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Isa Maria Sozzi – Filosofia del linguaggio 2 FORMATORE PER L’E-LEARNING E LA MULTIMEDIALITA’

Percezione, linguaggio, conoscenza, didattica

Filosofia del linguaggio 2 Isa Maria Sozzi An.ac. 2009-2010

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Isa Maria Sozzi – Filosofia del linguaggio 2

1- Percezione, linguaggio e didattica 2- Biologia ed evoluzione degli organi di senso 3- Senso comune sulla percezione e il linguaggio

1 – Percezione, linguaggio e didattica Quando si parla di percezione e linguaggio, nel mio specifico campo di interesse, cioè l’informatica e la multimedialità, si sentono spesso commenti sfavorevoli alle nuove tecnologie applicate all’insegnamento perché esse favorirebbero la “visione” non mediata (dal cervello?) rispetto all’ascolto (ragionato?). Infatti molti docenti, in particolar modo quelli delle materie umanistiche ma non solo, spesso intonano un “vade retro satana”, quando si parla di computer e tecnologie didattiche. Per tali docenti l’uso del computer e di tutti i mezzi ad esso associati favorirebbe esclusivamente l’aspetto ludico e visuale dell’apprendimento, privilegiando le immagini, specie se in movimento o animate, rispetto alla ricezione dei concetti di più alto livello trasmessi tramite l’ascolto delle spiegazioni fornite dall’insegnante. Eppure un semplice ragionamento coerente potrebbe ribaltare il loro pensiero, senza andare a scomodare insigni studiosi come Ong ed altri. Questi docenti privilegiano la spiegazione orale, di socratica memoria. Trascuro il fatto che il metodo socratico è maieutico e tramite la dialettica mira a far emergere nel discepolo la propria conoscenza, mentre il metodo legato alla spiegazione orale è esclusivamente trasmissione di conoscenze preconfezionate e precostruite dall’alto, nemmeno dal docente che si limita a “distribuirle”. Comunque accanto all’ascolto, la maggior parte delle conoscenze dell’allievo si devono alla lettura di testi scritti. Non viene forse usata anche qui la visione? Certamente la lettura di una pagina stampata richiede competenze diverse da quelle necessarie per la decodifica di un’immagine, statica o in movimento. Entrambe però richiedono complessi percorsi cerebrali, anche se inconsapevoli da parte dell’alunno. La cultura dell’immagine, prioritaria da quando la televisione si è diffusa in ogni casa, non ha certo limitato le competenze linguistiche dei telespettatori. Per molti connazionali la tv è stato il mezzo per imparare l’italiano rispetto al dialetto, così come per molti immigrati. La produzione linguistica dei bambini si è arricchita nel vocabolario e nella struttura della frase. Purtroppo ciò che manca è altro, cioè una saggia politica di indirizzo sulla scelta dei programmi da trasmettere, almeno in certe fasce orarie, valutandone la qualità dal punto di vista dei contenuti proposti e del linguaggio utilizzato. Ma questo è un altro discorso! Per tornare in argomento, potrei sintetizzare in un motto il metodo didattico di questi docenti “tradizionalisti”: “Taci ed ascolta”. La mia esperienza è invece completamente diversa. Insegno da ventiquattro anni, ormai per l’ultimo anno, matematica, scienze ed informatica. In queste discipline l’ascolto passivo delle spiegazioni o meglio delle regole preconfezionate ha generato una moltitudine di studenti “poco motivati” allo studio di queste materie, ovvero le odiano dichiaratamente ed evitano con molta cura qualsiasi argomento ad esse attinente. Le maggior parte delle persone ricorda le lezioni di matematica come astruse e senza scopo dichiarato, noiose ed esecutive. La mancanza di attitudine, del cosiddetto “pallino”, provocherebbe una assoluta incapacità di ragionamento ed esecuzione di operazioni matematiche e/o logiche. Eppure … Da due anni sto sperimentando con gli alunni delle mie classi le proposte della facoltà di matematica dell’università statale di Milano, i giochi matematici (www.quadernoaquadretti.it sezione giochi). Attraverso un percorso di circa sei mesi, vengono proposti, sottoforma di richiesta d’aiuto da parte di alcuni insegnanti, dei quesiti molto complessi, ma che non richiedono le solite strategie risolutive, cioè l’applicazione di regole. 2


Isa Maria Sozzi – Filosofia del linguaggio 2 Vanno ricostruite forme geometriche, situazioni di gioco, disposizioni di materiali partendo da situazioni concrete, ma viene sempre incentivata l’astrazione. Attraverso la manipolazione della situazione va spiegata la strategia trovata. Non conta tanto il risultato, quanto il come ci si è arrivati e la relativa spiegazione verbale. I bambini devono lavorare a piccoli gruppi, formulare le risposte ed inviarle via mail. Dopo qualche giorno arriva un commento oppure una richiesta di chiarimento ecc. Il fatto che questa attività sia presentata come gioco, con una classifica finale e dei vincitori, motiva fortemente i bambini. Arrivare alla soluzione non è per niente scontato, anche perché i quesiti non trattano argomenti solitamente in programma, almeno in certe classi o ordini di scuola, e il nucleo del quesito è lo stesso dalla prima elementare alla terza media, con varianti sulle quantità numeriche da trattare e sui quesiti aggiuntivi da svolgere. L’anno scorso la prima tappa riguardava il volume dei soliti e in prima elementare non è una cosa semplice! Allego il quesito della quarta tappa e le risposte scritte dagli alunni: prima però hanno usato delle vere scatole per provare a “ricreare” il racconto, poi per scrivere le risposte si sono accorti che i disegni erano troppo lunghi e complessi da fare ed hanno dovuto trovare delle strategie alternative, a livello più astratto. Comunque alla fine dell’anno il report fornito ha evidenziato che la scuola elementare aveva riportato punteggi decisamente superiori a quelli delle medie: alunni più bravi o metodi diversi? Per esperienza personale, legata sia alla mia vita da studente sia a quella da docente, le materie deve si nota maggiormente il legame e contemporaneamente la discrepanza tra percezione e linguaggio sono proprio matematica e scienze. Le materie scientifiche sono sempre state le mie materie preferite e, nonostante avessi buoni voti in tutto, erano quelle dove eccellevo, non con lo studio, ma con “l’intuizione”. Mi ricordo che durante le magistrali in matematica ci venissero spesso assegnati dei problemi di geometria dove erano necessario rappresentare correttamente le informazioni fornite, per poi costruire una dimostrazione ed eseguire i necessari calcoli. Già fare il disegno corretto non per tutte le mie compagne era una cosa semplice, ma il passo successivo per molte era impossibile. Eppure per me era una cosa assolutamente banale: io “vedevo” “emergere”, nella figura disegnata, alcuni particolari o altre figure indispensabili per la soluzione. Purtroppo queste figure non erano disegnate, erano assolutamente non presenti e potevano essere assunte come parti della dimostrazione solo con i dovuti ragionamenti. Io non so spiegarmi ancora adesso, ma io le vedevo chiaramente. Anche adesso, mentre studio, scompongo le parti da studiare e me le rappresento mentalmente come una figura solida: nelle facce visibili immagino di mettere la cose che so, nelle facce parzialmente visibili quelle che conosco poco e che comunque posso facilmente reperire, infine nelle facce nascoste quelle cose che non so. Però proprio come in un cubo si possono scoprire i numeri segnati sulle facce nascoste con un piccolo ragionamento, così io immagino di rovesciare il mio solido e, ragionando, cerco di trarre inferenze sulle questioni che troverò nelle facce nascoste, per poi verificarle. Creo così una traccia di ricerca, una sorta di puzzle con dei pezzi mancanti, ma di cui posso già dire molte caratteristiche. Di solito funziona! Questa descrizione dei miei processi mentali per lo studio potrebbe far pensare che l’esperienza visiva di un “oggetto”, in questo caso rappresentazioni matematiche, comune a più soggetti passi attraverso una fase intermedia di sense-data per giungere alla percezione effettiva e cerebrale. Un’esperienza oggettiva, perciò uguale per tutti, diventa soggettiva in quanto il livello intermedio è diverso e personale. Come spiegato molto dettagliatamente nel testo di studio, questa posizione teorica ha delle conseguenze implicite di non poco conto e non semplifica la spiegazione. Occorre infatti definire cosa sia questo intermedio e perché sia diverso da persona a persona. Dal punto di vista didattico allora basterebbe organizzare un ambiente di apprendimento ricco e variegato, perché ciascuno possa cogliere autonomamente gli stimoli più adatti al proprio stile dei apprendimento. Ciò è parzialmente vero, se teniamo conto della teoria di Gardner delle intelligenza 3


Isa Maria Sozzi – Filosofia del linguaggio 2 multiple, ma il solo ambiente e la ricchezza di esperienze non basta a “far apprendere” in modo adeguato, nei tempi scolastici, quanto previsto a tutti gli alunni. Potremmo parlare di percezione e sensazione, la prima come fase cosciente, mentre la seconda sia immediata ed emotiva, secondo la teoria empirista inglese. Se penso ad A., un mio alunno che odia la matematica e in generale la scuola (problemi di dislessia non accettati dai genitori se non in extremis, scala di valori non proprio in linea con aspettative di successo scolastico, ecc.), potrei dire che la percezione di una rappresentazione matematica sia “bloccata” dalla convinzione di rifiuto per questa materia. In effetti A. “non guarda” nemmeno il quaderno dove c’è la figura e, se obbligato a esprimere una sua proposta, spara a caso una regola qualsiasi, anche la più inverosimile. Non che non sappia le regole: le conosce a memoria, tanto da ripeterle proprio come una poesia memorizzata con tanto di cantilena, ma quanto a trovare la regola appropriata al momento giusto … ne passa di acqua sotto i ponti. Se potessimo suddividere le fasi in cui avviene la percezione di una certa figura geometrica, per esempio, con il corrispondente recupero di regole appropriate in una sequenza come la seguente: 1. TRASDUZIONE = trasformazione degli stimoli esterni chimico-fisici in impulsi nervosi 2. PERCEZIONE = scelta delle informazioni sensoriali in entrata prevalentemente sottocorticale; dall’organo di senso escluso fino alla corteccia primaria posteriore compresa 3. ELABORAZIONE SUPERIORE = comprensione, esclusivamente corticale avremmo la possibilità di formulare - inventare degli stimoli intermedi per sondare quale fase sia deficitaria e cercare di trovare possibili alternative. Il problema è però estremamente complesso. Infatti dalla descrizione precedente emergono oltre che le difficoltà, senza dubbio legate anche alla percezione e alla sua integrazione con conoscenza pregresse, anche fattori emotivi ed affettivi che condizionano fin dall’inizio l’input attentivo del bambino. Per una didattica efficace quindi non basta disporre di materiale appropriato e predisporre un ambiente coinvolgente, bisogna anche dedicare molto tempo alla fase dell’astrazione e del ragionamento, che avvengono prevalentemente, ma non esclusivamente, per via linguistica. Ecco quali potrebbero essere i diversi livelli di astrazione del linguaggio rivolto al bambino • Livello 1: percezione (classificazioni, etichette, rilevazione di particolari evidente, omissione di altri particolari) • Livello 2: analisi selettiva/integrazione della percezione (descrizione delle caratteristiche, completamento di frasi) • Livello 3: Riordino / inferenze relative alla percezione (inferenze, recupero di informazioni e conoscenze, , somiglianze e differenze dare giudizi) • Livello 4: Ragionamenti sulla percezione (spiegazioni, predizioni, definizioni, ampliamento di regole) Riprendendo parte dell’intervento del forum e riguardante R., una bambina con buone capacità logico-matematiche, spesso messe in ombra da una limitata competenza linguistica oltre che da una estrema insicurezza e svalutazione delle proprie possibilità, potrei fare un discorso opposto a quello fatto per A. Alcuni mesi fa, B. ha usato un suo tipico modo di esprimersi per spiegare alla classe il modo di calcolare il perimetro di una figura complessa (formata da 4 semicerchi uguali) disegnata sul quaderno: “È il doppio di quella sopra (vero, in precedenza avevamo calcolato una circonferenza con lo stesso diametro), perché … vedi qua e qua e poi que’ e que’ … è il doppio”. Il tutto accompagnato da gesti sul suo quaderno. Non tutti i compagni hanno compreso il suo ragionamento e nemmeno lei è stata in grado di tradurre la dimostrazione in formalismo matematico o, almeno, in una spiegazione verbale comprensibile. Abbiamo lavorato un buon quarto d’ora per tradurre il suo ragionamento (matematicamente corretto) dal “paperese” all’italiano: “è il doppio della circonferenza disegnata sopra, perché uniamo la semicirconferenza a destra con quella a sinistra e quella in alto con quella in basso, così otteniamo due circonferenze 4


