Stadi d'Italia

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Sandro Solinas

STADI D’ITALIA LA STORIA DEL CALCIO ITALIANO ATTRAVERSO I SUOI TEMPLI

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COPERTINA Marco Castellano GRAFICA E IMPAGINAZIONE Marco Castellano TESTI Sandro Solinas

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SANDRO SOLINAS

STADI D’ITALIA LA STORIA DEL CALCIO ITALIANO ATTRAVERSO I SUOI TEMPLI

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NICOLA BINDA

Lo stadio è un tempio di Nicola Binda Capo servizio de La Gazzetta dello Sport

Chi scrive questa introduzione, da ragazzino andava in vacanza in giro per l’Italia con la sua famiglia. In ogni città, la mamma fissava i luoghi da visitare — musei, piazze, monumenti — sapendo che il sottoscritto e il fratellino (con la malcelata complicità di papà) pretendevano nel tour anche una tappa allo stadio. Solo per vederlo, anche da fuori. Se poi un custode apriva un cancellino e lo faceva vedere anche dall’interno, era il massimo. La passione per il calcio non era (e non è nemmeno adesso che è diventata un lavoro) solo per quei 90 minuti. Lo stadio è un tempio, con il suo fascino e i suoi colori. Visto in tv ha un impatto, visto dal vivo un altro, e se visto vuoto ha comunque il suo perché. Pensate al Moccagatta di Alessandria: dopo l’alluvione del 1994, è stata tracciata una linea rossa sull’anello delle gradinate per indicare fin dove era arrivata l’acqua esondata dal Tanaro. Una linea rimasta visibile per anni, per non dimenticare quella tragedia. Certi stadi sono monumenti. Magari orrendi a livello architettonico, magari scomodi, magari freddi d’inverno e torridi d’estate. Ma pieni di fascino, di storia, di vita. Certi stadi sono parte integrante delle città, con le case a ridosso. Nel vecchio stadio di Teramo, l’impressione era che chi avesse deciso di pranzare sul terrazzo per vedere la partita, rischiasse di colpire un guardalinee facendo cadere una forchetta. Lo stadio è nel cuore della città, perché alla partita bisogna andare a piedi, tutti insieme, non con le navette. Qualche stadio oggi è appetito da biechi affaristi che vogliono abbattere per edificare altro, sfruttando modifiche ai piani regolatori senza rendersi conto del patrimonio che vanno ad azzerare. La convivenza più difficile (stadio in centro) è forse quella di Siena, capitale dell’arte, con il mitico Rastrello (poi Artemio Franchi, detto anche Montepaschi Arena) incastonato tra Piazza del Campo, il Duomo e la Fortezza; eppure lì s’è trovata una soluzione geniale (e redditizia): in settimana parcheggio per chi deve 10

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andare in centro, sfruttando il viale interno che lo circonda, alla domenica (meno di venti volte all’anno) teatro del calcio. Vedere una partita a San Siro o a Marassi, è come viverla accanto ai giocatori. Lo stesso in decine di altri impianti simili. Vederne una all’Olimpico di Roma o al San Paolo di Napoli è un’altra cosa, ma quando quei catini ribollono d’entusiasmo il vero spettacolo è fuori, sulle gradinate, non dentro, sul prato. Oggi una partita a porte chiuse è il più grande insulto al calcio inteso come show. Uno stadio gremito — con i cori, la calca e il freddo che ti surgela — rende bello anche il più squallido degli 0-0. Certo, i tempi sono cambiati. Oggi uno stadio di proprietà è visto come la principale fonte di sostegno di un club. La Juventus insegna. Ma è la Juventus. L’altro stadio italiano di proprietà, quello della Reggiana, è finito nel calderone di un fallimento. Il futuro però sembra essere quello. Peccato che il presente, inginocchiato da una crisi pesantissima, faccia pensare a tutto, meno che alla voglia di investire per uno stadio. Eppure non sarebbe così difficile: le tv oggi riempiono di soldi il calcio italiano (la Serie A soprattutto), perché sono brave a vendere il loro prodotto, ma al tempo stesso le società girano quasi la totalità di questi introiti al costo del lavoro, leggi stipendi dei giocatori, manco fossero tutti Ibra o Totti o Del Piero. E’ vero che le tv possono vendere bene il loro prodotto se lo spettacolo calcistico è di alto livello, ma è anche vero che trasmetterle con una cornice come quella dello Juventus Stadium, è molto più emozionante che facendo vedere gradinate vuote. Basterebbe fare un accordo: care società, una parte dei soldi che vi diamo, li mettiamo in un fondo da utilizzare per costruire o sistemare gli stadi. Magari con la Federcalcio che appoggia i progetti lavorando di concerto con le Amministrazioni comunali. Volete mettere i vantaggi per tutti? Senza entrare nel dibattito erba naturaleerba sintetica (il profumo e l’imperfezione della prima sono irrinunciabili, ma i costi e l’impatto della seconda non sono da sot-


NICOLA BINDA

tovalutare), una delle frasi più abusate è quella degli stadi per famiglie. I nuovi impianti dovrebbero essere fatti anche per questo, con i centri commerciali, gli hotel e i cinema. Bene, benissimo: pur di aiutare il calcio, si faccia. Ma il fascino di vecchi stadi freddi e spigolosi, resterà sempre nei nostri cuori. Con le famiglie facciamo il pranzo alla domenica e trascorriamo il resto della settimana, ma alla partita si va a soffrire. Il concetto di stadi scomodi-quindi affascinanti non deve comunque essere travisato. Oggi la vera scomodità è nell’arrivarci: acquistare il biglietto, raggiungere l’impianto, superare tornelli e sbarramenti e perquisizioni ai prefiltraggi è un male necessario, visto che la delinquenza purtroppo ci ha guastato gli spettacoli. Ma è meglio una gradinata difficile da scalare che un carabiniere che ti sequestra l’accendino. Ho stampato in mente l’esempio di Pisa. 17 giugno 2007: finale playoff con il Monza, parcheggio a dieci metri dalla tribuna centrale, nei viali del quartiere, ed entro sereno all’Arena Garibaldi. Tre mesi dopo (15 settembre 2007)

sono in vacanza in Versilia e torno all’Arena per vedere da spettatore il Pisa in B, partita contro il Brescia. Non era più quello stadio, sembrava un carcere di massima sicurezza, con alte inferriate e sbarramenti che pareva di essere a Guantanamo. Non dico di guardare all’estero, dove culture e mentalità sono diverse. Dico di guardare solo a casa nostra. Dico che le gabbie e le divisioni e i settori delimitati non portano allegria. Dico che una partita al mitico Appiani di Padova aveva un fascino e nel più moderno Euganeo un altro. Dico che lo stadio lo fa il pubblico, quei tifosi che oggi faticano a spendere 10-20 euro per vedere una partita e che sono poco invogliati a farlo anche per tutte le procedure da seguire per arrivarci. Dico che il calcio è allo stadio, non in poltrona guardando la tv. Tutta la vita una partita di Lega Pro da vivo che cento di Premier League seduti in poltrona. Dico che lo stadio è il calcio. E senza stadio, non ci sarebbe il calcio.

