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settembre 2011 anno iv numero 16

Poste Italiane Spa - Sped. in a.p. - D.L. 353/2003 conv. in L. 46/2004, art.1, c.1 - CB-NO/Torino – Anno 4 n. 16 DEA edizioni s.a.s. Strada del Portone, 127 - 10095 Grugliasco (TO)

SITI CONTAMINATI ora i dati si TRASMettono E CONDIVIdono sul web

SISTEMA A RIFIUTI ZERO Trattamenti meccanico-biologici come alternativa agli inceneritori BONIFICA DELLE AREE DISMESSE Si apre la strada ad una nuova visione socio-economica ROBOT DA DEMOLIZIONE Attrezzature radiocomandate per lavori impossibili

settembre 2011


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Un salvagente per le maree nere

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i risiamo. E non sembra vero sia appena trascorso un anno dall'evento precedente. L'incubo della marea nera si è solo spostato dal Messico alla Scozia. Questa volta il petrolio si è riversato nel mare del Nord, in seguito alla perdita riscontrata dalla piattaforma Gannet Alpha di proprietà della Shell. La marea nera ad agosto veniva descritta dal Primo Ministro Scozzese come "piccola in confronto all'incidente del pozzo Macondo nel Golfo del Messico, ma – aggiungeva poi con cautela - nel contesto britannico si tratta di una notevole fuoriuscita di greggio". Solo 1.300 barili (216 tonnellate) rispetto ai 5 milioni del Golfo del Messico di cui proprio in questi giorni è arrivata la stima ufficiale effettuata dal Woods Hole Oceanographic Institution (WHOI) e dalla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS). Nel caso della Deepwater Horizon, dei 5 milioni di barili dispersi circa 800.000 sono stati recuperati direttamente dal pozzo con misure di contenimento; peccato però che alla fauna marina, all’acqua e agli abitanti della Louisiana sia toccato smaltire i rimanenti 4,2 milioni di barili. Le affermazioni iniziali della Shell indicavano addirittura che la forza delle onde del mare del Nord sarebbe stata sufficiente a disperdere da sola il greggio, senza necessità di escogitare sistemi di bonifica delle acque. Sarà stato anche minore di altri disastri, ma condivido quello che sostiene la Royal Society per cui "ogni quantità di petrolio, se riversato nel momento sbagliato e nel posto sbagliato, può avere un impatto devastante sulla vita marina", come quel tratto di mare che vede la presenza di ecosistemi così delicati. Il fatto che più incuriosisce è che se, da un lato, le compagnie petrolifere e le agenzie governative fremono di fronte alla necessità di studiare sistemi di sicurezza efficienti e piani di emergenza più affidabili, dall'altro, l’amministrazione di Barack Obama nei giorni scorsi ha concesso proprio alla Shell di perforare i fondali al largo delle coste artiche dell’Alaska per future estrazioni, mentre il governo britannico ha rilasciato ben 26 nuove licenze per l’esplorazione petrolifera in acque profonde a ovest delle Isole Shetland. Siamo consapevoli della crisi petrolifera e della disponibilità di ingenti riserve di petrolio in Alaska, ma bisognerebbe valutare veramente i rischi connessi all'estrazione di greggio in condizioni estreme, come le temperature costantemente sotto zero, le forti raffiche di vento, le violente tempeste e le distanze per raggiungere le stazioni di soccorso... Soprattutto considerando che, prima dell'incidente di agosto, il mare della Scozia era da tutti considerato come il più sicuro al mondo! Massimo Viarenghi

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ECO bonifiche rifiuti demolizioni

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RUBRICHE

23 TUTELA, SVILUPPO E CRESCITA DELLE ENERGIE RINNOVABILI, UN FUTURO POSSIBILE SECONDO L’ASSOCIAZIONE ANTER

ecoNews Vetrina ecoappuntamenti Libri

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STORIA DI COPERTINA SISBON: un valido esempio di gestione, trasmissione e controllo dei dati di Tina Corleto

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ATTUALITÀ

32 IN ASIA ESISTE UN PARADISO TROPICALE CREATO AL DI SOPRA DI UNA DISCARICA: UN ESEMPIO DI SOSTENIBILITà UNICO AL MODO

39 APPROFONDIMENTO ED ANALISI DELLE CRITICITà NELLE METODICHE ANALITICHE PER LA DETERMINAZIONE DEGLI IDROCARBURI

CALA LA PRODUZIONE DI RIFIUTI PERICOLOSI MA CRESCE QUELLA COMPLESSIVA di Elisa Lazzari

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La gestione dei rifiuti come economia efficiente per le risorse e i vantaggi ambientali di Margherita Bologna

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Energie rinnovabili per difendere il futuro che stiamo già costruendo di Elena Arca

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GIù LE TORRI DI PIEVE EMANUELE di Maeva Brunero Bronzin

26

ENI AWARD 2011: I PREMIATI SI RACCONTANO di Bruno Vanzi

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Green business e tecniche del futuro di Maria Beatrice Celino

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THE BIG EYE Da Singapore un esempio illuminante di sostenibilità ambientale di Tina Corleto

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REPORT EXPO MILANO 2015: COME FAR COINCIDERE ESIGENZE AMBIENTALI E FINANZIARIE di Bruno Villois

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SPECIALE

50 L’OTTIMIZZAZIONE DELLE PROCEDURE DI CARATTERIZZAZIONE E CAMPIONAMENTO PER LA BONIFICA DEL SIN CAFFARO DI BRESCIA

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Anno 4 - Numero 16

Metodiche analitiche per la determinazione degli idrocarburi di Biagio Giannì

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PANORAMA AZIENDE Un successo fondato sui valori di Maria Beatrice Celino

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UN UOMO CHE HA FATTO LA DIFFERENZA di Maria Beatrice Celino

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Anno 4 - Numero 16 Settembre 2011 Direttore responsabile: Massimo Viarenghi Direttore editoriale: Tina Corleto Direttore commerciale: Maria Beatrice Celino Coordinamento editoriale: Maeva Brunero Bronzin

WORK IN PROGRESS LA BONIFICA DEL “Comparto Milano” ALL’INTERNO DEL sin BRESCIA CAFFARO di Gianni Virgilio e Sergio Cavallari

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Le attività di arpat presso il sito ex-decoindustria in provincia di Pisa di Andrea Villani e Fabrizio Franceschini

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BONIFICA DELLE ACQUE DI FALDA CON IMPIEGO DI MATERIALI NANOSTRUTTURATI di Beatrice Sardi, Ivano Aglietto e Michele Marcotti

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La gestione dinamica di un intervento di Multi–Phase Extraction di Andrea Guerini e Michele Ciccarelli

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Autorizzato l’impianto mobile per il trattamento dei sedimenti di dragaggio di Loredana Capparelli

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PROGETTI E TECNOLOGIE GREEN REMEDIATION: APPROCCIO ALLE BONIFICHE SOSTENIBILI di Rudi Ruggeri TECNOLOGIE ED APPLICAZIONI OPERATIVE DELLE ATTREZZATURE A COMANDO REMOTO di Paolo Limonta e Stefano Scaini

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Collaboratori: Ivano Aglietto, Elena Arca, Andrea Barbanti, Rosa Bertuzzi, Margherita Bologna, Marco Bono, Loredana Capparelli, Sebastiano Carrer, Sergio Cavallari, Maria Beatrice Celino, Michele Ciccarelli, Giorgio Ferrari, Fabrizio Franceschini, Marco Garofalo, Biagio Giannì, Andrea Guerini, Elisa Lazzari, Paolo Limonta, Michele Marcotti, Alessandro Parise, Andrea Quaranta, Rudi Ruggeri, Beatrice Sardi, Stefano Scaini, Andrea Terziano, Sara Toso, Elisabetta Tromellini, Federico Vanetti, Andrea Villani, Bruno Villois, Gianni Virgilio Comitato Scientifico: Maria Rosaria Boni (Sapienza Università di Roma) Daniele Cazzuffi (Cesi spa – Remtech) Laura D'Aprile (ISPRA, Roma) Luciano De Propris (Consulente ambientale) Ennio Forte (Università degli studi di Napoli) Luciano Morselli (Università di Bologna) Andrea Quaranta (Giurista ambientale – Roma) Gian Luigi Soldi (Provincia di Torino) Federico Vagliasindi (Università di Catania) Maria Chiara Zanetti (Politecnico di Torino) Ufficio commerciale - Vendita spazi pubblicitari: Maria Beatrice Celino Tel. 011 7802164 Cell. 335 237390 e-mail: b.celino@deaedizioni.it Grafica, disegni e impaginazione: PeVmedia - C.so Francia, 128 - 10143 Torino

PREVENIRE è MEGLIO CHE CURARE di Andrea Terziano

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biomassa: l’energia che non sposta gli equilibri di CO2 di Marco Bono

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BEST MANAGEMENT PRACTICES PER LA GESTIONE DELLE ACQUE METEORICHE DI DILAVAMENTO di G.Ferrari, E. Tromellini, A. Barbanti, S. Carrer e S. Toso

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RICICLAGGIO A FREDDO CON IMPIANTO MOBILE: ASPETTI TECNICI E NORMATIVI di Alessandro Parise e Marco Garofalo

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Direzione, Redazione, Abbonamenti, Amministrazione:

NORMATIVA La tutela penale dell’ambiente secondo il D.Lgs. 121/2011 di Rosa Bertuzzi Nuove definizioni di rifiuto, sottoprodotto, terre e rocce da scavo di Andrea Quaranta Piazzole ecologiche e centri di raccolta di Federico Vanetti

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Organo Ufficiale dell'Associazione Studi Ambientali

ASSOCIAZIONe STUDI AMBIENTALI Aggiornamenti e notizie

Responsabilità: la riproduzione delle illustrazioni e articoli pubblicati dalla rivista è riservata e non può avvenire senza espressa autorizzazione della Casa Editrice. I manoscritti e le illustrazioni inviati alla redazione non saranno restituiti, anche se non pubblicati, e la Casa Editrice non si assume responsabilità per il caso che si tratti di esemplari unici. La Casa Editrice non si assume responsabilità per i casi di eventuali errori contenuti negli articoli pubblicati o di errori in cui fosse incorsa nella loro riproduzione sulla rivista. La responsabilità di quanto espresso negli articoli firmati rimane esclusivamente agli Autori.

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L’abbonamento è deducibile al 100%. Per la deducibilità del costo ai fini fiscali vale la ricevuta del versamento a norma D.P.R. 22/12/86 n. 917 artt. 50 e 75. Conservare il tagliando - ricevuta, esso costituisce documento idoneo e sufficiente ad ogni effetto contabile. Non si rilasciano in ogni caso altre quietanze o fatture per i versamenti in c.c.p. Pubblicazione bimestrale Poste Italiane Spa – Sped. in a.p. D.L. 353/2003 conv. in L. 46/2004, art. 1, c. 1 – registrata presso il Tribunale di Torino il 19 ottobre 2009 al n. 56. Ai sensi del D.Lgs. 196/2003, informiamo che i dati personali vengono utilizzati esclusivamente per l’invio delle pubblicazioni edite da DEA edizioni s.a.s. Telefonando o scrivendo alla redazione è possibile esercitare tutti i diritti previsti dall’articolo 7 del D. Lgs. 196/2003.


e co n ews

Liberamente tratto da “Gomorra”: scoperta una discarica dei Casalesi sotto l a campagna

Somiglia a una delle scene del film tratto dall’omonimo libro di Roberto Saviano ma in questo caso non si tratta di finzione. E’ stata rinvenuta in una vasta area di campagna a ridosso della circonvallazione di Casal di Principe una discarica di rifiuti dei quali non si conosce ancora la natura. Si tratta di un’area di circa 8000 mq di proprietà della Curia di Aversa nella quale sarebbero stati sversati ingenti quantitativi di rifiuti tossici. La scoperta, avvenuta pare in seguito alla segnalazione di un pentito del clan dei Casalesi, è stata fatta dalla Squadra Mobile di Caserta che a circa 4 metri di profondità ha riscontrato la presenza di terreno maleodorante subito fatto analizzare dai tecnici dell’Arpac e dell’Asl. Le attività di scavo sono coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli poichè pare che la discarica sia opera dello stesso clan dei Casalesi che nell’area ha la propria roccaforte.

Puglia: 435 denunce per un territorio stuprato dagli scempi Oltre 400 chiamate al numero verde del WWF per rendersi conto che quest’estate il territorio pugliese non si è fatto mancare nulla. Si parte dall’abbandono di rifiuti di ogni genere ed in ogni luogo, si prosegue con le lastre di eternit accatastate in discariche improvvisate, passando poi agli sversamenti fognari incontrollati fino al rilascio di oli tra le calette di Monopoli. Sono centinaia le segnalazioni che hanno impegnato l’ufficio del demanio marittimo pugliese e le forze di polizia nell’accertamento delle responsabilità ma si tratta ovviamente di situazioni complesse. Tra gli scempi, un posto di rilievo spetta al taglio degli ulivi, un malcostume diffuso in Regione dove tra i casi eclatanti troviamo il taglio di centinaia di ulivi nel comune di Molfetta eliminati per far spazio ad un campo da calcio privato. Non meno importante è l’aggressione del territorio operata con la realizzazione di manufatti di cemento facilmente etichettabili come “ecomostri”. Le costruzioni sono sia pubbliche che private, come le scalinate in cemento che arrivano fino alla battigia (a Manfredonia e in Manduria) oppure lo sbancamento delle dune per far spazio ai parcheggi (Marina di Lizzano e Carovigno sono i casi più clamorosi) per finire con le frequentissime case abusive della baia di Zaiana. Per concludere non

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vanno dimenticati gli incendi boschivi che anche quest'anno hanno causato la perdita di centinaia di ettari di macchia mediterranea e zone boschive.

Bonificare fa bene all’ambiente e alla salute Secondo i risultati di una ricerca condotta dall’Istituto di fisiologia clinica del Consiglio nazionale delle ricerche (Ifc-Cnr) di Pisa e dalla London School of Hygiene and Tropical Medicine di Londra sembra che gli interventi di bonifica dei siti inquinati di Priolo e Gela siano un vantaggio non solo per l’ambiente ma anche per la salute. Le due aree sono state inserite all’interno dei SIN già nel 1998 a causa dell’elevato rischio associato allo stato di contaminazione riscontrato, ma attualmente l’iter di bonifica non si è ancora concluso. La ricerca, pubblicata sulla rivista internazionale Environmental Health, specializzata sulle relazioni tra ambiente e salute, grazie all’applicazione di modelli analitici ,ha consentito di quantificare i risparmi economici nel settore sanitario che si potrebbero ottenere investendo nella bonifica dei siti contaminati. Dall’analisi dei dati emerge che con la rimozione delle fonti di esposizione, ogni anno verrebbero evitati 47 casi di morte prematura, 281 casi di ricoveri ospedalieri per tumori e 2.702 ricoveri ospedalieri per tutte le cause. Il beneficio stimato ammonterebbe quindi a 3,6 miliardi di euro per l’area di Priolo e 6,6 miliardi di euro per Gela, importi sensibilmente diversi dai 774,5 milioni di euro stanziati sino ad ora per Priolo e dai 127,4 milioni di euro stanziati per Gela.“La ricerca non intende monetizzare il rischio e tanto meno il danno alla salute” ha sottolineato Fabrizio Bianchi, dirigente di ricerca di Ifc-Cnr “ma fornire stime economiche basate su dati epidemiologici per definire piani di bonifica di lungo respiro e adeguatamente finanziati che, oltre a rappresentare un beneficio netto per l’ambiente e la salute, potrebbero dare sbocchi positivi sul piano dello sviluppo tecnologico ed occupazionale”.

Il traffico illecito dei rifiuti: un problema transfrontaliero L’Europol, l'Agenzia europea che si occupa di contrasto al terrorismo e al crimine organizzato, nel rapporto annuale sulla sicurezza in Europa ha identificato un incremento nel volume d’affari del traffico illecito di rifiuti attraverso i confini degli Stati membri. Chi pensava che il problema dei rifiuti fosse un prodotto con il marchio “made in Italy” sarà deluso di sapere che il traffico dei rifiuti è divenuto un business molto apprezzato dalle mafie in Europa in quanto associa un basso rischio ad un profitto elevato divenendo quindi uno dei settori in rapida ascesa nel crimine organizzato. Le direttrici dei traffici van-


no dall’Europa nordoccidentale, ai Paesi dell'Europa nord-orientale o dagli Stati membri del Sud ai Balcani, Romania e Ungheria. Inoltre i rifiuti non si muovono solo all’interno del continente perché sono sempre di più i “trasporti” effettuati verso i Paesi dell’Africa e dell’Asia. Alla nostra penisola spetta però un posto di rilievo nel settore degli e-waste: l’Italia è stata infatti identificata come punto di transito dei RAEE diretti verso Africa e Asia. Traffici criminali che si tramutano in costi sociali, l’Europol stima un costo che va dai 160 ai 300 euro per la bonifica dei rifiuti smaltiti illegalmente, cui non corrispondono invece adeguate sanzioni penali.

Delta del Niger: l a più grande bonifica del mondo E’ stato recentemente presentato il rapporto Unep "Environmental Assessment of Ogoniland" dal quale emerge che il recupero ambientale del Delta del Niger potrebbe rivelarsi come la bonifica più estesa e più lunga mai intrapresa sul nostro pianeta. La ricerca del team dell’Unep è durata 14 mesi durante i quali sono stati esaminati più di 200 siti nell’Ogoniland e oltre 122 chilometri di oleodotti per fare chiarezza sulla situazione dell’inquinamento del suolo e della falda generato da oltre 50 anni di sfruttamento petrolifero selvaggio. Dall’analisi di oltre 4000 campioni di acque e terreni si è riscontrato che anche zone che non sembravano interessate dalla contaminazione sono in realtà molto inquinate nel sottosuolo. Sono almeno 10 le comunità in cui la salute è gravemente minacciata, a titolo di esempio a Nisisioken Ogale, l’acqua utilizzata a scopo idropotabile proviene da pozzi in cui la concentrazione di benzene, noto cancerogeno, risulta 900 volte superiore rispetto a quanto previsto dall'Organizzazione mondiale della sanità. Molte sono le contromisure che è possibile prendere nell’immediato ma risulta evidente dal Rapporto che la realizzazione di una bonifica sostenibile dell’area del Delta del Niger richiede un tempo non inferiore ai 25-30 anni, se eseguita con tecnologie moderne, in presenza di una vigilanza ambientale costante e con la collaborazione di tutti i soggetti coinvolti, il Governo, la popolazione e l’industria petrolifera.

IL SISTRI RITORNA , PIU’ DEBOLE DI PRIMA Dopo che il Decreto 138/2011, la cosiddetta “manovra bis”, ne aveva sancito l’abolizione il Sistri, il nuovo sistema telematico di tracciabilità dei rifiuti, è stato nuovamente ripristinato grazie all’emendamento passato in Commissione Bilancio e al Senato. Il ripristino è avvenuto non senza l’introduzione di alcune novità che in qualche modo ne “depotenziano” l’efficacia. Innanzitutto l’avvio del Sistema è stato prorogato al 9 febbraio 2012, ad esclusione delle imprese fino a 10 dipendenti che producono rifiuti pericolosi, per le quali la partenza è definita per il 1° giugno 2012. L’emendamento introduce inoltre l’esclusione dal sistema per gli operatori che gestiscono rifiuti speciali non pericolosi, demandando al Ministro dell’Ambiente la definizione di tali rifiuti mediante apposito decreto. Ci auspichiamo che questi continui cambiamenti non pregiudichino l’efficacia del decreto nella sua applicabilità e che il Sistema serva davvero al raggiungimento dell’obiettivo per cui è stato concepito: sconfiggere le attività illecite e criminali connesse al traffico dei rifiuti.

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SISBON: un valido esempio di gestione, trasmissione e controllo dei dati Il Sistema Informativo sviluppato dalla Regione Toscana consente di uniformare le procedure e di raccogliere informazioni standardizzate in materia di siti da bonificare di Tina Corleto

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a Regione Toscana ha informatizzato la procedura di notifica di potenziale contaminazione per i siti ricadenti all'interno del proprio territorio. Dal 1° marzo 2011 è infatti attivo l’applicativo SISBON (Sistema Informativo Siti interessati da procedimento di BONifica) mediante il quale è possibile svolgere on-line la comunicazione con le notifiche di potenziale contaminazione di siti non ancora inseriti nell'anagrafe regionale, fornendo tutti i dati tecnici ed analitici previ-

Ing. Giovanni Barca, Direttore Generale di ARPAT

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sti dalla modulistica di cui alla Deliberazione della Giunta Regionale del 15 marzo 2010, n. 301 "Linee guida e indirizzi operativi in materia di bonifica di siti inquinati". Il SISBON è uno strumento informatico, realizzato dall'Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale della Regione Toscana, di supporto all'alimentazione della "Banca Dati dei siti interessati da procedimento di bonifica" che viene condivisa su scala regionale con tutte le amministrazioni coinvolte e organizzata nell'ambito del Sistema Informativo Regionale Ambientale (SIRA). A sei mesi dall'avvio del Sistema Informativo, abbiamo rivolto alcune domande all'ing. Giovanni Barca, Direttore Generale di ARPAT, per capire come viene gestito l'applicativo e quali sono i vantaggi di tale procedura informatizzata. Accedendo al portale http://sira.arpat. toscana.it, abbiamo visionato le numerose tematiche ivi contenute. Quali dati ambientali mette a disposizione il Sistema SIRA e a chi si rivolge? Il portale mette a disposizione delle istituzioni, delle associazioni e dei cittadini i risultati delle attività di controllo e monitoraggio effettuati dall'Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale della Toscana e da altri enti che ope-

rano in campo ambientale. Questi dati vanno a costituire il Sistema Informativo Ambientale della Regione Toscana (SIRA), i cui compiti principali sono la raccolta, l'elaborazione, la verifica e la diffusione delle informazioni di interesse ambientale. L'accesso ai contenuti del portale è possibile attraverso tre percorsi di navigazione: acqua, aria, terra, energia (per temi); banche dati di base, rapporti sintetici e statistiche, mappe tematiche (per servizi); cambiamenti climatici, natura e biodiversità, ambiente e salute, uso sostenibile delle risorse naturali e gestione dei rifiuti (per macrobiettivi ambientali). Alcune pagine ed applicazioni sono ristrette ad utenti della Pubblica Amministrazione, previa autenticazione con user e password, e sono segnalate dalla presenza di un lucchetto. Il fatto che in Toscana si sia scelto di collocare il SIRA presso l’ARPAT quali vantaggi ha portato nel processo di informazione per operatori e Pubblica Amministrazione? All’Agenzia è affidata dalla legge regionale la gestione del Sistema Informativo Regionale Ambientale della Toscana (SIRA), che costituisce il riferimento regionale della rete Sistema informativo nazionale ambientale SINAnet e si integra con il Sistema informativo regionale SIR. La gestione del SIRA è effettua-


ta in raccordo con i sistemi informativi delle Province, dei Comuni e delle Aziende USL. Il principale vantaggio è costituito dal fatto che si concentra in un unico luogo l’insieme delle informazioni ambientali disponibili in Toscana, e naturalmente la scelta dell’Agenzia è dettata dal fatto che essa detiene la maggior parte di queste informazioni. Ritengo che uno degli obiettivi più significativi del mio mandato di Direttore Generale sarà quello di potenziare notevolmente le informazioni ambientali che mettiamo a disposizione del pubblico, sono convinto che questo un compito fondamentale dell’Agenzia. Il Sistema Informativo Siti interessati da procedimento di BONifica (SISBON) ha effettivamente consentito di uniformare le procedure di notifica, comunicazione, trasmissione dati, autocertificazione e certificazione? La Regione Toscana ha affidato ad ARPAT l’attuazione del “Progetto Anagrafe” con l’obiettivo di realizzare un sistema informativo integrato, condiviso ed accessibile da tutti gli Enti Locali quale Anagrafe regionale dei siti interessati da procedimento di bonifica (strumento previsto nell’ambito della normativa di settore per fini conoscitivi e di gestione del territorio). Il progetto è stato articolato su due linee contestuali: • contributo alla produzione di un atto regionale che, superando le diverse stratificazioni normative nazionali e regionali, in materia di banca dati e anagrafe dei siti contaminati sul piano tecnico ed amministrativo definisca i contenuti informativi (ripresi anche dagli indirizzi dell’ex ANPA), le competenze di ARPAT e quelle delle Province nonché i flussi informativi tra detti soggetti (ed altri) nelle diverse fasi del procedimento di bonifica; in tal senso, l’atto regionale rappresenta la condizione necessaria ed indispensabile per mantenere aggiornato il sistema e, in sintesi, per ottimizzare il processo complessivo. L’atto è stato emanato con DGRT n. 301 del marzo 2010.

• realizzazione, popolamento iniziale ed attivazione di supporto informatico on line quale evoluzione della banca dati già disponibile in ARPAT, destinato a superare il solo scopo di reportistica per diventare strumento di conoscenza e comunicazione permanente e di scambio informazioni con le Amministrazioni provinciali e con tutti gli altri soggetti coinvolti. L’applicativo che ne è scaturito è SISBON. SISBON, sviluppato in tecnologia web dal personale del SIRA, è accessibile tramite un normale browser di rete ed è organizzato: • in sezioni pubbliche (tra cui quella per la notifica di una potenziale contaminazione); • sezioni con accesso riservato per i soggetti obbligati (utenti SISBON che ricevono le credenziali di accesso dopo la notifica) e per le pubbliche amministrazioni (referenti SISBON). L’innovazione principale dello strumento consiste nella condivisione di un'unica banca dati non solo tra soggetti delle pubbliche amministrazioni, ma anche con i soggetti obbligati e quindi con le società di consulenza, dove ogni soggetto in base al proprio profilo visualizza e/o modifica i dati di propria competenza. In SISBON è stato anche integrato un frontend geografico (anche questo sviluppato dal personale SIRA e che potrà essere integrato in altre future applicazioni) che, utilizzando gli sfondi cartografici regionali, permette

l’aggiornamento via web delle informazioni geografiche: georeferenziazione del sito (già in fase di notifica) e sua perimetrazione (nelle fasi successive) che diventano parte integrante della banca dati. Per rispondere alla sua domanda: Sì, il Sistema informativo complessivamente inteso (disciplinato dalla DGRT 301/2010 e attuato in SISBON) sta consentendo di uniformare le procedure e di raccogliere informazioni standardizzate in materia di siti da bonificare. Se la DGRT 301/2010 ha rappresentato un primo traguardo in termini di uniformità nella comunicazione della notifica di potenziale contaminazione e nella trasmissione dati prevista ai fini della chiusura dei procedimenti con autocertificazione e certificazione, la realizzazione dell’applicativo SISBON ha concretizzato la possibilità di procedere ad una miglior gestione, organizzazione e controllo dei flussi e dei dati come descritti nella DGRT 301/2010. E’ necessario precisare che dal marzo 2011 la gestione dell’applicativo è in fase di progressiva attuazione e le diverse funzioni ancora in evoluzione sono in continuo rodaggio ed evoluzione. Dal 1° settembre 2011 hanno accesso alle informazioni anche Comuni, AUSL e Prefetture. L’applicativo in tal senso non è ancora a regime e viene sottoposto a costanti modifiche e miglioramenti che sono traduzione di costanti confronti e chiarimenti. In ogni caso l’informatizzazione dei flussi previsti dalla DGRT 301/2010 ha fin da subito evidenziato quale sia la maggior accuratezza richiesta sia ai soggetti obbligati sia alle amministrazioni coinvolte nei procedimenti. Inoltre da questo primo semestre d’uso dell’applicativo sono emerse ulteriori necessità di indirizzi operativi e di chiarimento che evidenziano la necessità di procedere ancora verso una maggiore condivisione delle procedure per le casistiche meno regolate (ad esempio la gestione dei siti che rientrano nelle tipologie oggetto di censimento ai sensi del DM 16/05/89).

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s tor i a d i co p e rt i n a

Sistema Informativo Siti interessati da procedimento di BONifica Il SISBON (Sistema Informativo Siti interessati da procedimento di BONifica) é lo strumento informatico realizzato dall'Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale della Regione Toscana, utile per effettuare le notifiche di potenziale contaminazione di siti non ancora inseriti nell'anagrafe regionale. Il sistema consente anche di trasmettere dati di sintesi e dati analitici in formato standardizzato per le aree con procedimento in corso di svolgimento e per l'inserimento nella "Banca Dati dei siti interessati da procedimento di bonifica" condivisa su scala regionale con tutte le amministrazioni coinvolte e organizzata nell'ambito del Sistema Informativo Regionale Ambientale (SIRA). Il Decreto Legislativo 3 aprile 2006 n. 152 (art. 242) prescrive i passaggi procedimentali da attuare al verificarsi di un evento di potenziale contaminazione. In conformità a quanto stabilito dal Testo Unico Ambientale, la Regione Toscana ha predisposto e adottato, con deliberazione del 15 marzo 2010 n. 301, le “Linee guida e indirizzi operativi in materia di bonifica dei siti inquinati”. Tali linee guida contengono precise indicazioni sulle diverse fasi del procedimento di bonifica e individuano soggetti obbligati, attività da realizzare e modulistica da compilare, prevedendo anche la possibilità della compilazione on line. La modulistica DGRT 301/2010 costituisce parte integrante dell’applicativo SISBON, disponibile dal 1° marzo sul sito ufficiale dell'Agenzia toscana.Tale sistema informatico consente di inoltrare alle Autorità comunicazioni e dati analitici da parte delle seguenti figure: • soggetto obbligato responsabile della potenziale contaminazione, • soggetto obbligato interessato non responsabile (proprietario/gestore) della potenziale contaminazione, • soggetto legittimato a firmare gli atti di accertamento, svolti dalle Pubblich e Amministrazioni e da ARPAT, che hanno portato a individuare un sito nel quale è stato accertato il superamento delle concentrazioni di soglia di contaminazione, • Pubblica Amministrazione. Sintetizzando quanto riportato nella Guida d'uso alla notifica, la procedura prevede che: • si compili on-line l’apposito modulo (Modulo A della DGRT 301/2010). Qualora non vengano inseriti alcuni dei campi obbligatori, al salvataggio del modulo verrà segnalata la presenza di errori nella compilazione. Nel caso di errori, ad ogni tentativo di salvataggio gli allegati richiesti già caricati devono essere nuovamente allegati; • una volta compilato il modulo in ogni sua parte e allegati i documenti richiesti, al momento del salvataggio del modulo, al sito viene attribuito automaticamente un Codice Regionale Condiviso; • al salvataggio del modulo i contenuti inseriti non possono più essere modificati e il modulo può essere stampato (l’attribuzione del Codice Regionale Condiviso compare sull’anteprima di stampa e sulla stampa del modulo); • l’attribuzione del Codice Regionale Condiviso viene comunicata tramite posta elettronica all’indirizzo di posta elettronica del “Soggetto obbligato” e a tutte le amministrazioni coinvolte in indirizzo, tramite un messaggio di posta elettronica; • al momento dell’attribuzione del Codice Regionale Condiviso, al “Soggetto Obbligato” vengono anche comunicate username e password (associate al sito) per l’accesso alla sezione di SISBON riservata agli UTENTI SISBON per la compilazione della Modulistica di cui alla DGRT 301/2011 e la trasmissione dei dati analitici in formato standardizzato richiesti nel corso dello svolgimento del procedimento. E' previsto che ad ogni sito corrisponda un SOGGETTO OBBLIGATO, dotato di username e password per l’accesso alle pagine di gestione dei dati del sito. Qualora un soggetto (o un referente tecnico) risulti SOGGETTO OBBLIGATO per più siti (e quindi per più procedimenti), risulterà essere un UTENTE SISBON dotato di username e password per ogni sito. • una volta compilato, salvato e stampato il modulo deve essere trasmesso ai destinatari in indirizzo firmato ed eventualmente timbrato e completo degli allegati previsti; • alla ricezione del Modulo A, la Provincia provvede ad approvare o ad annullare la notifica; all’approvazione della notifica il sito viene inserito e registrato nella “Banca dati dei siti interessati da procedimento di bonifica” (operazione effettuata dalle Amministrazioni Provinciali); • una volta approvata la notifica la provincia provvede a comunicare al Soggetto Obbligato l’inserimento del sito nella “Banca dati dei siti interessati da procedimento di bonifica” e la conferma del Codice Regionale Condiviso tramite l’apposito Modulo H della DGRT 301/2010. Tramite l’applicativo SISBON la modulistica prevista dalla DGRT 301/2010 in formato elettronico sarà presentata e resa disponibile on line entro la fine del 2011.

L'alimentazione e l'aggiornamento della banca dati interna al SISBON come viene gestita e condivisa tra i differenti uffici dal punto di vista amministrativo, tecnico e finanziario? Che impegno richiede un management del genere? Le modalità di alimentazione e aggiornamento della banca dati sono contenute nella DGRT 301/2010 che individua nelle Province, ARPAT e Comuni i soggetti che garantiscono l’aggiornamento delle sezioni amministrativa, tecnica e finanziaria per gli aspetti di competenza. A ciò si aggiungono i contenuti informativi che i proponenti sono tenuti a presentare attraverso

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la compilazione dei moduli anche per via informatica. Si ripete: trattasi di sistema informativo ad alimentazione “distribuita” tra più soggetti. In ARPAT in questo momento a sostegno dell’applicazione in termini di help desk con gli utenti, revisione delle procedure e manutenzione/aggiornamento dell’applicativo è previsto un Centro di competenza costituito da 2 persone (e altre 3 persone che contribuiscono all’attività sull’applicazione/materiale geografico e sull’acquisizione dei dati analitici). Il personale territoriale ARPAT così come gli Uffici Provinciali provvedono all’aggiornamento dell’istruttoria registrando rispetti-

vamente pareri tecnici e atti amministrativi (questa modalità di aggiornamento permette di disporre di informazioni aggiornate e di creare un archivio strutturato di tutti i documenti rilevanti prodotti nel corso del procedimento). L’impegno richiesto da questo management fatto di condivisione e distribuzione degli impegni è finalizzato a bilanciarsi con il vantaggio della pronta disponibilità di tutte le informazioni utili connesse al procedimento, che risulta essere molto semplificato rispetto alla gestione di archivi cartacei o anche di archivi informatici non organizzati in termini di registrazione dell’istruttoria.


E’ in ogni caso necessario precisare che in quelle realtà pubbliche caratterizzate da condizioni più critiche per la carenza di personale, il sistema, per quanto “semplificato” costituisce comunque un aggravio di lavoro. A partire dal 1° settembre 2011 sono state fornite le credenziali di accesso all’applicativo anche ai Comuni, Prefetture e AUSL e anche a seguito dei suggerimenti che le suddette amministrazioni hanno fornito nel corso degli incontri informativi tenutisi nel mese di Maggio 2011 potrebbe essere prevista l’attivazione di nuovi flussi e modalità, visto l’interesse ad avere accesso all’applicativo con un ruolo più attivo. L’accesso dei numerosi utenti ha reso necessarie, infatti, anche giornate informative e di confronto con gli addetti della pubblica amministrazione (Province, Comuni, AUSL, Prefetture) e con gli studi ed ordini professionali. Come è stato accolto dai soggetti obbligati e dalle società di consulenza l'applicativo? L’utilizzo di SISBON da parte dei soggetti obbligati e delle società di consulenza e professionisti è partito il 1° Marzo 2011, per cui possiamo fare un’analisi di questo primo semestre in cui sono state effettuate circa 60 nuove notifiche in buona parte inoltrate direttamente da SISBON. Premesso che l’utilizzo di SISBON è rivolto a tutte le tipologie di procedimento di bonifica a partire dai piccoli sversamenti accidentali (anche in realtà residenziali) fino ad arrivare

ai complessi procedimenti che ricadono ad esempio nei Siti di Interesse Nazionale (SIN), si evidenzia come lo strumento debba adeguarsi a realtà molto diverse tra loro in termini di specializzazione degli utenti; in tal senso, anche grazie ai suggerimenti ricevuti dagli utenti stessi sono già state effettuate modifiche ed altre sono in corso di valutazione con il fine di produrre una semplificazione amministrativa dei procedimenti (semplificazione finalizzata non ad una perdita di informazione bensì al conseguimento di un miglioramento dei flussi di acquisizione dei dati d’interesse). In tal senso è stata evidenziata, ad esempio, la necessità di semplificare la modulistica prevista nei casi di procedimenti che si concludono con autocertificazione a seguito delle misure preventive e delle indagini preliminari. Sarà inoltre necessario affrontare con maggior chiarezza, sempre per questi siti, la gestione della restituzione dei dati analitici in formato elettronico standardizzato. Al momento si sono riscontrati commenti positivi nei confronti dello strumento SISBON, dato che la standardizzazione delle modalità di trasmissione delle informazioni è utile anche per i soggetti obbligati e per le società di consulenza e professionisti; questi commenti positivi potrebbero amplificarsi notevolmente nel momento in cui la trasmissione telematica della modulistica e relativi allegati previsti dalla DGRT 301/2010 fosse completamente sostitutiva alla successiva trasmissione dei moduli. Oggi, infatti, la modulistica compilata on-line è

previsto venga trasmessa utilizzando i mezzi di trasmissione utilizzati di consuetudine (posta raccomandata o fax o posta elettronica della scansione o posta elettronica certificata). Sono state mantenute in vita tutte le modalità di trasmissione ma è auspicabile al più presto procedere, tramite revisione della DGRT 301/2010, ad istituire il solo utilizzo della modalità telematica (anche in vista dell’attuale fermento globale rivolto alla dematerializzazione dei documenti e all’istituzione dei SUAP). Per poter raccogliere ulteriori riscontri ci si augura che, grazie al contributo di tutti i soggetti coinvolti (anche a seguito del recente coinvolgimento dei Comuni), l’utilizzo dell’applicativo sia sempre più consistente e metodico. E’ intenzione, inoltre, superate queste fasi di messa a regime del sistema – che comunque prevedono relazioni continue con gli utenti – attivare rilevazioni standardizzate di “customer satisfaction”. Sulla base della Vostra esperienza, consigliereste l'implementazione di un sistema informatizzato anche alle altre Regioni italiane? Sì. Ormai la gestione di flussi informativi e dati è imprescindibile dall’implementazione di un sistema informatizzato e quindi se ne consiglierebbe l’implementazione anche ad altre Regioni italiane, e poiché la condivisione di strumenti e procedure è una sfida complessa si suggerisce comunque di tentare la strada di definire almeno i contenuti minimi informativi.

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CALA LA PRODUZIONE DI RIFIUTI PERICOLOSI MA CRESCE QUELLA COMPLESSIVA Presentata a Roma la decima edizione del Rapporto Rifiuti Speciali redatto da ISPRA, che fotografa lo stato dei rifiuti nel biennio 2007-2008 di Elisa Lazzari

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l Rapporto Rifiuti Speciali vuole fornire un quadro di informazioni oggettivo e sempre aggiornato sullo stato dei rifiuti in Italia, con la duplice finalità di orientare politiche ed interventi specifici e di verificare il raggiungimento degli obiettivi prefissati. Tale documento, giunto alla sua decima edizione, è stato redatto dall’ISPRA a fronte di una complessa attività di raccolta, analisi ed elaborazione di dati e analizza la produzione e la gestione dei rifiuti speciali negli anni 2007 e 2008, con informazioni sul trasporto transfrontaliero e su specifiche tipologie di rifiuti, quali i veicoli fuori uso, i rifiuti contenenti PCB, i rifiuti contenenti amianto ed i RAEE. Nei paragrafi che seguono si sintetizzano i dati maggiormente significativi riportati nel Rapporto.

PRODUZIONE DEI RIFIUTI SPECIALI Tra il 2007 e il 2008 si è assistito ad un aumento della produzione complessiva dei rifiuti di quasi 1,6 milioni di tonnellate, corrispondenti ad un incremento dell’1,2%; tale aumento si giustifica considerando la crescita della produzione di rifiuti inerti non pericolosi nel settore delle costruzioni e demolizioni, mentre la produzione delle altre tipologie di rifiuti non pericolosi appare stabile. Per i rifiuti non pericolosi, invece, si registra un

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calo di quasi 70.000 t (-0,6%), connesso con il decremento dei veicoli fuori uso radiati dal Pubblico Registro Automobilistico e avviati alla demolizione. Produzione dei rifiuti speciali per attività economica

chimici, di articoli in gomma e in materie plastiche, il 25,9% dall’industria metallurgica e il 17,6% circa dall’industria alimentare e del tabacco. Un peso importante hanno anche le attività di trattamento dei rifiuti (Ateco 37 e 90), che hanno originato una percentuale di rifiuti pari al 13,5% nel 2007 e al 14,2% nel 2008.

Analizzando la produzione di rifiuti speciali a partire dall’attività economica che li origina risulta che il maggior contributo alla produzione di rifiuti deriva dal settore delle costruzioni e demolizioni (Ateco 45), con una percentuale del 40,1% nel 2007 e del 41,3% nel 2008. Seguono le attività manifatturiere (Ateco 15÷36), che hanno contribuito per il 36,7% nel 2007 e per il 36% nel 2008. Tra queste, analizzando i dati del 2008, il 31,2% dei rifiuti speciali ha origine dall’industria della fabbricazione e raf- Ripartizione percentuale della produzione totale dei rifiuti speciali per attività finazione di prodotti economica, anno 2007, sopra, e 2008, sotto (fonte ISPRA)


Le altre attività economiche hanno prodotto, nel complesso, una quantità di rifiuti pari al 9,6% nel 2007 e all’8,5% nel 2008. Produzione dei rifiuti speciali per capitolo CER

Nell’anno 2008 risulta che il 40% del totale prodotto dei rifiuti proviene da quelli del capitolo 17 (operazioni di costruzione e demolizione), mentre il 19,8% circa deriva dai rifiuti del capitolo 19 (impianti di trattamento dei rifiuti e delle acque reflue e da quelli di potabilizzazione dell’acqua e della sua preparazione per uso industriale), l’8,2% dal capitolo 10 (processi termici), il 6,2% da quelli del capitolo 02 (agricoltura, orticoltura, acquacoltura, selvicoltura, caccia e pesca e trattamento e preparazione di alimenti) e il 4% circa da quelli del capitolo 12 (lavorazione e trattamento fisico e meccanico superficiale di metalli e plastica). Tra questi, i rifiuti non pericolosi del 2008 derivano per il 43,1% dal capitolo 17, per il 21,2% dal capitolo 19, per l’8,5% dal capitolo 10 e per il 6,8% dal capitolo 2. I rifiuti pericolosi, invece, hanno origine per il 44% dal capitolo 19, per il 17,3% dal capitolo 16 (rifiuti non specificati altrimenti) e per il 9,6% dai capitoli 05, 06 e 07 (rifiuti della raffinazione del petrolio e rifiuti dei processi chimici inorganici e organici).

GESTIONE DEI RIFIUTI SPECIALI La quantità di rifiuti speciali complessivamente gestita nel 2008 ammonta a circa 143 milioni di tonnellate (91,7% di rifiuti non pericolosi e 8,3% di rifiuti pericolosi), che sono state così gestite: 78 milioni di t sono state avviate a operazioni di recupero, 46 milioni a smaltimento e 19,1 milioni sono state destinate a impianti di stoccaggio o di messa in riserva, in attesa della destinazione finale. Significativo l’incremento dei rifiuti avviati a recupero rispetto al 2007 (+14%), di cui una quota rilevate è attribuibile alla crescita di rifiuti (+8%) avviati all’operazione di “riciclo/recupero di altre sostanze inorganiche” (R5), per la maggior parte rifiuti derivanti da attività di costruzione e demolizione. Tra le operazioni di smaltimento le più diffuse sono il ricorso alla discarica (D1) e il trattamento chimico-fisico (D9), che costituiscono il 36% e il 38% del totale smaltito.

Incenerimento e coincenerimento di rifiuti (2007-2008)

Sono costanti rispetto agli anni precedenti i quantitativi totali di rifiuti urbani e speciali inviati a incenerimento e coincenerimento nel biennio 2007-2008. I rifiuti speciali inceneriti nel 2007 ammontano a poco meno di 613.000 t, mentre nel 2008 sono pari a 592.000 t; i rifiuti speciali non pericolosi, che nel 2007 sono pari a poco meno di 2.736.000 t, hanno raggiunto nel 2008 i 2.749.000 t. Le tipologie principali di rifiuti inviate ad impianti di incenerimento e coincenerimento nel 2008 sono: frazione combustibile dei RU (35,5%), rifiuti della lavorazione del legno, carta ed affini (17,9%), CDR (12,7%), biogas (9%), rifiuti prodotti dal trattamento meccanico di rifiuti di origine urbana (8,4%), rifiuti prodotti da trattamento chimico-fisico di rifiuti industriali e delle acque reflue (3,3%) e rifiuti dell'attività agroalimentare (2,3%). Relativamente all’origine dei rifiuti pericolosi avviati a incenerimento, questi sono quasi esclusivamente di origine industriale, derivanti soprattutto dalla produzione di prodotti chimici organici e di base e dal settore ospedaliero. Smaltimento in discarica

menti nell’Italia Settentrionale, 23% al Centro e 27% al Sud. I rifiuti conferiti sono stati ripartiti in discariche per rifiuti inerti (6 milioni di t, corrispondenti al 35% dei rifiuti totali smaltiti), discariche per rifiuti non pericolosi (circa 10.300.00 t, il 60%) e discariche per rifiuti pericolosi (oltre 816.000 t, pari al 5%). Rispetto al 2007 sono state smaltite in discarica oltre 1.000.000 t in meno di rifiuti speciali (-5,7%), con una maggior riduzione al Sud (-885.000 t) e al Nord (-334.000 t). Per quanto concerne i rifiuti pericolosi, nel 2008 sono state smaltite in totale 694.000 t, cioè circa il 4% del totale dei rifiuti smaltiti nelle discariche per rifiuti speciali. Di questa quantità circa l’80% viene smaltito nelle discariche per rifiuti non pericolosi, mentre quote più modeste vengono inviate a discariche per rifiuti inerti (3%) e pericolosi (17%). Tra le regioni, è la Sardegna che smaltisce le maggiori quantità di rifiuti pericolosi: per il 25% tali rifiuti sono conferiti direttamente in Sardegna, mentre le quantità restanti sono conferite in altre regioni, principalmente in discariche del Nord Italia. Solo il Piemonte e l’Emilia Romagna possiedono discariche per rifiuti pericolosi, nelle altre regioni quantità rilevanti di rifiuti pericolosi vengono conferite in discariche di altra categoria. In particolare, le quantità di rifiuti pericolosi smaltite in discarica per rifiuti inerti, pari a circa 18.000 t, mostrano una riduzione del 75% rispetto al 2006 e sono ascrivibili sostanzialmente ai rifiuti di cemento amianto (CER 170605).

Il numero delle discariche operative che hanno smaltito rifiuti speciali è passato da 595 dell’anno 2007 a 571 del 2008, facendo registrare una riduzione di 24 unità. La maggior parte degli impianti inattivi è localizzata al Nord (-18 discariche) dove si conta anche il maggior numero di discariche ative (338), mentre 83 impianti si trovano al Centro e 150 al Sud. Gran parte degli impianti operativi sono discariche per rifiuti inerti, in totale 293, di cui 203 al Nord, 23 al Centro e 67 al Sud. Nel 2008 sono stati smaltiti in discarica oltre 17 milioni di t di rifiuti speciali, con un decremento del 6% rispetto al 2007 Quantità di rifiuti speciali smaltite in discarica e numero di unità locali delle imprese e metà dei conferisul territorio, anno 2008 (fonte ISPRA)

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GESTIONE DEI VEICOLI FUORI USO Il 2008 si è caratterizzato rispetto all’anno precedente per una crisi diffusa dell’industria automobilistica che ha comportato sia un calo delle vendite, e quindi delle immatricolazioni, sia delle radiazioni dei veicoli fuori uso che tipicamente sono associate all’acquisto di un nuovo mezzo. Nel 2007, per contro, si era registrato un picco delle radiazioni per demolizione connesso con lo stanziamento di incentivi statali per l’acquisto di vetture a minor impatto ambientale. Nel 2008, inoltre, si è assistito a una decrescita del numero degli impianti operativi arrivando a 1.313, 620 dei quali sono situati al Nord (47% del totale), 241 al Centro (18%) e 452 al Sud (34%).