Isa Maria Sozzi – Filosofia del linguaggio 2 uguali alla precedente” e poi in linguaggio matematico. Questa bambina ha usato i dati percettivi in un primo momento per costruire un ragionamento logico, quando si è trattato di esprimerlo con un linguaggio, formule matematiche o parole, ha fatto ricorso a gesti e avverbi per spiegarlo. Lo stesso uso delle pratiche percettive per fondare l’apprendimento di concetti matematici se non ben strutturato e meditato può essere fuorviante e generare nei bambini dei falsi concetti legati ad esso. Ad esempio

l’abitudine stereotipata di rappresentare i triangoli con il lato considerato come base posto orizzontalmente in basso (prime 4 figure) porta i bambini a non riconoscere come triangoli isosceli gli ultimi due della riga, spesso nemmeno dopo averne misurato i lati. In questo caso è necessario offrire ai bambini una rappresentazione più variegata e non limitata a schede con disegni, ma anche cartoncini da ritagliare e manipolare, ecc. Ho notato come per molti bambini sia predominante non tanto la percezione visiva delle proprietà geometriche, quanto l’attività prassica e manipolativa di oggetti. Un’altra fonte di possibili errori dei disegni soprastanti è la mancanza di differenze evidenti tra interno ed esterno della figura: viene rappresentato solo il contorno, perciò alcuni bambini pensano che la figura geometrica sia esclusivamente la linea spezzata. Potrei continuare con innumerevoli esempi legati alla geometria, perché è la disciplina matematica più “bisognosa” di rappresentazione grafica, ma il discorso può essere allargato a tutte le materie scolastiche. Usando espedienti percettivi consolidati e ripetitivi i docenti pensano di semplificare gli apprendimenti degli allievi, offrendo degli stimoli “depurati” da tutto quanto possa fuorviare l’attenzione dalle proprietà oggetto di studio. Invece si finisce per far ricavare degli invarianti che poco hanno a che fare con le proprietà ricercate: solo pochi allievi, i più bravi e “portati” per la materia non cadono nell’inganno e sanno estrapolare le sole proprietà importanti, senza lasciarsi intrappolare nelle costanti non adatte. Ho notato che la maggior parte delle teorie sulla percezione e quindi degli esempi riportati nei testi proposti parlano della vista, dando pochissimo spazio agli altri sensi, in particolare il tatto. Leggendo testi di neuroscienze in effetti le aree della corteccia celebrale deputate all’elaborazione degli input visivi hanno un’estensione notevolmente più vasta di quella degli altri sensi, inoltre le esperienze sugli effetti e le illusioni ottiche sono state le più facilmente studiabili prima dell’avvento delle tecnologie non invasive per l’analisi dell’attività celebrale. Perciò non dovrebbe stupire che, in campo scolastico, il supporto didattico offerto dalla percezione sia prevalentemente visivo, ma ritengo sia altrettanto se non maggiormente importante non tralasciare gli altri sensi, in primis il tatto e il rapporto cinestesico attraverso la manipolazione di oggetti. L'apprendimento infantile è inizialmente sincretico, nel senso che i bambini quanto più sono piccoli tanto più imparano per "immersione" e quasi nulla per pura riflessione o ragionamento. E' significativa, per l'apprendimento, l'immersione in una sorta di bagno sensoriale dove i gesti, le posture, i movimenti, le emozioni rendono motivanti e significativi gli apprendimenti. Se consideriamo il linguaggio vediamo che non lo si acquisisce per semplice ripetizione o attraverso un freddo meccanismo di tentativi ed errori. La capacità di comprendere e di esprimere per mezzo della parola si acquisisce in realtà al seguito di altre funzioni. La logica del corpo e dei suoi movimenti nel contesto in cui viviamo (su, giù, di lato, dentro, rotazione ecc.) potrebbe costituire il fondamento su cui è costruita la logica operazionale del linguaggio: in base a questa ipotesi, molte delle operazioni motorie sono talmente importanti in 5


Isa Maria Sozzi – Filosofia del linguaggio 2 termini di esperienze corporee che esse si traducono in classi di percezioni, comportamenti e convenzioni linguistiche abbastanza universali. (vedere anche allegato sui modi di dire) Azioni e movimenti hanno un ruolo centrale nei processi di sviluppo mentale a partire dalle fasi più precoci, infatti l'embrione è anzitutto un organismo motorio, prima ancora di essere un organismo sensoriale. L'azione precede la sensazione; già negli esseri monocellulari ci sono schemi motori (anche se può apparire improprio parlare di schemi per esseri così semplici e privi di “organi”) volti alla ricerca di cibo o dell’ambiente adeguato, per temperatura, condizioni luminose ecc. attraverso una sequenza ciclica: dal movimento, alle conseguenze che questo esercita sull'ambiente circostante, alla percezione di queste conseguenze e alle modifiche che questa percezione esercita su movimenti successivi. Quindi “la coscienza” non è altro che un meccanismo attraverso cui un organismo dà inizio a movimenti che consentano di acquisire informazioni sull'ambiente, per decidere quale movimento realizzare successivamente. In genere le funzioni motorie vengono considerate di basso livello, subordinate a quelle strutture che sono alla base delle più elevate attività cognitive, della razionalità del pensiero "puro". Il corpo viene così considerato nella maggior parte delle culture come un'entità inferiore a quella mentale. In realtà il pensiero cosciente è strettamente correlato con l'attività di aree della corteccia responsabili di movimenti reali o "immaginati": in altre parole, la stessa area del cervello entra in funzione quando immagino un movimento e quando questo viene pianificato. Parlare, cioè articolare una sequenza di sillabe, rassomiglia, in termini di eventi muscolari sequenziali, a scheggiare una selce o a scagliare una lancia. In modo analogo, esperienze cinestesiche come in alto e in basso, destra e sinistra, dentro e fuori, hanno man mano fornito la base fisica e concreta per lo sviluppo di simboli e metafore utilizzate nel linguaggio. Esiste insomma uno stretto intreccio tra motricità e pensiero, sia dal punto di vista della storia naturale dell'uomo, sia dal punto di vista ontogenetico, sia dal punto di vista del modo in cui la nostra mente funziona oggi: ad esempio, concentrarsi su un problema, vale a dire pensare, implica un aumento della tensione muscolare del collo come d'altronde rilassare i muscoli facciali o atteggiare il volto a un sorriso può modificare le nostre sensazioni ed emozioni. Leggendo il libro di Stanislas Dehaene “Il pallino della matematica” ho tratto molti suggerimenti utili per le attività didattiche. Ad esempio, parlare di conservazione della quantità (come fa Piaget) utilizzando materiale strutturato non evidenzia gli stessi risultati che farlo con “materiale edibile”; i bambini anche piccoli non sbagliano a riconoscere la maggior quantità di caramelle, indipendentemente da come sono disposte, se possono prenderle e mangiarle, infatti anche gli animali devono essere in grado di discriminare la maggiore disponibilità di risorse alimentari per poter sopravvivere. L’attività di contare oggetti è legata alla parte di corteccia cerebrale deputata al controllo dei movimenti della mano: per contare bisogna muovere gli oggetti, sia praticamente spostando o toccando, sia immaginando di farlo. Ma la stessa area è coinvolta nelle attività di conteggio ripetuto, come addizionare dei numeri: quindi usare le dita per fare dei calcoli è più in sintonia con le nostre strutture cerebrali rispetto all’uso di materiali strutturati. Per esperienza posso dire che i bambini più pronti, dal punti di vista logicomatematico e linguistico, usano con profitto i regoli colorati ed altri sussidi, mentre quelli con qualche difficoltà faticano ad associare questi oggetti alle quantità e fanno frequentemente ricorso a conteggi con oggetti di uso comune o alle dita. Perché allora costringerli ad usare questi sussidi, aumentando le loro difficoltà? Le stesse pratiche di conteggio, legate ad attività motorie, finiscono poi per “passare” negli schemi motori automatici, come il camminare e l’andare in bicicletta, quindi durante il processo di apprendimento il bambino finisce per slegarsi dall’attività pratica del toccare o usare le dita per compiere solo processi mentali, senza doverci pensare troppo. Il nostro cervello è un enorme archivio di repertori motori, complessi schemi che lo psicologo russo Alexander Lurija ha definito "melodie cinetiche" per indicarne la complessa fluidità che ognuno di noi mette in opera nei diversi atti della vita quotidiana. Le tecniche di visualizzazione cerebrale (il 6


