Poste Italiane Spa - Sped. in a.p. - D.L. 353/2003 conv. in L. 46/2004, art.1, c.1 - CB-NO/Torino – Anno 4 n. 15 DEA edizioni s.a.s. Strada del Portone, 127 - 10095 Grugliasco (TO)
maggio - giugno 2011 anno iv numero 15
EDILIZIA E COSTRUZIONI ANCE INDICA LA STRADA per il RILANCIO del SETTORE METALLURGIA DI PROCESSO Tecniche di rimozione delle scorie dagli altoforni BONIFICA SOLVENTI CLORURATI Riduzione chimica e soil mixing per il trattamento della falda DECOSTRUZIONE URBANA Soluzioni operative per contenere gli impatti ambientali
maggio - giugno 2011
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Nata con l'obieevo di trovare punn di incontro fra interessi pubblici e privaa, BONIFICHEXPO2015 è un'Associazione senza fini di lucro che riunisce diverse imprese, ognuna leader nel proprio seeore. Perché BONIFICHEXPO2015? Perché il grande evento che meeerà Milano davann agli occhi del mondo sinteezza concretamente e simbolicamente l'obieevo entro il quale l'Associazione intende muoversi. Il tema delle bonifiche definisce gli obieevi dell'aavità associaava: recuperare vaste aree dismesse del territorio per realizzare operazioni di riqualificazione urbana, esclusivamente a fini socio economici. Un approccio diverso che innestandosi su una vera emergenza, il recupero e la bonifica delle aree dismesse, richiede una diversa capacità, quella di coniugare imprenditorialità e scopi sociali. Questo è il caraaere innovaavo dell'iniziaava promossa dall’Associazione che sarà in grado di tracciare nuovi percorsi di sostenibilità.
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L’Italia soffre di “Nimby”
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i sa, l’Italia è il paese dei no. No alle discariche, no agli inceneritori, no al nucleare, no ai depositi di rifiuti, no alle biomasse, no al fotovoltaico... Tutti sintomi accertati di un paese che soffre della Sindrome Nimby. L’acronimo inglese che sta per Not In My Back Yard, letteralmente "Non nel mio cortile", è una vera e propria malattia sociale e indica un atteggiamento che si riscontra ormai sempre più spesso nelle proteste contro opere di interesse pubblico che hanno, o si teme possano avere, effetti negativi sui territori in cui verranno costruite, come ad esempio termovalorizzatori, discariche, depositi di sostanze pericolose, centrali elettriche, siti industriali e opere pubbliche. L’Italia è piena di esempi, ultimo in ordine di tempo il caso del nucleare dopo gli incidenti di Fukushima che ha visto tutte le regioni fare marcia indietro al grido di "costruiteli altrove, non da noi"; ma non dimentichiamo anche l’Alta Velocità in Val di Susa, il termovalorizzatore di Acerra, la discarica di Chiaiano, il sito di stoccaggio di Scanzano Jonico e l’elenco potrebbe continuare a lungo. Voglio chiarire che ogni Comunità e ogni libero cittadino ha il diritto di manifestare ed esprimere la propria opinione e preoccupazione su installazioni sensibili e potenzialmente rischiose soprattutto se da realizzarsi vicino al territorio in cui vive, tuttavia i dati presentati dell’Osservatorio Media Permanente Nimby Forum®, l’unico archivio nazionale completo che dal 2004 ha il polso della situazione delle contestazioni ambientali in Italia, fotografano una situazione molto più complessa fatta di paure, strumentalizzazione politica e disinformazione. Oggetto delle proteste sono soprattutto il settore elettrico (il 58% del monte complessivo dei fenomeni di agitazione provengono da qui), a seguire i rifiuti (nel 32,5% dei casi) e molto di meno – e questo è un paradosso – le infrastrutture (5,3%) e gli impianti industriali (4,1%), quelli che teoricamente presentano un maggiore impatto ambientale. Molto curioso è il fatto che tra gli impianti elettrici contestati oltre l’85% sono riconducibili a fonti rinnovabili, ossia installazioni eoliche ed impianti a biomasse, sui quali vengono sovente sbandierati sondaggi e campagne condivise a supporto dell’utilizzo di queste forme di energia alternativa. Questi dati devono farci riflettere su entrambi i fronti: da una parte, gli enti e i gruppi che promuovono la realizzazione di un’opera devono recuperare la fiducia dei comitati territoriali mediante campagne informative, trasparenza tecnica e coinvolgimento delle parti fin dalle prime fasi burocratiche, dall’altra, i comitati del "no" dovrebbero evitare di farsi strumentalizzare, controllare e soprattutto essere aperti al dialogo costruttivo, perché è noto a tutti che un problema spostato a casa del vicino non è un problema risolto. Massimo Viarenghi
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ECO bonifiche rifiuti demolizioni
24 L’INCIDENTE DI FUKUSHIMA CI CONDUCE ad UN’ANALISI APPROFONDITA DELLA CLASSIFICAZIONE E GESTIONE DEI RIFIUTI RADIOATTIVI
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RUBRICHE ecoNews Vetrina Libri
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STORIA DI COPERTINA LA SOFFERENZA DELLE COSTRUZIONI di Massimo Viarenghi
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ATTUALITÀ
32 PROGETTO DI BONIFICA E PROGETTO URBANISTICO: COME RIDURRE I TEMPI DELLE BONIFICHE ED INCENTIVARE LA TRASFORMAZIONE DI AREE DISMESSE
La gestione sostenibile dei sedimenti per i porti del Mediterraneo di A. Barbanti, L. De Propris, M. Eisma e E. Romano
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Liberi dall’amianto, alla luce del sole di Chiara De Marzi
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Rapporto dal Territorio 2010: stop al consumo di suolo di Maeva Brunero Bronzin
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ALLA SCOPERTA DEI RIFIUTI RADIOATTIVI di Stefano Scaini
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THE BIG EYE LA SCOZIA PRESENTA IL SUO PIANO A RIFIUTI ZERO di Bruno Vanzi
51 LA POSITIVA CONCLUSIONE DI UN INTERVENTO DI BONIFICA E RIPRISTINO AMBIENTALE DI UNA EX CAVA ADIBITA A DISCARICA PER RIFIUTI URBANI E INDUSTRIALI
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REPORT Le relazioni tra progetto di bonifica e progetto urbanistico di Marina Dragotto e Igor Villani
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SPECIALE METALLURGIA DI PROCESSO: LA RIMOZIONE DEL MATERIALE RESIDUALE DAGLI ALTOFORNI di Stefano Scaini
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PANORAMA AZIENDE
65 PUBBLICATO IL REGOLAMENTO COMUNITARIO CHE INDIVIDUA I CRITERI PER DEFINIRE LA “FINE DEL RIFIUTO” PER ALCUNI TIPI DI ROTTAMI METALLICI
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Anno 4 - Numero 15
RICOMINCIO DA ME di Maria Beatrice Celino
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Giovani, ma non troppo di Maria Beatrice Celino
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Anno 4 - Numero 15 Maggio - Giugno 2011
Direttore responsabile: Massimo Viarenghi Direttore editoriale: Tina Corleto Direttore commerciale: Maria Beatrice Celino Coordinamento editoriale: Maeva Brunero Bronzin
WORK IN PROGRESS L’IMPIANTO DI TRATTAMENTO RIFIUTI DI BELLOLAMPO di Graziano Ligabue e Emilio Mussini
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Le tecniche di demolizione come strumento indispensabile della bonifica di Ivan Poroli
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BONIFICA E RIPRISTINO PER UNA EX DISCARICA DI RIFIUTI URBANI E INDUSTRIALI di Gabriella Jaforte e Corrado Bizzotto
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PROGETTI E TECNOLOGIE RIDUZIONE CHIMICA E SOIL-MIXING PER TERRENI CONTAMINATI DA VOC di Christophe Chêne RUMORE, POLVERI, VIBRAZIONI E DETRITI: NO GRAZIE! di Andrea Terziano 4.350 pannelli fotovoltaici per ridare energia a una discarica esaurita di Alessandro Piccinini
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Grafica, disegni e impaginazione: PeVmedia - C.so Francia, 128 - 10143 Torino
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Abbonamenti: Italia annuo € 40,00 - estero annuo € 70,00 copia singola € 7,50 - arretrati € 10,00 Per abbonarsi è sufficiente fare richiesta a info@deaedizioni.it
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Biomassa: la legislazione vigente in tema di energie rinnovabili di Rosa Bertuzzi
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CONSIDERAZIONI POST-INCIDENTALI IN UN IMPIANTO DI SMALTIMENTO DI RIFIUTI SPECIALI di C. Di Girolamo, M. Bonacci, R. Bianchi, D. D’Ambrosio
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Stampa: Tipografica Derthona - s.s. per Genova, 3/I - 15057 Tortona (AL) Responsabilità: la riproduzione delle illustrazioni e articoli pubblicati dalla rivista è riservata e non può avvenire senza espressa autorizzazione della Casa Editrice. I manoscritti e le illustrazioni inviati alla redazione non saranno restituiti, anche se non pubblicati, e la Casa Editrice non si assume responsabilità per il caso che si tratti di esemplari unici. La Casa Editrice non si assume responsabilità per i casi di eventuali errori contenuti negli articoli pubblicati o di errori in cui fosse incorsa nella loro riproduzione sulla rivista. La responsabilità di quanto espresso negli articoli firmati rimane esclusivamente agli Autori. Direzione, Redazione, Abbonamenti, Amministrazione:
ASSOCIAZIONe STUDI AMBIENTALI NUOVO BANDO PER IL PROGRAMMA LIFE+ 2011
Comitato Scientifico: Daniele Cazzuffi (Cesi spa – Remtech) Laura D'Aprile (ISPRA, Roma) Luciano De Propris (Consulente ambientale) Ennio Forte (Università degli studi di Napoli) Luciano Morselli (Università di Bologna) Andrea Quaranta (Giurista ambientale – Roma) Gian Luigi Soldi (Provincia di Torino) Federico Vagliasindi (Università di Catania) Maria Chiara Zanetti (Politecnico di Torino)
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NORMATIVA NUOVI CRITERI PER DEFINIRE LA “FINE DEL RIFIUTO” di Tina Corleto
Collaboratori: Andrea Barbanti, Rosa Bertuzzi, Riccardo Bianchi, Corrado Bizzotto, Maria Bonacci, Maria Beatrice Celino, Christophe Chêne, David D’Ambrosio, Chiara De Marzi, Luciano De Propris, Casto Di Girolamo, Marina Dragotto, Marc Eisma, Gabriella Jaforte, Graziano Ligabue, Anna Montefinese, Emilio Mussini, Alessandro Piccinini, Ivan Poroli, Elena Romano, Stefano Scaini, Andrea Terziano, Igor Villani
76 DEA edizioni s.a.s. Strada del Portone 127 10095 Grugliasco (TO) Tel. 011 7802164 Fax 011 4047946 e-mail: info@deaedizioni.it www.deaedizioni.it
Organo Ufficiale dell'Associazione Studi Ambientali L’abbonamento è deducibile al 100%. Per la deducibilità del costo ai fini fiscali vale la ricevuta del versamento a norma D.P.R. 22/12/86 n. 917 artt. 50 e 75. Conservare il tagliando - ricevuta, esso costituisce documento idoneo e sufficiente ad ogni effetto contabile. Non si rilasciano in ogni caso altre quietanze o fatture per i versamenti in c.c.p. Pubblicazione bimestrale Poste Italiane Spa – Sped. in a.p. D.L. 353/2003 conv. in L. 46/2004, art. 1, c. 1 – registrata presso il Tribunale di Torino il 19 ottobre 2009 al n. 56. Ai sensi del D.Lgs. 196/2003, informiamo che i dati personali vengono utilizzati esclusivamente per l’invio delle pubblicazioni edite da DEA edizioni s.a.s. Telefonando o scrivendo alla redazione è possibile esercitare tutti i diritti previsti dall’articolo 7 del D. Lgs. 196/2003.
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Rapporto Ispra rifiuti speciali 2010 E’ stato presentato a Roma il Rapporto redatto dall’Ispra, Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, contenente i dati aggiornati relativi alla produzione di rifiuti speciali in Italia. Dal Rapporto emerge una crescita nella produzione totale di rifiuti speciali che passano dai 138,7 milioni di tonnellate del 2007 ai 143 milioni di tonnellate del 2008, con un incremento quindi dell’1,2%. A questo dato si contrappone però il calo relativo ai soli rifiuti speciali pericolosi che diminuiscono negli stessi anni dello 0,6% corrispondente a 70.000 tonnellate di rifiuti in meno. Per quanto riguarda il contributo alla produzione di rifiuti prevalgono nettamente le attività manifatturiere, con 6,1 milioni di tonnellate (il 53,8% del totale) seguite a distanza dalle attività di trattamento rifiuti, con il 19,9%, e dalle attività di servizio, commercio e trasporti, con il 19,1%. Chi si interroga sul destino di questi rifiuti dal Rapporto potrà apprendere che circa 78 milioni di tonnellate di rifiuti speciali sono state destinate ad operazioni di recupero di materia, oltre 46 milioni di tonnellate vengono ancora avviate a smaltimento, mentre quasi 20 milioni di tonnellate sono destinate a forme di gestione intermedia come stoccaggio, messa in riserva, ecc. Va infine evidenziato che il quantitativo di rifiuti destinato all’estero ammontava nel 2008 a 2,1 milioni di tonnellate, di cui quasi la metà è rappresentata da rifiuti pericolosi, e che il Paese estero che riceve la maggior parte dei trasporti transfrontalieri è la Germania con 1,6 milioni di tonnellate.
Nell a giornata mondiale delle vittime dell’amianto in Italia 32 mln di ton sono ancora sparse sul territorio
In 28 aprile scorso si è celebrata la giornata mondiale delle vittime dell’amianto che ogni hanno in Italia causa oltre 4.000 morti sebbene il picco massimo si prevede arriverà tra il 2015 e il 2020. Nonostante siano passati quasi vent’anni dall’entrata in vigore della legge che ha messo al bando questo materiale la sua diffusione sul territorio nazionale è ancora molto alta e numerosi sono i siti contaminati che attendono di essere bonificati. La Legge 257 del 1992 obbligava le Regioni ad adottare entro 180 giorni un programma per il censimento, la bonifica e lo smaltimento dei materiali contaminati, il cosiddetto Piano Regionale Amianto. Ad oggi risultano solo 13 le Regioni che si sono dotate del Piano e nella maggior parte dei casi mancano comunque le indicazioni su cosa vada fatto concretamente per l’eliminazione del problema. Solo Lombardia e Sardegna si sono poste una data entro la quale completare la bonifica da amianto sui loro territori: rispettivamente entro il 2016 ed entro il 2023. L’amianto è stato utilizzato nei luoghi di lavo-
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ro, nelle scuole, negli edifici pubblici, sui tetti e nei capannoni industriali, nelle nostre case ed in circa tremila prodotti di uso corrente, con effetti devastanti sulla popolazione e sui cittadini. Dalle stime del CNR e di Ispesl risulterebbero ancora presenti sul nostro territorio circa 32 milioni di tonnellate di amianto e circa un miliardo di metri quadri di coperture in eternit, una pesante eredità derivante da un passato in cui l’Italia era il secondo produttore e tra i principali consumatori a livello europeo.
Nuovo bando per i Comuni a 5 stelle E’ fissata per il 30 giugno prossimo la scadenza per partecipare al Premio nazionale dei Comuni a 5 stelle promosso per il quinto anno dall’Associazione Comuni Virtuosi. Il concorso è aperto a tutti gli enti locali che abbiano avviato politiche ed azioni di sensibilizzazione in relazione a tematiche come la gestione del territorio, l’impronta ecologica della “macchina comunale”, i rifiuti, la mobilità sostenibile e i nuovi stili di vita. Questa edizione del Premio vuole essere anche un’opportunità per contribuire alla creazione di una maggiore sensibilità da parte dei cittadini e di un maggiore incoraggiamento ad altri soggetti pubblici al tema delle “buone pratiche”, attraverso la valorizzazione e la promozione di casi esemplari di esperienze avviate con successo in questi anni. Il Premio è patrocinato da Ministero dell’Ambiente, Coordinamento Agenda 21, Rete Nuovo Municipio, Borghi Autentici d’Italia, Città del Bio e molti altri. Ogni categoria vedrà proclamati due vincitori, uno per i Comuni sotto i 15.000 abitanti ed uno per i Comuni al di sopra dei 15.000 abitanti. La Cerimonia di premiazione, che si terrà il 17 settembre a Ponte nelle Alpi (BL), proclamerà inoltre un vincitore assoluto del Premio tra i Comuni che avranno evidenziato un’azione trasversale in tutte e cinque le categorie.
Ecco i “Sentieri” dove l a salute è a rischio Nel progetto “Sentieri” - Studio Epidemiologico Nazionale Territori e Insediamenti Esposti a Rischio da Inquinamento - coordinato dall’Istituto Superiore di Sanità, sono stati recentemente presentati i dati emersi dallo studio condotto al fine di verificare la correlazione tra il tasso di mortalità della popolazione con la tossicità derivante dalla presenza di siti contaminati. La ricerca ha riguardato la popolazione residente presso i 44 Siti di Interesse Nazionale. Nel periodo compreso tra il 2007 e il 2010 sono stati valutati circa 6 milioni di cittadini residenti in 298 comuni, prendendo in considerazione 63 cause di morte, tumorali e non, che fossero potenzialmente associate al fatto di risiedere in prossimità di poli chimici, petrolchimici, raffinerie, stabilimenti siderurgici, impianti di trattamento e smaltimento rifiuti, ecc.
Dall'analisi di circa 400.000 decessi, sebbene il quadro di mortalità risulti diversificato in quanto fa riferimento a situazioni anche molto differenti tra loro a causa di fattori tra cui la densità abitativa, la tipologia di contaminazione, la presenza di altre fonti di inquinamento, si evidenzia comunque che le morti per tutte le cause e per tumori superano quelle medie regionali rispettivamente in 24 e in 28 siti. Se nel caso di Casale Monferrato, Broni e Biancavilla il nesso causale è dimostrato, in altri casi la correlazione è sospetta ma non accertata, come ad esempio per i casi di tumore polmonare nella popolazione dei poli siderurgici di Taranto, nei petrolchimici di Porto Torres o nei siti di smaltimento illegale di rifiuti tossici presenti sul Litorale Domizio Flegreo e Agro Aversano. Sono state anche individuate aree dove al contrario la mortalità osservata risulta inferiore a quella attesa evidenziando probabilmente che l’esposizione dei cittadini non è stata tale da determinare un danno per la salute o che le opere di bonifica e di riconversione dell’area hanno avuto l’effetto di ridurre i rischi per la popolazione. In definitiva ciò che emerge dal Rapporto “Sentieri” permette di individuare e far emergere rispetto alle emergenze ambientali valutate quali risultino prioritarie al fine di ridurre concretamente i rischi per i cittadini.
Nuovo “Testo unico” per il Sistri Pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 26 aprile scorso, dopo lunghe attese, l’11 maggio è entrato in vigore il Decreto Ministeriale n. 52 del 18 febbraio 2011. Il regolamento, raggruppando definizioni e modifiche, tenta di mettere ordine tra i cinque decreti emanati su Sistri e conferma la partenza del nuovo sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti per il 1° giugno 2011 fissando la scadenza per la trasmissione dei dati di quanto prodotto, smaltito o recuperato nel 2010, al 30 aprile, e nel 2011, al 31 dicembre 2011. Fa infine slittare il termine annuale per il pagamento dei contributi dal 31 gennaio al 30 aprile. Trattandosi principalmente di un provvedimento “di riordino” sono poche le novità in esso contenute, tra cui si segnala l’esclusione delle attività di raccolta dei rifiuti pericolosi prodotti da attività di manutenzione dal campo di applicazione del termine per la registrazione delle operazioni di movimentazione, da parte del trasportatore “qualora i rifiuti siano trasportati direttamente all'impianto di recupero o smaltimento dal soggetto che ha effettuato la manutenzione”. Rilevanti in tema di Sistri sono invece i quattro protocolli di collaborazione recentemente siglati tra il Ministero dell’Ambiente e Guardia Costiera (per realizzare l’interconnessione con l’AIS, il sistema di monitoraggio delle navi da trasporto anche adibite a trasporto rifiuti), Regione Campania (per l’interconnessione con il Sitra, il Sistema di Tracciabilità regionale), Confapi (per la formazione di un comitato misto per la vigilanza sull’applicazione delle procedure), Confindustria Servizi IT e Confcommercio (per la messa a punto delle informazioni tecniche necessarie alle software house delle imprese associate).
Sardegna: stagione balneare a rischio Si è riunita lo scorso aprile la Conferenza dei Servizi per fare il punto sulla situazione dei divieti ancora presenti nelle spiagge interessate dallo sversamento di olio combustibile verificatosi lo scorso gennaio a Porto Torres. Tale condizione riguarda le coste settentrionali dell’isola e rischia di creare non pochi problemi visto l’imminente inizio della stagione balneare. Un primo passo avanti verso la soluzione del problema è rappresentato dall’approvazione di un Piano unico di caratterizzazione ambientale che permetterà di velocizzare tutte le procedure di indagine ed eventuali bonifiche che si rendessero necessarie. Gli amministratori sono parsi soddisfatti dell’esito della Conferenza ma soprattutto hanno manifestato soddisfazione per il lavoro unitario svolto da enti locali ed istituzioni, evidenziando comunque la priorità di svolgere tutte le azioni necessarie in tempi brevi. Un altro punto fondamentale che dovrà essere affrontato a breve riguarda il rilancio turistico del territorio che dovrà essere effettuato con campagne promozionali ad hoc che verranno avviate anche con il supporto di E.On, proprietaria della termocentrale in cui si è verificato l’incidente.
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gto s e ne r irai co d i co p e rt i n a
LA SOFFERENZA DELLE COSTRUZIONI Il vice presidente Ance, Andrea Marani, illustra azioni per il rilancio di un settore chiuso nella morsa di appalti al massimo ribasso, difficoltà di accesso al credito e pressione fiscale di Massimo Viarenghi
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l settore delle costruzioni, da sempre un importante volano di crescita per l'economia del Paese, è colpito da una crisi senza precedenti che purtroppo non sembra migliorare, mettendo a rischio un indotto di proporzioni enormi che comprende il settore della riqualificazione urbana e risanamento ambientale di terreni a seguito di investimenti e sviluppi immobiliari.
Gr. Uff. Geom. Andrea Marani, vice Presidente di Ance
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Il continuo aggravarsi dei problemi che mettono in sofferenza il mercato delle costruzioni, tra cui la mancanza di incentivi fiscali, l’applicazione dell’IVA sull’invenduto, il mancato avvio del Piano casa e l’eccesso di norme negli appalti, congiuntamente ad una corsa al ribasso dei prezzi senza precedenti, mettono a rischio migliaia di posti di lavoro e rendono quanto mai necessarie misure urgenti e concrete di sostegno per salvare le imprese, l’occupazione e per favorire una ripresa produttiva senza la quale non c'è possibilità di risanamento finanziario. In questo panorama, tutt’altro che confortante, abbiamo intervistato il Gr. Uff. Geom. Andrea Marani, importante imprenditore e Vice presidente Nazionale di Ance Edilizia e Territorio, per monitorare veramente lo stato di salute di questo settore ma soprattutto per capire se vi siano azioni concrete per rilanciare lo sviluppo delle imprese edili che rappresentano insieme più del 10% del PIL italiano. Presidente Marani potrebbe spiegarci cos’è Ance oggi e quali sono le principali attività svolte dall’associazione? Ance nasce nell’immediato dopoguerra, precisamente nel 1946, ed oggi con più di 20.000 iscritti rappresenta l’associazione nazionale di categoria più importante per tutti gli imprenditori privati di ogni dimensione e forma giuridica, operanti nei settori delle
opere pubbliche, dell’edilizia abitativa, commerciale, direzionale e industriale. La nostra associazione, che aderisce a Confindustria, è organizzata in modo capillare su tutto il territorio nazionale con 102 Associazioni territoriali e 20 Organismi associativi regionali: si può dire che abbiamo già da tempo anticipato il federalismo. L’azione di Ance è diretta alla promozione e al rafforzamento dei valori imprenditoriali e del lavoro dell’industria edile e del suo indotto, anche tramite la collaborazione diretta con il sistema sindacale. Tra le attività principali svolte da Ance troviamo la tutela degli interessi della categoria nei confronti del Governo, del Parlamento e delle altre Istituzioni a livello centrale e la stipulazione dei contratti nazionali di lavoro, cui si affianca un programma molto articolato di divulgazione e formazione per operatori del settore. Di fondamentale importanza, soprattutto nei periodi di flessione del mercato come quello che stiamo vivendo, è lo studio delle grosse problematiche dei settori nonché l’analisi di mercato e le ricerche condotte da appositi centri studi di Ance; questi studi sono ampiamente riconosciuti a livello nazionale e ben rappresentano l’andamento del settore delle costruzioni, fornendo spesso un supporto anche per altre categorie e per il mondo economico politico stesso.
Da profondo conoscitore di questo mercato ci potrebbe fare una fotografia di quello che sta accadendo in Italia al settore dell’edilizia e delle costruzioni? Si parla infatti ciclicamente di crisi e di ripresa economica ormai da 4 anni, ma quali sono gli indicatori reali di questo andamento? Sia per il ruolo che ricopro in Ance, sia da presidente di una realtà imprenditoriale vorrei poter confermare la tendenza di un mercato in ripresa ma purtroppo gli indicatori a livello nazionale descrivono ancora un periodo di grande incertezza economica nata dal sistema finanziario e aggravata dalla situazione di instabilità politica nazionale che tutti conosciamo. In tre anni, dal 2008 al 2010, il settore delle costruzioni ha perduto circa il 17% di investimenti, tornando così ai livelli della fine degli anni ‘90. Nel solo 2009, come rileva l’ultimo Osservatorio congiunturale Ance sull’industria delle costruzioni, è stato registrato un calo del 7,7% rispetto all’anno precedente. Questa situazione critica purtroppo è il riflesso di una crisi globale su ampia scala, aggravata da una serie di problematiche nazionali, tra cui un sistema legislativo obsoleto e complesso che limita lo sviluppo imprenditoriale e l’ingiustificata difficoltà finanziaria delle imprese per l’accesso al credito bancario. Il tessuto normativo italiano è complesso e macchinoso: questo eccesso di burocrazia che colpisce molti settori, tra cui quello dell’edilizia
pubblica e privata, genera incertezze sugli investimenti immobiliari e sulle tempistiche di rilascio di permessi o concessioni edilizie e quindi mancanza di programmazione, tutti fattori alla base delle attività dei nostri associati. A peggiorare le cose troviamo la difficoltà di accesso al credito degli istituti bancari da cui dipendono la maggior parte delle imprese; anche se questo è un problema di tutti i settori imprenditoriali ed industriali, devo dire che le imprese che rappresentiamo patiscono particolarmente un’assenza generale di fiducia dovuta purtroppo a dinamiche sociali legate a mancanza di trasparenza e serietà di alcune realtà del settore edile, anche se è stato proprio il nostro settore a vendere maggiormente al sistema finanziario medesimo. Per molti anni il settore immobiliare delle costruzioni è stato identificato come un’attività ad alto profitto che ha perciò favorito la nascita incontrollata di società improvvisate che di fatto erano esclusivamente scatole vuote prive di organizzazione e specializzazione sul campo. Sovente si confondono queste realtà fatte di cottimisti e operai in nero con i “veri costruttori edili” ossia imprese che investono in formazione, specializzazione, materiali e che sono in grado di muoversi realmente come dei general contractors. Da anni stiamo chiedendo il riconoscimento del costruttore e non come fino ad ora, una semplice iscrizione alla Camera di Commercio che nomina il Costruttore.
Prima accennava alla burocrazia italiana, in che senso questa costituisce un freno al rilancio? La burocrazia italiana è un grosso freno per lo sviluppo specialmente quello edilizio. L’eccessiva complessità delle leggi e dei regolamenti, congiuntamente ad un’eterogeneità molto marcata di leggi regionali e comunali porta a numerose difficoltà per l’ottenimento dei titoli abilitativi che, anche per interventi semplici, vengono rilasciati dopo 3-4 anni. Quale piano finanziario è compatibile con dei tempi tanto lunghi? Questa è l’assurdità di base di ogni investimento immobiliare. Se da una parte i tempi sono incompatibili, dall’altra mancano azioni concrete per il rilancio degli appalti; parlando di riqualificazioni ad esempio, una tematica all’ordine del giorno in una nazione che promuove il consumo a zero del nuovo territorio, vediamo che di fatto mancano incentivi concreti che spingano le imprese ad investire su aree esistenti rispetto ad aree verdi o vergini. Allo stesso tempo in Italia stenta a partire il rinnovo del parco edilizio nazionale che è ancora pieno di costruzioni anni ’80 e ’90 scadenti sia architettonicamente sia costruttivamente che andrebbero sicuramente abbattute e ricostruite da zero. Ci vorrebbe un po’ più di coraggio da parte delle amministrazioni locali soprattutto nel settore dell’edilizia pubblica, io personalmen-
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gto s e ne r irai co d i co p e rt i n a
te sono favorevole a demolire e ricostruire edifici obsoleti, energicamente costosissimi e spesso esteticamente impattanti anche perché diversamente è impossibile pensare di ridurre il consumo di suolo, né tantomeno azzerarlo. Si parla di qualità edilizia, di sicurezza degli operai e poi gli appalti vengono dati al massimo ribasso; come è possibile conciliare questi aspetti? E’ impensabile. Il buco di questo sistema, adottato purtroppo da molte amministrazioni pubbliche e non solo, sta nell’illusione di risparmiare aggiudicando appalti al massimo ribasso quando al contrario il concetto base dovrebbe essere: “meno si spende, meno si ha”, per non dire di peggio. L'appalto superscontato non solo mina alla radice il settore delle costruzioni ma è pericoloso anche per la stessa incolumità dei lavoratori, il massimo ribasso porta delinquenza, perché è incomprensibile che si possano realizzare opere con ribassi che arrivano a superare il 40%. L’illusione del risparmio per l’ente cela il lavoro nero, la bassa qualità dei materiali, il ricorso a varianti e riserve che di fatto, a consuntivo
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dei lavori, fanno incrementare sempre i prezzi ben oltre quelli previsti e a pagarne le conseguenze, prima di tutto, sono le stesse amministrazioni che si trovano con un prodotto edilizio di bassa qualità e con tempi allungati. Bisognerebbe sempre andare in appalto con un buon progetto e computi metrici estimativi ben dettagliati e a questo punto l'impresa deve solo eseguire correttamente le opere, non cercare di “arrangiarsi” per far fronte a prezzi scontatissimi. L’associazione su questo campo cerca costantemente di promuovere l'aggiudicazione tramite l'offerta economicamente più vantaggiosa, che garantisce meglio tempi e imprese qualificate, questa è la vera cultura. Non dimentichiamo inoltre che Ance è sempre stata a favore della sicurezza ed ha collaborato sempre con i sindacati per trovare tutte le soluzioni ai problemi della categoria. Ad esempio siamo stati noi a volere la procedura che prevede che ogni impresa comunichi con un congruo anticipo (almeno 3 giorni prima) l’assunzione di ogni operaio che per la prima volta accede al cantiere, questo proprio per tutelare il lavoratore e limitare il lavoro nero. Le attività portate avanti da Ance, anche attraverso sue collegate Cassa Edile, Edilscuola, ecc., e da altre associazioni di categoria hanno dato buoni risultati: gli indici segnalano una drastica riduzione degli infortuni di cantiere, specialmente quelli mortali, mentre danno ancora un aumento negli altri settori industriali. Sono dati molto confortanti e sono stati ottenuti anche con un attento controllo sul campo grazie alle azioni di formazione dei CPT, Comitati Paritetici Territoriali, che prestano consulenza gratuita per le Imprese iscritte alla Cassa Edile. Rimanendo sul tema sicurezza ci può brevemente illustrare il Codice Etico redatto da Ance? Per facilitare l’adozione di adeguati modelli di organizzazione e di gestione delle imprese l’associazione ha redatto un “Codice di
Comportamento dell’impresa di costruzione” che contiene in appendice sia i principi etici ai quali l’attività di impresa deve ispirarsi, sia gli assunti progettuali per la definizione dei modelli organizzativi. Le due appendici, il “Codice Etico” e il “Modello - tipo di organizzazione, gestione e controllo”, hanno infatti lo scopo di fornire agli enti aderenti all'Ance una guida operativa sulla gestione e l’organizzazione dei processi aziendali e della sicurezza e salute degli operai. Il codice è costantemente aggiornato e le tematiche della sicurezza sono sempre in primo piano in un settore ad alto rischio come il nostro. Ritengo, infatti, che per lavorare bene ogni impresa abbia bisogno di svolgere la propria attività in condizioni economiche, tecniche e organizzative adeguate ed inoltre debba diffondere a tutti i propri collaboratori e subappaltatori una cultura della sicurezza, promuovendo comportamenti responsabili da parte di tutti. Il mio pensiero è che per lavorare bene, sia l’imprenditore che l’operaio, non devono avere come ora la testa piena di pensieri e preoccupazioni. I lavori pubblici sono sempre stati il traino dell’economia nei periodi di crisi, ma anche qui sembra che le cose non vadano bene… Esattamente, nonostante il Governo dica il contrario, di fatto c’è stato un freno negli appalti pubblici dettato dalla crisi nazionale e dall’instabilità politica di questi ultimi tempi. Gli appalti pubblici sono un’importante risorsa economica per la ripresa e vanno utilizzati e gestiti nel migliore dei modi per rilanciare l'economia e creare posti di lavoro. Bloccare il settore delle costruzioni vuol dire contribuire alla recessione di un Paese sia economicamente sia a livello occupazionale; nel nostro settore hanno già perso il lavoro in 250.000 con un ritmo di 50.000 persone al mese. Questi numeri dovrebbero spaventare ed allarmare tutto il mondo politico tuttavia sono numeri che non fanno molto rumore perché legati a tante piccole e medie imprese che hanno una visibilità minore ed un impatto sull’opinione pubblica diversi dai grossi gruppi industriali come Fiat, Alitalia, ecc.
