IMPRESSIONI DI UNA MOSTRA: una collettiva internazionale sui Navigli milanesi

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RECENSIONE per M.A.D. GALLERY a cura di: CARLOTTA BIFFI Laureata in Discipline della Valorizzazione dei Beni Culturali presso l'Accademia di Belle Arti di Brera

IMPRESSIONI DI UNA MOSTRA Una collettiva internazionale sui Navigli milanesi


Amare la pittura e saper impugnare un pennello non basta a diventare artisti. Ci vuole un mistero che tu, mio caro Billy, non hai mai posseduto! Tratto da La migliore offerta di Giuseppe Tornatore

Alla M.A.D. Gallery si arriva quasi per caso. Si attraversa Piazza XXIV Maggio, con il suo reticolo di autobus e le sue lingue d'acqua, per poi immergersi nel flusso constante di Corso San Gottardo. Si affonda con pigra serenità nel quartiere dei Navigli milanesi, qua è là dei minuscoli dettagli di vita quotidiana abbagliano lo sguardo come flash di una macchina fotografica: il baluginio delle vetrine, l'ingresso barocco di una chiesa incastonata tra le abitazioni, il fischio acuto del tram che si fa strada lungo le rotaie. E' un breve assaggio della vera Milano, la Milano che si offre al visitatore come una modella consumata che sa bene come vendere il prodotto: lavoratori accaniti e negozi d'alta moda, cartelloni pubblicitari e deliziose corti nascoste dietro le facciate severe delle case. Ed è proprio in uno di questi minuscoli giardini privati, al numero civico 18, che si affaccia M.A.D. Gallery - senza dubbio una location d'eccezione, estremamente raffinata e al contempo dal sapore deliziosamente tradizionale. Si tratta infatti una corte storica, dal selciato consumato dal tempo gelosamente racchiuso nell'abbraccio confortevole dei ballatoi. Attraversando il piccolo vestibolo coperto si viene cortesemente accolti dal personale della galleria che, guidandovi all'ingresso della sala esposizioni, impreziosisce la location inserendo qualche sfavillante perla storica: davanti ai vostri occhi si compone il quadro di un ex caseificio trasformato in tipica “casa di ringhiera” milanese, oggi ricettacolo di associazioni culturali e atelier d'alta moda. Una rivalutazione interessante, che testimonia con estrema efficacia quanto la storia sia tutt'altro che fuori moda a Milano.


La galleria si sviluppa su due differenti livelli, entrambi visibili dall'esterno attraverso l'orlatura di finestre che accompagna il piano di camminamento. E' una soluzione allestitiva interessante, che sfrutta al meglio le potenzialità dello spazio strutturando il discorso su un luminoso piano interrato e un più intimo soppalco: da non sottovalutare peraltro la pausa che si crea tra i due piani, il momento tra il primo e il secondo tempo dell'esposizione che che dà allo spettatore un istante di respiro. Ciò che colpisce della galleria, oltre all'allestimento estremamente minimalista intarsiato di rapide tinte vintage – un divano d'epoca, una deliziosa cassettiera che sembra uscita direttamente da un negozio d'antiquariato – è l'atmosfera. Calda, accogliente, famigliare, M.A.D. Gallery sfrutta in maniera eccezionale gli elementi dello spazio per suggerire un luogo d'incontro e scambio culturale, reso ancora più ospitale dalla disponibilità del personale e dei due galleristi, Alessandra Magni e Carlo Greco. Il tocco di classe finale sono le luci fluttuanti delle candele che, disperse in maniera quasi casuale per la galleria, donano una piacevole sensazione d'intimità e confidenza. Veniamo quindi all'esposizione, la vera protagonista dello spazio. La collettiva, dal carattere internazionale, è per lo più esibita nel piano interrato, con l'eccezione di qualche opera trasferita sul soppalco. Colpo di genio o soluzione necessaria? Ha poca importanza: le opere presentate al piano superiore fungono da esca, invitando l'osservatore a continuare la propria visita anche di sopra.


La prima opera che colpisce lo sguardo dello spettatore scendendo le scale verso il piano interrato è una live performance. L'artista, Memo Miftari, è sorprendentemente giovane e si esibisce nella creazione dal vivo di un'opera d'arte dal carattere profondamente evocativo: l'esplosione di un arbusto, che con vampate di colore si arrampica fino alle superfici del dipinto a simulare l'onda sinuosa del vento. E' la gestualità a colpire l'immaginario degli ospiti, che osservano affascinati le ampie volute del suo braccio che sembra a tratti sferzare e a tratti accarezzare minuziosamente la tela. Miftari, di origine macedone, è un giovane dal sorriso aperto che non manca di rispondere cortesemente alle domande dei suoi curiosi osservatori: scopriamo così che Autumn Leaves (100 x 100 cm), l'opera che sta nascendo sotto i nostri occhi, è il suo tentativo personale di catturare la forza impetuosa del vento, che si riflette nell'energia sprigionata dall'arbusto centrale in ampie ondate di colore.