2.567 t sono oli e 5.684 t sono apparecchiature. Il quantitativo maggiore di PCB è stato prodotto in Piemonte, con una percentuale pari al 17% nel 2007 ed al 22% nel 2008 del totale nazionale. Il quantitativo di rifiuti contenenti PCB gestito nell’anno 2008, è pari a 7.655 t. La tipologia di smaltimento maggiormente effettuata, è il trattamento chimico-fisico (D9), che rappresenta il 45% del totale nel 2007 e il 32% nel 2008. Il Piemonte è anche la regione che tratta il maggior quantitativo di rifiuti, il 66% nel 2007 ed il 61% nel 2008.

incremento che interessa esclusivamente i rifiuti non pericolosi, passando da 992.000 t a circa 2.200.000 t nel 2008. Il quantitativo di rifiuti pericolosi, invece, nello stesso biennio, subisce una flessione pari al 54%. La maggiore quantità di rifiuti importata proviene dalla Germania, con circa 837.000 t, di cui oltre 830.000 t di rifiuti non pericolosi e circa 7.000 t di rifiuti pericolosi. I rifiuti derivanti da attività di costruzione e demolizione, costituiscono la quota maggiore di rifiuti importati nel corso del 2008, il 58% del totale dei rifiuti non pericolosi.

TRASPORTO TRANSFRONTALIERO DI RIFIUTI

GESTIONE DI RIFIUTI DI APPARECCHIATURE ELETTRICHE ED ELETTRONICHE

Nel 2008, la quantità totale di rifiuti esportata all’estero è pari a oltre 2.400.000 t, di cui circa 1.400.000 milioni di rifiuti non pericolosi e La determinazione delle quantità di rifiuti oltre 1 milione di rifiuti pericolosi. Rispetto al contenenti PCB prodotte e smaltite nel 2007- 2007, tale quantità ha subito un incremento 2008 è stata ottenuta elaborando i dati MUD del 23%, che interessa in pari percentuale sia dei rifiuti contraddistinti dai CER 130101, i rifiuti non pericolosi che quelli pericolosi. La Germania è il Paese che riceve il mag130301, 160209 e 160210. La quantità di rifiuti contenenti PCB prodotta gior quantitativo di rifiuti: 1.600.000 t, di cui in Italia nel 2008 è pari a 8.253 t; in particolare, 652.000 t di rifiuti non pericolosi e 918.000 t di rifiuti pericolosi. Relativamente ai rifiuti non pericolosi, oltre 157.000 t sono “rifiuti urbani non differenziati” (CER 200301). Riguardo i rifiuti pericolosi, invece, la quantità più elevata è costituita da “rifiuti prodotti da impianti di trattamento dei rifiuti” (capitolo 19), con oltre 609.000 t. La quantità di rifiuti importata in Italia, nel 2008, è pari a oltre 2.200.00 t, di cui circa 2.200.000 t di rifiuti non pericolosi e circa 28.000 t di rifiuRifiuti pericolosi importati (sopra) ed esportati (sotto) per capitolo CER, anno 2008 ti pericolosi. Rispetto al 2007, si registra un (fonte ISPRA)

PRODUZIONE E GESTIONE DI RIFIUTI CONTENENTI PCB

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La quantità totale di apparecchiature elettriche ed elettroniche gestita in Italia nel 2008 è pari a 408.794 t, di cui oltre 177.000 t di RAEE domestici e oltre 231.000 t di RAEE professionali. Rispetto al 2007, si osserva un incremento del 17% delle quantità di rifiuti trattate. RAEE domestici

La quantità di RAEE domestici trattata in impianti di gestione dedicati o avviata a impianti di recupero o trattamento, escluso lo smaltimento in discarica, nel 2008 è stata pari a 177.246 t (46.831 t di non pericolosi e 130.415 t di pericolosi) e nel 2007 a 124.869 t (30.582 t di non pericolosi e 94.287 t di pericolosi). La forma di gestione più diffusa sia per i pericolosi che per i non pericolosi è rappresentata dal recupero di metalli (R4). Sono infatti state trattate in R4 nel 2008 97.657 t di RAEE domestici, corrispondenti al 55% del totale, e nel 2007 oltre 82.000 t. RAEE professionali

La quantità di RAEE professionali gestita nel 2008, escluso lo smaltimento in discarica e comprese le quantità stoccate, è pari a 231.548 t. I rifiuti non pericolosi ammontano a 194.698 t e costituiscono circa l’84% del totale, mentre i RAEE pericolosi, pari a 36.850 t, rappresentano il 16% del totale gestito. La quantità di RAEE professionali gestita nel 2008 presenta un incremento rispetto al 2007 pari al 3%. La forma di gestione più diffusa, per entrambi gli anni 2007-2008, sia per RAEE non perico-


losi che per quelli pericolosi è il recupero dei metalli (R4), in analogia a quanto riscontrato per RAEE domestici. Il recupero di metalli interessa, nel 2008 oltre 145.000 t di rifiuti (35,5% del totale RAEE professionale) ed oltre 136.000 t nel 2007. La quantità di RAEE che l’Italia ha esportato all’estero, nell’anno 2008, ammonta a circa 96.000 t, mentre nell’anno 2007 è di circa 80.000 t.

RIFIUTI CONTENENTI AMIANTO La quantità di rifiuti contenenti amianto prodotta nell’anno 2008 ammonta a 321.000 t, costituita per l’89,2% da materiali da costruzione contenenti amianto (CER 170605) e per il 10,4% da materiali isolanti contenenti amianto (CER 170601). La regione con la maggiore produzione di rifiuti contenenti amianto è la Lombardia, (35% del totale nazionale), con una quantità totale nel 2008 di circa 113.000 t, (+2,5% rispetto al 2007).

Nel biennio 2007-2008 la quantità smaltita in discarica è passata da circa 115.000 t a circa 133.000 t, registrando un incremento del 16%. Simile trend si evidenzia anche per la quantità avviata al deposito preliminare, che ammonta a 33.000 t nel 2008, a fronte di 16.000 t dell’anno precedente. Riguardo all’esportazione dei rifiuti si rileva che la maggiore quantità di rifiuti viene smaltita in Germania e in Austria, in miniere dismesse. Complessivamente, nel 2008, sono esportati circa 241.000 t di rifiuti di

amianto; la quota preponderante è costituita da rifiuti da costruzione contenenti amianto (CER 170605).

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gestione dei rifiuti: economia efficiente per risorse e vantaggi ambientali Trattamenti meccanico-biologici, sfruttamento del biogas, produzione di compost e simbiosi industriale sono i punti chiave per il raggiungimento di un sistema a rifiuti zero di Margherita Bologna*

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chim Steiner, direttore del Programma Onu per l'Ambiente (Unep) ha dichiarato che il settore della gestione dei rifiuti contribuisce dal 3 al 5% alle emissioni di gas serra del Pianeta. "Per tagliare le emissioni di gas serra - afferma Steiner bisogna considerare ogni opzione possibile e impostare la fase di transizione all'economia verde necessaria al ventunesimo secolo, a basso contenuto di carbonio, ed efficiente dal punto di vista dell'uso delle risorse" (Ansa, 14/12/2010). Il raggiungimento di tali obiettivi è possibile adottando le moderne ed effi-

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cienti tecnologie di selezione dei rifiuti, esistenti in Italia, che recuperano materia e producono biogas dalla digestione anaerobica della frazione organica dei rifiuti, insieme a compost di qualità per l'agricoltura. Il confronto classico tra discarica e inceneritore per dimostrare la superiorità di quest'ultimo sotto il profilo energetico e ambientale è di gran lunga superato da quello tra inceneritore e tecnologie di trattamento meccanico-biologico (TMB) con vantaggi indubbi sotto tutti gli aspetti per il TMB.

Vantaggi ambientali, energetici e sociali del TMB

Alcuni dati tratti dallo studio Waste Management Options and Climate Change 2001 dimostrano che con il riciclo e il compostaggio si risparmiano 461 Kg di gas serra per tonnellata di rifiuti urbani mentre con l'incenerimento con produzione di energia elettrica se ne risparmiano solo 10 Kg. Ancora: per produrre un Kwh un inceneritore produce 940 g di CO2, mentre


la combustione del biogas prodotto dalla digestione anaerobica dell'umido ne produce molti meno. La materia risultante dal processo di digestione anaerobica del rifiuto organico (digestato) può essere a sua volta sottoposta ad un processo aerobico per produrre compost, indispensabile per rivitalizzare i suoli agricoli italiani impoveriti da pratiche di concimazione chimica spinta e prossimi alla desertificazione. L'uso del compost per concimare i terreni ha una funzione fondamentale per ridurre le emissioni di CO2 e ridurrebbe in modo consistente anche il notevole dispendio di energia necessaria per la produzione dei concimi di sintesi. Il rapporto ClimSoil ha stimato che attualmente, nell'Unione Europea, i terreni agricoli rilasciano 10-40 milioni di tonnellate di carbonio l'anno. Un bilancio fortemente negativo se consideriamo che altre stime valutano che i suoli agricoli dell'UE possono trattenere circa 60-70 milioni di t/anno di CO2, pari all'1,5– 1,7% delle emissioni di origine antropica. Secondo Annette Freibauer, ricercatrice presso il presso il Max Plance Institute di Jena, una perdita minima del contenuto di carbonio presente nel suolo europeo, dell'ordine di un decimo di punto percentuale, genererebbe emissioni di anidride carbonica pari a quelle prodotte da 100 milioni di auto in più sulle nostre strade. L'indubbia superiorità del riciclo rispetto agli altri approcci di gestione dei rifiuti è sottolineata dall'UNEP nello studio del 2010 “Waste and Climate Change” in cui si afferma che dopo la prevenzione, il riciclo è al livello più alto per i benefici ambientali. Considerando poi i vantaggi energetici e quindi economici sappiamo che per produrre 1 tonnellata di spazzatura servono 8 -10 barili di petrolio, mentre 1 tonnellata di spazzatura equivale ad un barile di petrolio. Per attuare una politica economica di gestione dei rifiuti efficiente come vuole l'Europa occorre tenere ben presente che per riprodurre gli imballaggi termodistrutti da materie prime vergini è necessaria un'energia quattro volte maggiore rispetto a quella prodotta con l'incenerimento con recupero energetico. La tecnologia dell'incenerimento ancora oggi si regge solo per le sovvenzioni ricevute sotto forma di certificati verdi alla frazione biodegradabile dei rifiuti i cui benefici vanno ai gestori di in-

ceneritori, mentre la selezione ed il recupero di materia producono reddito e benefici per la comunità intera. Infatti l'utilizzo di materie prime seconde, oltre a ridurre l'estrazione di materie prime minerali e a risparmiare notevoli quantità di energia necessaria per la loro trasformazione in prodotti finiti, crea molti posti di lavoro. Solo nel settore del riciclo dei rifiuti - ha dichiarato Janez Potocnik, commissario UE per l'ambiente - si potrebbero creare mezzo milione di posti di lavoro. Altri vantaggi ambientali e sociali deriverebbero dall'ulteriore recupero di materia dai sovvalli destinati oggi alla produzione di CDR (combustibile dai rifiuti) e dalle plastiche eterogenee "povere". Le tecnologie per farlo ci sono tutte e l'impiego dei materiali prodotti ha molteplici destinazioni. Valga per tutte l'esempio di Revet un'industria toscana che dalle plastiche considerate non riciclabili fino a poco tempo fa, ha ricavato componenti per automotive come pedane, parafanghi, sottosella e bauletti per gli scooter Vespa e Mp3, ma anche pannelli fonoassorbenti per i tratti autostradali, profilati cavi per prefabbricati, pallet per la grande distribuzione, arredamenti per esterni e prodotti per la casa.

L a chiusura del ciclo senza inceneritori Il restante 10-15% dei rifiuti non ancora riciclabili con le tecnologie descritte e destinati all'incenerimento, nell'immediato può essere trattato in un impianto particolare come il mulino Thor, ideato dall'Istituto per lo studio dei materiali nanostrutturati del CNR e già pronto per essere commercializzato, o, tra non molto, dal mulino Refolo, versione perfezionata del precedente che ha consumi decisamente inferiori. Thor raffina i materiali residui di qualsiasi tipo destrutturando la materia e riducendola a dimensioni micrometriche. In questo modo dai rifiuti residui vengono recuperate particelle

di materie prime come i metalli a loro volta riutilizzabili, e un CDR purificato da scorie tossiche come zolfo e idrocarburi policiclici, che può essere usato in qualsiasi tipo di sistema termico. Questa tecnologia per il trattamento delle quantità residue è molto più in linea con gli obiettivi di sostenibilità nella gestione dei materiali postutilizzo degli inceneritori. A questo proposito occorre sottolineare che la Direttiva Europea 2008/98 CE all'articolo 4 punto d, prevede il recupero di energia senza vincolarla ad una tecnologia specifica.

L a riprogettazione industriale come premessa per arrivare a rifiuti zero

Ma per ridurre sia i rifiuti non riciclabili che la presenza di sostanze nocive, la Direttiva Quadro 2008/98 CE prevede la riprogettazione ecologica dei materiali (Ecodesign). Occorre creare un Centro studi dei "materiali residui non riciclabili" che coordini il lavoro di ricerca fatto dalle università per riprogettarne le componenti e raggiungere in tempi brevi l'obiettivo non utopico del riciclo totale. Il sistema industriale, in definitiva, deve prendere a modello la natura in cui il rifiuto non esiste, indirizzandosi verso la produzione di oggetti e beni che a fine vita possano essere riciclati e riutilizzati o assorbiti dall'ambiente. Pertanto i processi industriali devono trasformarsi da sistemi lineari aperti in sistemi chiusi in cui i sottoprodotti di un'azienda diventano input della fase produttiva successiva (simbiosi industriale).

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Se vogliamo creare un'economia che valorizzi in modo efficiente i materiali riutilizzabili occorre progettare dei parchi industriali nei quali le industrie fanno rete lavorando in simbiosi sull'esempio del modello creato a Kalundborg in Danimarca. A Kalundborg il sottoprodotto di un'industria diventa materia prima per un'altra, con immensi vantaggi economici e benefici ambientali. Per facilitare questi scambi la vicinanza geografica è un vantaggio perché collegamenti troppo estesi potrebbero comportare costi economici superiori.

Occorre prendere atto che mentre l'Italia rincorre il modello tedesco di gestione dei rifiuti esaltando la produzione di energia mediante l'incenerimento con recupero energetico, Berlino, secondo la dichiarazione rilasciata dall'on. Pecorella, presidente della commissio-

ne bicamerale sui rifiuti, chiude gli inceneritori. Sul Portale www.ecoera.it, nella sezione Approndimenti, è disponibile la versione integrale dell'articolo. * Giornalista scientifica freelance

Conclusioni Sulla base di quanto detto è più che mai necessario che la politica detti ai Gestori la priorità delle scelte da compiere in ordine all'ammodernamento degli impianti di selezione esistenti e alla costruzione di nuovi impianti come quelli che separano i rifiuti provenienti dallo spazzamento delle strade che sottrarrebbero alla discarica il 5-6% dei rifiuti urbani prodotti.

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Energie rinnovabili per difendere il futuro che stiamo già costruendo il futuro del settore energetico visto dall’associazione che in Italia tutela le fonti alternative ai combustibili fossili di Elena Arca*

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isale alla crisi petrolifera degli anni ’70 l’inizio dello sviluppo delle energie rinnovabili e nel corso dei decenni la questione ha assunto un’importanza sempre maggiore. Inizialmente tale tematica sembrava più legata alla consapevolezza che le risorse fossili fossero in esaurimento mentre ora prevale senza dubbio la presa di coscienza del fatto che le fonti energetiche rinnovabili vadano sviluppate in quanto sono prima di tutto ecosostenibili. In tutti i settori è ormai evidente la mobilitazione verso soluzioni alternative che permettano di salvaguardare le risorse naturali ed in questo contesto, nel gennaio del 2009, è nata Anter, Associazione Nazionale Tutela Energie Rinnovabili. Lo scopo dell’Associazione, come si evince dallo Statuto è innanzitutto la tutela, la difesa, il miglioramento e la valorizzazione della natura e dell'ambiente, mediante lo sviluppo, la promozione, la diffusione, il sostegno dell'utilizzo delle energie rinnovabili o non inquinanti e, conseguentemente, il miglioramento della qualità della vita. Per comprendere meglio obiettivi e finalità dell’Associazione abbiamo intervistato Antonio Rancati, Coordinatore Nazionale di Anter. Anter è un’associazione giovane come le fonti energetiche che rappresenta, perché una nuova associazione nel campo delle rinnovabili?

Antonio Rancati, Coordinatore Nazionale e Responsabile sviluppo relazioni istituzionali di Anter

Perché un’associazione che si dedicasse esclusivamente alla tutela delle energie rinnovabili non era ancora nata. Anter, Associazione Nazionale Tutela Energie Rinnovabili, è infatti la prima Associazione che in Italia promuove e tutela le energie alternative. È oggi un punto di riferimento in materia di tematiche ambientali per oltre 47 mila cittadini. La missione di Anter è aiutare l’Italia a sviluppare il potenziale delle energie rinnovabili. Anter ha due obiettivi: tutelare e promuovere le condizioni di sviluppo del settore a livello istituzionale; coinvolgere i cittadini in questo cambiamento tramite campagne di informazione e sensibilizzazione sulle opportunità economiche e ambientali generate dalla diffusione di queste forme di energia.

Parlando di fonti rinnovabili quali sono quelle che vedranno il maggior sviluppo nel prossimo futuro? Fotovoltaico a parte, che crescerà sicuramente in maniera vertiginosa come da tradizione dell’ultimo anno, le biomasse la faranno probabilmente da padrone. Da loro ci si aspetta una grande crescita, secondo alcuni dati e ricerche le biomasse hanno un potenziale equivalente a tre centrali nucleari. Produrre energia utilizzando fonti rinnovabili ha un impatto sull’ambiente minore rispetto alla produzione di energia da fonti non rinnovabili. Tuttavia il bilancio delle rinnovabili non è a impatto nullo sull’ambiente… Anche dal punto di vista dell’impatto ambientale i progressi della tecnologia stanno facendo passi da gigante. Tante aziende stanno lanciando una vera e propria rivoluzione nel settore delle energie rinnovabili: piramidi di vetro, acciaio e pannelli solari, che annunciano un miglioramento dell'estetica e della funzionalità sia delle pale eoliche che dei pannelli solari. Tra i progetti più interessanti spicca Lunar Cubit, vincitore del concorso Land Art Generator Initiative annunciato in occasione del vertice mondiale sulle risorse energetiche del futuro, il World Future Energy Summit, che si è tenuto recentemente ad Abu Dhabi e che aveva come motto unire arte e rinnovabili.

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Lunar Cubit è composto da piramidi di vetro, acciaio e pannelli solari sviluppati in proporzione rispetto alla piramide di Cheope a Giza, che racchiudono in sé l'ambizioso progetto di unire l'arte antica delle piramidi, con la più moderna tecnologia delle fonti rinnovabili. Tutte diverse tra loro, per dimensioni e per inclinazione, queste piramidi rappresentano otto diverse fasi lunari e formano un cerchio attorno ad una nona piramide, la più grande di tutte. Le pareti sono ricoperte da pannelli solari e da LED che risplendono in modo inversamente proporzionale alla luminosità della luna: la luce è minima quando la luna è piena, al contrario l'illuminazione è massima quando il satellite non è presente. Ricoperte di pannelli solari, le piramidi funzionerebbero come una centrale solare durante il giorno, andando ad alimentare circa 250 abitazioni della vicina città di Masdar. Sicuramente il futuro ci riserverà tanti altri progetti come questo. Visto l’impatto sempre negativo generato dai termovalorizzatori sull’opinione pubblica, qual è lo scenario ipotizzabile per lo sviluppo degli impianti a biomassa? Permangono le stesse resistenze? La costruzione di una centrale a biomassa è sicuramente vantaggiosa sotto tanti aspetti.

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Dal punto di vista occupazionale la realizzazione di una centrale a biomassa riveste un ruolo importante: tanti i posti di lavoro che potrebbero crearsi, sia per la gestione della centrale stessa, sia grazie all’attivazione sul territorio di una filiera locale del legno. Le biomasse forestali rappresentano fonti di bioenergia ampiamente sottoutilizzate. Il potenziale di sviluppo delle biomasse è notevole - almeno il 50% come media europea - e può offrire un contributo significativo al raggiungimento degli obiettivi di uno sviluppo sostenibile in campo energetico. È questa la principale conclusione che si ricava dal progetto “Eubionet III”, varato nell’ambito del programma Intelligent Energy Europe e durato complessivamente 12 anni tenendo conto delle precedenti edizioni. Il progetto ha stimato il potenziale di biomasse solide in 23 Stati dell’Unione Europea e della Norvegia, quantificandolo in circa 157 Mtep (milioni di tonnellate equivalenti di petrolio). La metà dei rifiuti prodotti nell’Unione Europea è biodegradabile, il valore di questo quantitativo può essere stimato in 37 Mtep, in questo modo si arriverebbe ad un potenziale totale di biomassa disponibile in Europa di circa 200 Mtep. Si tratta di un quantitativo di energia sufficiente

a coprire tutti i consumi di energia primaria di circa 80 milioni di cittadini europei. Il Conto Energia ha stimolato molto il mercato del fotovoltaico, con le riduzioni previste nei prossimi anni; tolti gli incentivi, perché il cittadino o la piccola industria dovrebbero ancora investire in tale tecnologia? Perché siamo chiamati a difendere un futuro che stiamo già costruendo, a promuovere sempre più una rivoluzione che è già iniziata. È la rivoluzione teorizzata da Jeremy Rifkin, nostro ospite d’onore all’evento Rinasci_mente dello scorso dicembre. Quella che da lui è stata definita la “terza rivoluzione industriale” ci vede protagonisti, per la prima volta nella storia, nella produzione individuale dell’energia che ci serve per vivere. Per la prima volta la tecnologia ci offre la possibilità di non essere dipendenti dai produttori di elettricità o da altri Paesi. Ognuno può produrre la propria energia anziché comprarla, libero da costi, libero da vincoli, in sintonia con l’ambiente. Sono previste incentivazioni per altre tecnologie rinnovabili, oltre al fotovoltaico? Secondo quanto diffuso dal Governo, si sta lavorando a un decreto ministeriale che regolamenti i bandi di gara per il settore idroelettrico. Contemporaneamente si sta cercando di risolvere il problema delle concessioni e si sta studiando lo schema dei pompaggi e degli accumuli utili a rendere più efficiente lo sfruttamento delle fonti rinnovabili. Il Ministero dello Sviluppo Economico sta studiando incentivi alla cogenerazione. Secondo indiscrezioni tali incentivi saranno di circa 8 € a MWh per un totale di circa 4/5 miliardi in 10 anni. A partire dal 2015 ci sarà un significativo incremento nella dismissione dei pannelli fotovoltaici esausti generando un quantitativo di rifiuti che nel 2020 potrebbe arrivare a 35.000 tonnellate di rifiuti in Europa. E’ già previsto un piano per gestire tale situazione? E quali sono le prospettive di recupero e riciclaggio per questi materiali? I moduli fotovoltaici, sono costituiti da celle fotovoltaiche in silicio (o altro materiale), uno strato di Tedlar, uno strato di EVA, una cornice in alluminio anodizzato, del vetro temperato.


Tutti questi materiali sono assolutamente non pericolosi e non richiedono particolari accorgimenti imposti per legge per il loro smaltimento. Il silicio per esempio si smaltisce come le schede dei computer o dei circuiti stampati; la lastra di vetro temperato come il cristallo. Prove di laboratorio indicano poi che la durata del pannello può arrivare fino a 80 anni, ma non esiste uno storico che possa confermarcelo. Quindi non è detto che tra 20 anni si parta con uno smaltimento di massa. In Germania, all’avanguardia anche in questo, stanno già nascendo alcuni consorzi per la raccolta dei moduli fotovoltaici e per il loro riciclo. PV Cycle è un’associazione senza scopo di lucro nata nel 2007 che ha l’obiettivo di avviare un programma volontario di raccolta e riciclo dei moduli da parte dell’industria fotovoltaica. L’associazione ha sede a Bruxelles ed è composta in totale da 107 membri suddivisi tra produttori, importatori, rivenditori e 16 associati costituiti da associazioni, istituti di ricerca, grossisti, integratori di sistemi, aziende del settore elettrico e produttori di celle. Complessivamente l’associazione rappresenta ad oggi circa il 90% del mercato fotovoltaico europeo. Al termine della vita utile, il recupero dei moduli - sia in silicio cristallino che a film sottile

– avviene gratuitamente attraverso diversi punti di raccolta permanenti presso rivenditori e installatori, tramite container temporanei situati presso siti di costruzione, rinnovamento e demolizione di impianti e mediante una raccolta diretta da parte dell’associazione dei moduli che si trovano a una distanza superiore a 50 km dal punto di raccolta più vicino. Successivamente i moduli vengono destinati a impianti specifici per il recupero e il riciclo della materia prima, che viene per esempio utilizzata per la produzione di nuovi moduli fotovoltaici. Attualmente, sul territorio europeo sono presenti complessivamente 183 punti di raccolta registrati (51 in Italia) e 77 certificati (15 in Italia). Collegandosi al sito www.pvcycle.org è possibile individuare, tramite un apposito motore di ricerca, il sito di raccolta più vicino. Fra qualche anno, con l’avanzare delle nuove tecnologie, si creerà anche un mercato dell’usato e i pannelli adoperati in Italia potrebbero essere nuovamente sfruttati in Paesi più caldi e meno ricchi. Quali sono gli obiettivi Anter per i prossimi anni? Stiamo costruendo un’associazione più forte. Lo stiamo facendo perché sono diventate più importanti le sfide che Anter è chiamata ad affrontare. Tutelare le energie rinnovabili è di-

ventato oggi più che mai di importanza strategica per tutti noi. Il potenziale delle energie pulite è straordinario perché permette all’uomo di crescere su questo pianeta senza distruggerlo. Anter ha la responsabilità di portare gli interessi di tutti coloro che vogliono cambiare, di chi ha trovato nel settore delle energie pulite il proprio lavoro e una possibilità di crescita, di chi vede in questo cambiamento una prospettiva di futuro per sé e per la propria famiglia. È importante far parte di Anter perché la nostra missione è difendere e promuovere questo settore economico che ha la bella caratteristica di generare benessere diffuso. Un benessere di cui possiamo godere un po’ tutti. Il fabbisogno energetico mondiale indipendente dai combustibili fossili, pura utopia o un lontano obiettivo? Nessuno dei due, piuttosto un obiettivo possibile. Guardiamo per esempio la Germania, locomotiva d’Europa in economia e che oramai in questo settore anticipa le tendenze, entro il 2050 vuole produrre l’80% di energia da fonti rinnovabili. I tedeschi indicano una strada che possiamo e dobbiamo percorrere anche noi italiani. Anter sarà tra i protagonisti! *Responsabile ufficio stampa Anter

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GIù LE TORRI DI PIEVE EMANUELE La demolizione con esplosivo dei primi due palazzi di via delle Rose non solo è stata un successo ma segna l’avvio del tanto atteso programma di riqualificazione di Pieve Emanuele di Maeva Brunero Bronzin

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na folla di quasi 2.000 persone con il fiato sospeso, macchine fotografiche pronte a scattare e telecamere in registrazione… Tutti sono in attesa di quell’ultimo segnale sonoro, di quella sirena che inesorabile ha preceduto un rumore sordo di due palazzi che in pochi secondi si sono piegati al volere della dinamite… Poi la tensione cala, sopraggiunge lo stupore ed infine gli applausi. Sono stati questi gli ultimi instanti di vita delle torri di Pieve Emanuele, 2 palazzi di 9 piani alti 35 metri, demoliti sabato 10 settembre alle 14.38 con l’utilizzo di microcariche esplosive. Uno spettacolo durato pochissimi secondi che ha richiesto però una perfetta sinergia tra tecnici, operatori e autorità di pubblica sicurezza per consentire l’esecuzione dell’intervento in completa sicurezza per tutti i residenti del Quartiere delle Rose di Pieve Emanuele.

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L'abbattimento delle prime 2 torri rientra nel progetto di riqualificazione del quartiere terziario di questo comune dell’hinterland milanese; si tratta di una zona di circa 200.000 metri quadrati, composta da 12 immobili (8 torri e 4 bassi fabbricati) abbandonati da molti anni e contraddistinti da gravi problemi di degrado strutturale, mancanza di sicurezza urbana e frequenti occupazioni abusive. L’operazione di demolizione si è svolta alla presenza dell’assessore regionale alla Casa, Domenico Zambetti, del presidente di Aler Milano, Loris Zaffra, e del sindaco di Pieve Emanuele, Rocco Pinto, accompagnato da tutta la Giunta. Presenti anche alcuni amministratori dei Comuni limitrofi. «Siamo davanti alla realizzazione di un sogno atteso da decenni – ha detto l’assessore Zambetti - questo è l’esempio concreto dell’importanza della politica dei fatti, quella politica attenta e vicina alle esigenze della popolazione. Ed è la dimostrazione che non lasciamo indietro nessuno. Questa gente, queste famiglie meritano quartieri belli e con servizi all’avanguardia».

L’intervento è stato eseguito dalla ditta Armofer Cinerari Luigi s.r.l., impresa specializzata in interventi complessi di demolizione, che da un mese lavora senza sosta con oltre 20 tecnici ed operai per indebolire le strutture e prepararle per il corretto cinematismo del crollo. I palazzi infatti sono stati completamente bonificati da sostanze pericolose presenti all’interno, svuotati da tutti materiali diversi dal calcestruzzo e dalle murature ed indeboliti secondo schemi precisi per ridurre i quantitativi di esplosivo da impiegare e diminuire la resistenza strutturale degli edifici. I lavori, appaltati da Infrastrutture Lombarde S.p.a. e progettati dalla società di ingegneria Dea Ingegneria s.r.l., sono un esempio concreto di trasformazione urbana ed un primo passo importante per la realizzazione del progetto di recupero urbano in via delle Rose. Per la demolizione sono stati utilizzati circa 100 kg di esplosivo (gelatina dinamite) piazza-


ti in tre livelli di ogni palazzo entro fori realizzati nei pilastri portanti e nei setti dei corpi ascensore. Le cariche sono state micro ritardate secondo una precisa sequenza dettata dal cinematismo del crollo che si voleva produrre. L’intervento è stato ad impatto zero per tutti residenti del quartiere e questo risultato è stato possibile mediante una serie di accorgimenti tecnici e misure di sicurezza previste in fase di progetto e realizzate ad hoc durante i lavori. Per la riduzione delle polveri sono stati utilizzati otto fog cannon in grado di produrre acqua nebulizzata con alto potere di abbattimento delle particelle di polvere sospese in aria, le vibrazioni prodotte dal crollo sono state attenuate da cumuli di caduta di materiale detritico posizionati nell’area di impatto mentre il lancio di detriti è stato evitato da un doppio sistema di schermi (rete metallica e geotessuto) posizionati sui piani minati di ogni palazzo. L’abbattimento delle due torri non segna però la fine dei lavori per i tecnici di Armofer che saranno impegnati in cantiere per altri due mesi. Il progetto infatti prevede la pulizia e la frantumazione di tutte le macerie e la demolizione di altre due torri utilizzando però tecniche di demolizione tradizionali, ossia con escavatori con braccio da demolizione in grado di raggiungere altezze operative di 40 m che procederanno dall’alto verso il basso nella frantumazione degli elementi portanti delle strutture. Nella primavera del 2012 saranno demolite altre 3 torri, per arrivare poi all'avvio della costruzione degli edifici di edilizia residenziale pubblica nella primavera 2013. I lavori dovranno terminare nel 2015 per quanto riguarda la parte Erp e il comparto commerciale. Nei successivi 30 mesi verrà completato l'intero progetto.

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ATTUALITà

ENI AWARD 2011: I PREMIATI SI RACCONTANO Dibattito a Torino sulle più recenti scoperte nel campo delle tecnologie pulite per sistemi energetici alternativi di Bruno Vanzi

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l 10 giugno a Torino, presso il Castello del Valentino, si è tenuto un incontro con i premiati della quarta edizione dell’ENI Award 2011, manifestazione che ha unito tutta l’Italia sotto il segno della scienza. L’appuntamento di Torino, infatti, è stato la conclusione di un evento che ha avuto inizio

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con la premiazione dell’8 giugno presso il Palazzo del Quirinale alla presenza del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e che è continuato con una serie di lectio magistralis tenute dai premiati presso le università di Roma, Catania e Urbino. All’appuntamento torinese hanno preso parte i sei premiati e i rettori dell’Università degli Studi di Torino, Ezio Pellizzetti, e del Politecnico di Torino, Francesco Profumo. Il premio ENI Award vede ufficialmente la nascita nel luglio 2007, con lo scopo di sviluppare idee innovative per un migliore utilizzo delle fonti energetiche, promuovendo così la ricerca sull'ambiente e valorizzando le nuove generazioni di ricercatori. La manifestazione rappresenta l’evoluzione storica del premio Italgas, nato a Torino nel 1987, e si svolge con cadenza annuale; l’obiettivo che si pone è quello di monitorare ed incentivare le migliori ricerche e i più importanti scienziati al mondo nel campo energetica e ha l'ambizione di divenire una sorta di Nobel dell'Energia. Quattro sono le sezioni in cui si articola il premio ENI Award:

• Nuove frontiere degli Idrocarburi; • Energie rinnovabili e non Convenzionali; • Protezione dell'Ambiente; • Debutto nella Ricerca. La Commissione Scientifica del premio è composta da 24 membri, tra cui i due Premi Nobel Harold Kroto e Robert Richardson, Rettori di università, ricercatori e scienziati, tra le più importanti personalità nel campo della tecnica e della ricerca scientifica a livello mondiale. Ogni anno sono migliaia i ricercatori che presentano la propria candidatura per concorrere all’assegnazione del premio, che consta di un contributo in denaro e una medaglia appositamente coniata dalla Zecca d’Italia. Nell’edizione 2011 il premio “Nuove frontiere degli idrocarburi” è stato consegnato ex aequo a Gabor A. Somorjai, Professore di chimica all'Università di California Berkeley, e a Martin Landrø, Professore di geofisica applicata presso la Norwegian University of Science and Technology (NTNU) di Trondheim. Somorjai ha ricevuto il riconoscimento per le ricerche nel campo della catalisi omogenea ed eterogenea e, in particolare, per la messa punto di nuovi catalizzatori utilizzati nei processi di cracking petrolifero. Landrø, invece, è stato premiato per lo sviluppo e l'applicazione dell'analisi sismica 4D, una tecnica che consente di determinare le modifiche cui sono soggetti nel tempo i giacimenti di petrolio e gas e, quindi, di gestirne lo sviluppo produttivo in modo da incrementare significativamente il fattore di recupero degli idrocarburi.

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Il premio “Energie rinnovabili e non conven- ne, ha ricevuto il premio “Protezione dell'amzionali” è stato assegnato a Gregory Stepha- biente” per le attività svolte nel settore della nopoulos, Professore di Ingegneria chimica e produzione delle batterie elettriche a ioni di Biotecnologia presso il Massachusetts Insti- litio, attraverso la realizzazione di dispositivi tute of Technology (MIT), per le sue ricerche più sicuri, a basso costo e a ridotto impatto finalizzate alla produzione di biocarburanti di ambientale, fondamentali per una più ampia seconda generazione, non in competizione diffusione dei veicoli elettrici nel sistema delcon il settore alimentare, grazie all’intervento la mobilità. di trasformazione di materie prime rinnovabili I premi “Debutto nella ricerca”, riservati a ricerin idrocarburi operato da particolari batteri catori under 30, sono stati assegnati a Simone geneticamente modificati. Jean-Marie Tara- Gamba, del Dipartimento di Chimica "G.Natta" ok B DEPURACQUEscon, 240X150.qxp:Layout 1 23-02-2010 Pagina 1 di Milano, e a Fabrizio Frontalidel Politecnico Professore e Direttore dell'Istituto di9:13 chimica dell'Université de Picardie Jules Ver- ni, ricercatore dell'Università di Urbino.

Gamba ha sviluppato durante il suo PhD una ricerca sull'interpretazione e modellazione del processo di hydrocracking degli idrocarburi, mentre Frontalini ha effettuato una serie di studi sulla possibilità di impiego della specie marina benthic foraminifera come bioindicatore in ambiente marino e lagunare. L’incontro di Torino è stato un’importante occasione per un faccia a faccia con i premiati, che hanno brevemente illustrato i loro lavori e si sono resi disponibili per un interessante dibattito tecnico, fornendo risposte ai quesiti e alle curiosità espresse dalla platea.

impianti per il trattamento del percolato da discarica

L’impianto per il trattamento del percolato che si origina nelle discariche di R.S.U. è stato sviluppato sulla base del know-how e dell’esperienza che Depuracque ha acquisito nel campo degli evaporatori sotto vuoto per il trattamento di reflui altamente inquinanti in oltre dieci anni di realizzazioni applicative in area industriale. Questo impianto risolve in maniera definitiva il problema del trattamento del percolato con una soluzione tecnologicamente avanzata ed economicamente vantaggiosa in termini di costi sia di investimento sia di esercizio. L’impianto comprende normalmente una opportuna sezione di finissaggio del condensato per la rimozione dell’ammoniaca (strippaggio-assorbimento con aria in circuito chiuso) ed un eventuale trattamento di ossidazione biologica a fanghi attivati (processo S.B.R.).

In funzione di specifiche esigenze sono stati eseguiti impianti con sezioni di preconcentrazione e di finissaggio su membrane. I vantaggi sono rilevanti in quanto la tecnologia adottata coperta da brevetto Depuracque: - comporta il trattamento specifico del refluo con effettivo abbattimento degli inquinanti evitando qualsiasi diluizione; - evita i rischi connessi alla fase di trasporto; - consente l’ottimale recupero energetico del biogas; il fabbisogno termico può inoltre essere soddisfatto con il solo utilizzo di acqua calda da raffreddamento dei gruppi di cogenerazione e pertanto ad effettivo costo zero;

- costituisce applicazione della migliore tecnologia oggi praticabile per i reflui ad alto contenuto inquinante; - risolve in maniera definitiva i problemi dello smaltimento del percolato in assenza di emissioni significative in atmosfera. La gamma di normale produzione prevede modelli con capacità fino a 10 m 3/h. Ad oggi sono stati realizzati impianti presso le discariche di: Pescantina (VR), Centa Taglio (VE), Pantaeco (LO), San Miniato (PI), Chianni (PI), Fermo (AP), Rosignano Marittimo (LI), Serravalle Pistoiese (PT), Giugliano in Campania (NA), Monsummano Terme (PT), Jesolo (VE), Peccioli (PI), Malagrotta (RM), Bracciano (RM).

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Green business e tecniche del futuro INNOVAZIONE, OTTIMIZZAZIONE DEI PROCESSI E PERFORMANCE ENERGETICA SARANNO LE PAROLE CHIAVE DELL’EDIZIONE 2011 DI POLLUTEC HORIZONS di Maria Beatrice Celino

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itorna dal 29 novembre al 2 dicembre 2011 Pollutec Horizons, l’appuntamento mondiale dedicato alle ecotecnologie, alla performance energetica e alle soluzioni per il trattamento dell’inquinamento, che quest’anno si svolgerà a Paris Nord Villepinte. Oltre ai settori tradizionali (acqua, aria, rifiuti, suolo, rischi) saranno presentate le nuove sfide ecologiche (riciclaggio e valorizzazione, riutilizzo dell’acqua, RSE – Ricerca sul Sistema Energetico e acquisti sostenibili, cambiamento climatico e economia senza carbonio, biodiversità, ecc.) e in un contesto di ripresa economica, la prossima edizione sarà incentrata su tre tematiche in grado di suscitare forti attese fra gli operatori: • l’innovazione, la ricerca e il finanziamento; • l’ottimizzazione dei processi industriali; • l’energia e la performance energetica. Sono attesi circa 1.500 espositori di cui il 30% di provenienza estera e 35.000 visitatori: industriali, rappresentanti di enti e amministrazioni locali, operatori dell’ambiente, dell’energia, dell’edilizia, dell’agricoltura, del commercio e della distribuzione.

Ricerca , Innovazione e Finanziamento Numerose start-up saranno presentate in tutti i settori del salone e nell’ambito dello spazio dedicato alle tecniche del futuro. Questa vetrina dell’innovazione presentata dalle PMI promettenti sarà completata dalle tecniche a forte potenziale d’applicazione per il mercato

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ambientale come le biotecnologie, i fluidi supercritici le membrane e, per la prima volta, le applicazioni satellitari presentate nell’ambito del «Focus Horizons». Questa zona d’esposizione riunirà diversi poli di competitività tra i quali i 13 poli «Ecotechs», organismi e laboratori di ricerca, associazioni e network di operatori oltre a diversi organismi di sostegno, finanziamento e di capitale-rischio (Ademe, Anr, Oseo, banche, ecc.). Fedele alla sua vocazione, Pollutec Horizons sarà una vera e propria incubatrice dell’innovazione selezionando le tecnologie più all’avanguardia in materia di prodotti o servizi presentati in anteprima o esposti dagli espositori sul loro stand, in occasione di conferenze sul forum specifico, nell’ambito di trasmissioni tematiche del «plateau TV» (piattaforma TV) o ancora nell’ambito della consegna dei diversi premi e trofei. Da notare che il Forum delle conferenze metterà in luce sia le differenti tecniche che i meccanismi di finanziamento più appropriati. Inoltre, per la prima volta, Pollutec Horizons si svolgerà in concomitanza con l’evento europeo dedicato alle ecotecnologie LeCleantech, un programma d’incontri che prevede dibattiti, visite tematiche del salone, presentazione di start-up internazionali e serate dedicate.

ottimizzazione dei processi Saranno esposte le soluzioni a monte dei processi come la diagnostica, l’ingegneria e l’ecoprogettazione, e le soluzioni più a valle come la gestione dei fluidi e delle reti, il recupero/ riutilizzo dell’acqua, la valorizzazione del calore perso o dell’energia di scarto e coprodotti, il trattamento dell’inquinamento,. senza dimenticare naturalmente tutti gli aspetti legati alla metrologia e al conteggio che costituiscono uno dei punti chiave dell’aspetto della performance. E’ importante evidenziare che l’organizzazione, complessa ma necessaria, tra qualità dell’aria, salute e energia sarà quest’anno nuovamente messa al posto d’onore con diversi eventi portanti che permettono il dialogo tra esperti di ognuno di questi settori.

performance energetica Quest’anno l’energia e la performance energetica saranno valorizzate in modo particolare perché sono diventate parte integrante della strategia delle aziende in seguito all’aumento del prezzo dei combustibili convenzionali, alle difficoltà di approvvigionamento e alla necessità di ridurre le emissioni di gas ad effetto serra. Questa maggiore valorizzazione nasce dalla necessità delle aziende di aumentare sempre più la loro redditività, la valorizzazione energetica dei rifiuti, le fonti rinnovabili (biomassa in modo particolare), le smart grids (reti intelligenti), lo stoccaggio dell’energia e l’efficacia energetica nell’industria.



th e b i g e y e

Da Singapore un esempio illuminante di sostenibilità ambientale I rifiuti possono coesistere in armonia con barriere coralline, foreste di mangrovie e specie animali e vegetali in via di estinzione? In Asia questa utopia è una realtà di Tina Corleto

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ingapore è la città asiatica che più si impegna per la sostenibilità ambientale. L'ha decretato pochi mesi fa l'Asian Green City Index, uno studio commissionato da Siemens all'Economist Intelligence Unit (EIU), che ha messo a confronto 22 città asiatiche analizzando per ciascuna importanti parametri quali le emissioni di anidride carbonica, i consumi energetici, la compatibilità ambientale degli edifici, i trasporti, la gestione e il trattamento delle acque, la gestione e dei rifiuti, la qualità dell'aria e le politiche di governance ambientale. La piccola nazione insulare del sud-est asiatico, costituita da 63 isole e collegata alla Malesia soltanto attraverso due ponti, ha una popolazione di quasi 5 milioni di abitanti e dal 1965 ha proclamato la sua indipendenza dalla federazione malese, diventando esempio di progresso ed evoluzione, con la sua popolazione cosmopolita, i grattacieli, i parchi naturali e l'elevato livello culturale. La città del Green Labelling Scheme, che impone ai costruttori edili l'utilizzo di materiali e strutture eco-compatibili e che prescrive di restituire al verde il 100% della superficie edificata collocando giardini pensili sui tetti o creando aree verdi comuni negli edifici, offre anche uno dei pochi esempi al mondo di gestione davvero innovativa dei rifiuti.

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La metropoli asiatica nel 2008 produceva un volume di rifiuti solidi urbani di quasi 6 milioni di tonnellate; di questi, circa il 55% è riciclato. Il materiale che, nonostante l'impegno politico e gli investimenti statali, non è possibile inviare a recupero, a Singapore viene destinato all'incenerimento. Un'indagine del 2008 indicava uno smaltimento di 2,5 milioni di tonnellate di rifiuti nei quattro impianti esistenti nei pressi della città, incenerimento che consente la generazione di oltre un milione di MWh di elettricità. La presenza degli inceneritori non risolveva il problema delle ceneri da essi prodotte. Ed è per questo che all'inizio degli anni '90 il governo diede il via a un progetto che prevedeva la


Dati tecnici dell a discarica • Area 350 ettari • Capacità di smaltimento 63 milioni di m3

Mezzi a disposizione Trasporto rifiuti

• n. 4 chiatte, ciascuna da 3500 m3 • n. 3 rimorchi

Movimentazione rifiuti • • • • •

n. 6 escavatori n. 3 pale gommate n. 10 autocarri, ciascuno da 35 ton n. 4 compattatori n. 5 bulldozer

costruzione di un'isola-discarica che collegasse due atolli della propria nazione. Il costo globale previsionale di tale realizzazione ammontava a circa 300 milioni di euro. Le isole di Pulau Semakau e Pulau Sakeng erano piccoli villaggi di pescatori fino al 1987, quando la città di Singapore acquisì tali territori, dislocando i suoi abitanti su altre isole. La coltivazione della discarica, l'unica attualmente attiva nella città asiatica, iniziò ad aprile 1999 dopo la chiusura delle due precedentemente esistenti. Quella di Semakau è la prima discarica offshore al mondo, un'isola di rifiuti distante 8 chilometri dalla costa meridionale della metropoli. Estesa su un'area di 350 ettari e con una capacità di smaltimento di 63 milioni di metri cubi, la discarica è collegata alla vicina isola di Pulau Sakeng mediante una barriera rocciosa lunga sette chilometri che, attrezzata con una membrana impermeabile e uno strato di argilla marina, garantisce la tutela del

mare rispetto alle emissioni della discarica. Il bacino di Semakau ospita giornalmente 1.400 tonnellate di ceneri provenienti dai quattro inceneritori presenti in città e 600 tonnellate di rifiuti non inceneribili e si prevede riuscirà a contenere i bisogni del paese almeno fino al 2045, anche se il Ministero dell'Ambiente e delle Risorse Idriche punta a prolungarne la vita attraverso una politica di valorizzazione delle risorse e di riduzione dei rifiuti. La National Environment Agency (NEA) si è prefissata infatti l'obiettivo di riciclare il 60% dei rifiuti entro il 2012 e del 70% entro il 2030, oltre a ridurre la produzione degli scarti urbani dagli attuali 1,1 kg procapite a 0,9 kg/ persona. La discarica è stata creata per accogliere le ceneri prodotte dagli inceneritori che trattano i rifiuti urbani generando circa 1,05 milioni di MWh di elettricità; tali ceneri sono trasportate dagli impianti alla spiaggia dell'isola di Pulau Semakau mediante battelli coperti che scongiurano la dispersione di polveri contaminate in atmosfera. L'impianto, realizzato con materiali che ne garantiscono l'impermeabilizzazione e gestito con sistemi di raccolta e trattamento del percolato, è suddiviso in undici lotti. Nel 2005, essendo quattro aree già colme di rifiuti, si è proceduto alla piantumazione di mangrovie, che consentono di verificare l'assenza di contaminazione sull'area e agevolano la vita vegetale e animale nelle acque circostanti. Oggi le mangrovie, importanti indicatori biologici che consentono di monitorare la qualità ecologica dell'ambiente acquatico in cui si trovano, occupano un'area di 1,4 chilometri quadrati intorno all'isola.