Il problema dell’occupazione nel settore delle costruzioni è già preoccupante e diventerà, in assenza di manovre concrete, un problema sociale insostenibile, aggravato ora dalla guerra a noi vicina. Ma se da una parte il mercato delle opere pubbliche italiane rallenta, le imprese non
si fermano e guardano oltre confine: un rapporto Ance 2010 rileva che alla fine del 2009 il fatturato ottenuto dalle imprese di costruzione italiane nei mercati stranieri ha raggiunto il 54% di quello globale, forse è questo che il mondo economico e politico vuole? Dall’indagine emerge con particolare chiarezza il contrasto tra l’aumento del fatturato estero delle nostre imprese, più che raddoppiato in 5 anni, e la flessione di quello nazionale: così non si fa sviluppo né si creano ricchezza e lavoro. Esistono secondo lei delle azioni concrete e tangibili che potrebbero far decollare nuovamente il mercato in tempi compatibili con le difficoltà che già le imprese stanno attraversando? Come dicevo prima siamo concretamente preoccupati per l’andamento del nostro settore, tuttavia il vero costruttore è una razza dura a morire che sicuramente resisterà finché potrà.
La volontà degli imprenditori però da sola non basta, ci vogliono azioni concrete per il rilancio: incremento di edilizia di qualità per le fasce a basso reddito, il rilancio del piano casa, che deve funzionare in modo più semplice e trasparente, ed il ritorno alla costruzione locativa per rilanciare il mercato degli affitti. In Italia ci sono ottimi costruttori edili ed il mercato va sostenuto puntando sulla qualità edilizia, sul risparmio energetico e su interventi che mirano a riqualificare aree cittadine oggi degradate, su finanziamenti agevolati per l’acquisto di costruzioni all’avanguardia e con un’efficienza energetica elevata. Le azioni da intraprendere sono state individuate ormai da tempo dalla nostra e da altre associazioni di categoria e portate direttamente a chi governa, speriamo che il tutto non si riduca a propaganda politica ma che vengano presi al più presto dei provvedimenti concreti, legati ad esempio alla fiscalità, il tutto affiancato ad una maggiore fiducia nel mestiere del Costruttore.
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Un tetto ovunque 13
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la gestione sostenibile dei sedimenti per i porti del Mediterraneo Dal convegno internazionale del SedNet l’articolato e complesso quadro della gestione dei sedimenti: aspetti tecnici, gestionali e procedurali che caratterizzano i diversi Paesi di A. Barbanti*, L. De Propris**, M. Eisma*** e E. Romano****
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ei giorni dal 6 all’8 Aprile si è tenuto a Venezia il VII Convegno Internazione del network europeo SedNet sulla tematica dei sedimenti, con una Sessione Speciale dedicata al dragaggio dei porti del Mediterraneo. L’evento, fortemente voluto e organizzato da ISPRA e da Thetis S.p.a., ha avuto notevole riscontro, con circa 250 partecipanti, tra ricercatori, operatori del settore, professionisti e amministrazioni locali e nazionali provenienti da tutta Europa e da diversi Paesi extraeuropei. La giornata, pensata come momento di confronto dei vari portatori di interesse coinvolti nel processo di gestione dei porti, ha voluto dapprima inquadrare il con-
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testo normativo e procedurale, illustrando in maniera critica gli attuali punti di riferimento, gli orientamenti europei ed internazionali, le problematiche e le contrapposizioni esistenti e le linee di implementazione attese. È stata quindi sviluppata un’ampia trattazione dello stato dell’arte delle conoscenze tecniche, gestionali e procedurali in merito al tema dei dragaggi ed alla loro sostenibilità ambientale e socio-economica. Gli interventi hanno illustrato il percorso di crescita maturato dal sistema delle conoscenze, inquadrandolo nel contesto storico e procedurale dei vari stati interessati, evidenziandone gli aspetti comuni e le difformità. Il tema è stato affrontato a 360 gradi, at-
traverso interventi dell’associazione europea dei porti (ESPO), del mondo tecnico-scientifico rappresentato in SedNet, passando poi per le esperienze acquisite da associazioni internazionali quali PIANC e CEDA, per arrivare infine alle agenzie ambientali. Il quadro emerso, articolato e complesso, ha potuto manifestarsi concretamente attraverso una serie di casi di studio reali, dando evidenza di cosa veramente significhi oggi gestire un porto. Si sono avvicendate e confrontate varie situazioni molto differenti tra loro per storia, contesto geografico, inquadramento normativo e procedurale di riferimento ed esigenze: Rotterdam, Amburgo e Anversa per il Nord Europa hanno fatto da
contraltare alla differente, molto più delicata, situazione Mediterranea, esemplificata da Venezia e dai porti greci, concludendo poi con l’esperienza degli Stati Uniti. La giornata si è quindi conclusa con una tavola rotonda in cui illustri esponenti del mondo delle Istituzioni, delle associazioni internazionali, delle multinazionali del dragaggio, delle agenzie ambientali e della ricerca hanno avuto modo, attraverso un articolato ed animato dibattito, di condividere la rilevanza del tema per il mantenimento e lo sviluppo del sistema portuale e mettere a fuoco le problematiche e le interferenze esistenti che molte volte rallentano o addirittura bloccano lo sviluppo dei sistemi portuali, creando al contempo forti squilibri legati alla concorrenza del mercato e dei trasporti, e di delineare le linee di sviluppo futuro. Insieme alla crescente sensibilità verso i temi ambientali e lo sviluppo di conoscenze e strumenti evoluti, si è accresciuta nel corso degli anni la consapevolezza di “cosa deve essere fatto” per rendere le procedure di dragaggio integrate e sostenibili rispetto ai processi di crescita e sviluppo dei porti. Al contrario rimane molto da fare e da discutere su “come questo deve essere fatto”. C’è un grande consenso dunque sulle cose da fare cui corrisponde una presa d’atto della difficoltà di trasformare questo in evoluzione congruente della norma e delle prassi operative. La giornata di dibattito ha evidenziato alcune parole chiave, sulle quali indirizzare le azioni future: sostenibilità, approcci sistemici, armonizzazione e implementazione della normativa, cooperazione e approcci partecipati, ricerca e sviluppo. Cosa si intende in primis per “sostenibilità” e come può essere applicato tale concetto alle dinamiche di sviluppo dei porti? Il problema riguarda la necessità e la difficoltà di coniugare, correlare e valutare fattori e valori ambientali, sociali ed economici, bilanciare scelte che inducono a reazioni positive e negative allo stesso tempo e soprattutto definire la scala delle priorità e il modo con cui tradurre in soluzioni gestionali concrete tali valutazioni. Sostenibilità significa spesso adottare approcci sistemici, in grado di valutare i progetti nella loro complessità e interezza, provando a massimizzare i benefici degli effetti di scala
e di programmazione allargando lo scenario di studio su una scala di bacino idrografico e/o di contesto costiero regionale. Le parole richiamate spesso e con cognizione di causa sono state: gestione integrata della fascia costiera (ICZM), gestione dei sedimenti a scala di bacino idrografico (gestione dei sedimenti nell’ambito dei piani di gestione di distretto idrografico - RBMP), gestione dei sedimenti a scala regionale (RSM). Si tratta di concetti e di pratiche estremamente rilevanti per ridurre l’impatto o massimizzare il beneficio ambientale degli interventi e per favorire effetti sinergici e funzionali delle opere con la contestuale riduzione dei costi unitari di gestione dei materiali. Per poter dar seguito a quanto sopra richiamato è necessario e urgente però rendere armonici e integrati gli aspetti ambientali e infrastrutturali, in una logica di sostenibilità economica che rilanci la riqualificazione e lo sviluppo delle aree portuali. Come si possa rendere ciò una realtà attuabile in tempi brevi è quello che si è tentato di esporre con l’illustrazione di approcci sistemici innovativi relativi a casi reali. Dalle esperienze illustrate è emersa la necessità di fissare prioritariamente, a seguito di una seria discussione e dal confronto tra i portatori di interessi, degli obiettivi certi, ambientalmente sostenibili e realizzabili in termini economici e di fattibilità tecnica lasciando poi alle capacità dei progettisti il compito di elaborare dei progetti mirati che raggiungano
gli obiettivi prefissati coniugando valutazioni olistiche, approcci basati su concetti di analisi di rischio specifica e tecnologie innovative, superando in tal modo i limiti di una progettazione effettuata solamente su base rigidamente tabellare che molte volte non risponde alle esigenze del territorio. Per rendere tale approccio sistemico e funzionale è necessaria un’apposita regolamentazione che stabilisca i confini entro cui muoversi e le modalità operative e procedurali di massima rispetto a quanto sopra riportato. Esiste la necessità di una normativa che meglio armonizzi i principi fondanti delle Convenzioni Internazionali ed i dettami delle diverse Direttive Comunitarie (WFD, Marine Strategy, Direttiva Rifiuti, Direttive Habitat e Uccelli, ecc.) ad un livello alto ma adeguato, che lasci poi al singolo Stato membro la potestà decisionale e di recepimento di tali orientamenti sulla base delle condizioni e delle esigenze sito specifiche. A tale proposito è emersa dalla tavola rotonda l’assoluta necessità per l’Italia di fare evolvere e armonizzare quanto prima la normativa specifica per il settore dei dragaggi e più in generale della gestione dei sedimenti, che possa dare certezza e rapidità di esecuzione alle iniziative in corso, favorire soluzioni ambientalmente adeguate e sostenibili, ovviare da subito alle dinamiche di concorrenza tra porti dello stesso paese e nel confronto con i paesi mediterranei.
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Il percorso predetto, le cui basi tecnico-scientifiche sono state estesamente presentate nel convegno SedNet e sono dimostrate dalle migliori pratiche adottate internazionalmente, può verosimilmente attuarsi soltanto con un’intensa fase di cooperazione tra i vari soggetti coinvolti negli interventi di dragaggio e sviluppo dei porti. È necessario prevedere una collaborazione operativa sui singoli progetti al fine di individuare le migliori soluzioni per il
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territorio in termini di funzionalità e realizzabilità a minor costo e in tempi brevi. Le varie istituzioni (Autorità portuali, Agenzie Ambientali, Enti centrali e locali) si dovranno confrontare con gli operatori del settore e con i progettisti per ottenere un sapiente mix di soluzioni ottimali per il territorio, in un quadro normativo e procedurale che le renda attuabili e le favorisca ovunque possibile. In questo contesto, il ruolo ed il contributo del mondo della scienza e della ricerca è particolarmente importante. L’utilizzo compiuto del concetto di sostenibilità richiede la messa a punto e l’utilizzo di strumenti di valutazione e di supporto alle decisioni evoluti e con solide basi tecniche. Perché questi strumenti favoriscano realmente decisioni consapevoli e corrette, senza che la complessità necessariamente introdotta diventi fonte di ritardi, è necessario che vengano utilizzati propriamente da tecnici formati, che il loro utilizzo sia adeguatemente supervisionato e validato
e che il tutto sia sostenuto da un processo amministrativo adeguato. È altresì opportuno, soprattutto nei contesti più complessi, che il mondo della ricerca sia coinvolto nelle fasi di ricerca della migliore soluzione attraverso approcci partecipati e di comunicazione e costruzione del consenso. Per ottenere tali risultati si dovrà puntare molto sulla collaborazione tra gli operatori del settore con il mondo della ricerca e della consulenza, sfruttando al massimo l’enorme bagaglio di conoscenza maturato nel corso degli anni e le migliori esperienze internazionali. Il programma dettagliato del congresso e della sessione speciale sui porti e maggiori informazioni sui contenuti delle singole relazioni sono raccolti nel sito www.sednet.org. *Thetis S.p.a. **Consulente ambientale ***Porto di Rotterdam ****ISPRA
Liberi dall’amianto, alla luce del sole Con l’iniziativa “Provincia Eternit Free” si sostituiscono le coperture in amianto con pannelli fotovoltaici e si ottengono benefici per la salute, per l’ambiente e per le proprie finanze di Chiara De Marzi
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olti anni sono passati da quel 1992 in cui la legge 257 (art.1), con le parole riportate qui accanto, metteva al bando in tutta la nostra penisola l’amianto e i materiali che ne contenevano traccia e ormai, a distanza di oltre diciotto anni, la situazione in Italia è più critica di quanto si immagini: secondo i dati forniti dall’ultimo rapporto di Legambiente “Liberi dall’amianto”, ad esempio, molte regioni italiane sono ancora in ritardo rispetto ai tempi stabiliti dal decreto e molte di esse non si sono neppure dotate del Piano Regionale Amianto previsto per l’individuazione delle modalità di censimento, bonifica e smaltimento dei materiali contaminati. È ormai noto a tutti come in passato l’amianto sia stato ampiamente utilizzato per le coperture di edifici e grandi strutture, e
La presente legge concerne […] norme per la dismissione dalla produzione e dl commercio, per la cessazione dell’estrazione, dell’importazione, dell’esportazione e dell’utilizzazione dell’amianto e dei prodotti che lo contengono, per la realizzazione di misure di decontaminazione e di bonifica delle aree interessate dall’inquinamento da amianto, per la ricerca finalizzata alla individuazione di materiali sostitutivi e alla riconversione produttiva e per il controllo sull'inquinamento da amianto. in base a censimenti regionali si è stimato che sull’intero territorio nazionale le superfici in eternit ammontino tutt’ora a circa 100 milioni di metri quadrati, a cui si devono aggiungere i 600 mila metri cubi di amianto friabile e quelli degli edifici non ancora mappati. Le cifre sono ancora più preoccupanti se si concentra l’attenzione sull’epicentro del problema amianto, rappresentato dai 48 Comuni della provincia di Alessandria, in cui è stata registrata la presenza
di 200.000 mq di eternit ancora in attesa di bonifica. La criticità della situazione italiana risulta ben evidente se si pensa che ad oggi le regioni che hanno una discarica dedicata allo smaltimento dei rifiuti contenenti amianto sono molto poche e in tutti i casi le volumetrie residue sono inadeguate se riferite ai quantitativi di materiale ancora presente sul territorio. É proprio per rispondere a questa serie di problematiche che, poco più di un anno fa, ha preso vita la collaborazione tra la società di consulenza ambientale AzzeroCO2 e Legambiente, ed è dall’unione delle reciproche esperienze e iniziative che è nata la campagna “Provincia Eternit Free” rivolta a privati e aziende di tutto il territorio italiano. L’iniziativa punta ad incoraggiare lo sfruttamento degli incentivi introdotti dallo Stato (D.M. 19 febbraio 2007 e D.M. 6 agosto 2010) per la sostituzione dei tetti in eternit con impianti fotovoltaici, in modo da accelerare la corsa contro l’amianto e promuovere gli obiettivi di risparmio energetico, di tutela del territorio e di salute di cittadini e lavoratori. Se infatti bonificare e smaltire le coperture di amianto impone costi ingenti (15-40 € al mq), l’opzione fotovoltaico si pone come la migliore soluzione ed alternativa ad un problema che il Paese dovrà affrontare in tempi relativamente brevi, al fine di adeguarsi alle indicazioni comunitarie che raccomandano entro il 2020 un abbattimento del 20% delle emissioni di CO2,
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dei consumi energetici e un pari incremento nell’utilizzo delle energie rinnovabili. La campagna promossa da AzzeroCO2, dunque, si pone perfettamente in linea con questi obiettivi, puntando su una sensibilizzazione capillare della cittadinanza italiana e sulla realizzazione di un progetto capace di sintetizzare in un unico momento la bonifica dell’amianto, la promozione del solare e la riduzione della bolletta di chi effettua la sostituzione. Rivolta tanto alle aziende quanto ai privati che possiedono capannoni agricoli o tetti di superficie adeguata all’entità dell’operazione, “Provincia Eternit Free” permette agli interessati di beneficiare gratuitamente della bonifica del proprio tetto e dell’installazione di un impianto fotovoltaico cedendo, per un determinato numero di anni, il diritto della copertura della superficie ad AzzeroCO2, oppure di ricevere un supporto economico per investire risorse proprie realizzando la sostituzione in autonomia. AzzeroCO2, società creata da Legambiente, Kyoto Club e dall’Istituto di Ricerche Ambientali Italia, offre così ad enti pubblici, imprese e cittadini la possibilità di contribuire attivamente a contrastare i cambiamenti climatici attraverso un percorso di abbattimento delle emissioni di gas ad effetto serra ed il finanziamento degli interventi stessi.
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Ad oggi, infatti, il conto energia fotovoltaico in vigore prevede un incremento del 5% della tariffa per gli impianti fotovoltaici integrati in superfici esterne di edifici, fabbricati, strutture edilizie di destinazione agricola in sostituzione delle coperture in eternit; tale incremento è cumulabile anche con il premio per impianti abbinati ad un uso efficiente dell’energia. Per quanto riguarda gli impianti realizzati su edifici è invece previsto (D.M. 06/08/2010) un incremento sulla tariffa incentivante del 10%, non cumulabile però con altri incentivi. Al fine di promuovere la realizzazione dell’iniziativa anche nelle piccole strutture (con dimensioni inferiori a 1000 mq) è stata messa a punto la possibilità di attivare gruppi di acquisto che consentano di acquistare moduli fotovoltaici a prezzi ridotti e anche l’opportunità di accedere a finanziamenti agevolati specifici per impianti di taglia medio-piccola presso istituti bancari predisposti. Il progetto mette inoltre a disposizione di tutti gli interessati una serie di consulenti con il compito di fornire informazioni sulle ditte qualificate per la bonifica, sulle modalità per procedere in modo autonomo, oppure sulla possibilità di affidare ad AzzeroCO2 le fasi di progettazione, autorizzazione, scelta della ditta installatrice e gestione degli aspetti finanziari.
A questo proposito, tanto le aziende addette alla bonifica quanto le imprese fotovoltaiche avranno la possibilità di aderire alla campagna inserendosi nelle apposite liste e proponendo la propria esperienza e concorrenzialità; un ruolo importante a livello locale sarà svolto dalle organizzazioni di categoria (Confindustria, CNA, Confartigianato) e dagli enti locali che sono invitati a promuovere la campagna sui propri territori, partecipando alle attività di comunicazione e informazione, sensibilizzando la comunità nell’ottica di un futuro migliore ed ecosostenibile. I Comuni che aderiranno all’iniziativa se da una parte faciliteranno l’iter autorizzativo, dall’altra dovranno contribuire attivamente ad individuare le aziende con strutture da bonificare: in questo modo AzzeroCO2 punta anche ad incentivare quel processo di censimento delle strutture a rischio che, come si è detto, nel nostro Paese risulta essere ancora molto indietro rispetto agli obiettivi imposti per legge. Agli enti pubblici e alle amministrazioni comunali è inoltre offerta la possibilità di essere accompagnati nella verifica della fattibilità tecnico-economica dell’operazione e nella procedura di evidenza pubblica per la cessione del diritto di superficie.
Gerardo Montanino, direttore operativo del Gse (Gestore Servizi Energetici), nel corso del convegno di presentazione dell’iniziativa ha dichiarato che ad oggi la sostituzione di coperture in eternit con impianti fotovoltaici è arrivata a una potenza di 99,6 Megawatt e, secondo dati riferiti allo scorso settembre, in testa alla classifica della distribuzione degli impianti installati per superficie in metri quadrati sono da segnalare la Lombardia, con 165.676 mq, l’Emilia-Romagna, con 146.756 mq, ed il Piemonte, con 114.673 mq. La campagna ha riscosso un incredibile successo e moltissime Regioni stanno progressivamente aderendo ad un’iniziativa che risulta di straordinaria importanza ed efficacia, considerato il legame virtuoso che viene a crearsi tra la bonifica dell’amianto e il contemporaneo sostegno alle energie rinnovabili a basso impatto ambientale: lo smaltimento dell’eternit deve costituire uno priorità per lo Stato, tanto ai fini della sostenibilità ambientale, quanto in
relazione alla salute dei cittadini, poiché non esiste un livello di esposizione sotto il quale esso possa essere considerato innocuo. Solo nel 2010, infatti, sono stati registrati oltre 9.166 casi di mesotelioma maligno, decretando quindi una vera e propria emergenza sanitaria che continuerà a produrre effetti terribili anche negli anni a venire. In quest’ottica, dunque, la campagna “Provincia Eternit Free” si presenta come un valido strumento per intervenire concretamente e in tempi rapidi nel risanamento delle situazioni a rischio per la salute, con importanti vantaggi dal punto di vista ambientale, oc-
cupazionale e tecnologico: eliminazione di sostanze pericolose, diffusione dell’energia rinnovabile, benefici per l’ambiente, guadagni economici a lungo termine e una sensibilizzazione della cittadinanza su tematiche troppo spesso ignorate e su cui si tende a far calare un velo di indifferenza e silenzio.
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Rapporto dal Territorio 2010: stop al consumo di suolo Legge urbanistica nazionale, riforma della fiscalità, compensazione preventiva e riutilizzo dei brownfield i quattro ingredienti per fermare il consumo del territorio di Maeva Brunero Bronzin
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l XXVII Congresso dell’Istituto Nazionale di Urbanistica, INU, è stato l’occasione per presentare il “Rapporto dal Territorio 2010”, un dossier che raccoglie a cadenza triennale gli esiti della ricerca svolta dall’Istituto per documentare i cambiamenti nell’attività di pianificazione del territorio in Italia. Tra i dati evidenziati dallo studio emerge la scarsità di investimenti pubblici nell’edilizia residenziale, il settore dell’housing sociale. Rispetto al totale delle prestazioni di protezione sociale la Germania spende il 2,3%, la Francia il 2,4%, il Regno Unito il 5,8%, mentre in Italia si arriva appena allo 0,1% contro una media europea del 2,3%. Dolenti note emergono poi sul fronte della pianificazione a scala comunale dove la mag-
gior parte dei Comuni utilizza Piani Urbani che sono antecedenti il 2000, senza contare che nell’ultimo quinquennio si è evidenziata una forte riduzione nell’approvazione di piani (450 piani in meno rispetto al quinquennio precedente e 300 in meno rispetto al 1996-2001). A completare un quadro già preoccupante si aggiunga il fatto che il particolare momento di contrazione delle risorse finanziarie e di tagli nel decentramento delle risorse statali porta gli stessi Comuni, attraverso perequazione urbanistica e crediti edilizi, a fare cassa mettendo "in saldo i patrimoni demaniali". Scaturisce anche da questo la crescente e preoccupante corsa all’urbanizzazione che si sta verificando nel nostro Paese, una tendenza già emersa nel “Rapporto sul consumo di suolo
2011”, realizzato dall’INU e da Legambiente con il Politecnico di Milano, dove si evidenziava la progressiva erosione del territorio libero da insediamenti e dei terreni ad uso agricolo. In questo contesto si inserisce il focus “Consumo di suolo”, presente all’interno del Rapporto del Territorio, che ha l’obiettivo di analizzare le modalità di utilizzo di questa importante risorsa, evidenziando come sia possibile limitarne il consumo attraverso politiche di governo del territorio mirate e “adattate” alle forme contemporanee di urbanizzazione. Di seguito vengono riportati i concetti fondamentali espressi all’interno di questo approfondimento con una particolare attenzione rivolta al tema del riutilizzo delle aree dismesse.
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Il suolo come bene comune E’ senza dubbio emersa negli ultimi anni in Italia una nuova attenzione legata ai processi di urbanizzazione di suoli agricoli e naturali, fenomeni le cui dimensioni sono sempre più rilevanti oltre a differenziarsi notevolmente in base alle caratteristiche del territorio. A seguito della contrazione del settore industriale, verificatasi a partire dagli anni ottanta, il nostro Paese sembrava maggiormente indirizzato verso politiche urbanistiche che prediligevano la riconversione delle aree dismesse lasciate libere dalle fabbriche ponendo così un limite alla crescita estensiva delle zone urbane. Tale fenomeno era inoltre incentivato dal fatto che tali aree risultavano spesso collocate in aree centrali delle città e quindi sicuramente più appetibili dal punto di vista urbanistico. Allo stato attuale destano invece preoccupazione le dinamiche di urbanizzazione osservabili in Italia, ma anche negli altri stati dell’Unione. Ad una generale difficoltà nella valutazione effettiva del consumo di suolo generato si associa una netta prevalenza di modelli di sviluppo basati sulla dispersione insediativa; un approccio basato sulla crescita compatta consentirebbe invece, a parità di offerta edilizia, di diminuire il suolo urbanizzato anche del 25% riducendo parallelamente i costi per la collettività e per l’ambiente. La crescita di attenzione verificatasi negli ultimi anni per le tematiche legate al consumo di suolo si è manifestata anche in nume-
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rose legislazioni urbanistiche regionali dove è stato esplicitamente indicato come obiettivo il contenimento dell’urbanizzazione dei suoli agricoli e naturali. Purtroppo questi principi sono quasi sempre rimasti tali in quanto non seguiti da politiche ed azioni di controllo realmente efficaci. Tra le prime criticità riscontrate il Rapporto cita proprio la mancanza di conoscenza del fenomeno. Per tale motivo nel 2008 l’INU ha attivato con Legambiente e Politecnico di Milano l’Osservatorio Nazionale sui Consumi di Suolo (oggi Centro di Ricerca sui Consumi di Suolo – CRCS) in modo da consentire l’elaborazione di un quadro aggiornato e completo della situazione sul territorio italiano. La ricerca, condotta su quattro Regioni (Lombardia, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia e Sardegna), ha rilevato una crescita del territorio urbanizzato pari all’8,1% in Emilia Romagna (in cinque anni), dell’11,3% in Lombardia (in otto anni), del 9% in Friuli Venezia Giulia (in vent’anni) e del 17,6% in Sardegna (in cinque anni). Sebbene non sia ancora disponibile un dato a livello nazionale aggiornato e accurato lo scenario che emerge è piuttosto critico su tutto il territorio italiano: le stime realizzate consentono di ipotizzare una velocità di urbanizzazione dei suoli di oltre 80-100 ettari al giorno, come se in un anno venisse urbanizzata una superficie pari a due volte il Comune di Milano. La valutazione di tale fenomeno va però vista anche in relazione ad un’analisi della produzione edilizia nel nostro Paese in quanto i due aspetti sono fortemente legati tra loro.
E’ possibile infatti notare come in questo decennio l’edilizia abbia proseguito su ritmi elevati indipendentemente dalla composizione e dall’intensità delle dinamiche demografiche. Considerando che l’aumento demografico nel nostro territorio è quasi esclusivamente legato ai flussi immigratori e che di conseguenza la domanda abitativa è per lo più di tipo sociale è evidente che la produzione edilizia ha dato una risposta solo parziale a tali fabbisogni. La quota di edilizia sociale, convenzionata e pubblica, tra il 2000 e il 2007 non arriva al 10%, ed inoltre nella realizzazione dei fabbricati destinati al libero mercato prevalgono nettamente le tipologie mono e bifamiliari. Il Rapporto evidenzia inoltre come tali questioni non riguardino unicamente l’Italia, anzi in alcuni Stati europei i processi di urbanizzazione mostrano intensità anche superiori rispetto a quanto accade nel nostro territorio. In questo caso i dati disponibili sulla copertura del suolo sono però ricavati da banche dati di Corine Land Cover (CLC) che non permettono misurazioni accurate in quanto basati su sistemi di mappatura a rilevazione satellitare. A livello generale è comunque possibile stimare che più del 25% del territorio dell’Unione Europea è urbanizzato e circa il 75% della popolazione vive all’interno delle aree urbane. Tale progressivo inurbamento della popolazione europea è destinato a proseguire nei prossimi decenni a ritmi ancora importanti con il conseguente rischio di vedere accrescere il consumo di suoli agricoli e naturali.
Come fermare il consumo di suolo Come già ribadito in precedenza ciò che manca in Italia è un’adeguata conoscenza quantitativa del fenomeno del consumo di suolo e di conseguenza paiono poco significative e discordanti le contromisure adottate per fronteggiarlo. Le azioni prioritarie riguardano innanzitutto la necessità di un legge urbanistica nazionale di principi che permetta di definire strumenti e supporti normativi indispensabili per il controllo dell’uso del suolo, un bene comune che va riconosciuto e tutelato anche e soprattutto a livello giuridico. La normativa dovrebbe introdurre l’obbligo di istituzione di un catasto dei suoli che permetta di monitorare dimensioni e caratteristiche delle trasformazioni d’uso, fungendo da strumento di controllo e di valutazione delle azioni messe in atto dalle Amministrazioni comunali. Come accennato in precedenza, ad incrementare la corsa all’urbanizzazione concorrono an-
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che gli enti locali che si trovano a fronteggiare i problemi di cassa derivanti dai cospicui tagli alle finanze comunali sfruttando gli introiti derivanti dagli oneri di urbanizzazione. In questo caso risulterebbe efficace una riforma della fiscalità urbanistica che permetta di controllare la crescita e l’espansione urbana disincentivandola tramite forme di tassazione che aumentano proporzionalmente con la quantità del suolo urbanizzato e tenendo inoltre in considerazione i costi ambientali e collettivi conseguenti. Un’altra azione prioritaria è rappresentata dall’introduzione di forme di “compensazione preventiva” che impongano, nella fase precedente alla realizzazione della trasformazio-
ne urbanistica, di acquisire delle aree equipaggiandole dal punto di vista ecologico ed ambientale in quantità pari alla superficie dei suoli urbanizzati ed in maniera proporzionale agli impatti generati. Infine, come già più volte evidenziato nelle pagine di questa rivista, per limitare il consumo di suoli agricoli e naturali risulta necessario privilegiare il riutilizzo di aree urbane dismesse o sottoutilizzate, i cosiddetti brownfields. Questa linea di intervento necessita di una conoscenza approfondita sulla disponibilità di aree industriali dismesse ma anche su quale sia la reale domanda di spazi abitativi e lavorativi. E’ evidente come anche gli scenari di densificazione proposti vadano idoneamente valutati soprattutto per quanto concerne il tema della sostenibilità sociale, ambientale e morfologica: va cioè verificato che tali interventi di trasformazione non determinino anch'essi fenomeni di congestione divenendo a loro volta causa dell’impoverimento della qualità urbana.
