FORMATORE PER L’E-LEARNING E LA MULTIMEDIALITA’
Linguaggio, percezione, scienze cognitive Filosofia del linguaggio Isa Maria Sozzi a.a. 2007/2008
Isa Maria Sozzi – Filosofia del linguaggio Sono un’insegnante di scuola primaria da ormai molti anni e le relazioni tra linguaggio, potenzialità cognitive e didattica sono al centro dell’azione quotidiana in ogni disciplina scolastica. Esse riguardano non solo gli ambiti strettamente linguistici dell’italiano o delle lingue straniere, ma investono in modo non casuale tutte le discipline: sia l’ambito antropologico, sia quello logicomatematico, per non parlare delle nuove tecnologie. Quasi ogni settimana, durante l’incontro di programmazione del team-docenti del gruppo di classi assegnatemi, con le colleghe ci troviamo a discutere di numerosi casi di alunni con problemi di linguaggio (purtroppo non resta tempo per dedicarsi a chi non ha difficoltà, ma andrebbe seguito, stimolato e incentivato): quasi il 30% degli alunni delle classi dove insegno è di madrelingua non italiana con livelli di competenza molto diversificati, alcuni alunni presentano difficoltà che farebbero pensare a dislessia-disgrafia, altri hanno difficoltà di esposizione e/o comprensione linguistica sia orale che scritta, solo per citare i casi più rilevanti. Insomma nelle classi della mia scuola, in un piccolo centro della Brianza lecchese, in media almeno il 40% degli alunni presenta qualche problema a livello linguistico e/o cognitivo. Un grosso problema che pregiudica anche il successo negli studi successivi di molti ragazzi ed è fonte di abbandoni precoci del percorso scolastico oppure di ripetute bocciature alle secondarie. Ho affrontato la lettura dei testi consigliati, con ulteriori ricerche bibliografiche e sitografiche, proprio con la speranza di trovare risposta alle mie domande e perplessità, anche solo qualche input per migliorare la didattica e i risultati conseguiti dagli allievi. Non ho trovato “ricette” e strategie specifiche per i problemi prima evidenziati, ma sono riuscita a puntualizzare alcuni argomenti. Ho trovato materiale aggiornato e recente, esposizione non ambigua e generica (per esempio sull’autismo) e, quel che più ha contato per me, conferma di osservazioni empiriche sul lavoro didattico in classe, che non mi hanno fatto sentire la “solita maestra” poco competente e non in grado di afferrare una spiegazione di livello scientifico adeguato, come spesso capita di sentirci dire dagli operatori-esperti che, a vario titolo, dovrebbero aiutarci ad insegnare ai bambini in difficoltà. Nella stesura del presente elaborato ho spesso inserito riflessioni ed osservazioni sulla realtà scolastica sperimentata e sul mio lavoro di insegnante, anche se ho quasi sempre insegnato matematica e scienze (24 anni su 30!), perché la comunicazione è comunque alla base di tutte le discipline.
Traccia di lavoro 1. Origine del linguaggio e suo sviluppo - filogenesi, ontogenesi, sociogenesi 2. Apprendimento L2 3. Pensiero e linguaggio: linguaggio per la comunicazione o per la costruzione del pensiero? 4. Percezione ed elaborazione del linguaggio 5. Attenzione, selezione delle informazioni, memoria, abilità linguistiche e apprendimento 6. Linguaggio orale e scrittura – problemi a livello scolastico
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Isa Maria Sozzi – Filosofia del linguaggio 1 – Origine del linguaggio e suo sviluppo - filogenesi, ontogenesi, sociogenesi Parlare è possibile perché nel corso della storia evolutiva l’Homo sapiens ha acquisito strutture specifiche per la fonazione e l’ascolto, per l’elaborazione cerebrale del processo di input-output vocale e per la possibilità di produrre rappresentazioni mentali con cui trasformare i dati in sistemi inferenziali, in opinioni e in credenze. La specificità di queste strutture audio-vocali, cerebrali e cognitive rispetto alle altre specie animali è attestata da studi di diversa natura. Nel quadro della dinamica evolutiva, la specie umana emerge prepotentemente, poiché né il bipedismo né il linguaggio hanno raggiunto lo statuto di contrassegni permanentemente filogenetici. L’evoluzione morfologica degli esseri umani è insufficiente a mantenere la stabilità funzionale che deve essere costantemente rinnovata ad ogni ontogenesi. Sebbene bipedismo e linguaggio si impiantino su strutture preesistenti, non si manifestano in pieno del tutto spontaneamente, ma attraverso l’esposizione e le cure parentali. Nonostante sia difficile precisare il tempo o il modo in cui il linguaggio abbia cominciato ad evolversi, alcune strutture cerebrali, che appaiono indispensabili, sembra si siano sviluppate precocemente nel corso dell’evoluzione dell’uomo. Si è osservata la dominanza dell’emisfero sinistro per il linguaggio e l’area corticale del lobo temporale è più grande nell’emisfero sinistro che in quello destro, nell’uomo moderno. Con ricerche basate sull’esame di calchi della superficie endocranica di reperti fossili umani, tali asimmetrie morfologiche sono state riscontrate anche nell’uomo di Neanderthal e in quello di Pechino. Non si sa, comunque, se queste asimmetrie anatomiche e funzionali si siano originariamente evolute per il linguaggio, per altre forme di comunicazione o per funzioni diverse. La peculiarità degli esseri umani è in larga parte appunto determinata dal linguaggio. In una prospettiva naturalistica, significa sostenere che il linguaggio è essenzialmente una funzione adattiva: è in forza del ruolo da esso giocato, ai fini della sopravvivenza, che gli umani sono ciò che sono. La comparsa del linguaggio determina, per certi aspetti, una violazione o un’anormale applicazione della logica della selezione naturale. Mentre, infatti, negli stadi prelinguistici la trasformazione dei comportamenti restava vincolata alla trasmissione genetica dei tratti vantaggiosi per l’adattamento, con l’emergere del linguaggio i vantaggi evolutivi manifestatisi geneticamente si sono però potuti affermare solo grazie alla trasmissione culturale e all’adattamento sociale. L’anormale applicazione delle leggi selettive consisterebbe nella possibilità di intervenire sulla sorte dei processi evolutivi: il vantaggio tutto interno alla trasmissione ereditaria, impermeabile a qualsiasi volontà individuale o pressione sociale o, al contrario, la potenzialità della trasmissione genetica, interamente inglobata nella capacità dei soggetti portatori di comunicarla, in forme volontarie e via via sempre più socialmente articolate e organizzate. Filogenesi, ontogenesi e sociogenesi sembrano intrecciarsi nei fatti linguistici tanto strettamente da scoraggiare spiegazioni totalizzanti ed univoche. L'uomo, dal punto di vista vocale, è più vicino agli uccelli che ad altre classi animali, e, perché vi fosse la possibilità del linguaggio, gli occorrevano: 1) Delle mutazioni genetiche, le quali, forse separatamente, forse simultaneamente, ristrutturassero la scatola cranica, le dessero attitudini acustiche, e sviluppando il cervello, vi disponessero un centro organizzativo adatto al linguaggio (homo erectus?). 2) Una crescente complessità dell'organizzazione sociale che sentisse un bisogno sempre maggiore di comunicazioni. 3) Un'interrelazione e un'interazione tra questi due ordini di fenomeni. 3