L'impianto di stoccaggio, opera di alta ingegneria, preserva la qualità dell'ambiente marino, caratterizzato dalla presenza della barriera corallina e del basso fondale fangoso, ambiente ottimale per la permanenza di stelle marine e rari insetti. Oltre 80 specie di uccelli, taluni a rischio d'estinzione come l'airone beccogrosso e il corriere della Malesia, hanno scelto l'isola per viverci, così come 33 specie di farfalle e 75 tipologie di piante. A testimonianza del successo ottenuto nella gestione dei rifiuti, l'isola di Semakau è aperta al pubblico per escursioni, gite sportive. Singapore, metropoli verde del sud-est asiatico, è una testimonianza diretta e riconoscibile di come lo sviluppo urbanistico possa essere davvero sostenibile, senza deturpare il paesaggio naturale ma anzi integrandosi perfettamente con esso.

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g ePnORT RE e r i co

EXPO MILANO 2015: COME FAR COINCIDERE ESIGENZE AMBIENTALI E FINANZIARIE La nuova visione socio economica delle aree dismesse attraverso i risultati della recente ricerca condotta dall’Università Bocconi di Bruno Villois*

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xpo Milano 2015 è una grande opportunità per dare una svolta alla sostenibilità ambientale nel nostro Paese. L’immenso numero di aree dismesse, la loro riqualificazione e valorizzazione e l’esigenza di non occupare nuovo suolo debbono essere principi fondamentali per lo sviluppo eco sostenibile non solo di Milano ma dell’intera Italia. Con questi principi l’Osservatorio sulle bonifiche dell’Università Bocconi ha realizzato, su commissione dell’associazione Bonifichexpo2015, ente no profit costituito da alcune tra le più qualificate imprese dei

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settori ambiente ed edilizia, un’approfondita ricerca mirata a valutare e proporre una ricetta in grado di far decollare un programma realistico in cui si coniughino le esigenze ambientali con quelle economico-finanziarie per l’Expo di Milano e in occasione di grandi eventi che l’Italia ospiterà, come ad esempio le Olimpiadi. La ricerca evidenzia la possibilità di riqualificare alcune aree dismesse valorizzandole, con finalità ricettive durante le manifestazioni e successivamente convertite al ricettivo alberghiero per studenti universitari, e/o al ricettivo assistenziale per anziani e al ricettivo alberghiero per turismo.

Le aree dismesse (brownfields) costituiscono l’occasione per l’attuazione di interventi di nuova progettazione, di riqualificazione e riorganizzazione urbanistica ed edilizia di quartieri un tempo a forte vocazione industriale-artigianale che hanno perso la loro destinazione originaria, senza aver ancora trovato idonee alternative. Il tema delle aree dismesse si associa quasi sempre a quello delle aree da bonificare, perché l’utilizzo industriale ha lasciato spesso un segno, più o meno forte, sul terreno e prima di destinarlo ad altri usi è necessario “ripulirlo”. Oggi la riqualificazione delle aree dismesse è diventata fondamenta-


le perché ci si è resi conto che il suolo è una risorsa ambientale finita, non riproducibile e non rigenerabile e quindi la sua tutela, o la progressiva riduzione del suo consumo, è insita nel concetto stesso di sostenibilità. Il tema della pulizia del suolo e del suo riutilizzo può rappresentare una risorsa iniziale e qualitativa da destinare ai grandi eventi internazionali che l’Italia ambisce ad ospitare. Attraverso la riqualificazione delle aree dismesse per finalità con rilevante ricaduta socio economica, non speculativa, e la gestione dei manufatti costruiti sui terreni ripuliti, che debbono essere utilizzati nel periodo dell’evento per fini ricettivi, si possono portare immediatamente a reddito le costruzioni, realizzate con criteri e finalità idonei a renderle convertibili a successivi riutilizzi, quali campus universitari, residenze per la terza età e alberghi low cost. E’ però necessario, per riuscire a raggiungere l’obiettivo, che l’investitore disponga di mezzi finanziari, non solo propri ma anche di natura pubblica, o che comunque ottenga la certezza dell’alienazione o locazione al termine dell’evento. Le incertezze regolamentative (modelli da applicare sull’intero territorio nazionale, tempistica attuativa, valutazione del costo) hanno reso il prodotto bonifica di assai complessa identificazione a livello finanziario. Le aziende leader del mercato nostrano risultano di inadeguate dimensioni per potersi gravare di rischi finanziari che sono già incompatibili con le regole dell’accesso al credito fissate dalla BCE, già oggi assai restrittive e vincolate prioritariamente alla capitalizzazione del soggetto percipiente. Regole che subiranno un’ulteriore contrazione con l’attuazione delle norme previste da Basilea 3. Oltre al credito ordinario altre forme di sostegno finanziario alle aziende del settore, ap-

paiono di non facile accesso. Qualunque sia lo strumento finanziario scelto, per essere utilizzato è necessario che le singole imprese e/o associazioni di impresa, costituite sotto forma consortile per azioni, si dotino di capitale proprio di rischio. Mediante il ricorso a capitale di rischio il/i soggetto/i assumono con proprio capitale il rischio dell’operazione ricorrendo a: • aumento di capitale in ragione dell’investimento; • finanziamento soci infruttifero o fruttifero; • finanziamento conto capitale; • emissioni obbligazioni convertibili sia ordinarie che in reverse convertible bond. Per ciascuna delle soluzioni il costo-opportunità dovrà identificare, in ragione delle successive ricadute (certe o ipotetiche), una remunerazione che premi adeguatamente il rischio attraverso i due maggiori indici di redditività: • ROE = 9,5 - 10,5% • ROI = 10,5 - 11,5%

Nel caso si volesse definire un investimento con ricorso parziale al credito, si dovrebbe utilizzare una formula mista: finanziamento + emissioni obbligazionarie così da distribuire su un numero molto elevato di creditori la parte di rischio non gravante sull’investitore principale. Tale condizione consentirebbe di ottenere la diminuzione del tasso di interesse applicato, visto che ciascun obbligazionista si assumerebbe un rischio relativamente limitato rispetto a quello del soggetto emittente (soprattutto) nel caso di ricorso al credito che graverebbe sulla banca. Il tasso di interesse proposto agli obbligazionisti sarebbe comunque in ragione sia delle caratteristiche dell’emittente (soggetto principale dell’operazione), che del rischio da assumere (fondamentalmente quello della bonifica), non inferiore ai 550/700 basic point (oltre il tasso di sconto corrente) per una durata media di 6/8 anni. Il ricorso al reverse convertible bond sarebbe poi particolarmente auspicabile per il soggetto emittente visto che tale strumento prevede che sia l’emittente a stabilire il rientro. Va da sè che le emissioni di ogni tipo di obbligazioni richiedono che l’emittente sia costituito in società per azioni il cui capitale sia superiore al valore dell’emissione obbligazionaria.

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RE P ORT

Le caratteristiche della tipologia di attività (essenzialmente la parte bonifica) impongono al soggetto impresa che effettua le operazioni, di dover disporre di proprio idoneo capitale di rischio (non inferiore alla metà del debito da assumere). La formula migliore per ridurre il rischio proprio dell’azienda è quella della formula del Ventur Capital. Il ricorso a Venture Capital, normalmente viene assunto da imprese nuove che operano in settori di frontiera o che producono beni o servizi dal contenuto assai innovativo. Il caso delle bonifiche non vi rientra, ma le caratteristiche di rischio, dovute alle tre variabili regolamentazione, tempistica, dimensioni delle imprese, impongono di percorrere la strada per identificare soggetti del credito o della finanza i quali, in un concetto costo-opportunità (dove costo sta a rischio e opportunità a riutilizzo del suolo e insediamenti finalizzati al bene comune), finanziano le imprese che intraprendono il percorso di bonifica e successiva valorizzazione. Tra gli eventuali soggetti da coinvolgere assume particolare rilevanza la Cassa Depositi e Prestiti (CDP) la quale, in ragione del suo controllante

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Ministero del Tesoro, sarebbe positivo se partecipasse alla cordata finanziaria di sostegno all’operatività dei progetti bonifica. Tale impostazione finanziaria (con il coinvolgimento del soggetto pubblico cassa depositi e prestiti) offrirebbe condizioni di accesso nettamente inferiori a quelle ordinarie. Altrettanto significativo sarebbe il ricorso, da parte dell’azienda operativa, allo strumento del factoring adattato (sia sotto forma di matury factoring o discount factoring), formula che a fronte della certezza del pagamento delle obbligazioni da parte di un debitore, sia esso fornitore, acquirente di servizi e/o dei beni realizzati, è impegnato a corrispondere ad una certa scadenza l’ammontare del suo debito, sia esso frazionato o in unica soluzione. Il tasso applicato nelle tre opzioni citate alle condizioni attualmente in essere: • finanziamento ordinario - tasso di scoperto di cc; • ventur capital (con presenza tra i finanziatori di cdp) - 400/500 basic point; • factoring adattato - 100/150 basic point in ragione del debitore.

Le ricadute socio economiche di interventi di bonifica e valorizzazione di aree dismesse sono state calcolate mediante il ricorso ai moltiplicatori degli investimenti, partendo dai concetti basilari che attengono a questi classificatori, la cui determinazione ha nei consumi, incremento del reddito e incremento degli investimenti, i modi per definire la propensione marginale al consumo e, di riflesso, la sua incidenza sulla formazione del PIL locale e nazionale. Pur considerando l’autorevolezza delle fonti istituzionali da noi scelte, abbiamo ritenuto che le tre variabili, ciclo economico fragile rallentato e incerto, limitata propensione al rischio, farraginosità della legislazione in materia ambientale e più specificatamente in quella delle bonifiche e del riutilizzo del suolo ripulito, fossero motivi sufficienti per applicare moltiplicatori di ricaduta al minimo di una forbice che oscilla per occupazione e investimenti finanziari tra 1,8 e 3, applicando per la prima la più bassa e per la seconda una mediana. In presenza di uno scenario in cui volatilità, incertezza e scarse disponibilità fi-


nanziarie la fanno da padrone, ragionevolmente si fa fatica a cogliere l’effettiva capacità di domanda e come questa possa essere originata per le variabili prima richiamate, abbinate alla scarsa disponibilità del soggetto pubblico centrale e locale a intervenire decisamente a sostegno della domanda di pulizia-riutilizzo di aree industriali dismesse. A fronte di tali riflessioni abbiamo voluto applicare moltiplicatori inseriti nella fascia bassa della forbice: • il moltiplicatore 1,8 per la ricaduta sul personale; • il moltiplicatore 2,2 per l’investimento finanziario; • il moltiplicatore 2,9 per la riqualificazione edilizia. Ogni intervento di bonifica presenta caratteristiche peculiari e richiede studi sito-specifici, per cui la stima dei costi di bonifica, e quindi anche le ricadute socio economiche relative agli interventi di bonifica, sono state calcolate sulla base dei costi di tre casi rappresentativi della realtà lombarda (ma che comunque possono essere considerati rappresentativi su scala più ampia). Tenendo conto che il costo medio di bonifica (calcolato sulla base dei costi totali dei tre casi esaminati) è di € 3.685.560, applicando la percentuale dell’incidenza media del 16,9% relativa al costo del personale moltiplicando la stessa per 100 e utilizzando il moltiplicatore 1,8 si determina un importo di € 111.946.200 che è la ricaduta socio economica per la manodopera per 100 ipotetiche aree dismesse e riqualificate. Così è per la formula relativa alla parte mezzi d’opera e investimento finanziario, per cui risulta, applicando la percentuale dell’incidenza media del 23,5% relativa ai mezzi d’opera e investimento finanziario, moltiplicando la stessa per 100 e utilizzando il moltiplicatore 2,2 si ottiene un importo di € 190.801.600, che è la ricaduta socio economica derivante dai mezzi d’opera e investimento finanziario per 100 ipotetiche aree dismesse e riqualificate. Il procedimento descritto è stato applicato anche considerando 50 ipotetiche aree dismesse e riqualificate: € 55.973.100 la ricaduta socio economica per

la manodopera e € 95.400.800 la ricaduta socio economica derivante dai mezzi d’opera e investimento finanziario e 20 ipotetiche aree dismesse e riqualificate: € 22.389.240 la ricaduta socio economica per la manodopera e € 38.160.320 la ricaduta socio economica derivante dai mezzi d’opera e investimento finanziario. Tra le possibili valorizzazioni di aree bonificate, che non presentano scopi speculativi e utili per raggiungere il triplice obiettivo di non consumare nuovo suolo, di ripulire aree inquinate riutilizzandole per ottenere spazi e luoghi per attività mirate di cui l’Italia ha necessità, sono: residenze per la terza età con caratteristiche multiple, non solo le RSA, campus universitari, indispensabili per attrarre e dare ospitalità a studenti e ricercatori esteri e infine ricettivo alberghiero low cost. Le ricadute socio economiche relative agli interventi di valorizzazione sono riportate nella tabella. Le ricadute socio-economiche che abbiamo fatto emergere dalla somma delle due fasi operative (bonifica+valorizzazione immobiliare) sono compatibili con investimenti mirati, il cui rischio finanziario risulta essere alto a causa delle incertezze regolamentative della materia bonifiche; ne consegue l’esigenza di coinvolgere tra i soggetti finanziatori a sostegno la Cassa Depositi e Prestiti, proprio per la sua natura giuridica, oltre all’ottenimento da parte dei soggetti pubblici impegnati nella re-

alizzazione di Expo 2015, di almeno una parte dei costi relativi alla bonifica. Altra componente sostanziale, emersa dai dati e caratteristiche da noi esaminati, riguarda l’esigenza indifferibile di ottenere, per i realizzatori del progetto, la certezza della destinazione successiva all’evento di rilevanza internazionale dei complessi immobiliari realizzati e dei soggetti che dovranno subentrare nel possesso e nella successiva gestione, soggetti in grado fin dall’atto di sottoscrizione al subentro nel possesso dei beni, di disporre di caratteristiche tali da rendere bancabile il finanziamento all’acquisto di quanto realizzato. Le formule di finanziamento proposte tengono conto delle caratteristiche medie dei soggetti d’impresa che operano nei settori, ambientebonifiche ed edilizia. Non è stata presa in esame la media dei soggetti delle aree di business hotellerie, assistenza per anziani e università, settori operativi interessati per la gestione delle infrastrutture realizzate. Eventuali altre ipotesi di utilizzo di aree bonificate, identificate dal committente, non fanno parte della ricerca, senza escludere che possano costituire, una volta esaminate, valide alternative a quelle proposte, salvaguardando l’obiettivo di realizzare opere non speculative e ad alta valenza sociale. *Direttore Osservatorio Bonifiche Università L. Bocconi Ricadute socio

Alberghi low cost

Costi

Moltiplicatore

Costo totale di costruzione

€ 5.040.000

2,9

Costi

Moltiplicatore

Costo totale di costruzione

€ 10.560.000

2,9

€ 30.624.000

Costo totale di arredamento

€ 360.000

2,9

€ 1.044.000

Costo totale

€ 10.920.000

2,9

€ 31.668.000

Costi

Moltiplicatore

Costo totale di costruzione

€ 6.048.000

2,9

€ 17.539.200

Costo totale spese aggiuntive

€ 1.537.200

2,9

€ 4.457.880

Costo totale

€ 7.585.200

2,9

€ 21.997.080

Residenze universitarie

Residenze sanitarie assistite

economiche

€ 14.616.000 Ricadute socio economiche

Ricadute socio economiche

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spe c i a l e

Metodiche analitiche per la determinazione degli idrocarburi Un approfondimento sulle metodiche impiegate per la determinazione degli idrocarburi per comprendere le criticità da sempre associate all’analisi di tali parametri nel settore delle bonifiche di Biagio Giannì*

L

a rapida evoluzione e il riassetto della normativa, in questi ultimi anni, ha di fatto separato la definizione del parametro di legge dal metodo analitico per determinarlo. Così facendo si è venuta a creare una difficoltà nell’interpretazione del parametro. Gli idrocarburi costituiscono una categoria generica che come tale comprende al suo interno tutti gli idrocarburi esistenti in natura, senza la possibilità di poter distinguere la loro origine. Possono derivare dal petrolio oppure essere biogenico animale e vegetale con pesi molecolari, proprietà chimiche e chimico-fisiche differenti. Nel presente articolo, vengono riportati i riferimenti principali dei metodi per la determinazione degli idrocarburi e di seguito vengono menzionate le principali caratteristiche dei metodi di determinazione nazionali ed internazionali. La determinazione degli olii e dei grassi dipende molto dal metodo seguito, generalmente si utilizza un metodo gravimetrico ed uno spettrofotometrico(IR). Nelle metodiche SM20 5520 e nella metodica EPA 413 il metodo gravimetrico dipende dalla solubilità nel 1,1,2-triclorofluoroetano (Freon 113), e dalla volatilità del campione, che durante il trattamento viene sottoposto a evaporazione. La frazione degli olii minerali saturi viene deter-

minata in funzione della solubilità dei legami C-H nel Freon 113. Questa determinazione comprende acidi grassi esteri ed ammidi, animali, vegetali e pigmenti naturali. Con il metodo gravimetrico si usa l’estrazione con il Freon 113, l’acqua viene rimossa mediante un passaggio in Na2SO4, l’estratto viene quindi evaporato e portato a secchezza. I grassi vengono determinati pesando ciò che rimane dopo questo trattamento. Una modifica a questo metodo consiste nell’usare l’estrattore Soxhlet® nel caso in cui si abbiano campioni solidi. Solitamente per disidratare il più possibile il campione di tratta prima con Mg2SO4. Nella determinazione delle sostanze oleose totali, degli idrocarburi totali e dei grassi e oli animali e vegetali non viene quantificata la concentrazione di una sostanza specifica, bensì quella di un gruppo di sostanze la cui solubilità in uno specifico solvente organico è simile. Durante l’estrazione con solvente tutti gli idrocarburi passano nella fase organica insieme ad acidi grassi, trigliceridi, tensioattivi, oli e ogni altro composto estraibile con il solvente nelle condizioni stabilite dal metodo, da cui la dizione “sostanze oleose totali”, “oli e grassi animali e vegetali” e “idrocarburi totali” che dipendono dal metodo eseguito e dalla miscela estraente usata.

Allo scopo di distinguere tra gli oli e grassi animali e vegetali e idrocarburi totali è necessario operare nel modo seguente: • effettuare la determinazione quantitativa delle sostanze oleose totali; • effettuare la determinazione quantitativa degli idrocarburi totali; • fare la differenza tra le rispettive concentrazioni di sostanze oleose totali e di idrocarburi totali. Il valore ottenuto rappresenta la concentrazione di oli e grassi animali e vegetali. Anche nelle metodiche ufficiali italiane i metodi seguiti generalmente sono due, uno gravimetrico per acque di scarico ad alto contenuto di oli ed uno spettrofotometrico all’infrarosso per basse concentrazioni. Per il metodo gravimetrico il solvente organico utilizzato per l’estrazione è rappresentato da una miscela di n-esano (80%) e metil-tert-butiletere (20%), mentre per il metodo all’infrarosso è indispensabile disporre di solventi, come il Freon 113, che non assorbano nella regione di interesse. Con il metodo gravimetrico si usa l’estrazione con una miscela di n-esano (80%) e metil-tert-butiletere (20%), l’acqua viene rimossa mediante un passaggio in Na2SO4 l’estratto viene quindi evaporato e portato a secchezza.

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sp e c i a l e

Pre-trattamento e preparativa per la determinazione degli idrocarburi leggeri C<10 Metodo EPA 5000 - Fornisce indicazioni generali sulle metodiche di preparazione e per l'introduzione di composti volatili nello strumento di misura. Fornisce informazioni sulle possibili interferenze, sulle misure di controllo delle interferenze e sulle misure di controllo di qualità da adottare. I singoli metodi di preparazione vengono poi descritti in maggiore dettaglio nei singoli metodi EPA (EPA 5021, 5032 e 5035). Metodo EPA 5021 - Si tratta un’analisi automatica in spazio di testa per suoli ed altre matrici solide. Il campione solido è posto in una “vial” tarata e chiusa con setto fino dal momento del campionamento. Successivamente si aggiunge un modificatore di matrice contenente uno standard interno. Il “vial” è posto poi in un apparecchio di spazio di testa, che scalda l’intero campione a 85° C mentre lo tiene in agitazione per vibrazione meccanica. Un volume noto di spazio di testa è introdotto in seguito automaticamente in un sistema GC o GC/MS per l’analisi dei componenti organici volatili. Per avere un’idea sulla sensibilità del metodo, i limiti di concentrazione applicabili variano tra 10 e 200 µg/kg. Metodo EPA 5032 - In questo metodo si descrive una tecnica di distillazione sotto vuoto in un sistema chiuso per l’analisi delle sostanze organiche volatili comprese quelle non estraibili in corrente gassosa, composti organici volatili in soluzione acquosa, quelle solide ed i rifiuti oleosi e volatili in soluzione acquosa, rifiuti solidi e rifiuti oleosi. Il campione è introdotto in un matraccio e poi collegato ad un sistema di distillazione sotto vuoto. La pressione di distillazione resta approssimativamente intorno a 10 torr (tensione di vapore dell’acqua) fino a quando l’acqua non è tutta rimossa dal campione. Il vapore passa attraverso un condensatore raffreddato a –10° C e il distillato incondensato è bloccato criogenicamente in un pezzo di colonna di acciaio inossidabile da “1/8 inch” raffreddato alla temperatura dell’azoto liquido (-196° C). Dopo un tempo di distillazione idoneo, che può variare a seconda della matrice o delle sostanze da determinare, il condensato nella trappola criogenica è desorbito termicamente e trasferito ad un GC usando come gas di trasporto He. Questo metodo è indicato per estrarre sostanze organiche da una grande varietà di matrici. Metodo EPA 5035 - Si tratta di un sistema di “purge and trap “per l’analisi delle sostanze organiche volatili che sono estraibili in corrente gassosa da una matrice solida a 40° C. E’indicato per suoli, sedimenti e ogni campione di rifiuto solido di consistenza simile al suolo. Il campione (normalmente 5 g) è posto nel vial di campionamento con la soluzione modificatrice di matrice. Il campione rimane ermeticamente sigillato a partire dal campionamento e durante l’analisi. Il metodo fornisce dati accurati poiché si riduce la manipolazione del campione. Può essere usato anche per la determinazione di benzina nelle matrici solide. I limiti di concentrazione applicabili variano tra 0.5 e 200 µg/kg per campione. In presenza di elevate concentrazioni (> 200 µg/kg) o di campioni oleosi, gli analiti vengono estratti con la medesima procedura, ma la loro introduzione nello strumento di misura viene effettuata secondo il metodo 5030b. Altri metodi - Il metodo ISO 14507 descrive il pretrattamento di campioni per la determinazione di contaminanti organici. Metodo IRSA non permette di distinguere frazioni di idrocarburi a diversa volatilità; prevede un’estrazione con Freon 113 o con tetracloruro di carbonio. I costituenti di natura bituminosa sono presenti in alcuni grezzi e combustibili e vengono recuperati in modo incompleto. Cleanup è un metodo IRSA 21 serve per separare gli oli e grassi di origine animale dagli oli minerali, si utilizza una colonna impaccata o vegetale con Florisil che trattiene le sostanze polari.

Determinazione degli idrocarburi leggeri C<10 Metodo 8015b - Viene utilizzato per determinare la concentrazione di molti composti organici volatili non alogenati e molti composti organici semivolatili: è applicabile all’analisi degli idrocarburi del petrolio, sia quelli tipo benzina (gasolina range organics, GRO) che diesel (diesel range organics, DRO). Gli idrocarburi tipo GRO corrispondono ad alcani da C6 a C10 che hanno un punto di ebollizione che va da 60° C a 170° C. Gli idrocarburi di tipo DRO corrispondono ad alcani da C10 a C28 e punto di ebollizione da 170° C a 430° C. Il metodo fornisce le condizioni gascromatografiche l’analisi sull’estratto ottenuto secondo le metodiche sopra indicate; viene usato un detector a fiamma (FID) e prevede l’uso di colonne capillari. Come precedentemente indicato, la suddivisione tra i due gruppi di idrocarburi non corrisponde esattamente a quella indicata nella legislazione. Per quanto riguarda i composti con meno di sei atomi di carbonio la loro elevata volatilità fa sì che sia molto improbabile trovare residui nel terreno. Metodo EPA 8260 - Viene applicato per la determinazione di molti composti organici volatili con punto di ebollizione sotto i 200° C che sono introdotti nel gascromatografo con uno dei metodi sopra riportati. Si usano tipi di colonna “wide-bore” oppure vengono concentrati criogenicamente su una pre-colonna capillare prima di essere vaporizzati istantaneamente (flash) in una colonna capillare. Il rivelatore è uno spettrometro di massa (MS). I metodi ISO/TR 11046 e ISO 16703I descrivono la determinazione del contenuto in oli minerali del terreno rispettivamente mediante IR e GC. Il metodo IRSA 21 è dedicato alla determinazione di oli e grassi, non permette di distinguere frazioni di idrocarburi a diversa volatilità. Esso prevede di pesare l’estratto in Freon 113 dopo purificazione ed evaporazione del solvente. Il campo di applicazione è compreso tra 5-1000 mg/kg. Il metodo non si applica agli idrocarburi che sono volatili al di sotto dei 70° C.

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I grassi vengono poi determinati pesando ciò che rimane dopo questo trattamento. Nel caso in cui si trattino campioni solidi si usa condurre l’estrazione in un estrattore Soxhlet®. Solitamente, per disidratare il più possibile il campione di tratta prima con Mg2SO4. Per la determinazione degli olii totali minerali, il campione viene estratto con il Freon 113, l'eventuale acqua presente viene tolta mediante il passaggio attraverso Na2SO4, fatto successivamente percolare in una colonna di gel di silice per rimuovere i non idrocarburi, successivamente si misura l’assorbanza da 3200 cm-1 a 2700 cm-1 in uno spettrofotometro IR confrontandolo con il bianco. Si usa quindi il Freon 113 perchè non vi è alcun picco d’assorbanza in quella finestra di lunghezze d’onda utilizzate. Il riferimento per preparare le soluzioni di calibrazione è dato da una miscela di nesadecano (50% in volume), e iso-ottano (50% in volume) trasferendo 10 ml di n-esadecano e 10 ml di iso-ottano in un flacone da 25 ml. La determinazione tramite lo spettrofotometro IR ha il vantaggio della rapidità oltre che della maggiore sensibilità, ma presenta una scarsa specificità, poiché possono interferire composti organici molti polari, che in concentrazione elevata possono dare interferenza positiva. Solitamente i tipi di materiali che vengono usati nelle operazioni cosiddette di "cleanup" sono il florisil(r), un magnesio silicato trattato con acido solforico in particolari condizioni con proprietà acide, che trova grande impiego nella separazione tra idrocarburi e composti aromatici su scala di laboratorio. Un'altro tipo di materiale usato è il gel di silice, un silicato di sodio trattato con acido solforico, che ha delle proprietà debolmente acide e generalmente viene usato per la separazione di composti a differente polarità. Si usa dopo averlo trattato a 150-160° C in stufa in modo tale da attivarlo, mentre si disattiva con il 10% di acqua. L'EPA nella serie SW3600A dedica una serie di metodologie per l'uso di questi e altri materiali di riempimento delle colonne per le operazioni di "cleanup". Le metodiche ISO invece prevedono un approccio simile nell’estrazione ma diverso nella rilevazione. E’ il caso della metodica UNI-ENISO 9377, che utilizza la tecnica di rilevazione gascromatografica, con rilevatore FID, che

determina “l’indice degli idrocarburi” definito come “la somma delle concentrazioni dei composti estraibili con un solvente di idrocarburi, con punto di ebollizione tra 36° C e 69° C, non assorbito su Florisil e che può essere sottoposta a cromatografia con tempi di ritenzione compresi tra quelli di n-decano (C10H22) e n-tetracontano (C40H82)” (UNI EN ISO 9377-2:2002 punto 3.1). Dal punto di vista dell’integrazione gascromatografica questo significa che si integra tutta l’area compresa tra il n-decano e il ntetracontano, come nell’esempio sotto riportato in Figura 1.

Rispetto alla tecnica della spettrofotometria IR o alla determinazione gravimetrica, l’analisi del profilo cromatografico può fornire informazioni utili ad identificare la natura del prodotto. Nell’ambito delle bonifiche dei terreni inquinati gli idrocarburi hanno dato vari problemi di uso delle metodiche. Soprattutto perché non esiste una “armonia” tra le metodiche analitiche disponibili e la definizione usata nella tabellare dove si riporta genericamente “idrocarburi C<12” e “idrocarburi C>12”. Nei box riportati viene fornita una carrellata dei metodi comunemente condivisi dalla comunità scientifica.

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Pre-trattamento e preparativa per l a determinazione degli idrocarburi pesanti C10-C28 Metodo EPA 3500b - Fornisce una guida per la scelta dei metodi usati nell’estrazione quantitativa dei campioni per l’analisi di sostanze organiche non volatili e poco volatili. Un campione di volume o peso noto è estratto o diluito con solvente; per i campioni di suolo e sedimenti viene proposta l’estrazione standard con solvente che utilizza le seguenti tecniche: Soxhlet, Soxhtec (Soxhlet automatizzato), estrazione con ultrasuoni. Vengono anche proposte tecniche di estrazione sotto pressione come estrazione con i fluidi supercritici o l’estrazione con fluidi riscaldati sotto pressione. L’estratto è poi portato a secchezza. Metodo EPA 3540c - Si applica all’estrazione di sostanze organiche non volatili e semivolatili da matrici solide, quali suoli, fanghi relativamente secchi e rifiuti solidi. Al campione di terreno viene aggiunto solfato anidro di sodio, posto in un ditale di estrazione o su due tamponi di lana di vetro usando un solvente appropriato nell’estrattore Soxhlet. Una volta caricato nell’estrattore il campione non ha più bisogno di ulteriore manipolazione e il Soxhlet provvede ad un’efficiente estrazione richiedendo però tempi piuttosto lunghi (16-24 h). I vantaggi derivanti dall’utilizzo di questo metodo consistono: nell’avere a disposizione una considerevole quantità di campione (10-30 g); la tecnica non richiede filtrazione; ha bassi costi di attivazione. D’altra parte gli svantaggi consistono in lunghi tempi di estrazione (fino a 24-48 ore); richiede una grossa quantità di solvente (300-500 ml); incide sull’evaporazione del campione per la sua concentrazione. Metodo EPA 3541 - Anch’esso è applicabile per l’estrazione di sostanze organiche non volatili e semivolatili da matrici solide come suoli, fanghi, rifiuti solidi, ed utilizza un estrattore Soxhlet automatizzato. Questa metodica è simile al metodo 3540c, descritto in precedenza con una differenza, il tempo di estrazione molto più breve (circa 2 ore). Metodo EPA 3545 - Consiste in una procedura di estrazione di composti organici semivolatili, insolubili o leggermente solubili in acqua da suoli, argille, sedimenti e rifiuti solidi. Per impiegare meno solvente e minor tempo rispetto al Soxhlet. Il metodo è stato validato per matrici solide contenenti da 250 a 12.500 µg/kg di composti organici semivolatili, da 5 a 250 µg/kg di pesticidi clorurati, da 50 a 5000 µg/kg di PCB. E’ applicabile solamente a campioni solidi ed è molto efficace su materiali secchi con particelle di piccole dimensioni; se possibile i campioni di suolo e di sedimento devono essere seccati all’aria e setacciati fino a polvere fine (100-200 mesh, 150 µm-75 µm) per l’estrazione sono sufficienti 10-30 g di campione mescolato con sodio solfato o trattato con terra di diatomee. Metodo EPA 3550b - Si applica per l’estrazione di sostanze organiche non volatili e semivolatili da matrici solide quali suoli, fanghi e rifiuti solidi usando la tecnica dell’estrazione per mezzo di ultrasuoni. Il metodo è diviso in due procedure che si basano sulla concentrazione delle sostanze organiche nel campione: un metodo della bassa concentrazione e un metodo della alta concentrazione. In entrambi i metodi una quantità nota di campione è mescolata con solfato anidro di sodio e solvente, ed è sottoposta ad estrazione a ultrasuoni. L’estrazione ad ultrasuoni è estremamente rapida ma richiede una quantità di solvente relativamente elevata. Il metodo della bassa concentrazione (contenuto dei singoli componenti organici minore o uguale a 20 mg/Kg) usa quantità di campioni consistenti e una procedura di estrazione più rigorosa (le concentrazioni molto basse di sostanza organica sono molto difficili da estrarre). Il metodo delle concentrazioni medio alte (contenuto dei singoli componenti organici maggiore di 20 mg/kg) è molto più semplice e veloce. L’estrazione con gli ultrasuoni ha come vantaggi la velocità del metodo (30-60 minuti) e la considerevole quantità di campione (10-30 g). Gli svantaggi del metodo consistono nella necessità di avere a disposizione grosse quantità di solvente (300-500 ml); richiede filtrazione; l’esposizione ai vapori di solvente; i costi di attivazione relativamente elevati. Metodo EPA 3560 - In questo metodo per estrarre dalla matrice si ricorre all’uso di fluidi supercritici per l’estrazione totale degli idrocarburi del petrolio non basso bollenti dai terreni, sedimenti, ceneri volatili e altri materiali solidi. Regolando le condizioni di estrazione è possibile estrarre diverse tipologie di idrocarburi. Operativamente una quantità nota di campione è introdotta nel recipiente di estrazione dove viene estratta per 30 min con anidride carbonica supercritica (340 atm, 80° C) . Gli idrocarburi estratti sono raccolti in un piccolo volume di tetracloroetilene, diclorometano, isottano o altro solvente appropriato oppure su una fase solida.

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CONCLUSIONI Considerando la carrellata di metodiche esistenti e condivise dalla comunità scientifica non si riesce ad individuare un metodo univoco per la determinazione specifica degli idrocarburi C<12 e C>12 normalmente richiesti nell’ambito di bonifiche o classificazione dei rifiuti. Tra i metodi illustrati abbiamo la determinazione gravimetrica degli idrocarburi previa estrazione con solvente , che tende a dare risultati inaccurati e imprecisi mentre la determinazione gas-cromatografica presenta alcune difficoltà che finiscono per non rendere confrontabili i risultati ottenuti dai diversi laboratori. Ragionevolmente possiamo adottare il criterio del ISO/TR 11046 (ISO Technical Report 1994) secondo il quale per idrocarburi “pesanti” C>12 si intende convenzionalmente il metodo che si basa sull’estrazione del campione con il Freon 113, purificazione mediante florisil e analisi mediante spettrofotometria IR o anche gas-cromatografica. Per quanto riguarda gli idrocarburi “leggeri” C<12 si segue la stessa estrazione mentre la determinazione viene fatta con un GC-MS con il quale si determina la natura dei frammenti di origine alcanica a catena lineare e aromatica tenendo in considerazione la tossicità. Restano comunque da sottolineare

Figura 1. Esempio di integrazione della determinazione gascromatografica dell’indice degli idrocarburi

alcuni aspetti importanti. In campo analiticoambientale ha senso definire il parametro “idrocarburi” quando si individua il metodo di analisi con cui determinarlo. I metodi esposti in questo articolo, a titolo illustrativo, ma non esaustivo, permettono di determinare e quantificare le diverse famiglie di idrocarburi e sostanze succedanee con efficienza diversa e per questo possono portare risultati significativamente diversi. Pertanto è auspicabile una definizione univoca di un metodo di analisi, come riferimento ai limiti di legge. Questo consente la risoluzione

di problemi pratici che affliggono consulenti, professionisti ed enti di controllo, che devono fornire dati legalmente difendibili nelle controversie, dove ancora non esiste una consuetudine nella scelta delle metodiche. In mancanza di questo “aggiustamento” della normativa tecnica, attualmente, la via più praticabile è quella di un confronto preliminare tra le parti coinvolte, allo scopo di scegliere le metodiche di campionamento e analisi ritenute più idonee allo scopo specifico. *ARPAV, Servizio Laboratorio Treviso

Determinazione degli idrocarburi pesanti C10-C28 Metodo EPA 8015b - Viene utilizzato per determinare la concentrazione di molti composti organici volatili e semivolatili non alogenati. E’applicabile all’analisi degli idrocarburi del tipo GRO e DRO. Gli idrocarburi tipo GRO corrispondono ad alcani da C6 a C10 che hanno un punto di ebollizione che va da 60° C a 170° C. Gli idrocarburi di tipo DRO corrispondono ad alcani che vanno da C10 a C28 corrispondente ad un punto di ebollizione che va da 170° C a 430° C. Il metodo fornisce le condizioni gascromatografiche per l’esecuzione delle analisi sull’estratto ottenuto secondo le metodiche sopra indicate; prevede l’uso di colonne capillari e un rilevatore di tipo FID. Metodo EPA 8270c - Determina i composti organici semivolatili mediante gascromatografia accoppiata con spettrometro di massa (GC/MS). Questo metodo può essere utilizzato per quantificare composti organici acidi, neutri e basici che sono solubili in cloruro di metilene. Metodo EPA 8440 - È usato per la determinazione degli idrocarburi estratti con l’anidride carbonica supercritica da suoli, sedimenti e rifiuti, non è applicabile per gli idrocarburi volatili. L’estratto è purificato su cartuccia di gel di silice o per agitazione con gel di silice e quindi sottoposto all’analisi all’infrarosso (IR). Reference Frazione di Altre metodiche - Nel panorama delle metodiche finora esposte si inserisce un metodo di un ente differente Dose idrocarburi da quelli considerati tradizionalmente, il Massachusets Department of Environmental Protection, che ha (mg/kg/d) elaborato una metodica con un approccio diverso per la valutazione della concentrazione degli idrocarburi C5-C8 Idrocarburi alifatici 0.04a totali. Il metodo denominato “Method for the determination of extractable petroleum hydrocarbons (EPH)” nella revisione 1.1 del maggio 2004 consiste in estrazione solido liquido con cloruro di metilene e uno stadio di “cleanup” su colonna di gel di silice. Si inietta l’estratto in un gascromatografo con rilevatore FID e si considera l’integrazione tra C9 fino a C18 e da C19 fino a C36 per la parte alifatica mentre l’integrazione tra C11 e C22 fa parte della frazione aromatica. Nella metodica si ricorre all’identificazione dei picchi con GC-MS per individuare la natura della parte aromatica e della parte alifatica. Il metodo così concepito nasce da un approccio di tipo tossicologico che l’ente ha elaborato. Vale a dire che il “peso” per ogni omologo di idrocarburo è stabilito in base alla tabella riportata.

C9-C18 Idrocarburi alifatici

0.1a

C19-C36 Idrocarburi alifatici

2.0a

C9-C22 Idrocarburi aromatici

0.03

Tabella 1. Approccio tossicologico per effetti non cancerogeni (a) aggiornati al 2002

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Un successo fondato sui valori Dagli anni ’80 ad oggi l’escalation di un’azienda che ha fatto del “made in Italy” il fiore all’occhiello del suo processo di internazionalizzazione di Maria Beatrice Celino

L

’azienda Baioni Crushing Plants, fondata nel 1930, è oggi gestita interamente dalla famiglia omonima. Alla fine degli anni ’70, grazie all’attività di Ulderico Baioni, presidente attuale della società, e con la fattiva collaborazione dei fratelli Osvaldo e Alberto, fu inserita nell’elenco ufficiale dei fornitori dell’Onu. Oggi la terza generazione, con l’amministratore delegato Pietro Baioni, progetta, realizza, installa soluzioni “chiavi in mano” che vanno dallo studio alla progettazione di grandi impianti fissi per la frantumazione, selezione, lavaggio di materiali inerti da cava e da miniera e per il riciclaggio di materiali provenienti da demolizioni edili civili, industriali e stradali. Completano la gamma le centrifughe decanter per il trattamento dei fanghi e gli impianti di chiarifica delle acque di processo (lavaggio inerti). Baioni Crushing Plants è ripartita in due divisioni, Crushing e Environment, anche se il core business è da sempre rappresentato dalla produzione di prodotti e servizi correlati con il settore delle cave e delle costruzioni. L'intuizione da parte dell'azienda fu che operare al meglio in un settore così specifico avrebbe richiesto non solo competenza sui prodotti, ma anche la capacità di avere una visione d'insieme degli stessi, non più quindi visti come separati, bensì come parti di un "sistema". Abbiamo incontrato Ulderico Baioni al quale abbiamo posto alcune domande per conoscere meglio il frutto di tanti anni di intenso lavoro.

Quali sono stati i fattori che in questi anni hanno portato l’azienda al successo? Il nostro obiettivo è sempre stato quello di soddisfare le esigenze dei clienti adattando gli impianti richiesti ad ogni tipo di condizione ambientale, garantendo così risultati ottimali e duraturi per quanto concerne l’alimentazione, il trasporto, la frantumazione, la selezione, il lavaggio, la depurazione e il recupero dei materiali. Oltre alla progettazione, costruzione e installazione di nuovi impianti, realizziamo opere di adeguamento tecnologico di impianti esistenti. Tra i servizi più apprezzati dalla clientela proponiamo la fornitura di pezzi di ricambio e la riparazione e revisione di macchine. Negli anni ’80 abbiamo acquistato i primi macchinari per una produzione all’avanguardia tutta all’interno dello stabilimento di Monte Porzio: il “made in Italy” per noi significa ambizione e garanzia allo stesso tempo, significa tempi ridotti e flessibilità, capacità di garantire rapidità di produzione e montaggio, valori che assicurano la pronta risposta nello sviluppo di nuovi progetti, collaudi e verifiche dettagliate prima della consegna. È proprio in questi anni che inizia un processo di internazionalizzazione per l’azienda attraverso l’esportazione degli impianti di frantumazione in tutto il mondo, specialmente in Africa, Asia e nei Paesi Arabi, ottenendo un notevole successo commerciale, grazie all’attenzione per la tecnologia, all’ampiezza della gamma offerta, all’uso di materie prime di ottima qualità e sicurezza per un settore come il nostro che richiede standard elevati.

Quali sono le realizzazioni più significative effettuate di recente? Negli ultimi tre anni abbiamo messo a punto una gamma completa di macchine mobili su cingoli totalmente azionate da motori elettrici e i nostri sforzi sono stati ampiamente ripagati: un’opera in particolare, che è stata per noi una grande sfida, ma anche motivo di grande soddisfazione, riguarda la progettazione e costruzione di quattro gruppi mobili di frantumazione primaria commissionati per il Consorzio Condotte Cossi per AlpTransit St.Gothard in Svizzera, dove attualmente lavorano a pieno regime. L’anno scorso siamo stati scelti tra tanti fornitori europei proprio per la nuova concezione progettuale di queste macchine, nateper lavorare in spazi ristretti come le gallerie. Abbiamo inoltre progettato altri impianti mobili di frantumazione e vagliatura, la serie BaiTrack e BaiScreen; ne abbiamo vendute due serie composte da tre modelli ognuno, destinate ai mercati

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africani, in particolare in Guinea Equatoriale e in Sudan. Ultimo lavoro importante che abbiamo consegnato i primi di agosto riguarda UniTrack7 un impianto completo di frantumazione, selezione e stoccaggio su cingoli destinato ad opere infrastrutturali del mercato russo. Non dimentichiamo poi altre opere importanti di impiantistica fissa come quelle realizzate per la società Quadrilatero delle Marche-Umbria per il progetto omonimo e per la costruzione dell’autostrada Algeri-Casablanca. Ci riteniamo molto soddisfatti per i risultati che stiamo ottenendo, malgrado la crisi economica globale l’azienda sta conseguendo risultati discreti, nel mese di giugno abbiamo concluso una commessa proveniente dall’Etiopia, Paese dal quale stanno giungendo segnali positivi di una rinascita legata soprattutto a lavori infrastrutturali di viabilità. Come si è sviluppata la divisione Environment? La divisione Environment è nata proprio dalla crescente attenzione al settore dell’ecologia e della sostenibilità ambientale che ha orientato le nostre scelte produttive verso la realizzazione di impianti per il riciclaggio e il recupero di materiali inerti, la produzione di decanter ad alto rendimento per il trattamento dei fanghi e di impianti di chiarificazione delle acque utilizzate nelle operazioni di lavaggio degli inerti. Da un lato c’è la volontà di presentarsi come punto di riferimento offrendo così, insieme a una gamma completa e alla qualità dei propri prodotti, il valore aggiunto di avere un unico referente. Dall’altro abbiamo capito che il settore dell’ambiente è quello in cui tutti noi dovremmo concentrare le nostre energie per garantire la buona qualità e riproducibilità delle sue risorse. Ci può parlare dei progetti per il soil washing? Il progetto per il soil washing nasce dallo stesso concetto del lavaggio degli inerti: così come si produce un materiale pulito per la fabbricazione del calcestruzzo, anche il terreno può essere “lavato” per rimuovere le parti contaminanti o inquinanti. Assieme a due partners locali stiamo sviluppando una nostra linea tecnologica finalizzata al trattamento di tali terreni. Il processo prevede l’impiego di macchine che la Baioni produce già, per cui il passaggio è stato molto naturale, allo stes-

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so tempo ciò ha permesso la diversificazione dell’offerta. Un impianto di soil washing ha lo scopo di recuperare la parte pregiata di terreno che, a tutela dell’ambiente, si individua come risorsa alternativa, con costi minimi di lavorazione; dopo il processo di lavaggio il 90% degli inerti presenti nel terreno vengono recuperati, mentre il 10% finisce in discarica. L’attenzione per l’ambiente è testimoniata da vostre importanti scelte di investimento? Sì, questi investimenti riguardano il lancio di un nuovo prodotto, che tra l’altro stiamo già promuovendo anche all’estero, si tratta del BaiPod, il nuovo sistema di disidratazione fanghi completo di accessori. Grazie al design compatto e alla peculiare concezione costruttiva, il BaiPod è un’unità mobile facilmente trasportabile ed è particolarmente indicata per far fronte a brevi periodi di sovraccarico e/o per lavori stagionali, con la possibilità di noleggio con un onere sicuramente competitivo.

Impianto di frantumazione e vagliatura inerti

Gruppo mobile di vagliatura

L’altro importante progetto di innovazione, questa volta non tecnologica bensì energetica, si chiama Baioni Energia: abbiamo realizzato un intervento di riqualificazione energetica che ha visto la bonifica dall’amianto e l’installazione di pannelli fotovoltaici di tipo integrato a copertura sui tetti delle nostre officine dalla potenza di 2 MW, per una superficie complessiva di 24.500 m2 e centinaia di tonnellate di CO2 all’anno evitate attraverso la produzione di energia pulita. Oltre a questo abbiamo un impianto fotovoltaico a terra dalla potenza di 1 MW. Baioni Crushing Plants ha sempre prestato una particolare attenzione verso gli aspetti legati alla qualità dei propri prodotti e all’impatto che gli stessi possono avere sull’ambiente. Abbiamo fatto notevoli investimenti in ricerca e sviluppo per produrre macchine efficienti dal punto di vista energetico e sicure e rispettose delle persone e dell’ambiente. La scelta nei confronti della “green economy” è stata pertanto dettata dal rispetto maggiore dell’ambiente al fine di migliorare le condizioni di lavoro di tutto il personale impiegato.