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ALLA SCOPERTA DEI RIFIUTI RADIOATTIVI Un’analisi dettagliata e quanto mai attuale che riporta i criteri di caratterizzazione, classificazione e gestione di questa particolare famiglia di rifiuti di Stefano Scaini*
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li incidenti alla centrale nucleare giapponese hanno riaperto una serie di problematiche legate alla sicurezza degli impianti, alla loro localizzazione e alla gestione delle scorie prodotte. Le scorie radioattive però sono solo una parte della famiglia dei rifiuti radioattivi che derivano da diversi processi produttivi che utilizzano materiali che emettono radiazioni. Le varie tipologie dei cosiddetti rifiuti radioattivi o RW, dalla denominazione anglosassone “Radioactive Waste”, sono classificate sia quantitativamente che qualitativamente in funzione delle attività produttive dalle quali esse scaturiscono, al fine di gestirne al me-
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glio le criticità soprattutto in relazione alle problematiche relative allo stoccaggio a lungo termine. I rifiuti radioattivi possono derivare da: • impianti nucleari di produzione energetica, sia nella fase di ciclo produttivo vero e proprio che in quella di dismissione o “decommissioning”; • applicazioni possibili grazie alle caratteristiche del fenomeno della radioattività nei settori della medicina, dell’industria e della ricerca; • attività estrattive con presenza di residui di scarto contenenti livelli elevati di radionuclidi naturali comunemente detti NORM, “Naturally Occurring Radioactive Materials”; • processi di lavorazione dei minerali con presenza di scarti residuali di prodotti in decadimento nucleare nonché di metalli pesanti e materiali chimicamente pericolosi; • programmi militari e di difesa correlati alle tecnologie di armi e munizioni. Soprattutto in riferimento agli impianti nucleari funzionali alla produzione di energia,
buona parte dei rifiuti radioattivi deriva dalle attività di conversione, arricchimento e fabbricazione del combustibile necessario. I materiali filtranti contaminati derivanti dai sistemi “off-gas” e i residui di operazioni di recupero e riciclo, contengono generalmente uranio (U) e, nel caso di rifiuti derivanti dalla lavorazione di combustibile MOX (Mixed Oxide), addirittura anche plutonio (Pu). Anche la fase di rigenerazione o ritrattamento del combustibile nucleare esaurito, il quale contiene quantità di materiali di fissione, suscettibili di fissione ed attinoidi (in passato attinidi), ha la caratteristica di produrre altrettanto rifiuto di natura simile, sia allo stato solido, liquido o gassoso. Tali rifiuti allo stato solido, derivanti dal rivestimento degli elementi di combustibile, da apparecchiature ed impianti riparati e da residui insolubili generatisi durante la fase di scioglimento del combustibile, contengono tanto prodotti di attivazione quanto prodotti di fissione non disciolti: uranio e plutonio. La componente di rifiuto allo stato liquido, ovvero una soluzione di acido nitrico, contiene
prodotti di fissione ed attinoidi in concentrazioni assai elevate; infine, i rifiuti che si presentano allo stato gassoso contengono gas rari e prodotti di fissione volatili rilasciati dal combustibile esaurito durante il processo di scioglimento. Al termine del ciclo di vita di un impianto produttivo vengono intraprese decisioni ed azioni, sia dal punto di vista tecnico che amministrativo, finalizzate a poterne permettere la dismissione seguendo procedure di sicurezza assolute. Le attività correlate alla decontaminazione, allo smantellamento di impianti e strutture e alla pulizia del sito, generano rifiuti, differenti per tipologia, attivazione, concentrazione, dimensioni e quantità, i quali potrebbero essere contaminati o attivi. Tali aspetti pongono particolare enfasi anche all’aspetto del “decommissioning” di centrali ed impianti nucleari, interventi da considerarsi quali la nuova frontiera dell’ingegneria delle demolizioni. Sorgenti di radiazioni ionizzanti sono altresì prodotte, come accennato in precedenza, per un’ampia varietà di applicazioni nei settori della medicina, dell’industria, dell’agricoltura ed altro ancora. Il naturale risultato è la generazione di rifiuti radioattivi di varia natura, derivanti dalla produzione e dall’uso di queste sorgenti; tali rifiuti, in particolare, sono composti da: • materiale radioattivo senza più alcuna utilità e quindi considerato rifiuto; • oggetti ed accessori contaminati quali, ad esempio, imballaggi, guanti e contenitori; • secreti derivanti da pazienti sottoposti a cure tramite l’impiego di radionuclidi. Reattori nucleari ed acceleratori di particelle vengono impiegati nella produzione di radionuclidi e, in termini di rifiuti radioattivi, corrispondono alla generazione di piccole quantità di rifiuto allo stato liquido, caratterizzato da un’attività ancora elevata, e di notevoli volumi di rifiuto secco debolmente attivo allo stato solido.Relativamente alle applicazioni in campo medico, i materiali radioattivi vengono impiegati per diagnosi, terapia e ricerca; in tali casi i rifiuti prodotti sono: • rifiuti solidi contenenti tracce di radio-farmaci in siringhe usate, aghi e fiale, nonché in materiali assorbenti e di protezione i quali possono essere potenzialmente contaminati da piccole quantità di radio-farmaci; • rifiuti acquosi contenenti residui di traccia-
tori radioattivi e secreti di pazienti sottoposti a diagnosi e terapie attraverso l’uso di radio-farmaci; • sorgenti impiegate e non più utili. Sorgenti schermate di radiazioni vengono ampiamente utilizzate in una vera e propria miriade di applicazioni nel campo dell’industria, come ad esempio nell’analisi non distruttiva dei materiali e nella sterilizzazione dei cibi. Sorgenti simili vengono altresì impiegate per eseguire controlli di processo e per calibrare accessori e attrezzature di laboratorio; esse sono considerate rifiuto nel momento in cui perdono le loro caratteristiche all’origine dal punto di vista quantitativo, cioè in riferimento al loro potenziale di carica, oppure perché l’attrezzatura nella quale vengono alloggiate risulta essere ormai obsoleta. Anche nel campo della ricerca molte attività vengono condotte grazie all’ausilio dei radionuclidi; ciò accade tanto nel campo della fisica, della biologia e della scienza dei materiali, quanto in tutti gli aspetti connessi all’energia nucleare, nei processi di fabbricazione e rigenerazione del combustibile, nonché nelle analisi da avvenuta irradiazione. Rifiuti radioattivi contenenti quantità non trascurabili di materiali naturalmente radioattivi detti NORM, “Naturally Occurring Radioactive Materials”, vengono generati durante
l’estrazione e/o la lavorazione di materiali quali, ad esempio, minerali fosfati (impiegati come fertilizzanti), sabbie minerali (zirconi e minerali di titanio), carbone, petrolio e gas naturale. Le principali caratteristiche di questa tipologia di rifiuto sono il grande volume, la relativamente bassa concentrazione e la presenza di radionuclidi naturali dai lunghi tempi di dimezzamento della radioattività. Infine è necessario citare le grandi quantità di rifiuti radioattivi derivanti da programmi militari e di difesa correlati alle tecnologie di armi e munizioni; un tempo nella ricerca e nello sviluppo di armamenti atomici ed oggi, nella distruzione di tali munizionamenti, i processi di miscelazione di uranio e/o plutonio altamente arricchiti con uranio impoverito e/o naturale sono funzionali alla produzione di combustibile per i reattori nucleari commerciali.
Cl assificazione dei rifiuti radioattivi Classificare i rifiuti radioattivi risulta essere molto utile ad ogni fase che si presenti tra la produzione del rifiuto grezzo e la sua successiva distruzione; una corretta classificazione è d’aiuto: • a livello concettuale, per delineare le strategie di gestione dei rifiuti, per selezionare
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i luoghi e progettare i relativi impianti e per dedicare ai rifiuti radioattivi particolari tecniche di bonifica o alienazione; • a livello giuridico e normativo, per delineare i criteri e i requisiti necessari allo sviluppo di aspetti legislativi specifici; • a livello operativo, per definire, appunto, procedure operative e protocolli d’intervento nelle attività correlate sia direttamente che indirettamente alla presenza di tali rifiuti; • a livello di comunicazione, per facilitare un’informazione condivisa ed accrescere la consapevolezza relativamente ai reali pericoli e ai rischi conseguenti. Al fine di soddisfare appieno gli aspetti appena citati, una classificazione ideale dovrebbe porsi obiettivi primari quali, ad esempio:
• considerare la totalità delle tipologie di rifiuti radioattivi esistenti; • essere utilizzata ad ogni livello del programma di gestione del rifiuto; • correlare ed associare ogni tipologia di rifiuto ai propri pericoli potenziali, al fine di tutelare la salute e la sicurezza delle generazioni presenti e future; • essere sufficientemente flessibile per adattarsi a criticità specifiche; • essere proiettata al futuro, diretta e di facile comprensione; • essere accettata e condivisa da tutte le parti coinvolte quale base comune di partenza per la caratterizzazione dei rifiuti; • essere il più possibile applicabile. La classificazione dei rifiuti radioattivi viene effettuata sia su base qualitativa, in funzione
dell’origine del rifiuto e del proprio stato fisico (sia esso solido, liquido o gassoso), che su base quantitativa, in riferimento ai livelli di concentrazione dell’attività, al calore generato dal rifiuto e ai tempi di dimezzamento della radioattività dei radionuclidi presenti in esso. L’approccio adottato in merito dall’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica IAEA è espresso nella documentazione relativa agli standard di sicurezza e alla classificazione dei rifiuti radioattivi: 1. IAEA Technical Reports Series N 101 (1970) “Standardization of RW Categories”; 2. IAEA Safety Standard Series N 54 (1981) “Underground Disposal of RW: Basic Guidance”; 3. IAEA Safety Standard Series N 111-G1.1 (1994) “Classification of Radioactive Waste”;
LE CLASSI DEI RIFIUTI RADIOATTIVI 1 Rifiuti esenti (EW – Exempt Waste): materiali contenenti concentrazioni di radionuclidi talmente limitate da non richiedere misure di protezione dalle radiazioni; i loro requisiti soddisfano i criteri per essere esclusi ed esentati dalle regolamentazioni in materia di radio-protezione. 2 Rifiuti con tempi di decadimento molto limitati (VSLW – Very Short Lived Waste): tali materiali possono essere stoccati, in attesa della loro disintegrazione radioattiva, per periodi variabili tra pochi mesi ed alcuni anni e, successivamente, “sdoganati” quali non pericolosi. Questa classe include rifiuti contenenti, nella maggior parte, radionuclidi con tempi di dimezzamento ridottissimi (nell’ordine del centinaio di giorni o meno ancora), spesso impiegati nei settori della ricerca e della medicina quali 192Ir ed 99Tc; chiaramente, a seguito del proprio decadimento radioattivo, tali rifiuti tenderanno a confluire col tempo nella classe dei rifiuti esenti. 3 Rifiuti di livello bassissimo (VLLW – Very Low Level Waste): materiali che, pur non in possesso dei requisiti necessari per essere considerati EW, non necessitano di forme di contenimento ed isolamento elevate; idonei ad essere stoccati in discariche controllate e prossime alla superficie, essi derivano principalmente da attività estrattive (NORM – Naturally Occurring Radionuclides Materials) e di “decommissioning”. 4 Rifiuti di livello basso (LLW – Low Level Waste): materiali residuali che non possono essere “sdoganati” come appartenenti alle classi precedenti, pur contenendo quantità limitate di radionuclidi con tempi lunghi di decadimento; questa tipologia di rifiuto necessita di forti sistemi di confinamento ed isolamento, da porre in opera in idonei siti prossimi alla superficie, per periodi che possono raggiungere alcune centinaia di anni. La quarta classe ingloba in sé un’ampia varietà di radionuclidi, da quelli con tempi relativamente brevi di decadimento ma con elevati livelli di attività, a quelli caratterizzati da un’attività ridotta a fronte però di tempi più lunghi. 5 Rifiuti di livello intermedio (ILW – Intermediate Level Waste): contenente in particolare radionuclidi di lunga durata, questa classe necessita di un livello di protezione nello stoccaggio superiore a quanto offerto da un sito prossimo alla superficie. Questi materiali, contenenti in gran parte radionuclidi con emissioni alfa, non necessitano di particolari misure di dissipazione del calore ma, obbligatoriamente, devono essere stoccati a grandi profondità, variabili tra alcune decine e diverse centinaia di metri; lo stoccaggio a così elevate profondità riesce ad assicurare un assai lungo periodo di isolamento dall’ambiente accessibile, a condizione però che siano correttamente scelte e poste in opera entrambe le tipologie di barriera, quelle naturali e quelle progettate e costruite dall’uomo. 6 Rifiuti di livello elevato (HLW – High Level Waste): materiali che, per il loro contenuto di elevate concentrazioni di radionuclidi, una volta comparati con gli appartenenti alla classe precedente necessitano di ancor più elevati livelli di protezione durante il loro confin amento e stoccaggio a lunghissimo termine. Inoltre, il rifiuto di classe HLW genera significative quantità di calore durante la propria disintegrazione radioattiva e, generalmente, continua a produrne per molte centinaia di anni. Il confinamento e il conseguente isolamento di simili materiali può essere garantito solamente attraverso lo stoccaggio profondo in formazioni geologiche integre e stabili, implementando le caratteristiche dello scenario naturale con barriere specificatamente progettate e costruite a regola d’arte; tutto ciò, tenendo in particolare considerazione l’importantissimo fenomeno critico della generazione di calore e, di conseguenza, gli aspetti relativi alla sua corretta dissipazione.
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4. IAEA General Safety Guide No GSG-1 (2010) “Classification of Radioactive Waste”. La prima serie di norme, la N 101, definì inizialmente (1970) tre classi di rifiuti in base ai loro livelli di attivazione: • Rifiuti di livello elevato (HLW – High Level Waste) i quali contengono: • liquido altamente radioattivo contenente principalmente prodotti di fissione ed attinoidi; • materiali con livelli di radioattività sufficientemente elevati da generare notevoli quantità di calore attraverso la loro disintegrazione radioattiva; • combustibile esaurito non più utile e quindi considerato rifiuto. • Rifiuti di livello intermedio (ILW – Intermediate Level Waste) i quali contengono materiali che, pur necessitando di schermatura in virtù del loro contenuto di radionuclidi, non necessitano di provvedimenti, se non minimi, relativamente alla dissipazione di calore durante il loro trasporto e maneggio. • Rifiuti di livello basso (LLW – Low Level Waste) i quali contengono materiali che, a causa del limitato contenuto di radionuclidi, non necessitano di schermatura durante le normali attività di trasporto e maneggio. La seconda serie, la N 54 (1981), introdusse un’ulteriore differenziazione in materia di rifiuti ILW e LLW, relativamente alla presenza di radionuclidi con tempi di decadimento più o meno lunghi e con emissione o meno di particelle alfa. Nel 1994, al fine di apportare miglioramenti tangibili dal punto di vista della comunicazione e per meglio disciplinare alcune limitazioni introdotte, venne proposto un nuovo sistema di classificazione articolato su 3 classi principali: rifiuti esenti (EW – Exempt Waste), rifiuti di livello basso e intermedio (LILW – Low and Intermediate Level Waste) ed HLW. Negli anni seguenti furono però riscontrati alcuni limiti nel sistema di classificazione introdotto nel 1994: infatti, oltre a non considerare tutte le tipologie esistenti di rifiuto radioattivo, non era possibile correlare direttamente le varie tipologie di rifiuto alle relative tecniche di dimora definitiva. Per questo motivo, grazie alla classificazione ad oggi vigente e promossa dalla IAEA General Safety Guide No. GSG-1 risalente allo scorso anno, si è giunti ad identificare i rifiuti radioattivi in ben 6 classi, caratterizzate ognuna da specifiche e ben precise procedure di alienazione o stoccaggio definitivo. *Dexplo s.r.l.
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LA SCOZIA PRESENTA IL SUO PIANO A RIFIUTI ZERO IL GOVERNO GETTA LE BASI PER UNA NUOVA VISIONE VIRTUOSA NELLA GESTIONE DEI RIFIUTI CHE VA OLTRE IL SEMPLICE RICICLAGGIO COINVOLGENDO TUTTI I PROCESSI PRODUTTIVI di Bruno Vanzi
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l problema dello smaltimento dei rifiuti rappresenta una delle sfide che i governi mondiali dovranno affrontare nei prossimi decenni. Se da una parte l’approccio tradizionale mira a massimizzare il riciclaggio per ridurre il conferimento presso le discariche e gli inceneritori dall’altra si sta affermando una nuova visione nel processo di gestione dei rifiuti quella dello “Zero Waste” – alias Rifiuti Zero. Il programma Zero Waste pur riconoscendo l’importanza del riciclaggio ne evidenzia come principale limite il fatto di intervenire nella sola fase di fine vita di un materiale, azione che non è sufficiente per risolvere il problema dell’eccessivo sfruttamento delle materie prime e delle fonti non rinnovabili del pianeta;
in pratica il concetto base dello Zero Waste si può ritrovare nelle affermazioni del Prof. Barry Commoner, biologo e professore alla City University of New York, uno dei padri fondatori del movimento ecologista moderno “se un prodotto non ha altri impieghi oltre a quello iniziale, allora non dove essere realizzato”. In sintesi si riconosce che i risultati migliori di una politica ambientale si ottengono risolvendo il problema direttamente alla fonte, coinvolgendo in prima persona il sistema industriale e produttivo: se un prodotto non può essere riusato, riparato, ricostruito, rivenduto, riciclato o biodegradato, allora dovrà essere limitato nell’utilizzo, ridisegnato o rimosso dalla produzione.
Questa filosofia non è nuova ed esiste da almeno 20 anni, sono già molti i colossi economici che hanno deciso di sposarne gli ideali, come la catena di distribuzione americana Wall Mart, Hewlett Packard, Apple e Xerox Corp; i benefici economici ottenuti da queste società sono tangibili e dimostrati tant’è che l’elenco dei sostenitori si sta allungando sempre più. È del mese scorso la notizia che la Scozia ha presentato il piano di azione governativo “Zero Waste” con l’ambizioso traguardo di raggiungere nel 2025 la quota zero negli sprechi e la percentuale del 70% nel riciclo, con un conferimento di rifiuti in discariche inferiore al 5%.
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ZERO WASTE PLAN IN PILLOLE Prevenzione e riutilizzo dei rifiuti Adottare dell’approccio Zero Waste significa cambiare la visione che si ha dei rifiuti in modo da poterli vedere come risorse e non come un problema. L’aspetto della prevenzione rappresenta un’enorme opportunità per la Scozia, sia dal punto di vista ambientale che economico. Il principio della gerarchia dei rifiuti è un punto centrale del sistema Zero Waste: classifica i modi differenti in cui possiamo “trattare” i rifiuti in termini di sostenibilità. La gerarchia identifica la prevenzione della produzione di rifiuti come massima priorità, seguita da riutilizzo, riciclaggio, valorizzazione (ad es. termovalorizzazione) ed infine come ultima opzione lo smaltimento.
Riciclaggio e compostaggio Una società Zero Waste presuppone elevate percentuali di riciclaggio e compostaggio. Il Governo scozzese ha infatti stabilito per il 2025 l’obiettivo per il riciclaggio e compostaggio di tutti i rifiuti al 70%, siano essi industriali o domestici. Ciò sta a significare che dovranno essere intraprese azioni per incrementare la quantità e la qualità delle risorse che vengono riciclate e compostate.
Recupero energetico e smaltimento Affinché la Scozia possa ottenere vantaggi ambientali ed economici da un approccio Zero Waste non è possibile continuare ad inviare in discarica materiali che hanno un valore. I rifiuti alimentari possono ad esempio essere raccolti separatamente sia dalle utenze domestiche che da quelle industriali ed essere quindi trattate mediante processi biologici, come la digestione anaerobica, per la produzione di energia. L’energia potrà quindi essere impiegata per fornire elettricità e calore a case ed edifici, nonché per produrre fertilizzanti sostenibili per le aziende agricole.
Educazione e consapevolezza Il perseguimento del piano Zero Waste è possibile se ciascun soggetto farà la sua parte, riconoscendo ed acquisendo la responsabilità per il proprio utilizzo delle risorse. Al fine di fornire un supporto è necessario che tutti in Scozia sappiano come ridurre, riutilizzare e riciclare i rifiuti. I privati, le scuole, le università, gli istituti e le aziende hanno bisogno di capire come il loro comportamento possa prevenire la produzione di rifiuti, massimizzare l’efficienza e la valorizzazione delle risorse in ogni fase, dalla progettazione del prodotto, alla sua produzione, all’acquisto ed infine al suo impiego.
Opportunità economiche La Scozia Zero Waste può dare importanti benefici. Nuovi impianti di trattamento dei rifiuti vogliono significare nuovi investimenti e posti di lavoro. Se le aziende incrementano la loro efficienza nell’impiego delle risorse, i costi vengono ridotti e si guadagna in competitività. E’ possibile creare un mercato forte per i materiali riciclati promuovendo la raccolta differenziata, in modo da incentivare sia le utenze domestiche sia le industrie all’acquisto ed all’utilizzo di prodotti con elevato contenuto di materiale derivante dal riciclo.
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Lo stato scozzese è sempre stato attento alle tematiche ambientali e negli ultimi anni ha fatto grandi miglioramenti in materia di gestione dei rifiuti, aumentando i tassi di riciclaggio e riducendo le quantità di rifiuti inviati a discarica. Con il piano di governo Zero Waste vengono delineate le azioni concrete da intraprendere a breve e lungo termine per ottimizzare tutti i processi: la riduzione dell’impiego di materiali non riutilizzabili, la limitazione degli imballaggi, l’incentivazione alla pratica del compostaggio, l’attività di prevenzione contro gli sprechi, il divieto di conferimento in discarica per rifiuti che emettono gas serra, l’incoraggiamento del concetto di riuso e l’incremento dei processi di raccolta differenziata. Il concetto di riduzione dei rifiuti riguarda quindi tutta la filiera produttiva agendo nella produzione, nella distribuzione e nel consumo limitandone la sia quantità che la tossicità; riutilizzando le cose abbandonate, creando aziende che le commercializzano dopo averle “sistemate” creando “un mercato” del riuso e della rivendita con un supporto finanziario e legislativo. Ovviamente questa potrebbe sembrare un’utopia ma in realtà è possibile intervenire con azioni educative e formative su riuso e compostaggio. Il passaggio seguente consisterà nel riciclare ed inserire sul mercato i prodotti del riciclo, supportare la ricerca tecnica e logistica e soprattutto diffondere la conoscenza o meglio la cultura tra i cittadini. Parlando in occasione del lancio ufficiale del piano “Zero Waste” a Edimburgo, il segretario all’Ambiente scozzese Richard Lochhead, ha rivelato che i livelli di riduzione dei rifiuti potrebbero produrre enormi benefici economici e commerciali per il Paese, “guardare ai rifiuti come una risorsa apre molte porte, piuttosto che scartare incautamente materiali in discarica, siamo in grado di creare nuovi prodotti e generare energia rinnovabile, calore e fertilizzanti, unitamente alla creazione di oltre 2.000 posti di lavoro”. Zero Waste coniuga quindi la pratica etica con una solida visione economica, sia per le comunità locali che per le grandi multinazionali. Da una parte, crea posti di lavoro e imprese che raccolgono e lavorano materie seconde, fabbricando nuovi prodotti, dall’altra fornisce alle multinazionali un modo per incrementare la loro efficienza, riducendo
OBIETTIVI DEL PIANO ZERO WASTE
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40% riciclaggio/compostaggio e preparazione al riutilizzo di rifiuti da utenze domestiche
2010
Avvio a discarica di non più di 2,7 milioni di tonnellate di RSU biodegradabili
2010
50% riciclaggio/compostaggio e preparazione al riutilizzo di rifiuti da utenze domestiche
2013
Preparazione al riutilizzo e riciclaggio del 50% in peso di rifiuti come carta, metalli, plastica e vetro derivanti da utenze domestiche o assimilabili
2020
Avvio a discarica di non più di 1,8 milioni di tonnellate di RSU biodegradabili
2013
60% riciclaggio/compostaggio e preparazione al riutilizzo di rifiuti da utenze domestiche
2020
Avvio a discarica di non più di 1,26 milioni di tonnellate di RSU biodegradabili
2020
70% riciclaggio e preparazione al riutilizzo dei rifiuti da costruzione e demolizione
2020
Avvio a discarica di non più del 5% di tutti i rifiuti
2025
70% riciclaggio/compostaggio e preparazione al riutilizzo di tutti i rifiuti
2025
le richieste di materie prime, come pure i costi di eliminazione dei rifiuti. L’attuale sistema industriale di una società usa e getta basato su un flusso unidirezionale di risorse vergini verso inceneritori e discari-
che può essere progressivamente convertito in un sistema circolare chiuso che riutilizza e ricicla risorse scartate sia dalle comunità che dalle industrie. L’esempio scozzese getta le basi virtuose perché altre nazioni intrapren-
dano questo percorso, sperando che anche l’Italia capisca che questo è l’unico modo per risolvere concretamente il problema rifiuti che troppo spesso occupa le pagine dei nostri quotidiani.
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LE RELAZIONI TRA PROGETTO DI BONIFICA E PROGETTO URBANISTICO Analisi dei tre punti chiave che consentirebbero di velocizzare i tempi di attuazione delle bonifiche incentivando gli investimenti di trasformazione urbanistica nelle aree dismesse di Marina Dragotto* e Igor Villani**
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l tema delle bonifiche si è imposto in questi anni come un passaggio cruciale nella definizione dei progetti di riqualificazione e rigenerazione delle aree gravate da inquinamento del suolo e delle acque. Dalla metà degli anni ’90 lo Stato italiano ha legiferato in materia introducendo anche nel nostro Paese principi e procedure vincolanti e uniformi. Dopo un’iniziale difficoltà dovuta alla complessità di un tema completamente nuovo, sia per gli Enti pubblici che per i soggetti privati, oggi si è arrivati ad una maturazione della normativa, sono cresciute le strutture tecniche e sono nate professionalità che, nei diversi segmenti del processo, sono in grado di gestire la parte di propria competenza. Resta tuttavia il problema, non semplice da superare, di una struttura amministrativa dello Stato italiano che prevede molti livelli decisionali che non possono essere eliminati all’interno di una materia complessa quale la salute e la tutela ambientale del territorio. La comparazione con le normative europee fa cadere molte delle critiche rivolte in questi anni alla normativa italiana, accusata di eccessiva complessità, e indica una buona sintonia della legge italiana (D.Lgs. 152/06) con quella degli altri Paesi, ma si rimarca una distanza nella gestione delle procedure e nella
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capacità di legare il processo di bonifica agli obiettivi di rigenerazione economica e sociale dei territori compromessi dall’inquinamento. L’esperienza maturata in questi anni attraverso l’analisi di diversi casi di studio in Italia e all’estero [1] e l’osservazione dell’azione delle regioni e degli Enti Locali più attivi in materia ambientale, indica proprio nel perfezionamento delle procedure e nell’armonizzazione del rapporto tra gli enti preposti alla gestione e al controllo dei processi di bonifica la chiave per rendere più rapide le definizioni e le realizzazioni dei progetti di bonifica. Allo stato attuale, sembra di poter dire che gli ambiti sui quali concentrare gli sforzi per incidere positivamente sui tempi di attuazione delle procedure di bonifica e, contemporaneamente, incentivare gli investimenti di trasformazione urbanistica nelle aree dismesse, sono tre:
• il pieno utilizzo delle opportunità offerte dagli strumenti previsti dalla normativa vigente, in particolare per quanto attiene la rigenerazione urbanistica delle aree inquinate: l’Anagrafe dei siti art. 251 D.Lgs. 152/06, il Piano Bonifiche art. 199 D.Lgs. 152/06, l’Analisi di Rischio art. 242, art. 249 D.Lgs. 152/06; • le semplificazioni che, anche tramite l’emanazione di linee guida e protocolli (art. 196 D.Lgs. 152/06) di competenza regionale, possono intervenire da subito nelle procedure “obbligando” le interpretazioni di Province, Arpa e Comuni all’interno di una griglia più chiara sull’attribuzione delle competenze, le metodologie e gli iter procedimentali; • la possibilità di trasferire alle regioni competenze oggi in capo al Ministero sulla responsabilità del procedimento. Senza pretesa di essere esaustivi proviamo qui a sviluppare ciascun punto.
Utilizzo degli strumenti previsti dall a normativa vigente
Come anticipato, in diversi casi il problema della normativa italiana non è tanto la disponibilità di strumenti quanto la modalità di utilizzo degli stessi a risultare lacunosa, soprattutto quando ci si deve coordinare con altre competenze quali, appunto, l’urbanistica. Il primo e forse più rappresentativo di questi strumenti non adeguatamente utilizzati sul territorio nazionale è l’anagrafe dei siti contaminati. Già dal D.M. 471/99 la norma prevedeva la compilazione di un’anagrafe sulle bonifiche, e gli stessi principi sono stati colti e rilanciati dal D.Lgs. 152/06. Purtroppo, a dodici anni dalle prime indicazioni della norma, l’anagrafica è ancora un punto dolente che vede una bassissima percentuale di amministrazioni regionali ottemperanti a quanto prescritto. In rapporto all’urbanistica l’anagrafe risulterebbe un eccellente strumento di pianificazione e gestione in quanto, se allestita a dovere, fornirebbe indicazioni fondamentali sulle destinazioni e le limitazioni d’uso previste in tutti i siti contaminati formalmente identificati. La mancanza di informazioni “in partenza” comporta un coefficiente di incertezza finan-
ziaria temporale che risulta fatale ai fini del completamento dei piani stessi rappresentando spesso un deterrente per gli investitori. Il fatto è che il Paese è costellato da migliaia di siti che risulterebbero già soggetti ad un’istruttoria di bonifica, siti che si trovano a diversi livelli della procedura, sui quali esistono già informazioni tecniche, buona parte dei quali probabilmente bloccati da cavilli burocratici e legali o da procedimenti che adducono a giurisdizioni diverse da quella amministrativa. Tutte queste informazioni spesso non sono formalmente registrate in nessuna anagrafica ufficiale, a parte che nell’archivio dell’ufficio preposto, e quindi tantomeno in strumenti dinamici che mettano in comunicazione i diversi ambiti che ne sono interessati, costituendo un universo amministrativo ombra con cui ci si trova poi a fare i conti improvvisamente ed inaspettatamente. Sarebbe quindi cruciale procedimentalizzare un sistema dinamico che prima raccolga efficacemente le informazioni sui siti contaminati, che significa perfezionare l’anagrafe, e che poi muova le informazioni verso l’urbanistica e l’edilizia. Sarebbe inoltre fondamentale che le procedure di bonifica venissero legate in maniera chiara ad un’identità catastale, quando invece sono all’ordine del giorno situazioni in cui sul CDU (Certificato di Destinazione Urbanistica) di un lotto in bonifica non vi è alcuna traccia del fatto che sia sottoposto ad un procedimento ex D.Lgs. 152/06. Esemplare è l’eventualità, puntualmente rispettata, per la quale si stipula un rogito con un CDU non riportante indicazioni sulla bonifica su cui l’acquirente fa poi ricorso in sede civile, così, nel già sufficiente caos del parallelismo di procedure amministrative, si aggiunge anche l’istruttoria di un’altra giurisdizione. A parziale giustificazione del ritardo registrato nella compilazione delle anagrafi, va detto che l’evoluzione quantitativa e qualitativa dei siti contaminati è risultata decisamente superiore a quello che ci si poteva aspettare e, soprattutto, superiore a quello che si aspettava il legislatore che ne ha emesso le rispettive norme. Il numero di siti e la situazione tecnico-amministrativa di ognuno varia ad una tale velocità da non essere affatto compatibile con i macchinosi tempi del “censimento” nazionale, rendendo
la filiera di informazioni molto contorta nel suo “percorso” dagli enti locali al governo centrale, facendo stallare la compilazione dell’anagrafe già in partenza. Le poche realtà di anagrafica esistenti sono rappresentate da regioni o Enti Locali che hanno costruito sistemi propri perfezionati, ma di conseguenza completamente slegati tra loro, perdendo la possibilità di portarli in ottica nazionale. Un altro importante strumento già esistente e poco applicato è il Piano Bonifiche. In una virtuale successione normativa, sulla base di una completa anagrafe dei siti contaminati si dovrebbe costruire un Piano Bonifiche atto ad identificare le necessità del territorio e a pianificare le modalità di gestione e di investimento delle risorse finanziarie pubbliche. Va da sé che un Piano Bonifiche rappresenta un potente strumento di promozione per la riqua-
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lificazione e il fatto di poter disporre di un quadro completo della “domanda” sul territorio e delle risorse pubbliche impegnate per quanto di competenza rappresenterebbe una pista di decollo sulla quale gli investitori della riqualificazione dovrebbero soltanto dare gas e partire. Purtroppo anche i Piani Bonifiche non sono rappresentati in maniera soddisfacente sul territorio nazionale, ovviamente condizionati dalla già carente compilazione delle anagrafi a loro propedeutiche. Le regioni che hanno completato un’anagrafe autonoma sono infatti riuscite ad elaborare un coerente piano bonifiche, le altre, per chi lo ha fatto, hanno elargito finanziamenti con modalità disparate, generalmente scarse e poco coordinate. Terzo strumento, fondamentale in materia di siti contaminati, ma male utilizzato rispetto alle enormi potenzialità che avrebbe, è l’Analisi di Rischio, la cui difficoltà di utilizzo è certamente causata dalla complessità tecnicoscientifica che la caratterizza. Oggi, la filosofia su cui è costruita la norma dei siti contaminati è quella del risk-based, filosofia che mette sostanzialmente l’Analisi di Rischio a “comando” della bonifica. Si tratta di un validissimo strumento dinamico di gestione che consente di tarare ad hoc gli interventi in base all’effettiva urgenza e necessità. Da tempo si è ormai compreso che non è assolutamente possibile risanare in una generazione cento anni di industrializzazione incontrollata, né da un punto di vista tecnico né da un punto di vista finanziario. La situazione va quindi gerarchizzata e gestita a livello di priorità. L’Analisi di Rischio è nata come uno strumento atto a dare informazioni sulla necessità di ef-
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fettuare un intervento in base alla conformità ad una data destinazione d’uso ed a quantificare l’intervento necessario per raggiungere la conformità stessa. Questo purtroppo spesso non avviene, e non avviene perché l’Analisi di Rischio, e la successiva bonifica, vengono spesso utilizzate in maniera impropria in quanto la parte di applicazione delle informazioni ambientali è completamente scollegata dalla parte urbanistica ed edilizia che dovrebbe usufruirne. Bisognerebbe quindi agire su due fronti: migliorare l’applicazione dell’analisi di rischio stessa e creare adeguate modalità di traduzione delle indicazioni che ne risultano da applicare agli strumenti urbanistici.