Isa Maria Sozzi – Filosofia del linguaggio 2 cosiddetto Brain imaging, che, a partire dalla TAC ha portato alla PET e alla risonanza magnetica) hanno contribuito alla conoscenza degli schemi motori: se si chiede a una persona di pensare di muovere la mano, come se volesse afferrare un oggetto, la sua corteccia premotoria, situata anteriormente alla corteccia motoria, nel lobo frontale, diviene attiva, il che ha indicato come vi siano aree del cervello che predispongono il movimento e aree che lo realizzano. Questo parallelismo tra anticipazione e azione vale anche per l'immaginazione e la sensazione: così, il solo immaginare un oggetto, ad esempio una rosa, porta all'attivazione delle aree della corteccia visiva che vengono attivate quando quell'oggetto viene effettivamente visto. Un ulteriore livello dei rapporti che esistono tra sensazione, anticipazione e azione riguarda l'esistenza di neuroni "mirror" (che rispecchiano): questi sono localizzati nella corteccia premotoria dei primati e si attivano quando un animale osserva un altro animale compiere un movimento. Ad esempio, se una scimmia afferra un oggetto, nella scimmia osservatrice si attivano quei neuroni che, nella corteccia premotoria, potrebbero preparare i neuroni della corteccia motoria a realizzare una simile azione: questi neuroni, che stabiliscono una sorta di ponte tra l'osservatore e l'attore, sono attivi anche nella nostra specie e sono quindi al centro di comportamenti di mimesi, imitativi, che giocano un ruolo fondamentale nell'intelligenza linguistica. I complessi schemi motori da cui dipende la sequenza temporale dell'attivazione dei muscoli di un arto non sono altro che una memoria procedurale: è una memoria distribuita tra i circuiti che formano il cervello e che parte da un "semplice" circuito iniziale, quello costituito dai nervi motori che dal cervello discendono nel midollo spinale e dai nervi sensoriali che servono per correggere eventuali errori e per inviare al centro informazioni sullo stato di implementazione del movimento. Per prove ed errori, il movimento verrà corretto, affinato e infine consegnato a una memoria che codifica lo schema del movimento e ne consente la realizzazione in forma stereotipata, fluida. Gli studi sui rapporti tra aree cerebrali e linguaggio indicano sempre più che questo dipende dalle nostre immediate percezioni ed azioni e dalle memorie di oggetti ed azioni: perciò le aree della corteccia cerebrale che elaborano le informazioni sensoriali e controllano i movimenti sono anche coinvolte in diversi aspetti delle memorie linguistiche: ad esempio, profferire parole indicative di un colore (rosso, blu, giallo) attiva quelle aree della corteccia temporale ventrale che sono responsabili della percezione dei colori, profferire parole relative ai movimenti (correre, battere, avvitare) attiva aree situate anteriormente a quelle coinvolte nella percezione dei movimenti nonché le aree motorie della corteccia frontale. Anziché essere un sistema estremamente specifico ed autonomo, quello del linguaggio fa capo a complessi coordinamenti con altri sistemi ed aree del cervello legate alla rappresentazione di oggetti, alla percezione, alla motricità: esistono insomma interazioni tra le aree prettamente linguistiche e quelle che si riferiscono al corpo, all'ambiente e al contesto in cui esso opera. In termini evolutivi il linguaggio sarebbe perciò il prodotto dell'affinamento e potenziamento di una serie di attività cognitive già coinvolte nelle funzioni sensoriali, motorie, nella memoria, nella comunicazione. In genere, sia nella psicologia evolutiva che in quella generale, si è portati a scindere tra di loro i vari aspetti delle funzioni mentali ritenendo che essi siano dei moduli dotati di una loro autonomia: in realtà la mente, si tratti di linguaggio come di altre funzioni cognitive e percettive, ha una sua unitarietà e risente di una componente, quella motoria, che è la più antica dal punto di vista evolutivo e che dipende da sistemi (corteccia, gangli della base e cervelletto) che assommano in loro componenti motorie, motivazionali e cognitive. La stessa evoluzione, che ha “equipaggiato” l’essere umano di una ben scarsa dote di capacità e risorse fisiche rispetto ad altri animali (capacità percettive non molto sviluppare, mancanza di strumenti di protezione o offesa, limitate risorse motorie, sviluppo neonatale molto lento, scarse risorse istintuali) e di uno scarso adattamento ad uno specifico ambiente, ci “ha costretti” a plasmare noi stessi e l’ambiente in base ai nostri bisogni, ad esempio creando il linguaggio. 7


Isa Maria Sozzi – Filosofia del linguaggio 2 La tesi centrale del libro di Marco Mazzeo “Tatto e linguaggio”, infatti, può essere riassunta dal motto «di necessità, virtù»: la mancanza di armi naturali di un corpo nudo e la plasticità di mani senza compiti percettivi prefissati si rivelano alla nascita come handicap insuperabili senza il sostegno, la collaborazione e il calore di altri umani adulti. L'animale umano costituisce infatti l'incarnazione per eccellenza della neotenia, quel fenomeno biologico che permette alla specie di mantenere anche in età avanzata i tratti morfologici dell'età infantile: una immaturità cronica che ci consente di apprendere fino agli ultimi giorni della nostra vita e che, al contempo, mette in costante pericolo gli equilibri raggiunti dalla nostra esistenza. L'essere umano è costretto a trovare nella precarietà della sua condizione una sicurezza labile e una stabilità sempre revocabile. Il nostro corpo ci permette di trovare percorsi individuali, di uscire dalle rigidità della programmazione istintuale, di evadere da una nicchia ecologica specifica. Proprio per questa ragione, l'uso di strumenti nella specie umana assume un rilievo fondamentale perché, al contrario delle altre forme di vita, riveste un valore biologico decisivo: è ciò che le consente di sopravvivere. La plasticità organica necessaria per parlare è resa possibile dalle dimensioni del nostro corpo, è proprio l'opposizione materiale tra un mondo umano in espansione e ambienti animali in ripiegamento a costituire il motore coevolutivo tra azione tattile e facoltà del linguaggio. Mani e parole sono, in primo luogo forme di intervento che modificano il contesto in cui si insediano. Hanno un impatto ecologico tale da richiedere spesso un'azione ulteriore dal carattere intrinsecamente ambivalente: sono riparazione, poiché cercano di rimediare al cambiamento provocato (ad esempio l'estinzione delle prede cacciate o l'impoverimento del terreno sfruttato attraverso l'agricoltura); sono ancora invasione poiché l'intervento umano (l'allevamento, l'uso di fertilizzanti) non può non avere un effetto antropico, non può non comportare un cambiamento dell'ambiente a immagine e somiglianza dell' Homo sapiens. La condizione umana vive dunque un contrasto intrinseco alla sua natura: da un lato è altro da ciò che la circonda perché nasce priva di nicchia ecologica; dall'altro, è ciò che la circonda (il mondo) perché frutto dell'operato della propria comunità. Il linguaggio verbale non solo non cancella questa ambivalenza di fondo ma la eredita: il monologo costituirà il luogo privilegiato d'analisi delle ambivalenze di una forma di vita per la quale la logica del principio di identità (A è uguale ad A) e la legge di non contraddizione (A non è non A) sono una conquista storica e, come tale, sempre a repentaglio. Sarà proprio il parlare a se stessi, infatti, a costituire un esempio dell'alveo partecipativo nel quale il linguaggio verbale nasce e di cui non può liberarsi definitivamente: l'animale umano, così dipendente dalle cure che riceve dai suoi conspecifici, impiega una vita intera non solo a gestire il rapporto di distinzione e appartenenza con il mondo nel quale si trova a vivere, ma anche a distinguersi e a partecipare a una comunità senza la quale sarebbe letteralmente morto. Per questa ragione, nella natura umana biologia e cultura non costituiscono termini antagonisti né domini da ridurre l'un l'altro. Si tratta piuttosto di due figure a incastro: i vuoti di un corpo, quello umano, a corto di istinti definiti alla nascita, di armi preconfezionate dalla specie e organi di senso già formati sono colmati dalle cure di una società che ci dà il tempo di crescere, di imparare, di portare avanti una maturazione organica, la cui lentezza non ha paragoni nel resto del regno animale. La cultura è la nostra salvezza biologica: ciò non significa, però, che tra corpo e linguaggio esista un rapporto lineare come quello tra malattia e vaccino. Se le parole sono un farmaco, lo sono in senso omeopatico. Il linguaggio sostituisce il bisogno epidermico di contatto della nostra specie senza però appagarlo («smettila di parlare, avvicinati un po'», recita una vecchia canzone) e, per questo, apre la via a nuove dimensioni tattili. Dire che il tatto costituisce la porta d'ingresso del linguaggio nella natura umana non significa affermare che questo, una volta entrato, chiuda l'uscio dietro di sé lasciando alle proprie spalle l'autonomia dell'esperienza percettiva e tagliando i ponti con la biologia del nostro corpo. Il tatto è senso del limite in un modo del tutto diverso. Proprio perché legata alla presa diretta e al contatto con la materia, la 8


Isa Maria Sozzi – Filosofia del linguaggio 2 conoscenza manuale è considerata di solito approssimativa, grezza, poco efficace. Il tatto è scarsamente accreditato come fonte di conoscenza, semmai come senso emotivo ed affettivo. Basti pensare alla ricerca che ogni essere umano fa del contatto fisico (una carezza, un abbraccio, un semplice sfioramento) per ricevere conforto, affetto, gratificazione, ecc. Ma è proprio attraverso questi gesti che il neonato stabilisce i primi rapporti con l’altro, la madre prevalentemente, che sono la base per l’acquisizione del linguaggio e sono note le situazioni in cui la deprivazione di questo contatto porti anche a significativi ritardi nell’apprendimento. Il contatto fisico, il calore e l’odore della mamma, sono un conforto che il neonato cerca istintivamente e che è indispensabile, più del nutrimento stesso. Lo ha dimostrato il celebre psicologo Harry Harlow dell’Università del Wisconsin, con un esperimento sui piccoli di scimmia Rhesus. I cuccioli messi di fronte alla scelta se succhiare del latte da un biberon agganciato ad un robot di metallo o se rannicchiarsi contro un feticcio morbido e caldo, pur affamati sceglievano di accoccolarsi tra le pezze del feticcio. Quanto più si tocca il bambino, tanto più lui sarà in grado di riconoscere le stimolazioni sensoriali che incontrerà e sarà capace di lasciarsi andare al contatto fisico. Proprio da questa manipolazione dipende lo sviluppo del comportamento che gli esperti definiscono “di attaccamento” e che è essenziale per lo sviluppo psico-fisico. Un grande contributo alla comprensione di come avviene lo sviluppo affettivo sta venendo dagli studi della neuro-biologia che hanno confermato l’importanza di alcune strutture anatomiche (attive fin dalla nascita) per la regolazione affettiva tra il neonato e le persone che si prendono cura di lui, in particolare l’importanza del sistema limbico, ma soprattutto lo sviluppo dell’emisfero destro che, nel primo anno e mezzo di vita, cresce in proporzione molto più intensamente di quello sinistro. Mentre l’emisfero sinistro è interessato in molti comportamenti linguistici, quello destro è importante per alcuni aspetti più ampi della comunicazione e soprattutto per aspetti più di base. Ma la neurobiologia sta anche aiutando a capire come avviene la sincronizzazione affettiva fra il bambino e la madre, non soltanto grazie allo studio delle strutture cerebrali macroscopiche, ma anche a livello microscopico perché si stanno studiando delle cellule nervose particolari, i neuroni così detti “specchio” (mirror neurons) che sono essenziali per capire come ci si può sintonizzare sulle comunicazioni affettive degli altri perché questo sistema dei neuroni specchio si attiva proprio quando il bambino è in grado di mettersi in risonanza affettiva con le persone che comunicano con lui. Sono questi neuroni specchio che si attivano nel momento in cui ci accingiamo a leggere gli stadi della mente dell’altro, specialmente le intenzioni dell’altro, sono questi neuroni specchio che si attivano quando ci accingiamo a sintonizzarci con le emozioni dell’altro. In realtà più che di emozioni si tratta di sensazioni di base, le sensazioni sensoriali, le sensazioni motorie che possono essere inizialmente condivise dal bambino che si metta in una condizione di tentare di sincronizzarsi con la comunicazione affettiva della madre o delle persone che si prendono cura di lui. Dalla nascita in poi, dunque, il neonato mette in moto tutte quante le sue capacità che sono in rapida espansione per interagire con l’ambiente circostante e, a questo scopo, usa tutte quante le sue capacità sensoriali, specialmente l’odorato, il gusto, il tatto. Anche i movimenti non sono un puro meccanismo o un mezzo per ottenere qualcosa, ma esercitano un ruolo importante nella formazione della mente, condizionano l’apprendimento e sono alla base del linguaggio. Nelle prime fasi dello sviluppo, infatti, il neonato ha un ruolo prevalentemente passivo e si limita a notare una serie di movimenti e azioni che determinano il suo benessere. Ogni mossa e spostamento della mamma o degli adulti che si prendono cura di lui hanno conseguenze positive sul neonato: le carezze soddisfano la necessità di contatto fisico, il cibo placa la fame, i gesti e le parole dell’adulto rispondono alla curiosità e alla necessità di esplorare il mondo. Presto, tuttavia, il neonato, con i suoi movimenti sempre più precisi e selettivi, produce azioni che comportano modifiche nell’ambiente che lo circonda; le azioni motorie diventano sempre più coordinate e basate su un susseguirsi di atti che dipendono da memorie che 9