Isa Maria Sozzi – Filosofia del linguaggio Alla possibilità di flettere in verticale la spina dorsale va attribuita la sostanziale variazione della morfologia fisiopsichica introdotta con la specie umana. Variazione degli equilibri del corpo, incomparabilmente più instabili e complicati di quelli possibili dalla stazione quadrupede, ma contemporaneamente variazioni delle possibilità funzionali e cognitive, estremamente più sofisticate e potenti. Se l’evoluzione ha selezionato un tratto così svantaggioso da rendere addirittura precario il mantenimento dell’equilibrio, è legittimo ipotizzare che il bipedismo sia stato compensato da una serie di vantaggi funzionali, tali da renderlo certamente il candidato più serio all’unicità morfologica del genere umano. La stazione eretta è difficile da raggiungere, ma ha comportato l’allargamento della base del cranio e quindi lo sviluppo delle dimensioni cerebrali a cui dobbiamo, assieme al tratto vocale sopralaringeo, la supremazia intellettiva dell’uomo. Come il bipedismo, anche la capacità fisioarticolatoria deriva da una storia evolutiva di mutazioni successive e sovrapposte in milioni di anni. Anche l’acquisizione delle strutture morfologiche del linguaggio ha comportato problematiche, a danno degli automatismi respiratori e nutrizionali. Si può supporre che, per i primi ominidi, fosse necessario e sufficiente un call system (cioè un repertorio di suoni modulati che permettessero la comunicazione a distanza nell'erba alta) e una comunicazione elementare tra i membri della società per indicare le azioni, gli agenti, le qualità e gli oggetti necessari alla loro pratica. Invece le teorie gestuali ipotizzano che il linguaggio si sia evoluto da un sistema di gesti che cominciò a manifestarsi quando alcuni gruppi di scimmie assunsero la postura eretta, rendendo disponibili le mani per forme di comunicazione sociale. Il passaggio alla comunicazione vocale sarebbe insorto in seguito, proprio per rendere libere le mani per altre funzioni. Il linguaggio potrebbe aver avuto origine anche dall’evoluzione contemporanea di un sistema di gesti e vocalizzazioni: ciò potrebbe spiegare la correlazione, altrimenti inesplicabile, della comune localizzazione nell’emisfero sinistro del linguaggio verbale e della dominanza della mano, tanto che il linguaggio dei segni viene elaborato nelle stesse zone del linguaggio verbale. Didatticamente questo fatto mette in luce l’importanza dei linguaggi non verbali, in particolare di quelli mimico-gestuali, da non relegare come attività secondarie e per riempitivi più o meno ludici/spettacolari, ma modi diversi e complementari per sviluppare le potenzialità linguistiche e comunicative dei bambini, in particolare a livello di scuola dell’infanzia e primaria. Ma è con il dischiudersi della paleosocietà, cioè tra 800.000 e 500.000 anni prima della nostra era, che diventa necessario un linguaggio più ricco e più aperto. La caccia collettiva, la spartizione del cibo, il trasporto di una varietà crescente di cose, tutto ciò preme verso una organizzazione sociale più complessa, che è resa possibile solo da una comunicazione più elastica di quella permessa da un call system. Lo sviluppo della caccia, in effetti, ha bisogno della designazione di oggetti molto diversi, luoghi, piante, animali, la segnalazione di numerose circostanze e azioni, la distinzione di molteplici qualità. La strategia cinegetica comporta la costruzione di sequenze logiche di azioni articolate e modificabili, ciascuna secondo le trasformazioni della precedente, fatto che fornisce al linguaggio la catena intellettuale che permette il sintagma. Inoltre, è l'insieme delle comunicazioni all'interno di una società divenuta più complessa che postula lo sviluppo di un linguaggio: le regole organizzative che elabora la classe dominante, la necessità di comunicare tra uomini/donne, donne/bambini, giovani/ adulti; si può anche pensare che il rapporto materno prolungato con il bambino, come i rapporti sia ludici sia di apprendistato dei giovani costituiscano altri due focolai di linguaggio, i quali si arricchiscono reciprocamente. Infine, non bisogna dimenticare lo sviluppo di relazioni interpersonali di interesse verso gli altri e di amicizia: non si tratta solo di una società più complessa che ha bisogno di collegamenti interni, ma 4
Isa Maria Sozzi – Filosofia del linguaggio anche di individui più complessi che hanno bisogno di comunicare tra loro, e che creano e sviluppano il bisogno di parlare per parlare, cioè semplicemente di comunicare, mentre il medium diviene, alla maniera ormai di McLuhan, il messaggio e anche il massaggio (nel senso in cui le parole carezzevoli si sostituiscono al grooming). Così, il linguaggio viene postulato dal moltiplicarsi dei rapporti interni e esterni, collettivi e individuali Secondo il Leroi-Gourhan (1977), la parola nasce con la nascita dell’utensile e l’utensile nasce con il simbolo: “l’uno e l’altro, linguaggio e utensile non sono dissociabili nella struttura sociale dell’umanità. Il progresso tecnico è collegato al progresso dei simboli tecnici del linguaggio”. Le prime espressioni linguistiche sono arcaiche come i primi utensili, sono espressioni concrete. Tuttavia, per poter scheggiare un ciottolo, il neanderthaliano ricorse ad una serie di operazioni le quali, partendo dal concreto, dal pezzo di materia grezza, lo guidarono verso riflessioni sempre più articolate, fino ad ottenere l’utensile pronto per l’uso. I movimenti delle mani implicavano la presenza di operazioni mentali astratte. Durante il Paleolitico Superiore, dai 40 mila ai 10 mila anni orsono, l’uomo ha piena coscienza di sé; è capace di immaginare, concettualizzare e simbolizzare. E’ un fatto, che dal momento in cui la specie umana dispose non solo di uno strumento di comunicazione più potente, ma soprattutto di un inedito meccanismo di generazione di rappresentazioni e auto-rappresentazioni, la cronologia dei progressi strumentali e simbolici abbia bruciato tutti i consueti ritmi di sviluppo. Quello che è certo è che la “modernità” anatomica e quella cognitiva non sono concomitanti e risultano evolutivamente separate. Tale separazione concorda con la visione etologica e paleo-antropologica dell’evoluzione. Sembra, infatti, che a consentire la mutazione delle strutture e l’instanziazione di funzioni nuove sia la mancanza di specializzazione delle strutture stesse: più sono specializzate per lo svolgimento di un compito, più è difficile che si evolvano in qualcosa di diverso strutturalmente e funzionalmente. Se una mutazione occorre in strutture già specializzate, provoca disfunzioni e viene eliminata oppure determina ulteriori specializzazioni. E’ per tale ragione che l’uomo può essere definito “specialista della nonspecializzazione” (Lorenz). Secondo Leroi-Gourhan “per tutto il corso della sua evoluzione, a partire dai rettili, l’uomo appare l’erede di quelle creature che sono sfuggite alla specializzazione anatomica”. Questo lo ha reso contemporaneamente capace di generalizzazioni illimitate rispetto agli altri animali non umani, consentendogli l’uso di mezzi anatomici quasi non specializzati, ma debole da un punto di vista adattativo. E’ come se la specificità umana risiedesse all’esterno della determinazione biologica, condizione necessaria per la sua esistenza, ma non sufficiente per la definizione di specie umana. Ad un certo punto della sua evoluzione, l’uomo ha reso indipendenti dalla selezione naturale le funzioni che lo determinano, affidandole ad una sorta di selezione culturale che segue le leggi della sociogenesi, non più quelle della filogenesi1 e dell’ontogenesi2. Il linguaggio è il prodotto di un’attività cognitiva complessa, che accompagna buona parte delle nostre azioni e delle nostre interazioni quotidiane. Gli effetti e le forme del sapere linguistico assumono significato nel processo comunicativo prevalentemente perché sono utilizzate in situazione.