Semplificazione e razionalizzazione delle procedure
Ferma restando l’esclusiva titolarità del Parlamento in materia ambientale, diverse regioni hanno avviato iniziative normative utili a superare le incertezze procedurali del D.Lgs. 152/06. Anche in ottemperanza alle linee guida emesse dalle agenzie ministeriali e all’art. 196, le regioni hanno promosso azioni legislative volte a precisare modalità istruttorie, competenze e linee tecniche operative. Il confronto tra Stato e regioni sui limiti costituzionali dell’azione regionale non ha ancora raggiunto un punto di equilibrio, ma certamente le regioni più esposte per numero di aree contaminate e per progetti di rigenerazione in corso di attuazione, continueranno la loro azione per cercare di risolvere i problemi pressanti dei territori di loro competenza. Indipendentemente dai limiti costituzionali delle capacità deliberative
regionali, rimane la competenza impartita dal D.Lgs. 152/06, art. 196, di prevedere delle linee operative per regolamentare le istruttorie di bonifica. Le linee operative rappresentano la terza “istruzione” data alle regioni dal Testo Unico Ambientale, insieme all’Anagrafe Siti Contaminati e al Piano Bonifiche di cui si è precedentemente parlato. Bisogna evidenziare che linee guida regionali sono state emesse da pochissime amministrazioni a livello nazionale, generalmente da quelle che dispongono dell’Anagrafe e del Piano Bonifiche, e che le altre regioni che non ne dispongono vedono puntualmente il manifestarsi di comportamenti e strategie differenti e scoordinate tra gli enti preposti del loro stesso territorio. Accanto all’azione regionale, vanno ricordati gli sforzi portati avanti da alcune province che, nei limiti delle competenze loro assegnate, si muovono sulla linea della gestione diretta delle informazioni ambientali rispetto ai singoli uffici preposti nelle singole amministrazioni, impartendo, negli atti istruttori dei procedimenti di bonifica, indicazioni per i comuni relativamente alle informazioni da apportare sugli strumenti urbanistici. Infine vanno ricordati i comuni che, in alcuni casi, integrano in maniera efficace l’aspetto bonifiche nei regolamenti edilizi o nello sviluppo dei piani particolareggiati.
Trasferimento di competenze dal Ministero alle regioni
Nella particolare situazione dei Siti d’Interesse Nazionale è ormai ampiamente riconosciuto che la difficoltà di gestire le Conferenze dei Servizi da parte del Ministero porta ad un aggravio di tempi estremamente rilevante, con conseguenti incertezze sulla tenuta economica e finanziaria dei progetti di rigenerazione. Alcune azioni parlamentari promosse in questi mesi e sostenute trasversalmente da tutte le forze politiche sembrano indicare una consapevolezza crescente sui vantaggi di un equilibrato trasferimento della Conferenza dei Servizi per le bonifiche dei SIN dal Ministero alle regioni. Nonostante le evidenti difficoltà nell’intraprendere questa strada in tutto il territorio nazionale, che non trova le regioni tutte ugualmente preparate per que-
sta evenienza, appare chiaro come sia indispensabile sbloccare l’attuale inefficienza nella gestione di aree strategiche per lo sviluppo del Paese.
NOTE [1] Confronto e studio di casi di bonifica in aree inquinate da recuperare in Italia e Europa, Ricerca coordinata da Marina Dragotto (AUDIS). Collaborazioni: per la parte urbanistica: Carmela Gargiulo, Università Federico II di Napoli; per la parte di legislazione e casistica europea: Laura D’Aprile, responsabile Settore Siti contaminati, Servizio Interdipartimentale per le Emergenze Ambientali dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale; per la parte di analisi delle bonifiche dei siti italiani: Marcello Carboni, Elisa Condini, Paola Goria e Claudio Sandrone del Gruppo TRS.
PeVmedia.com
*AUDIS **Provincia di Ferrara
WWW.ecoera.it
... informazione e visibilità hanno nuovo PESO è on-line il portale di informazione e aggiornamento sul mondo delle bonifiche, dei rifiuti e delle demolizioni.
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spe c i a l e
METALLURGIA DI PROCESSO: LA RIMOZIONE DEL MATERIALE RESIDUALE DAGLI ALTOFORNI TRA LA FASE DI COSTRUZIONE DI UN ALTOFORNO E QUELLA DELLA SUA DEMOLIZIONE, LE FERMATE DI PROCESSO SCANDISCONO IN FORMA PROGRAMMATA LA VITA DELL’IMPIANTO di Stefano Scaini*
I
materiali metallici vengono prodotti trattando opportunamente, e in genere per via termica, minerali e talvolta recuperi di rottami; la fabbricazione dei materiali metallici prevede, inoltre, l’impiego di una certa quantità di materie prime necessarie al processo quali carbone, scorificanti e gas riducenti. In particolare la “metallurgia del ferro” o “siderurgia” può essere basata su minerali (costituiti esclusivamente da ossidi) o su rottami e recuperi; gli ossidi subiscono un processo di riduzione nell’altoforno dando origine alla ghisa e solo una piccola parte di questa viene destinata all’ottenimento di prodotti da fonderia. La maggior parte di essa è infatti trasformata in acciaio grezzo tramite appositi convertitori mediante un processo detto “conversione”. La riduzione di un ossido metallico consiste nell’indurre la reazione di dissociazione: MeO → Me + ½ O2 La facilità con cui questa reazione avviene è talmente legata all’affinità del metallo per l’ossigeno che gli ossidi di certi metalli devono addirittura essere semplicemente riscaldati perché essa avvenga. Gli ossidi di altri metalli invece, affinché avvenga la reazione di cui sopra, dovrebbero essere riscaldati a temperature talmente elevate
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da dover ricorrere a processi a volte economicamente sconvenienti o addirittura tecnicamente impossibili. Spesso, per ovviare a problematiche di questo genere, si utilizzano, a complemento delle fasi di riscaldamento, agenti riduttori come il gas CO provocando la reazione: MeO + CO → Me + CO2 Nella pratica le condizioni favorevoli alle reazioni di riduzione vengono raggiunte per mezzo di una speciale apparecchiatura chiamata “altoforno”; esso è costituito da una torre di materiale refrattario rivestita esternamente di acciaio. Mentre dall’alto si introducono alternativamente minerali di ferro e coke, dal basso si insuffla aria calda che provoca la combustione del coke: C + O2 → CO2 Questa reazione, fortemente esotermica, determina la fusione del mine-
rale che viene ridotto nella parte alta dell’altoforno da CO (generato dalla reazione C + CO2 → 2 CO) e nella parte bassa per opera diretta del carbonio. La scoria, che è composta principalmente da ossidi di Si, Ca, Al, Mg, Fe e Mn e che viene detta “loppa”, galleggia sul metallo fuso rendendone non complessa la separazione da questo. La ghisa viene invece prelevata dall’altoforno ad una temperatura di 1350÷1400°C e presenta la seguente composizione chimica: C = 3,5÷4,5%; Si ≅ 1%; Mn ≅ 1%; S ≅ 0,1% e P ≅ 0,1%.
L a rimozione programmata di materiale residuale
Una delle tante procedure da eseguire con periodicità ed attenzione per una corretta e produttiva gestione di un altoforno è senza dubbio quella relativa alle fermate programmate. Durante questi periodi di “upgrading” si procede ad un approfondito aggiornamento di tutto il sistema, partendo dall’analisi dei processi fino ad arrivare alla vera e propria manutenzione tecnica. Tra le attività previste durante questa fase vi è lo svuotamento della parte inferiore dell’altoforno con la conseguente rimozione della cosiddetta “salamandra”, un ammasso di materia costituito da “loppa”, carboni circonferenziali, carica di materiale residuo e da una miscellanea di materiale ferroso di varia tipologia. L’attività di evacuazione della cosiddetta salamandra rappresenta senza dubbio una delle fasi più delicate da affron-
poca incidenza di “loppa” sul totale), è possibile prevedere l’intervento con tecnologie di taglio “a umido”; ciò a maggior ragione se i tempi di fermata programmata non devono eccedere i 60 giorni circa. Qualora si presenti invece uno scenario caratterizzato da quantità di materiale da rimuovere ben superiori, unitamente alla grande disomogeneità di quest’ultimo e alla possibilità di poter contare su tempi maggiormente dilatati per quanto riguarda la programmazione dell’intervento, sarà utile e corretto orientare la scelta verso l’impiego di materiali esplodenti.
Esempi di scoria d’altoforno “al grezzo”
tare durante la manutenzione programmata di un altoforno, sia qualora si intervenga con tecnologie di taglio “a umido” e, a maggior ragione, qualora avvenga invece mediante l’impiego di materiali esplodenti. Questa specifica lavorazione, considerata critica nel percorso di “project management”, dimostra spesso, già dal primo giorno di cantiere, di racchiudere in sé una notevole quantità di problematiche che, spesso amplificate dal particolare contesto operativo, mettono a dura prova l’intera struttura delle maestranze coinvolte, sia dal punto di vista gestionale che da quello operativo. Basti pensare a casi realmente accaduti nei quali, al momento della fermata dell’altoforno, il quantitativo stimato di salamandra esistente si rivelò ampiamente superiore alla media, addirittura di circa 400 m3 e per un peso totale di oltre 1.000 tonnellate. Per la rimozione del materiale residuale in oggetto ci si affida generalmente alla scelta tra due differenti tecnologie di demolizione: l’impiego di tecnologie a taglio oppure mediante l’impiego di materiali esplodenti. La propensione della scelta è generalmente dovuta alla quantità di materiale da rimuovere e ad aspetti qualitativi legati alla propria omogeneità. Infatti, qualora ci si trovi di fronte a modeste quantità di materiale da rimuovere, caratterizzate da una sezione verticale non eccedente i 50÷60 centimetri e da una discreta omogeneità (assenza quindi di ceneri sedimentate e
L a tecnologia di taglio “a umido” con filo diamantato
Il taglio “a umido” con filo diamantato rappresenta, nel campo dell'ingegneria civile e industriale, una tecnologia assai flessibile e destinata a demolizioni, decostruzioni, demolizioni parziali e rimozioni di materiali solidi e dalle buone caratteristiche di omogeneità; ciò, senza limiti di spessore e dimensione. Il filo diamantato da taglio è costituito da una fune d’acciaio chiusa ad anello sulla quale sono infilate ad intervalli regolari delle perline di acciaio impregnate di diamante industriale, che viene avvolta attorno alla struttura da tagliare e successivamente azionata da un motore a grande velocità. L’azione combinata della rotazione del filo e della trazione esercitata dai meccanismi tendifilo, produce un taglio attraverso il materiale oggetto dell’applicazione. Durante l’esecuzione dei lavori il filo diamantato viene guidato da un sistema di pulegge montate vicino alla sezione da realizzare; il gruppo di azionamento, elettrico o idraulico, può essere sistemato abbastanza lontano dall’area di lavoro, a garanzia della sicurezza dell’operatore contro eventuali strappi e rotture del filo. Il raffreddamento dell’utensile di taglio è eseguito ad acqua e la corretta lubrificazione del filo ha quindi una doppia funzione: quella di allungare in modo considerevole la vita dell’utensile e nel contempo di ridurre i rischi correlati alla rottura del filo stesso. L’utilizzo di cavalletti sui quali vengono montate pulegge e gruppi di pulegge che posso-
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no essere impiegate in svariate configurazioni geometriche, consente al filo diamantato di procedere correttamente lungo il percorso dell’azione di taglio, seguendo la direzione voluta e rendendo il sistema eccezionalmente versatile. Il tipico utilizzo del filo diamantato avviene praticando nella parete da tagliare dei fori passanti di accesso attraverso cui viene infilato il filo; in seguito, esso viene avvolto attorno alla puleggia motrice e chiuso ad anello. La puleggia, azionata da un motore, mette in rotazione e contemporaneamente tiene in tensione un anello di filo diamantato il quale, avvolgendo completamente la struttura da tagliare, crea un solco della larghezza di poco più di un centimetro fino a tagliarla nettamente. Nel caso in cui la lunghezza di recupero del filo non consenta di terminare il taglio, è possibile procedere alla rimozione di uno spezzone di filo per poi rigiuntare il rimanente. Le applicazioni del filo diamantato nell'industria delle costruzioni e delle demolizioni sono praticamente illimitate; la capacità del filo diamantato di tagliare in profondità e con estrema precisione, senza eccessiva produzione di rumore, polvere o vibrazioni, consente infatti di sfruttare questa tecnica in svariati settori.
Illustrazione schematica del ciclo siderurgico
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L’intervento con materiali esplodenti L’utilizzo di materiali esplodenti negli ambiti dell’ingegneria civile ed industriale è quasi sempre correlato alla gestione contemporanea di problematiche relative al controllo delle proiezioni, delle polveri e alla riduzione delle sollecitazioni vibratorie indotte dall’intervento. Come è ben noto, un’efficace gestione dei cosiddetti effetti indesiderati si ottiene mediante l’applicazione di procedure operative sia attive che passive. Le prime, ad esempio, partono da un corretto piano di caratterizzazione (che può essere tanto un’esaustiva relazione geologica quanto un’attenta analisi di struttura) per poi estendersi ad aspetti legati alla scelta dell’esplosivo da utilizzare, all’esecuzione della perforazione e di eventuali sezionamenti, nonché alla progettazione della geometria di sparo e altro ancora. Per applicazione di procedure di tipo passivo si intende invece la messa in opera di accorgimenti quali la creazione di terrapieni in materiale sciolto, la predisposizione di protezioni mediante reti metalliche e materiale geotessile, nonché l’utilizzo di vasche e speciali nebulizzatori per l’abbattimento delle polveri.
Esistono però molti altri scenari d’intervento, di certo meno convenzionali e conosciuti ove, funzionalmente all’utilizzo di materiale esplodente, le circostanze inducono necessariamente a reinventare schemi e procedure. Alcuni di questi, quali ad esempio la rimozione di scorie dalle caldaie e l’evacuazione del materiale residuale dagli altoforni, sono decisamente articolati e per questo motivo vengono chiamati complessi o supercritici. Tale denominazione viene a loro assegnata in quanto sono caratterizzati da aspetti notevolmente anomali i quali, come si vedrà in seguito, non dipendono solamente da fattori ambientali e logistici. In questi scenari, è in particolar modo la caratterizzazione del materiale da rimuovere a rendere problematica la fase operativa; le caratteristiche di omogeneità ed isotropia assolutamente relative, impongono infatti approcci nuovi e a dir poco esclusivi, “modi operandi” capaci di tarare l’efficacia e l’efficienza dell’intervento solamente passo dopo passo. Una volta eseguito il taglio della corazza, dimensionandolo in modo da potervi accedere con i mezzi d’opera previsti per i lavori, l’interno del forno si presenta visivamente nella parte inferiore (salamandra più carica residua). L’iter operativo di rimozione inizia con l’evacuazione della carica e dei carboni circonferenziali mediante l’utilizzo di miniescavatori, continuando poi con l’attività di evacuazione della salamandra mediante l’utilizzo di cariche esplosive. Relativamente alla scelta dei materiali energetici, la necessità di esplosivi dotati di ottima stabilità allo shock termico, caratterizzati da elevate VOD (velocità di detonazione) e garanti di buoni risultati in termini di brisanza (ovvero di caratteristiche di elevata dirompenza nelle immediate vicinanze), deve orientare obbligatoriamente la scelta dell’utilizzatore verso la categoria delle gomme e delle gelatine ad alto potenziale. Specialmente all’inizio del cantiere, la produzione risulta spesso inferiore alle aspettative; infatti, ad ogni brillamento gli strati più superficiali della salamandra si frantumano non solamente in modo del tutto casuale, ma addirittura con una pezzatura estremamente ridotta. Si deve attendere generalmente l’evacuazio-
Fori raffreddati pronti per l'attività di caricamento (a destra); salamandra e sua sezione sul fronte di sparo (a sinistra)
ne di circa un terzo della salamandra, cioè fino all’esaurimento della parte più porosa, per riuscire ad ottenere una produzione soddisfacente e caratterizzata dal distacco di blocchi mediamente non inferiori ai 2 m3 circa. L’attività di evacuazione dei carboni circonferenziali si ripete nel frattempo in maniera sistematica, seguendo l’andamento della rimozione della salamandra, in modo tale da lasciar sempre lo spazio necessario tra la corazza dell’altoforno e la porzione di salamandra oggetto delle attività di brillamento. Nonostante possa sembrare apparentemente banale, è invece di estrema importanza specificare come questo spazio sia funzionale non solamente a fornire un’adeguata superficie libera al lavoro dei materiali energetici ma, in particolar modo, a garantire un’adeguata distanza di sicurezza al fine di limitare la trasmissione di sollecitazioni meccaniche alla struttura dell’altoforno. Dopo aver studiato in fase di progettazione le caratteristiche strutturali dell’altoforno, è possibile procedere alla taratura dei parametri di lettura e registrazione dei sismometri i quali, dal primo brillamento all’ultimo, devono monitorare costantemente tutte le strutture da salvaguardare nelle immediate vicinanze. L’attività che risulta essere preponderante dal punto di vista temporale, nonché di estrema importanza per il buon esito delle operazioni
ferisce eseguire un’attività di perforazione “no stop” per più giorni consecutivi al fine di poter permettere le operazioni di brillamento per l’intera nottata o addirittura per più giorni consecutivi; tale accorgimento si adotta ogni qualvolta, in presenza di una produzione caratterizzata da pezzature di notevoli dimensioni, si renda necessaria una particolare organizzazione del sistema di carico e trasporto dei materiali di risulta. La rimozione della salamandra mediante l’utilizzo di materiali esplodenti avviene quindi, una volta alleggerita la stessa della parte maggiormente porosa presente in superficie, creando piccoli terrazzamenti ed utilizzando una maglia quadrata di perforazione di 40 centimetri circa. E’ altresì importante che le attività di caricamento e brillamento avvengano in una fascia oraria appositamente identificata quale quella di minor affluenza del personale all’interno dello stabilimento. Infine sottolineiamo nuovamente quanto, al cosiddetto “sparo in masse calde”, sottintendano procedure di sicurezza, programmi di controllo, protocolli d’intervento, norme comportamentali ed una generale pianificazione e gestione del cantiere che esulano senza alcun dubbio dai canoni classici dell’intervento con materiali esplodenti.
di brillamento, è certamente quella relativa alla perforazione della salamandra; in particolare sono fondamentali il corretto posizionamento delle maglie di perforazione ed il rispetto scrupoloso delle profondità dei fori. La perforazione, effettuata mediante lancia termica ad ossigeno, è generalmente caratterizzata da un diametro di circa 15÷25 centimetri e da profondità variabili tra i 70 ed i 180 centimetri, gestite in relazione alle caratteristiche proprie degli strati di salamandra con i quali di volta in volta ci si deve confrontare. Una volta effettuata la perforazione, che avviene generalmente dalle ore 24,00 alle ore 12,00, è necessario curare attentamente il raffreddamento dei fori fino ad una temperatura di circa 45°C. In caso di raffreddamento insufficiente dei fori, le operazioni di caricamento con esplosivi subiscono spesso ritardi e, a volte, rinvii alle giornate successive. In alcuni casi si pre- Attività di evacuazione dei carboni circonferenziali
*Dexplo s.r.l.
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pa n o r ama az i e n d e
RICOMINCIO DA ME DOPO TRENT’ANNI DI CONSOLIDATA ESPERIENZA NELLE DEMOLIZIONI SPECIALI E NELLE BONIFICHE AMBIENTALI, VIRGINIO LONGHI LANCIA LA SUA SCOMMESSA di Maria Beatrice Celino
S
i chiama Longhi s.r.l. ed è il frutto di una scelta maturata dalla profonda consapevolezza di avere dedicato tutta la vita a qualcosa che non è solo un lavoro ma anche una grande passione, così come spesso accade quando si comincia a lavorare a 17 anni. Incontriamo Virginio Longhi, titolare ed Amministratore Unico dell’azienda che porta il suo nome, per farci raccontare come a quarantasei anni si può ancora scommettere su se stessi. Partiamo dall’inizio, o meglio dalla fine, da quello che poteva essere il coronamento di un percorso lavorativo soddisfacente ma che ha visto maturare oggi un desiderio di rinascita… Quando ho cominciato a lavorare ero giovanissimo. Ho gestito cantieri di lavori qualificati ed importanti per Committenti come Pirelli, Addamiano Costruzioni S.p.A., Colacem, Se-
Virginio Longhi, titolare ed Amministratore Unico di Longhi s.r.l.
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ven Salotti, Il Sole 24 Ore, Ferretti International s.r.l., Italcementi S.p.A., solo per citarne alcuni e non in ordine di importanza. Divenuto nel frattempo socio presso una nota società affermatasi nell’ambito delle demolizioni speciali e delle bonifiche ambientali sin dalla fine degli anni ’80, giunti alle soglie del 2008, soddisfatto dei risultati ottenuti, avrei voluto dedicarmi ad altro settore. Così non è stato, perché quando un lavoro è soprattutto una passione non se ne può fare a meno. Così nel 2009 “nel bel mezzo di una crisi” ho costituito la Longhi s.r.l. che porta il mio nome perché si fonda sull’esperienza pluridecennale da me acquisita, ma conta anche sulla professionalità di alcuni dipendenti che hanno voluto sfidare, con me, l’incertezza di questa nuova realtà. Sono fermamente convinto che l’azienda è costituita principalmente di uomini, è la squadra che fa la differenza, dal personale senso di responsabilità verso il cliente, di ciò che l’azienda propone ed offre con le proprie competenze, ma anche del risultato finale che ne deriva. Quindi nel momento di mercato peggiore, una grande scommessa. Ci vuole coraggio! La parola coraggio significa “agio nel cuore”, è proprio così. L’azienda è nata nel 2009 ed opera nei settori delle decostruzioni industriali e civili (abbiamo realizzato anche interventi presso siti nucleari in Francia per EDF), delle bonifiche da manufatti contenenti amianto, sia a matrice friabile che a matrice compatta, e delle bonifiche di siti inquinati. Con determinazione, in breve tempo, abbiamo sviluppato innumerevoli progetti e ci siamo proposti affermandoci tra i più qualificati
fornitori di servizi e di sistemi ad elevato contenuto tecnologico del nostro settore. Abbiamo cantieri in Italia e in Francia e abbiamo appena finito di lavorare in Libia. La nostra è un’azienda di uomini che pensano ed agiscono in team, con forte capacità e spirito di collaborazione con la Committente e con tutti gli attori del territorio: uomini competenti, aggiornati, uomini che pensano prima di agire. Formazione, ricerca e innovazione continua: imparare vuole dire migliorare, trovare strumenti e metodi per affrontare ogni sfida in modo efficiente ed efficace. Dal punto di vista pratico ciò si traduce in tecniche e processi, studio di soluzioni innovative appropriate al progetto, condivisione di obiettivi, dal management, dagli uffici al cantiere. Chi più da lontano, chi da più vicino, ognuno determina il successo con il proprio apporto. In quali settori e con quali modalità operate? Cerchiamo di offrire ai nostri clienti una soluzione “chiavi in mano” che va dallo studio alla progettazione, fino alla realizzazione degli interventi di decostruzione e bonifica, garantendo la conformità di ogni intervento alla normativa vigente in materia di tutela di sicurezza, di igiene del lavoro e di tutela ambientale.Le nostre specializzazioni riguardano 3 ambiti ben precisi: • bonifiche ambientali nelle quali siamo in grado di intervenire con tecnologie e procedure appropriate, che uniscono il necessario rispetto delle norme cogenti alle condizioni operative idonee a rendere disponibili le aree bonificate; l’eccellenza tecnica della nostra struttura è conferma-
ta da interventi complessi in cantiere, ma soprattutto, dalla capacità di operare con sicurezza ed efficacia anche in contesti attivi dove la bonifica deve avvenire senza intralciare il quotidiano lavoro che si svolge nelle aree limitrofe; • demolizioni controllate nelle quali interveniamo grazie alla dedizione applicata nello studio e nella progettazione dell’intervento stesso, rispettando i tempi definiti e con il massimo contenimento di stand-by o fermo impianti della Committente e creando contestualmente le condizioni ideali per eseguire modifiche o trasformazioni di impianti; • decostruzioni nucleari per le quali operiamo con grande dinamismo e tecniche d’avanguardia mettendo a frutto l’esperienza acquisita in numerosi cantieri civili ed industriali ed unendola all’adozione di tecnologie modernissime governate da personale di altissima professionalità. Tecnologia, professionalità e collaborazione sono per noi elementi fondamentali. Grazie alla sinergia tra Direzione, tecnici ed operatori già in fase di studio, ci prefiggiamo l’obiettivo di ottimizzare sia i processi di lavorazione che la qualità del servizio fornito. Per raggiungere tali obiettivi, uniamo alla professionalità dei nostri tecnici un parco macchine ed attrezzature in continuo rinnovamento ed ampliamento, anche in relazione alla crescita tecnologica che il mercato offre. L’esperienza fa maturare forti convinzioni che, se positive, si trasformano in filosofie, in un buon modo di fare impresa… Questa ricerca continua di maggiore sicurezza è perseguita nel lavoro quotidiano secondo i più qualificati standard nazionali ed internazionali. La verifica costante della qualità del servizio proposto, la continua ricerca di soluzioni innovative ed il miglioramento dell’efficienza dei servizi offerti per la soddisfazione dei nostri clienti costituiscono la nostra filosofia. “Perché l’obiettivo è quello di crescere per continuare a scommettere”. A quasi tre anni dallo start up è possibile fare il punto lanciando anche uno sguardo alle prospettive future? L’inizio è stato già un successo che ha portato la società da un fatturato di 1.700.000 euro
nel 2009 – primo anno di vita – a raggiungere la stessa soglia solo nei primi 5 mesi del 2010. Ciò ha consentito di aumentare il Capitale Sociale a 100.000 euro nel corso del 2010 con un portafoglio commesse già acquisito che consentirà di posizionare l’azienda vicino ad un giro di affari di 8.000.000 di euro per la fine del 2011. In soli due anni abbiamo acquisito tutte le certificazioni ISO e le attestazioni SOA necessarie per operare in modo qualificato, inoltre grande impegno è stato adottato per ottenere la certificazione CEFRI (Comité français de certification des
Entreprises pour la Formation et le suivi du personnel travaillant sous Rayonnements Ionisants) necessaria e specifica per permettere alla società Longhi s.r.l. di condurre opere di bonifica e decostruzione all’interno dei reattori nucleari presso tutti i siti della Comunità Europea. Il nostro maggiore impegno è quello di continuare a fare bene ciò che sappiamo fare, non si può aspettare che il mercato si riprenda, noi siamo il mercato, noi ci riprendiamo il mercato lavorando con il coraggio e con la consapevolezza che “il mondo non può finire domani”.
Demolizione controllata serbatoio metallico da 30.000 mc
Demolizione e bonifica impianti presso Ex Rhodia Italia S.p.a. di Ceriano Laghetto (MB)
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pa n o r ama az i e n d e
GIOVANI, MA NON TROPPO Dagli inerti da cava ai rifiuti di ogni tipo: ecco come rendere efficace ed efficiente una parte fondamentale di un processo scontato ma da non sottovalutare di Maria Beatrice Celino
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a Tecno Group s.r.l., azienda specializzata in tecniche di vagliatura, in pochi anni ha saputo conquistare il mercato con competenza e professionalità. Ne parliamo con il sig. Angelo Gallucci, Direttore Vendite, che, incontrandoci nella sede di Carmagnola, alle porte di Torino, ci racconta di un’esperienza maturata nel tempo. Sig. Gallucci, di Tecno Group potremmo quindi dire “giovane ma non troppo”? Certamente, parliamo di un’azienda che nasce nell’ottobre 2004 ma non dal nulla. Raccoglieva infatti l’esperienza maturata già anni prima in più settori e la conoscenza approfondita delle realtà nelle quali oggi operiamo e nelle quali annoveriamo molti clienti. Siamo specializzati nella produzione di reti per vagliatura, in acciaio armonico e acciaio inox, antiintasanti a onda e arpa, lamiere forate nei
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vari materiali dal ferro, ai materiali anti usura, al poliuretano. Numerosi sono anche i modelli, dal semplice tensionato, all’autoportante, al modulare ad incastro, alla gomma, alle lamiere gommate oltre alla dotazione di una serie di accessori a contorno (bulloneria, raschiatori per la pulizia dei nastri, tazze per scolatrici, ecc.). Tecno Group ha una sede centrale, amministrativa/commerciale qui a Carmagnola (TO), mentre a Villanova di Mondovì abbiamo aperto un nuovo stabilimento per la produzione di poliuretano. Quali sono i principali settori nei quali siete presenti? Siamo conosciuti e annoveriamo clienti sia presso i produttori di impianti e macchine per i settori cave e rifiuti, sia direttamente in cava o nei centri di riciclaggio presso i quali supportiamo i clienti nella scelta di reti adeguate
ad ogni tipologia di materiale e forniamo pezzi di ricambio per le parti usurate. Potremmo dire di avere un cliente di tipo industriale ed un cliente che si può definire quasi “al dettaglio”. Mentre nel settore cave la vagliatura prevede un altissimo consumo di reti ed accessori a causa della notevole usura che si genera a causa dei materiali trattati, nel settore rifiuti l’usura è inferiore ma anche qui il materiale fa la differenza. Andiamo infatti dal vetro, al legno fino al compost con usure decisamente diverse ma con necessità di assortimento per la pezzatura da vagliare. In generale possiamo dire di essere presenti ovunque vi sia la necessità di vagliare. Oltre all’Italia, quali sono i mercati in cui siete presenti e quali quelli che state esplorando? Siamo presenti in Italia con circa l’80% del nostro fatturato. I clienti vengono gestiti direttamente dalla nostra sede per le regioni del nord come Piemonte, Lombardia e Valle d’Aosta, mentre nelle altre regioni al centro nord e al sud siamo presenti con i nostri rivenditori e questo al fine di offrire un servizio veloce raggiungendo il cliente in modo efficiente. Il restante 20% ci vede presenti in Germania, Olanda e Svizzera. In Romania abbiamo una presenza significativa grazie ad un rivenditore italiano presente sul posto. Tra i mercati che invece stiamo esplorando ci sono il Sud America e i paesi del Nord Africa. Ma torniamo ai materiali e alle scelte dei vostri clienti… Il cavatore ha l’esigenza di avere sempre un prodotto durevole per evitare il più possibile
BONIFICHE AMBIENTALI INNOVAZIONE E BIOTECNOLOGIE Indagini preliminari Piani di caratterizzazione Analisi di rischio Studi di fattibilità i fermi macchina. Prima di tutto per i costi di manutenzione e poi per le carenze di personale. Si passa quindi dalla rete in filo alla lamiera forata in chiusura per poi passare alla scelta del poliuretano per avere una maggiore durata. C’è poi il problema del rumore e quindi sia la gomma che il poliuretano vanno sempre più a sostituire i materiali acciaio/ferrosi. Infine va considerato il compromesso tra prezzo, durabilità e silenziosità in quanto l’acciaio rispetto agli altri prodotti ha un costo ridotto ma gli altri prodotti durano di più e sono più silenziosi. Per il settore rifiuti invece forniamo trommel in lamiera forata completa di coclea, spazzole di pulizia, ruote di scorrimento, ecc. Dal punto di vista della comunicazione siete molto presenti in Europa… Siamo presenti a tutte le manifestazioni che sono di riferimento per il mercato cave/inerti come Bauma, Intermat, Samoter, sia agli eventi importanti per il settore trattamento rifiuti come Ifat ed Ecomondo. Le fiere costituiscono occasioni per farci conoscere e consentirci di incontrare i nostri clienti, ma anche laboratori per pensare a possibili futuri sviluppi, al fine di soddisfare un mercato in continuo cambiamento. C
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Interventi di bonifica terreni Interventi di bonifica acque
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ISCRITTA ALL'ALBO NAZIONALE GESTORI AMBIENTALI CAT. 9-BONIFICA SITI
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GIO.ECO s.r.l. Via L. Da Vinci,13 - 20090 Segrate (MI) Tel +39.02.2132113 r.a. - Fax +39.02.2133826 info@gioecosrl.it - www.gioecosrl.it Sede di Rappresentanza:
Torre Velasca - Piazza Velasca, 5 - 20122 Milano
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L’IMPIANTO DI TRATTAMENTO RIFIUTI DI BELLOLAMPO Passiamo sotto la lente di ingrandimento il sistema di trattamento e selezione dei rifiuti urbani e l’innovativo processo Matrix ® per la stabilizzazione della frazione organica di Graziano Ligabue e Emilio Mussini*
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resso la discarica di Bellolampo, in provincia di palermo, è presente un impianto di trattamento rifiuti realizzato dalla società Cooperativa Unieco che, dopo una travagliata vicenda costellata di ritardi, problemi politici, contestazioni e guasti, finalmente oggi funziona a regime selezionando gli RSU e stabilizzando la frazione organica dei rifiuti conferiti presso la discarica siciliana dell’Amiu.