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FINO FINI

Lo stadio, espressione viva e autentica della nostra comunità Dott. Fino Fini Direttore Museo del Calcio di Coverciano

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arlare di Stadio o degli Stadi può risultare semplice e difficile allo stesso tempo: nel migliore dei casi si rischia comunque di apparire banali o retorici. Dal punto di vista architettonico poi, non è facile dare una descrizione degli impianti in forma omogenea, sia per la loro origine - spesso assai distante nel tempo - sia per la loro diversa ubicazione. Ha fatto bene l’autore di questo volume ad osservare gli spalti italiani attraverso una prospettiva legata alle vicende e al ruolo di ogni stadio, una scelta per me assai indovinata. Gli Stadi nella loro storia, raccontata attraverso una fedele ricostruzione di eventi che hanno modificato nel tempo l’utilizzo dell’impianto sportivo delle nostre città. Lo Stadio visto, come espressione viva ed autentica di una comunità; come identificazione di una città e di una squadra, fino a divenire un segno di riconoscimento oltre che un simbolo di

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appartenenza; forte dei legami assai stretti con tutti i cittadini, anche di quelli che non s’interessano di sport. Lo Stadio, frutto della passione dell’architetto-tifoso, che comunque riesce a coniugare l’entusiasmo creativo con lo spirito sportivo e la passione trasmessa dal calcio in particolare. Nel suo lavoro, Solinas ha cercato di far vivere attraverso la storia vera e documentata i momenti salienti dello “Stadio” ricordandone la trasformazione nel tempo, frutto di sviluppi e cambiamenti dovuti alle diverse circostanze. L’Autore con prosa limpida, scorrevole e precisa ci porta per mano a vivere le vicende di ogni città attraverso un elemento focale e centrale che è lo Stadio. Per la sua originalità e freschezza nella lettura mi auguro che quest’opera abbia il suo meritato successo.


SANDRO SOLINAS

Arene di cuoio di Sandro Solinas Le passioni, come i sogni, vengono da lontano e il più delle volte seguono un percorso incerto e tortuoso, distante anni luce dalla logica della verità e delle sue rapide conclusioni. Così, non rimango sorpreso nel chiedermi dove sia nata la mia passione per gli stadi di calcio e la volontà di raccontarne la storia. Certi libri vanno scritti comunque, perché così sono alcune storie. Devono essere raccontate e basta, qualcuno lo avrebbe fatto al mio posto, prima o poi. “Il mondo è fatto per finire in un bel libro” diceva Mallarmé, perché lasciar fuori gli stadi? Sapere di aver recuperato una storia e averla trasmessa ad altri regala a tutti un lampo di immortalità sulle cose, una sorta di vendetta contro la tirannia dell’effimero e dell’inutile che tristemente riempie i nostri giorni. Scrivere è magnifico, ma leggere è divino. Dona a tutti un paio di ali per volare lontano. È questo, e nient’altro, che mi ha spinto a raccontare alla tribù del calcio la storia dei nostri stadi. La loro storia, la nostra storia. E poi il desiderio dì vincere l’oblio calato sui nostri campi, dimenticati senza un perché, pur essendo lo scrigno dei ricordi e delle emozioni per intere generazioni di italiani. Stadi d’Italia nasce così, un lungo viaggio attraverso gli impianti del nostro calcio, alcuni celebri alcuni poco conosciuti, alcuni nuovi alcuni scomparsi, per riscoprire il fascino e la storia delle nuove arene che, come i circhi e gli anfiteatri nell’antichità classica, sono ancora oggi i luoghi urbani deputati ad ospitare gli spettacoli sportivi e le manifestazioni di massa. Dei nostri campi, peraltro, meglio raccontare il ricco passato piuttosto che l’incerto avvenire, legato a fumosi e sinistri progetti di edilizia commerciale. E neppure il presente riesce a suscitare più di tanto interesse, se è vero che gli stadi italiani risultano essere oggi tra i più obsoleti e meno frequentati d’Europa, lontani dalle scintillanti, seppur poco originali, arene che un po’ ovunque continuano a sorgere nel Vecchio Continente. A pensarci bene, poi, i nuovi impianti da noi portano davvero poca fortuna, considerando che a Padova, Reggio Emilia, Monza, Campobasso e Ancona l’arrivo del nuovo stadio ha coinciso con sconcertanti débàcle delle squadre e rovinosi tracolli delle rispettive società. Per non parlare degli ultimi a provarci, Messina e Teramo, in un baleno scomparsi dalla mappa del calcio che conta. Meglio, dunque, volgere io

sguardo al passato dei nostri vecchi spalti, che del resto raccontano una storia davvero italiana, nel bene e nel male. Una storia segnata da errori, sprechi, degrado, eccessi ed approssimazione, ma anche ricca di gloria, successo e talento. Penso soprattutto al vecchio stadio fiorentino costruito nel 1930 da Nervi, mai compreso e apprezzato abbastanza. Eppure si trattò di rivoluzione allo stato puro con il suo insolito profilo asimmetrico, l’uso innovativo del cemento armato lasciato polemicamente in vista, il dinamismo delle scale elicoidali, l’audace copertura a sbalzo, l’imponente torre di maratona che segnarono un inequivocabile punto di svolta nell’impiantistica moderna, dimostrando la possibilità di eludere gli schemi allora esistenti legati alle forme classiche ed ai materiali tradizionali. Se nel tempo la forma architettonica delle strutture è variata poco o nulla, lo spettacolo - ahimè spesso indegno si è avvicinato poco per volta agli spalti finendo addirittura per riscrivere in parte le regole del gioco. Basta guardare il settore ospite dì qualsiasi stadio italiano attuale: è una trincea di gabbie, cancellate, fossati e reti protettive. Ben pochi sono oggi i nostri stadi degni di nota sotto il profilo architettonico, se si eccettuano le suggestive arene costruite ancora nell’era fascista. Del resto, sono proprio gli impianti a non lasciarsi amare, avviliti tra scomode tribune in tubi metallici e poco eleganti soluzioni architettoniche figlie di discutibili ristrutturazioni ripetutesi nel tempo. Un patrimonio affettivo e nulla più. Oneste arene ovali senza troppe pretese, seppur spesso di grandi dimensioni. Si salvano solo i campi che possiedono una loro identità, quelli che, indipendentemente dai risultati raggiunti dalla squadra che ospitano, trasudano storia, tradizione e ricordi. E che ti lasciano assaporare l’acre odore inebriante delle mille sfide infernali che ogni campo polveroso porta con sé, trascinandolo tra gli spalti al centro del cuore di ogni tifoso, l’unica vera arena che conta. I nostri stadi hanno tanto da raccontarci, sta a noi saperli ascoltare. Perché ciò che è scritto vive.

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A ACREALE SICILIA • STADIO TUPPARELLO

AGRIGENTO SICILIA • STADIO ESSENETO

ALESSANDRIA PIEMONTE • STADIO G. MOCCAGATTA

ANCONA MARCHE • STADIO DEL CONERO

ANDRIA PUGLIA • STADIO DEGLI ULIVI

AOSTA VALLE D’AOSTA • STADIO M. PUCHOZ

AREZZO TOSCANA

• STADIO CITTÀ DI AREZZO

ASCOLI MARCHE

• STADIO C. E L. DEL DUCA

AVELLINO CAMPANIA

• STADIO PARTENIO A. LOMBARDI

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STADI D’ITALIA


• Stadio TUPPARELLO

SICILIA

COSTRUZIONE 1993 CAPIENZA 8.000 DIMENSIONI 105 X 67

Via Pasiano, 95024 Acireale (CT)

ACIREALE SICILIA • STADIO TUPPARELLO

ACIREALE

Il Tupparello come appariva nel 1994, ancora privo della tribuna.