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La filogenetica studia l'origine e l'evoluzione di un insieme di organismi, solitamente di una specie. Un compito essenziale della sistematica è di determinare le relazioni ancestrali fra specie note (vive ed estinte). 2 L'ontogenesi è l'insieme dei processi mediante i quali si compie l'evoluzione biologica dell'embrione del singolo essere vivente partendo dal codice genetico che lo caratterizza e dall'ambiente biologico nel quale il processo si svolge. Tale processo di sviluppo, per mezzo dell'informazione codificata nel patrimonio genetico (che presenta caratteristiche peculiari che differenziano ciascun essere vivente dall'altro), porta alla formazione di un individuo. E’ molto diffusa la locuzione; "l'ontogenesi ricapitola la filogenesi". Infatti, negli animali superiori, l'ontogenesi riproduce, soprattutto nel periodo pre-natale, perinatale e nelle prime fasi della crescita, la filogenesi, come accade, per alcuni versi, nello sviluppo dell'essere umano
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Isa Maria Sozzi – Filosofia del linguaggio L’acquisizione delle competenze linguistiche costituisce un processo continuo, che, pur presentando periodi critici per il consolidamento di componenti di base, si prolunga fino all’adolescenza e si consolida nell’età adulta. La competenza linguistica costituisce un sistema complesso all’interno del quale più componenti sono in continua interazione reciproca ed è bene distinguere almeno tre diversi livelli attraverso i quali lo sviluppo linguistico ha luogo: livello del suono (fonologia), livello del significato (semantica) e livello del contesto (pragmatica). La fonetica e fonologia costituiscono un interessante ambito di studi nell’analisi dei primi momenti di acquisizione del linguaggio perché il bambino deve imparare a distinguere parole, elementi, unità, all’interno dell’apparente continuum vocale al quale è esposto. Nel processo di comprensione il bambino via via impara a riconoscere sequenze familiari di suoni come unità dotate di significato, le parole e l’insieme dei vocaboli conosciuti e immagazzinate forma il lessico mentale. La sintassi definisce invece le regole che guidano l’ordine delle parole e l’acquisizione della competenza sintattica è fondamentale per comprendere come il significato delle parole può cambiare in relazione alla loro organizzazione e al loro ordine all’interno di una frase. Oltre al livello del suono e al livello del significato, vi è anche il livello del contesto. Il significato di parole e frasi può variare in relazione al contesto nel quale vengono pronunciate e all’intenzione del parlante; ci si riferisce alla capacità di modulare e comprendere i significati in relazione agli aspetti contestuali con il termine di pragmatica ed è la competenza linguistica che viene acquisita più avanti nello sviluppo. Sembra quindi che prima dell’acquisizione di competenze verbali vere e proprie nel bambino sia presente un’intenzionalità comunicativa; gli scambi tra madre e bambino nei quali emergono questi aspetti comunicativi vengono definiti proto-conversazioni. In un tempo relativamente breve il bambino impara comunque a decontestualizzare la referenza, utilizzando le parole indipendentemente dalla presenza del referente oggettuale. In seguito il bambino apprende gradualmente ad utilizzare parole anche per riferirsi a elementi astratti. Attorno ai due anni si assiste anche alla comparsa di combinazioni di due parole in una forma che è stata definita linguaggio telegrafico, proprio in base alla somiglianza con il linguaggio usato per i telegrammi che esclude tutte le componenti, quali gli articoli, le congiunzioni e le forme verbali complesse. Nella fase della composizione di coppie di parole è stato osservato che i bambini sanno come combinare una nuova parola riferita ad un oggetto associandola ad una classe di parole che fungono da costanti e vengono definite parole perno. Verso il terzo anno il bambino comincia a mostrare una certa padronanza nell’uso di competenze sintattiche e grammaticali più specifiche. Verso i 4-5 anni la competenza sintattica è avanzata e il bambino può essere in grado di formare forme passive complete e corrette. L’acquisizione della competenza pragmatica è quella che richiede un tempo maggiore per arrivare a buoni livelli di padronanza ed è anche quella che sembra risentire maggiormente del contesto linguistico nel quale è inserito il bambino e del feedback che riceve dagli adulti. Il ruolo dell’adulto che guida il bambino nell’acquisizione delle regole delle prese di turno nella conversazione (turn-taking) emerge ancora più chiaramente osservando l’interazione tra bambini quando non vi è la mediazione dell’adulto; si osserva, infatti, una maggiore difficoltà nell’interazione e una tendenza al monologo rispetto allo scambio comunicativo. Nell’ambito comportamentista l’apprendimento del linguaggio era considerato un processo fondato sui medesimi processi associativi che guidavano altre forme di apprendimento e quindi basato solo ed esclusivamente sull’esperienza, assumendo quindi che il soggetto alla nascita non possieda alcuna competenza linguistica innata. Sempre nella prima metà del 1900 risulta di particolare 6
Isa Maria Sozzi – Filosofia del linguaggio importanza il contributo di Piaget, il quale vede lo sviluppo del linguaggio come un processo che non ha basi innate, ma è piuttosto di tipo costruttivo e si sviluppa in stretta relazione con il pensiero, a partire dal livello sensomotorio. Un cambiamento radicale nel modo di affrontare lo studio del linguaggio deriva dal contributo fondamentale di Noam Chomsky. Chomsky ha suggerito per primo che l’ambiente e l’esperienza non siano sufficienti a spiegare l’infinita ricchezza e complessità dello sviluppo linguistico e sia quindi necessario assumere l’esistenza di competenze innate, come il LAD (Language Acquisition Device) [Dispositivo per l’acquisizione del linguaggio] e la grammatica universale. Gli studi sulle grammatiche perno e sull’universalità di alcune fasi dello sviluppo linguistico, compresa la presenza crosslinguistica di ipercorrettismi (Slobin), hanno portato ulteriori evidenze di come, alla nascita, il bambino sia predisposto allo sviluppo del processamento linguistico e che l’ambiente non sia l’unica fonte per l’acquisizione del linguaggio. Il dibattito oggi in corso non riguarda più soltanto l’esistenza o meno di abilità innate, ma pone piuttosto l’accento su che cosa s’intenda per innatismo. Una delle prospettive proposte è che non si debba parlare di abilità innate, come se il soggetto nascesse con conoscenze pregresse, ma si debba interpretare l’innatismo in funzione dei vincoli biologici che guidano lo sviluppo (Tomasello, 1999). Il dibattito circa l’innatismo si fonde con quello relativo alla specificità delle funzioni linguistiche considerando il contributo di Fodor, con la teoria della mente modulare, e la successiva revisione di Karmiloff-Smith in chiave evolutiva. Fodor (1983) propone che alcune funzioni cognitive specifiche, come il linguaggio appunto, siano mediate da moduli, ovvero strutture prespecificate alla nascita e indipendenti dal sistema di elaborazione centrale. Nel libro ”Oltre la mente modulare” (1992) si suggerisce invece che, durante lo sviluppo, vi sia un processo di progressiva specializzazione delle aree emisferiche e delle funzioni da esse veicolate, che è il risultato dell’interazione tra vincoli biologici e l’esperienza.