L’appalto aggiudicato ad Unieco ha riguardato la fornitura e la posa in opera, di un impianto di selezione RU (Rifiuti domestici ed assimilabili provenienti dall’attività di raccolta stradale ed eventualmente da attività commerciale) e successiva stabilizzazione della frazione nel Comune di Palermo presso la discarica di Bellolampo, comprendendo anche il servizio di trattamento dei rifiuti stessi. Tale servizio doveva essere svolto in maniera da ottempera-
re a quanto disposto dal D.Lgs. 36/2003 che prevede, tra l’altro, che i rifiuti possano essere collocati in discarica solo dopo trattamento. Tale attività si inquadra nell’ottica degli obiettivi previsti dall’Ordinanza Commissariale per l’Emergenza Rifiuti della Regione Sicilia n. 323 del 25/03/04, relativa al “Programma regionale per la riduzione dei rifiuti urbani biodegradabili da collocare in discarica”. Nell’appalto era altresì compresa la gestione temporanea dell’impianto, per la durata di tre anni a far data dalla messa in esercizio e in funzionamento dell’impianto.
L a soluzione progettuale Il progetto proposto alla Stazione Appaltante riportava una soluzione impiantistica tecnologicamente molto avanzata e, nel contempo, di facile conduzione e manutenzione, che tiene conto dell'esperienza accumulata da Unieco in questo settore. Il valore tecnico del progetto era avvalorato inoltre dai seguenti aspetti: • la semplicità impiantistica consente la facile gestione nel rispetto delle norme e con l’ottenimento di frazioni facilmente smaltibili e/o riutilizzabili; • la mancanza di tempi morti consente il trattamento del rifiuto fresco in entrata, evitando lo stazionamento di cumuli maleodoranti;
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• il materiale ottenuto derivante dal trattamento distinto della frazione secca e umida, può essere direttamente caricato all’uscita del nastro di scarico in container e avviato alla discarica, evitando quindi zone di stazionamento temporaneo o maturazione; • l’impianto è mobile e disponibile in brevissimi tempi e può essere facilmente smontato e riutilizzato in altro sito al termine del periodo di utilizzo prestabilito; • in alternativa allo smontaggio lo stesso impianto può essere mantenuto disponibile per essere utilizzato in casi di emergenza, sempre possibile nell’attività di smaltimento rifiuti, anche quando sia completato il piano di smaltimento dei rifiuti in attuazione del “Piano Regionale”.
L’impianto in dettaglio I rifiuti sono conferiti all’impianto dai mezzi di trasporto e scaricati a terra in un’apposita area di stoccaggio. Gli automezzi accedono all’area di scarico dopo avere effettuato la pesatura del mezzo sulla pesa in dotazione dell’impianto. Gli stessi vengono conferiti per 312 giorni/ anno, in maniera da non superare globalmente, quale valore massimo, 600 ton/giorno. La movimentazione dei materiali da trattare avviene con pala gommata che provvede al loro accatastamento e con un elevatore provvisto di benna mordente che provvede all’alimentazione del sistema di triturazione. Il sistema di triturazione è composto da due linee di processo costituite da un trituratore primario, vaglio rotante, separatori metalli e trasportatori di collegamento.
Rifiuto tal quale
CER 20 03 01 rifiuti urbani non differenziati
120.000 tonn/anno
CER 20 03 03 residui della pulizia stradale
Rifiuti a prevalente matrice organica raccolti in maniera differenziata 20.000 tonn/anno
CER 20 03 02 rifiuti dei mercati CER 20 02 01 rifiuti biodegradabili CER 20 01 08 rifiuti biodegradabili di cucine e mense
Tabella 1. Capacità di trattamento dell’impianto e tipologie di rifiuti accettati
Il trituratore primario esegue una riduzione della pezzatura del materiale in ingresso in modo da facilitare le successive operazioni di trattamento. Il materiale così ridotto in pezzatura è avviato alla vagliatura, dove un vaglio rotante provvede alla separazione in due frazioni: sopravaglio e sottovaglio. Il sopravaglio, che è la frazione che non passa attraverso i fori di vagliatura, è raccolto da una serie di trasportatori ed avviato alla postazione di carico sui mezzi di autocompattazione e di trasporto a discarica. La postazione di distribuzione e carico è costituita da un nastro trasportatore reversibile, dotato di sensori di livello che misurano lo strato di materiale sottostante in modo da ottimizzare il riempimento del mezzo. La frazione di sottovaglio è raccolta da una serie di trasportatori ed avviata al sistema di omogeneizzazione. Le due frazioni, sottovaglio e sopravaglio, sono sottoposte preventivamente alla separazione dei metalli, operata da un separatore magnetico posto sulla linea di trasporto. Nell’impianto di Bellolampo sono presenti due separatori magnetici posti sui rispettivi nastri; i metalli separati sono raccolti da tramogge di contenimento collegate ai cassoni di raccolta. Per la sola frazione di sottovaglio è prevista la separazione dell’alluminio mediante attrezzatura a correnti parassite. La frazione di sottovaglio, dopo omogeneizzazione, viene addotta all’impianto di stabilizzazione chimica ottenuta miscelando il rifiuto omogeneizzato con ossido di calcio (calce viva). Il processo consente di ottenere un prodotto perfettamente stabile che ha perso una buona parte della propria umidità, che può essere movimentato con grande semplicità e che appare alla vista gradevole. Nella parte terminale dell’attrezzatura di trattamento, mediante un’ulteriore selezione, è possibile allontanare i corpi di pezzatura superiore ai 20 mm come espressamente richiesto dalla Stazione Appaltante. Successivamente, mediante nastro trasportatore, la frazione organica stabilizzata viene accumulata nei contenitori preposti o per l’allontanamento a discarica.
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Descrizione dell a linea di processo Matrix ® L’omogeneizzatore ha la funzione di rendere uniforme ed omogenea la sostanza organica presente nella frazione umida e di eliminare gli scarti di dimensioni superiori come descritto in precedenza. Il rifiuto omogeneizzato e sminuzzato esce dall’omogeneizzatore e viene convogliato con un nastro elevatore ad una delle due linee di trattamento mediante un nastro pesatore reversibile in modo da consentire l’utilizzo di una delle due linee di trattamento. Il nastro pesatore ha la funzione di regolare la quantità di ossido di calcio in funzione della portata in arrivo. Il rifiuto entra in una tramoggia provvista di rompigrumi ed in grado di ricevere l’ossido di calcio necessario al trattamento. Successivamente il rifiuto additivato del reat-
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tivo giunge ad una coclea bialbero avente la funzione di garantire il contatto di reazione. In seguito la miscela entra in un’attrezzatura atta a garantire un tempo di permanenza necessario a completare la reazione di idratazione dell’ossido di calcio utilizzando l’umidità del rifiuto. Essendo la reazione esotermica il materiale subirà un innalzamento della temperatura che non potrà superare i 60°C. Le condizioni fisiche in cui si trova il rifiuto sono tali da garantire l’igienizzazione completa del prodotto trattato. Tale attrezzatura ha la possibilità di essere messa in leggera depressione sufficiente ad evitare la fuoriuscita di aria dal sistema ma a consentire il rientro d’aria. Il flusso di estrazione sarà convogliato ad uno scrubber di lavaggio, assieme ad altri flussi, prima di essere immesso in atmosfera. Successivamente, mediante una coclea il ri-
fiuto così trattato giunge al cilindro rotante di vagliatura finale costituto da una prima parte senza forature ed una seconda parte con fori di 20 mm con le seguenti funzioni: • nella prima parte si completerà il tempo di contatto e la disgregazione finale della miscela, • nella seconda parte avverrà la selezione della frazione minore di 20 mm che sarà convogliata direttamente nei walking floor per l’allontanamento a discarica come materiale di copertura. Dalla testata del vaglio uscirà la frazione grossolana superiore ai 20 mm che sarà aggregata al materiale entrante nell’omogeneizzatore per unirsi al materiale di scarto uscente dall’omogeneizzatore o eventualmente ritriturata alla pezzatura richiesta. *Unieco Soc.Cop.
Le tecniche di demolizione come strumento indispensabile della bonifica La demolizione del complesso industriale Copersalento come esempio di sinergia tra tecniche di demolizione evolute e bonifica di impianti di Ivan Poroli*
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ontalbetti S.p.a. è un’azienda con esperienza pluridecennale nelle demolizioni industriali e nel commercio dei rottami ferrosi. Da sempre rivolta ad una strategia di sviluppo in accordo con l’evoluzione normativa e con la crescente sensibilità ambientale, Montalbetti ha oggi a disposizione due moderni centri autorizzati alla raccolta e al recupero dei rottami ferrosi. Parallelamente all’evoluzione dei siti per la gestione dei rottami metallici, Montalbetti si è rivolta con rinnovato entusiasmo verso il mercato delle demolizioni industriali, candidandosi per lo svolgimento di commesse
specialistiche ad elevata criticità dove esperienza, professionalità ed elevate capacità di progettazione e coordinamento risultano elementi fondamentali per il successo. Il cantiere "Copersalento" recentemente concluso, rappresenta un valido esempio di commessa specialistica con elementi di una certa complessità, dove la sinergia tra tecniche di demolizione evolute e bonifica, ha premesso di raggiungere risultati di eccellenza sia in termini di tempi esecutivi che di sicurezza e tutela ambientale, riducendo o addirittura annullando i rischi collegati alle criticità della commessa.
Inquadramento del sito Il cantiere in esame è rappresentato dal complesso industriale ex "Copersalento" situato a Maglie in provincia di Lecce. L’impianto effettuava la produzione dell'olio derivato dalla sansa, il sottoprodotto della prima spremitura delle olive, e a questo era collegata una caldaia di cogenerazione che sfruttava gli scarti della lavorazione e altri rifiuti vegetali per produrre energia elettrica e vapore utilizzati in parte nel processo industriale e in parte destinata alla vendita in rete. L'impianto per la produzione dell'olio era composto da: un edificio distilleria in cui, tra i vari processi, veniva anche utilizzato esano per estrarre la frazione oleosa dalla sansa, un edificio dedicato all’essiccazione con due forni rotativi, un edificio dedicato allo stoccaggio in silo della sansa ed infine un parco serbatoi per lo stoccaggio di prodotti lavorati e semilavorati. La parte dedicata alla produzione dell'energia era invece costituita da una caldaia di tipo verticale alimentata con scarti vegetali tramite una serie di nastri trasportatori collegati ai magazzini di essiccazione, da un impianto di abbattimento con filtri a maniche collegato alla ciminiera e da una sala turbine e alternatore per la produzione di energia elettrica. Dopo la fermata dell'impianto è stata approntata una campagna per le verifiche dello stato
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di inquinamento dell’area e degli impianti; in particolare durante l’analisi degli elementi di trattamento degli effluenti gassosi, si è constatato un significativo inquinamento del filtro a maniche che è risultato contaminato da polveri classificate pericolose.
Il cantiere Dopo la fermata per gli accertamenti sull'effettivo livello di inquinamento degli impianti e del suolo da parte degli organi di controllo, la proprietà di Copersalento ha deciso di fermare la produzione e di convertire l'intera area a diversi scopi produttivi. La prima fase di questa operazione si è attuata appaltando i lavori di demolizione del sito che comprendevano ovviamente la parte impiantistica ma anche una significativa parte di costruzioni edili. Viste le criticità e l'elevata specializzazione necessaria per la demolizione della par-
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te impiantistica, questo lavoro è stato affidato a Montalbetti che si è immediatamente mobilitata per studiare le problematiche e proporre le migliori soluzioni tecniche. La fase di indagine e analisi preliminare ha comportato un significativo investimento di tempo e risorse, giustificate dal fatto che per l’impresa questa sede riveste un’importanza fondamentale per l’individuazione delle criticità e predisporre già in fase progettuale le migliori soluzioni e le procedure di coordinamento necessarie ad affrontare correttamente la commessa.
Le criticità Oltre alla tempistica, che come spesso accade per questi cantieri era estremamente ridotta, dalla prima analisi del sito sono emerse immediatamente le criticità relative a due parti fondamentali dell’impianto: la parte distilleria e il filtro a maniche. La parte distilleria, che utilizzava come fluido di processo l'esano, presentava notevoli problematiche dovute proprio alle caratteristiche intrinseche di questa sostanza, con elevata volatilità, infiammabilità a basse temperature e formazione di miscele esplosive a determinate concentrazioni con ossigeno. La presenza di esano è stata rilevata in due serbatoi interrati e nelle linee di processo che seguivano la distillazione dell’olio di sansa. Il filtro a maniche a valle della caldaia è risultato contaminato da polveri classificate come pericolose, esso si presentava con una struttura sviluppata significativamente in altezza con evidenti fenomeni di corrosione sia sulla tamponatura esterna che su parte delle strutture di accesso che lo hanno reso di fatto inagibile per operazioni di bonifica eseguite con tecniche standard. Inoltre era necessario verificare che le tubazioni di collegamento e il fondo della ciminiera fossero prive di contaminazione. Purtroppo, buona parte di queste verifiche potevano essere fatte solo durante la fase di demolizione che doveva quindi essere eseguita con tecniche poco invasive ed estremamente controllate in maniera da fermare in sicurezza la demolizione e prendere immediati ed efficaci provvedimenti nel caso di rinvenimento di polveri in elementi adiacenti al filtro.
Le tecniche di demolizione Come abbiamo visto nella fase di analisi delle criticità, gran parte del buon esito della commessa era affidato alla corretta scelta delle tecniche di demolizione. Occorreva progettare un cantiere di demolizione in generale poco invasivo per permettere di controllare ogni fase della commessa dal punto di vista dell’inquinamento. Dal lato della sicurezza nell’approccio alla distilleria occorreva procedere con cautela e in assenza di operazioni a caldo o con generazione di scintilla per le ben note problematiche legate all’esano. Un primo ciclo di bonifica, infatti, pur avendo eliminato il 99% della frazione liquida di questo prodotto, non permetteva a priori di escludere la presenza di esalazioni e vapori che potessero dare luogo a miscele esplosive. Si è allora previsto uno smontaggio dei singoli componenti dell’impianto con strumenti anti-scintilla. La sequenza di smontaggio è stata fondamentale per garantire adeguati livelli di sicurezza, infatti essa è stata determinata in maniera da dare progressivamente sempre più “aria” all’impianto per permettere alle eventuali sacche di vapore di fuoriuscire. In primo luogo si è programmato di sezionare la connessione tra serbatoi di stoccaggio e il resto dell’impianto per poi eseguire sezionamenti mirati a partire dalla parte a valle dell’impianto (parte più vicina all’utilizzo) risalendo fino al primo punto di sezionamento subito dopo il serbatoio di stoccaggio. A supporto di queste attività si è anche prevista la fornitura di azoto che, in caso di ritrovamento di sacche significative, poteva essere utilizzato come inertizzante e gas di spinta per fare fuoriuscire i vapori. Terminata la fase di sezionamento con utensili manuali si potrà dare il via alla demolizione e al taglio meccanico delle tubazioni e dei serbatoi eseguiti con tecnica a freddo. Questa tecnica, se pur denominata “a freddo”, in realtà non esclude la formazione di scintille che si possono verificare per attrito dei metalli durante la fase di tranciatura; non è stato perciò possibile applicarla direttamente su linee con problemi di formazione di miscele esplosive, ma si è dovuto procedere con una fase preliminare di accurata verifica e smontaggio dei tratti di linea critici come descritto precedentemente.
Per quanto riguarda il filtro a maniche l’attività di progettazione si è concentrata sull’individuazione della tecnica migliore per demolire l’apparecchiatura salvaguardando l’integrità delle maniche che presentavano la principale contaminazione da poveri pericolose. A priori la soluzione più banale potrebbe sembrare quella più idonea: lo smontaggio delle singole maniche come se si trattasse di una ordinaria operazione di manutenzione. Questa possibilità in realtà era preclusa dalle pessime condizioni di conservazione del filtro che di fatto risultava inagibile e quindi era impossibile accedere sui grigliati e sulla sommità per imbracare e smontare le singole maniche. Occorreva quindi trovare una tecnica alternativa: si è pensato di smontare le maniche con la tecnica “a distanza” utilizzando cioè per l’operazione il braccio di un escavatore e la relativa pinza installata permettendo così di agire da lontano senza accedere direttamente alle strutture dl filtro. Per fare ciò occorreva però garantire alcune condizioni che risultavano possibili grazie all’impiego di una macchina con elevata altezza operativa e dotata di tecnologie di controllo dei movimenti molto raffinate e precise, con sistemi elettroidraulici ed elettronici che garantissero assoluta precisione nei movimenti e grazie al “fattore umano”, cioè un operatore con elevata professionalità e specializzazione nell’uso di questa macchina. Alla professionalità e alla specializzazione dell’operatore si è affiancata la dovuta formazione e informazione circa le caratteristiche di pericolosità dei filtri e sulle procedure da mettere in atto in caso di spandimenti accidentali di materiali o rottura degli stessi. Degna di nota era anche la demolizione della caldaia; sempre per limitare l’acceso di personale in quota e su elementi strutturali soggetti a usura e corrosione, si è deciso di privilegiare l’uso dell’escavatore anche per questa fase. In questo caso si è cercato di individuare la sequenza di demolizione più opportuna per massimizzare l’utilizzo dell’escavatore e minimizzare i tagli a caldo. In particolare si è progettato di sezionare mediante cannello ossipropanico e rimuovere con autogrù solo gli elementi in pressione disposti sulla parte superiore della caldaia (corpo cilindrico, tubi di caduta, ecc.),
successivamente l’escavatore si sarebbe potuto concentrare sulla demolizione del corpo caldaia e sul giro fumi. Il taglio a caldo è stato di nuovo previsto solo per gli elementi più importanti della carpenteria di sostegno.
Le attrezzature Le attrezzature utilizzate per realizzare la commessa sono state scelte nel parco macchine a disposizione di Montalbetti. Si è optato per un escavatore Liebherr 934 per l’esecuzione della demolizione della distilleria e delle parti impiantistiche “basse”, mentre per il filtro e per la caldaia, la scelta è caduta sul Liebherr 954 allestito con braccio da 28 m e pinza per metalli da 2,4 t per l’esecuzione delle demolizioni alle quote più elevate e per la rimozione “chirurgica” delle maniche dei filtri. La stessa macchina, terminata la fase più critica della demolizione, è stata allestita con il braccio corto e con una pinza da 6 ton e dimensioni maggiori per completare il resto delle demolizioni e coadiuvare il cantiere nella riduzione dimensionale del rottame. L’allestimento del cantiere è stato completato con gli impianti di taglio ossipropanico e con le macchine di contorno quali caricatori semoventi, fork lift, piattaforme telescopiche, autogrù, ecc.
zione e l’insaccamento in big bags delle maniche. Successivamente si è proceduto con la caldaia, la distilleria, il locale essiccazione, il magazzino e il parco serbatoi. La demolizione impiantistica è stata completata il 21 gennaio 2011 con una produzione totale di circa 2.000 tonnellate di rottami metallici. Al termine dei lavori si sono effettuate le consuete analisi di produttività ed efficienza del cantiere in funzione del numero dei mezzi, delle risorse e delle criticità affrontate. L’esito di queste analisi è stato senza dubbio positivo ed ha evidenziato come, pur in un contesto di significative criticità, con l’utilizzo di un numero di mezzi e risorse accuratamente calibrato, progettato e coordinato sul campo, si possono raggiungere elevati livelli di efficienza operativa con ottimi risultati in termini di sicurezza e di tutela ambientale. *Montalbetti S.p.a.
Conclusione Il cantiere è iniziato l’11 ottobre 2010 Dopo lo smontaggio della ciminiera metallica per il successivo recupero ci si è concentrati sulle attività di separazione meccanica del filtro a maniche dal resto dell’impianto e la verifica dell’assenza di contaminazione nelle tubazioni afferenti. Tutte le attività di demolizione del filtro sono state effettuate sotto la supervisione dei tecnici ARPA e si sono concluse positivamente con la rimo-
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BONIFICA E RIPRISTINO PER UNA EX DISCARICA DI RIFIUTI URBANI E INDUSTRIALI Organizzazione di cantiere e dettagli operativi dell’intervento che ha portato alla bonifica della ex cava di Montichiari utilizzata come discarica per fanghi industriali e RSU di Gabriella Jaforte e Corrado Bizzotto*
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l sito Bonomi, situato nel comune di Montichiari in Provincia di Brescia, era stato interessato, approssimativamente nel periodo intercorrente fra i decenni ‘60 e ‘70 dello scorso secolo, dalla messa a dimora incontrollata di rifiuti urbani ed industriali. Le attività di smaltimento di rifiuti non erano a quei tempi regolamentate da norme di legge specifiche e venivano pertanto condotte in assenza di qualsiasi presidio ambientale. Una particolare convenzione stipulata alla fine degli anni ‘90 fra la Pubblica Amministrazione del Comune di Montichiari (BS) e la Società Systema Ambiente s.r.l. ha ratificato un accordo secondo il quale il sito avrebbe dovuto essere bonificato a cura della stessa Systema Ambiente, che gestisce nello stesso Comune una discarica per rifiuti speciali pericolosi, come opera di compensazione ambientale a favore del territorio ospitante. Il primo progetto di bonifica del sito Bonomi risale al 1998; dopo l’emanazione del D.M. 471/99, Systema Ambiente ha aggiornato e ripresentato il progetto di bonifica adeguandolo alle nuove previsioni normative; l’iter istruttorio si è concluso definitivamente nel 2003 con l’approvazione del nuovo progetto. E’ stata quindi effettuata la bonifica del sito con la rimozione dei volumi dei rifiuti presenti
al di sotto del piano campagna ed il loro conferimento - previa caratterizzazione dei diversi lotti di lavorazione - in impianti autorizzati idonei. A seguito del buon esito dei collaudi di fondi scavo e scarpate, il ripristino dall’area si è concluso con il successivo riempimento con terre limose, ghiaia e terreno vegetale.
Inquadramento tecnico dell’intervento L’area, la cui superficie totale misurava circa 20.000 m2, prima dell’intervento di bonifica era caratterizzata da un’ampia depressione coltivata a prato ad una quota di circa 4-5 metri al di sotto del piano campagna delle aree circostanti. L’invaso della cava, formatasi a seguito di pregresse attività estrattive della ghiaia, tra gli anni ‘60 e ‘70 era stato utilizzato come discarica per rifiuti solidi urbani ed era stato interessato da scarichi incontrollati di rifiuti derivanti da attività industriali. Successivamente, alla fine degli anni ’70, l'area era stata ricoperta con terreno agricolo. Per poter provvedere alla corretta caratterizzazione del sito ed alla progettazione dell’intervento di bonifica, sono state preliminarmente condotte due campagne di indagine sulla qualità dei rifiuti presenti, dei terreni interessati dalla ex discarica e delle acque sotterranee
in corrispondenza e a valle dell’invaso. Sulla base dei dati acquisiti è stata effettuata una stima volumetrica del corpo rifiuti e delle differenti tipologie di materiali riscontrati all’interno della ex discarica: 1. rifiuti solidi urbani ed assimilabili; 2. rifiuti costituiti da fanghi di derivazione industriale; 3. terreni e ghiaie contaminati. Tali rifiuti, come detto, erano stati ricoperti con terreni di riporto e poggiavano su un substrato ghiaioso-sabbioso e limo-argilloso.
MODALITÀ OPERATIVE DI INTERVENTO Prima di procedere alla cantierizzazione è stata data comunicazione dell’inizio attività a tutti gli Enti preposti alla sorveglianza, sono state acquisite le necessarie autorizzazioni e si è provveduto all’allacciamento alle utenze a servizio del cantiere (acqua, scarichi ed energia elettrica). La fase di cantierizzazione è stata condotta attraverso la realizzazione delle infrastrutture: recinzione di cantiere, cancello e segnaletica generale e di sicurezza; viabilità di accesso; area servizi di cantiere con superficie di circa 6.000 m2, con piazzali di manovra e parcheggio di circa 2.300 m2; allacciamenti elettrici e
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idraulici per i servizi e l’illuminazione; box servizi, spogliatoi e ufficio per la Direzione Lavori; serbatoio per approvvigionamento idrico; cassoni scarrabili per lo stoccaggio di eventuali materiali provenienti dagli scavi non appartenenti alle tipologie previste. Per la movimentazione di materiali e rifiuti e per lo stoccaggio è stata realizzata una piattaforma coperta (capannone), mentre per l’intercettazione delle acque meteoriche e di percolamento sono state realizzate apposite opere di raccolta e stoccaggio. Nell’area servizi è stato installato un impianto per il lavaggio delle ruote dei mezzi in uscita dal sito, dotato di sistema di raccolta e riciclo delle acque di lavaggio. La porzione di area servizi interessata dal transito e dalla manovra dei mezzi impegnati nella movimentazione dei rifiuti dalla zona di bonifica al capannone di stoccaggio provvisorio è stata opportunamente impermeabilizzata. L’analisi dei dati raccolti nel corso delle preliminari attività di caratterizzazione aveva consentito di ricostruire con sufficiente dettaglio la giacitura e le tipologie di materiale in fase solida presenti all’interno della ex-cavità. Sulla base della ricostruzione sono stati previsti diversi destini per i rifiuti derivanti dalla ex discarica: • smaltimento in discariche per rifiuti speciali non pericolosi, per rifiuti speciali pericolosi e per rifiuti inerti; • trattamento di inertizzazione prima dello smaltimento in discarica; • recupero. Si è proceduto nell’intervento di bonifica con le seguenti operazioni: • asportazione dei rifiuti e dei terreni presenti nella cavità attraverso lo scavo con
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mezzi meccanici; • selezione visiva dei materiali in fase di scavo; • trasporto dei materiali scavati nelle zone di stoccaggio predisposte nell’area servizi, costituendo cumuli separati all’interno dei box con volume utile da 300 m3 e distinti per tipologia prevalente; • campionamento dei materiali dai cumuli e caratterizzazione ai fini della classificazione degli stessi; • ricollocamento dei materiali conformi ai limiti normativi, ai fini del ripristino ambientale, all'interno dell'area soggetta a escavazione una volta concluso il collaudo ambientale; • trasporto dei materiali non conformi presso i poli di trattamento, recupero o smaltimento. Il piano di escavazione prevedeva l’asportazione del materiale per fasce, a partire dalla zona sud del sito, arretrando verso nord e formando un unico fronte di scavo di altezza media pari a circa 4,5 m. Lo scavo è stato realizzato mediante utilizzo di escavatori cingolati. Il materiale veniva caricato su automezzo dumper specifico per il trasporto interno dalla zona di bonifica all’area servizi. I terreni provenienti dallo scotico, in attesa dell’esito della caratterizzazione, sono stati stoccati temporaneamente presso aree interne dedicate, delimitate da un cordolo perimetrale, impermeabilizzate con geotessile in polietilene. Per il deposito dei rifiuti rimossi dalla ex discarica è stato utilizzato l’apposito capannone di superficie pari a circa 1000 m2, suddiviso in
diversi box di scarico e dotato di una platea impermeabilizzata con idoneo sistema per la raccolta del percolato. Data la prossimità del fondo del corpo rifiuti al livello superiore della falda acquifera, durante le attività di rimozione del materiale il livello delle acque sotterranee è stato monitorato con cadenza settimanale per osservare possibili criticità operative in caso di risalita delle stesse acque nelle aree di scavo, e per poter mettere eventualmente in atto i dispositivi di drenaggio e controllo previsti dal progetto approvato (sistema wellpoint). Per la realizzazione delle operazioni di bonifica sono stati utilizzati due escavatori, due autocarri dumper, una pala meccanica ed una lama cingolata; durante le operazioni di bonifica erano in forza presso il cantiere, per 8 ore al giorno e per 5 giorni alla settimana, due addetti alla movimentazione dei materiali ed il Responsabile di Cantiere.
Recupero dell a depressione rimanente Per ogni settore di intervento, una volta giunti in prossimità del fondo della depressione, è stata effettuata una campagna di indagini mirata alla verifica in sito del raggiungimento degli obiettivi della bonifica. Le indagini hanno riguardato sia il fondo sia le pareti dello scavo. Terminate le operazioni di allontanamento dei materiali ed i collaudi dei fondi scavo si è provveduto al recupero ambientale dell’area. Lo scavo è stato colmato con materiali differenziati. Successivamente è stata effettuata la posa dello strato di terreno vegetale in modo da permettere l'inerbimento dell'intera area e la messa a dimora di un bosco; il materiale utilizzato è stato prelevato dalla frazione di scotico risultato conforme agli obiettivi di bonifica in fase di caratterizzazione ed accumulato nell’area di cantiere. Lo strato finale di copertura è stato modellato in modo da poter disperdere sulla maggior superficie possibile le acque meteoriche insistenti sull’area. I fossi di scolo esterni sono stati ripristinati in modo da impedire alle acque di ruscellamento provenienti dai settori orientali di raggiungere la superficie dell’area Bonomi. Alla fine delle operazioni, sono stati smantellati l’area servizi ed i relativi manufatti.