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o Stadio Tupparello ospita le gare dell’ AS Acireale dalla stagione 1993-94, la prima disputata dalla società granata nella serie cadetta. Il nuovo impianto, inaugurato il 28 agosto 1993 con una inopinata sconfitta per 1 a 0 contro l’Ascoli, andò a sostituire il vecchio Comunale di Piazza Cappuccini, situato in pieno centro città, che poteva accogliere all’incirca 3.500 spettatori, divisi tra la tribuna centrale coperta – realizzata principalmente con una struttura di tralicci d’acciaio – la prospiciente gradinata, conosciuta come “fossa dei leoni”, ed il settore di curva destinato agli ospiti. Il vecchio stadio, originariamente intitolato a Casimiro Carpinati ed orientato in maniera perpendicolare rispetto all’attuale assetto, fu inaugurato

l’8 novembre 1930 in occasione della gara di III Divisione con il Cefalù, terminata 1 a 1 di fronte a numerose eminenti personalità acesi di allora, tra cui il Vescovo Evasio Colli, il Podestà Pietro Grassi ed il Segretario Politico Ten. Alessandro Politi. Nel 1952 lo stadio fu intitolato alla memoria del Cavaliere del Lavoro Peppino Puglisi, pioniere dello sport locale e presidente dell’Acireale nel 1931. Complice la mancanza della pista di atletica, il campo permetteva ai tifosi di essere davvero il dodicesimo uomo in campo e in molte circostanze gli spalti si trasformavano in una bolgia infernale per i malcapitati visitatori. Il campo di Piazza Cappuccini, o quel che ne resta, ospita adesso le gare delle squadre minori dell’Acese (Real Aci, STADI D’ITALIA

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• STADIO TUPPARELLO SICILIA ACIREALE

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Aci Platani, e fino a poco tempo fa Aci S. Antonio). Lo Stadio Tupparello fu costruito assieme al Palazzetto dello Sport nell’omonima area coltivata ad agrumeto poco fuori dal centro cittadino, non lontano dal confine con la frazione di Aciplatani. Il nome della zona deriva dal termine locale “Tuppa”, ossia spazzatura, perché nei pressi tempo addietro vi era una discarica. Il Tupparello venne in verità edificato nei primi anni Settanta e inaugurato già nel corso della stagione 1973-74 in occasione di un derby con il Catania nel campionato di Serie C. Il campo era in terra battuta e una tribuna sorgeva nella zona oggi occupata dal parcheggio antistante lo stadio. Poi, a causa della mancanza di alcune autorizzazioni, lo stadio non venne più concesso per manifestazioni pubbliche e fu utilizzato soltanto nella stagione 1983-84 come campo d’allenamento del Catania, allora impegnato nel campionato di Serie A. Dopo la ristrutturazione del 1993, il nuovo impianto poteva accogliere oltre 6.000 spettatori, ospitati in parte nella tribuna centrale e in parte sulle due curve: la Sud interamente destinata ai tifosi acesi, la Nord parzialmente condivisa con la tifoseria ospite. Da quest’ultimo settore è possibile scorgere in lontananza l’azzurro delle acque dello Ionio. Sul lato opposto alla tribuna centrale, separati attraverso l’area che ospita la tribuna stampa e il tunnel che consente l’ingresso in campo delle squadre, si trovano due bizzarri edifici a forma trapezoidale al cui interno sono stati ricavati gli spogliatoi ed altri uffici. Nella seconda metà degli anni Novanta ebbe inizio la costruzione della nuova tribuna che è costituita, in realtà, dal naturale prolungamento verso l’alto dei precedenti spalti. A differenza del resto dell’impianto che è costruito in muratura e rimane scoperto, il nuovo settore è stato realizzato con una struttura in metallo e risulta dotato di copertura. All’interno della Tribuna è prevista in futuro la realizzazione di palestre e locali destinati prevalentemente ad altre attività sportive. Il rettangolo di gioco del Tupparello è attorniato dalla pista di atletica che allontana il campo dagli spalti e rende ancora meno agevole seguire lo svolgimento della gara, perlomeno da parte del pubblico che occupa i settori di curva, ben poco sviluppati in altezza. Fino al 2008 lo stadio è rimasto privo dell’impianto di illuminazione artificiale, nonostante le continue richiesta dai comitati cittadini sorti per sostenere il completamento dell’impianto che ancora presenta alcune lacune strutSTADI D’ITALIA

turali, soprattutto nel settore di Tribuna, legate principalmente ai sistemi di videosicurezza ed ai canali di accesso e deflusso degli spettatori. Nel 2004, la decisione dell’ex-patron acese Antonino Pulvirenti di acquistare il Catania Calcio e trasferire alla società etnea buona parte di giocatori e dirigenti destabilizzò sensibilmente l’ambiente granata, riaccendendo la vecchia rivalità che da sempre separa le due tifoserie e, più in generale, le due città. La crescita di Catania è in verità passata spesso attraverso la progressiva penalizzazione di Acireale sotto il profilo economico, giuridico e burocratico, suscitando il disappunto della popolazione locale e persino la nascita di un movimento di opinione diretto a promuovere la città ed il territorio delle “Aci” (Aci Castello, Acitrezza, Acicatena, ecc.) e a richiedere l’istituzione della provincia regionale di Acireale o Consorzio delle Aci. La mancata promozione dei granata in Serie B al termine dei playoff 2004, e ancor più il disastroso epilogo societario che relegò l’Acireale in Promozione due anni più tardi, hanno privato il Tupparello del sentito derby che in passato ha regalato non poche emozioni e, purtroppo, anche qualche eccessiva intemperanza tra le tifoserie, testimoniata eloquentemente dalle scritte che hanno deturpato i muri dello stadio in occasione del primo scontro nella serie cadetta. Lontano è ormai il ricordo dei soccorsi prestati agli abitanti di Catania scampati nel 1669 all’eruzione lavica del vicino Etna. Ma già allora gli acesi, con l’attributo Reale affiancato al nome della città dal sovrano Filippo IV, avevano voluto orgogliosamente sottolineare nei confronti di tutti i vicini centri baronali la diretta soggezione al regio demanio. Una concordia di intenti con i regnanti spagnoli e uno scarso feeling con i vicini rivali del resto confermati dalla dicitura dello stemma comunale: Acis civitas amplissima et fida regibus.