2 - Apprendimento L2 Poiché la comunicazione è un elemento costitutivo della trama dei rapporti sociali, è un processo attraverso il quale gli individui instaurano una relazione di contatto reciproco e di interscambio di messaggi, informazioni e conoscenze. Oggi più che mai gli scambi economici e culturali impongono il contatto fra persone di paesi e culture diversi. Comprendere gli altri e comunicare efficacemente sono il punto di partenza per una coesistenza pacifica e solidale. Anche la scuola può e deve collaborare per il raggiungimento di questo fine, attraverso l’insegnamento e l’apprendimento delle lingue straniere, quanto più precocemente sia possibile. Però, una questione, di grande attualità e che suscita sentimenti non sempre positivi, è costituita non tanto dall’insegnamento della L2 (a cui, nonostante i pubblici proclami, vengono tagliate ore di insegnamento e risorse materiali) ma dall’inserimento di numerosi alunni stranieri, quasi sempre non in possesso dei rudimenti più elementari della lingua italiana. Le risorse umane, destinate a supportare i bambini in difficoltà nel loro percorso scolastico, sono insufficienti e devono essere ulteriormente divise per coprire anche queste situazioni, sempre più numerose, spesso creando malumori e risentimenti tra alcuni genitori. In psicolinguistica l’interesse per il bilinguismo evolutivo è rappresentato soprattutto dal ruolo che il linguaggio ha sullo sviluppo intellettivo, l’organizzazione del lessico, l’acquisizione delle competenze sintattiche e semantiche. Le ricerche sullo sviluppo concettuale e linguistico nei bilingui hanno prodotto finora risultati contrastanti fornendo comunque, in contributi più recenti, dati 7
Isa Maria Sozzi – Filosofia del linguaggio a favore di migliori capacità metalinguistiche, di maggiore riflessione sulla lingua, di astrazione indotte dall’uso precoce di più sistemi linguistici. In termini generali il bilinguismo indica la capacità simultanea, nel medesimo individuo, di utilizzare un sistema coordinato di usi linguistici e comunicativi, tali da consentire di formulare pensieri collegandoli direttamente alle espressioni verbali appartenenti alle due lingue, senza che sia costretto pertanto a operazioni di traduzione. Sulla base del contesto di acquisizione (bilinguismo intrafamiliare/scolastico), dell’età di acquisizione (bilinguismo simultaneo/consecutivo), dello status che entrambe le lingue possono avere (bilinguismo additivo/sottrattivo) potremmo quindi ottenere profili di bilinguismo differenti e competenze diversificate per L1 e L2. Soprattutto in riferimento alla prima infanzia, le condizioni di contatto linguistico possono essere diverse in quanto è possibile che le lingue siano: 1) acquisite entrambe contemporaneamente (parlando una delle due lingue con una persona o un gruppo; parlando entrambe le lingue alternativamente o indiscriminatamente con i genitori e/o altri parlanti della comunità bilingue); 2) acquisite come seconda lingua fuori casa e/o a scuola (come lingua di scolarizzazione e di interazione con i pari; come lingua di scolarizzazione in un contesto scolastico in cui i pari parlino tutti una medesima lingua madre - L1). Questa seconda tipologia di bilinguismo contraddistingue la maggior parte degli scolarizzati stranieri, che sempre più numerosi frequentano oggi la scuola in Italia. Per essi, l’apprendimento della e nella lingua italiana avviene nel contatto con parlanti nativi italiani, attraverso un preciso processo di scolarizzazione e forme di interazione complesse. Il mantenimento della prima lingua (L1) in famiglia ad esempio e la formazione in una seconda lingua (L2) è, in termini psicolinguistici, una condizione di potenziale bilinguismo coordinato e di separazione quindi dei due sistemi linguistici. Additivo sarà il bilinguismo che offre potenzialità di sviluppo sociale e porta elementi positivi complementari per lo sviluppo del bambino. Sottrattivo invece viene considerato il bilinguismo che non offre risorse aggiunte. Tornando alla condizione linguistica degli alunni stranieri nelle classi italiane è comprensibile quanto un bambino di L1 inglese, scolarizzato in italiano, rientra nella tipologia di un bilinguismo additivo, mentre un bambino che frequenta la scuola italiana e che mantiene in famiglia, ad esempio, il tagalog (principale lingua parlata nelle Filippine) rappresenta una forma di bilinguismo sottrattivo. Le due lingue sono in concorrenza e non complementari, in quanto la L1 non costituisce allo stato attuale nessun elemento di valorizzazione aggiuntiva o di prestigio nel contesto culturale italiano e nemmeno l’apprendimento dell’italiano rappresenta per la famiglia un traguardo indispensabile per l’integrazione. Per esperienza personale, durante gli ultimi anni di insegnamento, ho avuto la possibilità di seguire l’inserimento nelle mie classi di una ventina di alunni non italiani. A parte le differenze e gli atteggiamenti individuali, l’apprendimento delle basi comunicative in italiano è stato più “semplice” ed efficace per i bambini di provenienza europea e/o non scolarizzati in precedenza. Purtroppo per molti altri bimbi le difficoltà sono state notevoli. Per esempio negli alunni di madrelingua araba, già parzialmente scolarizzati, ho notato: per le bimbe mancanza di contatti con i compagni nell’extrascuola con limitato uso tra pari dell’italiano, difficile percezione delle differenze fonetiche tra alcuni suoni vocalici (e-i e o-u) con conseguenti errori nella comprensione di alcune parole simili e nella scrittura, complicazioni nella letto-scrittura per il differente orientamento grafico dei caratteri, problemi nell’uso della rappresentazione grafica per mancanza di pratica precedente (disegno dello schema corporeo, ad esempio, non praticato per prescrizioni religiose) ecc.
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Isa Maria Sozzi – Filosofia del linguaggio 3 - Pensiero e linguaggio: linguaggio per la comunicazione o per la costruzione del pensiero? La peculiarità degli esseri umani è in larga parte determinata dal linguaggio. In una prospettiva naturalistica significa sostenere che il linguaggio è essenzialmente una funzione adattiva. Riconoscere al linguaggio un ruolo adattivo è tuttavia soltanto il passo di partenza per indagare la sua natura. Tale ruolo costituisce un posto importante nel processo evolutivo. È importante analizzare le funzioni dello specifico ruolo adattivo del linguaggio, più precisamente il tema delle funzioni del linguaggio con particolare attenzione alla questione della sua genesi ontogenetica e filogenetica. Tradizionalmente due funzioni primarie attribuite al linguaggio sono quella comunicativa e quella cognitiva. La funzione comunicativa si accorda maggiormente con l'intuizione del senso comune: i fautori del primato di tale funzione sostengono, infatti, che il fine del linguaggio sia quello di esprimere i pensieri, per questo la funzione comunicativa è detta anche funzione espressiva. Secondo i sostenitori del ruolo primario della funzione cognitiva invece il linguaggio è qualcosa di più di un mero strumento di espressione del pensiero: esso è piuttosto uno strumento di costituzione del pensiero e i pensieri sono in un certo modo perché il linguaggio li rende tali. Il linguaggio ha invece, allo stesso tempo, una funzione comunicativa e una cognitiva. Chi esalta la funzione comunicativa del linguaggio è interessato in realtà a mettere in evidenza una certa idea della natura del pensiero: per i sostenitori della funzione comunicativa, in effetti, oltre ad essere autonomo e indipendente dal linguaggio, il pensiero ha priorità logica e temporale sul linguaggio, ne è una precondizione. Ciò comporta l'adesione a uno specifico modello esplicativo della comunicazione verbale: il modello del codice. Se il linguaggio esprime i pensieri, allora esso è essenzialmente un sistema di codifica degli stati mentali. Il linguaggio è strumento di espressione del pensiero, tramite un’opportuna codifica: messaggio
Fonte di informazione
segnale
trasmettitore
segnale
canale
messaggio
ricevitore
destinazione
Modello della comunicazione secondo la teoria matematica dell’informazione Pensiero -> codifica -> comunicazione linguistica Allora quando un bambino non si esprime in modo comprensibile, ciò è indice di codifica non corretta o di problematiche cognitive? In effetti, strumenti non verbali potrebbero consentire di verificare tale possibilità, ma spesso penso che avvenga una concomitanza. Si tratta di capire come sia possibile che uno stato mentale (la cui natura è astratta e concettuale) possa essere codificato in una struttura fisica (una successione di suoni, nel caso del linguaggio verbale) e, attraverso questo passaggio, possa essere comunicato al ricevente. Le informazioni relative al contesto, solo per fare un esempio, sono del tutto irrilevanti in un modello di questo genere. A scuola la maggioranza degli insegnamenti sono veicolati da comunicazioni verbali. Secondo questo modello, allora, al docente sarebbe sufficiente elaborare un messaggio e codificarlo “correttamente” per farlo arrivare all’alunno e permettergli di apprendere. Di conseguenza, se l’alunno non ha appreso, è colpa della codifica non corretta operata dal docente. In parte ciò è vero: un linguaggio non adeguato o non compreso dai bambini non consente 9