Gestione delle acque di ruscell amento Per quanto riguarda l’area di bonifica, durante l'esposizione dei settori di scavo agli agenti atmosferici, è stato adottato un sistema di copertura di tipo mobile con teli in HDPE al fine di evitare il dilavamento del materiale durante le precipitazioni meteoriche. Il sistema di impermeabilizzazione mobile, attraverso apposite canalette di raccolta delle acque, stazioni di raccolta e rilancio delle acque e cisterne di stoccaggio, consentiva la regimazione, il controllo analitico e la corretta gestione delle acque ricadenti sul corpo rifiuti. La porzione dell’area servizi impermeabilizzata è stata attrezzata con un opportuno impianto di raccolta, stoccaggio e smaltimento delle acque meteoriche di prima e di seconda pioggia. Al fine di evitare, sull’area di bonifica, interferenze da parte delle acque meteoriche provenienti da una terrazza sopraelevata posta a lato dell’area di intervento, è stata prevista la realizzazione di due canali (fossi di guardia) per convogliare dette acque in una vasca di laminazione posta a valle e consentire successivamente la loro dispersione. Durante le operazioni di indagine dei terreni è stata rilevata la presenza, in tutta l’area di interesse, di uno strato impermeabile di argilla, la cui profondità varia fra 1 e 4 m al di sotto del piano campagna. Al di sopra di tale strato impermeabile, in occasione di precipitazioni intense e di lunga durata, avrebbe potuto crearsi un flusso sotterraneo potenzialmente a contatto con il corpo rifiuti. Si rendeva quindi necessario prevedere, nel corso della bonifica, la gestione delle acque sotterranee presenti negli strati superficiali del sottosuolo in modo che queste non interferissero con le operazioni di rimozione dei rifiuti. Codice CER
Rifiuti solidi [kg]
19 13 01
3.300.920
19 13 02
43.796.780
17 05 04
23.508.030
Sono state pertanto pianificate procedure di rimozione delle acque indesiderate eventualmente rinvenute tramite autobotti con successivo recapito in appositi serbatoi presso l’area servizi per la successiva gestione delle stesse (verifica analitica e, in relazione all’esito analitico, smaltimento in acque superficiali o conferimento ad impianti autorizzati). Il progetto di bonifica approvato prevedeva inoltre, nel caso di riscontro di quantità rilevanti di acqua all’interno del corpo rifiuti, la realizzazione lungo il perimetro dell’area di scavo di una trincea drenante in grado di intercettare il tetto dello strato di argilla e proteggere così il corpo rifiuti dal flusso d’acqua sotterranea che avrebbe potuto crearsi al di sopra dello strato impermeabile. Le acque (colaticci) eventualmente rilasciate dai materiali abbancati all’interno dell’area di stoccaggio coperta confluivano ad un punto di raccolta centralizzato costituito da un pozzetto a tenuta e da qui, una volta analizzate, venivano conferite ad idoneo impianto autorizzato. Rifiuti liquidi [kg]
16 10 02
293.780
19 08 02
94.060
TOTALE
70.605.730
387.840
Riepilogo delle quantità e delle tipologie di rifiuti derivanti dalla bonifica
Totale rifiuti [kg]
70.993.570
L’eventuale sistema di drenaggio della falda, da adottare nel caso in cui si fosse operato in prossimità del livello freatico, prevedeva la realizzazione di un intervento per ogni singolo settore di scavo con la formazione di un terrapieno opportunamente dimensionato, lungo il quale sarebbero stati installati dei micro pozzi, spinti fino alla quota di interesse, attrezzati con adeguate elettropompe centrifughe per drenare l’acqua di falda.
Programmi e sistemi di controllo ambientale Il sistema di controllo e monitoraggio ambientale ha riguardato i seguenti comparti: • rifiuti e terreni destinati allo smaltimento o al recupero - sono stati analizzati in tutto poco meno di 100 campioni; • acque sotterranee - misure piezometriche e di qualità; • acque superficiali di dilavamento e di servizio - misure di qualità; • atmosfera - misure di qualità dell’aria; • ambiente di lavoro - misure su rumore ed esposizione agli agenti fisico-chimici e batteriologici. Tutte le attività di monitoraggio sono state condotte sia nel periodo di bonifica sia in quello di post-bonifica. I risultati dei controlli ambientali effettuati hanno comprovato la corretta conduzione e l’esito positivo della bonifica su tutti i comparti indagati. *Systema Ambiente s.r.l.
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RIDUZIONE CHIMICA E SOIL-MIXING PER TERRENI CONTAMINATI DA VOC L’applicazione di una tecnologia che deriva dal settore delle fondazioni speciali abbinata ad un’efficace soluzione riducente per il trattamento di aree contaminate da solventi clorurati di Christophe Chêne*
I
solventi clorurati sono composti ampiamente utilizzati in industria, in chimica, nella pulizia a secco e che, in seguito ad incidenti, fuoriuscite, sversamenti accidentali e pratiche poco virtuose si ritrovano abbastanza frequentemente nei terreni e nelle acque sotterranee. Le molecole riscontrate più di frequente sono il percloroetilene e il tricloroetilene: si tratta di molecole costituite da un doppio legame carbonio-carbonio su cui sono innestati atomi di cloro. Questi inquinanti che, contrariamente agli idrocarburi, non esistono in natura sono scarsamente biodegradabili in condizioni naturali e questa loro caratteristica fa sì che, anche per piccole quantità di prodotto sversato nell’ambiente, le contaminazioni siano spesso di entità rilevante e, soprattutto, di natura irreversibile. In linea generale, oggi si ritiene che i tempi per la bonifica della falda mediante tecniche classiche di Pump&Treat si possa calcolare in decenni. Questi ultimi dieci anni hanno visto lo sviluppo di nuove tecnologie per il trattamento degli inquinanti recalcitranti: in partico-
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lari condizioni fisico-chimiche, che possono essere ricreate artificialmente, e in presenza di specifici micro-organismi, è possibile, ad esempio, realizzare una biostimolazione. La biodegradazione dei solventi clorurati costituisce, dunque, una soluzione normalmente utilizzata, ma unicamente nei casi di trattamento di plume di contaminazione scarsamente concentrati. Le zone sorgente che presentano delle forti concentrazioni sono quelle più frequentemente affrontate mediante scavo (quando è possibile) o tramite ossidazione chimica: questa costituisce una soluzione efficace sulle forti concentrazioni, ma presenta comunque numerosi inconvenienti, tra cui il fatto di non consentire il raggiungimento di bassi livelli residuali di decontaminazione; essa inoltre non è compatibile con un trattamento biologico successivo per via anaerobica. Al fine di risolvere il problema dell’unione tra un trattamento efficace della zona sorgente ed un trattamento composto del plume, Soléo Services, in collaborazione con Mesnard (gruppo VINCI), ha messo a punto una soluzione innovativa che combina il trattamento chimico e quello biologico. Questo tipo di trattamento, sperimentato in un cantiere francese, ha dimostrato un’efficacia eccezionale, andando ben al di là dei
risultati raggiungibili attraverso le tecniche classiche, ed è basata su una doppia innovazione, ovvero la miscelazione del terreno unita a un trattamento di riduzione chimica. Questa soluzione prevede: 1. una tecnica di miscelazione del suolo in situ (soil mixing) che proviene dal settore delle fondazioni speciali; 2. una potente soluzione riducente per il trattamento dei solventi clorurati, messa a punto da Soléo Services. La miscelazione del suolo in situ abbinata a un trattamento chimico costituisce un approccio assolutamente innovativo per il trattamento del suolo e delle acque sotterranee: fin qui, infatti, i trattamenti chimici erano realizzati unicamente tramite iniezioni puntuali o continue. Se in laboratorio i trattamenti chimici danno risultati eccellenti, il loro limite tecnico consiste nella difficile messa in contatto dell’inquinante con il reagente. Il principio del trattamento di miscelazione del suolo in situ consiste nella miscelazione del terreno attraverso la perforazione con una trivella concepita specificatamente per l’iniezione del reagente. Il trattamento viene effettuato per passaggi successivi che si definiscono in funzione dell’effetto voluto. Questa soluzione permette di effettuare trattamenti ad elevate
profondità, aspetto importante nei casi di solventi clorurati poiché questi, essendo più densi dell’acqua, hanno una tendenza naturale ad affondare e ad accumularsi in profondità. Il reagente utilizzato si basa sulla reazione di dealogenazione dei solventi ben conosciuta del ferro zero-valente. La reattività di quest’ultimo è proporzionale alla sua superficie specifica e, anche al fine di disporre di un reagente maggiormente efficace, Soléo Services ha messo a punto una soluzione di ferro zero-valente in nanoparticelle. In seguito alla sua realizzazione in laboratorio, è stata creata un’unità mobile di sintesi per la fabbricazione diretta in cantiere del reagente.
Caso studio Il sito preso in esame era un’antica area industriale, situata a sud-est della Francia, che utilizzava il TCE nei suoi processi produttivi. Il sito è stato interamente demolito e alcune indagini ambientali hanno messo in evidenza una zona sorgente di contaminazione da TCE a una concentrazione dell’ordine di 2.000.000 µg/l (presenza della fase libera), che prosegue a valle con un plume contenente TCE, ma anche altri composti derivanti dalla sua degradazione, dicloroetilene (DCE) e cloruro di vinile (VC). La concentrazione all’interno del plume di contaminazione è di qualche decina di migliaia di µg/l. È stato portato avanti uno studio delle possibili soluzioni, arrivando così ad escluderne alcune per il trattamento della zona sorgente e scegliendone invece una per il trattamento del plume di contaminazione.
Per quest’ultimo la soluzione che si è imposta come la più naturale per il livello di concentrazione e per i suoi costi ridotti, è stata quella del trattamento biologico anaerobico. Un test di laboratorio ha permesso di valutare l’efficacia di questa soluzione, che non è stato però possibile applicare al trattamento della zona sorgente a causa dell’elevata concentrazione riscontrata. Per il trattamento di questa zona sono quindi state considerate le tre soluzioni riportate. 1. Ossidazione chimica in situ: questa soluzione non è stata considerata valida in quanto non compatibile con un trattamento biologico anaerobico del plume; inoltre non consentiva di ottenere obiettivi sufficientemente bassi e presentava costi piuttosto elevati. 2. Escavazione e trattamento ex situ: in questo caso le condizioni di escavazione sarebbero state particolarmente critiche dal punto di vista tecnico, poiché risultava necessario scavare per 5 m al di sotto del livello della falda; inoltre, essendo il sito collocato in centro città, l’escavazione poneva numerosi problemi legati alle emissioni di inquinanti in atmosfera nonchè alla circolazione dei mezzi pesanti per il trasporto dei terreni contaminati. 3. Riduzione chimica per miscelazione del terreno in situ: questa è stata giudicata la migliore soluzione da adottare, perché i suoi costi erano equivalenti ad altre soluzioni, ma la sua efficacia era superiore rispetto all’ossidazione e non causava le problematiche legate all’escavazione.
E’ stata quindi scelta la soluzione seguente: • trattamento della zona sorgente attraverso riduzione chimica con miscelazione del terreno in situ; • trattamento immediato del plume di contaminazione attraverso biostimolazione anaerobica; • attenuazione naturale monitorata nella zona periferica estesa. Il reagente utilizzato per il trattamento attraverso riduzione chimica è stato messo a punto nei laboratori Soléo Services ed utilizza le proprietà di dealogenazione del ferro. Due sono le reazioni che si verificano: • reazione diretta con il ferro (ß-eliminazione) nel 90% dei casi Fe0 + RCl + H+ => Fe2+ + RH + Cl• reazione indiretta con il ferro (idrogenolisi) nel 10% dei casi Fe0 + 2H2O => Fe2+ + OH- + H2 H2 + RCL => RH + Cl- + H+ Le prove di laboratorio effettuate con questo reagente hanno messo in evidenza dei risultati eccezionali: sui terreni è stato rilevato infatti un abbattimento di oltre il 98% (concentrazione residua inferiore al limite di rilevabilità <0,1 mg/kg). Siccome i prodotti residui derivanti dal trattamento sono rappresentati da ossidi di ferro, naturalmente già presenti nel suolo, la soluzione del reagente utilizzato non presenta particolari rischi di impatto sull’ambiente, ma ciò nonostante è stato ritenuto opportuno effettuare uno studio di ecotossicità. Sono stati condotti dei test di mobilità su dafnia, in parte su campioni contaminati, in parte su campioni decontaminati contenenti il reagente.
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Tali test hanno dimostrato che questi ultimi campioni, a differenza dei primi, risultavano assolutamente privi di tossicità; allo stesso modo, contrariamente ad altre soluzioni biologiche o chimiche, la degradazione dei solventi clorurati per riduzione chimica non produce dei sottoprodotti tossici. I prodotti finali della declorazione dei solventi clorurati con questa soluzione sono principalmente etene e ioni cloruro. Per quanto riguarda le fasi di cantiere, una campagna con sonda MIP (Membrane Interface Probe) ha consentito di cartografare in modo preciso l’estensione della zona sorgente. La zona da trattare mediante miscelazione del suolo in situ era rappresentata da un'area di 150 m2 su 70 m di profondità ed il test condotto in laboratorio ha permesso di calcolare in modo esatto la quantità di reagente necessario per unità di suolo. In seguito alle prove, è stato messo a punto l’impianto di iniezione e di miscelazione, che comprende: • un’unità di sintesi del reagente; • una pompa di iniezione ad alta pressione; • un reparto di miscelazione del suolo. Il reagente viene sintetizza direttamente in loco, in linea con il processo di iniezione, metodologia che assicura la più alta reattività possibile per il reagente con evidenti vantaggi dal punto di vista della sicurezza. La prima tappa del cantiere consiste nel dissodare le zone di lavoro e nel costruire piattaforme che consentano l’accesso ottimale alla zona dal reparto di miscelazione. Il sistema consente di adattare la concentrazione del reagente all’interno di ogni livello del suolo, calibrando quindi l’iniezione in funzione della geometria della contaminazione e della variazione della stratigrafia del terreno o della concentrazione degli inquinanti. In totale, il trattamento dei 1050 m3 di suolo contaminato è stato effettuato in 3 settimane, ciò significa che per la realizzazione dei 300 step di miscelazione del suolo sono bastate meno di 3 settimane; come tempistiche siamo nello stesso ordine di grandezza di un trattamento mediante escavazione. Il controllo della qualità delle acque all’interno della zona sorgente trattata con miscelazione in situ è stato eseguito grazie all’installazione di un piezometro. L’ultimo valore registrato
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prima della realizzazione della miscelazione era di 350.000 µg/l di TCE e 29.000 µg/l di cis1,2 DCE. Un mese dopo il trattamento le concentrazioni di TCE e cis-1,2 DCE nelle acque sotterranee erano rispettivamente di 49 e 160 µg/l. Questi dati mostrano un abbattimento del 99,9% in un mese di trattamento, risultato eccezionale che non sarebbe assolutamente immaginabile con una qualsiasi altra tecnica di trattamento in situ esistente. Il monitoraggio della qualità delle acque di falda nel piezometro di controllo viene eseguito da circa un anno e le concentrazioni restano su livelli bassi e stabili. Il sistema adottato mostra quindi risultati permanenti, aspetto ugualmente eccezionale in quanto generalmente nel trattamento dei solventi clorurati si evidenziano fenomeni di rebound. La bonifica del sito prosegue quindi con il trattamento biologico anaerobico del plume, realizzato mediante iniezioni di sostanze riducenti in 42 postazioni a copertura dell’intero plume attorno alla zona di esecuzione del trattamento mediante soil mixing. Il trattamento del plume è iniziato nell’agosto scorso ed avrà una durata compresa tra i 18 e i 24 mesi.
Conclusioni I trattamenti di bonifica dei solventi clorurati nella zona sorgente pongono ancora enormi problemi in quanto le soluzioni tecniche classiche non permettono di fornire garanzie certe ai clienti.
Per tentare di risolvere tale problema Soléo Services ha messo a punto una soluzione tecnica innovativa, in grado di abbinare la miscelazione del terreno in situ e il trattamento chimico. Questo accoppiamento si dimostra particolarmente efficace sui solventi clorurati in quanto rende possibile il trattamento della zona sorgente consentendo comunque un trattamento del plume di contaminazione attraverso biostimolazione anaerobica, come dimostrato dagli ottimi risultati del caso di studio illustrato. Questa soluzione tecnica presenta quindi i vantaggi tipici dei trattamenti in situ (nessun problema di emissioni in atmosfera, nessuna esposizione dei lavoratori o dei residenti, nessun trasferimento di rifiuti, ecc.) e offre l’efficacia, i livelli di garanzia ed una durata di trattamento e d’intervento analoghi all’escavazione e smaltimento ex situ. Dal punto di vista economico il costo di questo tipo di operazione si attesta invece ad un livello intermedio tra quello del trattamento in situ e quello dell’escavazione. Soléo Services sta lavorando attualmente sullo sviluppo di questa tecnologia applicata ad altri tipi di inquinanti e oggi la miscelazione del suolo in situ è già stata testata per il trattamento di contaminazioni da idrocarburi, BTEX e cromo mentre sono ancora in corso studi per il trattamento di pesticidi, PCB ed altri metalli pesanti. * Soléo Services
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RUMORE, POLVERI, VIBRAZIONI E DETRITI: NO GRAZIE! SCELTE INNOVATIVE E SOLUZIONI AD HOC HANNO CONSENTITO L’ESECUZIONE DI UN LAVORO COMPLESSO DI DECOSTRUZIONE DI UN EDIFICIO A ROMA, IN TOTALE ASSENZA DI DISTURBI PER LA CITTADINANZA di Andrea Terziano
O
rmai si sa che gli interventi di demolizione complessi necessitano di tecnologie particolari e di un buon progetto che consenta di pianificare l’intervento e le attrezzature da impegnare, quando però l’intervento avviene in pieno centro urbano le cose si complicano ulteriormente, in quanto bisogna prevedere di operare in spazi ristretti, in presenza del traffico cittadino, tenendo sotto controllo polveri, rumori, vibrazioni e proiezione di detriti. Se poi la città fosse Roma e l’intervento riguardasse la demolizione completa della ex-LUISS (Libera Università Internazionale degli Studi Sociali) acquistato da CNA allora parleremmo sicuramente dell’intervento che in queste settimane vede impegnata General Smontaggi S.p.a., azienda leader nel settore del decommissioning civile e industriale. L’appalto concorso, aggiudicato alla fine dell’anno scorso dall’azienda novarese, aveva degli obiettivi molto chiari: ridurre drasticamente i disagi per la cittadinanza del quartiere, limitando al massimo i disturbi prodotti dall’intervento di demolizione, prevedere una serie di monitoraggi in corso d’opera e dimensionare una tecnologia di intervento che consentisse di operare con spazi al contorno molto ristretti senza pregiudicare la sicurez-
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za nello svolgimento dell’attività di cantiere. Ai concorrenti veniva richiesta l’elaborazione di una proposta di intervento a livello definitivo, un vero e proprio progetto esecutivo della demolizione, atto ad individuare la corretta tecnologia di demolizione per salvaguardare i fabbricati a contorno ed il traffico, sia veicolare che pedonale, circostante l’edificio di proprietà della CNA. Presentiamo di seguito i punti principali della proposta elaborata da General Smontaggi che, per pregio tecnico e per le soluzioni adottate, ha consentito all’azienda di aggiudicarsi questo importante appalto.
Il contesto urbano L’edificio da demolire, sito nel Comune di Roma – Municipio III - in Via Oreste Tommasini, 1/a, è collocato in un quartiere densamente abitato con presenza di esercizi commerciali e civili abitazioni poste al confine della proprietà oggetto di demolizione. Gli spazi operativi al contorno della struttura da demolire, lungo i fronti stradali, sono pressoché inesistenti in quanto i tamponamenti perimetrali Sud ed Ovest confinano direttamente con i camminamenti pedonali di Via Ignazio Giorgi e di Via Oreste Tommasini. L’edificio da demolire è una costruzione risalente agli anni ‘50 che si sviluppa per 7 piani
fuori terra ed un piano interrato raggiungendo un’altezza complessiva di 25 m circa. La pianta ha forma trapezoidale, con dimensioni complessive pari a circa 28,60 x 25,75 m, che si mantiene con distribuzione costante per i primi 5 piani e subisce due riduzioni planimetriche al 6° e al 7° piano con arretramento dei fili esterni del fabbricato. In zona centrale sono presenti due grandi cavedi a forma quadrata con funzione di vuoto interno che si sviluppano per l’intera altezza del fabbricato. La struttura portante del fabbricato è costituita da pareti perimetrali portanti, realizzate in muratura piena mista a blocchi di tufo, e da uno scheletro interno costituito da travi e pilastri in c.c.a. Gli orizzontamenti sono di tipo tradizionale a travetti e pignatte e sono orditi in direzione perpendicolare alla direzione delle pareti perimetrali.
Scelta dell a tecnica di demolizione In accordo con quanto prescritto nel bando di gara, scopo della proposta demolitiva elaborata da General Smontaggi è stata la realizzazione di un intervento valido sia tecnicamente che economicamente, fissando come obiettivi principali il mantenimento dei più alti standard di sicurezza in tutte le fasi lavorative, la ridu-
zione degli impatti prodotti sia sull’ambiente che sulla popolazione circostante (polveri, rumori e vibrazioni) oltre che la riduzione dei tempi e dei costi dell’intervento. Le tecniche che potevano essere utilizzate per la demolizione dell’edificio di Via Tommasini, escludendo a priori quelle per induzione del crollo (demolizioni con microcariche esplosive), erano: • demolizione top down con escavatori da demolizione a braccio lungo: tale tecnica prevede l’impiego di speciali escavatori in assetto da demolizione e predisposti per lavorare in quota; questi mezzi, allestiti con martelli demolitori, pinze e cesoie, procedono con una demolizione progressiva e controllata dell’edificio dall’alto verso il basso; • decostruzione della struttura mediante sezionamento in conci: attraverso sezionamenti con attrezzature al diamante, quali filo e dischi diamantati, l’intera struttura viene ridotta in elementi successivamente calati a terra utilizzando idonei mezzi di sollevamento; • decostruzione controllata con minimacchine portate ai piani: questa tipologia di demolizione viene eseguita attraverso mezzi di piccole dimensioni e pesi contenuti i quali vengono portati direttamente al livello più alto della struttura da demolire grazie ad un mezzo di sollevamento; i mini-mezzi procedono secondo una predefinita procedura operativa nella demolizione piano per piano, dalla sommità sino al piano campagna. La demolizione top down con escavatori da demolizione dotati di braccio lungo operanti con i cingoli a quota del piano campagna non era applicabile in quanto gli spazi al contorno della struttura non consentivano al mezzo l’operatività necessaria per l’esecuzione dell’intervento. Sarebbe stato infatti necessario chiudere per tutta la durata dei lavori le vie adiacenti all’edificio. Inoltre, demolendo con mezzo meccanico non sarebbe stato possibile installare alcuno schermo di contenimento delle poveri e dei detriti, in quanto il mezzo per progredire nella demolizione avrebbe avuto bisogno di un lato di edificio completamente libero ed accessibile.
Risultavano invece applicabili le altre due tecniche che prevedevano la decostruzione dell’edificio realizzata in un caso con attrezzature da taglio e nell’altro mediante speciali mezzi d’opera portati in quota. Queste due soluzioni consentivano un intervento mirato sulla struttura, infatti per limitare gli impatti ambientali creando ponteggi o apposite strutture di contenimento integrali allo scopo di limitare le polveri ed i rumori, rimanevano solamente le ipotesi di operare esclusivamente dall’interno dell'edificio. A seguito di un’attenta analisi preliminare i tecnici dell’impresa hanno privilegiato la tecnica di decostruzione con minimacchine, in quanto uno smontaggio strutturale avrebbe richiesto tempi di esecuzione molto lunghi e condizioni operative complesse a causa dei numerosissimi tiri da effettuare con il mezzo di sollevamento, soprattutto nel caso di strutture in muratura portante e solai in latero-cemento. La tecnica standard di decostruzione di un edificio prevede di operare direttamente in
quota con mezzi speciali di piccole dimensioni, che demoliscono piano per piano la struttura secondo schemi e procedure di lavoro specifiche. Nel caso in esame sono stati adottati gli accorgimenti progettuali e le soluzioni tecnologiche innovative descritte di seguito, pensate appositamente per ridurre le criticità legate ad una demolizione in un area urbana: • l’utilizzo di mezzi da demolizione radiocomandati che consentono all’operatore di rimanere a distanza di sicurezza dalla zona in demolizione; • la realizzazione di un ponteggio perimetrale all’edificio rivestito con pannellatura integrale fonoassorbente che consente di abbattere rumore, polveri e proiezioni di detriti verso le vicine strade e i fabbricati prospicienti; • l’installazione di un sistema di puntellamento dei solai per garantire la portata operativa ed i margini di sicurezza degli elementi strutturali orizzontali soggetti al peso dei mezzi d’opera in movimento;
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• l’installazione di un sistema di abbattimento delle polveri con getti nebulizzanti in quota; • la discesa al piano campagna delle macerie in apposte ceste calate entro i cavedi dell’edificio; • l’approntamento di una gru a torre con portata elevata per la movimentazione dei mezzi operativi e delle macerie prodotte durante la demolizione. Il controllo dei disturbi prodotti dall’intervento veniva infine garantito da specifiche campagne di monitoraggio polveri, rumore e vibrazioni che avrebbero consentito un controllo sistematico dei valori prodotti durante l’esecuzione dei lavori, in modo da garantire il rispetto dei limiti di riferimento previsti in fase di progetto ed eventualmente gestire con azioni specifiche in corso d’opera eventuali superamenti.
Le fasi di l avoro del cantiere Il cantiere di demolizione General Smontaggi prevede come prima operazione l’installazione della logistica di cantiere ed il montaggio di un mezzo di sollevamento con portate adeguate sia per la movimentazione delle macerie, sia per lo spostamento delle macchine radiocomandate portate sui piani (gru a torre Liebherr modello 112EC-H a rotazione superiore con sbraccio da 40 m ed un’altezza sottogancio di 34 m con portata in punta pari a circa 3.050 kg). Preliminarmente all’installazione della gru a torre si sono resi necessari degli accorgimenti atti a garantire la stabilità del piano di appoggio della gru stessa e a scongiurare eventuali crolli del muro interrato perimetrale a diretto contatto con le forze di spinta orizzontale indotte dalla gru. In particolare si è realizzato un basamento in conglomerato cementizio armato avente dimensione 800x500x20 cm a livello strada e un sistema di sbadacchiature interamente realizzato in legno costituito da travi e puntoni di contrasto al piano interrato. Considerati gli spazi estremamente ridotti è stato necessario, al fine di installare l’apparecchio di sollevamento e il sistema di protezione acustico, predisporre un’occupazione di suolo pubblico in corrispondenza di Via Ignazio Giorgi e Via Oreste Tommasini.
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Inoltre, in accordo con la Direzione Lavori e le Autorità pubbliche, è stata rivista la viabilità pedonale e veicolare delle vie adiacenti, in particolar modo durante le giornate di montaggio e smontaggio della gru a torre. Per avere fronti di montaggio del ponteggio perimetrale i più regolari possibile è stato necessario andare a rimuovere, mediante sezionamento e svaro con gru a torre, tutti i balconi dell’edificio oggetto di demolizione. Le dimensioni dei conci e di conseguenza il loro peso sono stati definiti in fase di progetto in funzione della distanza del baricentro del concio dal centro ralla della gru a torre che ne determina la portata operativa. Successivamente alla demolizione dei balconi aggettanti e prima della decostruzione dell’edificio, è stato dimensionato e montato un ponteggio a telai prefabbricati del tipo “Realpont 105”, lungo tutto il perimetro della struttura sul quale è stata poi installata una pannellatura cieca completa in materiale fonoassorbente. Ogni pannello avente dimensione 3x1 m è stato fissato al ponteggio direttamente sui montanti esterni. Contemporaneamente al montaggio del ponteggio, si è provveduto all’installazione di un sistema di puntelli su tutti i piani, in modo da far cooperare i solai sottostanti a quello sul quale vengono posizionati i mezzi d’opera per ottenere una redistribuzione del carico apportato dalle macchine su più livelli, e non solo su un unico orizzontamento. Questa necessità derivava dalla scarsissima capacità portante
dei solai posti in opera i quali non garantivano assolutamente la stabilità statico-strutturale durante le fasi di lavoro. Una volta completata la realizzazione del ponteggio perimetrale ed installati i puntellamenti ai piani, è stato possibile portare in quota i mezzi meccanici radiocomandati per l’esecuzione della decostruzione progressiva dell’edificio. Si è previsto di utilizzare 2 miniescavatori da demolizione radiocomandati, uno allestito con pinza demolitrice ed uno con pinza per c.c.a. o benna di carico, manovrabili a distanza dagli operatori a mezzo di un radiocomando. Il sollevamento di questi mezzi d’opera ed il posizionamento degli stessi sul lastrico solare dell’ultimo livello viene garantito dalla presenza in cantiere della gru a torre. Le macerie prodotte dalla frantumazione del c.c.a. vengono ciclicamente movimentate dall’escavatore dotato di benna di carico e convogliate all’interno di una benna auto ribaltante da 1,5 m3 portata in quota dalla gru a torre e poi calata entro i due cavedi interni, fino a raggiungere il piano interrato dove si prevede il rilascio a terra delle macerie. Nell’edificio da demolire è stato identificato un particolare schema statico che si ripete uguale a se stesso e rimane invariato per i diversi piani, tale schema costituisce il livello tipo da demolire. L’ordine da tenersi nella demolizione del livello tipo viene scelto inverso a quello utilizzato nella costruzione dell’edificio, si è quindi proceduto alla rimozione dei tamponamenti, degli orizzontamenti, poi delle travi ed infine dei pilastri. Tutte le procedure di dettaglio sono state progettate in modo da non causare mai, in nessuna fase di lavoro, situazioni incontrollabili di instabilità globale e locale e crolli improvvisi. La decostruzione è stata studiata per procedere a fasi cicliche di piano in piano scendendo verso il basso. Al termine della decostruzione di un livello i mezzi sono riposizionati sul piano sottostante utilizzando la gru a torre. I minimezzi possono scendere di livello passando attraverso un’apertura nel solaio avente dimensioni adeguate al passaggio delle macchine. Contestualmente a tali operazioni si procede all’abbassamento di un livello del ponteggio perimetrale fonoassorbente, fino al completamento dell’intervento.
Un successo annunciato Ad oggi i lavori sono in corso di esecuzione e vedono gli operatori di General Smontaggi impegnati nella demolizione del penultimo piano dell’edificio, confermando l’efficienza delle soluzioni tecniche presentate in fase di gara e la correttezza dei modelli previsionali adottati sia per il dimensionamento delle opere provvisionali (ponteggi e puntelli) sia per la previsione dei disturbi prodotti dalla demolizione che, a distanza di un mese dall’inizio dei monitoraggi, non hanno prodotto alcun tipo di superamento. La presenza di un cantiere totalmente segregato dalla pannellatura fonoassorbente ha consentito inoltre di annullare il rischio di proiezioni di detriti verso l’esterno del cantiere ed una drastica riduzione delle polveri che in questo modo possono sfogare esclusivamente verso l’alto (dove è installato il sistema di abbattimento) e non verso l’esterno. Le soluzioni adottate da General Smontaggi definiscono un nuovo standard per gli interventi di demolizione urbana consentendo l’esecuzione di lavori in ambienti sensibili ed annullando di fatto tutti i principali disagi legati alla presenza di un cantiere di demolizione nei centri cittadini.
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4.350 pannelli fotovoltaici per ridare energia a una discarica esaurita iniziati i lavori per la realizzazione del progetto che consentirà di salvaguardare l'ambiente sfruttando la superficie della discarica esaurita di chivasso di Alessandro Piccinini*
Q
ualunque attività che coinvolga gli aspetti ambientali, salvaguardandoli, dovrebbe mantenere tale finalità il più a lungo possibile: in quest’ottica si configura l’iniziativa che Kinexia S.p.a., attraverso il proprio EPC Contractor Volteo Energie S.p.a., sta realizzando sulla discarica esaurita di Chivasso (TO) di proprietà di Waste Italia. In particolare Kinexia sta costruendo un campo fotovoltaico da circa 1 MWp sulla superficie della discarica, ormai giunta a termine esercizio, utilizzando pertanto una superficie che sarebbe dovuta rimanere inutilizzata per trent’anni.