• Stadio PARTENIO A. LOMBARDI

CAMPANIA

L

’Avellino Calcio, al pari di molte altre società sportive sorte nei primi anni del secolo scorso, mosse i primi passi sul piazzale utilizzato per le esercitazioni militari, la Piazza d’Armi. Il terreno, opportunamente sistemato per poter ospitare gli incontri, fu inaugurato il 2 giugno 1929 con l’intervento dell’On. Avv. Gigi Lanfranconi e assunse la denominazione di Campo Littorio prima di essere intitolato alla memoria di Ugo De Fazio, Centurione delle Camicie Nere d’Eritrea caduto in battaglia sul suolo africano il 27 febbraio 1936. Il campo sportivo tornò poi ad essere conosciuto semplicemente come Piazza d’Armi e venne incredibilmente utilizzato ininterrottamente fino al 1970, allorché fu demolito per far posto al nuovo Tribunale di Avellino. La piazza viene ancora talvolta utilizzata dai tifosi biancoverdi per dar vita a colorati caroselli nei momenti di esultanza collettiva. Inizialmente l’impianto

COSTRUZIONE 1970 CAPIENZA 16.540 DIMENSIONI 105 X 66

Via Zoccolari, 83100 Avellino

aveva una capienza limitata a cinquecento posti ed era delimitato dalla recinzione in legno fatta costruire nel 1934 dal presidente Alfonso Di Marzio, proprietario delle famose miniere di zolfo di Tufo. Negli anni Quaranta venne aggiunta una piccola tribuna e, attraverso successivi interventi di ampliamento, la struttura arrivò a poter ospitare 2.000 persone a sedere. Nel 1945, con le pietre di tufo destinate in un primo momento alla costruzione del rione Corea da parte dell’Istituto Case Popolari, fu eretta la nuova recinzione della Piazza d’Armi ad opera della ditta di Alfredo Iandolo. Il campo in terra battuta venne sostituito solamente nel 1965 con l’innesto del manto erboso. Dal 1970 i lupi irpini (Hyrpus, “lupo” in lingua osca, da cui il simbolo societario) disputano le proprie gare interne al nuovo stadio comunale, il Partenio di Contrada Zoccolari, realizzato dall’ingegnere Palmo-

AVELLINO CAMPANIA• STADIO PARTENIO A. LOMBARDI

AVELLINO

Il Partenio negli anni Ottanta. Sulla destra le strutture prefabbricate di Campo Genova (Foto A. Petruzziello)

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• STADIO PARTENIO A. LOMBARDI CAMPANIA AVELLINO

lella ed inaugurato il 13 dicembre dello stesso anno con una gara valida per il torneo di Serie C1 contro il Brindisi, terminata a reti inviolate. Originariamente lo stadio di Avellino aveva una capienza di 20.000 spettatori e consisteva soltanto della tribuna coperta e della Curva Nord, composta di un unico anello. La struttura rimase inalterata per i primi anni di vita fino a quando nella stagione 1977-78 venne sistemato lo spiazzo dell’attuale Tribuna Terminio con una struttura in tubi metallici e panche di legno. L’anno successivo, con la promozione dell’Avellino in Serie A, l’impresa del presidente ascolano Costantino Rozzi realizzò l’attuale Curva Sud e la Tribuna Terminio, mentre la Curva Nord continuò a restare in esercizio con la struttura originaria per un altro anno prima di essere riedificata nella versione attuale. Al vulcanico Rozzi, costruttore e progettista di numerosi impianti, sono evidentemente dovute le diverse somiglianze che è possibile rintracciare tra il campo irpino ed altri stadi in Italia. Il “nuovo” Partenio fu inaugurato a tempo di record per la partita con il Verona della stagione 1978-79. L’attuale assetto del Partenio fu raggiunto però soltanto a cavallo degli anni Ottanta in seguito a diversi interventi

ed ampliamenti operati di pari passo con i crescenti successi della squadra sul campo. Ciò avvenne non senza polemiche, come è facile immaginare, ricordando il tremendo terremoto che colpì l’Irpinia nel novembre del 1980. La necessità di ricostruire le abitazioni distrutte e sostituire le precarie strutture prefabbricate (rimaste invece per diversi anni) accesero lo scontro politico che si intrecciò ulteriormente con il desiderio della gente di rimanere aggrappata all’unico forma di svago dopo essere rimasta a lungo traumatizzata dalle violente scosse sismiche. La più grande area destinata all’accoglienza dei terremotati, denominata Campo Genova, fu approntata appena dietro la Curva Nord, nella zona oggi utilizzata come parcheggio per i tifosi ospiti. A partire dal 1978 lo stadio irpino visse ininterrottamente dieci anni di Serie A durante i quali fu instaurata la spietata legge del Partenio, cui si inchinarono prima o poi tutte le grandi squadre di allora. Sotto una pioggia torrenziale, lo stadio di Avellino ospitò anche la Nazionale azzurra di Bearzot, impegnata alla vigilia dei Mondiali del 1986 in una gara amichevole persa contro la Germania di Rummenigge guidata dal Kaiser Beckenbauer. Inoltre ad Avellino ha giocato due

Il Partenio, oggi co-intitolato ad Adriano Lombardi

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che tempo sono state prospettate nuove modifiche da apportare al Partenio, in particolare la rimozione della pista di atletica con il riavvicinamento degli spalti al terreno di gioco e la sostituzione delle recinzioni protettive con i pannelli di plexiglas. Lo stadio, distante circa tre chilometri dal centro cittadino, è fornito di un ampio parcheggio, spesso utilizzato anche in occasione della manifestazioni ospitate al vicino Palazzetto dello Sport Giacomo Del Mauro. La vista panoramica dagli spalti è suggestiva solamente dalla Curva Sud e dalla Tribuna Terminio, col Monte Partenio (o Montevergine) che sovrasta l’impianto, cui del resto dà il nome. Discreta è invece la visuale del campo di gioco da ciascun settore, anche se la qualità peggiora decisamente sedendo sui gradini più vicini al livello del terreno. Meno buone le condizioni del manto erboso, svantaggiato dal clima eccessivamente piovoso di Avellino. Lo stesso campo di gioco del Partenio fu a lungo utilizzato come pista di atterraggio da Elio Graziano, ex Presidente della società biancoverde, che spesso si recava alle partite in elicottero. Degno di un ultimo cenno di nota è il monumento ai tifosi scomparsi nella tragedia dell’Heysel, realizzato da Giovanni Spinello ed inaugurato dietro la Curva Nord dal Club Juve Avellino a ricordo di quel tristissimo giorno. Il covo del tifo organizzato avellinese è la Curva Sud, spesso teatro di spettacolari coreografie che fortunatamente allontanano il ricordo di alcuni fatti di cronaca incresciosi che pure ebbero luogo, come le croci affisse nel terreno di gioco con i nomi dei calciatori nel 1992 o, ancor più, la triste invasione di campo attuata dai tifosi del Napoli poco prima dell’inizio del derby del settembre 2003 che costò la vita al giovane Sergio Ercolano, precipitato da una tettoia in plexiglas. Del Partenio meglio ricordare la celebre esultanza del brasiliano Juary attorno alla bandierina dopo ogni rete segnata, una vera danza liberatoria attraverso la quale il minuto attaccante riuscì mirabilmente a conciliare la naturale gioia sudamericana con il folklore irpino. Dal 28 novembre 2010 l’impianto è co-intitolato ad Adriano Lombardi, avellinese d’adozione, indimenticabile ex calciatore, capitano, allenatore e bandiera della squadra irpina, stroncato prematuramente dalla Sla.