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UN UOMO CHE HA FATTO LA DIFFERENZA DALL’INCONTRO CON NATALE ZIMERLE IL RACCONTO DI UNA VITA DI SFIDE CONTINUE E SOPRATTUTTO IL SIGNIFICATIVO CONNUBIO CON UN’AZIENDA CHE HA SAPUTO VALORIZZARE LA SUA PASSIONE di Maria Beatrice Celino

I

n una bellissima giornata estiva, presso la sede di Noventa Vicentina della Trevi Benne, incontro Natale Zimerle, area manager dei Paesi Scandinavi di Trevi Benne. Un uomo, una storia, ma non appena Natale – così lo chiamano affettuosamente in azienda - comincia a parlarmi, mi rendo subito conto che Christian Tadiotto, marketing manager dell’azienda, aveva ragione quando mi diceva: “è un uomo speciale che ha una storia da raccontare e che ha saputo attra-

Natale Zimerle, area manager dei Paesi Scandinavi di Trevi Benne

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versare il suo tempo con la capacità di vivere una vita piena, senza mai tregua e sempre con grande passione per il proprio lavoro”. Tutto è cominciato con un’avventura, ci racconti… Sono figlio di un operaio che nel 1954 guadagnava solo 600 lire al mese e che nella speranza di darmi un futuro migliore mi mise a soli 16 anni su di un treno per la Svezia affidandomi ad un cugino che doveva prendersi cura di me, ma così non fu perché al mio arrivo a Stoccolma ad aspettarmi non c’era nessuno e capii subito che dovevo essere io a prendermi cura di me stesso da subito sapendomi imporre e cercando le condizioni per sopravvivere da clandestino. Con le 20.000 lire che mi aveva dato mio padre riuscii a garantirmi ricovero per alcuni mesi presso una famiglia di italiani fino a che non trovai il mio primo lavoro al servizio di un ingegnere che mi aiutò a procurarmi documenti regolari. Ho imparato subito una cosa importante, che nessuno può fare per te quello che devi fare tu. Ho cominciato come saldatore affiancato ad un estone che mi ha insegnato tutti i segreti. Nel ‘57 a 19 anni mi sono sposato e nel ‘58 è nato il mio primo figlio. Accettai di lavorare in fonderia per qualche soldo in più e lì ho colto l’occasione che ha cambiato la mia vita! Una notte si verificò un guasto improvviso e chi doveva essere presente e vigilare era ubriaco; io non esitai a prodigarmi incurante

del pericolo per risolvere il problema e questo ha fatto sì che venissi premiato. Dal giorno successivo fui spostato a lavorare in ufficio e mi venne concesso di studiare godendo di un sussidio di stato (mi pagavano 2 ore al giorno e andavo a scuola e l’ultimo anno lo Stato mi ha pagato lo stipendio di un anno di lavoro, con la promessa che dopo 5 anni dal diploma avrei avuto 20 anni per restituire il prestito al 25%). Così ho imparato bene la lingua.


Un ragazzo giovanissimo e pieno di grinta! E poi che strade ha preso? Nel ’59 mi sono trasferito a Stoccolma e sono andato a lavorare in quella che oggi è la Dynapac. Da loro nel ’69 sono stato inviato qui in Italia con il compito di aprire una filiale a tutt’oggi ancora esistente ad Arluno. Dopo 20 giorni dall’apertura ordinavo 4 macchine perché 2 le avevo già vendute, ma le macchine per questo mercato necessitavano di una maggiore cura estetica e così io stesso apportai le modifiche necessarie per renderle più gradevoli alle esigenze del mercato italiano. Le cose andarono bene e la filiale è cresciuta con me ed io arrivai a ricoprire il ruolo di amministratore delegato che però mi stava stretto, io non sono un uomo da scrivania. Quindi nel 1978 assieme ad un socio, a Treviso, ho creato la mia azienda, la Maistra e successivamente la OMI, Officina Meccanica Industriale. Entravamo nei difficili anni ‘80 con una crisi terribile e per superare le difficoltà del periodo ci siamo fusi con la Bauma Veneta che vendeva escavatori e gru. Quindi una grande escalation e poi una battuta di arresto? Nel 1980 è stato un problema di salute, una paresi a fermarmi. Anche in quell’occasione

c’è voluta tutta la mia forza perchè ho trascorso 8 mesi terribili. Il dottore mi aveva consigliato una pausa lavorativa ed in soli 22 giorni ho venduto l’azienda. Mi sono quindi curato e sono arrivato così a 50 anni. Una mattina mi sono chiesto: “cosa pensi di fare?”. Così sono ripartito, prima a Milano e successivamente ho iniziato una serie di collaborazioni con le primarie imprese costruttrici di attrezzature per la demolizione. Con una di queste ho sviluppato il mercato tedesco (45 Macchine vendute nei soli primi 8 mesi) fino ad arrivare a produrre 40 macchine per Krupp. Quando è stato l’incontro con Trevi Benne? Ho visto nascere Trevi Benne quando frequentavo le fiere di settore con altre aziende. Trevi Benne costruiva le sue prime attrezzature e cresceva velocemente grazie a Luca Vaccaro, la sorella Lucia e Christian Tadiotto. Solo nel 2000 abbiamo cominciato a parlarci seriamente facendo un primo accordo per tre anni che di lì a poco ha portato l’azienda ad ampliare la sua gamma di attrezzature. Infatti nonostante i buoni risultati a quei tempi si arrivava al massimo ai 25 quintali con la rotazione e 35 quintali con il fisso.

Quindi decidemmo di aggiungere alla gamma una cesoia per i rottami. Acquistammo un progetto sviluppandolo e migliorandolo tecnologicamente con il tempo ed ad oggi produciamo ben 10 modelli di cesoie di pesi differenti. Era un settore diverso, un approccio e uno sviluppo tecnologico differenti, una sfida che ha ampliato il nostro mercato. Fu anche grazie a questa scommessa vinta che cominciammo ad acquisire i primi importanti clienti demolitori di professione. Ad un certo punto, nel 2002, ho detto a Luca che avrei voluto aprire una nuova frontiera, al nord. Tra mille difficoltà abbiamo trovato quello che oggi è il nostro rivenditore in Svezia. Pochi soldi ma tanta passione che ci hanno permesso di essere presenti in un mercato per noi completamente nuovo. Abbiamo appena consegnato la 200° macchina da demolizione! Ma non è stanco? Anche se da marzo sono andato in pensione la mia passione, l'interesse e il mio coinvolgimento nell'azienda non si sono esauriti. I tempi sono cambiati, una volta ci si faceva da sé, a fatica, lavorando anche la notte. Oggi chi amministra sono i giovani e a volte non ti ricevono neanche più e questo spesso è frustrante. Il mercato della demolizione si è evoluto. Nel nord Europa l’escavatore piccolo è quasi il più grande che produciamo in Italia. Noi abbiamo puntato sulla produzione di attrezzature grandi che la concorrenza non offriva e siamo convinti, così come ragiona il mercato nordico, che se si lavora con macchine piccole la demolizione viene a costare troppo. Questo ci ha portato a produrre tre attrezzature da 22 t. Luca, che per me è come un figlio, mi ha invitato a restare, sa che amo questa azienda, ma dopo un certo punto non si lavora più per i soldi, quando si è seminato bene. Posso affermare che il settore lo conosco sin dalla nascita e credo di avere sviluppato delle competenze che tutti in questa azienda mi riconoscono. Sono soddisfatto di quello che ho fatto, potrei sentirmi stanco ed arrivato ma non lo sono perché ci sono ancora nuove sfide ed avventure da intraprendere e di certo non sento per nulla vicino il momento di fermarsi!

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LA BONIFICA DEL “Comparto Milano” ALL’INTERNO DEL sin BRESCIA CAFFARO Da ottobre 2004 a novembre 2010 la gestione del cantiere e l’ottimizzazione delle procedure di caratterizzazione e smaltimento che hanno condotto alla bonifica dell’area di Gianni Virgilio* e Sergio Cavallari**

L

’area oggi identificata dal Comparto Milano, inserita all’interno del Sito di Interesse Nazionale “Brescia-Caffaro”, è stata occupata per circa 100 anni da attività industriali, infatti dal 1886 iniziò la costruzione

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di un vasto stabilimento, che successivamente si ampliò fino alla chiusura degli impianti tra il 1997 ed il 1998. Per il Piano Regolatore Generale del Comune di Brescia l’area è soggetta ad apposita progettazione e vi sono previsti lotti con destinazione commerciale ed altre residenziale, pertanto gli obiettivi di bonifica sono stati differenziati in funzione degli usi previsti.

Piano di caratterizzazione Il piano di caratterizzazione, a firma della società Chemiricerche di Molinetto di Mazzano (BS), è stato approvato dal Comune di Brescia in data 08/01/2002 ed è stato predisposto secondo il D.M. 471/99. Con la Legge 31 luglio 2002 n.179 l’area identificata dal Comparto Milano è entrata a far parte del SIN “BresciaCaffaro”.


Descrizione del sito Prima dell’inizio dei lavori di bonifica, la Proprietà ha provveduto alla demolizione di quasi tutti i fabbricati industriali ed uffici come da convenzione stipulata con il Comune di Brescia. Sono stati mantenuti solamente i capannoni presenti in area da utilizzare durante le attività di bonifica. Pertanto all’inizio dei lavori di scavo dei terreni le aree si presentavano fondamentalmente scoperte e pavimentate. Gli inquinanti presenti nei terreni di superficie erano tutti composti di tipo “organico”, come idrocarburi e IPA, oppure metalli, come rame, arsenico, piombo, nichel, manganese, ecc.

Progetto La redazione del progetto definitivo “REV.3” (approvato con D.M. nell’aprile 2004) ha tenuto conto di alcune prescrizioni del Ministero quali lo scavo di un'altezza minima di 50 cm su tutta l’area del Comparto Milano e la realizzazione di un pozzo piezometrico (PZ8) ove era stata rilevata la contaminazione da solventi organici clorurati con l’obbligo di emungimento in continuo, idoneo impianto di filtrazione a carboni attivi e lo scarico in corso idrico superficiale, nel rispetto della normativa vigente. Nel corso delle attività di bonifica la Proprietà ha dovuto chiedere una revisione del progetto in quanto i volumi di terreno da bonificare apparivano superiori a quanto stimato nel progetto approvato a causa di ritrovamenti non previsti. Per il fatto di essere all’interno del Sito di Interesse Nazionale, la presentazione della

revisione del progetto era dovuta presso il Ministero dell’Ambiente, con tutte le conseguenze procedurali del caso. Il progetto di variante è stato approvato dal Ministero nel marzo 2006. Con la pubblicazione del D.Lgs.152/06 vi sarebbe stata la possibilità di chiedere una rimodulazione degli obiettivi di bonifica, ma la Proprietà ha deciso di non intraprendere questa possibilità per via dei tempi lunghi richiesti per l’approvazione della variante stessa. Pertanto il riferimento normativo ha continuato ad essere il D.M. 471/99. Nel caso del riutilizzo in situ dei terreni di scavo è stata seguita la procedura riportata: • conformità dei terreni ai limiti sulla frazione inferiore ai 2 mm; • conformità dell’eluato, da realizzarsi sulla frazione maggiore di 2 mm, ottenuto nel test di cessione in CO2 sulle 24 ore; • assenza di incremento di contaminazione della falda (in rif. agli inquinanti di superficie), posta sotto controllo mediante monitoraggio; • in caso di riutilizzo dei terreni ex-situ, valgono le medesime condizioni, ma il test di eluizione è quello indicato dal D.M. 05/02/98 eseguito sul tal quale, con i limiti della tab. 2 allegato 1 del D.M. 471/99; • obiettivo di bonifica consistente nel raggiungimento dei limiti di concentrazione dei contaminanti in funzione della destinazione d’uso. Un obiettivo del progetto è stato quello di massimizzare i quantitativi di terreni recupe-

rabili in sito, anche attraverso il processo di “soil-washing” riducendo così al minimo il quantitativo di rifiuti da destinare allo smaltimento in impianti esterni. In totale si sono registrate circa 90 operazioni di vagliatura con un volume di materiale interessato pari ad oltre 75.000 m3 con un recupero per il riutilizzo in situ di quasi 20.000 m3 (oltre il 26% del totale). La rimanenza è stata adeguatamente conferita in discariche autorizzate. I cementi provenienti dalle demolizioni dei pavimenti, dei trovanti, delle vasche e dei muri in cls sono stati stoccati e frantumati in apposita area dedicata e secondo quanto previsto dalla normativa vigente. Inizialmente era previsto il test dei 16 giorni come da D.M. 05/02/98 per la ricerca dei limiti di accettabilità al recupero, poi invece è stato utilizzato, come da normativa vigente, il metodo indicato dal Decreto n. 186 del 05/04/2006 che modifica il D.M. 05/02/98. Sono stati utilizzati anche cassoni scarrabili da 10 m3 per la raccolta e lo smaltimento di alcuni hot-spots (es. terreni con morchie oleose o idrocarburi in genere). Le acque sporche contenute nelle vasche in cls esistenti sono state conferite attraverso l’utilizzo del servizio di autospurgo.

Ottimizzazione degli strumenti di progetto Per seguire costantemente e con particolare attenzione il progressivo stato d’avanzamento dei lavori, la società proprietaria ha richiesto alla D.L. la presenza costante in cantiere per l’intera durata delle operazioni di bonifica e cioè da ottobre 2004 a novembre 2010. In tal modo si sono potute soddisfare le richieste della Basileus sia per quanto riguarda il rispetto dei tempi realizzativi, che dovevano “viaggiare” in sintonia con quelli commerciali e di vendita delle aree bonificate, sia per il mantenimento dei costi globali entro il budget complessivo di spesa, già approvato dalla società stessa e dal pool di banche che nel tempo hanno sostenuto finanziariamente questa iniziativa immobiliare. Per adeguare il progetto approvato e le prescrizioni legislative ai suddetti principi, la D.L. ha costantemente operato con l’intento di ottimizzare le risorse di cantiere disponibili e nel seguito sono presentati in dettaglio alcuni esempi emblematici in tal senso.

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In due casi, tra gli altri, si è cercato di migliorare l’aspetto analitico e di caratterizzazione nella ricerca degli inquinanti previsti dalle leggi vigenti mentre due caratterizzazioni in sito di aree con situazioni particolari hanno consentito di ridurre le movimentazioni ed ottimizzare gli smaltimenti. procedure per acque di falda

Dopo avere esaminato 32 campagne di monitoraggio è stata concordata con gli Enti la riduzione del numero di contaminanti da analizzare nelle indagini mensili mentre per le indagini quadrimestrali è stata mantenuta la determinazione completa;

fitto si giustificava nella particolare eterogeneità e variabilità laterale e verticale dei rifiuti da rimuovere: il campionamento sulle singole maglie è stato effettuato in maniera da fornire campioni il più possibile rappresentativi dei rifiuti da destinare a smaltimento diretto. La nomenclatura utilizzata, fornendo immediata indicazione del mappale d’appartenenza, consente la rintracciabilità dei rifiuti movimentati. Operativamente, ai fini della caratterizzazione, su ciascuna maglia sono stati realizzati 5 pozzetti esplorativi ubicati secondo una disposizione sistematica casuale secondo

norma UNI 10802 e secondo quanto indicato nella Linea Guida 9 della Provincia di Milano. Da ciascun pozzetto e per ogni metro di profondità è stata prelevata, mediante escavatore, una bennata di materiale dalla quale sono state estrapolate le aliquote che sono state sottoposte a quartatura per formare un campione medio. Il campione medio è stato poi identificato con la profondità di scavo alla quale è stato prelevato. Sulla base dei risultati della caratterizzazione, i rifiuti misti sono stati rimossi di maglia in maglia e di metro in metro, in funzione del raggiungimento degli obiettivi di bonifica.

procedure per caratterizzazione dei terreni

Accordo con gli Enti per migliorare la procedura di caratterizzazione dei terreni entro i box d’entrata (che sino a quel momento prevedeva il campionamento in contradditorio con i tecnici della Provincia in base al D.M. 471/99 su tutti i terreni stoccati entro i box d’entrata), mentre successivamente i cosiddetti “contradditori” sono stati utilizzati solamente per i terreni in “entrata” da destinarsi al riutilizzo in situ. procedure per caratterizzazione strato di scorie

Nel novembre 2007 si è proceduto con una caratterizzazione in situ e successivo smaltimento diretto dei materiali presenti in area residenziale (circa 5.900 m2) di concerto con gli Enti di Controllo. Nell’ambito dello sbancamento dei terreni superficiali è stato messo a nudo uno strato di riporto costituito prevalentemente da scorie di fonderia e residui edili, ed in misura minore da terreno. Alcuni pozzetti esplorativi realizzati nell’area hanno mostrato come lo strato di rifiuti si era esteso in alcuni casi fino alla profondità di 4,00 m. In alcuni casi i materiali di riporto misti – scorie di fonderia di diverse tipologie, residui edili e loppe, terre e rocce in percentuale variabili – risultavano affioranti nell’area. L’intera porzione di sub-area è stata suddivisa in 15 maglie quadrate di 15x15metri e 9 maglie rettangolari di 17x15. Le maglie così individuate sono state identificate con le lettere dell’alfabeto, in maniera progressiva, seguite dal numero di riferimento catastale. La scelta di un reticolato così

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I numeri del cantiere Le operazioni di bonifica hanno avuto inizio il 13 ottobre 2004 e si sono concluse il giorno 23 novembre 2010. Il cantiere è stato impostato seguendo le fasi progettuali e secondo le esigenze commerciali della Proprietà. Sono state realizzate 13 piazzole in aree coperte, pavimentate, delimitate ed ulteriormente impermeabilizzate con la stesura di un telo in HDPE al di sotto del nuovo massetto armato in calcestruzzo (box d’entrata). Le attività alla data di fine lavori possono essere riassunte nei seguenti quantitativi: • circa 71.000 m3 di rifiuti di natura cementizia provenienti da attività di demolizione prodotti, trattati e recuperati, sia in area residenziale che commerciale, oltre ad una consistente parte dedicata alle opere di urbanizzazione primaria del Comparto Milano; • oltre 340.000 m3 di terreno scavato e movimentato con caratterizzazione dei rifiuti entro i box d’entrata; • oltre 75.000 m3 di terreno sottoposto a vagliatura (90 operazioni di trattamento) con recupero finale pari a oltre il 26% del materiale sottoposto a processi di vagliatura; • circa 140.000 m3 di materiali recuperati in sito compresi i cementi frantumati, i terreni conformi alla colonna “B” ed i sopravagli “lavati” conformi; • circa 200.000 m3 di terreno smaltito in discarica e/o in idoneo impianto di trattamento; • circa 1.200 campioni effettuati in contraddittorio con gli Enti con oltre il 10% validato dall’ARPA di Brescia; • punta di 150 m2 di area lavorata al giorno in riferimento alla sub-area ex-Bimec residenziale (destinata a verde pubblico) con una media generale mantenuta sostanzialmente su questi valori; • punta di 530 m3 di terreni movimentati al giorno in riferimento alla sub-area ex-Bimec residenziale (destinata a verde pubblico) con una media generale di circa 200÷250 m3/giorno lavorato.


caratterizzazione del terreno senza movimentazione interna e stoccaggio

Un’altra caratterizzazione in situ, anch’essa concordata con gli Enti di Controllo, ha interessato il suolo posto sotto ai box di stoccaggio, che dovevano essere smantellati a fine lavori, rendendo così impossibile l’accatastamento dei terreni. L’intervento ha interessato una superficie di 4.525 m2. L’area è stata suddivisa in maglie di 225 m2 (15x15m) ed identificate in base alla loro collocazione in pianta. L’approccio metodologico e di identificazione delle maglie si può ritenere simile a quello utilizzato nell’esempio precedente. I campioni di terreno prelevati con macchina carotatrice sono stati correttamente posizionati nelle cassette catalogatrici: la profondità d’indagine in media è stata di 3,5 m. Da ciascuna cassetta e per ogni metro di profondità è stata prelevata un’aliquota cor-

rispondente ad una “carota” di altezza 1 m: le cinque aliquote miscelate e sottoposte a quartatura hanno formato il campione medio. I rifiuti così identificati ed omologati da parte delle discariche e/o impianti di trattamento riceventi sono stati rimossi di maglia in maglia e di metro in metro, fino al raggiungimento degli obiettivi di bonifica. Il quantitativo totale dei terreni conferiti direttamente è assommato a circa 9.500 m3. I rifiuti presenti nell’area di interesse, da rimuovere e da smaltire, sono stati classificati con i seguenti codici CER: 191302, 191301*, 170504, 170503* e 170904. Sui singoli campioni medi la caratterizzazione analitica era così composta: • accertamenti analitici finalizzati alla verifica della pericolosità del rifiuto ed all’attribuzione del codice CER; • accertamenti analitici finalizzati alla verifica dell’accettabilità da parte dell’impianto di destinazione.

Conclusioni Il lavoro di bonifica è stato complesso ed interessato da numerose “sorprese”, nonostante le numerose indagini di caratterizzazione, e, grazie alla competenza di imprese e tecnici coinvolti e alla collaborazione degli Enti locali, è stato possibile ottimizzare tempi e risorse. La caratterizzazione sia di rifiuti sia di terreni in sito, seppur complessa e costosa, ha consentito una gestione ottimale degli smaltimenti riducendo movimentazioni e stoccaggi. Nel complesso sono stati bonificati 247.623 m2 di superficie catastale con l’emissione di 23 “Certifiche” da parte dell’Ufficio Rifiuti della Provincia di Brescia. Attualmente sono in essere solamente attività di “post-operam” dedicate al controllo ed al monitoraggio delle acque di falda, operazioni che si concluderanno nel mese di novembre 2011. *Architetto, Udine **Ingegnere, Brescia

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Le attività di arpat presso il sito ex-decoindustria in provincia di Pisa Il controllo ambientale svolto dall’agenzia regionale per la protezione ambientale della toscana presso un’area industriale dismessa durante la fase di messa in sicurezza di Andrea Villani e Fabrizio Franceschini*

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n data 24.1.2006 il Nucleo Operativo Ecologico (NOE) provvedette, su disposizione della Procura della Repubblica di Napoli, ad apporre i sigilli di sequestro preventivo al cancello di accesso alla Decoindustria s.r.l. sita in località Santo Stefano a Macerata nel Co-

Ubicazione topografica del sito Decoindustria

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mune di Cascina (PI). Il sequestro fu effettuato nell’ambito di una vasta operazione denominata “Ultimo Atto”, avente base ad Acerra (NA), e portò a 13 arresti, 100 perquisizioni in tutta Italia, alla scoperta di un giro d’affari di 27 milioni di euro per gestione illecita di rifiuti ed

al sequestro di otto impianti di trattamento e smaltimento rifiuti situati nel Centro-Nord Italia. Nello stabilimento di Cascina (PI), la Decoindustria s.r.l. effettuava la depurazione conto terzi di reflui industriali e civili, essendo iscritta all’Albo Nazionale Smaltitori al n. FI 0119. Nello stabilimento erano in esercizio vari impianti che esercitavano diversi trattamenti di depurazione dedicati a specifiche tipologie di reflui. In particolare il deposito consisteva di un vasto parco serbatoi, ereditato da attività precedenti, un impianto chimico-fisico, a sua volta costituito da un impianto di distillazione e strippaggio, un concentratore a triplice effetto, un’unità di evaporazione ed essiccazione con tecnologia a film sottile, un postcombustore ed un impianto biologico. L’impianto lavorava reflui industriali, anche pericolosi, quali acque di processo, lavaggio, sviluppo fotografico, emulsioni oleose, acque inquinate da solventi e idrocarburi, soluzioni esauste di basi e acidi, reflui dell’industria agroalimentare, reflui di spurgo pozzi neri, ecc. I vari processi di depurazione all’interno dello stabilimento si realizzavano con gli impianti configurati in maniera da poter operare autonomamente o in modalità seriale, per esercitare diversi processi di trattamento. L’impianto ha lavorato sino al giorno del sequestro.


Attività di vigil anza di ARPAT nel periodo ante-sequestro

Nel periodo che va dal 2000 sino al giorno del sequestro, a causa della criticità del sito in esame evidenziate dalle Autorità Locali (Comune, Provincia) e supportate anche dalle continue lamentele della cittadinanza, il Dipartimento dell’Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale della Toscana (ARPAT) di Pisa effettuò un numero considerevole di sopralluoghi (107) sia di propria iniziativa sia congiuntamente con l’Autorità Giudiziaria, emettendo ben 16 Comunicazioni di Notizia di Reato di cui 6 relative alla gestione di rifiuti ed allo smaltimento di fertilizzante contaminato. Le stesse Autorità avevano pianificato la chiusura dello stabilimento e la sua rilocazione in altra sede, nel giro di due anni al massimo. Le maggiori criticità derivavano da eccessivi stoccaggi dei rifiuti trattati e prodotti e dal carattere obsoleto di molti degli impianti in funzione.

sito, a causa della non tenuta dei serbatoi. In particolare i due grandi serbatoi presenti sul margine nord del sito, della capacità di 5000 m3 ciascuno, erano interessati da evidenti fenomeni di cedimento differenziale della platea di appoggio. Ultimo punto da evidenziare riguarda la presenza di serbatoi con prodotti infiammabili, mantenuti solitamente in ambiente inerte con azoto la cui riserva risultò esaurita sin da pochi giorni successivi al sequestro. In occasione di un sopralluogo effettuato congiuntamente con ARPAT e VV.F di Pisa, fu riscontrato un pericolo non trascurabile ai fini di incendio e/o esplosione, dovuto sia al rischio potenziale di fuoriuscita del prodotto

stoccato sia al fatto che l’impianto antincendio non era più funzionante. Le misurazioni con l’esplosimetro non hanno evidenziato comunque situazioni critiche. Dal momento del sequestro, avvenuto nel gennaio 2006, l’assenza di personale in grado di garantire un primo intervento in caso di emergenza e la mancanza di manutenzione ordinaria e straordinaria, hanno reso l’intera area potenzialmente pericolosa oltre che ai fini d’incendio ed esplosione anche ai fini del possibile rilascio di sostanze pericolose per l’uomo e l’ambiente circostante. Questo almeno fino al termine delle operazioni di messa in sicurezza da tempo attivate dalle Amministrazioni competenti e attualmente in corso.

Principali criticità ambientali, sanitarie e di sicurezza

L’aspetto indubbiamente più rilevante da sottolineare dal punto di vista ambientale era la presenza di un numero molto elevato di serbatoi di stoccaggio fissi (circa 70) e mobili (fusti, cisternette) destinati al contenimento dei reflui in arrivo, di frazioni intermedie e dei prodotti finiti del trattamento (rifiuti), che dovevano essere adeguatamente smaltiti. Ciò ha sempre creato una gestione critica dell’impianto che, in svariate occasioni ha prodotto maleodoranze o sversamenti accidentali nelle zone confinanti, dovuti allo stato di tenuta precario (anche strutturale) e fatiscente (corrosione, ecc.) dei serbatoi unitamente ai bacini di contenimento (assenti nel caso di due serbatoi da 5000 m3), e di incertezza legata alle quantità e alla qualità dei reflui ivi contenuti. Da sempre il campionamento si era ed è rivelato estremamente pericoloso per l’incolumità degli operatori, a causa della fatiscenza delle strutture di accesso agli stessi. Altro aspetto estremamente critico riguarda la possibile contaminazione delle matrici suolo, sottosuolo ed acque (superficiali e sotterranee) immediatamente circostanti il

Particolare dell’area di stoccaggio delle cisternette contenenti rifiuti liquidi pericolosi all’interno sito ex Decoindustria Srl – foto 2007

Fasi di svuotamento e messa in sicurezza serbatoi da 5000 m3 – novembre 2010

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Attività di vigil anza di ARPAT nel periodo post-sequestro

In data 31.5.2006 la Decoindustria s.r.l. comunicò la sospensione delle attività a tempo indeterminato al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli, al Servizio Difesa Ambiente della Provincia di Pisa, al Comune di Cascina e al Dipartimento ARPAT di Pisa. Ciò prevedeva, nello specifico, la messa in mobilità di tutti i dipendenti e la sospensione di qualsiasi attività di gestione e controllo degli impianti. Dopo la dichiarazione di fallimento della società Decoindustria, avvenuta in data 3.3.2007, la Provincia di Pisa utilizzò la fidejussione depositata dalla ditta (fissata secondo i criteri stabiliti dal DPGR 14/R del 25.2.2004), e richiese un’offerta tecnico-economica a varie ditte per la messa in sicurezza del sito per una cifra pari a 1.400.000 euro. Dopo l’aggiudicazione del Bando di Gara, i lavori iniziarono nel luglio 2007 e consistettero nello svuotamento di alcuni serbatoi, contenitori mobili (fusti, cisternette) e nell’invio di questi rifiuti in Germania e Francia, presso impianti di incenerimento o in Italia presso altri impianti di trattamento. Sin dall’inizio delle operazioni fu constatato che il costo dei lavori necessari al completamento delle attività di messa in sicurezza superava di gran lunga la garanzia finanziaria disponibile, richiedendo una sostanziale integrazione di tale somma da parte delle Isti-

tuzioni, Regione in primis. La conseguenza principale di ciò è stata la notevole dilatazione del tempo necessario a completare la fase di messa in sicurezza del sito, tuttora in corso. In seguito alla prima gara, ne sono seguite altre, con varie Ditte che si sono avvicendate nelle fasi di bonifica e smaltimento dei rifiuti contenuti all’interno. Durante il susseguirsi dei lavori di messa in sicurezza si sono verificate periodicamente situazioni di emergenza per il possibile inquinamento ambientale dovuto a sversamento di reflui, a causa dello stato di estrema fatiscenza di alcuni serbatoi. Nel mese di aprile 2011, a seguito di atto vandalico, i tecnici ARPAT sono intervenuti su segnalazione degli abitanti delle zone limitrofe, che avevano riferito di intrusioni con sfondamento del cancello secondario, furto di vari materiali (pannellature, valvole, quadri elettrici, rame, ecc.) e soprattutto di uno sversamento di sostanze oleose, con conseguenti problemi di maleodoranze e tracimazioni nei fossi limitrofi. Nel corso di questo ultimo intervento sono state effettuate indagini organolettiche e chimiche lungo i percorsi di drenaggio delle acque di superficie che, tramite un reticolo della bonifica idraulica confluiscono nel fosso Solaiola, principale corso d’acqua presente nella zona, oltre ad alcuni laghetti artificiali presenti immediatamente a nord del sito. Mentre le acque dei laghetti sembrano per ora non ancora interessate da contaminazioni, tracce

Fasi di bonifica del fossetto lungo il confine S/W del sito – aprile 2011

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di una diffusione di contaminanti sono invece presenti nel reticolo idrografico di valle ed in particolare nel tratto interrato in prossimità del sito (tratto rosso in figura). In estrema sintesi gli interventi che si sono susseguiti dal 2006, hanno riguardato: • svuotamento e smaltimento completo di rifiuti speciali pericolosi liquidi, fangosi e solidi contenuti nei numerosissimi contenitori mobili presenti sul sito e in molti dei serbatoi fissi con invio dei rifiuti prodotti a impianti europei (Francia, Germania) e nazionali; • smaltimento periodico delle acque piovane e di percolazione contaminate accumulate intorno ai vari serbatoi e aree critiche degli impianti; • interventi sistematici di monitoraggio e bonifica in emergenza dell’inquinamento ambientale. Dal giorno del sequestro sino ad oggi, il personale del Dipartimento ARPAT di Pisa ha svolto e continuerà a svolgere azioni di vigilanza, campionamento, analisi chimico-batteriologiche, controllo e supporto tecnico alle Amministrazioni locali in tutte le fasi di messa in sicurezza del sito, in emergenza e programmate, che a causa dell’ingente impegno economico richiesto e delle passività ambientali accumulate non possono esaurirsi nel breve periodo.

Reticolo idrografico di drenaggio delle acque superficiali a valle del sito

*ARPAT




BONIFICA DELLE ACQUE DI FALDA CON IMPIEGO DI MATERIALI NANOSTRUTTURATI Il caso applicativo di un trattamento di acque sotterranee contaminate da idrocarburi e solventi clorurati mediante filtrazione con Recam ® di Beatrice Sardi*, Ivano Aglietto** e Michele Marcotti***

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’applicazione delle tecnologie più innovative nel campo delle nanotecnologie, e in particolare l’utilizzo di Recam®, rende possibile sviluppare al massimo i benefici dei processi di assorbimento dei contaminanti, raggiungendo livelli di efficienza ed economia molto al di sopra dei metodi tradizionali. I processi di trattamento basati sull’utilizzo di Recam® rappresentano un approccio del tutto nuovo nel mondo delle tecnologie di purificazione e trattamento delle acque. Il principale vantaggio è la loro elevata capacità di rimozione di una vasta gamma di contaminanti, i ridotti costi di investimento e di gestione, l’assenza di produzione di fanghi e la semplice configurazione degli impianti, che possono essere dimensionati in base alla quantità di refluo da trattare e alle concentrazioni che si vogliono ottenere allo scarico. Nel processo di filtrazione, Recam® è il materiale filtrante, mentre nei processi di ossidazione avanzata, agisce come catalizzatore della velocità di reazione. La filtrazione con Recam® fornisce acqua potabile libera da microorganismi, inquinanti e composti recalcitranti e grazie alla sua struttura stabile ed inerte, non rilascia sostanze pericolose nell’acqua e non crea sottoprodotti. A differenza di altre tecniche di trattamento come l’osmosi inversa, che

produce acqua quasi del tutto demineralizzata, Recam® non altera il contenuto di quei componenti che sono preziosi per il nostro metabolismo, quali il calcio o il sodio: questi elementi, essenziali per la salute umana, rimangono nell’acqua per essere poi assimilati dal nostro corpo. Tutti i processi di trattamento sono brevettati a livello internazionale.

FILTRAZIONE CON RECAM ® La speciale struttura composta da piani grafenici e la presenza di nanocristalli al loro interno, conferiscono al Recam® RE.55 caratteristiche uniche in termini di rimozione di una vasta gamma di contaminanti, in particolare di composti recalcitranti. Durante il contatto e il processo di filtrazione non avviene alcuna reazione chimica o trasformazione.

Figura 1. Layout 3D di un tipico impianto di filtrazione con Recam®

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Per questo motivo è scongiurato il rischio di reazioni indesiderate innescate da sottoprodotti o da altre sostanze non presenti inizialmente nel liquido da trattare. La capacità di rimuovere composti organici, cationi ed anioni contemporaneamente, rende questo materiale filtrante unico nel suo genere. Gli impianti di filtrazione sono di semplice realizzazione, modulari e con una pressione di esercizio variabile nel range di 0,2÷0,7 bar. La filtrazione con Recam® può essere applicata alla rimozione dei seguenti contaminanti, con una capacità di rimozione superiore al 99%: BTEX, MTBE, IPA, PCB, Solventi clorurati, Arsenico, Cadmio, Cromo (III) e (VI), Ferro, Manganese, Rame, Zinco, Boro, Tensioattivi anionici e cationici e Atrazina. Si presenta come un efficace materiale battericida e batteriostatico ed è stato inoltre testato con successo per la rimozione delle fibre di asbesto da liquidi contaminati. Il trattamento delle acque con Recam® può essere applicato a: • acque di sentina; • bonifica di sversamenti di petrolio; • percolato di discarica; • risanamento delle acque di falda e superficiali; • acque reflue di cartiera, conciario e industria tintoria; • acque reflue di impianti chimici e farmaceutici.

CASO APPLICATIVO Nel novembre 2010 è stato realizzato presso la sede di Pontassieve (FI) dell’azienda Sprintchimica S.p.A., un impianto di pump and treat per il trattamento delle acque di falda contaminate principalmente da idrocarburi e solventi clorurati con l’utilizzo della tecnologia con filtri Recam®. L’impianto, realizzato con una portata di 2,0 m3/h e autorizzato da Regione e ARPA Toscana, ha come obiettivo il rispetto dei limiti previsti dal D.Lgs. 152/06 per lo scarico in corso d’acqua superficiale. L’impianto è costituito da n. 4 filtri Recam® posti in parallelo. A monte di questi filtri, un filtro a sabbia di quarzite permette l’eliminazione di tutte le particelle grossolane che potrebbero influire sul corretto funzionamento e sulla corretta durata dei filtri stessi.

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L’impianto, dotato di PLC con regolazione in automatico dei principali parametri di processo, è dotato di un punto di “campionamento” per il prelievo di campioni da sotto-

porre ad analisi prima dello scarico in Arno. L’impianto è inoltre dotato di n. 4 valvole a membrana per la regolazione manuale del flusso ai filtri in modo da poter variare in

Recam ® - REactive CArbon Material Recam® (REactive CArbon Material) è un nuovo materiale nanostrutturato di carbonio, inerte, compatibile con l’ambiente e con proprietà chimico-fisiche che lo collocano sul mercato come prodotto unico nel suo genere e di estremo interesse per applicazioni in campo ambientale ed energetico. Industrializzato dalla SA Envitech, primo produttore al mondo di materiali nanostrutturati ad uso industriale, Recam® presenta una struttura mesoporosa ad elevata superficie specifica, formata da piani grafenici che durante il processo di produzione vengono modellati ed orientati fino a realizzare una struttura a celle e canali regolari, conferendo al materiale particolari proprietà in termini di conducibilità elettrica e capacità di assorbimento. Recam® è ad oggi il primo ed unico nanostrutturato presente sul mercato che sfrutta le peculiarità dei grafeni ed è prodotto su scala industriale. E’ un materiale idrofobo, non infiammabile, completamente stabile che non presenta alcun tipo di impatto ambientale. In quanto materiale inerte, ha superato tutti i test di tossicità previsti dal Ministero dell’Ambiente. Non presenta solventi, metalli pesanti o altri composti tossici neppure in tracce. Recam® è prodotto da una miscela di carbonio grazie ad un innovativo processo fisico completamente eco-friendly che non richiede l’utilizzo di acidi o solventi. Immagine al SEM di una particella di Recam® Proprietà prinicipali del Recam® Consistenza del prodotto

Microgranuli con nanostruttura di carbonio le cui dimensioni variano tra 600 nm e 5 micron. Di colore grigio scuro, inerte, ottimo conduttore

Caratteristiche generali

di elettricità, non infiammabile, stabile al contatto con agenti chimici aggressivi, non rilascia alcuna sostanza o inquinante nell’ambiente.

Composizione chimica Densità Permeabilità e angoli di contatto Caratteristiche termiche Potenziale zeta

99,98% carbonio, residui di silicati, ferro e magnesio. Non sono presenti, neppure in tracce, metalli pesanti o solventi. 0,001÷0,09 g/cm3 Materiale completamente idrofobo, con angolo di contatto sempre superiore ai 90°. Stabile fino a 700°C, dopodiché inizia a collassare su stesso fino a completa mineralizzazione. Potenziale neutro a pH 4,8. E’ un materiale mesoporoso la cui porosità è per il

Struttura mesoscopica e microscopica

90% compresa tra i 2÷50 nm. Sono presenti micropori con un diametro tra 0,3÷2,0 nm, in rapporto alla pressione. La porosità varia tra i 3 e i 100 nm, con un valore di porosità apparente del 54% circa.

Superficie specifica

Varia tra 320 e 890 m2/g in base alle diverse tipologie di Recam®.


CONTAMINANTE

INGRESSO

USCITA

Benzene

19

0,1

Etilbenzene

109

0,3

Toluene

28986

0,2

p-Xilene

336

0,1

Isopropilbenzene

2038

0,1

MTBE

2490

1,0

Ferro

47,6

0,1

Metilisobutilchetone

21,8

1,0

Clorometano

14

5,66

Triclorometano

222

0,01

Cloruro di Vinile

16

1,2

Tetracloroetilene

134

0,05

1,2 Dicloroetilene

119

0,1

1,2 Dicloropropano

44218

0,31

pagina PUBBLICITà 2011 sgm:Layout 1 12-09-2011 Tabella 1. Concentrazioni in ingresso e in uscita dall’impianto di trattamento con Recam® (µg/l)

qualsiasi momento il flusso in ingresso e in uscita dall’impianto, regolatori di portata e di pressione. Dai dati riportati in Tabella 1, in cui sono illustrate le concentrazioni in ingresso e in uscita all’impianto espresse in µg/l, si può osservare l’elevata efficienza di rimozione di tutti i contaminanti presenti nelle acque di falda, che risulta essere superiore al 99% per i gli idrocarburi e in media superiore al 96% per tutti i contaminanti.

Di particolare rilievo è la completa rimozione dell’MTBE. La tecnologia Recam®, grazie al raggiungimento di livelli di efficienza ed economicità assai più elevati rispetto alle tecnologie convenzionali, rappresenta un approccio unico ed innovativo nel settore del trattamento acque di falda. *Econanotech s.r.l. **SA Envitech a.s. ***SA Envitech s.r.l.

18:05 Figura 2. Pagina Impianto di1 filtrazione con Recam® per il trattamento di acque di falda installato presso l'azienda Sprintichimica S.p.A.

SGM S.G.M. ingegneria geologia & ambiente S.G.M. Geologia e Ambiente S.r.l. con sede a Ferrara, opera nel campo dell'ingegneria, della geologia ambientale, dell'idrogeologia, e delle bonifiche ambientali è attiva nel settore sin dall'anno 1994. SGM ingegneria S.r.l. con sede a Ferrara è uno studio di Ingegneria che opera nel settore delle attività di progettazione di bonifiche ambientali, demolizioni e sviluppo dell’analisi di rischio e della gestione dei rifiuti urbani e speciali. Le Società lavorano in maniera congiunta su tutto il territorio nazionale. SEDE E RIFERIMENTI S.G.M. GEOLOGIA E AMBIENTE S.r.l. Via Bologna, 292 – 44124 Ferrara Tel. 0532/977899 – Fax 0532/906907 e.mail: info@sgm-ambiente.it Sito: www.sgm-ambiente.it SGM INGEGNERIA S.r.l. Via Zucchini, 79 - 44122 Ferrara Tel. 0532/770108 - Fax. 0532/775279 e.mail: info@sgm-ingegneria.it Sito: www.sgm-ingegneria.it

PRINCIPALI ATTIVITÀ • esecuzione di piani di caratterizzazione, progettazione di bonifiche dei siti inquinati; • esecuzione di indagini ambientali con tecnologia Geoprobe System® e analisi (suolo, sottosuolo, acque sotterranee e superficiali); • esecuzione di monitoraggi periodici (discariche, siti contaminati, siti bonificati); • investigazioni di dettaglio (rilievi topografici, indagini geognostiche); • direzione lavori e coordinamento della sicurezza; • progetti di gestione delle terre e rocce da scavo; • progetti di demolizione di siti industriali; • analisi di rischio per attività di progettazione di bonifica e progettazione e gestione discariche; • esecuzione di studi di impatto ambientale; • sviluppo di attività di pianificazione territoriale di gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti speciali; • direzione lavori messe in sicurezza d’emergenza.

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La gestione dinamica di un intervento di Multi–Phase Extraction L’importanza di un corretto monitoraggio della bonifica mediante MPE per il trattamento di terreni contaminati da solventi clorurati di Andrea Guerini e Michele Ciccarelli*

I

l presente articolo illustra l’intervento di bonifica in corso presso un sito industriale in attività, ubicato nell’area del comune di Ferrara. L’attività di caratterizzazione condotta in sito ha evidenziato la presenza di una diffusa contaminazione da solventi clorurati a carico dei terreni, della falda superficiale e di quella confinata. Sulla base dei risultati emersi dalle indagini di caratterizzazione ambientale è stato elaborato il Modello Concettuale Definitivo (MCD) che ha individuato nel sottosuolo dell’area in oggetto una successione stratigrafica costituita da 0 a circa 3/5 m dal p.c. da limi sabbioso/argillosi di colore bruno seguiti da un’argilla bruna per lo più limosa. All’interno di tale orizzonte sono stati distinti un orizzonte superficiale insaturo ed un orizzonte sottostante sede della falda superficiale (orizzonte 1). Da circa 3/5 m a circa 14/15 m dal p.c. vi è la presenza di argille, localmente limose, di colore grigio (orizzonte 2). Dai 14-15 m a circa 40 m è presente un orizzonte costituito da una successione sabbiosa sede dell’acquifero artesiano (orizzonte 3). Le indagini svolte hanno mostrato la presenza di una contaminazione da solventi clorurati relativa ai terreni dell’orizzonte superficiale (orizzonte 1) e dell’orizzonte intermedio (orizzonte 2). La contaminazione non ha raggiunto, se non localmente, l’orizzonte sabbioso profondo (orizzonte 3).

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I terreni contaminati sono risultati essere sostanzialmente confinati in tre aree distinte definite come Nucleo A (ubicato nel settore sud est dello stabilimento ed avente un’estensione pari a circa 3710 m2), Nucleo B (ubicato nel settore sud ovest dello stabilimento e con estensione pari a circa 5048 m2), Nucleo C (ubicato nel settore nord dello stabilimento e pari a circa 2415 m2). L’intervento di bonifica con misure di sicurezza in atto può essere così sintetizzato: • messa in sicurezza permanente dei tre nuclei di contaminazione attraverso un confinamento superficiale effettuato mediante un capping definitivo ed un confinamento laterale, eseguito mediante installazione di palancole; • bonifica dei terreni non saturi, dei terreni saturi della falda superficiale e delle acque della falda superficiale in corrispondenza dei tre nuclei di contaminazione, tramite un intervento di Multi-Phase Extraction (MPE); • bonifica e controllo del pennacchio della falda confinata attraverso pompaggio da barriera idraulica e trattamento on-site effettuato con stripping e filtro a carboni attivi.

Descrizione dell’intervento MPE La Multi-Phase Extraction (MPE) è una tecnologia in situ sviluppata per la rimozione dei contaminanti organici volatili (VOC) ed è ide-

ale per i siti caratterizzati da terreni dotati di una permeabilità anche moderata. La tecnologia MPE consente di intervenire sia sui terreni, agendo sui gas interstiziali e sul prodotto in fase libera (DNAPL) in essi presenti, che sulle acque sotterranee. L’intervento di bonifica presentato è condotto attraverso l’utilizzo della tecnologia Two-Phase Extraction (TPE), sviluppo della Multi-Phase Extraction, nella quale i flussi liquidi e gassosi sono convogliati dal pozzo di estrazione all’esterno in un’unica condotta, mediante l’utilizzo di pompe da vuoto. In particolare l’estrazione dei contaminanti presenti in fase gassosa ed in fase liquida consiste nell’aspirare dal sottosuolo una portata predefinita, applicando una pressione negativa attraverso una serie di pozzi di estrazione. Il fluido multi-fase così estratto viene inviato in primo luogo ad un separatore gas/ liquido e successivamente ad un impianto di trattamento degli effluenti.

Configurazione delle aree di intervento I nuclei di bonifica presso i quali è attualmente in atto l’intervento descritto, sono attrezzati con i seguenti dispositivi: • pozzi di estrazione - finalizzati all’applicazione della depressione generata dalle pompe da vuoto e all’estrazione della fase liquida e gassosa dal sottosuolo;


• pozzi passivi - finalizzati all'ingresso di aria atmosferica in funzione della depressione applicata nei pozzi di estrazione, migliorando in modo significativo la circolazione di aria nelle zone caratterizzate da flussi molto ridotti o nulli, dette "zone morte" (dead zones); • punti fissi di monitoraggio dei gas e della falda freatica - che consentono il monitoraggio delle depressioni indotte nel sottosuolo alle diverse profondità ed il monitoraggio della “faldina” racchiusa all’interno dei nuclei di bonifica; • impianto di estrazione, separazione e trattamento gas/acqua - ciascun pozzo di estrazione è dotato di lance di suzione a tenuta pneumatica all’interno dei pozzi di aspirazione, con range di profondità variabile tra 1 e 6 m dal p.c. Le teste pozzo sono dotate di valvola di regolazione e manometro per la misura della pressione di suzione. Il fluido multifase così estratto è successivamente inviato ad un separatore aria/liquidi dal quale le pompe da vuoto estraggono i vapori presenti nel separatore inviandoli al trattamento degli effluenti gassosi costituito da filtri a carbone attivo.

