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Questi cinque concetti di base connotano la mission associativa di BONIFICHEXPO2015, sodalizio che riunisce un qualificato gruppo di imprese, ciascuna leader nel proprio settore, per favorire la convergenza fra bisogni pubblici e interessi privati. L’appuntamento di portata mondiale con Expo2015 è un’occasione di assoluta importanza per ridefinire una situazione urbana e ambientale su basi di sostenibilità. BONIFICHEXPO2015 attiva sinergie capaci di coniugare al meglio le competenze progettuali e gestionali, per attuare interventi di riqualificazione sostenibile. BONIFICHEXPO2015 nasce dalla volontà comune di un gruppo di imprese con un forte interesse a consolidare il proprio ruolo, valorizzando le competenze specifiche di innovazione tecnologica e riuso delle aree dismesse. Il gruppo di ricerca dell’Associazione è impegnato a leggere i bisogni del territorio, in un’ottica di cooperazione finalizzata al raggiungimento di obiettivi condivisi fra pubblico e privato. È questa la strada maestra per ridisegnare le aree urbane fornendo un contributo attivo, anche imprenditoriale, da protagonisti di Expo2015.


e d i tor i a l e

Il lato eco di wikipedia

T

utti conoscono la celebre Wikipedia enciclopedia libera diffusasi sul web grazie al contributo spontaneo e gratuito degli internauti, ma chi di voi conosce Ekopedia? Navigando in internet, alla ricerca di notizie e spunti interessanti per la rivista ECO mi sono imbattuto per caso in questo sito che sia a livello grafico sia come struttura assomiglia moltissimo alla sorellona maggiore Wikipedia basandosi infatti sul principio dei wiki messo a disposizione dall’applicazione Mediawiki che consente a chiunque di consultare e modificare gli articoli. Creata con gli stessi principi raccoglie una grande quantità di articoli e parole con una tematica conduttrice, l’ambiente, con l’obiettivo di fornire soluzioni sostenibili accessibili a tutti e gratuitamente per costruire un modo migliore. Ekopedia nasce nel 2002 da un’idea di Jean-Luc Henry un francese che vive in Quebec. Dalla posa delle prima pietra l’ecoenciclopedia è cresciuta e nel 2010 nella sola Francia si contavano già 3 milioni di visitatori, certo non sono le crescite stratosferiche di Facebook ma i numeri confermano la tendenza generale di tutti i livelli della comunicazione a puntare sulle tematiche ambientali. Il sito è strutturato in 12 sezioni tra cui abitare, pensare, spostarsi, comunicare, imparare, creare, mangiare, ecc. All’interno di ogni sezione vi sono delle sottocategorie che racchiudono i singoli termini dell’enciclopedia virtuale, in Italia abbiamo solo 200 voci, in Francia sono più di 2.500 perciò si può fare ancora molto, ci sono ancora molti articoli da scrivere. Le sezioni sul riciclaggio dei rifiuti e la gestione delle acque sono prive di contenuti. Tra i 10 articoli più consultati si trovano: il pozzo canadese (sistema di climatizzazione naturale), la casa passiva, costruire la propria abitazione, le dieci regole per salvare pianeta, i biocarburanti, la conservazione degli alimenti, tematiche sicuramente non tecniche ma bisogna pensare che una piccola azione fatta da molti equivale ad una grandissima azione e soprattutto può generare un grande beneficio per il pianeta. Il progetto non è giovanissimo ma secondo me merita il supporto di tutti noi in quanto contribuisce a formare ed informare le persone a compiere scelte più consapevoli e rispettose dell’ambiente e della natura. La rivista Eco ed il portale Ecoera.it sono presenti su Ekopedia confermando la volontà mia e di tutta la redazione a contribuire ad un’informazione seria e responsabile sulle tematiche che ci stanno più a cuore. Massimo Viarenghi

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17 s o m m a r i o

novembre 2011

ECO bonifiche rifiuti demolizioni

www.ecoera .it

RUBRICHE

16 Battute finali per la rinascita della Spina 3 più grande progetto di riqualificazione urbana del capoluogo piemontese

ecoNews Vetrina ecoappuntamenti Libri

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STORIA DI COPERTINA BONIFICHE E DECOMMISSIONING: L’ESPERIENZA DI UNO DEI PIù IMPORTANTI OPERATORI ITALIANI di Massimo Viarenghi

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ATTUALITÀ

39 misure di tutela della sicurezza per i lavoratori che operano in ambienti confinati attraverso l'analisi delle cause più frequenti di infortunio