STADI D’ITALIA

AVELLINO CAMPANIA• STADIO PARTENIO A. LOMBARDI

volte l’Under 21, quella di Maldini e quella di Gentile, ed una volta la Nazionale militare. Da ricordare anche la finale di ritorno di Coppa Uefa che vide di fronte Juventus e Fiorentina, il 16 maggio 1990. Lo stadio ha attualmente una capienza effettiva di 26.000 spettatori (16.500 quella ufficiale), più volte abbondantemente superati nelle gare di cartello durante la lunga permanenza dell’Avellino nella massima divisione. Di forma ovale, il Partenio è suddiviso in cinque settori: le due curve, la Tribuna Terminio, la Tribuna Montevergine – dotata di copertura e di seggiolini in plastica – ed il piccolo settore destinato alle tifoserie ospiti situato tra la Curva Nord e la Tribuna Terminio, da cui rimane separato attraverso un sistema di reti protettive. Gli spalti sono disposti su due anelli, tranne che nella Tribuna Montevergine che ne conta uno solo ed è a sua volta divisa in più settori, due laterali, uno centrale e un’area in cui vengono ospitate le autorità. Al suo interno figurano anche le postazioni televisive e la cabina dello speaker. Sul lato opposto, ove è situata anche l’uscita per gli spogliatoi, la Tribuna Terminio ospita la Tribuna Stampa, intitolata al giornalista Giuseppe Pisano e situata sulla sommità degli spalti. Essa è raggiungibile attraverso un ascensore interno che, per i tempi in cui fu costruito, rappresentava davvero un elemento di prestigio per l’impianto. In cima alla Curva Nord è posto un tabellone elettronico, sostituito nel 1993 con il vecchio display dell’Olimpico di Roma ma rimasto inutilizzato dal 1995, come del resto la pista di atletica che mai ha ospitato manifestazioni ufficiali di una certa rilevanza. All’interno delle mura dello Stadio Partenio sono presenti anche una palestra comunale (con tribuna da 200 posti a sedere) dove giocano diverse formazioni di pallavolo e la squadra di basket femminile ACSI ’90, ed un campo di calcio regolamentare denominato Partenio B. Un’altra palestra è stata inoltre ricavata sotto la Curva Nord. Negli ultimi anni le uniche modifiche di rilievo sono state l’eliminazione dei due piccoli settori Distinti (Est ed Ovest) inglobati definitivamente nella Curva Sud nell’estate 2003; il nuovo ingresso degli spogliatoi (ora provvisto di tunnel scorrevole presso la Tribuna Terminio e non più posto a bordo campo) e l’infossamento delle panchine, un tempo situate al livello del terreno di gioco, quest’ultimo da poco allargato di circa 5 metri per permettere la delineazione dell’area tecnica per gli allenatori. Da qual-

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• STADIO D. MANUZZI EMILIA ROMAGNA CESENA

CESENA • Stadio D. MANUZZI Via dello Stadio, 100 47023 Cesena

COSTRUZIONE 1957 CAPIENZA 24.000 DIMENSIONI 105 X 65

EMILIA ROMAGNA

Il campo ricavato sul prato dell’Ippodromo.

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Cesena il calcio comparve soltanto al termine del primo conflitto mondiale, grazie ad un gruppo di appassionati capeggiati da Aldo Proli che nel 1921 fondarono la “US Renato Serra”. La prima compagine romagnola, intitolata alla memoria del giovane letterario cesenate caduto valorosamente sul Carso, riprendeva i colori bianconeri del vessillo cittadino ed utilizzava come campo di gioco lo sconnesso terreno della cosidetta Barléda, situato nella zona di Martorano, nella periferia nord, vicino al fiume Savio. Successivamente, nel marzo del 1922, la squadra si spostò nel campo sportivo realizzato presso il parco dell’odierno Istituto Tecnico Industriale, allora un ospedale, in zona Casali. La nuova struttura era munita di una tribuna scoperta, di spogliatoi situati in alcune baracche di legno e di una pista d’atletica utilizzata anche per le gare motociclistiche. Qui la squadra giocò fino alla stagione 1927-28, prima di trasferirsi nel più accogliente 104

STADI D’ITALIA

impianto del trotto all’Ippodromo, dotato anche di una tribuna coperta. Il campo, ricavato al centro della pista dei cavalli, fu utilizzato dalla US Renato Serra fino al suo scioglimento, avvenuto nel 1936, e successivamente dall’AC Cesena formatasi quattro anni dopo. Tuttavia, verso la metà degli anni Cinquanta, il crescente entusiasmo sorto attorno alla squadra e i progetti di crescita della Società Corse al Trotto evidenziarono la necessità di creare spazi e strutture separate per le gare di calcio ed ippica. Ciò avvenne nel 1957 con la costruzione del nuovo stadio in località La Fiorita, nel quartiere Fiorenzuola della periferia orientale della città. Anche gli appassionati di ippica furono premiati con un nuovo prestigioso ippodromo destinato a diventare un punto di riferimento per le corse di cavalli in Europa. Inizialmente, nella stagione 1957-58 che vedeva il Cesena ancora impegnato nel Campionato Interregionale, lo Stadio La Fiorita era composto da una tribuna


timone del suo Cesena. Manuzzi, che nel 1970 ispirò la figura di Benito Fornaciari nell’immortale pellicola “Il presidente del Borgorosso Football Club” del grande Alberto Sordi, è ricordato anche dalla scultura in bronzo posta in prossimità della vecchia tribuna. Dopo il ritorno della squadra in Serie A nel 1987, lo stadio cesenate venne interamente ricostruito in soli cinque mesi, con l’eccezione della Tribuna, parzialmente ristrutturata soltanto nella stagione 1999-2000. A lavori ultimati, nel 1989, il Manuzzi arrivò a contenere 28.000 spettatori e divenne il primo impianto in Italia ad essere coperto in ogni ordine di posti. Negli anni a seguire la capienza complessiva venne tuttavia ridotta a seguito della numerazione della tribuna e in ottemperanza alle nuove leggi sulla sicurezza. Nel 1999 il Manuzzi ospitò anche le gare del torneo Intertoto della Juventus, la quale - forte di un cospicuo numero di sostenitori in Romagna - ha spesso disputato a Cesena incontri amichevoli. Oggi lo stadio Dino Manuzzi, caratterizzato dall’inconfondibile copertura metallica dipinta internamente di rosso, si presenta strutturato su due livelli, tranne che nell’immutato piccolo settore di Tribuna (1.844 posti), con gli spalti situati a ridosso del terreno di gioco. La tifoseria locale trova spazio nella Curva Mare, capiente 6.212 posti come la Curva Ferrovia destinata agli ospiti sul fronte

cesena EMILIA ROMAGNA • STADIO D. MANUZZI

semicoperta sul lato ovest di fronte alla quale sorgeva una piccola gradinata di soli quattro gradoni. L’impianto venne inaugurato con una gara che vide il Cesena misurarsi con il Fidenza in una giornata ricca di discorsi, proclami, musica e danze. Quattro anni più tardi venne terminata la copertura della Tribuna e fu ampliata la struttura della Gradinata con quattro gradoni supplementari. Il sistema di illuminazione, inaugurato nel 1966 durante una gara con il Perugia, precedette di due anni la costruzione di un’impalcatura in legno eretta sul lato nord. Questa venne ricostruita in cemento l’anno seguente assieme alla curva sul lato opposto che di fatto risultarono in un prolungamento della Gradinata. Nell’occasione venne anche estesa la tribuna coperta che portò la capienza complessiva dello stadio a circa 12.000 spettatori. Nuovi lavori di ristrutturazione videro nell’area delle curve e della Gradinata la costruzione di impalcature in legno sorrette da tubi metallici che triplicarono l’altezza degli spalti. Il 10 febbraio 1974, per un incontro con il Milan, venne realizzato il record di spettatori per lo stadio cesenate: 35.991 spettatori, compresi i 6.112 abbonati (la media annuale di presenze fu di 21.201). Nel corso della stagione 1982-83 lo stadio venne intitolato al comm. Dino Manuzzi, presidentissimo della società dal 1964 al 1980 ed artefice di gloriose imprese al

Lo Stadio La Fiorita nei primi anni Sessanta, ancora privo dei settori di curva.