Al suo fianco, quasi non fosse che l'ennesimo osservatore, lo sguardo imperturbabile del dipinto The Black Secret (120 x 100 cm) sembra soppesare con intensa malinconia il passaggio quieto della fiumana di avventori. E' un'opera catartica, quella di Gihan Fawzy, l'espressione concreta di un'angoscia interiore che permea il paesaggio tingendolo delle tinte cupe e fosche dell'animo. Ricorda un po' i volti atavici e sofferenti di Frida Kahlo, nella sua immobilità sembra trasmettere un'intensità emotiva profonda: laddove però la Kahlo, in opere come Wounded Deer, tendeva a ricercare l'esorcismo da un'atroce sofferenza fisica, Gihan Fawzy sembra piuttosto mirare all'insostenibilità del tormento interiore. Il contrasto con la vicina opera di Anna Maria Castello è quanto meno curioso. New York C, con le sue tonalità accese e i grumi di colore che sembrano direttamente generati dal supporto in legno: l'impressione di uno skyline urbano, nata dall'impetuosa gestualità che ha accompagnato il pennello e resa quasi tridimensionale dalla corposità dei materiali, ha tutto il ritmo di una rapsodia.


Affissi alle colonne portanti si fronteggiano invece Le Plus Grand Jardin (40 x 50 cm) del britannico Alexander Paul e Elevation (30 x 90 cm), la scultura pittorica di Pascale Patissier. Il confronto – o lo scontro - tra le due opere è sicuramente interessante: i toni freddi di Paul dialogano con l'astrazione bruciante di Patissier, l'intersezione di linee dal sapore quasi orientale del primo contrasta ed esalta l'ascesa turbinosa e verticale della seconda. Domandando al personale della galleria emergeranno altri livelli di scontro, il cui campo di battaglia è l'incredibile sfida di rappresentare ciò che non può essere rappresentato. Dove le astrazioni di Paul infatti si stemprano in un quieto dialogo di forme allucinanti – forse reali, forse illusioni -, le esplosioni cromatiche della Patissier sono pura emozione.


Troppo cervellotico? E' forse più rassicurante lo sfumato tenue di Salina 3 (63 x 53 cm), l'opera del genovese Angelo Gaggero. Il paesaggio, dall'aridità quasi lunare, che l'artista intende rappresentare è parte di una serie e risolve la propria intraprendenza nella scelta di un materiale quanto meno curioso, ossia il sale. E' una tecnica interessante, che richiama alla mente fondamentali analogie con alcuni episodi della storia dell'arte più recente: il movimento dell'Arte Povera, per esempio, che non a caso si sviluppa alla fine degli anni Sessanta a partire dalla stessa città nella quale si forma l'autore.

Tra la salina di Gaggero e le astrazioni di Paul, si sta compiendo una seconda performance per mano di Burim Ajdini. Il tocco rapido del pennello e lo sguardo concentrato dell'artista intimidiscono gli avventori che, avvicinandosi con cautela, osservano col fiato sospeso le scie di colore oltrepassare i limiti della tela, in un impeto gestuale che non risparmia la superficie nivea del muro. L'opera che sta nascendo, mormora Ajdini, è l'impressione di un paesaggio, che si collega direttamente con le tonalità tenui del secondo dipinto esposto dell'artista: Dawn (60 x 80), il ricordo lontano di un'alba brumosa dalla quale emergono le sagome stemperate degli edifici.


Ben differente dalle esplosioni cromatiche dei dipinti che l'attorniano, la tecnica Ajdini ha più affinità con le impressioni pittoriche di Monet, con i suoi studi sui mutamenti luminosi, con le sue pennellate rapide e armoniose. Lo sguardo fresco che denuncia è profondamente rassicurante, colmo di reminiscenze a una tradizione che l'artista sembra conoscere e comprendere appieno. E' a questa tradizione che si appella anche il work in progress di Ajdini, unita alla devozione di un tributo per la città che lo sta ospitando. E' l'impressione di uno scorcio di Navigli che emerge come per magia dalle sue mani, in un riferimento reso ancora più esplicito dalla scelta del titolo: In Memory of Leonardo Da Vinci.