TORINO SI TRAsFORMA di Maeva Brunero Bronzin

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Il recupero dell’acciaio supera la quota del 70% di Maria Beatrice Celino

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Expo 2015: opportunità di sviluppo del territorio per operatori e Comuni di Federico Vanetti

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Green economy, opportunità e problemi per le imprese di difesa dell’ambiente di Cesarina Ferruzzi

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M.r. PLANET, LA VOCE DEL PIANETA ON AIR di Bruno Vanzi

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THE BIG EYE

72 Le attività monitoraggio ambientale nelle operazioni di dragaggio dei fondali del sito di interesse nazionale di Pitelli a La Spezia

IL SUPERMERCATO HIGH-TECH DEI PRODOTTI ESOTICI... A KM ZERO! di Tina Corleto

REPORT LE ATTIVITà DELLE REGIONI ITALIANE nelle BONIFICHE. di Marina Dragotto e Igor Villani

nonostante i progressi tecnologici del settore rimane ancora carente ed obsoleta la normativa sulle demolizioni

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Anno 4 - Numero 17

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SPECIALE Le nuove misure di tutela della sicurezza per operare in ambienti confinati di Casto di Girolamo e Giampaolo Moscatelli

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PANORAMA AZIENDE QUANDO RECUPERARE ANZICHé DISTRUGGERE DIVENTA REALTà 45 di Ciro Cozzolino Nuova vita per il cartongesso di Francesco Galimberti

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Anno 4 - Numero 17 Novembre 2011 Direttore responsabile: Massimo Viarenghi Direttore editoriale: Tina Corleto Direttore commerciale: Maria Beatrice Celino Coordinamento editoriale: Maeva Brunero Bronzin

WORK IN PROGRESS LA DEMOLIZIONE DEL TRIBUNALE DELL’AQUILA di Alessandro Lorandi

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UN EFFICIENTE PARCO FOTOVOLTAICO AL DI SOPRA DELLA DISCARICA di A. Levorato, A. Atzori e A. Moretto

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STABILIMENTO ECOESPANSO DI SANTA CROCE: L’ATTIVITà svolta Da ARPAT di Andrea Villani

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BONIFICA DI UN EX DEPOSITO CARBURANTI di Arrigo Nobile e Fabiano Melis DEMOLIZIONE DELLE TORRI DI PIEVE EMANUELE: RADIOGRAFIA DELL’INTERVENTO di Andrea Terziano

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PROGETTI E TECNOLOGIE Il monitoraggio ambientale nelle attività di dragaggio nel SIN di Pitelli di F. Colonna, A. Ausili, F. Pomo et al. Riduzione dei nitrati mediante somministrazione di Etanolo denaturato di A. Capriati, G. Schiano e L. Di Cosimo Il trattamento dei televisori a tubo catodico a fine vita di Giovanni Modica

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SEDI.PORT.SIL. la gestione sostenibile dei sedimenti dragati dai porti di Danilo Bettoli

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IL NUOVO COLLETTORE FOGNARIO DELLA SPONDA VERONESE DEL LAGO DI GARDA di S. Venturini, M. Sandri, A. Ardieli e P. Varotto

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NORMATIVA LE DEMOLIZIONI NEL DECRETO LEGISLATIVO 81/08: UNA RIVOLUZIONE MANCATA di Alberto Picco

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De qualitate: un approccio sistemico per la gestione dello scenario di cantiere di Stefano Scaini

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La delega di funzioni ambientali di Rosa Bertuzzi

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ASSOCIAZIONe STUDI AMBIENTALI Aggiornamenti e notizie

