Recensione per M.A.D. Gallery a cura : di Lorenzo Roy Clough laureato in Scienze Filosofiche presso Università Statale di Milano
Relazione su una mostra sui Navigli Pittura internazionale in mostra da M.A.D. La M.A.D. Gallery nasce nel 2015, anno cruciale per la città di Milano che da anni aspirava a diventare una vera città internazionale e che con Expò può dire di essere finalmente una grande metropoli europea. La galleria si situa nella vecchia Milano dei Navigli e del quartiere Ticinese, precisamente in quello che una volta era detto del Formaggiat, dove, infatti, un tempo si faceva il formaggio. Al 18 di Corso San Gottardo, all’interno di una corte storica di case di ringhiera, si colloca la sede della galleria. Nata per iniziativa di una coppia sposata di curatori, Carlo Greco e Alessandra Magni, essa è anche associazione culturale; il suo nome è una sigla, che indica sia i settori di cui si interessa, Moda, Arte e Design, sia il tipo di spirito che alimenta la location. L’ingresso alla galleria avviene tramite un cancello che permette l’accesso alla corte dei ballatoi e si è accolti dal premuroso e cortese benvenuto del personale.
La galleria si situa su due piani‐corridoio, entrambi subito visibili all’ingresso, grazie al pianerottolo che li collega tramite una scala: si permette quindi al visitatore una pausa tra un piano e l’altro, che nel visitarli può prendere un respiro di sosta. L’atmosfera della galleria suscita un sentimento di famigliarità e accoglienza: troviamo un divano d’epoca, una cassettiera e poltrone che sembrano uscire da un negozio di antiquariato, il tutto collocato in un ambiente arredato in maniera assolutamente minimalista, dove le candele, accese durante il vernissage, conferiscono alla location un qualcosa di suggestivamente intimo e raccolto. La mostra è principalmente collocata al piano sottostante, eccezione fatta per alcuni quadri esposti al piano superiore. La prima opera della mostra che colpisce lo sguardo e l’attenzione del visitatore è una tela, posta su cavalletto, dell’artista macedone Memo Miftari, realizzata con una live performance durante il vernissage dell’esposizione del 14 gennaio. Essa rappresenta un arbusto sulla cima di una collina in tutta la sua solitudine, sotto un cielo azzurro. Il soggetto, intitolato Autumn Leaves (100x100 cm) sembra raccontare di una natura aspra e che non può consolare. Sebbene la pittura sia piena di calore e sentimento, ricca di toni caldi nella terra, il soggetto è del tutto scarno nella sua solitudine totale. Il gesto pittorico è spontaneo e può ricordare alla lontana il romanticismo di Turner con le sue pennellate veloci, vigorose e ricche di sentimento.
Accanto all’opera di Miftari troviamo The black secret (100x120 cm), grande tela dipinta dall’artista Gihan Fawzy. Essa rappresenta un volto in lacrime, quasi metafisico nel suo essere collocato sopra ogni elemento della composizione del bosco che gli sta sottostante. Gli alberi del paesaggio boschivo e lo sguardo melanconico della donna che piange sono parte di un’atmosfera cupa e fosca: questi elementi riescono a creare un’idea di ermetica compenetrazione tra un sentimento di interiore angoscia e smarrimento e una natura che sembra nascondere un segreto, celato negli occhi piangenti della donna. In contrasto con queste due prime opere troviamo New York C. , tela dipinta con acrilico della pittrice Annamaria Castello; il soggetto vuole rappresentare le luci della città di Manhattan con i suoi grattacieli. La sensazione che il quadro suscita nell’osservatore è di una plastica vibrazione della luce, che carica la città rappresentata di un’atmosfera piena di dinamismo. La forza del gesto della pittura di quest’artista va forse cercata nella sua capacità di esprimere la densità atmosferica della città in tutta la sua caotica attrattiva.
Passando oltre, appesi sulle colonne portanti ci sono due quadri, uno s’intitola Le Plus Gran Jardin (40x50 cm) di Alexander Paul e l’altro Elevation (30x90 cm) di Pascal Patissier. Entrambi sono quadri che tendono decisamente all’astratto. Il primo potrebbe, in effetti, assomigliare al suo titolo per via delle linee pittoriche, tutte molto gestuali ed essenziali, che tendono a descrivere una spazialità e al contempo per l’uso dei colori che ricordano oniricamente una fresca vegetazione.