Monitoraggi condotti presso i nuclei di bonifica

essere maggiormente produttivi in termini di portata di gas e di concentrazione di solventi clorurati estratti e, dunque, di massa di contaminante estratta. Linee di aspirazione MPE

• Lettura dei parametri di flusso - cadenza mensile; • prelievo ed analisi di campioni di acque in uscita dal separatore e dirette all’impianto di trattamento acque - cadenza mensile. Così come per le osservazioni relative ai singoli pozzi MPE, anche in questo caso si intende monitorare le portate di gas, le concentrazioni di solventi clorurati estratti e la massa di contaminante estratta relativamente alle linee di aspirazione che raccolgono i flussi di un determinato numero di pozzi MPE. Pozzi passivi e piezometri PW - MP

• Lettura della soggiacenza della “faldina” superficiale - cadenza mensile. Le osservazioni condotte presso i pozzi passivi ed i piezometri hanno lo scopo di monitorare l’abbassamento della faldina racchiusa all’interno dei nuclei di bonifica e di valutare dunque l’andamento della desaturazione dei nuclei. Punti di monitoraggio gas MP

• Lettura del valore di depressione nel sottosuolo - cadenza mensile.

Tali osservazioni sono condotte attraverso sonde tipo “nesty probe”, installate nel sottosuolo, con lo scopo di monitorare le depressioni indotte al terreno dalle pompe da vuoto e dunque la maggiore o minore influenza che riesce ad avere il pozzo di estrazione MPE nell’area circostante. Emissione gas estratti post trattamento

• Lettura delle concentrazioni di carbonio organico volatile (COV) in uscita dall’impianto di trattamento dei gas estratti – cadenza mensile (quindicinale se COV > 20 mg/m3). Il monitoraggio relativo alle concentrazioni di COV (l’unica verifica espressamente richiesta dagli Enti di Controllo) viene effettuato all’uscita del camino di scarico dei gas estratti e trattati da una batteria di filtri a carboni attivi. Le osservazioni effettuate sono condotte con uno strumento FID (Flame Ionization Detector) e, come da linee guida approvate dagli Enti, devono far registrare una concentrazione inferiore a 20 mg/Nm3. Acque derivanti dal separatore

• Lettura del volume estratto - cadenza mensile; • prelievo ed analisi di campioni di acqua emunta - cadenza mensile.

Con lo scopo di controllare l’andamento dell’intervento di bonifica, nell’intento di ottimizzare la gestione dello stesso, viene condotto un programma di monitoraggio in operam relativo al nucleo A ed al nucleo C, presso i quali è attualmente in atto l’intervento di bonifica. Tali monitoraggi sono eseguiti secondo la periodicità e le modalità definite e condivise con gli Enti di Controllo. Il programma di monitoraggio condotto è descritto nel seguito. Pozzi di estrazione MPE

• Lettura dei parametri di flusso - cadenza quadrimestrale; • prelievo ed analisi di campioni di gas interstiziale attraverso l’utilizzo di fiale a carbone attivo - cadenza quadrimestrale. Tali monitoraggi puntano ad avere un quadro d’insieme che delinei quali pozzi risultano

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Le osservazioni relative alle acque estratte prevedono il monitoraggio dei volumi di acqua estratti dai pozzi MPE e l’esecuzione di analisi chimiche condotte su campioni della stessa prelevati in sede di monitoraggio, relative ai parametri successivamente elencati. Acque da falda superficiale e falda profonda

• Campionamento delle acque relative alla falda superficiale e alla falda profonda ed esecuzione delle analisi di laboratorio – trimestrale. Questi monitoraggi mirano a rilevare l’andamento delle concentrazioni dei contaminanti nelle acque di falda interessate dal processo di “pump and treat”, con lo scopo seguire il trend dei livelli di contaminazione e di individuare eventuali valori anomali presenti.

Gestione dinamica dell’intervento di bonifica

Come descritto al paragrafo precedente, in fase di progettazione è stata prevista l’esecuzione di una serie monitoraggi da realizzarsi dalla fase di avvio dell’intervento di bonifica, e per tutta la durata dello stesso, con una cadenza prefissata. Tali monitoraggi puntano a tenere sotto controllo i parametri che possono, a diverso modo, essere indicatori dell’andamento dell’interven-

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to di bonifica, così da poter intervenire attuando le dovute modifiche o azioni correttive che consentano di ottenere il massimo rendimento dalla tecnologia di MPE adottata. Si riportano di seguito alcuni casi concreti riscontrati in situ, in cui la gestione dinamica dell’intervento, attraverso i monitoraggi condotti, ha consentito di approfondire determinati aspetti e, dove necessario, di apportare le dovute correzioni impiantistiche finalizzate al miglioramento dell’intervento in essere. Funzionamento continuo funzionamento pulsante

In origine lo schema impiantistico dell’intervento MPE prevedeva un funzionamento in continuo dei pozzi di estrazione MPE. In definitiva le pompe da vuoto installate in ciascun nucleo di bonifica lavoravano concentrando la loro depressione in contemporanea su ciascuna linea di aspirazione e dunque su ciascun pozzo MPE. Attraverso tale modalità di funzionamento (funzionamento continuo) la depressione applicata a ciascun pozzo di estrazione era ins+ufficiente a permettere un soddisfacente tasso di rimozione dei contaminanti. Tali evidenze sono emerse nel momento in cui le analisi condotte sui gas interstiziali hanno fatto registrare, nel corso dei mesi, valori di concentrazione dei contaminati decrescenti. Allo stesso modo, il monitoraggio delle depressioni indotte nel sottosuolo dalle pompe da vuoto è

risultata essere, soprattutto nelle zone più remote, non particolarmente elevata. Con lo scopo di consentire un funzionamento selettivo delle linee di estrazione, e dunque dei pozzi MPE, si è deciso di installare valvole automatizzate e temporizzate, che hanno permesso di apportare una serie di migliorie alla soluzione impiantistica preesistente. In primo luogo è stato possibile consentire il funzionamento di una singola linea di aspirazione per volta (funzionamento pulsante). Tale schema ha consentito di concentrare la depressione indotta dalle pompe da vuoto ad un limitato numero di pozzi MPE per volta, così da incrementare la depressione alla testa pozzo e dunque la capacità estrattiva e di richiamo dalle aree circostanti al pozzo stesso. Infine si sono potute programmare tempistiche di funzionamento diverse per ciascuna linea, così da poter aspirare per maggior tempo dalle aree in cui la contaminazione è risultata essere maggiore. MPE enhancement Thermal injection

Le analisi condotte per ciascun pozzo MPE e per le singole linee di aspirazione, associate ai parametri di flusso determinati durante le sessioni di monitoraggio, permettono di stimare mensilmente la massa di composti organoalogenati estratti. Allo stesso modo, con cadenza quadrimestrale, viene condotta la stessa stima per ciascun pozzo di aspirazione MPE. L’andamento delle masse di contaminanti estratte ha evidenziato notevoli picchi estrattivi durante i mesi estivi (maggiori di un ordine di grandezza rispetto ai valori medi estratti durante l’anno) ed un notevole calo della capacità estrattiva nei mesi più freddi dell’anno, durante i quali le basse temperature causano una riduzione della volatilità dei contaminanti. A fronte di tali dati si è dunque deciso di affiancare in modo sperimentale alla tecnologia MPE in essere, una tecnologia che consentisse di accrescere la capacità estrattiva dei singoli pozzi. Le ricerche bibliografiche effettuate, contestualizzate alla realtà del sito in cui è in atto l’intervento, hanno suggerito l’adozione dell’iniezione di aria calda (thermal injection). Si è dunque modificato lo schema impiantistico così da poter convogliare ai pozzi passivi aria transitata precedentemente attraverso una


batteria di riscaldamento. L’adozione di tale tecnologia ha consentito di supportare l’estrazione MPE per i restanti mesi invernali, determinando un sensibile incremento dei tassi di rimozione dei contaminanti. Rimozione del prodotto in fase libera (DNAPL)

Come descritto al paragrafo relativo ai monitoraggi condotti in sito, periodicamente sono effettuati campionamenti ed analisi relative alle acque della falda superficiale e profonda, interessate dal confinamento idraulico presente in sito. Relativamente alla zona del sito industriale denominata “area B1-2008”, si è riscontrato che piezometri in essa presenti o strettamente limitrofi, registravano una concentrazione della molecola di tetracloruro di carbonio particolarmente elevata; tale dato è risultato essere in dissonanza con quanto riscontrato nei restanti piezometri del sito. Si è dunque ipotizzato che tali concentrazioni anomale fossero dovute alla

presenza di un hot spot ben localizzato. Attraverso una campagna di sondaggi geognostici, campionamenti e successive analisi di laboratorio, si è evidenziata la presenza di una lente sabbiosa, posta a ridosso di due strati argillosi, che aveva nel tempo drenato parte dei contaminanti presenti, raccogliendoli. Alla luce di tali evidenze sono stati realizzati tre piezometri filtranti a ridosso della lente sabbiosa contaminata che, attraverso l’utilizzo di una pompa pneumatica, consentono l’emungimento della fase liquida acquosa e non acquosa pesante. A valle dell’emungimento è stato inserito un separatore “acqua/olio” che ha consentito di raccogliere la fase libera (DNAPL) presente. Ad oggi le concentrazioni di organoalogenati nella acque della falda confinata, risultano essere drasticamente diminuite e, al tempo, è stato estratto un quantitativo totale di prodotto in fase libera pari a circa 1000 Kg, composto principalmente dalla molecola di tetracloruro di carbonio.

Conclusioni I tre casi proposti risultano essere quelli maggiormente interessanti nel panorama delle casistiche registrate dall’avvio dell’intervento di bonifica descritto ad oggi. Da quanto detto si evince quanto la gestione dell’intervento di bonifica condotta attraverso l’esecuzione di una serie di monitoraggi prefissati nel tempo e finalizzati al controllo dei diversi parametri indicatori dell’andamento della bonifica consenta di valutare la sua evoluzione, prefigurando anche probabilità e tempi attesi per il raggiungimento degli obiettivi di bonifica. Allo stesso tempo è possibile apportare, ove necessario, correzioni o migliorie al sistema preesistente, tali da massimizzare l’efficienza dell’intervento di bonifica, intervenendo dunque su voci quali la durata ed il costo dello stesso. *NCE s.r.l.

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Autorizzato l’impianto mobile per il trattamento dei sedimenti di dragaggio Caratteristiche costruttive e vantaggi applicativi dell’impianto progettato per la bonifica dei fondali marini, fluviali e lacustri di Loredana Capparelli*

P

er il dragaggio e il trattamento della torbida derivante dalle operazioni di escavazione di fondali subacquei Techxa s.r.l. ha recentemente messo a punto e autorizzato un impianto mobile progettato per operare nella salvaguardia dell’ambiente marino e dell’atmosfera contenendo gli impatti ambientali che tali attività possono generare. Il layout impiantistico è stato definito dalle necessità di ridurre gli ingombri e quindi di favorire la movimentazione all’interno di porti e lungo le rive, oltre che della necessità di ottimizzare le operazioni di carico e scarico di materiali, uomini, apparecchiature, reagenti e scarti di lavorazione da terze imbarcazioni o da porto individuando precisi punti di deposito e di movimentazione a bordo.

DESCRIZIONE IMPIANTO: TECNICHE DI DRAGAGGIO E TRATTAMENTO DEI SEDIMENTI

L’impianto è costituito da due macro-sezioni impiantistiche: il “pontone dragante”, costituito da una piattaforma galleggiante su cui è posta la pompa da dragaggio, utilizzato per l’asportazione dei sedimenti (fase di dragaggio) e la “piattaforma di trattamento” (unità di trattamento galleggiante o “pontone di trattamento”) utilizzata per lo stoccaggio temporaneo ed il trattamento del materiale, con la fi-

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Caratteristiche e provenienza dei rifiuti trattati Il sedimento da trattare si presenta come un materiale sabbioso-argilloso, spesso ricco di sostanza organica degradata e maleodorante, il cui eccessivo accumulo sui fondali è la causa del prodursi del fenomeno di eutrofizzazione delle acque. Oltre alla presenza di residui ad elevato carico organico, i sedimenti contaminati sono solitamente caratterizzati da una presenza non trascurabile di metalli pesanti (Zinco, Piombo, Rame, Cadmio, Mercurio, ecc.) e di idrocarburi, principalmente costituiti da composti aromatici, idrocarburi policiclici aromatici (IPA), fenoli, ammine aromatiche, pesticidi e policlorobifenili (PCB). Il materiale sabbioso presenta solitamente una superficie specifica più contenuta rispetto alle frazioni di materiale a granulometria inferiore (limo e argilla), soprattutto se la sabbia è di origine silicea. Il livello di contaminazione presente in questa frazione del materiale è significativamente inferiore a quello del materiale più fine, per questo, solitamente, i sedimenti dragati vengono sottoposti ad un processo di vagliatura con lo scopo di separare il materiale più grossolano (sabbia), riutilizzabile come materiale pulito, da quello più fine (limo e argilla) da sottoporre a trattamento, diminuendo così, anche notevolmente, il quantitativo di materiali in uscita dal trattamento. Se la sabbia fosse invece di diversa natura, a maggior porosità, come nel caso della sabbia calcarea, tale materiale potrebbe presentare un livello di contaminazione non sufficientemente contenuto da permetterne l’eventuale riutilizzo. I sedimenti rimossi, considerati a tutti gli effetti “un rifiuto” ai sensi della normativa vigente, sono individuati e catalogati dai codici CER 170505* e 170506, quindi con possibilità di smaltimento e recupero differenti a seconda che siano classificati “pericolosi” o “non pericolosi.

nalità di stabilizzare chimicamente, igienizzare e rendere trasportabile il materiale proveniente dalle attività di dragaggio. Il trasferimento del materiale e dei sedimenti, spinti dal pontone dragante alla piattaforma di trattamento miscelati con acqua, avviene mediante un’apposita tubazione flessibile semigalleggiante. I materiali trattati sono caricati su automezzi presenti sulle banchine portuali, mediante attrezzature di carico presenti sulla piattaforma di trattamento.

L’unità di trattamento è costituita da diverse sezioni impiantistiche: • sezione di pre-trattamento e separazione granulometrica; • sezione di stoccaggio e trattamento chimico-fisico; • sezione di stoccaggio e dosaggio reagenti chimici; • sezione di finissaggio delle acque; • accumulo e scarico delle acque trattate; • sezione di disidratazione dei fanghi.


Pre-trattamento e separazione granulometrica

La prima fase impiantistica prevede il pre-trattamento in continuo di separazione dei materiali grossolani e sabbia. La vagliatura della torbida permette la rimozione dei materiali grossolani di svariata natura, come ciottoli, alghe, conchiglie, pezzi plastica e legno, spesso contenute nei materiali di dragaggio. La dissabbiatura elimina tutte le sabbie presenti, che inviate in apposito stoccaggio saranno gestite secondo la classificazione. Stoccaggio temporaneo della torbida da trattare

La torbida in uscita dall’impianto di pre-trattamento viene trattata mediante la sezione di trattamento chimico-fisico costituita da una serie di reattori BATCH. A differenza della sezione di pre-trattamento, la sezione di trattamento chimico-fisico non opera in regime di funzionamento continuo, per questo motivo è necessario stoccare temporaneamente la

torbida prima dei trattamenti. I reattori di trattamento sono idonei allo stoccaggio temporaneo della torbida, sia per volumetria sia per caratteristiche tecniche. Per evitare la diffusione di odori, vengono mantenuti in leggera depressione convogliando gli sfiati alla sezione di deodorizzazione dell’aria di processo.

e dei metalli pesanti presenti nei sedimenti di dragaggio. Questa sezione costituisce il cuore del trattamento dei sedimenti e dalla sua corretta conduzione dipende l’efficienza dell’intero processo.

Trattamento chimicofisico della torbida

L’unità di trattamento, completamente installata su piattaforma galleggiante da accostare alle banchine portuali, è dotata di un’apposita sezione di stoccaggio e dosaggio dei reagenti chimici. Tale sezione, completa di apparecchiature di stoccaggio e di dosaggio è interamente installata a bordo della piattaforma, che in tal modo è completamente autonoma. L’approvvigionamento dei reagenti avviene per mezzo di autocisterne (reagenti liquidi), autocisterne dotate di sistema di carico pneumatico (calce in polvere) e bancali con sacchi da massimo 25 kg (polielettrolita in polvere). Il carico nei serbatoi dei reagenti liquidi avviene per mezzo di pompe di caricamento dotate di attacchi rapidi per la connessione con le autocisterne, mentre il carico della calce in polvere in silos avviene grazie al sistema di carico pneumatico di cui i mezzi di trasporto e approvvigionamento sono dotati.

Sull’unità galleggiante di trattamento è prevista l’installazione di appositi serbatoi agitati (reattori BATCH) di miscelazione, coagulazione e flocculazione della torbida, che costituiscono il trattamento chimico-fisico propriamente detto e permettono la successiva separazione dei fanghi e delle acque chiarificate; si tratta di reattori di trattamento di tipo “discontinuo” in cui la torbida, preventivamente stoccata e mantenuta in costante agitazione, è miscelata ad opportuni reagenti al fine di ottenere l’adsorbimento delle sostanze organiche e la precipitazione degli inquinanti

Stoccaggio e dosaggio dei reagenti chimici

Finissaggio delle acque

Il trattamento di finissaggio è di tipo fisico ed è eseguito con disposizione in serie di filtri in pressione. Il finissaggio è finalizzato all’abbattimento spinto dei solidi sospesi e all’eliminazione delle sostanze organiche sfuggite ai trattamenti precedenti in maniera da consentire lo scarico delle acque recuperate entro i limiti di legge. In questa sezione il consumo di materie prime deriva dalla sostituzione del letto di carbone attivo. Con tale sistema di filtrazione in pressione non si ha produzione di rifiuti ed oltre al flusso di acque purificate si ottiene, saltuariamente, un flusso di acqua di rigenerazione dei letti filtranti (acqua utilizzata per il lavaggio in contro-corrente dei letti filtranti). Per la rigenerazione dei filtri viene utilizzata acqua trattata (senza apporto di acqua dall’esterno) e le acque reflue di risulta sono nuovamente trasferite in testa all’impianto di trattamento chimico fisico previa polmonazione e laminazione delle portate.

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wor k i n p rog r e ss

Accumulo e scarico delle acque trattate

Sull’unità di trattamento dell’impianto è presente, inoltre, una sezione di accumulo e scarico in mare delle acque trattate, con lo scopo di riutilizzare una quota parte delle stesse come acqua industriale d’impianto. Laddove l’acqua trattata, ad elevata salinità, non potrà essere impiegata sarà utilizzata acqua industriale dedicata, stoccata in apposito serbatoio di servizio, periodicamente reintegrata dall’esterno. Le acque eccedenti i fabbisogni dell’impianto verranno inviate allo scarico in mare (se conformi dal punto di vista degli inquinanti presenti). Le acque trattate, in surplus rispetto alla quantità richiesta per la gestione del processo, sono restituite all’area da cui sono state prelevate. Il tipo di trattamento effettuato e il fatto che sia presente uno stoccaggio a monte dello scarico, sono le condizioni che permettono di operare nel pieno rispetto della vigente normativa. In tal modo è possibile infatti monitorare costantemente le caratteristiche chimico-fisiche delle acque prima dello scarico evitando rilasci incontrollati. Disidratazione dei fanghi

La fase di disidratazione finale è effettuata al fine di ridurre il contenuto di acqua ed in definitiva il quantitativo di materiale solido da smaltire. Per migliorare le rese di disidratazione viene dosato un polielettrolita sui fanghi di alimentazione delle filtropresse a piastre con camera fissa. Oltre ai fanghi disidratati, nella sezione di disidratazione si ottiene il flusso delle acque di filtrazione (acque surnatanti) che sono inviate

in testa all’impianto ed addizionate alla torbida in uscita dalla sezione di pre-trattamento, allo scopo di fluidificare il flusso in ingresso alla sezione di trattamento chimico-fisico. Anche nel caso della disidratazione dei fanghi questo tipo di trattamento permette di operare nel pieno rispetto della vigente normativa. In tal modo è possibile infatti monitorare costantemente le caratteristiche chimico-fisiche dei fanghi prodotti. Sistemi di monitoraggio, sala controllo e laboratorio chimico

Sulla piattaforma galleggiante di trattamento dei sedimenti sono presenti delle cabine adibite a sala controllo e laboratorio chimico, al fine di effettuare un efficace monitoraggio dei processi. Nella sala controllo è installato il sistema di gestione e controllo remoto di tutte le apparecchiature dell’impianto di trattamento. L’intero impianto è realizzato con il massimo grado di automatismo e in maniera tale che possa essere controllato e gestito in maniera automatica, riducendo al minimo le operazioni di comando di tipo “manuale”. Particolarmente importante in questo senso è l’installazione di PLC per il quadro elettrico generale e per i sotto quadri di sistemi complessi pre-assemblati. Il PLC, associato ad un giusto numero di strumenti di misura e apparecchi di regolazione, permette di far funzionare l’intero impianto in maniera automatica, in base ad una logica ben definita programmabile e modificabile in qualsiasi momento. Il software di supervisione e comando impianto, installato sul PC, fornisce all’utente un’interfaccia semplice ed intuitiva per l’ac-

cesso al sistema di telecontrollo, garantendo tuttavia piena funzionalità e sicurezza.

CONCLUSIONI Da un’analisi approfondita delle problematiche solitamente riscontrate, soprattutto in riferimento al prelievo dei materiali da dragare e agli impatti indotti sulle matrici ambientali connesse (aria e acqua), sulla base delle nostre esperienze, l’utilizzo di un impianto mobile completo da accostare direttamente alle banchine portuali, permette di: • evitare la realizzazione, a valle dei cantieri di bonifica e disinquinamento, di costruzioni ingombranti di impianti, con relativi depositi di rifiuti speciali, costituiti dai sedimenti asportati nelle operazioni di escavazione dei fondali, evitando, così l’accumulo di rifiuti non trattati in attesa del trasporto verso i centri di trattamento e smaltimento ed i relativi rischi ambientali connessi con tale attività; • recuperare le sabbie presenti nei sedimenti aspirati dai fondali; • limitare e/o ridurre il rischio legato ad eventi incidentali di spandimenti nell’ambiente di rifiuti non trattati durante la fase di trasporto (trasferimento dall’area di cantiere ai centri di trattamento/smaltimento); • ridurre la quantità dei rifiuti in uscita dall’area oggetto delle operazioni di messa in sicurezza e disinquinamento: uno specifico trattamento on site, infatti, consente di separare e recuperare l’acqua trattenuta dai sedimenti durante le operazioni di escavo, limitando indirettamente il trasporto dei fanghi di risulta verso i centri di smaltimento finale; • trattare i sedimenti in maniera da renderli conformi ai criteri previsti dalla normativa vigente; • ridurre notevolmente i costi globali delle operazioni di bonifica e disinquinamento. Si tenga inoltre presente che si possono impiegare più impianti sullo stesso sito ed è ovviamente possibile progettare e realizzare impianti di diverse dimensioni e comunque personalizzate sulla base delle specifiche esigenze di bonifica. *Techxa s.r.l.

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Università di Padova (IT) - Nanyang Technological University (SG) - Tongji University (CN) - Fukuoka University (JP) Università di Urbino ‘Carlo Bo’ (IT) - University of Central Florida (US) - Technical University of Denmark (DK) IWWG - International Waste Working Group

SARDINIA 2011

Tredicesimo Simposio Internazionale sulla Gestione dei Rifiuti e sullo Scarico Controllato 3-7 Ottobre 2011 - S. Margherita di Pula, Cagliari, Italia

COMITATO SCIENTIFICO ESECUTIVO

Raffaello COSSU, Università di Padova (IT) Pinjing HE, Tongji University (CN) Peter KJELDSEN, Technical University of Denmark (DK) Yasushi MATSUFUJI, Fukuoka University (JP) Debra REINHART, University of Central Florida (US) Rainer STEGMANN, Nanyang Technological University (SG) Segretario Scientifico: Fabio TATÀNO, Università di Urbino ‘Carlo Bo’ (IT) PRESENTAZIONE

Le tecnologie e le strategie di gestione dei rifiuti sono attualmente in rapido sviluppo. I Simposi Internazionali Sardinia, con cadenza biennale, sono stati istituiti con lo scopo di diffondere rapidamente idee ed esperienze nel campo dello scarico controllato e della gestione dei rifiuti solidi. I Simposi Sardinia costituiscono il Forum di riferimento dove gli esperti del settore presentano le loro attività di ricerca e le esperienze professionali e discutono su nuovi concetti e tecnologie. I Simposi hanno contribuito allo sviluppo di moderne strategie come la gestione integrata dei rifiuti che considera il conferimento in discarica l’ultimo stadio inevitabile dopo la minimizzazione, il riutilizzo dei materiali e il recupero dell’energia. Il 12° Simposio si è svolto nell’ottobre 2009 nella tradizionale cornice del complesso del Forte Village a S. Margherita di Pula (Cagliari), con la partecipazione di più di 1000 partecipanti da 80 paesi diversi. Il Simposio è strutturato in sessioni orali, esposizione di poster, sessioni specializzate e tematiche, workshop.

Prima dell’inizio del Simposio saranno svolti corsi di aggiornamento organizzati dall’IWWG con lezioni tenute da noti esperti internazionali.Nel corso del Simposio Organizzazioni, Associazioni e Ditte possono organizzare i loro incontri interni durante l’evento, con il supporto della Segreteria Organizzativa. La lingua ufficiale del Simposio è l’inglese. TEMI DEL SIMPOSIO

Il Simposio durerà cinque giorni e tratterà i seguenti temi: A. Politiche di gestione dei rifiuti e legislazione B. Strategie di gestione dei rifiuti C. Coinvolgimento dell’opinione pubblica D. Valutazione dei sistemi di gestione dei rifiuti e strumenti di supporto alle decisioni E. Caratterizzazione dei rifiuti F. Raccolta dei rifiuti G. Minimizzazione dei rifiuti e recupero materiali H. Trattamento biologico dei rifiuti I. Trattamento termico dei rifiuti L. Trattamento meccanico-biologico prima del deposito in discarica M. Smaltimento in discarica controllata N. Gestione integrata dei rifiuti solidi e acque di rifiuto O. Gestione dei rifiuti e cambiamenti climatici P. Gestione dei rifiuti nei paesi in via di sviluppo Q. Sessioni speciali Per la loro rilevanza, tutti questi temi saranno presentati nelle sessioni parallele, sessioni specializzate, sessioni tematiche, workshop e poster.

www.sardiniasymposium.it

ESPOSIZIONE COMMERCIALE

Durante la conferenza si terrà un’ esposizione commerciale nella quale organizzazioni e ditte potranno illustrare le proprie pubblicazioni tecniche e materiale relativo. Sono possibili sponsorizzazioni del convegno. Per ulteriori informazioni sull’esposizione commerciale è possibile scaricare dal sito web una brochure con maggiori dettagli su organizzazione e costi. LUOGO DI SVOLGIMENTO

Il Sardinia 2011 si terrà presso la struttura del Forte Village Resort, situato in una splendida baia sabbiosa sulla costa meridionale della Sardegna. Il complesso alberghiero, a circa 40 km da Cagliari ed a 8 km da S. Margherita di Pula, è immerso in un parco di 25 ettari, metà dei quali ricoperti da una fitta pineta. EVENTI SOCIALI

Il Programma degli eventi sociali, che animeranno le serate del Simposio, sarà presto disponibile sul sito: http://www.sardiniasymposium.it. INFORMAZIONI

Per ulteriori informazioni circa registrazione, esposizioni commerciali, soggiorno, etc., siete pregati di rivolgervi alla Segreteria Organizzativa: EuroWaste Srl - Via Beato Pellegrino, 23 35137 Padova (IT) Tel. +39.049.8726986 Fax +39.049.8726987 e-mail: eurowaste@tin.it Informazioni costantemente aggiornate sono disponibili nel sito web ufficiale: http://www.sardiniasymposium.it


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GREEN REMEDIATION: APPROCCIO ALLE BONIFICHE SOSTENIBILI Dagli Stati Uniti all’Italia una panoramica sulla diffusione dei concetti di green remediation applicati nella selezione delle tecnologie di bonifica di Rudi Ruggeri*

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l concetto di sostenibilità è ormai al centro di ogni dibattito in questi giorni e tocca varie discipline scientifiche e diversi settori di mercato. Nell’ambito del concetto di sostenibilità applicato alle bonifiche del sottosuolo, vanno considerati tutti gli aspetti ambientali (compreso il carbon footprint) e la selezione della migliore tecnologia di trattamento tali da massimizzare i benefici ambientali, nel senso più ampio del termine, che possono essere ottenuti nella realizzazione di una data bonifica del sottosuolo. Il mezzo più semplice ed efficace di misura del beneficio ambientale per una bonifica è la riduzione del rischio per la salute umana e l’ambiente associato al rilascio di una sostanza pericolosa verso l’ambiente stesso. Ci sono molti modi per ridurre il rischio di rilascio di una sostanza pericolosa verso l’ambiente e molti prevedono l’utilizzo intensivo di risorse energetiche. Solo negli ultimi anni, grazie all’avvento dei concetti di Green Remediation, purtroppo a tutt’oggi non molto diffusi in Europa al contrario di altri Paesi, nell’ambito della scelta di una tecnologia di bonifica vengono considerati gli aspetti legati ai benefici ambientali (ad esempio il carbon footprint associato all’utilizzo di equipaggiamenti e sistemi di trattamento che richiedono

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una fornitura intensiva di energia termica/elettrica) che può produrre la tecnologia di bonifica selezionata. L’avvento delle tecnologie di bonifica del sottosuolo con sistemi in situ è stato considerato per molti anni la soluzione ottimale per fare fronte ad un intervento di bonifica del sottosuolo; ciò che più coinvolgeva e convinceva gli addetti ai lavori e gli organi di controllo ad orientare la propria scelta sui sistemi di bonifica in situ era principalmente legato all’aspetto economico dell’operazione e ad una minore movimentazione in volume del suolo e sottosuolo contaminato. Il concetto di carbon footprint (impronta del carbonio) che una data tecnologia di bonifica produce quando viene applicata deve trovare spazio nella scelta della più corretta tecnologia di bonifica da applicare al sottosuolo e dunque il calcolo del beneficio ambientale netto di una data tecnologia deve essere eseguito prima dell’applicazione della tecnologia di bonifica stessa e può essere reso ben evidente attraverso l’applicazione sostenibile dei concetti di Green Remediation.


ELEMENTI DELLA GREEN REMEDIATION L’applicazione dei concetti di Green Remediation (GR) comprende sei elementi fondamentali ognuno dei quali è descritto brevemente nel seguito. Energia

L’utilizzo dell’energia determina la produzione di gas serra (GHGs), poiché nella norma vengono utilizzati combustibili fossili per produrre energia elettrica. L’elemento Energia della GR considera: 1) le tecnologie di bonifica che prevedono un basso o nullo utilizzo di energia elettrica; 2) i sistemi di trattamento che abbiano un’elevata efficienza energetica e possano garantire attraverso un’adeguata manutenzione elevati standard energetici; 3) l’applicazione di sistemi di energia rinnovabile al fine di minimizzare la dipendenza dai sistemi tradizionali di produzione di energia elettrica. Emissioni in atmosfera

Le emissioni gassose in atmosfera comunemente associate ai sistemi di bonifica del sottosuolo sono legate alla combustione generata da mezzi meccanici alimentati a gasolio. Altre sorgenti di emissioni gassose possono comprendere sostanze pericolose rimosse dal sottosuolo attraverso sistemi fisici (soil vapor extraction), oppure generate attraverso trattamenti chimici (tipo ozono). L’elemento “Emissioni in atmosfera” della GR scoraggia l’utilizzo a larga scala della tecnica di bonifica “scavo, trasporto e smaltimento” che prevede l’utilizzo di macchinari pesanti e mezzi di trasporto per il conferimento lontano dal sito contaminato di terreni contaminati/rifiuti; dove necessario incoraggia l’utilizzo di biocarburanti e/o l’utilizzo di filtri antiparticolato per i mezzi meccanici coinvolti nelle operazioni di bonifica. Acqua

L’acqua va considerata come una risorsa preziosa soprattutto in relazione al crescente tasso di consumo legato al fabbisogno umano che produce squilibri che impattano non solo sulle persone ma anche sugli ecosistemi. Il degrado della qualità dell’acqua può anche portare all’inutilizzo della stessa risorsa idrica. L’elemento “Acqua” della GR si focalizza: 1) sulla minimizzazione dell’uso della risorsa e sulla massimizzazione del suo riutilizzo; 2) sulla minimizzazione dell’uso nell’irrigazione

attraverso l’uso della vegetazione nativa; 3) sulla prevenzione degli impatti che minacciano la qualità dell’acqua. Suolo ed ecosistemi

La crescita della popolazione continua a consumare l’habitat disponibile per l’uomo e la fauna. Fra i concetti della GR vi è l’impegno alla minimizzazione del degrado ecologico delle risorse naturali. Questo può coinvolgere: 1) l’utilizzo delle tecnologie di bonifica in situ; 2) la minimizzazione degli impatti sui suoli vegetali e l’habitat della fauna; 3) la riduzione del disturbo luminoso alle speci naturali. Consumo delle risorse e produzione di rifiuti

Le attrezzature devono essere mantenute al fine di massimizzare la loro efficacia e diminuire al massimo il loro consumo di energia. Con il trascorrere dell’intervento di bonifica e dunque con la diminuzione della massa di contaminante ancora da trattare, si debbono apportare modifiche al sistema al fine di ridurre l’utilizzo di energia senza alterare il tasso di rimozione del contaminante dal sottosuolo. Si deve considerare anche l’opportunità di mantenere o meno in funzione gli impianti di bonifica dipendentemente se da ciò derivi o meno un beneficio ambientale positivo ossia se non valga la pena di spegnere gli impianti stessi in quanto il mantenimento in funzione

Alcuni sistemi di bonifica hanno significative infrastrutture associate ad essi che possono essere costituite da pompe, ventilatori, torri di strippaggio, serbatoi di stoccaggio per liquidi, tubazioni di lunghezza più o meno significativa e numerose valvole ed altre strumentazioni. La produzione di queste attrezzature ha determinato il consumo di risorse e la produzione di rifiuti. Alcuni sistemi e/o progetti di bonifica generano quantità significative di rifiuti (carboni attivi esausti, ecc.). La GR incoraggia la progettazione di sistemi che minimizzino il consumo delle risorse e la produzione di rifiuti. Gestione a lungo termine

Pensare in termini di GR non vuol dire fermare il ragionamento una volta che il sistema di bonifica viene installato e completato.

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e/o il limite della tecnologia implementata e/o la ridottissima massa di contaminante ancora presente nel sottosuolo determinano un beneficio ambientale minore rispetto al relativo consumo energetico.

L’APPLICAZIONE DELL A GR NELLA SELEZIONE DEI SISTEMI DI BONIFICA

Negli USA a livello federale, in conseguenza del Comprehensive Environmental Response, Compensation and Liability Act (CERCLA), il National Oil and Hazardous Substances Pollution Contingency Plan (NCP) identifica nove criteri di valutazione: • globale protezione della salute umana e dell’ambiente; • conformità con le normative e gli standard legislativi applicabili; • efficacia e prestazione a lungo termine; • riduzione della tossicità, mobilità, volume attraverso il trattamento; • efficacia degli interventi a breve termine; • implementabilità dei sistemi; • costi; • accettazione da parte della comunità; • accettabilità da parte delle Autorità. Per esempio negli USA, a livello statale, l’amministrazione dello stato dell’Oregon indica cinque criteri di valutazione: • efficacia degli interventi a breve termine; • affidabilità a lungo termine;

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• implementabilità dei sistemi; • rischi di implementazione del sistema; • ragionevolezza dei costi. Nessuno di questi criteri di valutazione comprende termini tipo “più sostenibile” oppure “massimizzare il beneficio ambientale netto”. Questa non è stata una premeditata omissione piuttosto il riflesso di una priorità nata all’inizio degli anni 1990, quando queste regole federali e statali vennero promulgate negli USA. Sfortunatamente queste regole presentano un ostacolo all’implementazione e alla diffusione dei concetti di GR nei vari siti da sottoporre a bonifica. Il 13 Agosto 2009, la Region 10 del U.S. Environmental Protection Agency (EPA) ha pubblicato il suo Clean and Green Policy. In questo standard di politica l’EPA dice che “This Clean and Green Policy does not fundamentally change how and why cleanup decisions are made”. La politica EPA non obbliga l’applicazione dei concetti di GR ma permette di prenderla in considerazione durante la selezione dei sistemi di bonifica. Tale standard incoraggia in parte a tenere in considerazione i concetti di GR durante la selezione dei sistemi di bonifica. Anche se i concetti di GR non vengono spinti si dovrebbe considerarli eccome, come verrà descritto in seguito. Una nota dolente è senz’altro rappresentata dalla scarsa rappresentanza di questi concetti nella normativa ambientale italiana ma

anche comunitaria. Se negli US c’è molta strada da fare per diffondere negli addetti ai lavori e nelle Autorità l’applicazione dei concetti di GR, in Europa e ancor più in Italia tale situazione si presenta allo stato iniziale per non dire embrionale. Lo schema riportato di seguito riassume bene tali concetti ed illustra alcuni esempi di approccio Green alle bonifiche. L’importanza dei concetti di GR durante il processo di selezione della tecnologia di bonifica

I concetti di GR sono senz’altro lungi dall’essere diffusi ed applicati in Italia mentre certamente negli US hanno già fatto presa sia nelle istituzioni sia fra gli addetti ai lavori anche se, come capita nell’applicazione di concetti innovativi, si possono incontrare situazioni spesso contraddittorie. Negli US circa due anni fa l’EPA presentò un caso di studio che prevedeva l’utilizzo di energia rinnovabile come fonte di alimentazione energetica di un sistema di bonifica del sottosuolo installato presso il Pemaco Superfund Site sito in Maywood, California. Un sistema fotovoltaico di 3,4 kW venne installato sul tetto di un edificio presso l’area di posa del sistema di bonifica. Il sistema generava circa 5.600 kW/ora/anno di energia elettrica permettendo l’abbattimento di una quantità di CO2 pari a 4,4 ton/anno (0,4% del totale). Da un punto di vista generale questo poteva essere considerato come un eccellente esempio di GR, ma guardiamolo un po’ più nel dettaglio. Il sistema di bonifica del sottosuolo scelto al Pemaco site era un sistema di riscaldamento resistivo elettrico del sottosuolo che necessitava di una grande quantità di energia per funzionare: circa 1.500 MW di elettricità all’anno. Il carbon footprint associato a questo sistema era pari a circa 1.200 tons di CO2/anno.


Il consumo elettrico procapite di un abitante della California è di circa 2.500 kW/ ora/anno dunque il sistema di bonifica installato al Pemaco site aveva un consumo elettrico/carbon footprint che era equivalente ad un consumo annuale/carbon footprint associato a circa 600 abitazioni. Con un consumo annuale di energia elettrica al Pemaco site di 1.500 MW, e un sistema fotovoltaico installato presso lo stesso sito tale da generare 5.600 kW/ora/anno, tale sistema fotovoltaico era in grado di fornire solamente 0,37% dell’ammontare totale di energia utilizzata annualmente dal sistema. Questo non sembrerebbe essere un grande esempio di applicazione dei concetti di GR. Probabilmente da un lato si poteva scegliere una tecnologia di bonifica con un minore carbon footprint per risolvere il problema dei solventi nel sottosuolo presso il sito Pemaco magari adottando un sistema passivo di bonifica ossia evitando l’uso di energia elettrica, come nel caso dell’ossidazione chimica o delle barriere permeabili reattive. Anche un sistema di soil vapor extraction e air sparging poteva comunque andare meglio di un sistema di riscaldamento resistivo elettrico in quanto pur essendo sistemi attivi hanno un minore carbon footprint. Non avere considerato il beneficio ambientale netto durante il processo di selezione del sistema di bonifica ha rappresentato una grande opportunità persa in termini di applicazione dei concetti di GR al Pemaco site. Questo sito, considerato un esempio dall’EPA come applicazione dei concetti di GR, in realtà considerandolo nel suo insieme non appare affatto un buon intervento in termini di risparmio ambientale netto. L’applicazione dei concetti di GR negli US presenta molti spazi di miglioramento sia a livello istituzionale, dove l’EPA deve spingere di più e meglio questa disciplina, sia fra gli addetti ai lavori, che

non sono molto inclini a progettare interventi di risanamento del sottosuolo selezionando i sistemi con i più elevati benefici ambientali netti. Tale situazione, se confrontata con la realtà attuale italiana, rappresenta di gran lunga una forte evoluzione verso il vero rispetto ambientale netto delle risorse a disposizione. In Italia gli addetti ai lavori e i progettisti, se non per casi molto isolati, non stanno evolvendo la propria capacità di selezione degli interventi di bonifica in linea con tali concetti di GR e ancor di più le istituzioni e gli organi di controllo non mostrano di avere a cuore ed essere illuminati nell’applicazione di tali concetti.

Conclusioni Qual è dunque oggi l’attuale sistuazione di applicazione dei concetti di GR? Negli US varie agenzie e la stessa EPA considerano la GR come vitale nella loro missione volta alla protezione della salute umana e dell’ambiente. Nel passato la selezione degli interventi di bonifica era basata e vista solamente come la migliore tecnologia di bonifica applicabile per quella data contaminazione/problema senza

considerare gli impatti ambientali associati a tale tecnologia. La migliore tecnologia spesse volte non era provata come tale e aveva un elevato carbon footprint, venendo per lo più valutata in termini economici. I concetti di GR dovrebbero cambiare questo visione. Occorre avere un approccio più olistico nella selezione della migliore tecnologia di bonifica e guardare con più attenzione all’aspetto del beneficio ambientale netto quando si progetta un intervento di bonifica, tale modo di progettare peraltro produce oltre ad un risparmio ambientale netto un risparmio economico soddisfacendo contemporaneamente ed eccezionalmente sia chi ha l’onere dell’intervento di bonifica sia le istituzioni. Chi scrive ritiene comunque che per accelerare l’applicazione dei concetti di GR non sia necessario attendere una normativa ad hoc, anche perché ciò potrebbe comportare tempi significativi, ma potrebbe bastare l’introduzione da parte delle istituzioni (regioni, provincie, comuni, arpa, ecc.) di protocolli e/o prassi lavorative da organizzare con buon senso e tali da premiare in fase di approvazione i progetti di bonifica che mostrano di massimizzare il bilancio ambientale netto attraverso la selezione delle migliori tecnologie di bonifica che siano in linea con i concetti di GR elencati nel presente articolo. Lo strumento delle Conferenze dei Servizi è senza dubbio molto utile e importante e potrebbe rappresentare la sede istituzionale più interessante e più pratica da utilizzare nella fase di approvazione dei progetti con tali caratteristiche di GR. Se le istituzioni iniziassero a premiare i progetti che mostrano di rispettare i concetti di GR rispetto ai progetti di bonifica tradizionali si potrebbe generare un circolo virtuoso tale da produrre una maggiore diffusione nel mercato dei concetti di GR da parte degli addetti ai lavori e dunque una loro maggiore implementazione determinando una migliore coscienza ambientale da parte di tutti e un concreto risparmio ambientale nonché economico/finanziario per la comunità e per chi deve sostenere l’onere dell’intervento di bonifica. *AMEC Earth & Environmental

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TECNOLOGIE ED APPLICAZIONI OPERATIVE DELLE ATTREZZATURE A COMANDO REMOTO Demolizioni in altezza, decommissioning nucleare, zone instabili e presenza di sostanze tossiche: ecco come le attrezzature radiocomandate permettono di lavorare in sicurezza di Paolo Limonta* e Stefano Scaini**

I

radiocomandi sono dispositivi progettati ed impiegati per far funzionare a distanza un'apparecchiatura o un macchinario utilizzando le onde radio come mezzo di trasmissione. Essi sono caratterizzati da un'elevata affidabilità e si distinguono soprattutto per sicurezza, produttività e libertà di movimento. Vengono utilizzati quando l'operatore, per sicurezza o facilità d'uso, non deve essere condizionato da una postazione fissa di controllo, oppure per comandare a distanza gru, betoniere, pompe a calcestruzzo, carri-ponte, caricatori telescopici, centrali idrauliche per demolizione aerea, robots da demolizione e macchine movimento terra. La sicurezza è essenziale e definisce il tipo di radiocomando da utilizzare. Un radiocomando di sicurezza può essere definito tale solamente se una sua eventuale rottura non determina situazioni di pericolo; nel radiocomando infatti, i componenti devono essere in grado di resistere ad un uso professionale prolungato anche in ambienti di lavoro impegnativi. I radiocomandi industriali di sicurezza vengono utilizzati dove è indispensabile condurre "da remoto", senza l'ausilio di cavi, una macchina di movimentazione o movimenti di una macchina; i radiocomandi aumentano la sicurezza,

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la produttività e l'efficienza, garantendo maggior comodità e semplicità ai movimenti di ogni giorno e possono essere personalizzati consentendo all’operatore di lavorare in tutta sicurezza senza più limitazioni con la macchina. Ne deriva un nuovo modo di operare, più agevole e più concentrato sull'ottimizzazione delle risorse umane per ridurre i rischi sul lavoro. Ogni radiocomando industriale consiste di due parti principali: • un apparato trasmittente portatile, il quale comunica all'apparato ricevente la sequenza di dati digitali che formano il comando selezionato dall'operatore tramite i dispositivi di comando (pulsanti, selettori e manipolatori) presenti sullo stesso apparato trasmittente; • un apparato ricevente installato sulla macchina da comandare, il quale decodifica la sequenza di dati digitali e la trasforma in impulsi elettrici che sono richiesti dalla macchina per attuare il comando selezionato dall'operatore sull'apparato trasmittente portatile. Ciascun radiocomando industriale utilizza un determinato telegramma di trasmissione programmato in modo univoco dal costruttore e non modificabile, in modo che ogni apparato trasmittente possa interagire solamente con

il proprio apparato ricevente e non interferire con altri radiocomandi. La frequenza di lavoro utilizzata dal radiocomando è facilmente programmabile e modificabile dall'operatore tra una gamma di diverse frequenze (solo per apparati dotati di sistema di cambio frequenza) messa a disposizione dagli Enti preposti, in modo che l'operatore possa tranquillamente lavorare anche nelle vicinanze di altre macchine radiocomandate senza interferenze radio reciproche.