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Collaboratori: Alberto Ardieli, Andrea Atzori, Antonella Ausili, Rosa Bertuzzi, Danilo Bettoli, Andrea Capriati, Fabrizia Colonna, Ciro Cozzolino, Luca Di Cosimo, Casto di Girolamo, Marina Dragotto, Cesarina Ferruzzi, Francesco Galimberti, Elena Gollo, Amedeo Levorato, Alessandro Lorandi, Fabiano Melis, Giovanni Modica, Anna Moretto, Giampaolo Moscatelli, Arrigo Nobile, Maria Elena Piccione, Alberto Picco, Franco Pomo, Andrea Re, Ingrid Roncarolo, Andrea Salmeri, Marco Sandri, Stefano Scaini, Gennaro Schiano, Federico Vanetti, Paolo Varotto, Simone Venturini, Andrea Villani, Igor Villani Comitato Scientifico: Maria Rosaria Boni (Sapienza Università di Roma) Daniele Cazzuffi (Cesi spa – Remtech) Laura D'Aprile (ISPRA, Roma) Luciano De Propris (Consulente ambientale) Ennio Forte (Università degli studi di Napoli) Luciano Morselli (Università di Bologna) Andrea Quaranta (Giurista ambientale – Roma) Gian Luigi Soldi (Provincia di Torino) Federico Vagliasindi (Università di Catania) Maria Chiara Zanetti (Politecnico di Torino) Ufficio commerciale - Vendita spazi pubblicitari: Maria Beatrice Celino Tel. 011 7802164 Cell. 335 237390 e-mail: b.celino@deaedizioni.it Grafica, disegni e impaginazione: PeVmedia - C.so Francia, 128 - 10143 Torino Abbonamenti: Italia annuo € 40,00 - estero annuo € 70,00 copia singola € 7,50 - arretrati € 10,00 Per abbonarsi è sufficiente fare richiesta a info@deaedizioni.it Stampa: Tipografica Derthona - s.s. per Genova, 3/I - 15057 Tortona (AL) Responsabilità: la riproduzione delle illustrazioni e articoli pubblicati dalla rivista è riservata e non può avvenire senza espressa autorizzazione della Casa Editrice. I manoscritti e le illustrazioni inviati alla redazione non saranno restituiti, anche se non pubblicati, e la Casa Editrice non si assume responsabilità per il caso che si tratti di esemplari unici. La Casa Editrice non si assume responsabilità per i casi di eventuali errori contenuti negli articoli pubblicati o di errori in cui fosse incorsa nella loro riproduzione sulla rivista. La responsabilità di quanto espresso negli articoli firmati rimane esclusivamente agli Autori. Direzione, Redazione, Abbonamenti, Amministrazione:

DEA edizioni s.a.s. Strada del Portone 127 10095 Grugliasco (TO) Tel. 011 7802164 Fax 011 4047946 e-mail: info@deaedizioni.it www.deaedizioni.it

Organo Ufficiale dell'Associazione Studi Ambientali L’abbonamento è deducibile al 100%. Per la deducibilità del costo ai fini fiscali vale la ricevuta del versamento a norma D.P.R. 22/12/86 n. 917 artt. 50 e 75. Conservare il tagliando - ricevuta, esso costituisce documento idoneo e sufficiente ad ogni effetto contabile. Non si rilasciano in ogni caso altre quietanze o fatture per i versamenti in c.c.p. Pubblicazione bimestrale Poste Italiane Spa – Sped. in a.p. D.L. 353/2003 conv. in L. 46/2004, art. 1, c. 1 – registrata presso il Tribunale di Torino il 19 ottobre 2009 al n. 56. Ai sensi del D.Lgs. 196/2003, informiamo che i dati personali vengono utilizzati esclusivamente per l’invio delle pubblicazioni edite da DEA edizioni s.a.s. Telefonando o scrivendo alla redazione è possibile esercitare tutti i diritti previsti dall’articolo 7 del D. Lgs. 196/2003.


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n e ws

RICICLIAMO I PANNELLI SOLARI Rotti, esausti o semplicemente non più funzionanti. Sono più di 50mila i pannelli solari che nell'ultimo anno sono stati buttati via. Un volume che nei prossimi anni è destinato a crescere esponenzialmente, perché, oggi, in Italia, per ogni abitante è in funzione un modulo fotovoltaico, più comunemente conosciuto come pannello solare. Oltre 52 milioni sono, infatti, i pannelli solari attualmente in esercizio e, nonostante ciò, fino ad oggi l'unico impianto di riciclaggio si trova in Germania. A dare la soluzione italiana è Ecolight, il consorzio nazionale per la gestione dei rifiuti elettrici ed elettronici (Raee), che, in anteprima ad Ecomondo il prossimo 9 novembre, presenta il primo sistema integrato per la raccolta e lo smaltimento dei pannelli solari. "Si tratta del primo servizio svolto interamente sul territorio italiano che vuole offrire una nuova risposta all'ambiente e che anticipa, di fatto, le prescrizioni normative contenute nel decreto del 5 maggio 2011" annuncia il direttore di Ecolight, Giancarlo Dezio. Tanti rifiuti solari anche perché il fotovoltaico in Italia ha registrato un vero e proprio boom. Ad oggi sono infatti più di 288mila gli impianti installati per una potenza complessiva di quasi 11.100 MW. Ed è possibile stimare, riferisce il Consorzio, che ci sia quasi un pannello solare installato per ogni abitante. Sono più di 52 milioni i moduli fotovoltaici che hanno trovato collocazione sui tetti di abitazioni e imprese oppure nei campi. La crescita dal 2005, anno in cui è stato lanciato il primo Conto Energia, è stata esponenziale sia in termini di impianti, sia in termini di potenza. Secondo i dati del Gestore Servizi Energetici, siamo passati dai 1.402 impianti entrati in esercizio nel 2006 agli 84.570 del 2010; così anche per la potenza che è passata da 9.436 kW del 2006 agli oltre 2milioni e 300mila kW dell'anno scorso. "La maggior parte dei pannelli solari non più funzionanti è interamente recuperabile. Opportunamente trattati, infatti, -avverte il direttore di Ecolight- è possibile ottenere silicio, vetro, alluminio e plastica: tutte materie prime seconde, che possono essere reimmesse nei cicli produttivi facendo risparmiare energia e contribuendo a salvaguardare l'ambiente". "Pensare oggi a come smaltire i pannelli solari è già una necessità se vogliamo evitare -continua Dezio- di trovarci a parlare di emergenza in un prossimo futuro". Ecolight lancia il suo sistema integrato con la collaborazione di Se.Val Divisione Ecologia e di Csr (Centro Servizi Raee), la società specializzate nello smaltimento e nella logistica dei rifiuti elettronici, e basandosi sull'esperienza maturata negli ultimi anni nella gestione dei Raee. In particolare, spiega il consorzio, "verrà garantito il ritiro dei pannelli solari rotti e vecchi in tutto il territorio nazionale e il loro corretto trattamento, con il recupero e il riciclaggio delle materie prime seconde contenute nei pannelli solari e lo smaltimento delle sostanze non riutilizzabili".