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Detto impianto ha ricevuto l’autorizzazione alla costruzione dal Comune di Chivasso in data 4 Agosto 2010 e sarà costituito da pannelli fotovoltaici ad alta efficienza, di ultima generazione, installati su strutture metalliche, fisse e posate a terra. Le attività di realizzazione consisteranno inizialmente, nel terrazzamento della superficie di discarica, che presenta attualmente dei dislivelli che non ne consentirebbero l’ottimale utilizzo, così da poter disporre di aree sufficientemente grandi e pianeggianti da ospitare il massimo numero possibile di pannelli fotovoltaici. Una volta generato un piano di appoggio per le strutture metalliche di supporto dei pannelli fotovoltaici, si procederà al posizionamento degli elementi strutturali stessi e quindi all’installazione dei generatori fotovoltaici, nel numero di circa 4.350 su tutto il campo. Poiché l’attuale superficie della discarica esaurita risulta coperta da membrane plastiche che fun-
gono da capping impermeabile consentendo inoltre il recupero del biogas generato dai rifiuti sottostanti e non sono pertanto rimovibili né forabili, il sistema di posizionamento delle strutture portanti dei pannelli non potrà essere realizzato secondo i consueti standard (a palo infisso a terra, ad una profondità variabile tra 1,5 e 2,5 metri) ma impiegando strutture modulari appoggiate al suolo e mantenute in posizione per mezzo di 2.400 zavorre di cemento prefabbricato. I generatori fotovoltaici saranno installati su dette strutture e collegati tra loro a formare “stringhe” che verranno a loro volta connesse elettricamente ad una cabina, posta al confine dell’impianto, contenente i convertitori di energia (inverters), che hanno lo scopo di trasformare la corrente prodotta dai pannelli da continua ad alternata, consentendone così il successivo convogliamento ad un trasformatore elevatore e quindi, attraverso la cabina di connessione ENEL, il collegamento dell’impianto alla rete elettrica nazionale in media tensione (MT) a 15.000 V. L’energia così prodotta e immessa in rete potrà essere pertanto utilizzata dalla comunità, con conseguente risparmio nel consumo di combustibili fossili. I lavori di costruzione dell’impianto sono iniziati nella prima settimana di maggio 2011 e termineranno entro metà giugno 2011, per
PeVmedia.com
Sito Impianto
Loc. Pozzo ex Fornace SCET Chivasso (TO)
Potenza di picco impianto
993,6 KWp
Numero totale di pannelli
4.350
Numero inverters
2 x 510 KWp
Numero stringhe
240
Produzione energia
1.190 MWh /anno
Produzione di CO2 evitata
700 ton/anno (equiv.)
Mancata combustione di petrolio
200 ton/anno (equiv.)
consentire l’inizio dell’operatività e cioè la produzione e immissione di energia elettrica in rete entro la fine di luglio 2011, in modo da usufruire degli incentivi sulla produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili previsti dal 4° Conto Energia. Tutta la componentistica che verrà utilizzata per il parco fotovoltaico in questione proverrà da primari fornitori con notevole esperienza maturata sia nel settore specifico fotovoltaico che in quello elettrico di potenza tradizionale.
L’impianto sarà inoltre dotato di un sistema di controllo a distanza del funzionamento delle apparecchiature che consentirà sia di verificarne la produzione istantanea e cumulata, in termini di kWh, che di accertarsi di anomalie o problematiche che si dovessero eventualmente presentare sui componenti, consentendo l’intervento del personale di manutenzione in tempi rapidissimi. Il valore globale dell’opera sarà pari a circa 3,5 M€ che verrà in parte sostenuto attraverso un contratto di leasing. La realizzazione di questo impianto continua la tradizione, seguita da sempre da Waste Italia nell’espletamento delle proprie attività, focalizzata a garantire alla comunità servizi primari volti a salvaguardare, a tutto tondo, l’ambiente che ci circonda, sia che si tratti di raccolta e smaltimento rifiuti, core business dell’azienda, che di attività “collaterali” quali quelle di produzione di energia elettrica a ridotto, se non nullo, impatto ambientale. * Divisione Costruzione Impianti Gruppo Kinexia
Tel. 011 7802164 • Fax 011 4047946 • info@deaedizioni.it
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Agenzia per lâ&#x20AC;&#x2122;Ambiente e la Gestione delllâ&#x20AC;&#x2122;Energia
n o rm at i va
NUOVI CRITERI PER DEFINIRE LA “FINE DEL RIFIUTO” Il regolamento 333/2011/UE definisce criteri utili alla cessazione della qualifica di rifiuto per alcuni tipi di rottami metallici (“end of waste”) di Tina Corleto
G
li operatori hanno a disposizione sei mesi di tempo per adeguarsi alle novità del recente regolamento dell’Unione europea, che stabilisce quando i rottami di ferro, acciaio e alluminio cessano di essere rifiuti. Il regolamento 333/2011/UE del 31 marzo 2011, pubblicato sulla Gazzetta ufficiale dell’Unione europea l’8 aprile 2011, reca i criteri che determinano quando alcuni tipi di scarti metallici non vanno considerati rifiuti ai sensi della direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio. È ormai riconosciuta l’esistenza di una domanda sul mercato europeo per i rottami di ferro, acciaio e alluminio destinati ad essere impiegati, dopo specifici trattamenti, come materie prime nelle acciaierie, nelle fonderie e nelle raffinerie di alluminio per la produzione di metalli. Il regolamento 333/2011/UE sintetizza, relativamente ai rottami di ferro, acciaio e alluminio: • quali rifiuti possono essere avviati a trattamento al fine di produrre rottami; • quali trattamenti è necessario applicare ai rifiuti per poterli considerare “end of waste”, al termine del trattamento; • quali requisiti deve rispettare il materiale finale perché sia qualificabile “end of waste”; • gli obblighi minimi di monitoraggio dei rifiuti, le fasi di trattamento e il materiale di risulta, al fine di garantire il rispetto dei criteri stabiliti dal regolamento;
• l’obbligo di stilare una dichiarazione di conformità per ciascuna partita di rottami e trasmetterla al detentore successivo. Secondo la definizione contenuta nella precedente direttiva quadro 2006/12/CE, si considerava rifiuto “qualsiasi sostanza od oggetto rientrante nelle categorie riportate nell'allegato I e di cui il detentore si disfi o abbia l'intenzione o l'obbligo di disfarsi” (art. 1, lett. a). La nuova definizione di rifiuto disciplina la cessazione dello status di rifiuto (“end of waste”). Qui di seguito riportiamo a titolo esemplificativo alcuni dati tecnici relativi al riciclo di due importanti materiali, l’acciaio e l’alluminio, il cui utilizzo è sempre più marcato in differenti settori civili e industriali.
Riciclo dell’acciaio Nel 2009 il Consorzio Nazionale per il riciclo ed il recupero degli imballaggi in Acciaio (CNA) ha gestito complessivamente il riciclo di 356.000 ton di rifiuti di imballaggi in acciaio, determinando un tasso di recupero pari al 77,8% rispetto alle quantità immesse a consumo. Tale risultato ha consentito di raggiungere l’obiettivo di legge, fissato dal D.Lgs. 152/06 al 50%, e di far conseguire all’Italia un posto tra i primi dieci Paesi europei per il riciclo degli imballaggi in acciaio. L’acciaio in realtà viene recuperato da due tipologie di raccolta del rifiuto: • domestica: imballaggi in acciaio di piccole dimensioni (ad esempio: barattoli, scatolette, e bombolette);
• da attività industriali: • fustini, secchielli (per il confezionamento di vernici, pitture, smalti e oli), fusti di grandi dimensioni che vengono destinati ai settori petrolifero, chimico, petrolchimico, edile e alimentare; • elettrodomestici, auto, materiale da costruzione. L’Ente americano Steel Recycling Institute rivela che riciclando 1 tonnellata di acciaio si risparmiano: • 1,135 ton di minerale di ferro; • 0,635 ton di carbone; • 0,055 ton di calcare. Si evidenzia ad esempio che circa il 66% in peso di una automobile è composto da acciaio e ferro e che il 25% dell’acciaio è derivante da riciclo. Le tecnologie di fusione maggiormente utilizzate per la fabbricazione dell'acciaio sono: • il ciclo integrale altoforno - acciaieria a ossigeno, in cui sono impiegati come materia prima i minerali di ferro, che comprende circa il 40% della produzione nazionale; • il ciclo con forno elettrico, in cui l’acciaio viene prodotto mediante la rifusione dei rottami ferrosi come materia prima-secondaria, che rappresenta circa il 60% della produzione italiana. Il CNA ha sviluppato l’intercettazione degli imballaggi in acciaio agendo su due principali flussi di raccolta, distinguendoli in funzione della provenienza del rifiuto: da superficie pubblica (flusso urbano) e da superficie privata (flusso industriale).
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L’intercettazione degli imballaggi avviene dai flussi riportati in tabella 1. Tutti questi rifiuti ferrosi sono di qualità elevata per l’assenza di impurità e quindi vengono ritirati di buon grado dagli Operatori CNA che li avviano a riciclo presso le acciaierie.
Riciclo dell’alluminio
Figura 1. Composizione degli acquisti di rottami ferrosi in Italia (fonte: CNA, “Relazione sulla gestione e programma specifico Anno 2010”)
In virtù del D.Lgs. 152/06 la fase di raccolta dei rifiuti urbani è affidata alle Amministrazioni locali, che provvedono direttamente o affidando il servizio a società terze. Il CNA si occupa di individuare le forme più adatte al riciclo degli imballaggi in acciaio sostenendo, con adeguate campagne di sensibilizzazione, i modelli più efficaci di raccolta differenziata, ma lasciando comunque ai Comuni, e per essi ai gestori del servizio di raccolta, la scelta della forma più idonea alla raccolta dei materiali da avviare successivamente al riciclo attraverso i consorzi di filiera.
Nel caso di raccolta indifferenziata, il passaggio del rifiuto attraverso un nastro deferrizzatore consente di recuperare una discreta quantità di imballaggi ferrosi, altrimenti destinati alla discarica. Nel caso di flusso da superficie privata di imballaggi industriali in acciaio (fusti, fustini, secchielli), sono avviate collaborazioni tra CNA e aziende del settore del recupero del rottame ferroso, in grado di raccogliere l’imballo dopo l’uso e avviarlo alla rottamazione per la produzione di nuovo acciaio o al riutilizzo come imballaggio rigenerato.
Nell’ultimo decennio la produzione italiana di alluminio riciclato è cresciuta del 64%, toccando nel 2005 le 654 mila ton; questa quantità rappresenta il 77% dell’alluminio prodotto in Italia. L’alluminio può essere riciclato al 100% senza perdere le sue caratteristiche originali; l’uso di alluminio riciclato rappresenta circa il 45% dell’uso totale di alluminio grezzo in Italia. I rottami vengono resi disponibili sinergicamente dalle imprese di raccolta, di recupero e/o commerciali attraverso fasi di trattamento e selezione dell’alluminio dagli altri rifiuti, con l’utilizzo di tecnologie innovative, quali i sistemi a correnti indotte. Dal trattamento dei rottami con produzione di alluminio riciclato deriva a livello nazionale un risparmio energetico pari a 2,3 milioni di tep (tonnellate equivalente petrolio) con conseguente diminuzione di emissioni serra pari a 6,5 milioni di anidride carbonica (fonte: Consorzio Imballaggi Alluminio, CiAl). Nel 2005 CiAl, con la collaborazione di oltre 4.400 comuni e 41 milioni di cittadini impegnati nella raccolta differenziata, ha recuperato 37.800 ton di imballaggi usati di allumi-
DA RACCOLTA FUSTI INDUSTRIALI Gli imballaggi in acciaio ad uso industriale che vengono dismessi dalle aziende (tipicamente fusti da 200 litri) e che non hanno contenuto sostanze pericolose, possono essere recuperati e avviati a riciclo dagli Operatori collegati a CNA. I fusti, tramite operazioni di cesoiatura o frantumazione, vengono trasformati da rifiuto a MPS (Materia Prima Seconda), che può essere accettata e utilizzata in acciaieria per la creazione di nuovo acciaio. DA RACCOLTA FUSTI INDUSTRIALI DA BONIFICARE (SOE ED ANRI) I fusti in acciaio che hanno contenuto sostanze pericolose o sostanze difficilmente eliminabili (oli, resine e vernici) devono subire un processo di bonifica prima di poter essere smaltiti. Le aziende SOE, Società Operative Ecologiche, sono specializzate in questa attività di bonifica applicando inoltre un processo di rigenerazione che rende i fusti riutilizzabili. DA MONITORAGGIO FUSTI C/O ACCIAIERIE E FRANTUMATORI Questo tipo di flusso comprende tutti gli imballaggi ferrosi (fusti, latte, secchielli, bidoncini, ecc.) che non sono raccolti in modo specifico, ma che comunque vengono avviati a riciclo presso impianti di frantumazione ed acciaierie, frammisti a rottame di varie categorie. DA MONITORAGGIO REGGETTA E FILO C/O OPERATORI La reggetta ed il filo di ferro sono imballaggi usati per il trasporto di laminati di acciaio, coils e prodotti lunghi, impiegati dalle officine di lavorazioni meccaniche. Tabella 1. Flussi di intercettazione imballaggi in acciaio
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Criteri per i rottami di ferro e acciaio [Allegato 1 al regol amento 333/2011/UE] 1 Qualità dei rottami ottenuti dall’operazione di recupero. 1.1 I rottami sono suddivisi per categorie, in base alle specifiche del cliente, alle specifiche settoriali o ad una norma, per poter essere utilizzati direttamente nella produzione di sostanze o oggetti metallici nelle acciaierie e nelle fonderie. 1.2 La quantità totale di materiali estranei (sterili) è ≤ 2% in peso. Sono considerati materiali estranei: 1) metalli non ferrosi (tranne gli elementi di lega presenti in qualsiasi substrato metallico ferroso) e materiali non metallici quali terra, polvere, isolanti e vetro; 2) materiali non metallici combustibili, quali gomma, plastica, tessuto, legno e altre sostanze chimiche o organiche; 3) elementi di maggiori dimensioni (della grandezza di un mattone) non conduttori di elettricità, quali pneumatici, tubi ripieni di cemento, legno o calcestruzzo; 4) residui delle operazioni di fusione, riscaldamento, preparazione della superficie (anche scriccatura), molatura, segatura, saldatura e ossitaglio cui è sottoposto l’acciaio, quali scorie, scaglie di laminazione, polveri raccolte nei filtri dell’aria, polveri da molatura, fanghi. 1.3 I rottami non contengono ossido di ferro in eccesso, sotto alcuna forma, tranne le consuete quantità dovute allo stoccaggio all’aperto, in condizioni atmosferiche normali, di rottami preparati. 1.4 I rottami non presentano, ad occhio nudo, oli, emulsioni oleose, lubrificanti o grassi, tranne quantità trascurabili che non danno luogo a gocciolamento. 1.5 (...) 1.6 I rottami non presentano alcuna delle caratteristiche di pericolo di cui all’allegato III della direttiva 2008/98/CE. I rottami rispettano i limiti di concentrazione fissati nella decisione 2000/532/CE e non superano i valori di cui all’allegato IV del regolamento (CE) n. 850/2004 (...). 1.7 I rottami non contengono alcun contenitore sotto pressione, chiuso o insufficientemente aperto che possa causare un’esplosione in una fornace metallurgica. 2 Rifiuti utilizzati come materiale dell’operazione di recupero 2.1 Possono essere utilizzati a tal fine solo i rifiuti contenenti ferro o acciaio recuperabile. 2.2 I rifiuti pericolosi non sono utilizzati in questo tipo di operazione tranne quando si dimostra che, per eliminare tutte le caratteristiche di pericolo, sono stati applicati i processi e le tecniche di cui al punto 3 del presente allegato. 2.3 I rifiuti seguenti non sono utilizzati in questo tipo di operazione: a) limatura, scaglie e polveri contenenti fluidi quali oli o emulsioni oleose e b) fusti e contenitori, tranne le apparecchiature provenienti da veicoli fuori uso, che contengono o hanno contenuto oli o vernici.
nio (33.100 avviate a riciclo e 4.700 a recupero energetico) pari al 55% della quantità circolante oggi nel nostro Paese. Lattine, bombolette spray, tubetti, contenitori per alimenti e foglio in alluminio sono stati riciclati con tecnologie all’avanguardia e risparmiando fino al 95% di energia sul processo tradizionale, dalle 23 fonderie presenti sul territorio nazionale. Il settore dei trasporti è uno dei più importanti settori applicativi dell’alluminio; a livello europeo nel 2003 sono stati usati 3,6 milioni di tonnellate di alluminio per la produzione di autovetture, veicoli commerciali, aeroplani, treni, navi.
Conseguentemente il settore dei trasporti si tramuta nella maggior fonte di approvvigionamento di rottami al termine del ciclo di vita dei mezzi, tenuto conto del tempo di vita medio di questi beni piuttosto elevato. Si consideri che il 90-95% dell’alluminio utilizzato nei trasporti viene separato e riavviato a riciclo. Quello edile è un altro interessante settore ove esiste evidenza di un elevato tasso di separazione ed avvio a riciclo; il fattore di recupero a livello europeo è stato calcolato tra il 92% e il 98% nonostante rappresenti meno
dell’1% in peso della massa complessiva degli immobili. L’imballaggio a fine vita è il settore dove storicamente il riciclo è prassi, anche in relazione alla presenza di direttive europee specifiche. La quantità di imballaggio in alluminio a fine vita effettivamente riciclato dipende molto dallo schema di recupero avviato a livello nazionale, e p.e. può variare a livello europeo tra il 25 e il 75%. Le lattine sono la tipologia di imballaggi più nota e riciclata, a livello europeo il tasso di riciclo di questo imballaggio dal 1991 è più che raddoppiato dal 21% al 48% del 2004.
Figura 2. Tipologie di rottami d’alluminio trattati nel 2005 (fonte: CiAl)
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Biomassa: la legislazione vigente in tema di energie rinnovabili Ecco l'iter da seguire per l’ottenimento dell’autorizzazione alla costruzione e all'esercizio degli impianti di produzione di energia da biomasse di Rosa Bertuzzi*
O
ggi la produzione e lo sviluppo delle energie rinnovabili hanno una notevole importanza a livello ambientale ed economico, in quanto consentono di avere un impatto inquinante minore e riutilizzare l’energia che ne deriva per scopi molteplici. La definizione di fonte rinnovabile è delineata dall’art. 2 del D.Lgs. n. 387 del 2003. E’ rinnovabile la fonte energetica eolica, solare, geotermica, del moto ondoso, maremotrice e idraulica. Sono considerate fonti rinnovabili anche le biomasse, i gas di discarica, i gas residuati dai processi di depurazione ed il biogas. Preventivamente bisogna chiarire cosa si intende per “biomassa”. Con tale termine si indicano tutti materiali di origine organica (vegetale o animale) che non hanno subito nessun processo di fossilizzazione e sono impiegati per la produzione di energia. Logicamente i combustibili fossili (petrolio, carbone, metano) non possono essere esaminati come biomassa. Le biomasse sono incluse fra le fonti rinnovabili in quanto l’anidride carbonica (CO2) emessa per la produzione di energia non produce un aumento dell’anidride carbonica presente nell’ambiente, ma è la medesima che le piante hanno prima assorbito per accrescere e che alla morte di esse tornerebbe nell’atmosfera attraverso i comuni processi degradativi della sostanza organica.
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L’utilizzo delle biomasse accelera il ritorno della CO2 in atmosfera offrendola nuovamente disponibile alle piante. Queste emissioni rientrano nel normale ciclo del carbonio e sono in equilibrio fra CO2 emessa e assorbita. All’interno della definizione di biomasse possanNo rientrare le materie per produzione primaria adibita a servire da combustibile, scarti di una lavorazione di diversi processi, fino alla parte biodegrabile dei rifiuti industriali ed
urbani. L'autorizzazione dell’impianto dovrà essere adeguata alle diverse norme vigenti relativamente all’approvvigionamento e alla tipologia di impianto. La superficie di questi impianti li rende integrabili nelle aziende agricole e negli allevamenti. L’utilizzo agronomico del digestato (ove consentito dalle restrizioni dovute alla cosiddetta “direttiva nitrati”) raffigura inoltre un modo efficiente di chiudere la catena.
La combustione del materiale può produrre un inquinamento locale, soprattutto se il materiale è legnoso (quindi allo stato solido), contribuisce in maniera minimale all'emissione di CO2, ed emette le poche quantità di ossidi d'azoto e di zolfo che la pianta ha assorbito. In generale il rilascio delle autorizzazioni alla costruzione e all'esercizio degli impianti di produzione di energia di potenza superiore a 50 MW termici alimentati da fonti convenzionali e rinnovabili è di competenza della Regione, sotto la soglia dei 50 MW, la competenza è delle Province. Le biomasse possono essere soggette a differenti regimi autorizzatori in base al tipo di materiale da valorizzare ed il processo a cui sono sottoposte. Se si realizza energia solo da fonti rinnovabili (cioè tutte ricomprese nell'Allegato 1 suballegato A, o in base alle condizioni previste anche suballegato B del D.M. 5 maggio 2006) si rientra nella determinazione dell’art. 12; ma se si crea energia tramite fonti non rinnovabili, l’impianto fa parte della classificazione di "Centrale Ibrida" che soggiace ad altre forme di autorizzazione. Se la restante fonte non rinnovabile è rifiuto non assimilato, bisogna prendere in considerazione la definizione di "coincenerimento" (disciplinata dal D.Lgs. 133/2005), la quale può rinviare nuovamente all'art. 12 o al 208 del D.Lgs. 152/06. La questione è complessa e ogni caso deve essere valutata in maniera singola. La disciplina autorizzativa degli impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, quindi anche degli impianti di biomasse è contenuta nell’art. 12 del D.Lgs. n. 387 del 2003. Ai fini dell’autorizzazione degli impianti l’Amministrazione competente è individuata in base alla fonte rinnovabile utilizzata ed alla potenza dell’impianto. Possono essere attivate diverse procedure: le procedure "semplificate", nel settore energetico o nel campo dei rifiuti, e le procedure "ordinarie" nel settore energetico o nel campo dei rifiuti. Per quanto riguarda il settore energetico l'articolo 12 del D.Lgs. del 29 dicembre 2003, n. 387 traccia le procedure autorizzative. La costruzione e l’esercizio degli impianti “rinnovabili” sono subordinati ad un’autorizzazione unica, rilasciata dalla Regione in
base alle normative vigenti in materia di tutela dell’ambiente, del paesaggio e del patrimonio storico-artistico; tale autorizzazione è rilasciata successivamente ad un procedimento unico al quale partecipano tutte le Amministrazioni interessate. E' possibile cominciare una procedura "semplificata" a livello comunale grazie al D.P.R. 20 ottobre 1998 n. 447 il quale disciplina gli impianti produttivi e si riferisce allo Sportello Unico per le Attività Produttive presso il Comune. Se l’impianto sviluppa una potenza termica superiore ai 50 MW sono sottoposti alla procedura di screening regionale secondo la legge sulla V.I.A. e ricadono nella normativa sull'Autorizzazione Integrata Ambientale (D.Lgs. 59/05). Le potenze termiche complessive superiori ai 50 MW termici hanno un iter procedurale caratterizzato dall’approvazione del progetto di impianto ricadente nella disciplina della valutazione di impatto ambientale. Infatti è un progetto classificato nell’elenco B (allegato III, parte seconda) stabilito nel D.Lgs. 152/06 il quale prevede una fase di verifica (c.d. screening) della compatibilità ambientale, che si può assimilare ad una VIA (Valutazione di impatto ambientale) in base alle risoluzioni dell’autorità competente. In tutti i casi, successivamente l’esito dello screening o di VIA, è richiesto, per l’esercizio di nuovi impianti, il rilascio dell’autorizzazione integra-
ta ambientale. Per potenze inferiori, fino a 20 MW, vige d’obbligo il rilascio dell'autorizzazione integrata ambientale, la quale valuta i diversi impatti sociali, sanitari e ambientali già ricordati nella disciplina di VIA. In particolare gli impianti a biomassa con potenza termica inferiore ai 50 MW sono autorizzati dalla Provincia attraverso l'autorizzazione unica successivamente alla conferenza dei servizi cui partecipano le amministrazioni interessate. L’Autorizzazione unica è richiesta per impianti a biomassa per produzione di energia elettrica fino a 50 MW. La domanda deve essere compilata in ogni sua parte e deve contenere (pena la non accettazione della domanda): preventivo di connessione alla rete di distribuzione (ove prevista), controfirmato dal proponente per accettazione e progetto definitivo dell'elettrodotto di connessione (ove previsto) compilato dal gestore della rete di distribuzione, o vidimato dallo stesso. La versione elettronica dell’allegato progettuale dovrà essere redatta in file formato pdf e corrispondere alla versione cartacea. L'istanza di autorizzazione unica deve essere presentata all'Amministrazione provinciale. L'originale dell'istanza destinata all'Amministrazione provinciale deve essere seguita da una copia su supporto digitale (CD) non modificabile con la firma del proponente sul CD.
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Il proponente dove fornire una documentazione, dichiarando che il progetto cartaceo e quello sul CD sono i medesimi. Si sottolinea che al fine di ottenere l'Autorizzazione Unica ai sensi del D.Lgs. 387/2003, devono essere soddisfatti i seguenti requisiti: • il richiedente deve essere il titolare della Ditta o Ente Proponente, o persona espressamente delegata; • è richiesto il documento di disponibilità dei terreni interessati dal progetto. Da ricordare è il c.d. SIA, lo studio di impatto ambientale presentato dalla Società proponente. Tale documento è richiesto nella disciplina della procedura di VIA, la quale prevede espressamente che questa fase dello SIA possa verificarsi in un momento anteriore all’inizio del iter. Tale fase è anche denominata "scoping". In tale fase è possibile conoscere gli esiti dello scoping una volta siano prodotti i documenti che delineano le valutazioni dalle amministrazioni in base alle proposte della Società richiedente. La prassi non è ancora molto diffusa in quanto la Società richiedente deve affrontare una seduta preliminare per la definizione degli elaborati ed in tutti i casi è una scelta facoltativa. La documentazione di una centrale a biomasse deve quindi contenere: • progetto definitivo dell'impianto e opere connesse (teleriscaldamento, elettrodotto); • l’esposizione del bacino di utenza di utilizzo dell'impianto; • l’enunciazione delle alternative esaminate in base alle differenti mitigazioni ambientali e motivazione delle scelte fatte (azioni di bilanciamento, prospettive reali di teleriscaldamento); • la rappresentazione della previsione sull'attualità del progetto e delle tecniche selezionate, in relazione alle tecnologie utilizzabili. Alcun limite di potenzialità, è previsto per il rilascio dell'autorizzazione unica in base al D.Lgs. 29 dicembre 2003, n. 387, art.12, comma 3, disposizioni in materia di fonti rinnovabili: "La costruzione e l'esercizio degli impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili, gli interventi di modifica, potenziamento, rifacimento totale o parziale e riattivazione, come definiti
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dalla normativa vigente, nonché le opere connesse e le infrastrutture indispensabili alla costruzione e all'esercizio degli impianti stessi, sono soggetti ad una autorizzazione unica, rilasciata dalla Regione o altro soggetto istituzionale delegato dalla Regione, nel rispetto delle normative vigenti in materia di tutela dell'ambiente, di tutela del paesaggio e del patrimonio storico-artistico. A tal fine la Conferenza dei servizi è convocata dalla Regione entro trenta giorni dal ricevimento della domanda di autorizzazione". Gli impianti a biomasse di potenza termica compresa tra 50 MW e 300 MW sono di competenza regionale per quanto riguarda la VIA e l'Autorizzazione Unica, mentre sono di competenza provinciale, nell'ambito della conferenza dei servizi del procedimento unico regionale: il rilascio dell'AIA; dell'autorizzazione alla costruzione ed all'esercizio di elettrodotto; dell'autorizzazione deposito oli minerali; del parere su Variante al PRG /PSC; il prestare Intesa per l'autorizzazione alla costruzione e all'esercizio dell'impianto ai sensi della L.R. n. 26/04; il rilascio del parere entro la procedura di VIA dell'autorizzazione alle emissioni in atmosfera; dell'autorizzazione agli scarichi idrici che non recapitano in reti fognarie. Gli impianti alimentati a biomasse legnose per la produzione di calore con potenza compresa tra 1 e 50 MW devono acquisire anche l'autorizzazione alle emissioni in atmosfera in base al D.Lgs. 152/06, attraverso lo Sportello Unico. Sono esclusi da tale autorizzazione quelli con potenza inferiore alle soglie minime. Nel caso invece di impianti di produzione di energia elettrica da biomasse (ex art. 2 comma 1 lettera a) del D.Lgs. 387/03) con portata di generazione non superiore ad 1 MW elettrico, non è necessaria l'autorizzazione unica ma solo la DIA/SCIA (se prevista da Comune, introdotta in base Legge n.73, 22/05/10). Infatti nel caso di unità di piccola cogenerazione, così come definite dall'articolo 2 comma 1 lettera d) del D.Lgs. 20/07 (unità di cogenerazione con capacità di sviluppo installata inferiore a 1 MW elettrico) o di potenza termica nominale inferiore a 3 MW termici, non è necessaria l'autorizzazione unica ma solo la DIA/SCIA. La competenza è comunale per
gli impianti con potenza pari o superiore alle soglie indicate se non necessitano di autorizzazioni di altre amministrazioni (esempi: Valutazione di Impatto Ambientale, concessione di derivazioni d’acqua). Per certe tipologie di impianto non è richiesta alcuna autorizzazione, come per esempio gli impianti di produzione di energia elettrica di potenza complessiva non superiore a 3 MW, ubicati all’interno di impianti di smaltimento rifiuti, alimentati da gas di discarica. L’elettricità generata da impianti alimentati da fonti rinnovabili e la produzione attribuibile ad impianti misti hanno diritto al rilascio, su richiesta del produttore, della c.d. “garanzia di origine di elettricità prodotta da fonti energetiche rinnovabili”. Il Gestore della rete (GRTN) è il soggetto segnalato al rilascio di tale garanzia e dei certificati verdi. Se gli impianti sono alimentati con biomasse classificate come rifiuti urbani o speciali ricadono anche nella normativa di settore sui rifiuti e la richiesta di autorizzazione deve passare direttamente dalla Provincia. Gli impianti a biomassa che utilizzano rifiuti in ingresso ricadono nell'attività di recupero energetico R1 e devono essere autorizzati anche ai sensi della parte quarta del D.Lgs. 152/06. Gli impianti alimentati con potenzialità maggiori di 100 t/giorno di rifiuti rientrano nell'allegato A2 della L.R. n. 9/99 e sono, quindi, assoggettati a VIA, mentre sono assoggettati ad autorizzazione integrata ambientale gli impianti per la gestione dei rifiuti inclusi nell'allegato I del D.Lgs. n. 59/2005. In materia di gestione dei rifiuti si delineano due forme di autorizzazione: • un'autorizzazione "ordinaria" regionale, la quale prevede la convocazione di una Conferenza dei Servizi e un'istruttoria per l'approvazione del progetto; • un'autorizzazione "semplificata" di competenza provinciale disciplinata anche al regolamento istituito con il Decreto del Ministero dell’Ambiente del 5 febbraio 1998 “Individuazione dei rifiuti non pericolosi sottoposti alle procedure semplificate di recupero”. *Ambienterosa, consulenze legali ambientali
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CONSIDERAZIONI POSTINCIDENTALI IN UN IMPIANTO DI SMALTIMENTO DI RIFIUTI SPECIALI L’ANALISI DI UN EVENTO INCIDENTALE COME PUNTO DI PARTENZA PER UNA RIFLESSIONE SULLA CORRETTA VALUTAZIONE DEI RISCHI E SULLO SVILUPPO DI PROCEDURE EFFICACI A TUTELA DEI LAVORATORI di C. Di Girolamo*, M. Bonacci**, R. Bianchi*** e D. D’Ambrosio****
L
o scopo della valutazione del rischio è quello di identificare i pericoli e di stimare e ponderare il rischio al fine di poterlo eliminare o ragionevolmente ridurre. Uno dei metodi che possono utilizzarsi per l’identificazione strutturata dei pericoli è quello noto come approccio dall’alto al basso (bottom-up approach) attraverso il quale, noto il danno, con un procedimento a ritroso, si può risalire all’evento pericoloso o alla situazione di pericolo che l’ha prodotto e quindi al pericolo stesso. Ciò premesso, è di tutta evidenza che l’analisi del danno (o della severità dell’evento) assume un ruolo chiave per la corretta valutazione del rischio e da qui poter intraprendere misure di sicurezza che rendano inoffensivi i pericoli che hanno le potenzialità per generare quel tipo di danno. In tale contesto l’analisi degli infortuni costituisce, indubbiamente, uno strumento chiave per costruire da tale esperienza, attraverso una corretta pianificazione delle operazioni ed un adeguato controllo operativo delle medesime, i fondamenti per la gestione sicura di qualsiasi attività imprenditoriale comportante un rischio. La conoscenza delle cause incidentali ha come fine quello di intraprendere tutte le misure tecniche e gestionali necessarie per prevenire il ripetersi dell’evento pericoloso o
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della situazione pericolosa nell’ambito dell’attività lavorativa svolta. Il processo di apprendimento delle cause, dirette o indirette, degli incidenti può essere intrapreso, d’altronde, per esigenze diverse: essenzialmente ai fini prevenzionali, per quanto attiene i soggetti datoriali, ma anche ai fini di salvaguardia dei beni da parte di terzi, come le società di assicurazione, o per ragioni istituzionali, attraverso le Commissioni di inchiesta sugli infortuni sul lavoro o per azioni di ricerca delle responsabilità come quelle avviate dalla magistratura inquirente, ecc. Si può peraltro dedurre che dall’investigazione incidentale, il gestore di una medesima attività lavorativa è in grado di assicurare, mediante un adeguato processo formativo volto alla conoscenza e all’apprendimento basato sugli errori commessi, sui mancati errori e sugli eventi accidentali occorsi in attività similari, la messa in atto di opportuni interventi volti al miglioramento del comportamento degli operatori e/o alla riduzione dei rischi conseguenti l’esercizio di un determinato impianto o nello svolgimento di un particolare processo. Chiaramente, il miglioramento e il controllo da un punto di vista gestionale delle operazioni e dei processi sono possibili se, parimenti, oltre ad una idonea acquisizione ed analisi degli eventi
incidentali segue una successiva interiorizzazione da parte dei lavoratori e di tutti i soggetti coinvolti, a vario titolo, di quanto scaturisce da tale analisi preliminare. Del resto, anche il D.Lgs. n. 81/2008, «Attuazione dell’art.1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro», all’art.29, richiede al datore di lavoro di rielaborare il documento di valutazione dei rischi qualora, all’interno dei luoghi di lavoro nei quali avviene l’esercizio d’impresa, siano stati registrati infortuni significativi, come quelli che abbiano prodotto lesioni gravi oppure possano incidere negativamente, in termini relativi, sul numero di lesioni o di inabilità prodotte in un determinato periodo temporale. Ciò premesso, gli autori nelle pagine seguenti, tenuto conto delle risultanze postincidentali dell’evento occorso in un’azienda di raccolta e smaltimento rifiuti speciali, così come riportate dalla Commissione parlamentare di indagine sugli infortuni sul lavoro, presentano alcune considerazioni scaturenti dall’avvenimento in questione, nell’auspicio che esse possano risultare utili ai diversi soggetti datoriali nella predisposizione di una corretta valutazione dei rischi, nell’analisi degli eventi e delle situazioni pericolose, oltre che nell’adozione di azioni correttive volte al miglioramento degli interventi da eseguire nei luoghi di lavoro, ivi compresi quelli qui rappresentati.