Di tutt'altra pasta sono le materiche opere di Maria Rodrigues, che occupano lo spazio centrale della galleria con estrema veemenza. Accostate l'un l'altra, come una sorta di polittico contemporaneo, le opere Punk (50 x 70 cm), Sadness (60 x 60 cm), Faces (50 x 60 cm) e Kaos (50 x 70 cm) creano un'atmosfera profondamente introspettiva, dominata dalle cromie sature e dalla resa intensa dei soggetti femminili.

Le linee stilizzate dei loro volti trascinano indietro nel tempo, agli albori della cultura Moderna, alla fissità degli sguardi delle Demoiselles d'Avignon di Picasso. Ma in queste composizioni materiche non vi è che una lontana reminiscenza delle composizioni cubiste: la chiave di volta delle sue opere è nel colore, negli occhi delle sue donne astratte, nell'apparizione istantanea di dettagli casuali come una mano affusolata e un fiore tra i capelli.

La quieta malinconia delle opere di Rodrigues risulta peraltro enfatizzata dall'accostamento con le onde di colore di Gottfried Seigner, che dall'Austria esercita un richiamo ipnotico sull'ignaro osservatore del suo Untitled (70 x 50 cm). Nelle ampie volute di acrilico si avvolgono su sé stesse riecheggia tutta la carica espressiva del mare, in una mescolanza cromatica che esalta il tono cupo dello sfondo con significativi sprazzi di colore acceso. Interessante è anche la scelta del supporto cartaceo che, nella sua fragilità e con le sue increspature, dona movimento all'intera composizione.


Immediato è il collegamento con Nocturn (60 x 70) di Rafal Stepniak, artista polacco che infonde nelle proprie composizioni evocative le sfumature eterogenee di un'orchestra sinfonica.

L'opera è conturbante nella sua cupezza e trasmette, con le sue tinte fosche puntellate di subitanee pennellate di colore, tutta la ricchezza espressiva di una suite di Stravinsky - analogia che, peraltro, è resa ancora più evidente dall'appartenenza del dipinto a una serie intitolata “Impressioni musicali

Niente di più estraneo dalle opere che lo accompagnano, affiancandolo sulla stessa parete. Meeting (100 x 100 cm) di Tony Stuckens e Vers Les Nouveaux Matins (65 x 92 cm) di Oscar B sono senza dubbio opere che restano impresse, l'uno per la danza di colore che attraversa la tela, l'altro per l'atmosfera asettica che evoca. Se la prima conserva tutta l'umanità dell'abbraccio tra due amanti, i cui corpi emergono a tratti dalle note di colore, la seconda rappresenta la dissezione di un corpo urbano; se le figure umane di Stuckens si fondono e confondono, Oscar B ci offre piccoli flash della città di Nantes, disgregati e riaggregati come una splendida composizione molecolare.


Non manca d'inserirsi tra le due opere il tocco naturalistico di Axel Hilger, fotografo tedesco che con Metamorphosis coniuga l'attitudine documentaristica che ha permeato la sua intera carriera con una profonda conoscenza delle tecniche fotografiche: è così che i dettagli emergenti dalle ali del suo insetto acquistano una propria personale eleganza, astraendosi fino a perdere la propria dimensione naturalistica e divenire pure e semplici composizioni. L'insenatura che prelude alla conclusione della galleria offre l'ennesimo colpo di scena, seminascosto dalla ressa di visitatori incuriositi: l'astrattista e ritrattista Nicoletta Greghi, in arte Nola, è intenta a riprodurre dal vivo le sue percezioni, infondendole negli acrilici che utilizza e imprimendole sul supporto di carta stropicciata.

E' una tecnica, quella di Nola, che deve molto agli insegnamenti dei grandi maestri dell'Impressionismo, unita alla ricerca del tutto personale di una forma di condivisione emotiva con lo spettatore: è così che opere come Campo di papaveri (70 x 50 cm), Fatalità (70 x 50 cm), Tramonto (60 x 50 cm), Untitled (70 x 50 cm) e Starsss (100 x 70 cm)– peraltro esposte nel piano rialzato della galleria - prendono vita, generando in un turbinio di colore l'impressione di un'idea.


Un piccolo inciso: come già specificato, il soppalco accoglie anche le opere di un'altra artista appartenente al catalogo della collettiva; è d'obbligo ricordarlo, perché il lettore non perda l'opportunità di visitare il secondo spazio della galleria interamente adibito alla collezione permanente, coinvolgente almeno quanto l'esposizione temporanea e altrettanto raffinata.