Isa Maria Sozzi – Filosofia del linguaggio un’interazione efficace. Basti pensare appunto agli stranieri o, come è capitato all’inizio della mia carriera, quando ho avuto la prima supplenza all’inizio di settembre e mi sono presentata a scuola in una piccola frazione di montagna. I genitori, abituati a supplenti di altre regioni che faticavano a comprenderli, sentendo che rispondevo alle loro domande, poste in dialetto, erano talmente contenti (finalmente i loro bambini potevano farsi capire dalla maestra) che, al termine delle lezioni, mi sono ritrovata l’intero paese (per la verità poche persone, visti gli abitanti del luogo) ad aspettarmi per salutarmi e sincerarsi dell’avvenimento! Non si tiene inoltre conto di quello che può essere considerato “rumore”: il vero rumore proprio di una classe e gli effetti delle preconoscenze e, a volte misconoscenze, possedute dagli alunni che interferiscono con le comunicazioni del docente e ne limitano la comprensione. Non è tema del discorso, ma la comunicazione docente-discente è anche influenzata dall’emozione e dall’empatia tra i due, dalle aspettative implicite di riuscita o meno. Non occorre certo citare l’effetto Pigmalione. Dal versante opposto (discente-docente), se “il cosa” il parlante ha detto, se nell’enunciato effettivamente proferito, c’è tutto il necessario per la sua comprensione, allora il contenuto informativo è interamente codificato nell’enunciato. Quindi una frase sconclusionata e illogica, significa che l’alunno non ha capito nulla? Invece bambini con difficoltà espositive, in alcuni casi, hanno compreso l’argomento trattato, ma non sono in grado di rielaborarlo verbalmente in modo comprensibile. L’esempio più eclatante di ciò si verificava generalmente in classe prima, nelle lezioni di matematica: l’introduzione del concetto di insieme vuoto (concetto di zero) e la numerazione multibase mettevano in crisi moltissimi genitori che non conoscevano tali nozioni. La richiesta di spiegazioni ai figli non veniva soddisfatta in modo per loro comprensibile. Così i bambini venivano a scuola confusi delle ipotesi e tentativi di spiegazione fatti dai genitori, benché in classe, con la guida del docente procedesse tutto bene. In particolare il calcolo multibase, se appreso contestualmente al calcolo in base 10 (quello che normalmente usiamo quotidianamente) non crea nessuna difficoltà a quasi tutti bambini; essi imparano a contare e a fare i riporti nelle varie basi in modo naturale, senza “traduzioni”. Per questi bambini la cosa è perfettamente normale e non richiede spiegazioni: sono meravigliati dalle difficoltà e dalla mancata comprensione degli adulti. Sono gli adulti che, a fatica e con notevole sforzo, traducono le quantità indicate in base dieci per poi trasformarle nella base richiesta, compiendo di conseguenza anche molti errori. Succede un po’ come con la L2 imparata da grandi! Sfortunatamente saper operare correttamente e velocemente con i numeri in base diversa da 10 non sempre implica adeguate capacità di giustificazione verbale delle procedure. Purtroppo le difficoltà linguistiche sempre più diffuse portano i docenti a limitare il gradiente di complessità dei loro discorsi con una reazione a catena: più abbassi le aspettative, più riduci lo sforzo necessario alla comprensione, più semplifichi e meno successi ottieni. Il risultato emerso dai fautori della concezione comunicativa è che, diversamente da quanto i sostenitori della tesi cognitiva classica sembrano ammettere, la gestione di una competenza linguistica è affare di una mente complessa e articolata. La capacità di inferire le intenzioni del parlante o quella di tener conto del contesto, ad esempio, rappresentano requisiti altrettanto importanti di quelli evidenziati dai fautori della funzione comunicativa. Secondo la tesi cognitiva, il linguaggio è una risorsa esterna, un artefatto che gioca un ruolo di primo piano nei processi mentali proprio per il suo costituirsi fuori dalla testa degli individui: così come carta e penna si rivelano utili alla soluzione di compiti cognitivi complessi, allo stesso modo le parole, in quanto strumenti esterni, riescono ad alleggerire il carico di elaborazione del cervello in compiti cognitivi. Infatti, si rivela utile far “raccontare” agli alunni quanto capito, oppure ripetere a voce alta i concetti principali: formulare un discorso aiuta a costruire e strutturare il pensiero. Tutti i docenti hanno sentito innumerevoli volte gli allievi giurare ed assicurare di aver studiato un certo capitolo assegnato con impegno, ma di non saper ripetere nulla. Probabilmente gli allievi credono 10
Isa Maria Sozzi – Filosofia del linguaggio di aver studiato, hanno letto molte volte il testo, hanno magari provato a rispondere a semplici domande o ai quiz conclusivi del capitolo, ma non hanno rielaborato i concetti presentati a livello verbale. La tesi della coevoluzione tra le due funzioni del linguaggio e il ruolo congiunto che entrambe tali funzioni svolgono nella determinazione dei rapporti tra pensiero e linguaggio sembra una tesi sostenibile e corroborata da importanti dati empirici. Tale tesi porta a considerare un duplice percorso costitutivo. Il primo, con priorità logica e temporale, procede nella direzione dal cognitivo al linguaggio. Seguendo tale direzione, l’origine del linguaggio è ampiamente determinata dall’attività di sistemi cognitivi sottostanti: più precisamente, nelle sue fasi costitutive iniziali il linguaggio sfrutta le risorse metarappresentazionali di sistemi cognitivi originariamente adibiti ad altre funzioni. Il secondo percorso di costituzione procede invece nella direzione opposta, dal linguistico al cognitivo. Nella via che lo porta a divenire uno specifico sistema di comunicazione, il linguaggio affina le sue proprietà funzionali e strutturali e, di ritorno, incide nella costituzione di altri stati e processi mentali. In questo modo, oltre ad essere un sistema di comunicazione, il linguaggio diventa anche uno strumento cognitivo.
4 – Percezione ed elaborazione del linguaggio «..L’insegnante pose la mia mano sotto il getto d’acqua. Mentre la corrente fredda si riversava sulla mano, ella scriveva sull’altra mano la parola acqua … Scoprii così che “a-c-q-u-a” voleva dire il meraviglioso senso di freschezza che fluiva sulla mia mano». Nel 1887 Helen Keller, una bimba cieca e sordomuta di sette anni, scoprì il significato simbolico delle parole attraverso un’insolita modalità sensitiva, il tatto. I sistemi sensoriali sono costituiti da neuroni che mettono in connessione i recettori periferici con il midollo spinale, il tronco dell’encefalo, il talamo e la corteccia cerebrale. Le sensazioni sono analizzate da ciascuna componente di un dato sistema sensoriale. La caratteristica più singolare dell’organizzazione dei sistemi sensoriali è costituita dal fatto che ogni popolazione di recettori periferici (della superficie corporea, della retina o della coclea) è rappresentata in modo sistematico a livello delle strutture cerebrali. Queste rappresentazioni non si conformano esattamente alle dimensioni ed alla forma della periferia, ma sono piuttosto in rapporto con l’importanza relativa delle varie parti della periferia recettiva ai fini percettivi. Quindi la punta delle dita ha un’estesa rappresentazione cerebrale, mentre la cute della schiena ha una rappresentazione modesta. Certi aspetti della percezione (di un’immagine, del contatto con una superficie o di un suono) vengono analizzati ed elaborati in parallelo da parti diverse del sistema sensoriale preposto all’elaborazione di una particolare sensazione. Inizialmente, a livello recettoriale, ogni sistema sensoriale analizza e scompone le informazioni sensoriali. Successivamente, all’interno del sistema nervoso centrale, estrae singoli aspetti della percezione mediante un codice di rilevamento delle caratteristiche degli stimoli e del tipo di scarica e li rappresenta a livello delle varie vie e regioni centrali che lo compongono. Alla fine, le regioni centrali interagiscono tra di loro, ricostruendo i diversi aspetti percettivi in un’unica percezione cosciente. Molto scienziati, specialisti di diverse discipline, hanno studiato il cervello umano, anche in rapporto ad altri primati o animali, per scoprire l’esistenza di aree specifiche dove avverrebbe l’elaborazione linguistica e/o cognitiva. In effetti, in passato analizzando post-mortem alcuni pazienti con lesioni celebrali e deficit linguistici, ora attraverso metodi di neurovisualizzazione funzionale su soggetti sani, sono state mappate molte aree della corteccia cerebrale associate alla produzione ed alla comprensione del linguaggio e delle inferenze della comunicazione. Alcune 11
Isa Maria Sozzi – Filosofia del linguaggio sono localizzate in prossimità o addirittura sovrapposte ad aree motorie o percettive delle parti anatomiche interessate (viso-bocca, occhi, orecchie, ecc). Però un semplice frammento di frase ascoltato, ad esempio, attiva molteplici zone distinte, proprio perché sono molti i passaggi richiesti per la corretta decodifica e comprensione del messaggio. Una lesione a livello di una singola zona può compromettere il processo e comportare l’impossibilità di comprendere o comunicare. La seguente rappresentazione schematica delle componenti coinvolte nella comprensione del linguaggio parlato e scritto è tratta da M. Gazzaniga 3 Concetto
Sistema concettuale
Attivazione concettuale
LEMMA Lessico mentale Lemmi e forme delle parole
Attivazione del lemma
SELEZIONE LESSICALE
Attivazione della forma uditiva della parola
Attivazione della forma visiva della parola
CODIFICA FONOLOGICA DELL’INPUT
CODIFICA ORTOGRAFICA DELL’INPUT
Analisi visiva
Analisi uditiva
PAROLA SCRITTA
PAROLA PRONUNCIATA
La lettura condivide con la comprensione delle parole ascoltate alcuni stadi dell’analisi linguistica, mentre differisce nelle precedenti fasi dell’elaborazione, per via della diversa modalità sensoriale con cui viene recepito l’input. Nel linguaggio orale i segnali in entrata differiscono notevolmente dal linguaggio scritto. Un ascoltatore ha a che fare con una varietà di suoni presenti nell’ambiente e deve poter identificare e distinguere dal rumore i segnali verbali rilevanti. L’attenzione selettiva uditiva è il meccanismo che permette di raggiungere questo scopo, cioè la percezione di un debole segnale verbale in un 3
“Neuroscienze cognitive” Michael S. Gazzaniga, Richard B. Ivry, George R. Mangun. - Bologna : Zanichelli, 2005.