L’evento incidentale Nel pomeriggio del 4 novembre 2010 si è registrato un gravissimo incidente presso lo stabilimento di una società che si occupa di trasporto, raccolta, smaltimento, stoccaggio e conferimento negli impianti di smaltimento di rifiuti speciali pericolosi e non pericolosi assimilabili agli urbani. Tale azienda ha un'unica sede in provincia di Milano, in un’area di circa 9.500 m2 e nella quale sono insediate altre società, comunque ad essa riconducibili. Tutte queste aziende operano a vario titolo nel campo della bonifica ambientale e della gestione dei rifiuti speciali, pericolosi e non, e hanno per la maggior parte meno di 15 dipendenti. L’altra azienda coinvolta nell’incidente è una società appaltatrice di quella principale, alla quale fornisce manodopera destinata ai servizi di movimentazione, facchinaggio e manutenzione interna. Quest’ultima azienda mediante il proprio personale, composto di circa 80 dipendenti, svolgeva anche operazioni preliminari al trattamento dei rifiuti quali cernita, suddivisione dei materiali, ecc. Per quanto riguarda l’evento incidentale, citato in premessa, risulta che, poco prima delle ore 15, due operatori della società principale, si trovavano nel piazzale dello stabilimento per eseguire lavori di suddivisione e stoccaggio di rifiuti, per i quali erano stati incaricati anche alcuni dipendenti della società di servizi.
Durante lo svolgimento di tali attività, si è registrata una violentissima esplosione, seguita da scoppi secondari e da fiammate che hanno investito in pieno gli addetti. Quattro di loro sono rimasti gravemente ustionati su quasi tutto il corpo: in particolare, tre sono deceduti a distanza di alcuni giorni dall’evento e il quarto dopo qualche settimana. Per quanto attiene il profilo dell’inchiesta non esiste ancora una ricostruzione completa dell’evento, la magistratura ha proceduto ad effettuare le prime indagini e occorrerà quindi attendere l’esito finale delle verifiche, le quali dovranno in primo luogo identificare esattamente i materiali, i prodotti e le sostanze presenti nel piazzale al momento in cui è stata registrata l’esplosione. In modo particolare l’attenzione è stata posta su alcuni container quali fonti di innesco d’incendio o nei quali potrebbe essersi generata la reazione esplosiva. Si dovranno, altresì, identificare le tipologie e le modalità di esecuzione delle operazioni svolte, i trattamenti eseguiti prima dell’incidente e quali misure di sicurezza erano state adottate dai lavoratori e dal gestore. Comunque è certo che nel piazzale erano presenti diversi tipi di materiali e prodotti, anche di tipo infiammabile, per cui le fonti d’innesco potrebbero essere state di natura diversa. D’altronde, al momento non è stato ancora chiarito se sia stato registrato prima l’evento incendio o una deflagrazione/detonazione.
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In seguito alla reazione, si era comunque sviluppato un vasto incendio e la zona era stata immediatamente isolata, anche perché ubicata nelle immediate vicinanze dell’arteria stradale Milano-Meda. Dalle indagini è emerso che già nel 2010 si erano verificati, nel medesimo sito, altri due incendi di minore entità, senza che la cosa avesse fatto registrare procedimenti a carico del gestore dell’impianto ma solo la sospensione di una serie di lavorazioni ritenute ad un certo livello di rischio da parte di ARPA. Tuttavia appare chiaro che all’interno dello stabilimento, per i materiali, i prodotti in gioco e le sostanze trattate, oltreché per le operazioni svolte, vi era un livello di rischio non certo irrilevante. Dal punto di vista gestionale, i rappresentanti della società principale e di quella coinsediata, hanno dichiarato di aver adottato tutte le necessarie misure di sicurezza, nonché di aver adeguatamente formato i loro dipendenti e di averli dotati dei prescritti dispositivi di protezione individuale. Va parimenti specificato che l’azienda principale opera sin dalla metà degli anni ‘80 e fu autorizzata all’eserci-
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zio con decreto della Giunta Regionale della Lombardia nel 1998. Inoltre, nel corso degli anni, l’autorizzazione è sempre stata rinnovata e l’ultimo permesso risale al 2007 ed ha validità sino al 2013.
Alcune considerazioni scaturenti dall’evento Pur precisando che le cause e la dinamica dell’incidente sono ancora tutte da analizzare e chiarire e che, pertanto, qualunque ipotesi è al momento prematura, tuttavia il quadro complessivo nel quale si è determinato l’incidente pone numerosi interrogativi circa l’adeguatezza delle procedure e delle stesse disposizioni vigenti rispetto all’esigenza di garantire in modo efficace la tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori addetti alle operazioni di trattamento e smaltimento di rifiuti, in particolare di quelli speciali pericolosi. Per quanto riguarda strettamente le circostanze dell’incidente in questione, va precisato che tra gli aspetti più rilevanti emersi sino ad oggi vi è comunque la circostanza che, sebbene le operazioni più rischiose di trattamento dei rifiuti, come ad esempio quelle che possono determinare emissioni nocive, avvenissero all’interno dello stabilimento, in aree appositamente attrezzate, vi erano comunque alcune fasi preliminari della lavorazione che venivano eseguite all’aperto, sul piazzale dell’azienda ove si trovavano stoccati anche materiali di tipo infiammabile. Dal canto loro, i rappresentanti dei lavoratori hanno richiamato l’attenzione sulla necessità di garantire la piena attuazione delle disposizioni vigenti in materia di salute e sicurezza sul lavoro, con particolare riguardo alle situa-
zioni più sensibili e rischiose come quelle che coinvolgono attività lavorative nelle quali sono utilizzati dipendenti di ditte appaltatrici. Inoltre, in questo contesto pare importante rimarcare la circostanza secondo la quale, in molti casi, le aziende tendono, per evidenti ragioni economiche, ad utilizzare forme contrattuali di altri comparti, che però possono comportare anche minori obblighi dal punto di vista della sicurezza sul lavoro; ad esempio, nel caso di specie, sulla base delle disposizioni vigenti, i dipendenti della società principale risultavano inquadrati con il contratto del settore commerciale, mentre quelli dell’azienda coinsediata erano inquadrati nel comparto metalmeccanico.
Conclusioni Alla luce dell’evento qui riportato, pare opportuna una riflessione sul tema che possa condurre all’elaborazione di soluzioni più efficaci ai fini della prevenzione dei rischi e della formazione dei lavoratori coinvolti, attraverso interventi migliorativi di carattere normativo ed amministrativo e un rafforzamento dei controlli e dell’apparato sanzionatorio in materia di sicurezza sul lavoro. Parimenti si deve puntualizzare che con quanto qui affermato non si vuol intendere che le attuali disposizioni vigenti non siano idonee, ma comunque porre evidenza sulla circostanza che, nello svolgimento concreto delle attività lavorative, possono comunque crearsi dei “coni d’ombra”, con una conseguente riduzione del livello di tutela dei lavoratori. Basti pensare, ad esempio, che talune aziende di questo settore possono operare anche con contratti del comparto del settore commercio: pur rimarcando che tale scelta è del tutto legittima, occorre riflettere se ciò non si possa tradurre in minori obblighi per le imprese dal punto di vista degli adempimenti legati alla tutela della salute e della sicurezza degli addetti coinvolti in tali attività lavorative. *Ente di ricerca in materia di sicurezza **Università degli Studi Milano-Bicocca ***Lura Ambiente ****Sicurambiente (Immagini dell’evento estratte dal sito ufficiale del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco)
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NUOVO BANDO PER IL PROGRAMMA LIFE+ 2011 Scade il 18 luglio 2011 il termine per la presentazione dei progetti di Anna Montefinese
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l 26 febbraio 2011 la Commissione Europea ha pubblicato sulla GUUE C 62 l’apertura del bando Life+ relativo ai finanziamenti europei a gestione diretta in materia di politiche ambientali. Anche per questa annualità i beneficiari del bando sono Enti pubblici e/o privati, soggetti e istituzioni registrati negli Stati membri dell'Unione europea. Le tre macroaree e gli obiettivi del Bando Life+ 2011 si suddividono in: • Natura e Biodiversità, con lo scopo di proteggere, conservare, ripristinare, monitorare e favorire il funzionamento dei sistemi naturali, degli habitat naturali, della flora e della fauna selvatiche, al fine di arrestare la perdita di biodiversità, inclusa la diversità delle risorse genetiche, all’interno dell’Unione Europea. L’orientamento dell’approccio progettuale per la categoria Natura deve puntare alle best practice e/o sull’aspetto dimostrativo mentre per la categoria biodiversità l’approccio può essere altrettanto dimostrativo ma anche innovativo. • Politica e governance ambientali, con l’obiettivo di colmare il divario tra la ricerca e l’applicazione su larga scala promuovendo soluzioni innovative. Si possono presentare proposte su azioni inerenti il cambiamento climatico, acqua, aria, suolo, ambiente urbano, rumore, sostanze
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chimiche, ambiente e salute, risorse naturali e rifiuti, foreste, innovazione e approcci strategici. • Informazione e comunicazione, al fine di assicurare la diffusione delle informazioni e sensibilizzare alle tematiche ambientali, inclusa la prevenzione degli incendi boschivi; fornire un sostegno alle misure di accompagnamento, come azioni e campagne di informazione e comunicazione, conferenze e formazione, inclusa la formazione in materia di prevenzione degli incendi boschivi degli operatori forestali. Il ruolo di questa componente è quello di attuare campagne di comunicazione e sensibilizzazione ad alta visibilità su uno specifico problema ambientale. La percentuale massima del sostegno finanziario dell'Unione, per ogni componente, è pari al 50% delle spese ammissibili; eccezionalmente può essere applicata la percentuale massima di cofinanziamento fino a 75% delle spese ammissibili in caso di progetti riguardanti habitat o specie prioritarie delle direttive “Uccelli selvatici” e “Habitat”. Per tutte le componenti del Life+ da quest’anno è obbligatorio prevedere un’azione di monitoraggio dell’impatto delle azioni di progetto prevedendo un gruppo di lavoro adeguato sul piano gestionale, amministrativo e finanziario. Entro il 18 luglio 2011 il progetto va presentato nel formato richiesto all’Autorità Nazionale
competente che la inoltrerà alla Commissione non oltre il 9 settembre 2011. Le fasi del processo di selezione termineranno a Marzo 2012 e la prima data possibile per l’inizio delle attività è prevista per il 1° giugno 2012. Il budget totale per il 2011 è pari a 267 milioni di euro. Tutte le informazioni e la documentazione necessaria possono essere consultate sul sito istituzionale del Life+: ec.europa.eu/environment/life/funding/lifeplus.htm Inoltre, per potersi consultare o semplicemente confrontarsi con chi ha intenzione di progettare un Life+ è attivo il servizio inoltrando richiesta all’indirizzo: segreteria@studiambientali.org
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AVVIATI I CORSI DI €UROPROGETTAZIONE Nuovo programma formativo nel catalogo “Studi Ambientali” Con la pubblicazione del bando 2011 LIFE+ e la presentazione di ECO-Innovation 2011, si è delineato il quadro per il corrente anno sulle iniziative e temi progettuali europei in materia ambientale. E’ stato pertanto definito il primo calendario del corso di €uroprogettazione con giornate formative specifiche. Dopo gli appuntamenti di Piacenza, Roma e Bari, le nuove tappe interesseranno le regioni Emilia Romagna, Lombardia e Piemonte. L’iniziativa rientra tra gli obiettivi che l’Associazione “Studi Ambientali” si è posta verso i propri iscritti appena dopo la pubblicazione degli avvisi. Sono molte infatti le novità introdotte dai recenti provvedimenti, oltre ai temi ed obiettivi che i programmi hanno delineato. Il programma del corso, illustrato da professionisti associati, prevede argomenti ed analisi su: • finanziamenti comunitari, • sviluppo di progetti comunitari, • strutturazione del progetto, • programmi comunitari, • gestione del progetto, • analisi e casi-studio. Informazioni su calendario, programma ed iscrizioni sono reperibili direttamente sul sito www.studiambientali.org
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agire governare Terra Futura 2011 è promossa e organizzata da Fondazione Culturale Responsabilità Etica Onlus per il sistema Banca Etica, Regione Toscana e Adescoop-Agenzia dell’Economia Sociale. È realizzata in partnership con Acli, Arci, Caritas Italiana, Cisl, Fiera delle Utopie Concrete, Legambiente. In collaborazione e con il patrocinio di Provincia di Firenze, Comune di Firenze, Firenze Fiera SpA e numerose altre realtà nazionali e internazionali.
Relazioni istituzionali e Programmazione culturale Fondazione Culturale Responsabilità Etica Onlus tel. +39 049 7399726 - email fondazione@bancaetica.org Organizzazione evento Adescoop-Agenzia dell’Economia Sociale s.c. tel. +39 049 8726599 - email info@terrafutura.it
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vetrina
ECOMEDIT: DA OLTRE 15 ANNI VERIFICA LA TENUTA DI VASCHE E SERBATOI INTERRATI
EcoMedit s.r.l. è da oltre 15 anni attiva nel campo della verifica e della manutenzione di serbatoi interrati e non adibiti allo stoccaggio di prodotti liquidi inquinanti, quali ad esempio acque di processo, emulsioni, composti chimici e idrocarburi in genere. Nell’ottica di una continua crescita qualitativa del servizio, unita ad una continua attenzione agli aspetti della sicurezza in cantiere, già definiti da procedure interne specifiche e da piani di formazione dipendenti, ha ottenuto quest’anno anche la certificazione ambientale ISO 14001. La principale attività aziendale è costituita dai controlli di tenuta su serbatoi, vasche e linee di raccordo mediante tecnologie “non distruttive” di certificata validità e comprovata efficienza, oltre all’elaborazione di tabelle metriche di taratura. Da alcuni anni ha ampliato le proprie competenze ed oggi è in grado di fornire ai clienti una gamma completa di servizi quali: operazioni di bonifica, risanamento e dismissione serbatoi, indagini preliminari con messa in sicurezza di emergenza/operativa, piani di caratterizzazione, analisi di rischio, bonifica di siti contaminati e riqualificazione ambientale. In particolare per le verifiche di tenuta, EcoMedit è esclusivista di tre tecnologie strumentali “non distruttive” omologate e certificate a livello nazionale ed internazionale: • metodo volumetrico non distruttivo “Sure Test System Pro-Eco”; • metodo “Acoustic Ullage Proeco U3”; • metodo con tecnologia di massa “Mass Integrity Test System”. L’utilizzo combinato di queste tecnologie consente di controllare la tenuta di serbatoi interrati e vasche di stoccaggio in esercizio ed a qualsiasi livello di riempimento evitando i rischi di rotture o implosioni tipici dei tradizionali metodi a pressione e depressione. La corretta applicazione delle procedure di prova consente l’individuazione di perdite minime con una probabilità pari al 99,9% ed una percentuale di falso allarme dello 0,005%. A conferma della validità del servizio fornito, va ricordato che le tecnologie utilizzate sono certificate da importanti enti nazionali ed internazionali quali il Ministero dell’Interno – Ispettorato Prevenzione Incendi, CNR, E.P.A., C.E.S.I., M.E.T., TE.S.I., e che le procedure sono da diversi anni inserite nel Sistema di Qualità Certificato UNI EN ISO 9001/2008.
Novità Indeco: la nuova cesoia ISS 25-40 Già da alcuni anni Indeco fornisce ai suoi clienti, oltre ai celebri demolitori idraulici intelligenti, anche una gamma completa di attrezzature e accessori per la demolizione e il riciclaggio. Oggi è la volta delle cesoie ISS – Indeco Steel Shears – la cui gamma viene ampliata con il nuovo modello ISS 25-40. Si tratta di attrezzi dedicati al taglio dei materiali ferrosi quali profilati, serbatoi, tubazioni, ecc., indispensabili per chi opera nei settori della rottamazione e del riciclaggio. L’ultima nata potrà essere utilizzata sia al posto braccio, per escavatori dal peso minimo di 25 tonnellate, sia al posto benna, per escavatori dal peso minimo di 40 tonnellate. Come tutti gli altri prodotti Indeco la nuova cesoia ISS sa distinguersi positivamente sul mercato grazie ad alcune caratteristiche esclusive: • design innovativo per una maggiore efficienza di taglio rispetto a prodotti simili; • grande profondità di taglio, maggiore profondità della ganascia e taglienti più lunghi; • cilindro idraulico più grande e potente, realizzato su esclusivo progetto Indeco, dotato di speciali guarnizioni per resistere fino a 700 bar e fornire la necessaria forza in ogni condizione di lavoro; • valvola di rigenerazione per un rapido movimento a vuoto della ganascia con cicli di lavoro più brevi; • alta qualità dei materiali del corpo macchina realizzato con acciai speciali super resistenti che rendono la struttura indeformabile; • quattro coltelli in acciai speciali di uguale lunghezza, reversibili e intercambiabili per consentire lo sfruttamento di ciascuno dei quattro angoli di taglio; • rotazione idraulica continua a 360° per un migliore posizionamento ed un taglio ottimale in qualsiasi posizione di lavoro; • piastra di attacco compatibile con quella dei martelli Indeco di pari peso; • sistema di pivotaggio di eccellente robustezza per assicurare un’efficienza di taglio prolungata nel tempo e mantenere le ganasce allineate evitando lo svergolamento; • sistema di regolazione del registro di taglio per un’azione di lavoro sempre efficiente; • grande apertura della mascella; • boccola d’usura intercambiabile “quick change” per un allineamento sempre ottimale dei taglienti; • duplice sistema di incisione, nella punta superiore e inferiore, per consentire una migliore progressione del taglio.
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VTN: NUOVA GAMMA “CESOIE IDRAULICHE” E NUOVI MODELLI CI 040 E CI 070
Dalla lunga esperienza, maturata spesso a fianco dei clienti utilizzatori, dal know how specialistico e dall’attenzione alle necessità del mercato, ha preso forma in casa VTN l’ambizioso progetto di rinnovare la gamma delle cesoie idrauliche “CI” arricchendola dei nuovi modelli CI 040 e CI 070. Sotto il profilo della tecnologia applicata le cesoie VTN della nuova generazione, si avvalgono delle soluzioni più all’avanguardia oggi presenti sul mercato e sono il risultato di anni dedicati all’analisi e alla ricerca per la realizzazione di un prodotto dai più elevati standard di qualità e affidabilità. Le cesoie VTN sono estremamente versatili e adatte alle esigenze del lavoro più specifico, trovando naturale impiego tanto nella demolizione aerea (abbattimento di intere strutture in ferro), quanto nella demolizione a terra (in fonderia, in discarica, presso l’impresa di rottamazione). Grazie alle innovative soluzioni costruttive derivanti da un progetto realizzato con programma di calcolo ad elementi finiti, si è raggiunto il duplice obiettivo di migliorare l’affidabilità strutturale di ogni singola cesoia e, soprattutto, di ridurne sensibilmente il peso, favorendone così l’accoppiamento con più classi di macchine. Nella nuova versione è stata introdotta di serie una protezione frontale amovibile ed intercambiabile realizzata in hardox 450 a protezione della parte frontale di queste attrezzature che è tra le più soggette ad usura. Di nuovo design è anche il puntale che nella nuova versione preserva l’usura dei coltelli e ne favorisce l’ottimale alloggiamento. VTN inoltre ha adottato taglienti con fori filettati per facilitare la manutenzione ed evitare nelle situazioni estreme il bloccaggio della ganascia. La gamma già ricca di modelli, alcuni fornibili anche in versione fissa (cioè senza rotazione idraulica), è stata ulteriormente ampliata con le nuove cesoie CI 040 e CI 070, presentate in anteprima al SAMOTER di Verona. Con la loro introduzione, in attesa di completare la serie con il modello CI 100, il cui progetto è attualmente in fase di esecuzione, VTN si propone per soddisfare le sempre più frequenti richieste di attrezzature da utilizzare anche su macchine di taglia inferiore o su bracci speciali da demolizione, per particolari interventi all’interno di cantieri soggetti a limitazioni derivanti dalle sempre più restrittive norme sulla sicurezza. Lo schema costruttivo corrisponde fedelmente allo standard VTN, a beneficio di prestazioni che anche le cesoie più piccole, attraverso le caratteristiche di serie di cui sono dotate, devono saper garantire. La CI 040 ha un’apertura di 350 mm e una profondità della bocca di taglio di 238 mm; il suo peso, esclusa la sella d’attacco è di 450 kg ed è pertanto utilizzabile al posto benna su escavatori dalle 5 alle 8 ton, e al posto dell’avambraccio anche su miniescavatori da 2,5 ton. La CI 070 ha un’apertura di 415 mm e una profondità della bocca di taglio di 285 mm; il suo peso senza sella d’attacco è di 770 kg ed è quindi impiegabile su escavatori dalle 8 alle 13 ton al posto benna, mentre al posto dell’avambraccio su miniescavatori da 5 ton.
DA SOCOMEC LE BENNE VAGLIATRICI SBV E LE PINZE SELEZIONATRICI SPS Dato il progressivo aumento dell’importanza del settore riciclaggio e recupero dei materiali inerti, la Socomec pone sul mercato la serie di benne vagliatrici per escavatori da 3,5 a 12 t. Con un utilizzo facile ed intuitivo, sono ideali per bonificare terreni sassosi, selezionare i sassi nei corsi d’acqua, pulire le spiagge, dividere i materiali di risulta nel cantiere di una demolizione o selezionare e riutilizzare la terra spianata per ricoprire tubature o canalizzazioni. Un vantaggio essenziale sta nella possibilità di sostituire interamente o solo parzialmente le griglie in acciai resistenti alle abrasioni, direttamente in cantiere. Con questo strumento è possibile riutilizzare i propri materiali evitando così acquisti di materiale di prima estrazione, di norma molto costoso. La Pinza Selezionatrice SPS con i suoi 4 modelli installabili su escavatori da 1,5 a 20 t, è un’attrezzatura molto versatile, ottima sia per la demolizione di strutture e fabbricati non in cemento armato, sia per il riciclaggio, la selezione e la movimentazione dei materiali demoliti. In tutti i modelli è presente la rotazione a 360° per ridurre le operazioni di spostamento e la possibilità di lavorare in condizioni non ottimali. Le chele sono interamente costruite in acciai speciali ad alta resistenza, per garantire maggiore resistenza all’abrasione e quindi una maggiore longevità della macchina.
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libri
IL RECUPERO E LA RIQUALIFICAZIONE DELLE AREE URBANE DISMESSE. PROCEDURE URBANISTICHE ED AMBIENTALI A cura di Guido A. Inzaghi e Federico Vanetti
Giuffrè Editore (pagine 188 - € 20,00) Fa parte della collana “Teoria e Pratica” questo volume che, traendo spunto da un tema di attualità come il recupero delle aree dismesse, tenta di offrire una visione completa delle difficoltà urbanistiche e ambientali e delle possibili soluzioni normative e procedurali di un progetto di rigenerazione urbana. Articolato in sette capitoli, il testo offre inizialmente un’analisi della disciplina urbanistica ed ambientale a dimostrazione della complementarietà delle normative dei due settori nella definizione di un intervento di riqualificazione. Una seconda parte invece, dedicata alla programmazione in ambito ambientale ed urbanistico, consente di comprendere quali siano gli attori coinvolti e quali le fasi distintive della procedura che caratterizza i complessi interventi di sviluppo di un’area dismessa evidenziando come, soprattutto in ambito urbanistico, le norme regionali abbiano spesso il ruolo di rimediare all’inadeguatezza della legislazione nazionale. Gli autori concludono infine con due capitoli di approfondimento nei quali vengono affrontati gli aspetti esecutivi e pratici che seguono la fase programmatoria, con una particolare attenzione rivolta al coordinamento necessario tra i lavori di bonifica e quelli edili.
COMPENDIO NORMATIVO PER LA GESTIONE DEI RIFIUTI E LA BONIFICA DEI SITI INQUINATI A cura di Rosalba Martino
Maggioli Editore (pagine 160 - € 25,00) Dalla basilare esigenza di acquisire ed affinare uno strumento metodologico per interpretare la complessa normativa del settore ambientale nasce questo volume che, in forma semplice ed elementare, può risultare di utilità per tutti i soggetti impegnati nei servizi ambientali, ed in particolare nel settore dei rifiuti. Il compendio, che offre un’analisi di tutta la normativa del codice ambientale in tema di rifiuti e bonifiche di siti inquinati, è inoltre aggiornato con le modifiche ed integrazioni introdotte dalle più recenti disposizioni normative. Con un approccio senz’altro originale il volume esamina in modo completo ed accurato la normativa introducendo però l’inquadramento storico e la matrice comunitaria della materia. Basandosi sulla lunga esperienza di lavoro dell’autrice il compendio si pone come obiettivo quello di fare chiarezza su una normativa caratterizzata da un contesto estremamente instabile, dettato sia dal nuovo assetto del codice che si prefigura a livello comunitario sia dalla legislazione nazionale che si muove sempre più spesso a forza di ripetuti correttivi e decretazione d’urgenza.
GUIDA PRATICA ALLA CERTIFICAZIONE AMBIENTALE. LA NORMA ISO 14001:2004 ED IL REGOLAMENTO COMUNITARIO EMAS A cura di Andrea Sillani
Irnerio Edizioni (pagine 209 – € 28,00) Per rispondere alle esigenze dei soggetti operanti nel settore nasce questo volume che, con un taglio prevalentemente operativo, offre una panoramica sulla norma ISO 14001:2004 e sul Regolamento Emas, due sistemi che consentono di realizzare un’impostazione gestionale complessiva delle tematiche ambientali. Forte della grande esperienza operativa maturata dell’autore, questa guida tratta la tematica della certificazione ambientale fornendo un importante contributo su un argomento la cui divulgazione risulta ancora limitata ma che di fatto è sempre più legato al miglioramento complessivo della qualità della vita. Il testo si articola in quattro parti: in prima analisi viene affrontato lo sviluppo e l’affermazione della certificazione ambientale, segue una parte in cui viene approfondita la norma internazionale UNI EN ISO 14001:2004 ed una incentrata invece sul Regolamento comunitario Emas; la quarta parte fornisce invece un confronto tra la norma ISO 14001:2004, la OHSAS 18001:2007 e il D.Lgs. 231/01. A supporto del lettore è presente infine una corposa quinta parte che contiene in allegato i testi normativi di riferimento per le tematiche trattate.
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Anno 4 - Numero 15
PeVmedia.com
Nata con l'obieevo di trovare punn di incontro fra interessi pubblici e privaa, BONIFICHEXPO2015 è un'Associazione senza fini di lucro che riunisce diverse imprese, ognuna leader nel proprio seeore. Perché BONIFICHEXPO2015? Perché il grande evento che meeerà Milano davann agli occhi del mondo sinteezza concretamente e simbolicamente l'obieevo entro il quale l'Associazione intende muoversi. Il tema delle bonifiche definisce gli obieevi dell'aavità associaava: recuperare vaste aree dismesse del territorio per realizzare operazioni di riqualificazione urbana, esclusivamente a fini socio economici. Un approccio diverso che innestandosi su una vera emergenza, il recupero e la bonifica delle aree dismesse, richiede una diversa capacità, quella di coniugare imprenditorialità e scopi sociali. Questo è il caraaere innovaavo dell'iniziaava promossa dall’Associazione che sarà in grado di tracciare nuovi percorsi di sostenibilità.
NOI GUARDIAMO OLTRE INGEGNERIA APPLICATA ALLE BONIFICHE AMBIENTALI DEA INGEGNERIA É SPECIALIZZATA NELLA PROGETTAZIONE E DIREZIONE LAVORI PER LA BONIFICA DI SITI CONTAMINATI. ELABORA ANALISI DI RISCHIO SANITARIO AMBIENTALE ED EFFETTUA VALUTAZIONI DI DUE DILIGENCE OFFRENDO AI PROPRI CLIENTI UN SERVIZIO EFFICIENTE E DI QUALITÁ FONDATO SULLA CONTINUA RICERCA DI TECNOLOGIE E SOLUZIONI ALL’AVANGUARDIA.
Dell'Associazione fanno parte molte società, con professionalità ed esperienze diverse, in grado di operare ope insieme sul territorio per garannre un futuro concreto ai progee di riqualificazione urbana. Il nostro obieevo: reinventare le aree urbane lombarde e diventare protagoniss aavi di Expo 2015.
PROGETTAZIONE E CONSULENZA
■ AnAlisi di rischio sAnitArio AmbientAle di ii e iii liVello ■ due diligence AmbientAli ■ ProgettAzione interVenti di bonificA suoli e fAlde contAminAte ■ modellAzione numericA di flusso e trAsPorto dei contAminAnti ■ messA in sicurezzA imPiAnti interrAmento rifiuti S trada del Por t one, 125C - 10095 Gr ugliasco (TO)
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Te l . + 3 9 011 7 8 0 2164
www.dea ingegner ia.it
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info@deaingegneria.it
Poste Italiane Spa - Sped. in a.p. - D.L. 353/2003 conv. in L. 46/2004, art.1, c.1 - CB-NO/Torino â&#x20AC;&#x201C; Anno 4 n. 15 DEA edizioni s.a.s. Strada del Portone, 127 - 10095 Grugliasco (TO)
maggio - giugno 2011 anno iv numero 15
EDILIZIA E COSTRUZIONI ANCE INDICA LA STRADA per il RILANCIO del SETTORE METALLURGIA DI PROCESSO Tecniche di rimozione delle scorie dagli altoforni BONIFICA SOLVENTI CLORURATI Riduzione chimica e soil mixing per il trattamento della falda DECOSTRUZIONE URBANA Soluzioni operative per contenere gli impatti ambientali
maggio - giugno 2011