Isa Maria Sozzi – Filosofia del linguaggio 2 codificano sequenze di movimenti in grado di rispondere a situazioni specifiche. Tali sequenze, del tutto simili a delle “parti” che sono recitate (“copioni” o script), si arricchiscono di complesse sequenze muscolari, volte ad imitare le espressioni facciali dell’adulto. La cosiddetta "sincronia interattiva" nei neonati è il primo segno: bambini di poche settimane di vita producono col corpo una serie di micromovimenti in risposta al linguaggio umano; una specie di "danza" attivata dalla voce umana, dal ritmo della lingua (qualunque lingua). La stessa "danza" non compare quando il bambino sente altri suoni, il che, da un lato, depone a favore di una sensibilità innata alla voce umana e dall'altro indica come il linguaggio non sia un fatto puramente mentale o astratto, ma coinvolga anche il corpo. Anche colui che parla accompagna il linguaggio con dei micromovimenti (mimici e del corpo) che rendono le sue verbalizzazioni significative, "calde", tali da motivare l'ascoltatore a partecipare alla "danza". Proprio queste ultime e i movimenti degli arti sono il nucleo iniziale degli schemi motori: “memorie muscolari” (procedurali) intorno a cui si addensano le memorie successive e che costituiscono il punto di partenza dei successivi apprendimenti linguistici, fondati su sequenze motorie che servono per produrre una serie di suoni significativi. Il linguaggio, dunque, può essere considerato nel contesto più generale del rapporto corpo- mente che si potrebbe quasi invertire l'usuale rappresentazione della mente che pianifica i movimenti del corpo in un'immagine della mente formata dai movimenti. L'agire sull'ambiente perturba la mente che, percependo l'effetto di tale alterazione, invia istruzioni per un'ulteriore azione. Il ruolo dell'attività motoria nella costruzione della mente è evidente dal punto di vista dello sviluppo: i movimenti innati dell'embrione e quelli sempre più perfezionati del lattante sono i mattoni costitutivi del comportamento motorio e di un conseguente numero di attività "sequenziali", linguaggio incluso. Non meno importante per l’apprendimento del linguaggio è la percezione uditiva, che è la capacità di selezionare ed interpretare le informazioni che provengono dall’udito; questo processo consente l’utilizzazione ergonomia della informazione acustica lungo le connessioni della via uditiva centrale, secondo gli interessi di ogni singolo soggetto. Il bambino nei suoi primi anni di vita deve: • Imparare ad ascoltare – I bambini imparano ad ascoltare anche prima che nascano – Esperienza prenatale: I neonati preferiscono sentire la voce della loro mamma rispetto ad altre voci • Imparare il linguaggio nativo – Distinzioni di suoni caratteristici di linguaggi diversi fra loro, per esempio: “r” and “l” non sono distinguibili in Giapponese (Glazie) – I bambini imparano ad ignorare i suoni irrilevanti molto prima di imparare a parlare • Imparare le parole – capire dove una parola inizia e un’altra finisce – i bambini sono capaci di distinguere fra parole e non parole di una nuova lingua DOPO 2 MINUTI di esperienza • Sviluppare il linguaggio nel cervello – Analisi con PET e fMRI : aiutano a capire quali aree celebrali sono coinvolte nei processi linguistici nel cervello – Ascoltare un linguaggio: i lobi temporali superiori sia destro che sinistro sono più attivati da suoni linguistici rispetto a suoni non linguistici Infatti un ascoltatore ha a che fare con una varietà di suoni presenti nell’ambiente e deve poter identificare e distinguere dal rumore i segnali verbali rilevanti. L’attenzione selettiva uditiva è il meccanismo che permette di raggiungere questo scopo, cioè la percezione di un debole segnale verbale in un ambiente rumoroso, come può essere, ad esempio un ambiente affollato. 10


Isa Maria Sozzi – Filosofia del linguaggio 2 Le unità costitutive fondamentali del linguaggio orale sono i fonemi, ma ciò non semplifica affatto il compito dell’ascoltatore, perché vi sono molte difficoltà che il suo cervello deve risolvere: - mancanza di invarianza (i suoni variano in base al contesto in cui sono pronunciati, per la coarticolazione delle sillabe) - variabilità di produzione (lo stesso suono è diverso a seconda di chi lo pronuncia, es. uomo o donna) - difetto di segmentazione (i fonemi non sono pezzi distinti e separati, ma formano parole e, per di più, i confini tra esse sono ambigui) - problema della segmentazione tra parole (all’interno delle parole vi sono dei silenzi oppure mancano delle pause chiare tra le parole di una frase) L’ascoltatore deve confrontarsi con un’enorme variabilità dell’input. Nel linguaggio parlato, l’analisi percettiva deve tener conto di tutte queste variabili, quindi non può esserci una relazione univoca, di uno a uno, fra segnale fisico e rappresentazioni nella memoria. Quando un segnale verbale colpisce l’orecchio, viene dapprima elaborato lungo vie cerebrali non specializzate nel processo di elaborazione del linguaggio, ma coinvolte piuttosto nell’elaborazione degli stimoli acustici in generale. Esistono aree della corteccia più sensibili ai suoni verbali che non ai toni puri, nei pressi del solco temporale superiore, ed aree coinvolte nell’elaborazione delle informazioni semantico lessicali, per lo più lateralizzate a sinistra. L’identificazione certa però è difficile, dato che udire una parola attiva automaticamente anche il significato. Ma anche la lettura spesso attiva informazioni fonologiche. L’educazione dell’orecchio è necessaria a tutte le discipline. Ci sono ragioni filogenetiche ed ontogenetiche dell’apprendimento uditivo:  90.000 anni fa : gli ominidi comunicano con suoni/musiche/segnali  35.000 anni fa : il suono si fa PAROLA  1100-700 a.C. La poesia “musicale” (metrica) nasce per agevolare la memoria uditiva  I processi di apprendimento messi in atto dalle società orali sono caratterizzati dal “piacere di apprendere” con la musica e la danza  La cultura orale privilegia l’udito  L’orecchio e la memoria sonico-uditiva sono regine incontrastate di ogni apprendimento fino a tempi recentissimi Il bambino vive i meccanismi della cultura orale: impara con le modalità tipiche dell’oralità e privilegia l’udito. La scuola privilegia il senso della vista (uso della lettura/ scrittura) ma richiede al bambino un orecchio educato quale prerequisito per ogni apprendimento. Poesia/ musica e danza sono espedienti per imparare e ritenere le informazioni. La musicalità umana si sviluppa attraverso l’udito, organo preposto alla ricezione del linguaggio, alla coordinazione motoria e, in definitiva, elemento fondamentale per l’apprendimento in genere e per l’equilibrio psico-fisico della persona In conclusione la percezione è il processo che - mediante una rete di neuroni, organizzati in un complesso che coinvolge ➩ sia aree sensoriali e associative del cervello ➩ sia il sistema limbico, elabora informazioni provenienti dal mondo esterno e le traduce in informazioni più complesse che sono messe a disposizione delle funzioni cognitive superiori. La percezione, non è una risposta passiva e frammentata, ma un’organizzazione immediata, dinamica dei dati sensibili della realtà. Essa conduce a segmentare il flusso continuo dell’esperienza in unità distinte (singoli oggetti, frasi, suoni, ecc.) con le loro proprietà e relazioni immediatamente evidenti. 11


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2 - Biologia ed evoluzione degli organi di senso Introduzione Vista Udito Tatto Chemiocettori Tutti i viventi effettuano il loro ciclo vitale in ambienti dai quali ricevono in continuazione sollecitazioni e stimoli; le caratteristiche fisiche e chimiche degli ambienti infatti, variano in continuazione. Perciò una delle caratteristiche fondamentali della materia vivente è la capacità di rispondere agli stimoli; i viventi quindi, per mantenersi nelle condizioni più favorevoli rispetto al proprio ambiente, reagiscono agli stimoli con una grande varietà di risposte fisiologiche e comportamentali. Attraverso meccanismi “omeostatici” (conservazione di condizioni interne costanti, malgrado le variazioni dell’ambiente esterno), essi tendono a ripristinare condizioni di equilibrio. L’evoluzione biologica ha favorito la formazione nei viventi di molti di questi meccanismi (ne sono un esempio i numerosi meccanismi morfologici, fisiologici e comportamentali che tendono a mantenere costante la temperatura del corpo), che permettono di adeguarsi (entro certi limiti) ai cambiamenti ambientali, come variazioni di luce, di temperatura, di umidità, ecc … ma anche alle variazioni che riguardano i rapporti con gli altri viventi. La vita di moltissimi animali (escludendo quelli che stanno sempre attaccati a un substrato in attesa di ricevere l’alimento dall’ambiente che li circonda), consiste nello spostarsi, anche in ambienti difficili e pericolosi, nello schivare mille ostacoli, nel nascondersi rapidamente per evitare di essere mangiati quando ci si imbatte in un predatore o meglio nel trovare a loro volta il nutrimento per sopravvivere. In origine si può immaginare che tutti i viventi dovevano avere contatti “fisici” con gli oggetti prima di “capire“ di cosa si trattasse: enormi benefici hanno conseguito gli animali che sono stati in grado di sviluppare via via sistemi sensori per la percezione a distanza. Naturalmente le risposte degli organismi sono basate sulla possibilità di conoscere ciò che accade intorno a loro e/o all’interno di loro; è necessario quindi che essi percepiscano in modo appropriato l’ambiente in cui vivono, per adeguarsi convenientemente alle sue variazioni. Essere consapevoli di un oggetto “prima” di toccarlo, prima di arrivare in contatto con lui ha costituito indubbiamente un enorme vantaggio. La percezione e/o la conoscenza dell’ambiente è resa possibile nei viventi dall’esistenza di strutture più o meno complesse, specializzate a ricevere gli stimoli che provengono dall’ambiente esterno e dalle varie parti del corpo di un organismo, chiamate “recettori”; questi inviano ai centri nervosi principali (più o meno complessi, senza dimenticare che, pur non avendo strutture nervose specializzate, anche i viventi vegetali percepiscono stimoli e reagiscono a questi) i segnali nervosi che in essi si sono generati. Pertanto gli stimoli fisici o chimici provenienti dall’ambiente devono essere fedelmente codificati in segnali che i neuroni del sistema nervoso centrale possano ricevere ed elaborare, tramite la trasduzione del segnale. I recettori sono cellule o tessuti sensibili alle varie forme di energia (luminosa, termica, meccanica, chimica, elettrica, ecc.), della quale effettuano la trasformazione in stimoli nervosi. La ricezione di uno stimolo consiste dunque nella conversione, da parte di una cellula recettrice, di un tipo di segnale (lo stimolo) in un impulso elettrochimico (trasduzione sensoriale), cioè nella conversione dell’energia degli stimoli fisici o chimici in potenziali d’azione che trasmetteranno le caratteristiche qualitative e quantitative degli stimoli stessi al sistema nervoso centrale. Questi segnali, quando 12