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Isa Maria Sozzi – Filosofia del linguaggio ambiente rumoroso, come può essere, ad esempio un ambiente affollato. Le unità costitutive fondamentali del linguaggio orale sono i fonemi, ma ciò non semplifica affatto il compito dell’ascoltatore, perché vi sono molte difficoltà che il suo cervello deve risolvere: - mancanza di invarianza (i suoni variano in base al contesto in cui sono pronunciati, per la coarticolazione delle sillabe) - variabilità di produzione (lo stesso suono è diverso a seconda di chi lo pronuncia, es. uomo o donna) - difetto di segmentazione (i fonemi non sono pezzi distinti e separati, ma formano parole e, per di più, i confini tra esse sono ambigui) - problema della segmentazione tra parole (all’interno delle parole vi sono dei silenzi oppure mancano delle pause chiare tra le parole di una frase) L’ascoltatore deve confrontarsi con un’enorme variabilità dell’input. Nel linguaggio parlato, l’analisi percettiva deve tener conto di tutte queste variabili, quindi non può esserci una relazione univoca, di uno a uno, fra segnale fisico e rappresentazioni nella memoria. Quando un segnale verbale colpisce l’orecchio, viene dapprima elaborato lungo vie cerebrali non specializzate nel processo di elaborazione del linguaggio, ma coinvolte piuttosto nell’elaborazione degli stimoli acustici in generale. Esistono aree della corteccia più sensibili ai suoni verbali che non ai toni puri, nei pressi del solco temporale superiore, ed aree coinvolte nell’elaborazione delle informazioni semantico lessicali, per lo più lateralizzate a sinistra. L’identificazione certa però è difficile, dato che udire una parola attiva automaticamente anche il significato. Ma anche la lettura spesso attiva informazioni fonologiche. Nel caso dell’input scritto il lettore deve riconoscere un pattern visivo. Tali pattern variano nei diversi sistemi di scrittura. La rappresentazione simbolica delle parole nella scrittura può avvenire in tre diverse modalità. Molte lingue occidentali usano il sistema alfabetico, in cui i simboli tendenzialmente rappresentano fonemi. In alcune lingue, tra cui l’italiano, tale corrispondenza è stretta (ortografia regolare); in inglese, invece, la corrispondenza tra lettera e suono spesso viene meno (ortografia irregolare), ciò rende più difficile imparare la corretta ortografia e sembra correlata ad una maggiore presenza di difficoltà nella letto- scrittura (dislessia-disgrafia). Altre lingue, come il giapponese, hanno sistemi di scrittura sillabici (kata kana), in cui ogni simbolo rappresenta una sillaba. Nel terzo sistema, il sistema logografico, si usa uno specifico simbolo per ogni parola o morfema, come nel cinese. I tre sistemi rappresentano con simboli unità linguistiche differenti, ma tutti e tre si servono di simboli arbitrari, cioè di rappresentazioni astratte che non assomigliano a ciò che rappresentano. Però, qualsiasi sia il sistema di scrittura usato, il lettore deve essere in grado di analizzare le caratteristiche primitive, ovvero la forma dei simboli. Quando si presentano ai lettori lettere o simboli simili a lettere, l’analisi percettiva iniziale attiva bilateralmente le aree cerebrali specializzate nell’elaborazione visiva, come la corteccia striata e le aree adiacenti. La mancanza di specializzazione può dipendere dal fatto che l’invenzione del linguaggio scritto risale ad appena 5500 anni fa, all’incirca. Invece l’elaborazione uditiva del linguaggio orale, essendo più antica, può essere stata influenzata nel corso dell’evoluzione da pressioni selettive, dalle quali possono essere scaturite specializzazioni neurali. Il fatto che il linguaggio scritto sia relativamente recente ha varie implicazioni rispetto al riconoscimento visivo delle parole. E’ improbabile che alla lettura corrisponda un sistema specializzato, mentre è probabile che alcuni aspetti della lettura siano sostenuti da processi visivi d’ordine generale. Secondo studi recenti i simboli fonetici e gli ideogrammi sarebbero localizzati in zone diverse della corteccia cerebrale. Ad esempio, il giapponese ha due sistemi di scrittura: uno sillabico ed uno 13
Isa Maria Sozzi – Filosofia del linguaggio ideografico. Entrambi i sistemi dipendono dai centri del linguaggio dell’emisfero sinistro, ma vengono elaborati da meccanismi intraemisferici diversi. Le lesioni della corteccia che alterano in maniera grave la lettura del sistema sillabico, lasciano in gran parte indenne la comprensione del sistema ideografico, pur impedendo ai pazienti la lettura ad alta voce del testo, mentre tale comprensione è del tutto assente se il testo è presentato nell’altro sistema. Uno schema che rappresenti sia la fase di input che quella di produzione del linguaggio, sia parlato che scritto, può essere la seguente, tratta da Kandel, Schwartz, Jessell 4 PAROLA
SCRITTURA
Uscita motoria Corteccia motrice (rolandica) Esecuzione di compiti
Programmazione motoria Codificazione relativa all’articolazione delle parole Area premotoria (S) Elaborazione dell’uscita motoria
(aree danneggiate nell’afasia di Broca)
Associazioni semantiche Corteccia frontale anteriore inferiore (S) Ingenera l’abitudine Controllo latente
(aree danneggiate nell’afasia di Wernicke)
Codificazione fonetica
Codificazione visiva
Corteccia temporoparietale
Cortecce extrastriale
Compito uditivo d’ingresso
Compito visivo d’ingresso
Elaborazione uditiva iniziale
Elaborazione visiva iniziale
Corteccia uditiva primaria
Corteccia striata
PAROLA SCRITTA
PAROLA PARLATA
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Principi di neuroscienze / Eric R. Kandel, James H. Schwartz, Thomas M. Jessell ; CEA, 2003
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Isa Maria Sozzi – Filosofia del linguaggio La nostra capacità di capire il linguaggio (competence), infine, non è isomorfa alla nostra capacità di produrre linguaggio (performance). Segnale acustico
pensiero Processi cognitivi centrali
Codificatore linguistico
LOCUTORE
Segnale acustico ricevuto
Forma logica Processi cognitivi centrali
Decodificatore linguistico
aria
RUMORE
ASCOLTATORE ORE
Modello della comunicazione verbale (da Sperber e Wilson)
6 - Attenzione, selezione delle informazioni, memoria, abilità linguistiche e apprendimento La capacità di apprendere e di ricordare informazioni sul mondo intorno a noi, sulle esperienze che facciamo, sulle procedure messe in atto ogni giorno, ecc. è un’abilità cognitiva essenziale. Abbiamo la capacità di ritenere milioni di informazioni a volte con facilità, altre volte con enorme fatica. L’apprendimento scolastico, ad esempio, si basa in larga parte su queste competenze, indispensabili per l’apprendimento: - capacità attentive, per ricevere i contenuti delle spiegazioni, pur con il disturbo normale in una classe; - capacità di selezionare le informazioni, pertinenti con un certo compito, come i dati nel testo dei problemi; - capacità di memorizzare e, soprattutto, di recuperare le informazioni selezionate al momento giusto e nel contesto appropriato - abilità di esporre in modo opportuno le informazioni memorizzate. La funzione dell’attenzione, ad esempio uditiva, è fondamentale nel contesto scolastico. Quello che chiamiamo attenzione altro non è se non il riflesso del funzionamento di un insieme di algoritmi mentali, il cui fine è quello di operare una selezione che ha come oggetto l’informazione in ingresso attraverso gli organi sensoriali, in un determinato intervallo di tempo. Nel quadro delle facoltà espresse dal nostro sistema cognitivo, selezionare informazioni (quindi, ridurne la quantità e/o semplificarne la struttura) è un adattamento filogenetico stabilizzatosi nel tempo per far fronte ai limiti di capacità (o limiti computazionali) che caratterizzano alcuni stadi di elaborazione dell’informazione sensoriale. Un esempio classico di tali limiti attiene alla quantità e qualità dell’informazione che, istante per istante, va a costituire la nostra percezione cosciente. Come, quando e dove avviene l’operazione di selezione? Selezioniamo sulla base di informazioni sensoriali (quindi, in modo temporalmente e funzionalmente precoce) o selezioniamo solo a seguito del completamento dell’elaborazione degli stimoli a cui siamo esposti (quindi, in modo temporalmente e funzionalmente tardivo)? I primi studi sistematici sulle funzioni attentive hanno preso le mosse da indagini condotte prevalentemente sulla modalità acustica. Il paradigma sperimentale più frequentemente utilizzato in questo contesto è stato quello dell’ascolto dicotico.