Attrezzatura robotizzata “ROV” per applicazioni speciali


Tutti i trasmettitori sono dotati di chiave di alimentazione di tipo magnetico o meccanico a contatto la quale limita l’uso del radiocomando al solo personale autorizzato; inoltre, la grande autonomia di funzionamento consentita dagli accumulatori (normalmente del tipo Ni-MH) garantisce la continuità delle operazioni e del lavoro per tutta la giornata. Gli involucri delle trasmittenti, con grado di protezione IP65, sono realizzati in materiale sintetico per ottenere le migliori caratteristiche di robustezza, stabilità meccanica, termica e resistenza all’esposizione in ambienti chimicamente aggressivi. Tutto ciò è necessario affinché il prodotto possa garantire anni di servizio continuo nelle più avverse condizioni di lavoro; in esso sono contenute le schede elettroniche, le quali sono rivestite da una speciale pellicola sintetica per resistere all’azione dell’umidità, all’aggressione degli agenti chimici e alle sollecitazioni meccaniche. Le tipologie degli involucri delle trasmittenti più utilizzate sono a pulsantiera, a marsupio e a pettorale. La gamma di pulsantiere comprende versioni a 4, 6 e 8 pulsanti di manovra più un pulsante di Start/Avvisatore acustico e un pulsante di STOP a fungo; esse hanno dimensioni compatte, pulsanti di grandi dimensioni adatti anche all’uso con guanti, pulsante di STOP protetto da un rinforzo e di facile accesso e sono utilizzate principalmente per il comando di paranchi, argani, carri-ponte e gru a torre. Il trasmettitore a marsupio è la sintesi delle migliori caratteristiche ergonomiche e funzionali richieste dal settore mobile, come ad esempio centrali per demolizione aerea, gru idrauliche proporzionali, caricatori telescopici, mezzi cingolati, robots da demolizione e da ogni al-

tro tipo di macchina per la quale i comandi a joystick rappresentino la forma ideale di controllo dei movimenti. Le dimensioni compatte del pannello di controllo, ma ricche di alloggiamenti per comandi on/off e proporzionali, ne fanno un trasmettitore facilmente personalizzabile secondo le esigenze della specifica applicazione. Il contenitore a pettorale è particolarmente adatto agli impieghi continuativi e gravosi, è ergonomico e permette di mantenere una postura naturale degli arti superiori. Esso è dotato di joystick assiali e lineari e si utilizza per il comando di carri mobili per movimentazione container, grosse macchine semoventi e robotizzazione di escavatori idraulici. Le trasmittenti possono essere dotate di “Data feedback”, una tecnologia radio che permette il ritorno di informazioni raccolte dai sensori a bordo della macchina verso l’unità posta nelle mani dell’operatore, le quali, tramite display LCD o a LED luminosi, indicano le anomalie che eventualmente si verificano in tempo reale, avvertendo quindi l’operatore il quale può intervenire tempestivamente. Le unità trasmittenti dei radiocomandi possono essere abbinate a diverse unità riceventi. Alcuni modelli sono dotati di custodie IP65 mentre altri sono dotati di scatola con attacco per barra DIN, ideale per essere applicata all’interno del quadro elettrico della macchina. Gli impulsi elettrici richiesti dalla macchina per attuare il comando selezionato dall'operatore si possono riassumere nelle seguenti tipologie: • ON/OFF: comando semplice con uscita per alimentare direttamente comandi diretti o pilotare relais;

Radiocomando a pulsantiera, a marsupio e a pettorale (da sinistra a destra)

• PROPORZIONALE: comando che può variare tra un valore minimo ed uno massimo, in tensione o in corrente, in funzione del movimento di un attuatore; • PWM - Pulse Width Modulation, ovvero modulazione della larghezza degli impulsi: rappresenta la tecnica di controllo delle apparecchiature con comandi proporzionali in corrente; • CAN-BUS: in questo caso l’unita ricevente è dotata di uscita per Bus di campo, tipo CAN, per la gestione dei comandi di manovra, la quale si interfaccia direttamente alla rete bus della macchina dialogando attraverso il suo specifico protocollo. Le tipologie di connessioni disponibili sono a pressacavo, a connettore multipolare fissato sulla scatola oppure con cablaggio esterno e spina multipla. Le riceventi dispongono di segnalazioni luminose esterne che segnalano lo stato di funzionamento del sistema. Lo speciale materiale impiegato per le custodie garantisce indeformabilità e alta resistenza agli urti; essi normalmente sono dotati di un circuito di arresto in categoria 4 (urto dinamico), mentre i comandi di manovra possono avvalersi della presenza del relais di “Safety Stop” per innalzare ad un livello superiore la categoria di sicurezza. Molte riceventi si distinguono per le dimensioni compatte unite ad una sorprendente versatilità, rendendo l’installazione a bordo macchina semplice e poco invasiva.

GLI ATTUATORI Gli attuatori elettrici od elettroidraulici, da abbinare ai radiocomandi, permettono di comandare la maggior parte dei movimenti meccanici delle gru idrauliche e delle macchine presenti sul mercato dotate unicamente di comandi manuali. Il circuito elettroidraulico dell’impianto è stato volutamente reso indipendente da quello già installato, al fine di prevenire i malfunzionamenti che possono essere causati dalla condivisione dell’olio del circuito idraulico di una gru, magari usurato da gravose condizioni di lavoro. L’accensione della centralina avviene solo in caso di attivazione delle manovre della mac-

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china, permettendo così basse temperature di funzionamento e riducendo al minimo inutili sprechi di energia e l’usura nel tempo. Normalmente l’installazione dell’impianto non richiede alcuna saldatura sulle aste di rinvio, lasciando inalterato l’impianto originale della macchina, e la taratura degli attuatori viene effettuata ad installazione avvenuta tramite l’unità trasmittente del radiocomando.

APPLICAZIONI PARTICOLARI I radiocomandi per gru con cestello, piattaforme aeree e altre attrezzature utilizzano una scheda di controllo elettronica quale dispositivo atto alla diagnosi e alla memorizzazione dello stato di funzionamento. Il sistema è in grado di gestire tutte le informazioni ricevute dai microinterruttori e dai sensori presenti sulla macchina, come ad esempio la stabilizzazione, il fine corsa di rotazione, la presenza del cestello sulla gru, la presenza di radiocomando sul cestello e la pressione idraulica della gru. Tutti i comandi impartiti dal radiocomando vengono filtrati, consentendo così una diagnosi in tempo reale dello stato di funzionamento del sistema e permettendo all’operatore di lavorare nella massima sicurezza; è inoltre possibile memorizzare alcuni parametri che potranno essere riesaminati successivamente.

IL TRASPONDER Il trasponder è stato sviluppato per superare gli ostacoli critici nella trasmissione radio tra l’operatore e la ricevente installata a bordo macchina e può anche risultare adatto per risolvere casi dove siano richieste particolari portate. In condizioni normali il raggio di copertura è di circa 100 metri, ma la presenza di pareti in cemento armato o metalliche e di rilievi del terreno può fortemente attenuare il collegamento radio fino ad interromperlo. Tipicamente possono essere soggetti a queste problematiche gli utenti di macchine da spurgo, i gruisti e gli utenti di macchine per uso forestale. Le dimensioni compatte e la custodia IP65 con alimentazione a batteria permettono un facile e veloce posizionamento del trasponder nel punto di maggior efficacia, il quale si può abbinare ai sistemi attraverso una semplice procedura

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di sintonizzazione; il sistema radiocomando originale può inoltre essere riportato a funzionare altrettanto facilmente nella configurazione base con le sole trasmittente e ricevente.

INTERVENTI OPERATIVI I radiocomandi sono utilizzati sia su macchine dedicate, come centrali da demolizione aerea e piccoli robots da demolizione, sia su macchine con il doppio utilizzo “anche con uomo a bordo” (in questo caso viene installato un selettore che permette l’esclusivo utilizzo desiderato); si tratta quindi sia di macchine appositamente costruite sia di trasformazioni di unità operative standard, le quali trovano ideale impiego soprattutto nei cantieri di demolizione speciale ad altezze elevate, nel decommissioning nucleare e anche in situazioni di potenziale pericolo come quello originato, ad esempio, dalla minaccia di frane, smottamenti, crolli e bonifiche di terreni fortemente inquinati. Infatti, la possibilità di comandare a distanza una macchina operatrice ne consente l'impiego in piena e totale sicurezza. Anche nell'industria e nel campo siderurgico, ovvero in ambienti caratterizzati da condizioni difficili, le unità radiocomandate ed equipaggiate con telecamere trovano un ideale impiego consentendo di operare anche in luoghi con scarsa visibilità. La demolizione di edifici e di strutture in genere può avvenire mediante l’impiego di differenti tecnologie, quali ad esempio l'esclusivo utilizzo di sistemi meccanici; nella demolizione totale o parziale di edifici multipiano e ciminiere, negli interventi mirati su edifici pericolanti e in operazioni di decostruzione trovano particolare applicazione i radiocomandi installati sulle centrali di demolizione aerea cosiddette ADM - Aerial Demolition Machines. Queste macchine sono delle unità di potenza oleodinamiche, motorizzate con motori diesel, direzionate da ventole posizionate posteriormente e con installate nella parte inferiore del telaio le attrezzature dedicate alla demolizione (pinze, frantumatori, cesoie, ecc.). Esse vengono ancorate a gru a torre o ad autogru per raggiungere agevolmente la zona dove intervenire e l’operatore, a debita distanza, è in grado di agire ed effettuare gli interventi richiesti in totale sicurezza.

A.D.M. – Aerial Demolition Machine

Per interventi di demolizione in luoghi pericolosi o difficilmente raggiungibili dall’uomo si ricorre all’intervento di robots. Il robot demolitore è un’unità elettroidraulica, destinata in primo luogo alla demolizione di strutture in cemento armato, di rivestimenti di forni e siviere e allo scavo. La sua compattezza, le ridotte dimensioni di ingombro, l’azionamento elettrico e il comando a distanza della macchina ne consentono l’impiego anche al chiuso o in ambienti ristretti e pericolosi. Nella demolizione di ponti e viadotti, con l’avvento delle nuove tecnologie, è possibile utilizzare anche escavatori radiocomandati; in tal caso l’operatore è in posizione sicura ed ottimale per vedere come posizionare celermente i bracci che, dotati di pinze da demolizione, sono in grado di effettuare precisi tagli alle strutture. Lo smantellamento degli impianti nucleari, il cosiddetto “nuclear decommissioning”, implica la demolizione di strutture interne, condotte e tubazioni fino alla dismissione completo del reattore nucleare, e questa è la differenza evidente tra il decommissioning convenzionale e altri progetti di smantellamento.


Lo smantellamento di una centrale di potenza convenzionale è completamente differente da quella nucleare; la possibile presenza di materiale radioattivo richiede precauzioni specifiche, quali ad esempio la decontaminazione del personale e delle attrezzature e l’adozione di specifiche procedure di trasporto e stoccaggio. Le macchine operatrici (escavatori, pale e robots) impiegate in questi particolari luoghi devono essere manovrate esclusivamente a distanza, con radiocomando e telecamere a coadiuvare l’operatore durante le diverse fasi di lavoro. Lo smantellamento comporta molti atti e decisioni amministrative, oltre ad interventi tecnici altamente qualificati; esso include ogni tipo di opera per la rimozione della radioattività e la progressiva demolizione dell'impianto. Una volta smantellata la centrale, non deve persistere la possibilità di incidenti coinvolgenti la radioattività o qualsiasi altra potenzialità di danno causato dalle strutture del reattore.

L’emergenza che oggi il Giappone sta affrontando vede schierati anche robots in grado di intercettare le radiazioni ed operare in zone pericolose ove l’uomo potrebbe subire esposizioni dagli effetti gravi e letali. Le Autorità energetiche Giapponesi stanno lavorando nel tentativo di riprendere il controllo dei reattori ed in questa situazione è fondamentale l’utilizzo di robots radiocomandati, ne-

gli spostamenti e negli azionamenti, per applicazioni d’ispezione e di riparazione; i robots a comando remoto (ROV) sono dunque ideali per penetrare materialmente in ambienti proibitivi per gli esseri umani. Infine, si ricorda quanto la bonifica di suoli contaminati sia una materia molto attuale ed in continua evoluzione; essa si occupa dei metodi di decontaminazione non solo di terreni ma anche, ad esempio, di falde inquinate dalle sostanze più disparate. Esistendo in relazione a ciò un'ampia gamma di effetti sulla salute, acuti e soprattutto cronici, che possono manifestarsi a livello clinico, in tali scenari è pressoché d’obbligo l’utilizzo di macchine dotate di radiocomando, le quali possono lavorare in condizioni di completa sicurezza e anche a notevole distanza, in modo tale che l’operatore non venga in alcun modo a contatto con le sostanze inquinate ed inquinanti. *GIMA tecnologie **DEXPLO s.r.l.

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PREVENIRE è MEGLIO CHE CURARE le regole da seguire per un corretto monitoraggio delle vibrazioni in un lavoro di demolizione per annullare il rischio di danno alle strutture limitrofe di Andrea Terziano

T

ra gli impatti ambientali maggiormente diffusi in un intervento di demolizione, dopo polveri e rumore, troviamo le vibrazioni trasmesse al terreno o alle strutture limitrofe al cantiere; i fenomeni vibratori, qualsiasi sia la causa che li ha generati (funzionamento delle macchine da demolizione, impatto a terra di elementi demoliti, frantumazione del calcestruzzo armato, utilizzo di esplosivi), possono essere causa di lesione per gli edifici limitrofi al cantiere e causa di disturbo per i suoi occupanti; per questo motivo è necessario verificare se le vibrazioni prodotte dall’attività di demolizione siano tali da indurre o meno danni a ciò che si trova all’esterno del cantiere. Occorre a questo punto fare una precisazione sulla tipologia di danno che possono causare i fenomeni vibratori; i danni strutturali ad un edificio, ossia la lesione di elementi portanti, attribuibili a fenomeni vibratori sono estremamente rari e quasi sempre derivano dal concorso di altre cause, errata progettazione o errore umano; sono invece maggiormente frequenti altre forme di danno, di entità definita "di soglia" che, senza compromettere la sicurezza strutturale degli edifici, ne possono determinare una riduzione del valore d'uso. I danni di soglia si presentano sotto forma di fessure nell'intonaco, accrescimenti di fessure già esistenti, danneggiamenti di elementi architettonici: nella terminologia anglosassone questi si indicano come "danni estetici" (cosmetic damage).

Inoltre, prima che le vibrazioni arrechino danni strutturali è comunque necessario che esse raggiungano livelli tali da causare, prima, fastidio e disturbo agli occupanti. Ne consegue che in qualsiasi intervento di demolizione sia meccanico che con microcariche esplosive in ambiente antropico, per evitare che insorgano danni estetici e prevenire eventuali richieste di risarcimento, bisogna eseguire un attento monitoraggio delle vibrazioni prodotte, dalle prime fasi di accantieramento fino al termine di tutte le lavorazioni. Il rilievo vibrometrico può essere finalizzato a tre obiettivi principali: • riconoscimento del problema, per valutare se i livelli di vibrazione prodotti in cantiere, acquisiti dagli strumenti nel corso dei lavori possano determinare danni agli edifici limitrofi o limitarne la funzionalità specifica e si renda quindi necessario un approfondimento dello studio; • modifiche di procedure operative, per tenere sotto controllo i livelli delle vibrazioni misurate e mantenerli entro i valori riportati dalle normative o a particolari limitazioni sito specifiche; • controllo dei valori attesi e confronto con quelli calcolati in fase progettuale dell’intervento. Questi differenti obiettivi richiedono diversi metodi d'approccio, sia per quanto riguarda la misurazione delle vibrazioni, sia per quanto

riguarda il trattamento dei dati e la loro valutazione. Il riferimento tecnico generale è costituito dalla norma UNI 9916: “Criteri di misura e valutazione degli effetti delle vibrazioni sugli edifici” che fornisce una guida per la scelta delle metodologie appropriate per la misurazione, il trattamento dei dati e la valutazione degli effetti delle vibrazioni sugli edifici. Essa identifica inoltre le possibili sorgenti di vibrazione ed i fattori che influenzano la risposta strutturale dell'edificio. La UNI 9916 a sua volta richiama le indicazioni della ISO-4866 e della DIN-4150/3. In appendice B la norma riporta, a titolo indicativo, valori numerici di accettabilità delle vibrazioni di un edificio; riporta anche un campo di frequenze di interesse che va da 0,1 Hz a 150 Hz adeguato alla valutazione del danno strutturale.

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Per quel che riguarda invece la valutazione circa l’esistenza di fenomeni di disturbo agli occupanti di un edificio le norme di riferimento sono costituite: • dalle ISO 2631 - “Mechanical vibration and shock - Evaluation of human exposure to whole-body vibration”; • dalla UNI 9614 - “Misura delle vibrazioni negli edifici e criteri di valutazione del disturbo”; • dalla UNI 11048 - “Vibrazioni meccaniche ed urti - Metodo di misura delle vibrazioni negli edifici al fine della valutazione del disturbo”. In generale le vibrazioni possono essere generate dall'esterno del cantiere, cioè trasmesse attraverso il terreno o causate da sovrappressioni d'aria (per esempio traffico aereo, vento), oppure dall'interno, e quindi dovute ad attività lavorative o ad azioni di macchinari. Gli effetti di un fenomeno vibratorio in un edificio indotte da una causa esterna dipendono: dall’energia rilasciata dall’origine della vibrazione, dal mezzo di trasmissione e dalla tipologia della struttura ricevente; la propagazione della vibrazione avviene attraverso il terreno e, colpite le strutture di fondazione, si propaga sull’intera struttura. Per strutture snelle o, nei casi in cui la frequenza impulsiva corrisponda a quella propria dell’edificio, può arrivare ad amplificarsi in quota provocando fenomeni di risonanza. Le onde di sollecitazione, dal punto di vista della loro pericolosità, sono definite da due parametri: frequenza ed ampiezza.

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Vibrazioni prodotte da l avori di demolizione Il problema delle vibrazioni indotte sulle strutture limitrofe da un cantiere di demolizione, meccanica o con microcariche esplosive, si inquadra nello studio delle piccole oscillazioni di sistemi elastici smorzati e della propagazione di onde elastiche prodotte dall’energia trasmessa nel terreno o roccia (mezzo di trasmissione) dal movimento delle macchine operatrici e dall’impatto al suolo delle macerie prodotte. In generale, per descrivere una vibrazione bisogna elencare le posizioni che assume una particella di materiale che vibra in diversi istanti di tempo. Per rilevare le vibrazioni in un punto si possono registrare le componenti dello spostamento, della velocità e dell’accelerazione del punto; si ottengono rispettivamente i sismogrammi, i vibrogrammi, o gli accelerogrammi. L’output di un rilievo vibrometrico può presentarsi in forma di tabella, in cui sono riportati i valori degli spostamenti, delle accelerazioni, o delle velocità, assunti dal punto, in tempi successivi, rispetto alla posizione di riposo, ed in forma di grafico, che rappresenta l’andamento in continuo delle grandezze misurate durante l’evento. Le particelle che vengono investite dal treno d’onda possono oscillare, rispetto al punto di riposo, in varie direzioni: secondo la direzione di propagazione o perpendicolarmente a questa. Le vibrazioni in un punto sono, dunque, l’effetto di tutte le onde sismiche che giungono a seguito dell’avvenuta perturbazione.

Velocità di picco e frequenza All’atto di rilevare il fenomeno quale si presenta in un punto di arrivo prescelto (stazione di misura), è possibile ottenere una descrizione completa registrando l’andamento nel tempo degli spostamenti, delle velocità o delle accelerazioni del punto stesso nelle tre direzioni cartesiane. L’onda di vibrazione è quindi scomponibile in tre diverse componenti, secondo le tre direzioni: • direzione R radiale; • direzione T trasversale; • direzione V verticale.

Per valutare la pericolosità delle vibrazioni indotte da un intervento di demolizione sulle vicine strutture (punti sensibili), è necessaria la conoscenza della grandezza “velocità massima particellare” o PPV, in quanto tale grandezza è quella presa a riferimento nella normativa di settore. A tal fine interessa essenzialmente l’intervallo del sismogramma comprendente le oscillazioni più intense; è come se si isolasse una particolare armonica dell’onda, quella appunto caratterizzata dal valore massimo della velocità e dalla frequenza corrispondente. Tale analisi permette di non considerare un parametro dell’onda che caratterizza le vibrazioni reali: lo smorzamento, ossia l’attenuazione dell’ampiezza dell’onda con il tempo. Questo perché ai fini della progettazione di una demolizione, non serve conoscere l’andamento dell’onda nel tempo, ma il valore massimo dell’ampiezza. La vibrazione di interesse sarà quindi caratterizzata da due soli parametri: • la velocità massima riscontrata nel movimento vibratorio, indicata come velocità particellare massima o “Peak Particle Velocity” (PPV) da calcolarsi per ogni componente dell’onda; • la frequenza dominante, data dal numero di ripetizioni dell’oscillazione in un secondo e pari all’inverso del periodo corrispondente.

Apparecchiature per il rilievo delle vibrazioni La strumentazione che comunemente viene utilizzata per la misura delle vibrazioni ha il compito di rilevare i due parametri appena citati, ossia ampiezza e frequenza, entrambe variabili nel tempo. Per ampiezza si intende, a seconda dei casi, il valore dello spostamento, della velocità, o dell’accelerazione del terreno, della struttura investita dal fenomeno vibratorio; per frequenza si considera, invece, il valore dominante. Gli strumenti per la misura delle vibrazioni sono detti generalmente “sismometri” o “sismografi”, per analogia con quelli impiegati nello studio dei terremoti. I sismografi sono costituiti essenzialmente da tre parti:


• un elemento sensibile (detector) - è il dispositivo sensibile alla grandezza in entrata; • un elemento modificatore (trasduttore) - è la parte dello strumento che converte una grandezza fisica in ingresso in un segnale in uscita, utilizzabile dall’elemento rivelatore; • un elemento rivelatore - trasforma il segnale in uscita in un’indicazione percepibile dai nostri sensi. L’apparecchiatura di misura e registrazione è dotata di attivazione automatica, cioè entra in funzione quando l’ampiezza della vibrazione supera un determinato valore di soglia o “trigger”; è quindi necessario valutare a priori l’ampiezza massima della vibrazione del “rumore di fondo” in modo da regolare tale soglia sul valore ottimale. Tale valutazione è fondamentale per evitare di acquisire fenomeni dovuti unicamente alle attività svolte normalmente nel contesto nel quale si inserisce il cantiere, impostando un valore di trigger troppo basso, e al contempo per non “perdere” nessun contributo dovuto alle attività di cantiere, impostando un valore di trigger troppo alto. Oltre al valore di trigger, i sismografi possono essere regolati in modo che l’acquisizione del segnale inizi alcuni istanti prima che le velocità raggiungano il valore del trigger; questa impostazione viene chiamata “pretrigger” e può variare da alcuni decimi di secondo ad alcuni secondi. Cioè lo strumento di misura, mentre è in stand-by, acquisisce il segnale in continuo, però tiene in memoria solo le informazioni di un arco temporale antecedente al superamento del trigger, corrispondente appunto al tempo di pretrigger. Nei sismografi può inoltre essere regolata la frequenza di campionamento (il numero di dati che lo strumento riesce ad acquisire nell’unità di tempo); solitamente valori pari a 1024 dati al secondo sono sufficienti per ottenere dei risultati completi. Infine, alcuni sismografi offrono la possibilità di essere collegati con un modem GSM, in modo che al superamento del valore di soglia fissato (trigger), venga inoltrato un messaggio di avviso ad un cellulare, per esempio quello dell’operatore o del responsabile di cantiere; tale messaggio contiene l’indicazione della

data e dell’ora della rilevazione, oltre ai valori di PPV, con relative frequenze, sulle tre componenti (R, V, T) della vibrazione. In questo modo, in tempo reale, chi si trova in cantiere è avvisato del superamento del valore di soglia e quindi del potenziale rischio vibrazione, e può provvedere ad interrompere le lavorazioni o procedere con maggior cautela nella demolizione.

Scelta del valore di soglia La scelta del valore di soglia e quindi del trigger dipende dalla tipo di struttura che si sta monitorando e dall'ambiente antropico circostante; in genere il valore del trigger viene sempre fissato al di sotto dei valori imposti dalla normativa in modo da avere sempre un margine di sicurezza per gestire eventuali superamenti e mantenerli costantemente al di sotto dei limiti. In genere in ogni cantiere al fine di implementare una procedura di controllo dell’eventuale trasmissione delle vibrazioni alle strutture circostanti, si devono effettuare due tipi di monitoraggio: • ante operam, per caratterizzare il livello di vibrazione presente nell’area circostante il cantiere, con particolare attenzione a quantificare l’effetto vibratorio cui sono soggetti gli edifici prima delle operazioni di cantiere; può infatti succedere che le vibrazioni dovute al traffico veicolare, ai mezzi di trasporto pubblico o al passaggio di metropolitane fornisca un valore di fondo preesistente superiore ai valori di vibrazioni da normativa; • in continuo durante i lavori di demolizione per controllare e verificare che i livelli di vibrazioni prodotte in cantiere siano inferiori ai valori di fondo dell’area oppure ai valori di soglia imposti dalla normativa, in modo da escludere l’insorgenza di problematiche presso i recettori circostanti. Nel caso in cui il monitoraggio ante operam fornisca valori di fondo inferiori a quelli previsti delle normative, si dovrà procedere al settaggio dello strumento secondo la norma UNI 9916: “Criteri di misura e valutazione degli effetti delle vibrazioni sugli edifici” che richiama i valori limite della DIN-4150/3

Il valore limite su cui si basa la normativa DIN4150/3 è la massima componente della velocità di vibrazione del punto di misura in funzione della tipologia di edificio da monitorare (a tal proposito si veda il grafico della DIN 4150 riportato nel box).

Le postazioni di misura La scelta del luogo e l’ubicazione dei sismografi è funzione del tipo di problema da esaminare e delle raccomandazioni sul posizionamento degli strumenti prescritti dalla normativa DIN-4150. Le misurazioni devono essere sempre eseguite in prossimità del cantiere posizionando gli strumenti lungo le possibili linee di propagazione delle vibrazioni più pericolose a quota del piano di fondazione degli edifici più vicini e al livello più elevato. Se vi sono molte strutture in prossimità del cantiere è consigliabile riposizionare gli strumenti con il progredire delle lavorazioni, in modo da tenere sempre sotto controllo il fenomeno negli edifici maggiormente soggetti al rischio vibrazioni. I trasduttori, per ottenere una corretta misurazione del fenomeno, devono essere infissi nel terreno ove possibile, oppure messi direttamente a contatto con la struttura da monitorare, mediante dei tasselli o in alternativa, per evitare di lesionare proprietà esterne al cantiere, mediante nastri biadesivi.

Restituzione finale dei dati Al termine dei lavori deve essere sempre redatta una relazione inerente i rilievi di vibrazioni, a firma di un tecnico, che deve contenere le seguenti informazioni: • una sintetica descrizione delle condizioni di misura; • la descrizione e l’ubicazione delle attività di cantiere in corso durante la misura; • la strumentazione utilizzata; • l’ubicazione esatta della postazione di rilievo (con fotografia); • la descrizione delle modalità di campionamento ed analisi; • i risultati ottenuti; • gli elaborati grafici utili alla comprensione dei risultati medesimi.

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LA NORMATIVA DI RIFERIMENTO DIN 4150 La normativa tedesca complessivamente è divisa nelle tre parti seguenti: 1. vibrazioni strutturali negli edifici - principi, previsione e misura dei parametri di vibrazione; 2. vibrazioni strutturali negli edifici - effetti sulle persone presenti negli edifici; 3. vibrazioni strutturali negli edifici - effetti sulle strutture. Nella terza parte, quella di nostro interesse, vengono definiti i limiti di sismicità, ossia il valore della componente più elevata della velocità particellare in funzione della frequenza, del tipo di struttura e del punto di misura. Ora analizziamo più in dettaglio la DIN 4150 Parte 3.

Campo di applicazione

Questo standard fornisce le informazioni richieste per la determinazione e la valutazione delle vibrazioni nelle strutture dimensionate per i carichi statici e per tutte quelle costruzioni che non sono state progettate secondo norme o direttive specifiche per gli effetti e le azioni dinamiche. Questa normativa include delle linee guida che, se rispettate, non daranno luogo alla formazione di danni dovuti alle vibrazioni nelle strutture. Il concetto di danno dovuto alle vibrazioni comprende: • un danneggiamento alla stabilità della struttura o ad un suo componente; • una riduzione della capacità portante degli elementi strutturali; • la formazione di fratture negli intonaci; • l’allargamento delle fratture già esistenti.

Procedure generali da seguire nel calcolo delle vibrazioni sulle strutture

Le sollecitazioni dinamiche sulla struttura devono essere determinate mediante misurazione e calcoli, tenendo conto della frequenza di ripetizione del fenomeno. Le sollecitazioni dinamiche si possono calcolare attraverso la misura delle tensioni agenti nelle componenti dell’edificio che vibra, oppure mediante misura dello spostamento, della velocità o dell’accelerazione di alcuni punti dell’edificio, in funzione della frequenza. La normativa stabilisce i punti significativi dell’edificio in cui posizionare gli strumenti di misura: • a livello delle fondazioni; • in corrispondenza dei muri perimetrali; • a livello del pavimento del piano più alto (in genere al centro del pavimento dove si registrano i valori più alti di vibrazione).

Valori limite proposti per le vibrazioni di breve durata

Il valore limite su cui si basa la normativa è la massima componente della velocità di vibrazione, in funzione della frequenza, del punto di misura e del tipo di edificio. Gli edifici vengono suddivisi in tre classi: • classe 1 - strutture industriali e commerciali; • classe 2 - edifici per abitazioni; • classe 3 - edifici di particolare delicatezza. I valori limite sono riportati in tabella 1. Le vibrazioni cui si fa riferimento nella normativa sono quelle di piccola durata che non sollecitano a fatica la struttura. A differenza delle altre normative, la DIN 4150/3 indica i livelli ammissibili di velocità che, se superati, potrebbero dar luogo ai danni indicati precedentemente; pertanto, se in un lavoro di demolizione non vengono superati tali livelli di velocità, si è sicuri di non aver generato alcun tipo di danno alle strutture limitrofe. In figura 1 vengono diagrammati i valori di velocità in funzione della frequenza come riportati dalla normativa tedesca; si noti che i valori di velocità ammissibili tendono ad aumentare al crescere della frequenza.

Figura 1. Curve rappresentative della velocità di vibrazione in funzione della frequenza, punto di misura nelle fondazioni (DIN 4150/3,02. 1999 Deutsches institut fur Normung)

VALORE LIMITE DELLA VELOCITÁ DI VIBRAZIONE [mm/s] Classe

Tipo di edificio

Fondazioni

Pavimento del piano più alto

Frequenza

Frequenza

Frequenza

<10Hz

10-50Hz

50-100hz

1

Strutture industriali

20

20-40

40-50

40

2

Edifici per abitazioni

5

5-15

15-20

15

3

Edifici delicati

3

3-8

8-10

8

Tabella 1. Linee guida per la valutazione della velocità di vibrazione (DIN 4150/3,02. 1999 Deutsches institut fur Normung)

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Qualsiasi frequenza

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biomassa: l’energia che non sposta gli equilibri di CO 2 potenzialità e vantaggi di una risorsa che potrà divenire parte integrante del nostro futuro energetico di Marco Bono*

C

he cosa sono le biomasse e perché sono così importanti in termini di rispetto dell’ambiente? Le biomasse sono oggi una delle risorse energetiche, cosiddette pulite, più in auge assieme all’eolico, al geotermico e al fotovoltaico. Il loro impiego come combustibile alternativo a quello fossile è auspicato da molti perché è possibile produrre energia senza rovinare gli equilibri naturali. Le biomasse per loro natura non introducono nuova anidride carbonica in atmosfera ma semplicemente rimettono in gioco quella che le piante avevano assorbito attraverso la fotosintesi clorofilliana. Le piante per “respirare” utilizzano CO2 che assimilano dall’atmosfera e che, una volta morte, rilasciano di nuovo attraverso i normali processi degradativi della sostanza organica. L’impiego delle biomasse, per la produzione di energia, non fa

altro che accelerare il ritorno della CO2 in atmosfera rendendola nuovamente disponibile alle altre piante più in fretta. Sostanzialmente queste emissioni rientrano nel normale ciclo del carbonio e l’equilibrio fra CO2 emessa ed assorbita rimane praticamente invariato. Quindi lo sfruttamento delle biomasse non fa altro che bene al nostro Pianeta: l’anidride carbonica non aumenta, la temperatura atmosferica non tende ad innalzarsi, l’effetto serra si riduce e gli equilibri ecologici si mantengono inalterati. Il rischio che invece si corre nel persistere con l’utilizzo dei combustibili derivanti dal petrolio o dal carbone è molto alto. Il suo abuso sta prospettando un futuro molto incerto per l’ambiente e quindi anche per tutte le specie viventi, noi compresi. In questi ultimi decenni, nell’era dell’uomo “votato al consumo”, gli equilibri naturali si sono sbilanciati sempre di più, fino a raggiungere livelli allar-

manti per l’intero eco-sistema e per la sua sopravvivenza. L’emancipazione e il consumismo hanno delineato una crescente richiesta di beni di consumo come mai prima d’ora. Un sempre maggior numero di persone, nei Paesi più industrializzati della Terra, ha raggiunto una condizione di benessere ed un potere economico tali da tradursi in una sfrenata richiesta di beni di consumo, con un inevitabile conseguente aumento delle emissioni inquinanti. Se da un lato però la crescita produttiva non accenna a fermarsi, dall’altro la Natura non è in grado di tenere il passo. Questo incontenibile disequilibrio si traduce purtroppo in uno scompenso difficile da colmare. Sì, perché se l’uomo è capace di mettere in piedi molto rapidamente nuove tecnologie per ridurre i tempi di produzione, garantendo alla popolazione un approvvigionamento costante di nuovi beni di consumo, la Terra dal canto suo non è in grado di mettere in atto

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delle efficaci strategie di autodifesa alla stessa velocità. La Terra ha i suoi ritmi purtroppo, che si susseguono da sempre in modo ciclico e costante, e ogni correzione o mutamento richiede moltissimo tempo prima che se ne possano vedere gli effetti; molto più tempo di quanto siamo in grado di concedergli noi. Le sole risposte che essa è in grado di darci sono quegli scossoni che a volte si chiamano uragani, a volte tsunami a volte ancora alluvioni o tempeste tropicali. Uno degli aspetti che più preoccupano, scaturiti da questo disequilibrio, è l’incessante aumento di CO2 che le nostre attività hanno riversato nell’atmosfera per tutto il secolo scorso, a ritmi incessanti. Il bilancio finale di questa sfavorevole equazione è che ad oggi quest’alta concentrazione di CO2 non è facile da ridurre, a meno di non modificare il vecchio sistema produttivo mondiale. L’attenzione quindi si sta lentamente spostando verso un approccio più cosciente o, come si dice in gergo, più eco-friendly possibile. Questo si traduce nella ricerca di nuove tecnologie produttive basate su meccanismi e risorse energetiche, molto meno invasivi in termini di CO2 prodotta. Se si considera che il trend positivo della produzione di beni di consumo, a livello mondiale, non cesserà di crescere almeno per i prossimi decenni, la paura di raggiungere quel fatidico punto di non ritorno, in cui non potremo più salvare il nostro pianeta, ci sta obbligando a ridurre il più possibile le emissioni nocive nell’ambiente. Lo sforzo che deve essere compiuto non può però fermarsi solo a coloro che producono per l’uomo ma anche all’uomo stesso. E’ necessario allora che anche il consumatore diventi più eco-friendly. Deve cambiare lo stile di vita di ciascuno di noi, con una maggiore attenzione agli sprechi e con la volontà di scegliere apparecchiature e servizi che inquinino meno di altri. L’effetto serra, un fenomeno ben noto e che da decenni rimbalza sempre più spesso sui media, è provocato quasi essenzialmente dalle alte concentrazioni di anidride carbonica che ogni giorno i Paesi più industrializzati del pianeta riversano, senza ritegno, nell’atmosfera. Sebbene alcuni Stati si stiano muovendo per cercare una soluzione, ce ne sono altri che purtroppo continuano imperterriti la loro marcia verso la massima

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produzione, senza preoccuparsi minimamente che non basta l’impegno di pochi per risolvere l’enorme problema del surriscaldamento globale ma è necessario quello di tutti. Quando si usa il termine biomassa non si parla solo di alberi, tronchi, radici e cippato che vengono bruciati negli impianti di teleriscaldamento per produrre calore ed energia elettrica ma anche di liquami animali, rifiuti organici da raccolta differenziata, frutta, verdura, canna da zuc-

chero ed altre tipologie di piante erbacee ed arbustive, coltivate ad hoc per diventare poi biomasse. Ne sono un esempio gli impianti di digestione anaerobica, quegli enormi reattori dove la materia organica derivante dalla raccolta differenziata viene degradata a biogas da famiglie batteriche specifiche, con produzione finale di calore ed energia elettrica grazie alla cogenerazione. Soprattutto in Europa gli impianti di digestione anaerobica hanno rag-

LA TECNOLOGIA DELLE MACCHINE AL SERVIZIO DELLE BIOMASSE Nella lunga filiera che porta il verde a diventare energia, anche la raccolta ed il pretrattamento della materia prima sono di fondamentale importanza. Lo sanno bene tutti coloro che di professione si occupano di recuperare tronchi, ciocchi e rami per alimentare gli impianti a biomasse. Possedere delle macchine affidabili e versatili significa ottimizzare i costi e preparare il materiale alle dimensioni corrette. Cesaro Mac Import è convinta dei marchi che rappresenta: Doppstadt è l’espressione dell’alta qualità tedesca, con la gamma di macchine più ampia del settore, pensate per la raccolta e l’ottimizzazione delle biomasse. Le macchine Doppstadt sono l’espressione della semplicità d’uso e della potenza. Da sempre leader indiscusso nei settori del trattamento dei rifiuti come delle biomasse, Doppstadt rinnova la sua gamma prodotti rivisitando le macchine che ne hanno delineato la storia ed il successo. Con l’introduzione delle nuove direttive sull’inquinamento, anche il colosso di Calbe, ha riprogettato trituratori, raffinatori, vagli e cippatori uniformandosi alla normativa Tier IIIb. Mercedes-Benz rimane il motore preferito da Doppstadt e rimane inalterata l’efficace mentalità costruttiva made in Germany. Per il settore delle biomasse Doppstadt migliora il suo cippatore DH 608, dotandolo di un nastro di alimentazione maggiorato (700mm x 800mm) e di una tramoggia di carico rinforzata. Tra le diverse versioni è possibile scegliere quella su camion, sfruttando così il proprio mezzo ed evitando l’obbligo del rimorchio. Un salto in avanti per Doppstadt anche nell’ambito della triturazione. Viene infatti migliorato il pluripremiato DW 3060 e trasformato in BioPower. Un equipaggiamento che rende questo fantastico trituratore ancora più potente ed efficiente. Due file di denti disposte a doppia spirale con ben 42 denti, un nuovo potente riduttore da 380 kW ed una nuova griglia-pettine più versatile di prima. Queste modifiche rendono il DW 3060 capace di trattare materiali più difficili e di produrre materiale ancora più omogeneo e uniforme. La novità 2011 per Doppstadt è il nuovo raffinatore, DF 307 Rotaro, un potente trituratore secondario in versione fissa, naturale evoluzione del predecessore DW 306 Ceron. Doppstadt da quest’anno separa la produzione in due nuove linee costruttive; le macchine mobili e fisse verranno costruite in 2 diversi stabilimenti, per poter aumentare la produzione e seguire con ancora maggiore dedizione i clienti “elektric” e “mobile”. Per le biomasse Doppstadt offre quindi macchine in diverse versioni, tutte accomunate da un’alta produttività e da uno standard qualitativo sempre unico: fino a 10 t/h con un prodotto dalle dimensioni inferiori a 60 mm. Le versioni mobili sono studiate per potersi muovere agevolmente per strada e da un sito di lavoro all’altro. Facili da agganciare alla motrice o installabili direttamente su camion. Per chi invece tratta il materiale direttamente in impianto, le versioni fisse sono sicuramente le più adatte, con il vantaggio, in questo caso, di poter preferire la motorizzazione elettrica. La versione fissa infine consente il posizionamento in serie delle macchine ottimizzando gli spazi all’interno dell’impianto.


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giunto un numero ragguardevole riuscendo a trattare una buona percentuale di tutto il rifiuto prodotto dalla popolazione. Se da un lato le biomasse hanno i loro indiscutibili vantaggi, dall’altro presentano però dei limiti. Il principale di questi limiti è la loro disponibilità, ristretta purtroppo solo a determinati periodi dell’anno, ad esclusione dell’organico da raccolta differenziata che si raccoglie per tutto l’anno, ma che da solo non riesce a soddisfare il fabbisogno di energia richiesta. Le colture ed il taglio delle aree boschive destinate alla produzione di biomassa sono vincolate dalla stagionalità. Ci sono infatti periodi dell’anno in cui la raccolta ed il taglio garantiscono delle materie prime con maggiore potere calorifico e ridotti tassi di umidità. Un altro problema collegato alle biomasse è lo spazio necessario a far crescere le piante. Servono aree enormi per riuscire a produrre una quantità sufficiente di biomassa per garantire risultati apprezzabili in termini di energia prodotta. Grazie alle nuove tecnologie e ai grossi investimenti nella ricerca, sono però in fase di studio delle alternative che potrebbero risolvere questo problema. Grazie alle tecniche di ricombinazione genetica si sta studiando ad esempio uno specifico incrocio di Miscanto, una graminacea alta quattro metri con una redditività potenziale di circa 60 tonnellate di materia secca per ettaro: che equivale a dire 60 barili di petrolio risparmiati. Oppure come negli Stati Uniti, in Giappone ed in India dove si sta sperimentando un processo di crescita più veloce per le piante agro-energetiche, in modo da aumentare la quantità di biomasse a disposizione. Una speranza futura arriva anche da oltreoceano, da un’idea di Dickson Despommier, professore di Scienza della Salute ambientale alla Columbia University di New York. Si chiama Vertical farming e promette di essere la soluzione futura per lo sviluppo in verticale delle piantagioni destinate sia a diventare cibo ma anche biomasse. Grazie allo sviluppo verso l’alto di “edifici” destinati alla coltivazione massiccia di piante ed arbusti, si dovrebbe riuscire ad aumentare la produttività di materia prima, riuscendo in parte anche a controllare i rischi collegati alla stagionalità, come eventi atmosferici indesiderati e cambi repentini di temperatura. Le biomasse possono quindi diventare parte integrante del nostro “futuro energetico”, in un mondo dove forse guideremo automobili a biomasse ed i nostri rifiuti ci illumineranno e ci riscalderanno.

I T ET

LLO TRO N CO IRE GU EL E D S E N TO I CO OD PAS N M I ’ O L T DE L SEN NE : ICI ON ZIO N C A O C A I BI TR TIF LET SAB CE R I E LA L M E D STE ITA’ I SI .E. MID U ’ EC L R L U E D AT RC CI MA ATI LA OM T U IA PER RI: TEM O S I T S A A: LLO PER TEM 2O TRO SIS O N L L CO DE . SO IE NE STI GIO IAL ZIO G R I CO A A E P M E T A M R O M R O AUT EP IDU DE I NE ER CO I O I O R Z T T A CA CE L SSE MA MIS L I DI IRE GU ESE . IRE ALT M S I DA IAL R E AT . E’ M RTI I, N D PO I : S R A I A F AS I TR LOG RE E NZ E CO UR AS D I M IR TE a SIS ED bbi ETT e sa tica. t M n ene toma PER ont u a di ra c ione a dotat e m e z to é a c t bic stra ortatri . Il tu i e e o l i s p le gg ad obi o) tras osa é un à m lla i d etti e rapid n una t i s n s o a i tr nt n’u con ne M lega u u iene uzio to (o e avv llata s M che l o S n T a zion me eC nst e ce iscela co ed i oftwar i m s car ostro La n e di cell ito dal t ges idità. l’um

*Cesaro Mac Import s.r.l.

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p rog e t t i e t e cn o lo gie

BEST MANAGEMENT PRACTICES PER LA GESTIONE DELLE ACQUE METEORICHE DI DILAVAMENTO Regolamento e Linee Guida messe in atto dal Magistrato alle Acque di Venezia per consentire il rispetto degli standard di qualità previsti per le acque della laguna di G. Ferrari*, E. Tromellini**, A. Barbanti***, S. Carrer*** e S. Toso****

L

e acque meteoriche di dilavamento rappresentano un tema che negli ultimi anni ha assunto un rilievo crescente per gli aspetti relativi al contributo all’inquinamento delle acque superficiali. Per questo motivo, la corretta gestione delle acque meteoriche di dilavamento è considerata un elemento fondamentale per il raggiungimento degli standard di qualità dei corpi idrici. L’inquinamento prodotto dallo scarico delle acque meteoriche può essere considerato come originato da fonti puntuali o diffuse, a seconda della scala considerata. Entrambe queste fonti sono considerate dalla Direttiva Quadro Acque 2000/60/CEE della Comunità Europea, che richiede agli Stati membri il controllo degli scarichi mediante l’implementazione di controlli su: • emissioni; basati sulle migliori tecniche disponibili, comprendono sia specifici limiti alle emissioni sia limiti o condizioni in merito agli effetti, alla natura o ad altre caratteristiche delle emissioni o alle condizioni operative che le determinano; • valori limite di emissione; espressi sia in termini di concentrazioni che di massa totale scaricata; • migliori pratiche di gestione ambientale; le cosiddette BMP (Best Management Practices).

86

Anno 4 - Numero 16

Questi controlli devono mirare al raggiungimento degli Standard di Qualità Ambientale (SQA) dei corpi idrici che esprimono le concentrazioni dei diversi inquinanti nelle acque, nei sedimenti e nel biota che devono essere rispettate per la tutela della salute umana e dell’ambiente. E’ noto che lo scarico e la qualità delle acque meteoriche variano da evento a evento e sono caratterizzati da un’intrinseca natura stocastica, sia sul piano spaziale che temporale, rendendo impossibile una descrizione univoca dei flussi di inquinanti trasportati, e quindi dell’andamento delle concentrazioni allo scarico. Da ciò deriva l’impossibilità di definire criteri di controllo e di gestione degli scarichi di natura meteorica basati esclusivamente sulle concentrazioni e/o sull’andamento delle concentrazioni nel tempo. Per questo motivo, a livello internazionale la normativa tende a focalizzarsi sulla totalità dei carichi inquinanti scaricati e a favorire la progettazione di interventi e di sistemi di trattamento che tengano conto delle peculiarità dei siti oggetto degli interventi e che assicurino il trattamento della maggior parte dei volumi di acque meteoriche, superando così l’incertezza dovuta alla stocasticità dei fenomeni considerati ed assicurando il maggior margine di sicurezza nel raggiungimento degli obiettivi di qualità prefissati.