Isa Maria Sozzi – Filosofia del linguaggio 2 arrivano ai centri nervosi principali vengono analizzati, interpretati ed organizzati. È poi il sistema o il centro nervoso centrale che, sulla base degli stimoli ricevuti, coordina le risposte di adeguamento dell’individuo. I recettori pertanto, hanno la funzione di mettere in relazione gli animali con il mondo esterno e raccolgono continuamente gli stimoli che da esso provengono. Essi rivestono un’importanza fondamentale, perché rappresentano le uniche fonti di informazione tra l’ambiente ed il sistema nervoso centrale. Si conoscono vari gradi di organizzazione nel mondo animale: i recettori possono essere semplici fibre nervose distribuite nel corpo, fino a complesse strutture, costituenti “gli organi di senso”, formate da cellule specializzate, concentrate in particolari aree del corpo. Una delle forme più semplici di recettore è costituita dalle fibre nervose sensitive, in cui la fibra stessa costituisce il recettore (nella pelle dei vertebrati ad esempio, è presente una grande quantità di fibre sensitive, che agiscono come recettori di variazioni della temperatura, dello stato chimico e della pressione meccanica). Sono queste fibre che causano la sensazione di dolore quando, sotto intense stimolazioni, inviano al cervello impulsi nervosi a frequenza elevata. Esistono numerose organizzazioni semplici o più complesse (ad esempio gli organuli ed i corpuscoli sensitivi che si trovano nei muscoli del vertebrati); la forma più complessa è quella costituita dalla aggregazione di molti recettori specializzati, coadiuvati nello svolgimento delle loro funzioni da organi e tessuti accessori, che li proteggono e/o aiutano nella ricezione degli stimoli. Questi recettori specializzati e complessi costituiscono gli organi di senso, distinti a seconda delle specializzazioni in apparati della vista, del gusto e dell’olfatto e dell’udito. È difficile comunque classificare ed ordinare la grande varietà delle strutture di senso degli animali; si può tentare una divisione basata sulla natura dello stimolo e sulla sua provenienza. Una prima categoria può essere quella degli “enterocettori”, nella quale ordinare tutti i recettori che percepiscono gli stimoli provenienti dall’interno di un organismo (ne sono un esempio le fibre ed i corpuscoli sensoriali che danno “la sensazione” dello stato in cui questi si trovano e dei bisogni fisiologici, come la fame e la sete). Gli enterocettori sono specializzati a percepire stimoli chimici o di pressione. Nella categoria dei “propriocettori” si inseriscono i recettori che percepiscono gli stimoli che provengono dall’interno degli organi stessi e danno la sensazione delle posizioni delle varie parti del corpo, del loro movimento ed in generale dell’equilibrio (ne sono un esempio i recettori dei canali semicircolari dell’orecchio dei vertebrati, detti organi del senso statico, che regolano la posizione nello spazio e mantengono il corpo in equilibrio..). Infine la categoria degli “esterocettori”, cioè tutte le terminazioni nervose, i corpuscoli e gli organi di senso che raccolgono stimoli provenienti dall’ambiente esterno e che permettono quindi di coordinarsi con l’ambiente circostante. Oltre a quelli corrispondenti ai sensi principali - cioè i recettori di luce o fotorecettori, i recettori del suono o acustici, e quelli dell’odorato/gusto, che sono chemiorecettori (recettori chimici) - vengono calssificati negli esterocettori anche i recettori della sensibilità tattile (tatto), termica (cioè della temperatura) e dolorifica. Fotorecettori e recettori acustici hanno ruoli fondamentali nella percezione dell’ambiente e nei rapporti tra viventi. Uno speciale recettore termico è “l’occhio del caldo” di alcuni serpenti velenosi, che permette di percepire il “calore” delle prede e quindi di localizzarle. Una forma speciale di recettori è quella dei “recettori elettrici”, presenti in pochissimi organismi (alcuni pesci come le torpedini e/o altri che vivono in acque torbide e fangose dove la visibilità è scarsa e le variazioni del campo elettrico vengono utilizzate per “esplorare” l’ambiente).

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Isa Maria Sozzi – Filosofia del linguaggio 2 Evoluzione del sistema visivo Si stima che l’evoluzione di un occhio sia avvenuta dalle 40 alle 60 volte in modo indipendente lungo la scala evolutiva degli animali, il che significa che questo delicato ed efficientissimo organo sembra quanto di meglio sia possibile sviluppare per interagire con il mondo circostante. Gli animali, vedono quello che è per loro "utile" vedere per poter sopravvivere: trascurando tutto ciò che non serve, che distrae, che rende meno pregnante l’oggetto importante. Generalizzando un po’, le cose più "viste" sono il cibo di cui è necessario nutrirsi e il sesso opposto per garantire la sopravvivenza della propria specie. Altrettanto importante è cercare di non farsi vedere dai propri predatori sfuggendo così al proprio destino di prede coevolute con essi. I fotorecettori sono cellule specializzate che contengono sostanze (generalmente colorate e per questo dette pigmenti fotosensibili) che reagiscono alle radiazioni luminose ed avviano impulsi nervosi ai sistemi centrali che, negli animali più complessi, elaborano gli impulsi sotto forma di immagini. Nella forma più complessa si sono originate strutture specializzate, gli “occhi”, che permettono anche la percezione del colore. Gli occhi sono presenti in vari gruppi di animali, con formazione di cellule fotosensibili (retina) e tessuti trasparenti che funzionano da lente (cristallino), permettendo di mettere a fuoco le immagini. L’occhio dei vertebrati raggiunge la massima complessità di forma e funzioni. Il fatto che gli occhi siano così diffusi in tutto il regno animale fa supporre che dove la vita sia presente nell'Universo, essa debba avvalersi della percezione visiva, cioè della capacità di captare la radiazione luminosa, ovunque ampiamente diffusa, pilotandola all'elaborazione di specifici mondi visivi. La luce infatti, per le sue caratteristiche fisiche come l'eccezionale velocità, le modalità di trasmissione ondulare e corpuscolare, le differenti lunghezza d'onda costitutive, conferisce a chi è in grado di captarla preziose informazioni sull'ambiente. La rappresentazioni visive degli organismi che affollano la Terra sono molto diverse, ma ciascuno di essi condivide con i parenti filogeneticamente vicini una serie di geni. È stato scoperto che alcuni geni che controllano lo sviluppo degli occhi, quali eyeless nel moscerino dell'aceto (Drosophila melanogaster), smalleye nel topo e aniridia nell'uomo, hanno sequenze di basi del DNA simili per oltre il 90%; ciò suggerisce che almeno mammiferi e insetti condividono alcuni fattori genetici connessi alla formazione dell'occhio, in particolare il complesso genico Pax6. Infatti, trapiantando il gene smalleye del topo nel DNA delle cellule di un arto in sviluppo di Drosophila, viene indotta, in tale sede atipica, la formazione di un occhio che non è tuttavia a camera fotografica, tipico dei mammiferi, ma di assetto composto, caratteristico degli insetti! Risultati analoghi sono stati ottenuti nei molluschi, nelle ascidie e in molti vermi di mare. Macchia oculare: con questo termine si intende un organello cellulare sensibile alla luce presente sia in numerosi esempi di viventi unicellulari (protozoi e alghe) sia nei tessuti superficiali dei platelminti e degli anellidi. Si tratta di strutture subcellulari colorate generalmente presenti in una determinata parte della cellula. Il colore è costituito da goccioline lipidiche pigmentate talvolta assemblate attorno a membrane; il pigmento è costituito da carotenoidi oppure da rodopsina (la Figura 1 - Euglena stessa molecola fotosensibile presente negli animali con macchia oculare (rossa) superiori) e le membrane derivano spesso da quelle di un precedente cloroplasto. Figura 2 - molecola di rodopsina

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Isa Maria Sozzi – Filosofia del linguaggio 2 La Chlamydomonas, un’alga verde monocellulare che nuota liberamente grazie a un lungo flagello, possiede una macchia oculare posta sul bordo esterno del cloroplasto e formata da alcuni strati di globuli pieni di pigmenti strettamente addossati alle sue membrane. In presenza di una fonte costante di luce questa struttura si sviluppa e aumenta il suo contenuto di rodopsina, la proteina che lega a sé la molecola che interagisce con i fotoni. Il movimento della Chlamydomonas avviene mediante il battito a frusta del flagello che fa Figura 3 procedere in avanti il corpo cellulare secondo un percorso a spirale. Mentre Chlamydomonas avanza ruotando in modo regolare, la macchia oculare intercetta la luce a intervalli di circa mezzo secondo. La molecola fotosensibile, interagendo con i fotoni, provoca un’alterazione nella struttura elettrica della membrana che influenza il movimento del flagello: se dopo un giro su se stessa, la cellula percepisce un angolo di incidenza della luce variato (cioè se sta cambiando direzione e non si dirige verso la luce) il movimento del flagello si altera e la Chlamydomonas corregge la propria traiettoria. In questo modo la cellula si muove sempre in direzione della fonte luminosa, dove il suo apparato fotosintetico lavora al meglio. Tuttavia, quando l’intensità della luce supera il valore ottimale per la fotosintesi, la cellula cambia direzione o nuota in senso opposto per proteggere dalla radiazione eccessiva il proprio apparato fotosintetico e le proprie strutture. Gli “ocelli”, cioè formazioni con cellule fotosensibili che percepiscono le variazioni luminose sono presenti in molti animali invertebrati, ad esempio nelle meduse, nelle planarie, nei lombrichi, nei molluschi bivalvi. Le planarie sono vermi piatti che vivono nelle acque interne e posseggono due macchie oculari distinte protette da pigmenti, situate lateralmente rispetto al capo. Avendo le macchie in tale posizione, possono “capire” da che parte viene la luce (una delle due macchie sarà illuminata e Figura 4 - planaria l’altra meno) e vanno a rifugiarsi verso il buio, dove diminuiscono la probabilità di essere viste dai predatori. Occhio a calice Una fotocellula trasparente riceve luce da tutte le direzioni e non può distinguerne la provenienza; solo se dotata di uno schermo scuro consente la percezione della direzione da cui proviene la luce. Se si forma, inoltre, un tappeto di cellule concavo la percezione è ottimale: un semplice occhio “a calice” distingue perfettamente la direzione da cui proviene la luce. Confrontando il segnale raccolto dalle cellule colpite dalle luce rispetto a quello delle cellule non colpite, un cervello – anche molto semplice – può capire da quale diversa direzione Figura 5 - orecchia di mare

stia arrivando la luce. Gli occhi a calice sono molto

diffusi: alcuni vermi piatti e i molluschi più semplici come le patelle, che vivono stando pressoché fermi sulle rocce e che devono solo difendersi dai predatori stringendo il potente muscolo con cui si attaccano al substrato, posseggono semplici occhi a calice del tipo descritto. Occhio con apertura ridotta Un grande salto di qualità è consistito nel ridurre moltissimo l’apertura Figura 6- Nautilus (fino a un forellino), così diminuisce drasticamente il numero elevatissimo 15


