chiara ed esauriente il tema. Si tratta di “Diseguali, il lato oscuro del lavoro” di Ernesto Paolozzi, docente di Storia della Filosofia Contemporanea presso la Federico II di Napoli, e Luigi Vicinanza, noto giornalista già direttore de “L’Espresso” e collaboratore di numerose testate italiane. La lotta di classe non è morta, ma oggi sono i ricchi che la conducono contro i poveri e la stanno vincendo.

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Non ricordo se le parole degli autori siano esattamente quelle che ho riportato, ma il saggio si apre con quest’allarmante appello. I diritti sociali conquistati dai lavoratori nel Novecento attraverso sacrifici e dure lotte, in questi ultimi anni hanno visto una decisa compressione. La rabbia sociale delle classi disagiate non è più indirizzata verso quelle privilegiate ma verso i più deboli. Si tratta di un ribaltamento drammatico. La società del terzo millennio è caratterizzata da una immobilità disarmante: i poveri sono sempre più poveri mentre i ricchi sempre più ricchi. E la ricchezza si accumula sempre più nelle mani di pochi. In questa povertà diffusa, che ormai ha colpito anche la classe media, l’uomo contemporaneo non trova altro che solitudine, humus perfetto per chi sfrutta il disagio a fini di consenso elettorale. Siamo di fronte a una evidente crisi di democrazia che si lega alla crisi del lavoro, come è stato finora inteso. Le nuove generazioni che si affacciano al mercato del lavoro non trovano che precarietà e l’assenza di diritti non fa altro che aumentare l’incertezza e l’ansia che provano per un futuro che, al momento, appare tinto di nero. Lo sviluppo dell’automazione e dell’intelligenza artificiale indica un percorso che porterà nel giro di qualche anno alla scomparsa di gran parte delle tradizionali figure lavorative. La prospettiva della piena occupazione, mito che aveva caratterizzato nel mondo occidentale la fine del secolo scorso appare tramontato definitivamente. La globalizzazione ha aperto nuovi mercati ma ha anche reso difficile ai singoli Stati l’imposizione fiscale nei confronti delle grandi multinazionali che ricavano enormi profitti pagando tasse irrisorie. Le soluzioni non sono semplici. Occorre ribaltare completamente l’approccio e andare in direzione opposta a quella seguita finora. Serve investire in istruzione e cultura perché, come vediamo ogni giorno, senza cultura la democrazia rappresentativa è solo un’utopia. Le fake news imperversano, la Rete non è più strumento di libertà ma mezzo di manipolazione delle coscienze. Solo la cultura potrà riportare

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al centro della vita sociale quel discorso etico che è andato perso in nome del profitto. “Lavorare meno per lavorare tutti”, era uno degli slogan del ’68. E’ ritornato quanto mai attuale in questi anni. Illuminante, il tal senso, il famoso saggio di Jeremy Rifkin “La fine del lavoro, il declino della forza lavoro globale e l'avvento dell'era post-mercato”. Percorrere questa strada può e deve essere una delle possibili opzioni. Già nel 2017, Bill Gates, il fondatore di Microsoft, ipotizzava un’imposizione fiscale sui robot che “rubano” il lavoro agli uomini. Più recentemente anche il filosofo francese Edgar Morin si è espresso sulle stesse posizioni. Altra scelta non facile ma certamente da approfondire. Occorre trovare nuove modalità per ridistribuire la ricchezza e ciò non potrà avvenire che attraverso le scelte operate dalla politica, una politica forte, che abbia finalmente una prospettiva strategica al servizio dei cittadini e non bloccata esclusivamente sulla gestione del potere. Per questo le parole di Roberto Speranza sono importanti. Indicano una strada che dovremo iniziare a percorrere insieme se vogliamo provare a uscire dal pantano in cui siamo tutti caduti.

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