Per far fronte alle nuove competenze derivanti dalla L. 192/04, il Magistrato alle Acque di Venezia (MAV) ha posto in essere una serie di iniziative, la prima delle quali è consistita nell’acquisizione diretta di conoscenze sulle caratteristiche delle acque meteoriche di dilavamento delle aree interessate da tale legge e recapitanti nella laguna di Venezia. Lo studio si è svolto nel biennio 2007-2008 ed ha interessato 30 diverse

Figura 1. Inquadramento territoriale della laguna di Venezia e del suo bacino scolante nell’ambito della regione Veneto. All’interno del perimetro si applicano le norme di salvaguardia previste dalla legge speciale


aree impermeabili distribuite nell’area del Comune di Venezia tra cui strade caratterizzate da traffico intenso e moderato, autostrade, parcheggi di aree industriali, di centri commerciali e residenziali, aree aeroportuali, piazzali di centri di autodemolizione, aree parcheggio di impianti di trattamento rifiuti, di industrie di produzione di vetro artistico e aree urbane della città di Venezia non soggette a traffico veicolare. L’ubicazione dei punti di campionamento è riportata in Figura 2 (29 stazioni più un “bianco”). Ciascuna area è stata campionata 4 volte, raccogliendo complessivamente 232 campioni di acque di dilavamento di 1a e 2a pioggia, per 16 mesi. Le determinazioni di laboratorio hanno riguardato 126 analiti, selezionati tenendo conto sia degli inquinanti tipici generalmente considerati nella letteratura tecnico-scientifica di settore che di quelli più specificatamente connessi alle fonti di emissione atmosferiche nell’area veneziana. Gli obiettivi dello studio erano la valutazione delle caratteristiche delle acque di dilavamento: • in confronto ai limiti allo scarico nella laguna di Venezia e nel bacino scolante (D.M. 30/07/1999); • in relazione alle caratteristiche dell’evento piovoso (differenze tra 1a e 2a pioggia e tempo secco prima dell’evento). I risultati delle analisi confermano che la maggior parte dei campioni supera i limiti allo scarico per uno o più parametri. Il parametro Solidi sospesi è tra quelli per cui si registrano frequenti superamenti (115 su 232 campioni analizzati), così come il Ferro (167 su 232), l’Arsenico (127 su 232), il Piombo (120 su 232), le Diossine (145 su 224), i Policlorobifenili (219 su 232) e i pesticidi organo clorurati. Meno frequenti sono i superamenti per Zinco (71 su 232) e Rame (83 su 232). La stazione che ha avuto il maggior numero di superamenti è quella posta in corrispondenza della tangenziale di Mestre, a conferma dell’importanza del traffico veicolare come fonte di emissione (staz. n. 17). Questa stazione presenta concentrazioni molto elevate di Solidi sospesi, Rame (valore massimo 800 µg/L), Ferro (max 25000 µg/L), Zinco (max 3900 µg/L) e Diossine (max 34,6 pg I-TE/L). Esaclorobenzene e Policlorobifenili sono sempre risultati oltre i limite anche perché la normativa prevede che non venga mai

superato il limite di rilevabilità analitico. I parametri per i quali non si registrano superamenti sono Cromo, Manganese e Nichel. I valori mediani delle concentrazioni nelle acque meteoriche drenate dalle diverse aree oggetto dello studio sono riportati in Tabella 1 e confrontati con i valori medi corrispondenti di aree simili ricavati da un’ampia raccolta di referenze di letteratura da Göbel e collaboratori (Stormwater runoff concentration matrix for urban areas, Journal of Contaminant Hydrology, 91, 2007). Tale confronto evidenzia che, sebbene le mediane delle concentrazioni misurate nelle aree oggetto dello studio MAV sono spesso superiori ai limiti fissati dal D.M. 30/07/99, non si tratta di valori particolarmente elevati. Le concentrazioni dei parcheggi rimangono, in genere, un ordine di grandezza al di sotto dei corrispondenti valori di letteratura, mentre quelle relative alla viabilità pubblica risultano confrontabili con i corrispondenti valori di letteratura per Solidi sospesi, Rame e Zinco, mentre risultano inferiori di un ordine di grandezza per Cadmio, Piombo e IPA. Per quanto riguarda le caratteristiche delle acque di 1a e 2a pioggia non sono state rilevate sostanziali differenze tra le concentrazioni medie dei flussi. Questo aspetto è particolarmente significativo nell’ottica di un’impostazione di una strategia di controllo dell’inquinamento diffuso di origine urbana. L’analisi statistica relativa all’influenza del numero di giorni asciutti intercorsi tra due eventi successivi: ha evidenziato che è possibile osservare un significativo peggioramento delle concentrazioni solo per eventi meteorici che intervengono dopo 10-15 giorni di secco dall’evento precedente. La legge speciale per Venezia prevede il raggiungimento di SQA per le acque della laguna particolarmente elevati, raggiungibili solo intervenendo su tutte le fonti di inquinamento delle acque sversanti in laguna, incluse le acque meteoriche di dilavamento che rappresentano ormai un contributo più che significativo al carico inquinante complessivo dei corpi idrici. La natura stocastica degli eventi meteorici e dell’inquinamento associato ai flussi idrici che si originano dal dilavamento delle superfici impermeabili delle aree urbane fa sì che le caratteristiche degli scarichi sia-

no poco prevedibili, sia in termini di portata che in termini di caratteristiche qualitative e di distribuzione temporale del carico inquinante. Pertanto, le collaudate tecniche di depurazione sviluppate per gli scarichi industriali e civili, efficaci per flussi con caratteristiche omogenee nel tempo in termini di portata e concentrazione, non sono applicabili direttamente per il trattamento delle acque meteoriche di dilavamento. Di qui la scelta operata a livello normativo da parte della Regione del Veneto, di ridurre l’impatto sull’ambiente delle acque meteoriche isolando la prima frazione dell’evento, corrispondente ad un volume arbitrariamente definito come i primi 5 mm di acqua meteorica uniformemente distribuita su tutta la superficie scolante servita dal sistema di collettamento. I flussi corrispondenti alle precipitazioni successive ai primi 5 mm, definiti come “seconda pioggia” e considerati non inquinati, vengono scaricati direttamente nel corpo idrico. Al termine dell’evento meteorico, il volume di prima pioggia viene immesso nella rete di fognatura mista e trattato all’impianto di depurazione centralizzato terminale. Questo approccio è stato derivato dal concetto di “first flush”, definito come la frazione del volume di un evento meteorico in cui è concentrata la maggior parte del carico inquinante. Recentemente, il concetto di “first flush” è stato messo in discussione in quanto non si verifica all’interno di un intervallo temporale e di altezza di precipitazione definiti, dipendendo da numerosi fattori quali le condizioni climatiche, la stagionalità, le caratteristi-

87


p rog e t t i e t e cn o lo gie

Figura 2. Ubicazione dei punti della campagna di prelievo delle acque meteoriche (2007 – 2008).

88

Anno 4 - Numero 16

Campagna MAV 2008

autostrade

strade principali

strade di servizio

parcheggi

aree pedonali

duazione dei volumi e delle portate per il dimensionamento di eventuali BMP strutturali per il trattamento deve tenere conto del rapporto costi/benefici, potendosi cioè accettare che, in occasione di eventi meteorici caratterizzati da eccezionale intensità, una parte del volume d’acqua di dilavamento possa non essere trattato; le tipologie di BMP devono essere efficaci ai fini della riduzione delle specifiche tipologie di inquinanti presenti nelle acque di dilavamento dell’area; l’efficacia delle BMP deve essere commisurata alla vulnerabilità e allo stato di qualità del corpo idrico ricettore dello scarico; le BMP strutturali e/o non strutturali proposte devono essere efficaci ai fini del controllo quantitativo delle acque meteoriche di dilavamento; il PdA sarà valorizzato dalla scelta di operazioni per la riduzione dei volumi da trattare, quali la disconnessione, e misure che incentivano il ritardo dei deflussi; eventuali problematiche quali collegamenti fognari errati e rischio di rilasci accidentali di sostanze potenzialmente inquinanti, devono essere adeguatamente affrontate e risolte;

parcheggi

attività produttive

viabilità pubblica

d.m. 30/07/09

Limite scarico

u.m.

devono essere validati dal MAV sulla base di un apposito regolamento, affinché siano coerenti ed efficaci per il raggiungimento degli SQA per la laguna di Venezia nei tempi previsti. Per poter orientare i diversi soggetti interessati a qualsiasi titolo alla gestione e al trattamento degli scarichi delle acque meteoriche di dilavamento di cui alla L. 192/04, il MAV ha emanato un Regolamento ed ha in corso di pubblicazione sul sito web dell’Istituto (www. magisacque.it) un documento contenente le “Linee Guida per la predisposizione dei PdA ex L. 192/04”. Lo scopo del documento, che è stato condiviso con la Regione del Veneto nell’ambito di un tavolo tecnico appositamente istituito, è quello di definire una metodologia, sia formale che di contenuti tecnici, per l’elaborazione dei PdA, che dovranno soddisfare i seguenti requisiti: • il PdA dovrà essere basato sulle BMP e dovrà essere in grado di produrre risultati ambientali non inferiori a quelli conseguibili attraverso l’applicazione dei criteri previsti dal Piano di Tutela delle Acque della Regione del Veneto; • tutte le acque meteoriche di dilavamento devono essere oggetto di misure per la riduzione dell’inquinamento. L’indivi-

Parametro

che dell’area dilavata, il tipo di attività svolta, il tipo di contaminanti presenti, le caratteristiche della rete fognaria. A conferma di ciò, lo studio eseguito dal MAV nell’area urbana di Mestre ha evidenziato chiaramente che la qualità delle acque di seconda pioggia non è sostanzialmente diversa da quella che caratterizza i primi 5 mm. La raccolta completa della maggior parte degli eventi meteorici (80–85%) richiederebbe volumi di accumulo in grado di raccogliere 25 mm di pioggia per ciascun evento, esigenza questa che deve essere contemperata con la concreta possibilità di reperire aree adeguate per la realizzazione delle vasche di accumulo e che appare improponibile in un territorio densamente urbanizzato come l’area della terraferma veneziana e, più in generale, del bacino scolante nella laguna di Venezia. Con l’emanazione della L. 192/04, gli scarichi di acque di dilavamento di aree non soggette al rischio di trascinamento di sostanze pericolose sono stati svincolati dall’obbligo dell’autorizzazione allo scarico e, conseguentemente, dal rispetto dei limiti allo scarico, che per la laguna di Venezia e il bacino in essa scolante sono molto restrittivi. Peraltro, la stessa norma ha previsto che i titolari di questi scarichi debbano elaborare dei Piani di Adeguamento (PdA) che

Göebel et al 2007

TSS

mg/l

35

129,5

65,3

37

7,4

150

150

163

153

As

µg/l

1

1,8

1,2

0,6

-

-

-

-

-

Cd

µg/l

1

0,4

0,6

0,2

0,8

1,2

1,6

1,9

3,7

Pb

µg/l

10

25,0

16,6

4,3

107

137

137

170

224

Cu

µg/l

50

74,5

26,0

18,5

23

80

86

97

65

Fe

µg/l

500

2200

1300

425

-

-

-

-

-

Zn

µg/l

250

225

148

70

585

400

400

407

345

PCDD/Fs

pg(I-TE)/l

0,5

3,4

1,0

0,2

-

-

-

-

-

PAHs

ng/l

1000

353

227

94

1000

3500

4500

1650

2610

PCBs

ng/l

Ass.

2,2

0,9

0,2

-

-

-

-

-

Tabella 1. Confronto tra i valori mediani delle concentrazioni dei parametri più significativi della campagna di misura del Magistrato alle Acque e i dati medi di letteratura in aree omogenee.


Cosa dicono l a Normativa nazionale e l a legge speciale per Venezia Il Decreto Legislativo 152/06 individua i Piani di Tutela delle Acque (PTA) regionali come strumenti prioritari per il raggiungimento e il mantenimento degli obiettivi di qualità ambientale per i corpi idrici superficiali, le acque sotterrane e per quelle a specifica destinazione. I PTA si configurano quindi come strumenti di pianificazione regionale, di fatto sostitutivi dei vecchi “Piani di risanamento” previsti dalla L. 319/76 (Legge “Merli”). Relativamente alle acque meteoriche e di dilavamento, il D.Lgs. 152/06, all’art. 113, demanda le competenze a livello regionale prevedendo, in determinati casi, l’obbligo dell’autorizzazione per gli scarichi di acque meteoriche, la separazione delle acque di prima pioggia e il loro specifico trattamento in impianti di depurazione. Tali condizioni si verificano nei casi in cui vi sia il rischio che il dilavamento di superfici impermeabili scoperte di sostanze pericolose o di sostanze che possono creare pregiudizi ambientali possa rappresentare un impedimento al raggiungimento degli obiettivi di qualità dei corpi idrici. L’assenza di specificità della norma nazionale per quanto riguarda la gestione delle acque meteoriche, rispetto alle norme che regolano gli scarichi civili e industriali, ha fatto sì che le normative sull’argomento emanate dalle diverse regioni abbiano affrontato questa tematica in modo differenziato, talvolta con approcci significativamente diversi se non, addirittura, in contraddizione l’uno con l’altro. Un vistoso esempio di tale mancanza di uniformità si riscontra nelle definizioni di base delle normative regionali, per cui il concetto di “acque meteoriche” è di volta in volta attribuito a entità diverse e, come tali, trattate giuridicamente in modo differente. Anche la nozione di “prima pioggia” prevista dal D.Lgs. 152/06, concetto che la normativa internazionale ha ormai superato, è stato definito dalle diverse regioni in modo differenziato, sia in termini dell’altezza di pioggia sia del tempo di precipitazione. La Regione del Veneto definisce le acque di prima pioggia come “i primi 5 mm di acqua meteorica di dilavamento uniformemente distribuita su tutta la superficie scolante servita dal sistema di collettamento”. L’articolo 91 della Parte Terza del TUA fa salvo quanto previsto per la salvaguardia di Venezia, un’articolata e complessa serie di norme che lo Stato Italiano ha emanato, fin dal 1963, per la tutela fisica, ambientale e socio-economica della città di Venezia e della sua laguna. La legge per Venezia ha un carattere sovraordinato rispetto alla norma nazionale ed è caratterizzata da un regime tecnico, amministrativo e sanzionatorio indipendente, specialità giustificata dalla unicità del contesto ambientale da salvaguardare. Conseguentemente, anche le norme regionali devono essere coordinate con quanto previsto dalla normativa speciale per Venezia. La legge speciale si applica non solo all’interno della laguna di Venezia, un bacino idrico di circa 550 km2, ma anche nell’intero territorio idraulicamente scolante, avente una superficie di circa 1800 km2. L’estensione e i confini dell’ambito di applicazione della legge speciale sono indicati in Figura 1. La legge speciale prevede, per la tutela delle acque della laguna e del bacino in essa scolante, limiti allo scarico dei reflui e standard di qualità ambientale dei corpi idrici differenziati, molto più severi e restrittivi di quelli previsti dalla norma nazionale ordinaria. Anche il regime sanzionatorio per il superamento dei limiti allo scarico è diverso da quello previsto dalle norme ordinarie, in quanto nell’ambito della laguna di Venezia e del bacino scolante il procedimento sanzionatorio è sempre di natura penale. Dal punto di vista amministrativo, l’autorità competente ai controlli ambientali in laguna e agli scarichi nonché al rilascio delle autorizzazioni allo scarico è il Magistrato alle Acque, erede della storica istituzione della Serenissima, oggi ufficio periferico del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. La normativa speciale per Venezia ha considerato anche la problematica relativa alla gestione delle acque meteoriche di dilavamento. La Legge 192/2004 ha infatti previsto che gli scarichi di acque meteoriche di dilavamento recapitanti nella laguna di Venezia e ricadenti su superfici impermeabili non adibite ad attività produttive, quali strade, piazzali di sosta, parcheggi dove non vengono svolte attività che possono comportare il rischio di trascinamento di sostanze pericolose o di sostanze in grado di determinare pregiudizi ambientali, non necessitano di autorizzazione allo scarico. In questo modo vengono svincolati dal regime autorizzativo, e dal conseguente rispetto dei limiti allo scarico, molti scarichi meteorici che, a causa del regime particolarmente severo imposto dai limiti allo scarico previsti per la laguna di Venezia e il suo bacino scolante, non potrebbero essere gestiti neppure con l’adozione delle migliori tecnologie disponibili (BAT, Best Available Technologies). Tuttavia, considerato il particolare regime di tutela vigente nella laguna di Venezia e nel bacino scolante, la L. 192/04 ha imposto che i titolari di questi scarichi debbano elaborare dei piani di adeguamento dei propri scarichi che devono essere validati dal Magistrato alle Acque sulla base di un apposito regolamento, affinché siano coerenti ed efficaci per il raggiungimento degli standard di qualità ambientale per la laguna di Venezia.

• l’attuazione delle BMP proposte non deve comportare un incremento del rischio idraulico; • l’attuazione delle BMP proposte non deve comportare possibili rischi o elementi di pregiudizio per la salute pubblica, né presentare profili di dubbia accettabilità sociale. Al contrario, eventuali benefici sociali, ad esempio legati a fattori estetici, naturalistici o ricreativi, valorizzano il PdA; • le BMP proposte devono essere compatibili con i vincoli urbanistici esistenti sull’area e conformi alla normativa ambientale; • il piano di gestione, manutenzione e monitoraggio deve essere sufficientemente dettagliato. Frequenza e modalità delle operazioni di gestione, manutenzione e

monitoraggio devono essere adeguate e ne deve essere assicurata la tracciabilità. Il documento individua i contenuti del PdA, fornisce una raccolta di dati sulla qualità delle acque meteoriche di dilavamento, una rassegna delle principali BMP non strutturali (controllo dei deflussi dalle coperture, controllo dell’irrigazione, selezione dei materiali da costruzione, spazzamento stradale, pulizia delle reti di drenaggio, controllo delle fonti inquinanti e coinvolgimento ed educazione della popolazione) e una rassegna delle principali BMP strutturali e i relativi criteri di selezione. Le Linee Guida includono anche un’ampia e aggiornata bibliografia con i principali riferimenti internazionali sullo stato dell’arte in questo settore e la modulistica necessaria per la presentazione dei

PdA. Concludendo, la L. 192/04 rappresenta un importante elemento di novità nella legislazione ambientale italiana in quanto permette di gestire la problematica delle acque meteoriche di dilavamento secondo i principi delle migliori pratiche di gestione. L’applicazione del Regolamento e delle Linee Guida del MAV consentirà di migliorare la compatibilità ambientale delle acque meteoriche di dilavamento e di accelerare il raggiungimento degli standard di qualità previsti per la laguna di Venezia. *Ufficio Tecnico Antinquinamento del Magistrato alle Acque **Servizio Informativo del Magistrato alle Acque ***Thetis S.p.A. ****Envicon s.r.l.

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p rog e t t i e t e cn o lo gie

RICICLAGGIO A FREDDO CON IMPIANTO MOBILE: ASPETTI TECNICI E NORMATIVI La realizzazione di conglomerati bituminosi riciclati a freddo è una pratica ormai consolidata che non può prescindere dall’applicazione delle complesse norme ambientali di Alessandro Parise* e Marco Garofalo**

I

l riciclaggio a freddo è oggi una pratica ampiamente diffusa. L’Italia può vantare oltre dieci anni di esperienza in questo settore e un parco macchine primo in Europa e tra i primi nel mondo. D’altra parte i notevoli vantaggi di tipo ambientale insiti nell’applicazione di questa tecnologia non solo non possono essere ignorati ma divengono una scelta obbligata nel contesto di uno sviluppo sostenibile e di una gestione razionale delle risorse e dei costi. La periodica manutenzione delle nostre strade prevede l’asportazione degli strati ammalorati e l’accumulo del materiale residuo. Tuttavia, con il passare del tempo, l’accumulo di questo materiale è sempre più importante, fino a diventare un onere sia per le imprese che per la stessa collettività: accumulare materiale fresato vuol dire occupare spazi e gestire volumi che per le imprese corrispondono ad un onere economico e gestionale. Anche per la comunità il costo è importante: significa spostare materiale dal cantiere all’impianto e continuare a fare uso di materiali vergini, sfruttando cioè le cave. Per questo la tecnica del riciclaggio a freddo è diventata un’alternativa sempre più utilizzata nella riqualificazione delle pavimentazioni stradali.

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Anno 4 - Numero 16

Si tratta infatti di utilizzare il materiale fresato dai vecchi conglomerati bituminosi (ma non solo) e, con questo, ricostituire un conglomerato bituminoso nuovo con un legante freddo come l’emulsione bituminosa o il bitume schiumato. Nel nuovo conglomerato così realizzato il materiale vergine (cioè “non riciclato”) è ridotto al minimo e quindi l’impatto ambientale legato allo sfruttamento delle cave si riduce sensibilmente, come pure l’impatto dovuto allo smaltimento del materiale “di scarto”. Inoltre l’uso del legante freddo, fa sì che anche il consumo energetico sia ridotto ed al contempo si guadagna in sicurezza per il personale addetto all’opera avendo infatti una notevole diminuzione dei rischi di incidenti per ustioni ed emissioni di fumi o vapori.

Il quadro normativo ambientale Queste applicazioni devono essere supportate da un’accurata disamina delle norme ambientali di riferimento, riguardanti le definizioni di rifiuto e di “non rifiuto”. Secondo la normativa nazionale, il fresato d’asfalto, dal quale generalmente si producono i conglomerati bituminosi riciclati a freddo, è considerato un rifiuto da costruzione e

demolizione. In genere, si tratta di un rifiuto non pericoloso con codice CER 191302 (esiste anche il cd. codice “a specchio”, CER 191301*, relativo a miscele bituminose contenenti catrame di carbone). Come sarà precisato di seguito, l’assunzione che il fresato d’asfalto sia un rifiuto non è da intendersi valida in senso incondizionato. Secondo l’art. 183 del D.Lgs. 152/06, si definisce rifiuto “qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l'intenzione o abbia l'obbligo di disfarsi”. E’ quindi fondamentale capire quando si verifica “l’obbligo di disfarsi” di una certa sostanza o oggetto. Per i materiali derivanti dalle attività di costruzione e demolizione, compresi quelli derivanti dalla demolizione di pavimentazioni stradali, tale obbligo è ormai acclarato, in virtù di una giurisprudenza molto ricca e sostanzialmente omogenea (v. le recenti sentenze della Cassazione Sez. III del 29/4/2011, n. 16705 e n. 16727). Ne deriva che qualsiasi attività di recupero di tali materiali è un’attività di gestione di rifiuti, sottoposta alle normative in materia. Seppure in un generale assoggettamento dei materiali da demolizione alla fattispecie dei rifiuti, in alcune applicazioni del riciclaggio a freddo si verificano delle eccezioni.


Quest’ultima asserzione trova origine nell’art. 184 c. 3 del D.Lgs. 152/06, in cui si specifica che: sono rifiuti speciali […] i rifiuti derivanti dalle attività di demolizione, costruzione, nonché i rifiuti che derivano dalle attività di scavo, fermo restando quanto disposto dall'articolo 184-bis. L’articolo 184-bis, contiene al comma 1 la definizione di sottoprodotto, con una serie di condizioni che, se soddisfatte, consentono di escludere un determinato materiale dalla nozione di rifiuto. E' un sottoprodotto e non un rifiuto ai sensi dell'articolo 183, comma 1, lettera a), qualsiasi sostanza od oggetto che soddisfa tutte le seguenti condizioni: • la sostanza o l'oggetto è originato da un processo di produzione, di cui costituisce parte integrante, e il cui scopo primario non è la produzione di tale sostanza od oggetto; • è certo che la sostanza o l'oggetto sarà utilizzato, nel corso dello stesso o di un successivo processo di produzione o di utilizzazione, da parte del produttore o di terzi; • la sostanza o l'oggetto può essere utilizzato direttamente senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale; • l'ulteriore utilizzo è legale, ossia la sostanza o l'oggetto soddisfa, per l'utilizzo specifico, tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell'ambiente e non porterà a impatti complessivi negativi sull'ambiente o la salute umana.

L’onere di provare il rispetto delle condizioni suddette è a carico del soggetto produttore; a tal fine è quindi necessario che quest’ultimo predisponga una serie di documenti ed atti dai quali si evinca il rispetto della definizione di sottoprodotto. La mancanza di una sola delle condizioni previste comporta l'assoggettamento alla disciplina sui rifiuti. Nelle operazioni di riciclaggio a freddo, il regime normativo di riferimento dipende dai differenti casi applicativi; schematizzando, sono state identificate tre casistiche generali, di seguito descritte. Riciclaggio diretto “in situ” della pavimentazione mediante riciclatrice

Tale operazione si realizza utilizzando un “treno di riciclaggio”, in cui la vecchia pavimentazione è rigenerata attraverso un unico passaggio della riciclatrice (es. Wirtgen WR 2000), che la frantuma e la miscela ai nuovi leganti. In questo caso non si verifica produzione né di rifiuti, né di sottoprodotti: la vecchia pavimentazione si rigenera in situ senza movimentazione di materiali e senza alcun materiale di risulta o in esubero. Resta inteso chiaramente che il fresato in esubero, ad esempio proveniente dalla scarifica del vecchio tappeto di usura ed eventualmente del binder, deve essere gestito come un rifiuto.

Riciclaggio della pavimentazione esistente mediante impianto mescolatore semi-mobile

Come descritto nella sezione precedente il riciclaggio a freddo può essere eseguito utilizzando un impianto mescolatore, come il Wirtgen KMA 220, posizionato all’interno del cantiere ai fini del rifacimento di una pavimentazione ammalorata. L’intervento prevede una prima fase di fresatura della vecchia pavimentazione ed il suo accatastamento all’interno dell’area di cantiere. Successivamente, il fresato (tal quale) viene mescolato, nel KMA, ai leganti ed agli inerti necessari predeterminati. Il fresato così impiegato nella produzione del conglomerato bituminoso riciclato a freddo, soddisfa la definizione di sottoprodotto ed è escluso dalla normativa sui rifiuti; la lettura dell’art. 184-bis, sopra riportato, consente di verificare la correttezza di tale assunzione. E’ necessario, al fine di poter sostenere la correttezza della procedura applicata, disporre preventivamente della documentazione a supporto (progetto, procedure, contratti di appalto, ecc.) e deve essere verificato che il fresato riutilizzato in cantiere sia compatibile dal punto di vista ambientale (es. esecuzione di test di cessione secondo i criteri del D.M. 5/2/1998 e s.m.i.). E’ opportuno che il fresato d’asfalto abbia, fin dalla sua produzione (fresatura), una pezzatura tale da non richiedere trattamenti di

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impianto mobile di ricicl aggio a freddo Il riciclaggio a freddo (cioè senza riscaldamento preventivo dell’aggregato) con macchinario Wirtgen può avvenire, come detto, in situ con macchine riciclatrici WR o in impianto mobile KMA. In questa sede si descrive brevemente quest’ultimo impianto. Da un punto di vista tecnico il KMA 220 unisce incontrastate doti di versatilità e trasportabilità, a quelle di elevata capacità di produzione (fino a 220 t/h); a ciò si aggiunge la possibilità di confezionare svariate tipologie di miscele con un perfetto controllo qualitativo. Si possono, infatti, produrre dai misti cementati (da vari materiali) ai riciclati a freddo con emulsione bituminosa o bitume schiumato. L’impianto è dotato di due tramogge e di sistemi di pesatura e dosaggio a volume. Due saracinesche all’uscita del dosatore convogliano il materiale di partenza sul nastro che ne rileva il peso per mezzo della bilancia integrata; il tutto è addotto al mescolatore dove acqua e legante sono aggiunti in funzione del peso del materiale di partenza. I leganti idraulici sono dosati tramite coclee pesatrici e quelli bituminosi attraverso flussometri. Centraline di controllo tutelano rigorosamente il rispetto della miscela di progetto. Il sistema di controllo gestisce tutte le operazioni in modo automatizzato e qualsiasi anomalia o mancanza di materiale è rilevata arrestando l’impianto.

Applicazione dell'impianto KMA nell'inertizzazione dei rifiuti

Merita un capitolo a parte l’applicazione dell’impianto KMA nel trattamento di inertizzazione di rifiuti o terreni contaminati. I processi di inertizzazione (o stabilizzazione/solidificazione), sono impiegati nel trattamento di una vasta gamma di rifiuti, ai fini di conseguire una riduzione del rilascio di contaminanti verso l’ambiente; tale scopo è raggiunto attraverso una duplice azione, di fissazione chimica e di intrappolamento del rifiuto all’interno di una matrice inerte. Essi constano di due fasi, così definite dalla US-EPA (Environmental Protection Agency): • stabilizzazione - l’insieme di tecniche in grado di ridurre il potenziale pericoloso del rifiuto attraverso la conversione dei contaminanti nella loro forma meno solubile, meno mobile e meno tossica; • solidificazione - l’insieme di tecniche che operano la trasformazione del rifiuto in una massa solida ad alta integrità strutturale. Le tecnologie applicate per l’inertizzazione di rifiuti possono essere così raggruppate: • stabilizzazione/solidificazione con leganti idraulici a base di reagenti inorganici, quali cemento, calce, argilla, ecc.; • stabilizzazione/solidificazione a base di reagenti organici, quali materie termoplastiche, polimeri, macro incapsulanti, ecc. Con i suddetti processi si ottiene una riduzione sia della superficie di contatto tra il rifiuto e le acque di percolazione, sia della mobilità dell’inquinante nel rifiuto per effetto della sua fissazione (chimica e fisica). In generale, le fasi di un processo di stabilizzazione/solidificazione sono le seguenti: • classificazione iniziale e studio di fattibilità (batch test); • eventuale pretrattamento; • miscelazione del rifiuto con i reagenti; • smaltimento-recupero del rifiuto (normalmente in discarica o impianti di recupero) o in alternativa il materiale può essere riutilizzato in sito, a determinate condizioni. I sistemi con cui realizzare gli interventi di stabilizzazione/solidificazione in situ possono essere diversi. Essendo un mescolatore, il KMA può essere utilizzato per la miscelazione dei rifiuti ai leganti/additivi necessari alla loro inertizzazione. Le categorie di rifiuti trattabili con l’impianto in esame sono le seguenti: • scorie di fusione metalli; • terre ghiaiose e sabbiose, con percentuali di limo e argilla limitate, contaminate da metalli pesanti o altri contaminati; • asfalti e sottofondi stradali contaminati da idrocarburi pesanti o IPA (recuperabili con bitume). I materiali da trattare, sono caricati con pala o escavatore meccanico nel dosatore e trattati nel mescolatore con l’aggiunta di percentuali note di leganti e additivi. E’ sconsigliabile con l’impianto mescolatore descritto, effettuare il trattamento di materiali non friabili, materiali bagnati, materiali non palabili, fangosi e materiali metallici. In generale, l’impianto non consente di trattare materiali con pezzatura superiore a 45 mm quindi, ove necessario, occorre preventivamente procedere alla vagliatura/riduzione granulometrica dei materiali in ingresso. I leganti più idonei e le relative percentuali dovranno essere determinati caso per caso, sperimentalmente. Ai fini della realizzazione dei trattamenti descritti, è necessario che l’impianto sia preventivamente autorizzato per il trattamento di rifiuti, ai sensi dell’art. 208 c. 15 del D.Lgs. 152/06. In alternativa, è possibile un utilizzo dell’impianto nell’ambito di un progetto di bonifica o di messa in sicurezza permanente, autorizzato ai sensi dell’art. 242 c. 7 del D.Lgs. 152/06.

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frantumazione, che condurrebbero ad ipotesi di attività di recupero di rifiuti non autorizzate (v. sentenza della Cassazione Sez. III n. 888 del 27/4/2011). Infine, è consigliabile posizionare l’impianto mobile all’interno del cantiere, in modo da minimizzare gli impatti ambientali ed anche per una migliore “sostenibilità normativa” della pratica del riutilizzo. Eventuale fresato in esubero o non conforme alle condizioni sopra descritte deve essere gestito come rifiuto.

si del D.Lgs. 152/06, art. 208 c. 15, per operazioni di recupero R13 (messa in riserva) ed R5 (riciclaggio/recupero di altre sostanze inorganiche); • procedura semplificata - operazioni di recupero R13 ed R5 condotte secondo gli artt. 214 e 216 del D.Lgs. 152/06, dettagliatamente regolamentate nel D.M. 5 febbraio 1998 e s.m.i.

In entrambi i casi, il trasporto del materiale fresato dai cantieri di produzione a quello di destinazione, deve essere eseguito con automezzi autorizzati al trasporto di rifiuti, accompagnato da apposito formulario d’identificazione. *CGS Consolidamenti **Wirtgen Macchine

Costruzione di una nuova pavimentazione con riciclaggio a freddo

Nella realizzazione di nuove opere, in cui il fresato bituminoso proveniente da altri cantieri deve essere riciclato in sito, è necessario operare nel rispetto delle norme sul recupero di rifiuti. A tal fine esistono due possibili alternative, fondate su altrettanti regimi normativi: • procedura ordinaria - utilizzo di impianti mobili di recupero (riciclatrici o mescolatori) preventivamente autorizzati ai sen-

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La tutela penale dell’ambiente secondo il d.lgs. 121/2011 Luci ed ombre nel decreto entrato in vigore lo scorso agosto che recepisce le direttive comunitarie in materia di reati contro l’ambiente di Rosa Bertuzzi*

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al 16 agosto 2011 sono in vigore i nuovi reati ambientali introdotti dal Decreto Legislativo 7 luglio 2011, n. 121, pubblicato nella G.U. del 1° agosto 2011, n. 177. Tale decreto attua la direttiva 2008/99/CE sulla tutela penale dell'ambiente, nonché la direttiva 2009/123/CE che modifica la direttiva 2005/35/CE relativa all'inquinamento provocato dalle navi e all'introduzione di sanzioni per violazioni. Il D.Lgs. 7 luglio 2011, n. 121 ha ampliato il sistema di repressione penale degli illeciti ambientali, introducendo nuove fattispecie incriminatrici (art. 727-bis c.p. e art. 733-bis c.p.) e una nuova disciplina in materia di responsabilità delle persone giuridiche, fino ad oggi non prevista per i reati contro l’ambiente, estendendo i reati previsti dal D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231. Quanto ai contenuti, il provvedimento introduce nel Codice Penale i due nuovi reati:

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• “uccisione, distruzione, cattura, prelievo, detenzione di esemplari di specie animali o vegetali selvatiche protette” (art. 727 bis) - l’art. 1 lettera a) introduce tale articolo nel codice penale in quale sancisce che chiunque, uccide, cattura o detiene esemplari appartenenti ad una specie animale selvatica protetta è punito con l'arresto da uno a sei mesi o con l'ammenda fino a 4.000 euro. Altresì disponendo che chiunque distrugge, preleva o detiene esemplari appartenenti ad una specie vegetale selvatica protetta è punito con l'ammenda fino a 4.000 euro;

• “distruzione o deterioramento di habitat all’interno di un sito protetto” (art. 733 bis) e modifica il D.Lgs. n. 231/01, estendendo la disciplina della responsabilità amministrativa degli enti ad una serie di reati ambientali (art. 25-undecies). La lettera b) dell’art. 1 del decreto in commento modifica anch’esso il codice penale stabilendo che chiunque distrugge un habitat all'interno di un sito protetto o comunque lo deteriora compromettendone lo stato di conservazione, è punito con l'arresto fino a diciotto mesi e con l'ammenda non inferiore a 3.000 euro. L'alterazione o la distruzione di un habitat dovrà avere come riferimento la presenza dell'ambiente compromesso negli elenchi delle ZPS o delle ZSC indicate dallo Stato italiano in attuazione delle direttive Habitat ed Uccelli. Il provvedimento prevede inoltre nuove sanzioni amministrative conseguenti alla commissione di reati a carico delle persone giuri-


diche e società in materia di ambiente e nuove responsabilità nel T.U. Ambiente, in materia di trattamento dei rifiuti. Nel D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231 sono introdotte fattispecie, sia delittuose che contravvenzionali, attese dal Codice penale, dal Codice dell’ambiente (D.Lgs. 152/06), dalle norme a protezione di specie animali e vegetali in via di estinzione e di animali pericolosi (L. 150/1992), dalle norme a tutela dell’ozono (art. 3, L. 549/2003), dalle disposizioni relative all’inquinamento provocato da navi (artt. 8 e 9, D.Lgs. 202/07, che aveva già recepito nel diritto interno la Direttiva 2005/35/CE). Il D.Lgs. n. 121/2011 dispone a carico dell'ente responsabile sanzioni pecuniarie e sanzioni interdittive per una durata massima di 6 mesi. Nello specifico viene inserito l'articolo 25-nonies nel D.Lgs. 231/01, “induzione a non rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni mendaci all'autorità giudiziaria”. Tale articolo si riferisce alla commissione del delitto di cui all'art. 377-bis del codice penale “Dichiarazioni mendaci all’autorità giudiziaria”, alla cui violazione si applicherà alla persona giuridica la sanzione pecuniaria fino a cinquecento quote. L’art. 2 del decreto in commento estende la disciplina della responsabilità amministrativa degli enti ad una serie di reati ambientali (art. 25-undecies). L’art. 25-undecies, fondamentale, rubricato “Reati ambientali“ dispone che in relazione alla commissione dei reati previsti dal codice penale, si applicheranno all'ente le seguenti sanzioni pecuniarie: 1. per la violazione dell'articolo 727-bis “delitto di danneggiamento di habitat all'interno di un sito protetto” la sanzione pecuniaria fino a duecentocinquanta quote; 2. per la violazione dell'articolo 733-bis “uccisione o possesso di specie vegetali o animali protette” la sanzione pecuniaria da centocinquanta a duecentocinquanta quote. Le condotte illecite sono ripartite in tre categorie in base alla gravità della condotta stessa. Il legislatore ha voluto mantenere identificazione delle sanzioni pecuniarie in quote (ogni quota varia da un minimo di 258 euro a un massimo di 1.549). E’ prevista la sanzione pecuniaria fino a 250 quote per i reati sanzio-

nati con l'ammenda o con la pena dell'arresto fino a un anno oppure fino a due anni alternativa alla pena pecuniaria; la sanzione pecuniaria da 150 a 250 quote per i reati sanzionati con la reclusione fino a 2 anni o con la pena dell'arresto fino a due anni; la sanzione pecuniaria, infine, da 200 a 300 quote per i reati sanzionati con la reclusione fino a tre anni o con la pena dell'arresto fino a tre anni. A causa dell'estrema gravità della condotta l'articolo 260 del Codice dell'ambiente rubricato “Attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti” definisce che la sanzione può arrivare fino a 500 quote con un picco di 800 quando si tratta di scarti radioattivi. La sanzione può arrivare a 250 quote per il trasporto di rifiuti senza il formulario e per le violazioni sulla bonifica dei siti. Se la persona giuridica viene utilizzata allo scopo di consentire o agevolare la commissione dei reati contro le norme sul traffico dei rifiuti (di cui all'articolo 260 del D.Lgs. 152/06, e all'articolo 8 del D.Lgs. 202/07), verrà applicata la sanzione dell'interdizione definitiva dall'esercizio dell'attività ex art. 16, comma 3, del D.Lgs. 8 giugno 2001 n. 231. In tutti i casi, alle infrazioni al codice dell'ambiente e a quelle provocate da navi, conseguirà l’applicazione delle sanzioni interdittive, dall’interruzione dell'attività alla sospensione delle autorizzazioni per una durata massima di sei mesi.

Per quanto riguarda invece la commissione dei reati previsti dall'articolo 3, comma 6, della legge 28 dicembre 1993, n. 549 “Misure a tutela dell'ozono stratosferico e dell'ambiente”, si applica all'ente la sanzione pecuniaria da centocinquanta a duecentocinquanta quote. La commissione dei reati previsti dal D.Lgs. 202/07, “Attuazione della direttiva 2005/35/ CE relativa all'inquinamento provocato dalle navi e conseguenti sanzioni”, comporta l’applicazione delle seguenti sanzioni pecuniarie: a. per il reato di cui all'articolo 9, comma 1 “Inquinamento colposo”, la sanzione pecuniaria fino a duecentocinquanta quote; b. per i reati di cui agli articoli 8, comma 1 “Inquinamento doloso” e 9, comma 2, la sanzione pecuniaria da centocinquanta a duecentocinquanta quote.

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All'articolo 39 del decreto legislativo 3 dicembre 2010, n. 205, viene sostituito il comma 2 il quale specifica le diverse sanzioni, al fine di graduare la responsabilità nel primo periodo di applicazione del sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti (SISTRI), i soggetti obbligati all'iscrizione al predetto sistema che omettono l'iscrizione o il relativo versamento nei termini previsti sono puniti, per ciascun mese o frazione di mese di ritardo: a. con una sanzione pari al cinque per cento dell'importo annuale dovuto per l'iscrizione se l'inadempimento si verifica nei primi otto mesi successivi alla decorrenza degli obblighi di operatività per ciascuna categoria di operatori, enti o imprese; b. con una sanzione pari al cinquanta per cento dell'importo annuale dovuto per l'iscrizione se l'inadempimento si verifica o comunque si protrae per i quattro mesi successivi. Viene introdotto anche il comma 2-bis, il quale chiarisce che fino alla decorrenza degli obblighi di operatività del sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti (SISTRI) i soggetti che non adempiono alle prescrizioni di cui all'articolo 28, comma 2, del decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare 18 febbraio 2011, n. 52, saranno assoggettati alle relative sanzioni previste dall'articolo 258 del D.Lgs. 152/06, nella formulazione precedente all'entrata in

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vigore del presente decreto. Ulteriormente viene introdotto anche il comma 2-ter, il quale sancisce che la presentazione del modello unico di dichiarazione ambientale si applica ai soggetti tenuti alla comunicazione di cui all'articolo 28, comma 1, del citato decreto ministeriale 18 febbraio 2011, n. 52. Infine viene introdotto anche il comma 2-quater, il quale determina che le sanzioni amministrative di cui all'articolo 260-bis, commi 3, 4, 5, 7 e 9, del D.Lgs. 152/06, sono ridotte, ad eccezione dei casi di comportamenti fraudolenti di cui al predetto comma 3, a un decimo per le violazioni compiute negli otto mesi successivi alla decorrenza degli obblighi di operatività per ciascuna categoria di operatori, enti o imprese, e a un quinto per le violazioni compiute dalla scadenza dell'ottavo mese e per i successivi quattro mesi. L’art. 3 inserisce le modifiche al D.Lgs. 152/06: all'articolo 260-bis, successivamente al comma 9, sono aggiunti i commi 9-bis, 9-ter. Il comma 9-bis sancisce che chi con un'azione od omissione viola diverse disposizioni o commette più violazioni della stessa disposizione soggiace alla sanzione amministrativa prevista per la violazione più grave, aumentata sino al doppio. La medesima sanzione si applica a chi con più azioni od omissioni, esecutive di un medesimo disegno, commette anche in tempi diversi più violazioni della stessa o di diverse disposizioni di cui al presente articolo.

Il comma 9-ter prescrive che non risponde delle violazioni amministrative chi, entro trenta giorni dalla commissione del fatto, adempie agli obblighi previsti dalla normativa in materia di sistema informatico di controllo. Nel termine di sessanta giorni dalla contestazione immediata o dalla notificazione della violazione, il trasgressore può definire la controversia, previo adempimento degli obblighi, attraverso il pagamento di un quarto della sanzione prevista. Ulteriore novità è introdotta dalla lett. b) del c. 1) dell'art. 4 del decreto legislativo in quanto esclude nuovamente dall'obbligo di tenuta del registro di carico e scarico per le imprese e gli enti che raccolgono e trasportano i propri rifiuti speciali non pericolosi ricavati da attività di demolizione, costruzione e attività di scavo. L’art. 4 modifica al D.Lgs. 205/10, determinando che all’art. 190 del D.Lgs. 152/06, è inserito il comma 1-bis. il quale fissa che sono esclusi dall'obbligo di tenuta di registro di carico e scarico gli imprenditori agricoli che raccolgono e trasportano i propri rifiuti speciali non pericolosi e le imprese e gli enti che raccolgono e trasportano i propri rifiuti speciali non pericolosi. Tale obbligo era stato introdotto dal D.Lgs. 205/10 nel caso in cui le imprese optassero di non aderire su base volontaria al SISTRI, che sarebbe dovuto essere operativo dal 2 settembre 2011. *Ambienterosa, Consulenze legali ambientali


Agenzia per l’Ambiente e la Gestione delll’Energia


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Nuove definizioni di rifiuto, sottoprodotto, terre e rocce da scavo Le modifiche apportate dal "quarto correttivo" al D.Lgs. 152/06 garantiscono una "soggettività sostenibile" in senso ambientale ed economico? di Andrea Quaranta*

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n uomo saggio una volta disse: “non esistono uomini perfetti, solo intenzioni perfette”. Questa frase – tratta dal film “Robin Hood, principe dei ladri” – che ho di recente utilizzato per commentare la Robin tax sulle rinnovabili, può essere utilizzata anche per analizzare la normativa in materia di gestione dei rifiuti e di bonifica dei siti contaminati, che presentano fra di loro molti aspetti interconnessi, fra i quali spiccano quelli relativi alla nozione di rifiuto (correlata a quella di terreno contaminato) e di sottoprodotto (correlata con quella di terre e rocce da scavo). La normativa ambientale, come è stato sottolineato più volte nelle pagine di questa rivista, è oggetto di modifiche permanenti, non solo per motivi sociali e politici, connessi alle perenni emergenze e alle difficoltà di trovare il giusto equilibrio fra interessi diversi e, in alcuni casi, divergenti, ma anche per le continue innovazioni tecnologiche, che spingono sempre più in là il limite delle sostenibilità (ambientali, energetiche, economiche, finanziarie, sociali, culturali, ecc.) e, inevitabilmente, anche quello dei costi necessari per raggiungerle (prima) e mantenerle (poi). Nel mondo globalizzato in cui viviamo e operiamo, ai fini del raggiungimento delle sostenibilità, la “green legislation”, la “green economy” e gli interessi divergenti, ugualmente

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meritevoli di tutela, devono necessariamente coesistere e allo stesso modo la perfezione delle intenzioni di coloro che partecipano al “balletto” tecnico-normativo-pratico deve inevitabilmente rappresentare un ideale cui bisogna tendere: sarebbe utopistico credere che, al contrario, possa rappresentare un traguardo da raggiungere. Fatta questa premessa di ordine generale, occorre verificare se, ed eventualmente come, la recente modifica in materia di gestione dei rifiuti abbia modificato il precedente quadro normativo che, oltre ad aver dato àdito ad infinite querelle interpretative, ha comportato un dispendio di energie temporali ed economiche non indifferente. In questo contributo – senza entrare nell’analisi dell’abolizione (temporanea?) del Sistri, di cui si ritiene opportuno parlare solo a bocce ferme, all’indomani della conversione in legge del D.L. che ne ha previsto la totale soppressione – verrà delineato un quadro generale dei più significativi conflitti interpretativi, relativi alle nozioni di rifiuto, sottoprodotto e terre e rocce da scavo, all’indomani dell’entrata in vigore delle nuova disciplina. Nei prossimi numeri della rivista, invece, verrà analizzata la questione relativa al destino dei terreni contaminati (rifiuti o non rifiuti?) e le specifiche problematiche che la normativa, nonostante la sua “evoluzione” nel tem-

po, non è riuscita a risolvere, e le possibili vie d’uscita ipotizzabili di volta in volta in alcuni casi pratici.