Isa Maria Sozzi – Filosofia del linguaggio 2 di raggi che prendono origine dall’oggetto osservato. Il forellino può essere considerato il filtro di infinite immagini che sono così selezionate e vanno a costituire una sola immagine capovolta dell’oggetto osservato. Occhi come questo sono presenti nel Nautilus, un mollusco cefalopode dotato, a differenza di calamari e seppie, di una conchiglia bellissima. Occhio dotato di lente I raggi che entrano dal forellino sono pochi; la visione migliora se il segnale è amplificato da una lente e convogliato su un numero maggiore di cellule fotosensibili situate a livello della retina. Questa struttura - di natura proteica – è rappresentata dal cristallino. A questo punto ci si trova di fronte a un grosso problema, quello di tenere sempre gli occhi in movimento: per “guardare” mentre ci si muove (e il corpo di un animale tanto più usa la vista, tanto più si muove) e mentre continua a cambiare la distanza con l’oggetto che si osserva. Occorre in pratica modificare continuamente la messa a fuoco. Camaleonti, rane, serpenti e pesci cambiano la distanza tra il cristallino e Figura 7- seppia la retina spostandolo in avanti e indietro, proprio come la messa a fuoco di un macchina fotografica. I mammiferi invece hanno perfezionato un sistema per cambiare la forma del cristallino, il suo potere di ingrandimento e quindi la messa a fuoco sulla retina. Un altro problema è quello di vedere anche con intensità di luce variabile. A questo scopo anche l’apertura dell’occhio nei vertebrati superiori diventa variabile e indipendentemente dalla sua forma (ovini e bovini hanno una pupilla allungata, a forma romboidale, i polpi e alcuni serpenti hanno una sottile fessura verticale, nei gatti da circolare può assumere la forma di una fessura verticale strettissima) resta un meccanismo velocissimo per rispondere alla intensità luminosa. Occhi per vedere nell’oscurità Un pettine che vive sul fondo del mare, riesce a catturare i pochi fotoni che arrivano grazie a uno specchio curvo posto dietro alla retina di ciascun occhio. Dalle due valve dell’animale, in mezzo ai tentacoli con cui si ciba, si possono scorgere una decina di “splendidissimi” occhi. Questi sono dotati anche di una lente che, posta davanti alla retina, serve per correggere l’aberrazione dello specchio. Anche dietro alla retina degli animali superiori, soprattutto di quelli che hanno abitudini notturne e vivono con poca luce, esiste uno strato di cellule (tappeto) che serve per catturare i fotoni sfuggiti alle fotocellule migliorando la resa in assenza di forte luce. Anche in questi occhi dotati di specchi curvi l’immagine viene ribaltata, come in quelli a calice Occhi per vedere i colori I fotorecettori sono distribuiti uniformemente sulla retina e sono rappresentati dai bastoncelli e dai coni (nell'occhio umano se ne contano rispettivamente circa centoventi milioni e sette milioni). I bastoncelli non permettono né una percezione dei colori né dei dettagli, ma sono sensibili a valori anche bassi di luminosità. I processi selettivi naturali li hanno mantenuti prevalenti nei mammiferi marini quali balene e foche che vivono in ambienti poco sensibili alle variazioni cromatiche; negli uccelli attivi durante la notte, come gufi e civette, si è avuto nel corso del tempo un massiccio incremento della loro presenza. Nella maggior parte dei vertebrati i raggi luminosi vengono concentrati dal cristallino su un'area della retina, la fovea, particolarmente ricca di coni: ciò assicura loro una visione dettagliata e ricca di colori. È interessante notare che in molti mammiferi si ha una visione dicromatica, fondata sul blu e su un altro colore fondamentale che può essere il verde o il rosso. Tra le scimmie catarrine, 16


Isa Maria Sozzi – Filosofia del linguaggio 2 uomo compreso, e stranamente tra i marsupiali australiani, si ha una visione tricromatica, in grado cioè di percepire, oltre al blu, anche il rosso ed il verde, mentre essa è più complessa tra le scimmie platarrine, presenti nell'America centro meridionale; in tal caso in una stessa popolazione di individui si possono trovare femmine con una visione sia tricromatica sia, in analogia a quanto avviene per i loro maschi, dicromatica, con due alternative possibili, oltre al blu sempre presente, quella per il verde o per il rosso. La visione nell’uomo L’occhio umano riflette il processo evolutivo descritto in precedenza ed è evidente nello sviluppo ontogenetico del feto, ma il meccanismo della visione comprende una grossa fetta di elaborazione cerebrale. Non solo, come per tutti i sensi, la visione non è più legata alla sopravvivenza personale o della specie, ma è connessa a complesse pratiche sociali, emotive e al linguaggio. L'occhio umano è un sistema ottico relativamente semplice, costituito da un diottro (cornea, umor acqueo, e umor vitreo) di indice di rifrazione 1.33 e da una lente biconvessa, il cristallino, di indice di rifrazione 1.44, in cui la curvatura della faccia anteriore può essere modificata dalla contrazione dei muscoli ciliari, variando così la distanza focale della lente (accomodamento). Cornea, camera anteriore, cristallino e camera posteriore nel loro complesso formano una lente convergente (provvista di una distanza focale variabile fra 2,4 e 1,7 cm) che proietta le immagini sulla retina, rimpicciolite e capovolte. Una membrana muscolare, l'iride, al cui centro è ricavata un'apertura, la pupilla, serve a diaframmare, cioè a regolare la quantità di luce che entra nell'occhio.

Figura 8 - struttura dell'occhio

La superficie sensibile dell'occhio è costituita dai fotorecettori della retina (i bastoncelli ed i coni), il cui compito è quello di trasformare in impulsi elettrici le informazioni ricevute dalle reazioni fotochimiche che vengono attivate dalla radiazione luminosa e di inviare questi segnali ai neuroni retinici - le cellule orizzontali, bipolari, amacrine e ganglionari - che sono variamente connessi fra di loro ed effettuano una prima elaborazione del segnale visivo. Gli assoni delle cellule gangliari si riuniscono in modo da formare il nervo ottico, un cavo che conduce l'informazione visiva fuori dalla retina fino ai centri superiori, dapprima al corpo genicolato laterale e da qui alle aree corticali. 17


Isa Maria Sozzi – Filosofia del linguaggio 2 Le fibre nervose provenienti da punti diversi della retina si dirigono verso punti diversi del nucleo genicolato (LGN) e della corteccia, ricreando così una mappa cerebrale della retina nel cervello. Vie ottiche: chiasma, corpo genicolato, corteccia visiva area 17 Interazione fra i due occhi Elaborazione ed organizzazione dell'informazione visiva:  Nel corpo genicolato l'immagine subisce una prima elaborazione che cerca di mettere in evidenza l'oggetto rispetto allo sfondo, i suoi contorni, le differenze di contrasto.  Studi elettrofisiologici di Hubel e Wiesel sulla corteccia visiva del gatto e della scimmia: cellule semplici (campi recettivi ON-OFF di forma allungata) selettive per l'orientamento dello stimolo; cellule complesse rispondono alla Figura 9 - elementi della retina direzione di movimento dello stimolo; cellule ipercomplesse selezionano anche le dimensioni dello stimolo. Ipercolonne Ognuno di noi ha un "buco" nel proprio campo visivo, uno per occhio, e non lo percepisce: la parte di immagine che manca viene ricostruita deducendola da ciò che si vede intorno. Tutto il fondo dell'occhio è ricoperto dai fotorecettori, tranne che in un punto, un'area di 1,5 millimetri di diametro, dove convergono i nervi e i vasi sanguigni della retina, pertanto questo punto non è sensibile alla luce, è una zona senza informazioni. Tuttavia il cervello riesce a ricostruire l'immagine mancante attraverso un processo chiamato "filling in" (riempimento) studiato da ricercatori americani, svizzeri, olandesi e giapponesi. Con grande sorpresa essi hanno scoperto che la parte di corteccia visiva che corrisponde al punto cieco è attiva durante il processo di riempimento, anche se, direttamente, non riceve alcuna informazione dalla retina. La percezione é dunque una simulazione ricostruttiva generata dal cervello, sotto il controllo di una determinante genetica, delle interazioni tra noi e l’ambiente materiale che ci circonda e in base alle nostre Figura 10 - aree cerebrali della visione conoscenze e alle nostre esperienze precedenti: ciò che è percepito è diverso dall'oggetto esterno che rappresenta. La percezione visiva dipende anche dalla capacità di formare e memorizzare immagini cerebrali, tramite le informazioni ricevute dall'occhio. Le parti più periferiche della retina contengono solo bastoncelli e non distinguono né la forma, né i colori degli oggetti, ma quando un oggetto entra nel campo visivo dell'occhio, determinano il movimento istintivo della testa e dell'occhio stesso al fine di portare l'immagine nella zona centrale della retina, ove si ha la massima capacità di "vedere". Man mano che ci si sposta verso la zona centrale della retina si ha una visione sempre più nitida, sino a raggiungere il massimo nella fovea, al centro della macchia lutea, dove sono presenti solo coni. 18