Elevation ha invece intenzioni molto più astratte e sembra quasi descrivere uno stato energetico fisiologico. Il colore è collocato sulla tela in maniera decisamente materica e imprime nello spettatore un’idea di calma ma allo stesso tempo di una dinamica delle forze plastiche dell’energia.
Amabilissima la Salina 3 (65x53cm) del genovese Angelo Gaggero, che rappresenta, con la collocazione sulla tela di diversi tipi di sale in diversi strati, la poesia del mare. Una lenta sapienza sembra aver ispirato quest’opera, che ricorda una vera e propria onda con le sue fasi. Il quadro mostra bene come una minimale e semplicissima tecnica materica possa avvicinare alle vere sensazioni prime, come il movimento dell’Arte povera insegnava.
Tra la salina di Gaggero e il giardino immaginifico e sublimato di Paul, si colloca sul muro la performance pittorica di Burim Ajdini; egli, pittore macedone come Memo, ha deciso di dipingere un paesaggio astratto, ma è andato ben oltre i limiti della tela, costituendo un tutto organico con la parete. Il colore sulla parete, un vero e proprio “pasticcio pittorico”, e il colore sulla tela, hanno fortemente attirato l’attenzione del pubblico che si è identificato con il gesto di quest’artista spontaneo. Il quadro s’intitola In Memory of Leonardo da Vinci: c’è il senso di uno scorcio sui Navigli in questa figurazione appena suggerita, oltre che un omaggio alla tradizione del maestro rinascimentale, che Ajdini rielabora in chiave personale ma interpreta correttamente quando riesce a suggerire con le sue poche pennellate la fluidità aerea delle cose.
C’è un altro quadro di Ajdini nella galleria, ed è un’alba: Dawn (60x80 cm). In esso l’impressione dell’alba è forte, quanto l’uso perspicace della tecnica impressionistica. Il sentimento della luce che ritorna dopo la notte e illumina il paesaggio ci lascia l’idea di aver di fronte un artista innamorato della pittura più scevra dal significato e più vicina alla natura delle cose, quasi un autentico pittore naif. Sull’altra parete, di fronte a Gaggero e Ajdini, troviamo le quattro opere di Maria Rodrigues, Punk (50x70 cm), Sadness (60x60 cm), Faces (50x60 cm) e Kaos (50x70 cm) . La pittrice dipinge volti quasi fauve, dagli accesissimi toni cromatici, con una capacità di accostare le variazioni forti dei colori che ha qualcosa che attrae subito l’occhio. I volti femminili delle sue tele ricordano le esperienze dei pittori simbolisti e anche certe esperienze pittoriche picassiane, senonché la vera forza di Rodrigues sta più nel colore vibrante che nella scomposizione delle forme.
Proseguendo sul lato destro accanto alla saliera di Gaggero, troviamo l’opera di Raphael Stepniak che espone un’opera molto interessante: Nocturn (60x70 cm), in cui è visibile una fortissima capacità di resa pittorica nelle migliori intenzioni dell’astrattismo. I diversi piani di colore s’intersecano nel migliore dei modi, regalando all’osservatore una forte sublimazione dell’oscuro e del tenebroso. La poesia di questo quadro sta nella estrema perizia pittorica e in un gusto deciso e classico per l’astrazione della forma.
C’è poi l’opera di Gottfried Seigner, Untitled (70x50 cm), un acrilico su carta che vuole rappresentare un vortice cromatico, che mostra nella mescolanza del colore steso sul supporto una vastissima e casuale serie di variazioni cromatiche. Proseguendo troviamo l’opera di Tony Stuckens: anch’egli un pittore astratto; dipinge in Meeting (100x100 cm), con una grande abilità di pensiero e gesto pittorico, un intrecciarsi di piani cromatici con una scelta di toni caldi, con qua e là, la sorpresa di qualche tono più freddo. L’interpretazione delle forme è libera all’osservatore e i diversi piani costituiscono un’architettura dinamica e in continua trasformazione dimensionale. Oscar B invece espone invece una tela, Vers Les Noveaux Matins (65X92 cm), opera decisamente pop nel gusto e nella scelta della tecnica impiegata, pittura ultra‐piatta in acrilico che con pochi colori scelti riesce a rendere un effetto a due dimensioni senza profondità; il gioco delle sinuosità produce quasi un’impressione di sinestesia musicale simile ad una canzone leggera. Parliamo quindi di Axel Hilger, fotografo, che espone in mostra una sua Metamorphosis, fotografia di un insetto realizzata con estrema perizia di mestiere; Hilger riesce a catturare la grande eleganza cromatica e morfologica del coleottero, mostrando l’incredibile bellezza del microcosmo degli insetti.