STADI D’ITALIA

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• STADIO D. MANUZZI EMILIA ROMAGNA CESENA

Lo Stadio La Fiorita, sullo sfondo la Rocca Malatestiana sul Colle Garampo (Edizioni Fotocolor)

opposto; la Gradinata – oggi denominata Distinti – può ospitare invece fino a 9.592 spettatori. La struttura particolarmente leggera degli spalti fa sì che gli stessi oscillino vertiginosamente assieme alla copertura quando gli spettatori cominciano a sostenere la squadra saltellando tutti assieme. Quanto alla visuale del terreno di gioco, gli spalti del Manuzzi non temono davvero confronti con alcun altro impianto in Italia, soprattutto dopo la parziale rimozione dei fastidiosi pannelli di vetro posizionati a bordo campo, sensibilmente ridotti in altezza dopo l’esibizione della Nazionale di rugby dell’13 agosto 2011 (Italia-Giappone 31-24). Il 28 ottobre 2009 il vicepresidente della società romagnola, Luca Mancini, durante una trasmissione televisiva locale affermò di voler valutare seriamente l’ipotesi di realizzare l’ultimazione dello stadio Manuzzi con la costruzione della tribuna mancante in vista di una sorprendente quanto improbabile candidatura dello stadio cesenate per gli Europei 2016, poi assegnati 106

STADI D’ITALIA

alla Francia. Del resto la tifoseria cesenate non ha mai fatto mancare il proprio caloroso sostegno alla Nazionale italiana, fin dalla prima apparizione del 20 settembre 1989 quando 22.328 spettatori gremirono il Manuzzi per sostenere gli Azzurri del romagnolo Azeglio Vicini, impegnati in amichevole contro la malcapitata Bulgaria di Stoichkov, seppellita sotto quattro reti al termine dell’incontro. I recenti progressi del Cesena, culminati nel 2010 con il ritorno della squadra nella massima serie, portarono a nuovi lavori di ristrutturazione. Il terreno di gioco nell’agosto 2011 fu sostituito da un campo in erba sintetica, il primo in serie A assieme a quello del Novara, furono rimosse le reti protettive dietro ciascuna porta e in Curva Ferrovia fu inserito un mega-schrmo; il settore inferiore dei Distinti, infine, venne dotato - oltre che di una nuova club house - di seggiolini al posto delle vecchie panche gialle. Nell’occasione furono aggiunte in fondo due file di seggiolini, rendendo così gli spalti del Manuzzi i più vicini al terre-


Lo Stadio Dino Manuzzi, il primo impianto italiano coperto in ogni ordine di posti .

STADI D’ITALIA

cesena EMILIA ROMAGNA • STADIO D. MANUZZI

no di gioco in Italia (soltanto due metri, contro i tre di San Siro, i quattro di Bergamo e Firenze, gli addirittura sette metri e mezzo del nuovo stadio juventino). Ultima innovazione a livello nazionale, l’introduzione, nel settembre 2011, di due “Real Box”, prestigiosi (e sostanzialmente inutili) salottini dotati di ogni comfort, in grado di ospitare otto persone, realizzati in prossimità dei calci d’angolo.

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• STADIO DI REGGIO EMILIA CITTÀ DEL TRICOLORE EMILIA ROMAGNA REGGIO EMILIA

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REGGIO EMILIA • Stadio DI REGGIO EMILIA CITTÀ DEL TRICOLORE P.le Atleti Azzurri d’Italia, 1 42100 Reggio Emilia

L

COSTRUZIONE 1995 CAPIENZA 29.546 DIMENSIONI 105 X 68

o Stadio Giglio di Reggio Emilia è noto per essere stato il primo impianto moderno di proprietà di una società di calcio (e successivamente di un Tribunale!) ed ha mille altri motivi di distinzione sufficienti da soli a sottolinearne il prestigio a livello nazionale. Tuttavia nel centro emiliano ogni discorso legato al calcio ha ruotato per lungo tempo attorno al vecchio Stadio Mirabello ed alla sua storia ormai secolare, cominciata ai primi del Novecento sui prati dell’area immediatamente a sud del Bastione di San Pietro, sgomberata attorno alle mura dal Duca Ercole II nel 1551. Il suggestivo panorama, favorito dall’assenza di ostacoli, spiega con ogni probabilità l’origine del nome del-

EMILIA ROMAGNA la zona circostante, scelta come terreno di gioco dalle numerose compagini cittadine quando la spianata prospiciente la palestra di Via Guasco divenne insufficiente. Il 24 aprile 1910 il prato del Mirabello ospitò già il primo derby emiliano tra i locali della Robur et Virtus e la Studentesca di Modena. Nel 1913 venne aggiunta una recinzione in legno sostituita da un muro alto due metri eretto sei anni più tardi con la nascita della Reggiana. Delle quattro porte di accesso, tre si affacciavano sulla Via Emilia, l’ultima sulla fornace posta di fronte alla polveriera dell’esercito. Furono i prigionieri austroungarici a costruire le prime strutture del Mirabello, tra cui le gradinate e la Tribuna,

Il Mirabello. Rimangono solo gli spalti della tribuna coperta.

STADI D’ITALIA


do all’Amministrazione Comunale di Reggio Emilia (destinata comunque a divenire proprietaria dell’impianto dopo cinquant’anni) il solo onere delle opere di urbanizzazione, venne di fatto introdotto un innovativo rapporto tra pubblico e privato, premiato da un sensibile contenimento dei costi e da rapidi tempi di esecuzione dei lavori. Del resto a Reggio Emilia già nel 1860 una sottoscrizione privata aveva consentito di ricostruire il Teatro Municipale, il più importante della città. Attraverso un’efficiente campagna di comunicazione, articolata in pubblicità, azioni di pubbliche relazioni e coinvolgimento delle forze economiche e sociali attorno allo slogan “Diventa socio, costruttore di un sogno”, fu costituita una società ad hoc, poi diventata proprietaria dello stadio con l’A.C. Reggiana in veste di azionista di maggioranza. Per ultimo furono coinvolte diverse aziende reggiane, a trenta delle quali furono offerti altrettanti palchi e suites con 8 posti a disposizione per 10 anni. L’ambizioso progetto legato allo Stadio Giglio terminò bruscamente nel 2005 con il disastroso fallimento della società emiliana che vide l’impianto passare nelle mani del curatore fallimentare. Situato nell’immediata periferia di Reggio Emilia, l’ex Stadio Giglio ha una capienza di poco inferiore ai 30.000 posti a sedere e dispone di ampi parcheggi per oltre 10.000 posti auto che sorgono nelle vicinanze dell’impianto, cui sono collegati da un servizio di bus navetta in verità oggi funzionante solo per gli incontri di maggiore importanza. Gli spalti sono assai compatti ed avvolgenti con le gradinate che scendono a picco verso il campo lasciando gli sportivi a stretto contatto con il terreno di gioco. Le strutture del Giglio furono realizzate con strutture di cemento prefabbricato mentre sono in legno lamellare le coperture rette da tiranti in acciaio. Lo stadio è dotato di moderni sistemi di sicurezza, tra cui il monitoraggio di metaldetector agli ingressi ed un circuito di riprese TV per il controllo interno ed esterno dell’impianto. Inoltre, un’intelligente disposizione di spalti, parcheggi ed ingressi separa completamente le due tifoserie evitandone pericolosi contatti. Lo Stadio Giglio fu realizzato in soli otto mesi e venne inaugurato il 15 aprile 1995 con una prestigiosa gara di campionato contro la Juventus, uscita al termine vittoriosa per 2 a 1. Senza grosse sorprese, la città del Tricolore non tardò ad ospitare anche la Nazionale azzurra: il 15 novembre 1995, in una gara valida per le eliminatorie del Campionato EuSTADI D’ITALIA