Isa Maria Sozzi – Filosofia del linguaggio 2 Se la visione totale dell'occhio fermo abbraccia un campo di 140° in senso orizzontale e di circa 120° in senso verticale, la visione della macchia lutea abbraccia un campo rispettivamente di 8 e 6 gradi, mentre quello della fovea poco più di 1 grado. L'analisi di una scena visiva, come l'osservazione di un quadro o di un panorama, è strettamente associata alla visione foveale. Pertanto quando si osserva una scena stazionaria, gli occhi eseguono una scansione del campo visivo con movimenti rapidi - detti movimenti saccadici alternati a fissazioni. In generale la scansione del campo visivo non è regolare, tranne casi particolari come la lettura, in cui c'è un'organizzazione seriale dell'informazione visiva. Così, in generale, le fissazioni non sono distribuite uniformemente sulla figura osservata: alcune zone sono ignorate e altre sono visitate (fissate) frequentemente. L'informazione visiva può essere acquisita dal sistema nervoso centrale solo durante le fissazioni, dato che durante i movimenti saccadici sono attivi meccanismi inibitori. Pertanto lo studio della strategia di osservazione adottata durante l'esplorazione di una figura o di una scena visiva, può dare utili informazioni sui processi percettivi e cognitivi:  la distribuzione spaziale delle fissazioni indica quali sono le zone della figura visitate maggiormente e, in generale, si può assumere che queste zone siano quelle a contenuto di informazione più elevato per l'osservatore, durante l'esecuzione di quel particolare compito.  la durata delle fissazioni dà informazioni sulla quantità di informazione utile localizzata nell'area osservata e sul tempo necessario a elaborare l'informazione prelevata  la sequenza delle fissazioni ci permette di studiare la successione temporale dell'analisi dell'informazione visiva fatta dal Sistema Nervoso Centrale Sequenza, durata e distribuzione spaziale delle fissazioni, dipendono molto dalle aspettative e dai compiti che ha l'osservatore. Il fenomeno dell'illusione del movimento consente all'occhio di percepire come un fascio di luce continuo ciò che, al contrario, è una rapida sequenza di lampi (nel cinema professionale 48 al secondo, pari a 24 fotogrammi al secondo: ogni fotogramma viene illuminato due volte); l'illusione del movimento è invece opera del cervello il quale, secondo meccanismi non ancora del tutto chiariti, "assembla" la raffica di immagini che gli vengono trasmesse in modo unitario creando da se medesimo l'illusione che tali immagini siano in movimento. Secondo alcuni studi la percezione del movimento si ha già con sole sei immagini al secondo, anche se, ovviamente, la fluidità dell'azione risulta molto scarsa. I primi film muti venivano girati a circa sedici fotogrammi al secondo; lo standard dei 24 fotogrammi fu codificato solo con l'avvento del cinema sonoro onde ottenere una velocità lineare della pellicola sufficiente per una dignitosa resa sonora della traccia. Altri tipi di movimenti oculari:  movimenti di inseguimento (pursuit)  micromovimenti durante le fissazioni x impedire che la risposta delle cellule nervose si attenui Richiami:  La psicologia della Gestalt e le leggi di raggruppamento percettivo  L'articolazione figura/sfondo; contorni illusori del triangolo di Kanizsa  Le illusioni ottiche  Il cinema  Basi neurofisiologiche: neuroni "features detectors"  Specializzazione funzionale della corteccia visiva: elaborazione separata di movimento, colore, forma, ....  Integrazione dell'informazione visiva  rete di connessioni anatomico ad ogni livello, anche connessioni di ritorno, che consentono il flusso di informazioni nei due sensi fra aree 19


Isa Maria Sozzi – Filosofia del linguaggio 2

diverse (essenziali per risolvere conflitti fra cellule che hanno capacità differenti, ma reagiscono allo stesso stimolo) Metodi d'indagine: elettrofisiologia nel gatto e nella scimmia vs. risposte percettive nell'uomo, studi degli effetti prodotti da lesioni (ferite o asportazioni chirurgiche) o patologie cerebrali, studi di immagini cerebrali umane ottenute con la tomografia a emissione di positroni (PET) o con la risonanza magnetica (RM).

Una serie di materiali didattici sulla visione, da utilizzare prevalentemente a livello di scuola secondaria di primo grado si trovano nel sito: http://didascienze.formazione.unimib.it/set/Immagini/U2_somm.htm con la supervisione della professoressa Enrica Giordano.

Figura 11 - occhi composti di un insetto

Udito I recettori di onde meccaniche più specializzati sono quelli acustici; sono presenti anche negli invertebrati, soprattutto negli insetti che comunicano attraverso suoni (cavallette, grilli, cicale, ecc.), ma i più specializzati si trovano nell’orecchio interno dei vertebrati. È da segnalare, tra i recettori di onde meccaniche, anche quella serie di strutture nervose che nei pesci o sono sparse sulla superficie del copro o sono aggregate nel sistema della “linea laterale”; questi recettori sono sensibili al movimento dell’acqua e trasmettono impulsi al cervello del pesce, dandogli informazioni sulle variazioni di pressione dell’acqua circostante. I pesci, quindi, sono in grado di individuare la direzione di provenienza di un’onda, dalle differenze di pressione con cui arriva alle varie parti del corpo. Con il sistema della linea laterale i pesci ricevono anche echi rinviati da eventuali ostacoli o da altri organismi, dalle onde prodotte nuotando. Alcuni vertebrati percepiscono ultrasuoni (ad esempio i pipistrelli, che utilizzano questa capacità per localizzare le prede e/o i mammiferi marini, che hanno un sistema di percezione auditiva basato sull’ecolocalizzazione). Nel mondo naturale le vocalizzazioni hanno una funzione di segnale e presuppongono l'esistenza di un soggetto emittente e di uno ricevente, che siano in grado di interpretare il messaggio e di adeguare i propri comportamenti ad esso. Si può supporre che l'animale, quando emette un segnale acustico, come un grido, un sibilo, un barrito lo possa anche fare rispondendo a un'esigenza altruistica, indirizzata a favorire gli altri componenti del gruppo: la comunicazione in tal caso potrebbe servire ad indirizzare verso una risorsa o a segnalare un pericolo. In altre situazioni. essa contiene elementi di minaccia o di avvertimento, talora connessi alla competizione sessuale. Il suo impiego, contribuendo a evidenziare la condizione fisica di chi l'ha emessa, eviterebbe spiacevoli confronti, dalle conseguenze imprevedibili, come tra potenziali soggetti rivali. Inizialmente l'orecchio si è evoluto come organo dell'equilibrio e l'apparato vestibolare è praticamente lo stesso in tutti i vertebrati; le strutture dell'udito si sono sviluppate ed evolute, negli esseri umani e in altri vertebrati superiori, solo in seguito. Molti invertebrati, invece di veri e propri orecchi, hanno organi specializzati per l'udito e per l'equilibrio. I grilli e i ragni, a esempio, hanno sulle zampe membrane molto simili a tavole armoniche. Le falene sono dotate di un orecchio 20


Isa Maria Sozzi – Filosofia del linguaggio 2 rudimentale posto sul torace che evidentemente funziona da sistema di difesa in quanto attraverso di esso possono avvertire eventuali attacchi di pipistrelli. Nei pesci l'orecchio serve soprattutto per l'equilibrio ed è privo della coclea e delle porzioni esterna e interna. Gli anfibi posseggono invece una cavità simile all'orecchio medio e una sottile membrana, che separa l'orecchio intermedio dall'esterno, agisce da membrana timpanica. Il padiglione auricolare si trova solo nei mammiferi. Negli uccelli e nei rettili la membrana timpanica è spesso situata in una depressione (canale auditivo) sotto la pelle. Non è ancora nota l'origine evolutiva dell'orecchio interno, che può essersi sviluppato dal cosiddetto sistema della linea laterale dei pesci. Questo sistema consiste di una serie di solchi sulla testa e sui lati. Nei solchi sono presenti grappoli di particolari cellule ciliate sensibili alle variazioni della pressione dell'acqua, ma insensibili al suono convenzionalmente inteso. Le cellule sensoriali dell'orecchio interno sono evidentemente adattamenti delle cellule sensibili al moto dei liquidi. L'orecchio medio e la tromba di Eustachio si sono evoluti dall'apparato respiratorio dei pesci, mentre le varie strutture dell'orecchio interno si sono evolute da alcune parti della loro mandibola. L ’orecchio, nei pesci e negli anfibi, regola l’equilibrio; i suoni arrivano al timpano che li trasmette all’orecchio interno tramite un ossicino chiamato columella (in alcuni rettili ha un piccolo muscolo ammortizzatore per ridurre i suoni troppo alti). Un vero e proprio orecchio esterno non esiste, ma è presente una specie di membrana timpanica. Si pensa che questi animali non sentano i suoni ma percepiscano le vibrazioni. Un organo di senso tipico di boidi e crotalidi sono le fossette labiali che possono variare disposizione e numero in base alla specie ma che comunque si trovano sempre sulla punta del muso. Nei crotalidi ce ne sono 2 e sono usate anche come termorecettori che permettono al serpente di localizzare animali a sangue caldo. La coclea, nei mammiferi, è invece il risultato della piccola crescita verso l'esterno dell'apparato vestibolare degli anfibi. Grazie all’udito percepiamo i suoni di un determinato campo di frequenze che provengono dal mondo esterno. Nell’orecchio interno è localizzato anche il nostro senso dell’equilibrio. L’udito è un senso molto importante per l’uomo perché gli permette la comunicazione orale: l’articolazione dei suoni sarebbe inutile se questi non venissero captati da un organo uditivo. Gli uomini differiscono dalla maggior parte degli altri primati per le loro capacità uditive: sono sensibili a suoni in un intervallo acustico che va dai 2 ai 4 KHertz. Questa sensibilità ci permette di udire i tipici suoni della lingua parlata. Gli scimpanzé, invece, mostrano picchi di sensibilità uditiva molto diversi dai nostri e questo si pensava finora anche riguardo ad altri ominidi ormai estinti e più primitivi di Homo sapiens. Eppure cinque fossili del Pleistocene Medio raccolti nel sito Sima de los Huesos, in Spagna, ominidi vissuti 350 000 anni fa, alcuni dei quali appartengono alla linea evolutiva dei Neanderthal, hanno mostrato di cavarsela bene e di non essere poi così più sordi di noi. Infatti hanno svelato di avere una sensibilità uditiva notevole quasi nello stesso intervallo di frequenza percepito bene dalle nostre orecchie.

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Isa Maria Sozzi – Filosofia del linguaggio 2

Figura 12 - schema orecchio

Le vibrazioni della membrana basilare fanno avvicinale e allontanare dalla membrana tettoria le estensioni delle cellule ciliate. Le vibrazioni della finestra ovale comprimono ed espandono il liquido del dotto vestibolare/ superiore Le onde giungono fino all’apice della coclea poi passano al dotto timpanico/inferiore dissipandosi. La trasduzione nelle cellule ciliate: quando queste estensioni si piegano si aprono i canali ionici del K+ . I K+ entrano nella cellula che sviluppa un potenziale generatore e libera un maggior numero

Figura 13 - percezione suoni

di neurotrasmettitori nella sinapsi con il neurone sensoriale. Le caratteristiche fisiche della membrana basilare permettono la discriminazione delle frequenze sonore: l’estremità vicino alla finestra ovale è stretta e rigida L’estremità vicino all’apice è più larga e flessibile. La regione che vibra con più forza trasmette più potenziali d’azione al cervello. Il tono del suono dipende invece dalla frequenza delle onde sonore: ogni regione della membrana basilare è sensibile a una particolare frequenza di vibrazioni. A un volume maggiore corrisponde un’ampiezza maggiore delle onde di compressione generate: le onde sonore di ampiezza maggiore producono vibrazioni più forti e, di conseguenza, i neuroni sensoriali generano più potenziali d’azione. Le vibrazioni prodotte dalle onde sonore vengono amplificate mentre sono trasferite attraverso l’orecchio. La soglia uditiva per un tono aumenta notevolmente in presenza di altri suoni. Gli esseri umani e gli animali hanno quindi la capacità di individuare inattesi cambiamenti di volume. Il fatto di avere due orecchie ci permette, grazie all’effetto stereo, di localizzare la fonte dei rumori. 22


Isa Maria Sozzi – Filosofia del linguaggio 2 Tatto La pelle, che nell’adulto raggiunge circa due metri quadri di superficie, è l’organo più grande del corpo umano. Attraverso la cute percepiamo la pressione, la temperatura, le vibrazioni, la consistenza degli oggetti e il dolore. A questo scopo nel derma si trovano dei cosiddetti ricettori che sono di natura diversa e presenti in numero variabile. Per la percezione della pressione e delle vibrazioni, per esempio, si hanno fino a 170 corpuscoli tattili al centimetro quadro. I corpuscoli di Meissner, sensibili al contatto, sono concentrati sui polpastrelli delle dita e sulla punta della lingua e rispondono a compressioni oscillatorie e a pressioni che scorrono sulla cute. I corpuscoli di Krause reagiscono alle basse temperature e quelli di Ruffini al calore.