Le nuove definizioni di rifiuto e sottoprodotto Uno degli aspetti meno appariscenti, ma significativo, del c.d. “quarto correttivo" è rappresentato dalla scomparsa dell'allegato A ai fini della classificazione di qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsi come rifiuto. Era un criterio oggettivo che una parte della dottrina (Santoloci) ha sempre ritenuto inutile ma “comodo”, perché consentiva, sia pure per motivi diversi, alle forze di polizia e alle imprese di qualificare o meno una sostanza come rifiuto sulla base della sua presenza o meno all’interno dell’elencazione ivi contenuta. Indubbiamente, l’analisi circa la condizione soggettiva del disfarsi era – e continua ad essere – più complessa, anche se l’unica in grado di dare concretezza alle nozioni di rifiuto e di sottoprodotto: lo hanno dimostrato le sentenze amministrative e penali, che hanno avuto (e avranno) come oggetto la dimostrazione, inter alia, dell’effettivo riutilizzo, nel rispetto di particolari condizioni tecniche e in determinati cicli produttivi, di una sostanza considerata

oggettivamente come rifiuto (perché inserita nell’elenco di cui all’allegato A), ma soggettivamente come sottoprodotto. Le modifiche contenute nel D.Lgs. n. 205/2010 hanno riguardato anche quest’ultima definizione, altrettanto utile a definire i confini della nozione di rifiuto, sulla scia di quanto affermato dalla Commissione europea, che in più occasioni ha stimolato gli stati membri a soffermarsi sulla necessità di dare il giusto peso ad una nozione soggettiva di rifiuto, perché una sua interpretazione troppo ampia “impone alle aziende costi superflui, rendendo meno interessante un materiale che potrebbe rientrare nel circuito economico”, mentre un’interpretazione troppo restrittiva “può tradursi in danni ambientali e pregiudicare l’efficacia della legislazione e delle norme comunitarie in materia di rifiuti”. Il sottoprodotto oggi deve rispettare quattro condizioni (art. 184-bis, comma 1): i. la sostanza o l’oggetto è originato da un processo di produzione, di cui costituisce parte integrante, e il cui scopo primario non è la produzione di tale sostanza od oggetto;

ii. è certo che la sostanza o l’oggetto sarà utilizzato, nel corso dello stesso o di un successivo processo di produzione o di utilizzazione, da parte del produttore o di terzi; iii. la sostanza o l’oggetto può essere utilizzato direttamente senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale; iv. l’ulteriore utilizzo è legale, ossia la sostanza o l’oggetto soddisfa, per l’utilizzo specifico, tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell’ambiente e non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o sulla salute umana. L’ampliamento della nozione di sottoprodotto, operato dal D.Lgs. n. 205/2010, significa, nei fatti, accordare maggior rilievo alla condizione soggettiva di individuazione del rifiuto, secondo l’ottica ispiratrice della Corte di giustizia europea, che per prima ha introdotto il concetto di sottoprodotto proprio per cercare quel necessario equilibrio fra esigenze di tutela dell’ambiente e di stimolo dell’attività economica.

terre e rocce da scavo e coordinamento con l a nozione di sottoprodotto

L’art. 184-bis, comma 2, del D.Lgs. n. 205/2010 stabilisce che, sulla base delle condizioni previste per poter qualificare una sostanza o un oggetto non come rifiuto ma come sottoprodotto, “possono essere adottate misure per stabilire criteri qualitativi o quantitativi da soddisfare affinché specifiche tipologie di sostanze o oggetti siano considerati sottoprodotti e non rifiuti. All’adozione di tali criteri si provvede con uno o più decreti del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della Legge 23 agosto 1988, n. 400, in conformità a quanto previsto dalla disciplina comunitaria”. Fra le specifiche tipologie di sostanze o oggetti rientrano le terre e rocce da scavo (t.r.s.) – altro tema di conflitto interpretativo, volto a sottrarre alla nozione di rifiuto ampie categorie di terra derivante da scavi, specie nel corso di opera-

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zioni di bonifica – la cui disciplina, a causa della sua non completa attuazione, non ha sopito le incertezze che da anni caratterizzano il settore. Nella versione originaria di quello che sarebbe diventato il “quarto correttivo” era previsto che la normativa sulle t.r.s. dovesse confluire in quella prevista per i sottoprodotti, con la conseguenza che le terre e rocce da scavo sarebbero state considerate alla stregua di qualunque altra sostanza od oggetto, come sottoprodotto o come rifiuto a seconda del rispetto o meno delle quattro condizioni elencate nel paragrafo precedente. Abbandonata questa impostazione, l’abrogazione dell’art. 186 è stata, di fatto, rinviata all’emanazione dei decreti di cui all’art. 184bis del D.Lgs. n. 205/2010, con i quali dovranno essere individuati gli oggetti e le sostanze che, ex lege, saranno considerati sottoprodotti e che andranno a definire i criteri qualitativi o quantitativi da soddisfare affinché una sostanza o un oggetto specifico sia considerato sottoprodotto. Fino ad allora, le due discipline (quella sulle terre e rocce da scavo e quella sui sottoprodotti, che presentano il tratto comune di venire esclusi dalla nozione di rifiuto, in presenza di una serie di requisiti) convivranno. In dottrina (Butti) c’è chi ha sottolineato l'esigenza di un’interpretazione coordinata delle due norme, per evitare di considerare il sottoprodotto come requisito necessario ma non sufficiente della nozione di terre e rocce da scavo: dal mero dato letterale dell’art. 186 (che indica “le terre e rocce da scavo, anche di gallerie, ottenute quali sottoprodotti, possono essere utilizzate per reinterri, riempimenti, rimodellazioni e rilevati purché […]”) potrebbe emergere un’interpretazione in base alla quale l’essere sottoprodotto costituisce solo una delle condizioni in base alle quali poter escludere le t.r.s. dalla disciplina prevista per la gestione dei rifiuti. Nella prassi, la giurisprudenza ha avuto modo di sottolineare che “non è configurabile il reato di gestione di rifiuti non autorizzata in presenza di un’attività di frammentazione o macinatura di terre e rocce da scavo, in quanto tale attività non costituisce un’operazione di trasformazione preliminare, non determinando di per se stessa alcuna alterazione dei requisiti merceo-

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logici e di qualità ambientale” (Cass. Pen., sez. III, 6 novembre 2008, n. 41331), mentre alcune regioni hanno già ammesso, anche prima delle ultime modifiche normative, la possibilità di considerare i materiali provenienti da siti già bonificati come terre e rocce da scavo. In particolare, il Piemonte ha precisato che la movimentazione delle terre e rocce da scavo sarà possibile qualora le stesse risultino compatibili con le condizioni del sito di destinazione, individuate secondo le procedure definite dalla D.G.R. n. 24-13302 del 15 febbraio 2010: in casi come questo, “non è necessaria a priori l’esecuzione di ulteriori indagini analitiche, che dovranno invece essere eseguite qualora, successivamente al rilascio della suddetta certificazione, si siano svolte attività o si siano verificati eventi che possono aver modificato le caratteristiche delle matrici ambientali del sito o al verificarsi, durante le operazioni di produzione delle terre e rocce, di un evento che sia potenzialmente in grado di contaminare il sito”. In Veneto, la D.G.R. n. 2424 del 2008, dopo aver ribadito la validità delle linee direttrici dell’azione regionale, coerentemente finalizzate ad ottenere, inter alia, “la tracciabilità della movimentazione delle terre da scavo, sia per garantire l’effettività del loro utilizzo, sia per ampliare il quadro di conoscenza territoriale relativamente alla qualità ambientale dei siti da parte dei vari soggetti coinvolti nella tutela ambientale”, ha precisato che: • le disposizioni relative alle terre e rocce da scavo si applicano ai materiali di scavo naturali e non ai materiali di origine antropica quali ad esempio: detriti da demolizione, residui di scarifica stradale, calcestruzzi; • per la realizzazione di reinterri, riempimenti, rimodellazioni e rilevati, anche con l’utilizzo di terre e rocce provenienti da altri siti, deve essere comunque acquisito lo specifico provvedimento amministrativo che la legge, a seconda della tipologia di intervento, prevede per consentirne la realizzazione. I provvedimenti relativi alle opere dalle quali derivano i suddetti materiali, infatti, non costituiscono titolo abilitativo per la realizzazione delle opere ove possano essere utilizzati;

• le eventuali lavorazioni effettuate sui materiali di scavo finalizzate ad ottimizzarne l’utilizzo (quali, ad esempio: la vagliatura, il lavaggio, la riduzione volumetrica, l’essiccazione mediante stendimento al suolo ed evaporazione e la stabilizzazione geotecnica mediante trattamento a calce o cemento) non incidono sulla classificazione come sottoprodotto degli stessi in quanto non costituiscono “trattamenti o trasformazioni preliminari” indicati all’art. 186, comma 1, lett. c), bensì lavorazioni che consentono di rendere maggiormente produttivo e tecnicamente efficace l’utilizzo di tali materiali (in sostanza si tratta delle stesse lavorazioni che si praticano sui materiali di cava proprio per ottimizzarne l’utilizzo), ferma restando la compatibilità delle frazioni ottenute con i siti di destinazione e l’integrale utilizzo della parte dei materiali destinati a riutilizzo. Da ultimo, la regione Puglia ha emanato il regolamento regionale n. 5 del 2011, con il quale ha dettato le norme per la gestione delle terre e rocce da scavo derivanti da attività di movimentazione di terre e lavorazione dei materiali inerti, al fine di garantire un uso razionale ed efficiente delle risorse naturali, privilegiando il riutilizzo di materiali derivanti da interventi di scavo e lavorazione per […] il ricolmamento di cave, e prevedendo un apposito sistema di tracciabilità. In definitiva, un sistema di norme statali e di “controbilanciamenti” ad opera della giurisprudenza e delle prassi regionali per fare in modo che, si possa giungere ad una concezione di rifiuto che, sia pure soggettiva, attraverso il giusto contemperamento di esigenze differenti, non si risolva in una sterile contrapposizione ideologica, ma attraverso una specifica analisi del caso concreto, contribuisca effettivamente alla massima tutela dell’ambiente e alla preservazione delle risorse naturali. Misure concrete, insomma, per contribuire, pro quota, al rilancio di un’economia che, anche nel settore ambientale, si trova a dover fare i conti con una normativa bizantina e una burocrazia lenta e macchinosa: misure serie, durature e (se non perfette, almeno) sostenibili. *Consulente legale ambientale www.naturagiuridica.com


Piazzole ecologiche e centri di raccolta Le modalità di conferimento dei rifiuti assimilati: una possibile chiave di lettura nella legge lombarda di Federico Vanetti*

U

n recente caso lavorativo è stato occasione di riflessione rispetto ad una questione che, in assenza di chiare indicazioni da parte della giurisprudenza, risulta lacunosa e, dunque, di dubbia interpretazione. In particolare, tale questione riguarda le modalità di conferimento delle frazioni di rifiuti speciali assimilati agli urbani presso i centri di raccolta e, dunque, se tali conferimenti debbano necessariamente essere accompagnati dai formulari di identificazione del rifiuto. La normativa regionale lombarda, invero, sembrerebbe offrire qualche indicazione in più rispetto alla normativa nazionale. Con il presente contributo, dunque, si intende passare in rassegna la disciplina che regola la gestione dei centri di raccolta, per poi concludere con l'inquadramento della questione specifica sulle modalità di conferimento dei rifiuti assimilati.

I Centri di Raccolta Prima di comprendere le modalità di conferimento dei rifiuti speciali assimilati agli urbani presso i centri di raccolta, occorre comprendere cosa siano tali centri. I centri di raccolta sono espressamente previsti dall'art. 183, comma 1 lett. cc) del D.Lgs. 152/06 che li definisce: "area presidiata ed allestita, senza ulteriori oneri a carico della finanza pubblica, per l'attività di raccolta mediante il raggruppamento differenziato dei rifiuti per frazioni omogenee conferiti dai detentori per il trasporto agli impianti di recupero e trattamento. La disciplina dei centri di raccolta è data con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentita la Conferenza unificata Stato-Regioni, città e autonomie locali, di cui al decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281". Il centro di raccolta, dunque, rappresenta una infrastruttura propedeutica al servizio pubblico locale di gestione integrata dei rifiuti solidi urbani.

In assenza del decreto ministeriale previsto dal citato art. 183, gli enti locali, nel regolare il funzionamento delle infrastrutture propedeutiche al servizio pubblico di gestione dei rifiuti urbani, utilizzavano spesso anche il termine piattaforme ecologiche per indicare gli stessi centri di raccolta ovvero per indicare strutture analoghe presso le quali i gestori, oltre alla raccolta, svolgevano anche attività di selezione e cernita dei rifiuti. Solo recentemente, con il D.M. 8 aprile 2008 (successivamente modificato dal D.M. 13 maggio 2009), è stata data completa attuazione alla previsione di cui al citato art. 183 ed è stata adottata una specifica disciplina che regolamenta i centri di raccolta. Secondo tale D.M., dunque, "i centri di raccolta comunali o intercomunali disciplinati dal presente decreto sono costituiti da aree presidiate ed allestite ove si svolge unicamente attività di raccolta, mediante raggruppamento per frazioni omogenee per il trasporto agli impianti di recupero, trattamento e, per le frazioni non recuperabili, di smaltimento, dei rifiuti urbani e

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assimilati elencati in allegato I, paragrafo 4.2, conferiti in maniera differenziata rispettivamente dalle utenze domestiche e non domestiche anche attraverso il gestore del servizio pubblico, nonché dagli altri soggetti tenuti in base alle vigenti normative settoriali al ritiro di specifiche tipologie di rifiuti dalle utenze domestiche". L'art. 2, poi, chiarisce che "il soggetto che gestisce il centro di raccolta è iscritto all'Albo nazionale gestori ambientali di cui all'art. 212 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modifiche, nella Categoria 1 "Raccolta e trasporto dei rifiuti urbani" di cui all'art. 8 del decreto del Ministro dell'ambiente 28 aprile 1998, n. 406". Alla luce di tali indicazioni, si era posto il problema di capire se i centri di raccolta fossero impianti di trattamento di rifiuti, ovvero solo impianti di raccolta. La versione originaria del D.M. (poi soppressa dal D.M. 13 maggio 2009), infatti, prevedeva anche che "i centri di raccolta di cui all'art. 1 che, alla data di entrata in vigore del presente decreto, sono autorizzati ai sensi degli articoli 208 o 210 del decreto legislativo n. 152 del 2006 possono continuare ad operare sulla base di tale autorizzazione sino alla scadenza della stessa". Con la soppressione di tale previsione, è stato chiarito che nei centri di cui al D.M. 8 aprile 2008 è possibile effettuare solo attività di raccolta con divieto di effettuare qualsiasi attività di gestione dei rifiuti soggetta alle autorizzazioni previste dal D.Lgs. 152/06. A conferma di ciò, le modalità tecniche prevedono che "la durata del deposito di ciascuna frazione merceologica conferita al centro di raccolta non deve essere superiore a tre mesi", così come per il deposito temporaneo, che a

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differenza dello stoccaggio, non è attività di gestione dei rifiuti soggetta ad autorizzazione. Chiarita, dunque, la natura dei centri di raccolta, si pone il problema di comprendere cosa siano le Piattaforme Ecologiche e quale sia la disciplina che regola la gestione delle stesse. Un possibile chiarimento è offerto dalla normativa lombarda (L.R. n. 26 del 2003) che, disciplinando i servizi locali di interesse economico generale, stabilisce che "le reti, gli impianti e le altre dotazioni patrimoniali destinati all'esercizio dei servizi costituiscono dotazione di interesse pubblico. Gli enti locali non possono cederne la proprietà; possono, tuttavia, conferire tale proprietà, anche in forma associata, esclusivamente a società patrimoniali di capitali con la partecipazione totalitaria di capitale pubblico incedibile…". Con Delibera di Giunta regionale 13 febbraio 2008, n. 8/6581, la Regione ha, quindi, espressamente distinto le Piattaforme per la raccolta differenziata dai Centri di Raccolta. Secondo tali linee guida, le prime sono infrastrutture soggette ad autorizzazione ex art. 208 del D.Lgs. 152/06 in cui possono essere svolte anche le operazioni R13 e D15 (selezione e cernita), i secondi, invece, sono i centri disciplinati dal citato D.M. 8 aprile 2008 non soggetti ad autorizzazione e in cui l'unica attività permessa è la raccolta dei rifiuti solidi urbani e assimilati.

Le modalità di conferimento dei rifiuti assimil ati

Così chiarita la differenza tra le due infrastrutture, occorre dunque comprendere quali siano le modalità di conferimento dei rifiuti speciali assimilati agli urbani presso l'una o presso l'altra infrastruttura. Si tratta, infatti, di comprendere se tali conferimenti debbano essere accompagnati da apposito formulario di identificazione del rifiuto (o secondo le modalità di conferimento previste dal SISTRI), ovvero se a seguito dell'assimilazione, il produttore del rifiuto possa conferirli liberamente al Centro o alla Piattaforma. Ad avviso di chi scrive, la compilazione del for-

mulario è un adempimento richiesto solo per la gestione dei rifiuti speciali, in quanto sono i soggetti privati ad occuparsi dell'iter di conferimento del rifiuto dal luogo di produzione al luogo di trattamento, senza passare per il servizio pubblico di raccolta. Il formulario, dunque, rappresenta uno strumento di verifica ex post idoneo a consentire agli enti un controllo sulle attività svolte dai privati stessi. Qualora, invece, il conferimento dei rifiuti dovesse avvenire tra il privato e il gestore del servizio pubblico, quest'ultimo svolgerebbe già un controllo sulla raccolta dei rifiuti e il formulario, dunque, non sarebbe richiesto, così come, infatti, non è richiesto quando siano i cittadini a conferire i rifiuti domestici al servizio pubblico. In caso si assimilazione di rifiuti speciali ai rifiuti urbani, quindi, i primi - proprio perché assimilati - dovrebbero godere del medesimo trattamento riservato ai secondi, anche rispetto alle modalità di conferimento (i criteri generali di assimilazione sono previsti dal D.lgs. 152/06 e le modalità di assimilazione sono stabilite da ciascun comune). Tuttavia, parte della dottrina [1] non è d'accordo con tale lettura del quadro normativo e, quindi, ritiene che il formulario sia sempre e comunque necessario per il conferimento dei rifiuti assimilati ai centri di raccolta o alle piattaforme ecologiche. Ancora una volta, la normativa lombarda può offrire qualche spunto di riflessione in più. La citata Delibera di Giunta regionale 13 febbraio 2008, n. 8/6581, infatti, distingue a seconda che il conferimento dei rifiuti speciali assimilati sia effettuato presso una Piattaforma ecologica (che - come detto - è autorizzata anche a trattare il rifiuto) ovvero presso un centro di raccolta (non soggetto alle autorizzazioni ex D.Lgs. 152/06). Per quanto riguarda il primo caso, la citata delibera prevede espressamente che "il conferimento dei rifiuti da parte delle ditte deve avvenire con formulario (anche con CER multi materiali) per quantitativi superiori ai 30 kg". Per quanto riguarda il secondo caso, invece, la delibera nulla dice, lasciando così intendere che il conferimento possa avvenire anche senza formulario. Il formulario è richiesto per un determinato quantitativo di rifiuti speciali, che - sebbene


assimilati - sono conferiti presso un impianto di trattamento autorizzato, mentre non è richiesto nel caso in cui l'impianto si limiti alla sola raccolta. Il diverso trattamento tra i due tipi di conferimento, sebbene abbia comunque una sua logica, non è pienamente condiviso da chi scrive poiché, come detto più sopra, qualora i rifiuti speciali siano assimilati a quelli urbani, gli stessi dovrebbero godere del medesimo trattamento di questi ultimi, anche in caso di conferimento diretto alle infrastrutture pubbliche. Non sfugge infatti che, quando i rifiuti speciali assimilati sono raccolti direttamente dal gestore del servizio pubblico, nessun formulario è richiesto, neppure in caso di superamento dei 30 kg. Proprio l'autorizzazione ai sensi dell'art. 208 del D.Lgs. 152/06 rappresenta, dunque, il discrimine tra le due fattispecie, nonché il presupposto essenziale del formulario, il quale, ai sensi dell'art. 188, comma 3, lett. b), è richiesto solo "in caso di conferimento dei rifiuti a

soggetti autorizzati alle attività di recupero o di smaltimento, a condizione che il detentore abbia ricevuto il formulario di cui all'articolo 193 controfirmato e datato in arrivo dal destinatario entro tre mesi dalla data di conferimento dei rifiuti al trasportatore" (art. 188, comma 3, lett. b) del D.Lgs. 152/06). Ragionando al contrario, infatti, come potrebbe il gestore del centro di raccolta, sprovvisto dell'autorizzazione all'attività di recupero o di smaltimento, accettare il conferimento e completare la compilazione del formulario indicando i propri estremi autorizzativi? Invero, non potrebbe, in quanto il conferimento del rifiuto speciale avverrebbe presso un impianto che non necessita di autorizzazione. In conclusione, dunque, appare corretto sostenere che il conferimento dei rifiuti speciali assimilati ai centri di raccolta possa, o meglio debba, avvenire senza formulario, mentre il conferimento alle Piattaforme ecologiche autorizzate, a seconda delle specifiche disposizioni

regionali, potrebbe anche avvenire mediante formulario qualora tali piazzole siano autorizzate a trattare il rifiuto. In considerazione dei risvolti di responsabilità amministrativa e penale dei soggetti che conferiscono i rifiuti e che gestiscono le infrastrutture di cui sopra, è auspicabile che i comuni e le province, secondo le rispettive competenze, forniscano chiare indicazioni anche in sede regolamentare, idonee a fare chiarezza sulle modalità di conferimento dei rifiuti assimilati presso le infrastrutture del servizio pubblico di raccolta dei rifiuti urbani.

NOTE [1] Paola Ficco, "Ecopiazzole/Centri di raccolta: Mud, registri e formulari vige il sistema del "Codice ambientale" (29 settembre 2008) www.reteambiente.it e "Centri di raccolta per rifiuti urbani e assimilati" (12 febbraio 2009), www.borsarifiuti.com *Avvocato in Milano

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a ss oc i a z i on e s t u d i amb ientali

FILIERA “RI-inerte” SARDEGNA E’ stata avviata in Sardegna la filiera “RI-inerte”, progetto per l’introduzione all’uso di aggregati riciclati certificati provenienti dal recupero di rifiuti inerti da C&D per la realizzazione di opere pubbliche e private. La società P.P.T. s.r.l. di Luogosanto ha realizzato un impianto per il conferimento di rifiuti inerti e macerie edilizie da destinare alla produzione di aggregati riciclati certificati “RIinerte” per l’utilizzo in opere di ingegneria civile del settore edile-stradale ed ambientale. In particolare la nuova versione del Testo Unico Ambientale impone a carico della P.A. l'obbligo di promuovere iniziative dirette a favorire il riutilizzo dei prodotti mediante la realizzazione di centri di raccolta. L'art. 181 del TUA, attribuisce ai Comuni il compito di predisporre ed adottare le misure necessarie per conseguire l'obiettivo di riutilizzo, entro il 2020, di almeno il 70% dei quantitativi di rifiuti inerti da C&D prodotti e prevedere l’utilizzo diretto per almeno il 30% del fabbisogno di materiali certificati ed iscritti al Repertorio del Riciclaggio, provenienti dalle operazioni di recupero dei rifiuti. Per facilitare il raggiungimento di questi

obiettivi, l’impresa P.P.T. s.r.l. ha realizzato un Centro di Raccolta e Recupero di rifiuti inerti da C&D in Bassacutena, nella zona artigianale “Campu Maiori” del comune di Tempio Pausania, aderendo alla Filiera “RI-inerte” regionale. L’impianto è stato autorizzato dall’Amministrazione Provinciale di Olbia-Tempio con provvedimento n. 2/2011 e sono state predisposte una serie di iniziative tali da permettere il rispetto degli obblighi e degli obiettivi che la normativa impone. La struttura sarà a disposizione di comuni ed imprese del “Bacino Luogosanto” comprendente una decina di comuni della provincia ubicati nel raggio di circa quindici chilometri. L’Amministratore delegato della società, Marco Pirredda ha dichiarato di essere molto soddisfatto della scelta di aderire alla filiera “RI-inerte” in quanto ha avuto modo di utilizzare ed apprezzare i servizi necessari per la realizzazione dell’impianto, l’assistenza nell’avvio dell’attività e ridotto notevolmente gli investimenti. La società capofila del progetto ha avviato le attività in tutta la regione per la formazione dei tecnici dei vari ordini professionali e l’acquisizione di nuovi Partner da aggregare alla filiera.

CORSO PER ADDETTI ALLA CERTIFICAZIONE DI AGGREGATI RICICLATI E PIANI TRS

L’Associazione “Studi Ambientali” promuove il corso di specializzazione per “Addetto alla certificazione di aggregati riciclati e redazione piani di gestione delle terre e rocce da scavo”. Il corso, rivolto a professionisti e tecnici, si svolge in quattro giornate, ed è progettato in collaborazione con gli esperti “RECinert” del mondo del recupero dei rifiuti inerti e produzione di aggregati riciclati certificati per offrire una soluzione altamente professionalizzante alle esigenze di un settore in pieno sviluppo. Ha lo scopo di preparare ed orientare il professionista nella predisposizione, verifica e redazione dei documenti progettuali richiesti per la gestione e l’uso corretto dei materiali provenienti dall’attività di demolizione edilizia e scavi. La necessità di adeguarsi alla direttiva CPD, la presa di coscienza di voler affrontare e superare il problema ambientale generato dalla gestione dei rifiuti da C&D, gli obiettivi di riutilizzo dei rifiuti inerti previsti dal recente Decreto di recepimento della Direttiva Europea che eleva al 70% la quota di riutilizzo di que-

ECO/nomia del rifiuto [opportunità per il territorio] Una gestione attenta del ciclo integrato dei rifiuti con sistemi di raccolta differenziata avanzati, un quadro normativo delineato, le potenzialità dell’industria del recupero e delle produzioni eco-compatibili, le professionalità adeguatamente formate fanno bene all’economia e al territorio, fanno risparmiare materie prime nei processi produttivi, contribuiscono a limitare emissioni e sviluppano iniziative imprenditoriali creando occupazione. “ECO/nomia del rifiuto [opportunità per il territorio]” è il tema della tavola rotonda che si è svolta, a chiusura del calendario formativo ambientale, presso l’Università di Pescara. L’iniziativa promossa dall’Ass. “Studi Ambientali” e la Facoltà di Economia dell’Università “G. D’Annunzio” di Pescara, in collaborazione con il Consorzio CRAISI, la società Ambiente Spa, ConfServizi Abruzzo e Federambiente, ha rappresentato l’evento pubblico a margine del corso per “Tecnico Ambientale per la gestione dei rifiuti” avviato nel mese di marzo e concluso, con la prova finale dei partecipanti, il 21 maggio. Le opportunità economiche, occupazionali ed ambientali che l’attività di recupero dei rifiuti può offrire sono numerose ed è possibile coglierle in ogni regione con il coinvolgimento dei soggetti interessati (Enti competenti, cittadini, università ed imprese). All’incontro hanno partecipato e discusso sulle opportunità, l’Assessore regionale all’Ambiente Mauro Di Dalmazio, il Presidente della provincia di Pescara Guerino Testa, Francesco Montefinese e Anna Morgante Preside della Facoltà di Economia, oltre ai Sindaci e rappresentanti di associazioni imprenditoriali, professionali, sindacali e consumatori.

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Questi ultimi non devono vivere questo iter gestionale come vincolo, ma come opportunità di crescita e di qualificazione di un nuovo mercato traendone i vantaggi, che premierà chi avrà saputo investire certificando i propri prodotti o professionalizzarsi nell’ottica delle nuove opportunità. Ai partecipanti che supereranno la prova di verifica finale verrà rilasciato l’attestato di competenza (AC) accreditato “RECinert”. ACCREDITAMENTI

sti materiali, la conoscenza delle linee guida ed i nuovi adempimenti progettuali richiesti in materia di gestione delle terre e rocce da scavo, impongono nuovi oneri agli operatori del settore.

Il corso è in linea con i contenuti del Programma di Formazione Continua per l’attribuzione di crediti formativi da parte del Consiglio Nazionale Geometri e Geometri Laureati, ha ottenuto il riconoscimento per l’attribuzione dei crediti formativi da parte del Consiglio Nazionale dei Periti Agrari (18 crediti) ed è stato validato APC da parte del Consiglio Nazionale dei Geologi (17 crediti). OPPORTUNITà DI LAVORO

La programmazione del corso scaturisce dalla

CALENDARIO corsi MILANO

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TORINO

NOVEMBRE 2011

CAGLIARI

NOVEMBRE 2011

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DICEMBRE 2011

MODENA

GENNAIO 2011

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FEBBRAIO 2011

PIACENZA

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necessità di formare specialisti da utilizzare a supporto nell’avvio della Filiera RI-inerte regionale e per rispondere alle numerose richieste di profili professionali da parte di Aziende e Pubblica Amministrazione. Con l’evoluzione della normativa in materia è infatti emerso un vuoto dal punto di vista professionale: mancano figure competenti in materia. Per conoscere programma e sedi dei corsi, consultare il Calendario Formazione sul sito www.studiambientali.org.

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TECAM: IMPIANTI A SCARICO ZERO PER IL TRATTAMENTO DEI REFLUI DA LINEA GALVANICA DI CROMATURA

I reflui dell’industria galvanica sono tra quelli a più alto impatto ambientale a causa dell’elevato contenuto di metalli pesanti e sostanze chimiche inquinanti. Tra i più nocivi figurano i reflui delle linee galvaniche di cromatura, contenenti cromo esavalente e fluoruri. La normativa italiana con il D.Lgs. 152/06 è particolarmente restrittiva riguardo alla possibilità di scarico delle acque reflue derivanti dall’industria galvanica, nelle quali, anche se sottoposte a processi di depurazione, potrebbero rimanere comunque presenti delle sostanze altamente tossiche. Tecam, azienda padovana operante nel settore dell’impiantistica per il trattamento dei reflui industriali, offre una soluzione al problema dello scarico delle acque da linea di cromatura grazie a un sistema di impianti “a scarico zero”, che consente cioè il totale recupero delle acque di lavaggio. La linea galvanica di cromatura è infatti suddivisa in tre sezioni di lavorazione (preparazione, nichelatura e cromatura), ciascuna delle quali utilizza l’acqua per i lavaggi. Il sistema di trattamento proposto da Tecam, composto di vari impianti interagenti tra loro, comprende innanzitutto un impianto di trattamento delle acque primarie e di reintegro che vengono immesse nella linea di lavorazione. Prima di essere introdotta nella linea di lavorazione l’acqua deve essere infatti trattata (o osmotizzata) all’interno di un impianto di demineralizzazione a osmosi inversa al fine di eliminare la presenza di sostanze saline che comprometterebbero il risultato della cromatura. Al trattamento di osmotizzazione va sottoposta dunque di volta in volta l’acqua di reintegro che viene introdotta nella linea di cromatura per rimpiazzare quella evaporata durante il processo di lavorazione. Ogni singola sezione della linea di lavorazione viene dotata di un proprio impianto di trattamento facente uso di tecnologie di depurazione specifiche sulla base delle diverse caratteristiche chimico-fisiche dei reflui da trattare, secondo lo schema seguente: A. Sezione di preparazione - impianto di trattamento e riciclo dell’acqua B. Sezione di nichelatura - impianto di trattamento e riciclo dell’acqua C. Sezione di cromatura - impianto di trattamento e riciclo dell’acqua e impianto di recupero dell’acido cromico Ciascuna sezione di lavorazione recupera dunque le proprie acque di processo. Le sostanze inquinanti fuoriuscenti dalle singole sezioni vengono conferite allo smaltimento, mentre le rispettive frazioni acquose che necessitano di un’ulteriore depurazione confluiscono in un unico impianto di trattamento preliminare dal quale vengono successivamente aspirate da un impianto di evaporazione sottovuoto. Quest’ultima fase di trattamento ha lo scopo di depurare ulteriormente l’acqua per rendere possibile un suo riutilizzo nella linea di lavorazione e di ridurre i volumi di sostanza inquinante da smaltire. La tecnologia di evaporazione sottovuoto sfrutta la diversa volatilità degli agenti inquinanti, riuscendo così ad ottenere una completa separazione degli alto bollenti, che rimangono nel concentrato. Il prodotto finale è suddiviso in 90-95% di distillato e 5-10% di concentrato. Il sistema di impianti “a scarico zero” per il trattamento dei reflui della linea galvanica di cromatura viene progettato nei singoli casi specifici tenendo conto del variare di diversi fattori, tra i quali il tipo di lavorazione, il tipo di linea galvanica, le caratteristiche dei prodotti impiegati nei bagni, la quantità d’acqua necessaria nelle varie fasi di lavaggio e le caratteristiche chimico-fisiche della stessa. Particolare attenzione viene posta nella scelta dei materiali di realizzazione delle macchine. Viene inoltre attentamente valutata, dal punto di vista tecnico ed economico, la possibilità di recuperare soluzioni elettrolitiche quali cromo, nichel, rame alcalino, zinco acido, ecc. Il totale recupero degli scarichi di lavorazione, con conseguente reimpiego dell’acqua, e la massima riduzione dei volumi di concentrato da destinare allo smaltimento riducono i costi di gestione del sistema consentendo un rapido R.O.I. (Return On Investment).

Trevi Benne e Komatsu per l’Esercito Italiano Nel mese di Luglio 2011 sono stati forniti all’Esercito Italiano 46 escavatori cingolati Komatsu PC 210NLC-8 con attrezzatura da demolizione Trevi Benne. La consegna delle macchine è stata frazionata in vari momenti, considerato che l’assegnazione del bando risale al 2009. Gli escavatori Komatsu, collaudati ed equipaggiati come da specifiche richieste (verniciatura ufficiale approvata dal Ministero della difesa con procedura di finitura in policromia militare, attrezzature tutte in nero opaco, allestimento per impiego in operazioni notturne), sono stati dotati di benne da scavo e carico, pulizia fossi, martello demolitore e pinza demolitrice primaria Trevi Benne modello HC 13D. L’Esercito Italiano utilizzerà queste macchine per impieghi di tipo civile: saranno messe a disposizione per interventi della protezione civile, per fronteggiare calamità naturali e saranno utilizzate dai reparti del Genio nelle operazioni di varia natura, in Patria come nelle missioni all’estero.

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BAIONI CRUSHING PLANTS: IL VAGLIO SI VESTE DI NUOVO L’azienda Baioni Crushing Plants ha dimostrato ancora una volta la sua efficienza e versatilità nella costruzione di un prodotto interamente custom per il cliente italiano G.M.P. Spa di Marsciano, una delle aziende leader italiane nel settore della produzione di inerti e calcestruzzi e nei lavori stradali operante nella provincia di Perugia. Ha realizzato un vaglio vibrante inclinato a cinque piani completo di impianto di lavaggio, mod. V15/50, speciale perché interamente zincato, anche nelle carpenterie, pianerottoli e ringhiere. “Abbiamo realizzato un prodotto del tutto nuovo perché un vaglio così grande non era mai stato costruito dalla Baioni rispondendo così alle esigenze del cliente che ci aveva richiesto un prodotto che garantisse la massima durata e un’alta resistenza alla corrosione” spiega il responsabile tecnico dell’azienda Andrea Baioni. “La nostra prima impressione del vaglio è molto positiva, grazie alla componentistica di qualità, alla robustezza della struttura e alla facilità d’impiego”. Le reti vaglianti sono di colore rosso in poliuretano per le diverse misure 6, 10, 13, e 25 mm. La macchina è costituita da telaio di sostegno in profilati, carcassa porta-piani in lamiera opportunamente rinforzata, appoggiata al telaio tramite molle elicoidali e munita di albero a masse eccentriche regolabili, completo di supporti e cuscinetti. La Baioni Crushing Plants si ritiene soddisfatta di questo investimento che testimonia la forte etica del “lavorare bene” che da sempre guida l’azienda.

Panolin: l’alternativa ecologica per i lubrificanti E.C.O Italia s.r.l è fondata nel 2000, col nome di AM2 Omnia Servizi s.r.l. e nasce come società di servizi che svolge attività promozionale per conto terzi con una forte vocazione tecnica orientata alla prevenzione, alla sicurezza ed all'ambiente, nel settore industriale ed automotive. Nel 2003 incomincia la partnership con la Panolin AG, azienda Svizzera che da oltre 30 anni è leader nel mercato internazionale con i suoi lubrificanti ecologici, grazie al contratto che assegna alla società il ruolo di importatore e distributore esclusivo per l'Italia dei lubrificanti biodegradabili, non tossici di Panolin. Panolin è in grado di soddisfare ogni esigenza di lubrificazione con prodotti realmente ecologici certificati a marchio Blue Engel ed European Eco Label, unendo ad un concetto di lubrificazione ecologica anche una migliore efficienza. Oltre a questo i lubrificanti Panolin contribuiscono alla riduzione delle emissioni di CO2 grazie al loro contenuto rinnovabile. A stretto contatto col mercato l’azienda è costantemente aggiornata sulle esigenze dei clienti e sulle richieste ambientali ed economiche. Questo si configura come un campo fertile per nuove idee, il cui sviluppo verso la maturità del mercato è la maggior abilità degli specialisti di laboratorio di Panolin. Attraverso la loro ingegnosità, gli innovativi lubrificanti Panolin sono sviluppati a partire da una vasta gamma di ingredienti che utilizzano le migliori tecnologie a disposizione.

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Parte dalla Cina la nuova scommessa di Cooperativa Bilanciai Sono stati presentati, presso la Camera di Commercio di Modena, i dettagli dell’accordo e i piani di sviluppo che vedranno l’approdo della Coop Bilanciai nella zona di Khunshan, nel sud est della Cina. Società Cooperativa Bilanciai, con oltre 60 anni di storia, rappresenta una delle aziende più importanti a livello internazionale nel settore della pesatura. Nei 22.000 metri quadrati dello stabilimento di Campogalliano sono concentrate le principali attività di progettazione, produzione e supporto alla clientela di tutti gli strumenti di pesatura che trovano impiego in molteplici settori produttivi, dall’industria al commercio, dall’edilizia all’agricoltura, anche grazie ad una capillare e qualificata rete di vendita e assistenza. Leader nel mercato della pesatura industriale e delle pese per automezzi, Coop Bilanciai detiene il 45% del mercato italiano e, attraverso le sue controllate, il 36% di quello europeo ed oltre il 10% di quello statunitense. L'internazionalizzazione di Coop Bilanciai risale ad un decennio fa: è il 1999 quando nasce Bilanciai Group, oggi uno dei più significativi gruppi nella pesatura industriale, con un fatturato aggregato superiore a 80 milioni di Euro ed una presenza mondiale. È notizia recente l’interesse del gruppo per il mercato cinese che, da solo, ha dimensioni superiori rispetto all’insieme dei mercati americano ed europeo. Coop Bilanciai, attraverso la propria controllata Bilanciai International ha così realizzato una joint venture con un’importante ed affermata azienda cinese con l’obiettivo di entrare, oltre che nel mercato cinese, anche nelle aree limitrofe (Asia, Oceania) e nelle aree in forte crescita quali Sudamerica e Sudafrica. Il progetto in corso di realizzazione prevede una struttura produttiva che coprirà 11mila metri quadrati nella zona di Khunshan, nel sud est della Cina, impiegando a regime circa 150 addetti. Si tratta di un investimento complessivo di 7 milioni di dollari che vedrà una presenza continuativa di Coop Bilanciai che, oltre a guidare la governance della joint venture, esprimerà un proprio resident manager per seguire direttamente la produzione di componenti e sistemi di pesatura su tecnologia a marchio Bilanciai.

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6-7 ottobre 2011 Fiera di Cremona | V edizione | ingresso libero mostra-convegno dedicata a politiche, progetti, beni e servizi di green procurement pubblico e privato tra le opportunità del Forum: area espositiVa

programma Culturale

greenContaCt

Prodotti, progetti e servizi degli attori strategici del settore, impegnati a diversi livelli nelle politiche di sostegno al GPP.

Convegni istituzionali, seminari di approfondimento e workshop formativi riservati agli addetti ai lavori e non solo.

Appuntamenti one to one per far incontrare domanda e offerta di servizi e beni green alla Borsa degli Acquisti Verdi.

premio CompraVerde

premio mensaVerde

gpp dalla a alla z

Un riconoscimento alle PA impegnate nella diffusione delle buone pratiche e nella promozione del GPP.

Un riconoscimento alle mense attente alla qualità del cibo e alla gestione sostenibile del servizio.

Incontri formativi gratuiti rivolti agli operatori del sistema pubblico, privato e non profit per conoscere gli acquisti verdi.

premio Vendor rating sostenibile Un premio per le piccole, medie e grandi imprese che hanno adottato un sistema di qualificazione ambientale e sociale dei fornitori. CompraVerde-BuyGreen è promosso da Provincia di Cremona, Coordinamento Agende 21 Locali Italiane, Regione Lombardia, Ecosistemi e Adescoop-Agenzia dell’Economia Sociale.

LIFE 07 INF/IT/000410

relazioni istituzionali e programma Culturale Ecosistemi srl largo de’ Ginnasi, 2 - 00186 Roma tel. +39 06 68301407 - fax +39 06 68301416 rel.istituzionali@forumcompraverde.it

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organizzazione eVento Adescoop-Agenzia dell’ Economia Sociale s.c. via dei Colli, 131 - 35143 Padova tel. +39 049 8726599 - fax +39 049 8726568 segreteria@forumcompraverde.it

www.forumcompraverde.it

SEMS 553283


E COAP P U N TA ME N TI REMTECH

FERRARA, DAL 28 AL 30 SETTEMBRE

La quinta edizione di RemTech 2011, l'evento nazionale più specializzato nel settore delle bonifiche dei siti contaminati e della riqualificazione del territorio, si svolgerà dal 28 al 30 Settembre 2011 presso la fiera di Ferrara. Forte sarà il coinvolgimento di istituzioni, industrie, settore immobiliare, ricerca, operatori e Associazioni, chiamati a partecipare ai tavoli di discussione e a confrontarsi sulle tematiche di maggior rilevanza per il settore. Una vasta esposizione ed un fitto programma congressuale coinvolgeranno i visitatori nell’evento che quest’anno prevede tra le altre le seguenti novità: focus industria e road show, focus settore petrolifero, II forum della Pubblica Amministrazione sulla riqualificazione, percorso innovazione, percorso tecnico e Coast Expo. www.remtechexpo.com

RAVENNA2011

RAVENNA, DAL 28 AL 30 SETTEMBRE

Ritorna dal 28 al 30 settembre il festival su rifiuti, acqua ed energia; una tre giorni di incontri di tipo informativo – formativo dedicati alle tematiche tecnicoeconomiche che prevede un ricco programma di eventi culturali. Per questa quarta edizione sono previste 3 conferenze, 18 Workshop, 14 Labmeeting e 12 Eventi Culturali. Ripensare a strategie e responsabilità, riprogettare soluzioni innovative, efficaci ed economiche, riorganizzare con sistemi equi e trasparenti e ripartire con azioni, investimenti e imprese sostenibili si confermano come obiettivi della manifestazione perseguiti con un format originale di elevato livello tecnico scientifico calato su un centro storico pedonale, con il coinvolgimento di tutti gli attori e con un’organizzazione attiva tutto l’anno. www.ravenna2011.it

SARDINIA

SANTA MARGHERITA DI PULA, DAL 3 AL 7 OTTOBRE

Ritorna quest’anno la XIII edizione del Simposio Sardinia che dal 1987 costituisce il Forum di riferimento per gli esperti del settore gestione rifiuti, settore in cui le strategie e le tecnologie sono sempre in continua evoluzione a livello internazionale. Sardinia contribuisce da oltre vent'anni allo sviluppo dei moderni concetti di gestione integrata dei rifiuti. La scorsa edizione del 2009, ha registrato la partecipazione di circa 1000 delegati da 80 Paesi del mondo. Il programma del Simposio, sviluppato su 5 giornate, sarà incentrato sugli aspetti innovativi della gestione sostenibile dei rifiuti, a partire dalle nuove tecnologie, definendo lo stato dell'arte e i relativi casi studio, analizzando gli elementi controversi e confrontando le diverse esperienze a livello internazionale. www.sardiniasymposium.it

MADEXPO

MILANO, DAL 5 ALL’8 OTTOBRE

Dal 5 ottobre prende il via Milano Architettura Design Edilizia o più semplicemente Made Expo, la fiera internazionale che in risposta alle esigenze del settore, affronterà il tema dell'edilizia in rapporto ad architettura e design, considerandole parti integranti di un processo di costruzione di spazi e luoghi. Made Expo, con un approccio a 360°, consente l’incontro tra tutti gli attori coinvolti, chi progetta, chi realizza e chi utilizza il prodotto finale, un’occasione ideale per le realtà che desiderano prendere parte ad una manifestazione di ampio respiro e di portata internazionale che offre quest’anno una sezione espositiva senza precedenti. www.madeexpo.it

RICHMAC

MILANO, DAL 5 AL 7 OTTOBRE

Ritorna dopo il successo del 2009, Richmac 2011, il salone internazionale e conferenza sull’analisi strumentale e di processo e sulle tecnologie per il laboratorio. Giunta alla 41a edizione, Richmac è l’unica manifestazione internazionale in Italia in grado di offrire una vetrina completa di prodotti, tecnologie, processi e strumentazione per la chimica analitica. L'autorevole background dell'evento è un chiaro segno della sua importanza a livello internazionale ed è una solida certezza per tutti gli espositori che guardano al sud Europa e all’area del Mediterraneo come un consolidato o potenziale mercato in cui sviluppare le loro attività. www.richmac.it

SAIE

BOLOGNA, DAL 5 ALL’8 OTTOBRE

Il Salone internazionale delle costruzioni offrirà anche quest’anno alle aziende espositrici nuovi servizi e un modo nuovo per incontrare i 170.000 operatori del settore che ogni anno vengono a Bologna per discutere e confrontarsi su soluzioni, progetti e tecnologie per le costruzioni. SAIE è il salone che fa parlare operatori diversi per fornire risposte integrate ad un settore che cambia e che deve rispondere alle richieste di una maggior attenzione ambientale, maggiore efficienza, sicurezza e offerta di servizi. Articolato in tre Aree Tematiche, energia & sostenibilità, cantiere & produzione, servizi per progettare e costruire, SAIE offre, all’interno di saloni specializzati, eventi ed iniziative, percorsi espositivi dedicati da esplorare durante i quattro giorni della manifestazione. www.saie.bolognafiere.it

COMPRAVERDE

CREMONA, DAL 6 AL 7 OTTOBRE

Dal 6 al 7 ottobre si svolgerà a Cremona CompraVerde-BuyGreen, il Forum Internazionale degli Acquisti Verdi, una mostra-convegno dedicata a politiche, progetti, beni e servizi di Green Procurement pubblico e privato. I temi affrontati dal Forum risultano sempre rilevanti a livello strategico ed economico, a fronte di una crescente centralità degli Acquisti Verdi nella politica ambientale europea e nazionale come strumento chiave per la sostenibilità dei consumi e della produzione. Articolato in un programma culturale di alto livello, in una qualificata area espositiva e in numerose iniziative speciali, CompraVerde-BuyGreen si propone come punto d’incontro per i diversi attori coinvolti nella diffusione e attuazione degli acquisti verdi pubblici. www.forumcompraverde.it

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libri

IMPIANTI A BIOMASSA. DAL RISCALDAMENTO ALLA TRIGENERAZIONE A cura di Paola Caputo

Edizioni Ambiente (pagine 226 - € 40,00) Nell’ambito delle fonti energetiche rinnovabili le biomasse sono state per lungo tempo trascurate ed è solo di recente che si è compreso l’elevatissimo potenziale di crescita e l’efficienza energetica che rappresentano. Trattandosi quindi di un argomento ancora poco approfondito questo manuale si propone di illustrare quali siano le tecnologie disponibili sul mercato e quali le prestazioni, affrontando le problematiche legate all’approvvigionamento della materia prima sino ad analizzare il quadro normativo di riferimento. Il volume, articolato in cinque sezioni, parte dall’analisi del sistema energetico italiano per evidenziare poi le possibilità di sfruttamento della biomassa per la generazione termica, elettrica fino alla trigenerazione. Il tutto si completa con un approfondimento sui meccanismi di incentivazione e con un interessante capitolo di casi di studio relativi ad impianti italiani ed esteri. Con questa pubblicazione, che fa parte della collana Manuali di progettazione sostenibile, l’editore vuole nuovamente fornire un supporto operativo a professionisti e tecnici del settore per sostenere processi e tecnologie che aiutino a salvaguardare l’ambiente.

PSC e PSS. GUIDA PRATICA ALLA REDAZIONE

A cura di Massimo Brambilla e Benvenuto Maninetti

Dario Flaccovio Editore (pagine 738 - € 62,00) Dalla conoscenza diretta maturata giorno per giorno nella gestione della sicurezza nei cantieri nasce questa guida che si propone di fornire ai professionisti del settore delle costruzioni uno strumento che permetta di predisporre piani di sicurezza di agevole lettura, che soddisfino la normativa vigente e che siano completi nei contenuti ed inequivocabili nelle disposizioni. Gli autori intendono offrire con questo volume un’alternativa all’utilizzo di software dedicati per la redazione dei piani di sicurezza, che consenta di superare la rigidità con cui in genere sono concepiti per agevolare i tecnici nella redazione di piani dal contenuto realmente operativo. Ad una prima sezione di analisi della normativa di settore segue la sezione centrale del volume, quella dedicata al piano e composta da apposite schede che guidano il compilatore nella redazione del PSC o del PSS. E’ poi presente un lungo elenco di documenti complementari che permettono l’integrazione del piano sulla base della complessità del cantiere. Al manuale è inoltre allegato un CD che contiene tutti i documenti e le schede riportati nel volume cartaceo ed inoltre la normativa completa di riferimento del settore, le guide multilingue, una raccolta di immagini ed infine degli utili esempi di piani di sicurezza.

GARA D’APPALTO FACILE. VADEMECUM PER LA DEFINIZIONE DEI PREZZI DI COSTO DELLE PRINCIPALI LAVORAZIONI DI UN’OPERA EDILE PUBBLICA A cura di Pasquale Apone

Gruppo editoriale Esselibri (pagine 128 – € 14,00) L’aggiudicazione di una gara d’appalto non può più prescindere da rigorose analisi dei costi, dalla valutazione accurata di ogni singola lavorazione e dall’esame attento di misure e prescrizioni relative alla sicurezza. Questo volume si propone quindi di fornire una linea guida a coloro che si occupano di appalti affinché vengano individuati i parametri necessari per la formulazione dei costi di ogni singola lavorazione. Fornisce inoltre un’analisi delle componenti fondamentali dei costi suggerendo possibili strategie per ridurre l’entità delle spese in modo da giungere alla definizione di un reale ribasso da offrire in sede di gara. Il manuale si sofferma ampiamente sugli aspetti legati ai mezzi d’opera ed al movimento terra, nonché alle lavorazioni legate alla produzione del calcestruzzo, analizzando costi operativi, produzione oraria, peculiarità e caratteristiche del ciclo produttivo. Infine, i capitoli conclusivi sono dedicati all’illustrazione di esempi pratici ed all’approfondimento degli aspetti tecnico-amministrativi e normativi connessi al settore delle gare d’appalto.

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SISTEMA A RIFIUTI ZERO Trattamenti meccanico-biologici come alternativa agli inceneritori BONIFICA DELLE AREE DISMESSE Si apre la strada ad una nuova visione socio-economica ROBOT DA DEMOLIZIONE Attrezzature radiocomandate per lavori impossibili

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