Durante il vernissage, in fondo alla galleria, il visitatore può osservare un’altra performance artistica dal vivo: è il lavoro di Nicoletta Greghi, in arte Nola, che si caratterizza per la sua tecnica tutta particolare di appallottolare la carta e poi di colorarla con l’acrilico con grandi pennellate, in modo che il colore sia di rilievo sulla carta. Un genere di pittura astratta decisamente originale e sperimentale, inusuale e curiosa. Cinque le sue opere esposte: Campo di papaveri (70x50 cm), Fatalità (70x50 cm), Tramonto (60x50 cm), Untitled (70x50 cm), Stars (100x70 cm). Si diceva all’inizio di questa relazione, che c’è un piano superiore a quello della mostra di cui stiamo raccontando. Qui troviamo le opere di Charity Janisse, artista americana che riesce, usando una tecnica di spatola, a costruire sulla tela una texture di lingue di fuoco colorate, usando prevalentemente i toni del blu e del rosso. Le sue opere sembrano quasi tavolozze strausate, ma in realtà il lavoro pittorico è molto pensato. Le opere in esposizione dell’artista sono due: Indigo Rising (45x60 cm) e She Wakes .
Tornando al piano inferiore, troviamo appesa sulla destra un’opera di Francesca Salis, pittrice sarda, che rappresenta in Inquietudine che non si rassegna (80x100 cm) una spaccatura, una fenditura della terra, resa pittoricamente evocando tutta la forza della materia e della terra. C’è poi accanto all’opera di Salis la piccola tela di Nada Bittar, che nella sua Luminous Horizon (30x40 cm) fa giocare con i segni e pochi elementi figurativi le ispirazioni del surrealismo. Affianco c’è l’opera ancora più piccola di Pansy Tang, Sky Pilot (30x30 cm), un piccolo animaletto, si direbbe una lumaca, che vola nei cieli.
Salendo sulla scalinata alla fine della mostra troviamo le ultime opere. Una geisha giapponese vista di spalle su uno sfondo dorato è l’opera di Michelle Longuemart, La douce (60X70 cm), dove troviamo quello stesso interesse che era dell’Art Noveau per i generi orientali; c’è un’escrescenza curiosa che sembra un fiore sul dorso della ragazza, che si gira mostrando il profilo sinistro. Spicca invece per dimensioni Waiting (120x80 cm) di Regina Thyssen, tela che è di forte sintesi concettuale, ricordando quasi alcune tele di De Kooning; in Thyssen è infatti riuscitissima l’astrazione estrema delle figure femminili, che diventano appena visibili tra le linee, tutte rese con velocissimi gesti di colori. Le ultime opere sono infine diversissime le une dalle altre: troviamo Dutch Winter (50x60 cm) dell’olandese Geertje Eshuis che rappresenta un mulino a vento immerso nel paesaggio invernale dell’Olanda nei pressi del mare; poi ci sono due tele di Nicole Weaver, dove una ricorda un po’ le figure oniriche che volano di Chagall, l’altra quasi un volto d’ispirazione picassiana, ricca di scelte e giochi cromatici. Finisce qui la relazione sulla mostra del 14 gennaio al M.A.D. La varietà delle opere dà indizio di come lo spirito della galleria sia apertissimo di fronte alla selezione di artisti tra i più diversi, eclettica e culturalmente aperta all’internazionalità e alle più diverse esperienze artistiche. L’atmosfera e la location stessa dell’esposizione permettono un interessantissimo incontro tra artisti, pubblico e uno staff del personale capace di accompagnare i visitatori alla mostra. Recensione a cura di Lorenzo Roy Clough