Figura 14 - struttura pelle

Le terminazioni nervose libere delle radici dei peli rilevano il movimento del pelo. I corpuscoli di Pacini rilevano le vibrazioni. I corpuscoli di Merkel rispondono a compressioni statiche e alla tessitura delle superfici. Le terminazioni nervose libere dei nocicettori rispondono a stimoli nocivi. I corpuscoli di Ruffini rispondono anche allo stiramento della pelle.

Gusto e olfatto I chemiocettori comprendono sia le cellule sensoriali del naso e dei calici gustativi, sia particolari recettori che individuano le sostanze chimiche che si trovano all’interno del corpo. I chemiorecettori che danno luogo ai sensi del gusto e dell’olfatto contribuiscono ad alcune funzioni fondamentali come la nutrizione, controllando ad esempio la qualità del cibo e/o la riproduzione; permettono la localizzazione del partner sessuale e agiscono su molti comportamenti. Tutti gli animali sono sensibili a variazioni chimiche dell’ambiente, pertanto chemiorecettori più o meno organizzati sono presenti in tutti gli animali pluricellulari (i cefalopodi ad esempio, ne hanno anche sulle ventose, gli insetti li hanno su tutto il corpo, in particolare intorno alla bocca, alla fine delle zampe e sulle antenne). 23


Isa Maria Sozzi – Filosofia del linguaggio 2 Nei vertebrati i recettori del gusto sono contenuti in corpuscoli situati prevalentemente alla base della lingua; nei pesci sono su tutto il corpo. Nei vertebrati i recettori olfattivi sono localizzati nell’epitelio olfattivo delle fosse nasali, sono le terminazioni dendritiche di neuroni che finiscono direttamente nei bulbi olfattivi del telencefalo (rinencefalo). L’uomo è in grado di avvertire almeno cinque sapori: dolce, salato, amaro, acido e umami. Nella lingua si trovano la maggior parte delle cellule sensoriali che, a gruppi di 40-60, formano le “gemme gustative”, le quali a loro volta sono raggruppate in piccole sporgenze chiamate “papille”, disposte in varie parti della lingua. Si trovano gemme gustative anche nel palato, nella faringe e nella laringe: complessivamente, disponiamo di circa mezzo milione di recettori, riuniti in 7-8000 gemme. Le cellule sensoriali sono dotate di un piccolo poro (poro gustativo) attraverso il quale passano le molecole di cibo in soluzione. Una funzione importante della saliva è proprio quella di sciogliere le sostanze chimiche presenti nei cibi e di portarle a contatto con le cellule sensoriali. Le cellule sensoriali trasformano poi lo stimolo chimico in impulsi elettrici. Ogni papilla gustativa è innervata da circa 50 fibre nervose, che raccolgono gli impulsi elettrici e li convogliano fino al cervello il quale, a sua volta, trasforma il segnale ricevuto nella sensazione a cui diamo il nome di gusto o sapore. I bambini ne hanno un numero maggiore degli adulti e, nei primi anni di vita, riescono ad avvertire i sapori anche in fondo alla gola, sul lato inferiore della lingua e sull'interno delle guance. Con l'avanzare dell'età il numero delle gemme gustative diminuisce gradualmente: è questo il motivo per cui molte persone anziane amano i sapori forti, dolci o salati. Le percezioni sono, almeno in parte, soggettive e possono variare non solo con il passare degli anni ma anche con l'esperienza. I neonati apprezzano fin da subito i cibi dolci (universalmente accettati come gusti positivi), mentre rifiutano categoricamente i gusti amari, che sono in genere associati a sostanze potenzialmente dannose, come i funghi. I bambini piccoli apprezzano gusti dolci o salati e non amano i gusti agrodolci o piccanti, che fanno invece la delizia dei golosi adulti. La mucosa olfattoria dell’uomo comprende circa 30 milioni di cellule olfattorie che gli permettono di distinguere tra un migliaio di diversi gruppi di molecole odorifere. Le molecole gassose aderiscono alle ciglia delle cellule olfattorie e producono un impulso nervoso. L’olfatto dell’uomo è poco evoluto rispetto a quello di molti animali. Il naso funge da recettore di odori e respiratore ed è diverso in base ai vari gruppi di rettili. L’olfatto, in molti rettili, è completato dall’organo di Jacobson che manca in tartarughe e coccodrilli. Negli squamati è la lingua a catturare gli odori; l’organo di Jacobson funziona anche da igrometro, ovvero legge l’umidità dell’aria. Distinguere le molecole (qualunque esse siano) che arrivano a contatto con l’organismo è importante, perché permette di riconoscere tre categorie speciali di sostanze:  Molecole nutritive  Molecole tossiche  Molecole “sociali”: feromoni (sostanze escrete nell’urina o altri secreti, modulano o segnalano fattori socialmente importanti, come accoppiamento, gravidanza, aggressività, 24


Isa Maria Sozzi – Filosofia del linguaggio 2 comportamento materno), effetti olfattivi sul comportamento riproduttivo umano (sincronizzazione del ciclo mestruale) Una molecola non viene riconosciuta in toto, ma ciascuno dei suoi gruppi funzionali viene riconosciuto da un recettore diverso. Ad uno stadio successivo i segnali dei recettori vengono integrati e l’identità della molecola emerge. “Nasi” allenati distinguono 5000-10000 odori diversi, attraverso: o Gruppi funzionali (ottanolo: arancio; acido ottanoico: rancido) o Lunghezza della catena (ottanolo: arancio; eptanolo: violetta) o Stereoselettivita’: (L-carvone: carruba; D-carvone: inodore) o Effetti della concentrazione (Indolo a basse concentrazioni ha odore floreale, concentrato ha odore putrido - Amil acetato ha profumo di frutta a concentrazioni tra 0.1 mM e 10 mM) o Effetti della storia e/o dell’ambiente o Misture di odori diversi non sono scomponibili negli odori costituenti o La risposta neuronale ad un odore cambia dopo la prima esposizione

3- Senso comune sulla percezione e il linguaggio

Ho raccolto, con una breve ricerca in dizionari anche on-line, alcuni modi di dire, proverbi, massime e aforismi riguardanti le relazioni tra percezione, linguaggio e conoscenza. Da essi si può desumere il senso comune ed anche alcune pratiche didattiche non esplicite 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8.

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E' meglio una cosa vista che cento ascoltate. - Proverbio cinese I ciechi sanno ascoltare; i sordi hanno una vista acuta. - Proverbio cinese Lo scoprire consiste nel vedere ciò che tutti hanno visto e nel pensare ciò che nessuno ha pensato. - Albert von Nagyrapolt La realtà è ciò che vedo con i miei occhi, non quello che vedi tu - Anthony Burgess Parla a bassa voce, parla poco, e non dire troppo Crea, artista! Non parlare! - Wolfgang Goethe Alcuni libri devono essere assaggiati, altri trangugiati, e alcuni, rari, masticati e digeriti. Francis Bacon Se vuoi scoprire qualcosa della fisica teorica riguardo il metodo che adotta, ti suggerisco di attenerti ad un principio: non ascoltare le loro voci, fissa la tua attenzione sulle loro azioni. Albert Einstein Ascolta, vede e tace, chi vuol vivere in pace. – Proverbio Bisogna ascoltare molto e parlare poco per governare bene uno stato - Cardinale Richelieu Chi sa ascoltare ha sempre da imparare - Proverbio Gli Dei hanno dato agli uomini due orecchie e una bocca per poter ascoltare il doppio e parlare la metà. – Talete Hanno bocche e non parlano, hanno occhi ma non vedono, hanno orecchie e non odono, hanno nari e non odorano.- Salmi (§ 115, 5) Abbiamo due orecchie e una sola bocca proprio perché dobbiamo ascoltare di più e parlare di meno. (Zenone) Il palato distingue al gusto la selvaggina, così una mente assennata distingue i discorsi bugiardi. (Siracide)

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Isa Maria Sozzi – Filosofia del linguaggio 2 16. 17.

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Le parole disposte diversamente fanno un senso diverso, e i sensi diversamente disposti fanno effetti diversi. (Pascal) A fior di pelle : Molto vicino alla superficie della pelle, epidermico. Un'impressione a fior di pelle "Un'impressione immediata, istintiva, epidermica". Avere i nervi a fior di pelle "Essere molto sensibili, suscettibili". A naso : Istintivamente. A pelle : Ad una prima impressione A colpo d'occhio : Sommariamente, a prima vista Avere l'acquolina in bocca : Letteralmente si riferisce alla salivazione che in modo spesso incontrollabile si scatena alla vista o al pensiero di un cibo particolarmente goloso (riflesso condizionato). Viene utilizzata ad indicare quelle situazioni che attirano la nostra attenzione in quanto offrono la prospettiva di un semplice, immediato e positivo beneficio Cecità selettiva : Non accorgersi di certe questioni che hanno aspetti in comuni con altre che invece sono note Chi ha orecchie per intendere, intenda : Chi vuole ascoltare e comprendere ciò che dico, lo faccia. A sottolineare che ci possono essere persone alle quali il discorso può non far piacere o dare fastidio e quindi faranno finta di non ascoltare o di non capire. Mettere bocca/lingua/becco : intromettersi nelle faccende altrui Mettere gli occhi addosso : desiderare una persona o una cosa Musica per le mie orecchie Gli occhi sono lo specchio dell'anima. Toccare con mano Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi, e non metto il mio dito nel posto dei chiodi, e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò (Vangelo di Giovanni, 20, 27-30). Afferrare la verità Lo schema di "verticalità", emerge dall'uso che noi facciamo di aspetti dell'esperienza (alzarsi, raggiungere, salire ecc.) che danno forma a concetti e strutture del linguaggio: metafore del tipo sale, crollano i prezzi, raggiungere il vertice e via dicendo, emergono da esperienze corporee connaturate alle nostre esperienze motorie e percettive.

Bibliografia consultata        

Il pallino della matematica / di Stanislas Dehaene Tatto e linguaggio: il corpo delle parole / di Marco Mazzeo – Editori Riuniti – 2003 Filosofia della percezione / di Clotilde Calabi – Il linguaggio nel contesto ed il contesto per il linguaggio / di Marinella Majorano «Mi ritorni in mente». Mente distribuita e unità del soggetto / di Michele Di Francesco Dall' occhio al cervello / di Maria Teresa Tuccio Percezione della musica e del linguaggio Il colore della luna. Come vediamo e perché / di Paola Bressan – Laterza - 2007

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