REGGIO EMILIA EMILIA ROMAGNA • STADIO DI REGGIO EMILIA CITTÀ DEL TRICOLORE

quest’ultima coperta soltanto nel 1921. Negli anni a seguire assieme ai primi edifici circostanti cominciarono ad affiorare le prime perplessità riguardo all’adeguatezza dell’impianto. Solo negli anni Sessanta la carbonella lasciò il posto al manto erboso, mentre le gradinate in impalcature tubolari e legno vennero sostituite solamente nei primi anni Ottanta allorché furono ricostruite in cemento la Curva Sud, i Distinti e la piccola curva situata nei pressi dell’l’Hotel Europa. Di quegli anni sarà difficile per gli sportivi reggiani dimenticare il gracidio degli altoparlanti che diffondevano canzoni e pubblicità separate da un artigianale colpo di gong ottenuto battendo su un vecchio coperchio. Il crescente successo sul campo della formazione reggiana portò alla discussa costruzione della nuova Tribuna Everest nel 1988. Cinque anni più tardi la truppa guidata da Pippo Marchioro raggiunse la storica promozione nella massima serie rivelando ancor più i limiti strutturali del Mirabello e il disagio dei residenti stanchi di vivere domeniche blindate. Il 2 aprile 1995 la Reggiana affrontò l’Inter in quella che fu l’ultima gara disputata al vecchio impianto della città emiliana, pur se in verità i granata tornarono al Mirabello in una domenica di ottobre del 1999, affrontando “in trasferta” i gialloblu del Brescello di fronte ad oltre ottomila spettatori. Nel 2002 il Mirabello venne demolito quasi interamente lasciando in vita solamente l’ampia Tribuna ed il rettangolo di gioco, utilizzato oggi per le gare del rugby e per quelle della squadra femminile della Reggiana. Se, logicamente, l’abbandono del vecchio stadio non fu indolore per i tifosi della Regia, il nuovo palcoscenico si presentò in maniera superba ed estremamente efficiente. Come detto, lo Stadio Giglio (dal marzo 2012 rinominato pomposamente Stadio di Reggio Emilia, Città del Tricolore in attesa di un nuovo sponsor) è l’unico impianto italiano di proprietà, almeno inizialmente, di una società di calcio e ciò contribuisce a spiegare l’origine e la presenza di tanti dettagli strutturali e l’opportuna disposizione degli spalti pensati esclusivamente per assistere alle gare della squadra emiliana. Alla realizzazione del nuovo impianto contribuirono infatti esclusivamente risorse private, tra cui la nota azienda casearia che fino al 2005 ha fornito il nome alla struttura e le altre tre aziende, un centro commerciale e due istituti bancari, che hanno sponsorizzato a loro volta tre settori dello stadio. Lascian-

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S SALERNO CAMPANIA • STADIO ARECHI

SALÒ LOMBARDIA • STADIO L. TURINA

S. BENEDETTO DEL T. MARCHE • STADIO RIVIERA DELLE PALME

S. GIOVANNI V. TOSCANA • STADIO V. FEDINI

SAN MARINO REP. DI SAN MARINO • STADIO OLIMPICO DI SERRAVALLE

SANREMO LIGURIA • STADIO COMUNALE

SANTA CROCE SULL’ARNO TOSCANA • STADIO L. MASINI

SASSARI SARDEGNA • STADIO V. SANNA

SASSUOLO EMILIA ROMAGNA • STADIO E. RICCI

SAVONA LIGURIA

• STADIO V. BACIGALUPO

SESTO S. GIOVANNI LOMBARDIA • STADIO BREDA

SIENA TOSCANA • STADIO A. FRANCHI

SIRACUSA SICILIA • STADIO N. DE SIMONE

SORA LAZIO

• STADIO C. TOMEI

SORRENTO CAMPANIA • STADIO ITALIA 346

STADI D’ITALIA


• Stadio ARECHI

CAMPANIA

U

ltimato nel 1990, lo Stadio Arechi di Salerno è uno degli impianti più moderni attualmente esistenti in Italia. La sua realizzazione richiese quasi tre anni di lavori, eseguiti su progetto degli architetti Della Monica e Spezzaferri, convocati dall’allora sindaco democristiano Scozia intenzionato ad eseguire un più generale restyiling della città sotto il profilo delle opere pubbliche e dell’edilizia. In quegli anni furono infatti programmate anche l’attivazione della metropolitana e la costruzione del “trincerone”, la realizzazione del lungomare e di diversi arredi urbani. Il nuovo impianto sportivo fu realizzato in zona San Leonardo, lungo la litoranea, un’area periferica della città in grado di garantire la possibilità di ampi parcheggi e un più efficiente utilizzo della struttura da

COSTRUZIONE 1990 CAPIENZA 37.500 DIMENSIONI 105 X 68

Via S. Allende, 84100 Salerno

parte dei tifosi. La zona è facilmente raggiungibile anche dalla tangenziale e dalla vicina fermata per la metropolitana leggera che consente, soprattutto alle tifoserie ospiti, di arrivare direttamente in treno davanti allo stadio. La realizzazione del nuovo impianto – cui fu dato il nome dell’antico principe longobardo già ricordato dall’omonimo castello che domina la città campana – portò alla chiusura del glorioso ma obsoleto Stadio Donato Vestuti, teatro della storica promozione della Salernitana in Serie A al termine della stagione 1946-47, che sorgeva invece nel centro storico della città con il suo bizzarro profilo racchiuso da suggestivi muri bianchi. Lo stadio, sorto nel 1932 come Campo Littorio, nel dopoguerra mutò il nome più volte, passando dalla ge-

SALERNO CAMPANIA • STADIO ARECHI

SALERNO

Il bizzarro profilo dello Stadio Vestuti.

STADI D’ITALIA

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• STADIO ARECHI CAMPANIA SALERNO

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nerica denominazione di Stadio Comunale, a quella di Stadio Casalbore, decisa nel 1950 in onore del giornalista salernitano Renato Casalbore, morto a Superga l’anno prima, fino ad arrivare nel 1955 a quella definitiva legata al ricordo dell’indimenticato presidente Vestuti, fondatore nel febbraio 1913 del Foot Ball Club Salerno. Il vecchio Littorio poteva contenere circa 12.000 spettatori, cui andavano aggiunti quelli assai numerosi che seguivano la gara dai balconi degli edifici sorti attorno allo stadio. Negli anni Ottanta l’incontro di Coppa Italia con il Napoli richiamò tuttavia una folla assai maggiore che entrò in campo e venne in parte accolta sopra la pista di atletica. Sebbene gli spalti si trovassero ad una certa distanza dal terreno di gioco proprio a causa della presenza delle corsie podistiche, il pubblico incuteva comunque un certo timore alle squadre avversarie, raramente incitate dai propri sostenitori in quanto l’impianto non possedeva un settore riservato alle tifoserie ospiti (ne sanno qualcosa i tifosi casertani ai quali le forze dell’ordine non permisero di assistere alla cruciale sfida della stagione 1989-90). Le squalifiche del Vestuti furono invero piuttosto frequenti, soprattutto negli anni Sessanta; il 28 aprile 1963 ci fu addirittura un lungo assedio scoppiato a seguito della gara con il Potenza in cui perse la vita il tifoso Giuseppe Plaitano, raggiunto da un proiettile accidentalmente sparato dalle forze dell’ordine. Platano, prima vittima all’interno di uno stadio, è ricordato da una lastra in marmo posta all’ingresso principale dello stadio salernitano. Il tifo organizzato della squadra granata (la cui divisa fu un omaggio al Grande Torino) occupava invece la Curva Sud, capiente circa 2.000 persone e conosciuta anche come Curva Nuova perché costruita in un secondo momento rispetto al resto dello stadio. La tribuna principale presentava un’interessante facciata ma non disponeva di alcuna copertura, solo una piccola pensilina in cima, mentre la gradinata in muratura dei Distinti era in parte completata da una struttura tubolare che ne aumentava la capienza. Costruito nei pressi di un terreno un tempo utilizzato come cimitero, lo Stadio Vestuti si portava dietro una comprensibile fama sinistra che, alimentata dalla proverbiale scaramanzia campana, contribuì a considerare il terreno di gioco poco adatto a glorie e successi sportivi. Nel 1962 l’impianto salernitano fu utilizzato dal regista Nanni Loy nel film “Le quattro giorSTADI D’ITALIA