Per il momento tuttavia, per non svelare tutto e subito, ci limiteremo a parlare delle eleganti composizioni astratte dell'artista americana Charity Janissee, che con Indigo Rising (18 x 24 cm) e She Wakes (16 x 20 cm) introduce un universo fatto di colori intensi e movimento, in una coniugazione tecnica ed espressiva che rende i suoi dipinti simili a lingue di fuoco colorato. Janisse, proveniente da una famiglia di artisti, interpreta i suoi dipinti come forme figurative di quello che in letteratura viene chiamato “flusso di coscienza”, finalizzato ad esprimere le proprie sensazioni nella maniera più libera possibile: citando l'artista stessa, “arte è conoscere, apprezzare ed esprimere ciò che ti commuove”.


Ritorniamo ora al nostro piano interrato, dove si giunge così alla chiusura dell'esposizione che, proprio come uno spettacolo di fuochi d'artificio, dà il meglio di sé sul gran finale.

Si accarezzano con lo sguardo le increspature materiche di Inquietudine che non si rassegna (80 x 100 cm), l'opera di Francesca Salis che, con le sue cromie calde, evoca una terra arsa dal sole e tuttavia fertile, il ventre archetipico che nutre ed è quasi violentato dalla lunga ferita che lo attraversa; si resta incantati davanti alla freschezza gioiosa di Luminous Horizon (12 x 16 cm) di Nada Bittar, giovane talento che esprime il proprio entusiasmo e la propria fede nella bellezza della vita tramite le sue composizioni dal sapore quasi surrealista; si osserva con una certa curiosità l'estetica originale e a quasi pop del lavoro grafico di Pansy Tang, intitolato Sky-Pilot (12 x 12 cm) e permeato della forte influenza esercitata dal mondo dei mass media, in particolare dalla televisione.


Imboccando la scalinata, incontriamo le opere degli ultimi quattro artisti proposti dalla galleria, in successione, come gentili ospiti che ci augurano buona serata mentre ci apprestiamo a lasciare l'esposizione. Le forme sinuose dell'opera La douce (60 x 70 cm) di Michelle Longuemart hanno interessanti affinità con le linee curve e il richiamo all'estetica del mondo della natura che caratterizzano l'Art Nouveau, coniugato a una resa del chiaroscuro che pare invece tratta dalla cultura pop: intensa ed espressiva, l'opera di Longuemart esprime una forma di intima dolcezza che contrasta in maniera evidente con la resa del corpo femminile che invece adotta l'artista che l'affianca. Waiting (120 x 80 cm), di Regina Thyssen, si colloca sul filo del rasoio tra figurazione e astrattismo: le forme piene dei corpi femminili emergono dalle rapide pennellate a fatica, quasi indecise, a tratti si perdono nel vortice incessante del colore a olio. E' una tecnica fortemente influenzata dal mondo della moda, nel quale Thyssen ha lavorato: la trattazione del nudo femminile, tema decisamente classico, è filtrata tramite l'esperienza delle illustrazioni di fashion design, nella resa di una prospettiva del tutto originale.


Le ultime tre opere colpiscono per la loro diversità. Il tocco tradizionale di Dutch Winter (50 x 60 cm), la rappresentazione sfumata dell'inverno olandese di Geertje Eshuis incontra le linee nette, d'ispirazione cubista, delle due versioni di Untitled (38 x 47 cm) proposte da Nicole Weaver. L'uso delicato del colore di Eshuis dialoga con le forme simboliche e fortemente stilizzate di Weaver, creando un contrasto straordinariamente efficace tra due interpretazioni opposte del concetto di arte, due forme d'espressione che oscillano tra le reminiscenze di una tradizione pittorica importante quanto quella olandese e l'armoniosa composizione di forme surreali.

In conclusione, la collettiva proposta da M.A.D. Gallery per questo gennaio 2016 si rivela profondamente efficace: l'accostamento di forme espressive e stili differenti rende il ritmo della mostra sorprendentemente stimolante, ricco di spunti critici e retroscena da scoprire. Le opere, ben curate dal punto di vista espositivo, si rivelano progressivamente al visitatore grazie alla propria immediatezza e al costante supporto di un personale preparato, disponibile a rispondere alle domande e dall'entusiasmo coinvolgente: un'esposizione perfettamente riuscita in sintesi, di indubbia qualità, resa ancora più interessante da un rapporto qualità – prezzo estremamente soddisfacente e dallo sfruttamento magistrale di una location d'eccezione. Attendiamo con ansia l'evento di febbraio...

Recensione a cura di CARLOTTA BIFFI www.northeurart.wordpress.com

www.madgallerymilano.com


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