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Isa Maria Sozzi – Filosofia del linguaggio
Messaggio verbale a cui prestare attenzione (Ma)
Messaggio verbale da ignorare (Mi)
Capire se la selezione di informazioni acustiche avvenga precocemente o tardivamente corrisponde in questo ambito al valutare l’incidenza del significato di un messaggio da ignorare sul grado di comprensione di un messaggio a cui si deve prestare attenzione.
Se la selezione opera precocemente, il messaggio atteso è l’unico ad essere elaborato ad un livello sufficientemente profondo perché possa essere compreso. Se la selezione opera tardivamente, è ragionevole aspettarsi qualche tipo di conflitto (errori di intrusione, ad esempio) nella comprensione del messaggio atteso. Lo scenario dei risultati fin ad ora esaminati è articolato e complesso. Se da un lato i primi studi parevano indirizzare verso l’ipotesi di una selezione precoce delle informazioni convogliate dal canale uditivo, studi successivi hanno suggerito il contrario. Proposte più recenti indicano una sorta di meccanismo basato sul concetto di selezione precoce graduata. Le informazioni filtrate non sono completamente annullate. Messaggi da ignorare, con contenuto analogo al messaggio da ascoltare con attenzione o con forti riferimenti emotivi, possono “entrare” nel ciclo della comprensione e interferire con il compito assegnato. In chiave didattica ciò confermerebbe l’osservazione empirica di docenti e genitori: l’ascolto o lo studio di una lezione non viene disturbato da una musica “neutra” di sottofondo o da generici rumori d’ambiente, mentre la televisione accesa, specialmente con i programmi specifici per una certa fascia d’età, o i rumori di attività di gioco possono compromettere un corretto apprendimento per le interferenze già a livello di attenzione. Se l’attenzione è importante, lo è altrettanto la memoria. Esistono molteplici sistemi di memoria: apprendere e ricordare come si fa ad andare in bicicletta è equivalente all’apprendere e ricordare la relazione esistente tra i lati di un triangolo rettangolo? E qual è la relazione tra apprendimento e memoria? Il linguaggio favorisce i processi del ricordo e della memorizzazione? Quanta parte ha la memoria nei processi di produzione e comprensione del linguaggio? 16
Isa Maria Sozzi – Filosofia del linguaggio L’apprendimento è il processo con cui si acquisiscono nuove informazioni, mentre la memoria si riferisce al persistere dell’apprendimento in una forma che può diventare evidente in un momento successivo. Non sempre l’apprendimento implica un tentativo cosciente di imparare, esso può aver luogo semplicemente in conseguenza di una maggiore esposizione a certe informazioni o a un certo compito (addestramento). Nell’apprendimento e nella memorizzazione possono essere distinte alcune fasi principali: codifica, immagazzinamento e recupero. Durante la codifica, le informazioni in entrata vengono elaborate ed immagazzinate nei “depositi” della memoria. Gli input vengono registrati nei buffer sensoriali (acquisizione) durante le varie fasi dell’analisi sensoriale, per poi generare una rappresentazione più forte e permanente (immagazzinamento). Infine, il recupero permette di utilizzare le informazioni memorizzate per generare una rappresentazione cosciente o per realizzare un comportamento appreso. Esistono diversi tipi di memoria: memoria sensoriale, memoria a breve termine e memoria a lungo termine, in base al tempo per il quale le informazioni vengono mantenute. La memoria sensoriale ha una durata massima di alcuni secondi e ci permette ricordare quello che abbiamo appena sentito. La memoria a breve termine ha una durata che arriva ai minuti, mentre quella a lungo termine si misura in giorni o anni. Le tracce, che permangono nella memoria sensoriale per pochi istanti, non sono direttamente accessibili alla coscienza, ma possono essere estratte a condizione di farlo immediatamente. Contengono una rappresentazione delle informazioni basata sui dati sensoriali, non una rappresentazione semantica. I bambini che stanno apprendendo le prime strumentalità della lettura o con difficoltà decodificano una parola piuttosto lunga con lentezza e perciò, arrivati in fondo, non ricordano più le prime lettere. La memoria a breve termine è soggetta a severe limitazioni di capacità, ha una persistenza temporale di qualche minuto al massimo ed è facilmente accessibile alla coscienza. E’ stato provato che gli item ritenuti in memoria si aggirano tipicamente interno a sette, indipendentemente dal loro tipo o contenuto: se più item possono esser riconfigurati in “pezzi” dotati di significato, saranno questi pezzi ad essere conteggiati e quindi la memoria a breve termine può aver una capacità maggiore. La capacità di ricodificare le informazioni in pacchetti più maneggevoli e più facili da gestire è tipica degli esseri umani. Ad esempio è più facile per i bambini piccoli, e non solo, scrivere correttamente e velocemente una parola copiata dalla lavagna, se ne hanno compreso il significato; altrimenti la copiatura lettera per lettera fa compiere errori (ripetizioni, mancanza di lettere, ecc), senza contare la lentezza. Le prestazioni della memoria a breve termine decadono moltissimo per effetto della distrazione. La memoria a lungo termine non si limita a trattenere le informazioni della memoria a breve termine. Secondo una teoria proposta, quanto più è profondo (nel senso di significato) il grado di elaborazione di un item, tanto più forti ne sono il consolidamento e il deposito nella memoria a lungo termine. La ripetizione elaborativa o profonda e la codifica generano codici basati sul significato, che collegano direttamente le informazioni a conoscenze già acquisite. Il risultato è un apprendimento migliore, in confronto a quando le informazioni sono soltanto ripetute e memorizzate come semplici codici visivi o fonologici. Il risultato importante di alcuni studi conferma che la memoria a breve termine non è l’ingresso di quella a lungo termine, anzi esse sono dissociate: pazienti che hanno perso la capacità di immettere nuovi contenuti nella memoria a lungo termine conservano, invece, intatta la memoria a breve termine. La memoria a lungo termine non è stabile e immutabile. In esperimenti un animale viene condizionato a riattivare una particolare sequenza comportamentale che era stata oggetto di un precedente processo di consolidamento. Subito dopo un nuovo training produce un’interferenza fra 17
Isa Maria Sozzi – Filosofia del linguaggio questo ricordo riemerso nella rievocazione e la vecchia traccia codificata nel consolidamento. E’ risultato che il ricordo dell’esperienza acquisita in precedenza viene in realtà in buona parte cancellato se l’animale viene sottoposto al training subito dopo la riattivazione del ricordo stesso. Ogni operazione di richiamo rende la traccia flessibile e nuovamente soggetta a un processo di riconsolidamento. La memoria a lungo termine viene suddivisa funzionalmente in memoria dichiarativa e memoria non dichiarativa, secondo le caratteristiche delle informazioni immagazzinate. La memoria dichiarativa riguarda il “sapere che”, cioè la conoscenza delle parole e dei concetti e può essere suddivisa in due componenti basilari: memoria semantica e memoria episodica. Questo sistema ha una parentela molto forte con la memoria esplicita, cioè con il ricordo volontario di un’informazione della cui presenza nella memoria il soggetto è cosciente. La memoria non dichiarativa o procedurale riguarda invece il “sapere come”, cioè la capacità di attivare abilità motorie e reattive di diverso tipo con una buona dose di automatismo. Questo sistema si intreccia e si sovrappone con quello della memoria implicita, cioè la possibilità di essere influenzati da un’esperienza passata senza avere la consapevolezza di ricordare. Le memorie procedurali spesso non nascono già implicite, ma lo diventano dopo una lunga fase di esercitazione ed apprendimento. Basti pensare all’apprendimento della scrittura, lungo e faticoso nel primo anno di scuola primaria. Ma già alla fine del secondo anno, per la maggior parte dei bambini, la scrittura diventa un processo automatico che richiede un minimo sforzo. Personalmente ho osservato che, quando ho dei dubbi sull’esatta grafia di una parola, mi basta scriverla velocemente, senza pensare troppo alla difficoltà, per recuperare dalla memoria a lungo termine la giusta sequenza di lettere.