nate di Napoli” per ricreare gli spalti dello Stadio del Vomero di Napoli dove in realtà avvennero le vicende narrate nella pellicola, in particolare il rastrellamento dei napoletani ad opera delle truppe tedesche. Il Vestuti, parzialmente rimodernato, è ancora oggi utilizzato dalle giovanili della Salernitana oltre che da altre squadre minori di calcio e da non poche società che praticano altri sport, tra cui rugby, baseball, football americano ed atletica. Come il precedente stadio anche il nuovo Arechi fu costruito sprovvisto di copertura, eppure si presentò fin dall’inizio come un gioiellino dell’architettura, disposto su due livelli e privo della consueta pista di atletica a testimoniarne la destinazione esclusivamente pensata per il calcio. Ai tifosi di casa fu riservata la Curva Sud, quelli ospiti vennero invece dirottati nell’anello inferiore della curva opposta, chiusi in una sorta di gabbia sul lato Tribuna. La capienza di 37.500 spettatori sottolineava i grandi progetti della città salernitana che immaginava per la sua squadra un pubblico più numeroso in grado di richiamare i tifosi di tutta la provincia. Inizialmente era stata prospettata addirittura una capienza maggiore, 44.000 posti, e la presenza di un tabellone elettronico da collocarsi sopra la Curva Nord. Dopo tanti anni di sofferta Serie C, alla Salernitana riuscì l’approdo alla serie cadetta nel 1990, proprio in occasione della definitiva realizzazione dell’Arechi che fu inaugurato alla prima di campionato il 9 settembre del 1990 con la partita tra Salernitana e Padova, valevole appunto per il campionato di Serie B e conclusasi sullo 0 a 0. Nell’occasione, in verità, furono aperti al pubblico soltanto la Tribuna ed i circa 13.000 posti dei Distinti (dove trovarono temporaneamente spazio gli ultras), mentre le due curve vennero aperte successivamente, durante lo stesso campionato. Dopo un inaspettato breve ritorno in Serie C, la squadra granata conobbe sul finire degli anni Novanta il suo periodo di maggior splendore, riconquistando addirittura la massima divisione il 10 maggio 1998 dopo oltre cinquant’anni di attesa e regalando così un degno e prestigioso palcoscenico allo stadio Arechi. La città visse tuttavia la promozione con la morte nel cuore in quanto soltanto cinque giorni prima aveva avuto luogo la tristemente nota alluvione di Sarno in cui avevano perso la vita parecchi concittadini. Il disagio ed il dolore per l’immane tragedia portarono alla saggia e comprensibile deci-


episodio destinato a macchiare l’immagine internazionale dell’Arechi. Il 3 novembre del 1998, infatti, in occasione della gara Fiorentina-Grasshoppers Zurigo valevole per il secondo turno di Coppa UEFA, l’arbitro belga Piraux fu stordito da un petardo lanciato dagli spalti alla fine del primo tempo. Il direttore di gara non fu più in grado di riprendere il gioco e la partita fu data vinta agli svizzeri che, pur sconfitti all’andata, passarono il turno nella competizione europea. Il rammarico dei toscani fu indicibile, considerando che lo stadio di Salerno era stato scelto come sede più opportuna in seguito alla squalifica del campo di Firenze. Fortunatamente la vicenda dell’infame petardo rimane un episodio isolato nel contesto di una cronaca sportiva salernitana positiva nel corso degli anni. Del Resto l’Arechi si presenta come una delle strutture più funzionali dell’attuale panorama calcistico italiano, troppo spesso segnata da deficienze burocratiche e gestionali.

SALERNO CAMPANIA • STADIO ARECHI

sione di non celebrare il pur prestigioso avvenimento sportivo, preferendo contenere per quanto possibile festeggiamenti e coreografie. Il moderno fascino e l’efficienza dell’Arechi regalarono ben presto alla città di Salerno il debutto della Nazionale italiana che avvenne il primo maggio del 1991 contro l’Ungheria in una gara valida per le qualificazioni agli Europei. L’undici di Azeglio Vicini si impose in scioltezza sui magiari per 3 a 1 con doppietta di Donadoni e una rete di Vialli. Gli spettatori furono nell’occasione 33.850 e l’accoglienza del pubblico salernitano fu talmente numerosa e calorosa nei confronti della rappresentativa italiana che la FIGC spedì nuovamente gli Azzurri all’Arechi il 25 marzo del 1995, sempre per una gara di qualificazione agli Europei, questa volta contro l’Estonia di fronte a spalti gremiti oltre il limite della capienza; e ancora, il 18 novembre del 1998, per una prestigiosa amichevole contro la Spagna di Camacho. In quest’ultima occasione, il pubblico non fu eccessivamente numeroso, in conseguenza probabilmente di un recente ed indecoroso

Lo Stadio Arechi dal 1990 ospita le gare della Salernitana.

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• STADIO DI REGGIO EMILIA CITTÀ DEL TRICOLORE EMILIA ROMAGNA REGGIO EMILIA

L’ ex Giglio, il primo impianto di proprietà di una società di calcio. Buone le intenzioni, disastrosi i risultati. ropeo, l’undici di Sacchi rifilò un sonante 4 a 0 alla rappresentativa lituana di fronte ai 22.272 spettatori accorsi al Giglio. Lo stadio reggiano fin dall’inizio fu progettato, oltre che per il calcio, anche per ospitare concerti ed eventi culturali di particolare rilievo, non essendovi tra Milano e Bologna altre strutture altrettanto capienti. Tra i progetti legati allo stadio di Reggio Emilia va ricordata l’apertura del centro commerciale I Petali del Giglio che comprende, tra le altre cose, un cinema multisala, un albergo e diversi esercizi pubblici che nei piani iniziali della società granata avrebbe dovuto permettere l’autofinanziamento dell’impianto. La realizzazione del centro commerciale, peraltro, comportò, la discutibile eliminazione di una parte degli spalti della curve, sul lato dei Distinti. Sempre nei pressi dello stadio il Comune ha previsto in futuro la realizzazione di nuove piscine per il periodo estivo e di un palazzetto dello sport che andrebbero a costituire una sorta di vero e proprio polo sportivo per il centro emiliano. 324

STADI D’ITALIA


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