MEMORIA Memoria a lungo termine
Memoria a breve termine Memoria sensoriale – memoria di lavoro
Memoria dichiarativa (memoria esplicita)
Memoria non dichiarativa (memoria implicita)
Eventi (memoria episodica)
Fatti (memoria semantica)
Memoria procedurale
Sistema percettivo della rappresentazione
Condizionamento classico
Apprendimento non associativo
Specifiche esperienze personali, in un particolare momento e luogo (memoria autobiografica)
Conoscenze del mondo, degli oggetti, del linguaggio, priming concettuale
Abilità motorie e cognitive
Priming percettivo
Risposte condizionate tra due stimoli
Assuefazione sensibilizzazione
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Isa Maria Sozzi – Filosofia del linguaggio
6 - Linguaggio orale e scrittura – problemi a livello scolastico Nella scuola primaria alcuni alunni manifestano difficoltà di vario tipo nella attività di letto-scrittura. Difficoltà che spesso permangono anche oltre questo livello scolare. Dai testi letti sembrerebbe che molte difficoltà siano legate a problemi della memoria, in particolare di quella a breve termine, denominata memoria di lavoro, che sovraintende allo svolgimento di molte attività mentali cruciali e quotidiane come il ragionamento, l’uso del linguaggio interno, la lettura, il conteggio, il problem solving. Oltre a trattenere l’informazione, esegue operazioni mentali sui contenuti depositati, siano essi provenienti dalla memoria sensoriale o recuperati dalla memoria a lungo termine. Questo sistema ha delle componenti precise: l’esecutivo centrale ha il compito di focalizzare l’attenzione su uno stimolo e deciderne l’immagazzinamento temporaneo nella memoria di lavoro, controlla l’esecuzione routinaria dei comportamenti appresi, coordina e pianifica le azioni dei due sottosistemi; il circuito fonologico è un meccanismo per la codifica acustica delle informazioni, si compone di un magazzino acustico ed una componente articolatoria che partecipa alla ripetizione sub vocalica degli item da ritenere sul breve termine, responsabile tra l’altro della codifica nella memoria di lavoro delle informazioni presentate visivamente (lette) il taccuino visuo-spaziale è una rappresentazione a breve termine per immagazzinare un’informazione secondo un codice puramente visivo o visuo-spaziale Questo modello spiega molti fenomeni. Ad esempio: a) lentezza ed errori nella lettura in base alla lunghezza della parola. I bambini più piccoli o quelli in difficoltà leggono con maggior lentezza ed errori parole lunghe rispetto a quelle bisillabe o trisillabe. Infatti, l’ampiezza della memoria diminuisce all’aumentare della lunghezza della parola, perché viene richiesto un surplus di lavoro che la memoria non è in grado di svolgere adeguatamente. L’effetto della lunghezza della parola non è tanto legato all’estensione della stringa lessicale quanto alla rapidità di pronuncia e di lettura del singolo individuo. I bambini più grandi attivano il loop fonologico e attivano il ripasso subvocale, scorrendo la parola più velocemente. L’apprendimento della lettura rappresenta un circolo virtuoso: esso aumenta lo span di memoria e la consapevolezza fonologica e questi, a loro volta, contribuiscono al miglioramento della prestazione della lettura. Baddeley afferma che le persone sentono il materiale letto “come se venisse pronunciato da una qualche forma di voce interiore (e in effetti molti bambini leggono silenziosamente muovendo le labbra oppure hanno bisogno di pronunciare distintamente una parola complessa per comprenderla); … benché ciò possa essere importante quando si impara a leggere, pare che svolga una funzione molto meno cruciale nel lettore adulto”. Ma anche gli adulti fanno ricorso alla sub-vocalizzazione quando devono leggere un testo particolarmente ostico. b) Errori nella scrittura di parole con suoni affini. Alcuni bambini commettono, in modo tipico per ciascuno, degli errori nella scrittura, ad esempio scambiando tra loro consonanti con suono sordo/sonoro. La prima ipotesi, in tali casi, è quella che l’alunno sia affetto da una lieve forma di sordità che gli impedisce di discriminare suoni con minime differenze. In effetti questi bambini commettono gli errori specialmente quando scrivono in autonomia; sotto dettatura gli errori sono meno diffusi e, in particolare, se la dettatura è individualizzata spesso scompaiono. Ho avuto un’alunna che sistematicamente invertiva F con V; è facile immaginare i risultati di una prova di verifica strutturata basata sul vero/falso! In alcuni studi è stato chiesto a delle persone di rievocare stringhe di consonanti presentate visivamente. Invece di servirsi di un codice visivo, sembra che i soggetti si servano di un 19
Isa Maria Sozzi – Filosofia del linguaggio codice acustico: spesso veniva sostituita la lettera presentata con una dal suono simile (G con T), non con la forma simile (G con Q). L’ipotesi è che ti e gi siano più simili, sotto il profilo acustico di qu e gi, benché la lettera Q sia più simile, con la sua forma rotonda alla G. Analogamente la rievocazione di liste di parole dal suono simile comporta un numero maggiore di errori rispetto a liste con parole dai suoni dissimili, anche se correlate dal punto di vista semantico. c) Difficoltà ad operare con numeri “grossi”. Anche in aritmetica la lunghezza dei nomi dei numeri implica rallentamenti e difficoltà. Ciò è stato provato confrontando l’ampiezza di span per i numeri in bambini di varie lingue. Più i nomi dei numeri sono lunghi, più causano un impiego massivo della memoria di lavoro. Le prestazioni eccezionali nel calcolo da parte dei bimbi cinesi sarebbero dovute quindi alla semplicità e sintesi dei nomi numerici di tale lingua.
Bibliografia consultata Le scienze cognitive del linguaggio / a cura di Antonino Pennisi, Pietro Perconti (lettura integrale, in particolare cap. 1-2-4-6) Comunicazione e scienza cognitiva / a cura di Francesco Ferretti e Daniele Gambarara (lettura integrale, in particolare cap. 1-2-5) Neuroscienze cognitive / Michael S. Gazzaniga, Richard B. Ivry, George R. Mangun (in particolare cap. 1-4-7-8-9-10-12) Principi di neuroscienze / Eric R. Kandel, James H. Schwartz, Thomas M. Jessel (in particolare cap. 19-20-23-24-28-29-51-53-54-59-60-64)
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