Aumentano i tassi di recupero e riciclo degli imball aggi nell’UE e in Italia

Da un recente rapporto dell’organizzazione Europen, sui dati europei relativi al periodo compreso tra il 1998 e il 2008, emerge che la produzione di imballaggi e la quantità di rifiuti di imballaggi sono ormai “disaccoppiati” dalla crescita economica. A fronte di un aumento del Pil del 48%, all’invecchiamento della popolazione e alla riduzione dei nuclei familiari, la quantità di imballaggi immessi sul mercato (legno escluso) è aumentata soltanto del 10% e la quantità di rifiuti di imballaggi (legno escluso) smaltita in discarica è diminuita del 43%. I dodici Stati membri che dovevano raggiungere i livelli previsti per il secondo stadio entro il 2008 hanno centrato l’obiettivo e i tre dei Paesi per i quali la scadenza era fissata per il 2011, avevano già superato nel 2008 la soglia richiesta. Dando invece un’occhiata a ciò che accade a casa nostra, nei primi nove mesi del 2011 si sono evidenziate prestazioni di raccolta in continua crescita, sia in termini quantitativi sia qualitativi con un incremento dell’11% rispetto ai risultati conseguiti nel 2010. Sviluppi particolarmente interessanti si sono avuti nel Centro Italia e nelle regioni del Sud mentre nelle aree del Nord Italia si conferma il mantenimento dell’ottimo trend di crescita.

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L a econave ad idrogeno In Provenza si sta costruendo la prima nave passeggeri con propulsione ad idrogeno: un sistema in grado di generare in maniera autonoma l’energia necessaria al movimento, silenzioso, veloce e completamente ecologico. Green Calanque, il nome del battello, è pensato per navigare nei tratti di mare della costa francese e all’interno degli acquitrini provenzali. Sul traghetto sono state montate delle celle ad idrogeno, un sistema che sfrutta l’energia liberata dall’unione di questi atomi con quelli d’ossigeno. Il processo chimico viene usato per far muovere la barca, senza alcuna emissione nociva. L’unica cosa che esce dal tubo di scappamento è vapore acqueo. Se verrà varata con successo, la Green Calanque sarà la prima imbarcazione di questo genere. Oltre alle celle ad idrogeno, sul battello verranno sistemati dei pannelli solari, economizzatori d’acqua e un motore a propulsione ibrido ad energia termica-elettrica. Il primo verrà usato in mare aperto, il secondo nelle acque interne per ridurre al minimo l’impatto sull’ecosistema. Il passo successivo sarà quello di istallare sul Green Calanque un elettrolizzatore, un sistema capace di utilizzare l’acqua per produrre idrogeno, usato poi nella propulsione. Il varo è previsto per il 2013, nel Parco Nazionale delle Calanques, anche se per un anno il battello verrà usato per il trasporto commerciale. La normativa francese in tema di trasporto con motori ad idrogeno infatti, è molto stringente e dovrà essere modificata prima che la Green Calanque possa portare i turisti sul mare provenzale.

l a Regione lombardia delinea gli obiettivi dell a gestione rifiuti Una ottimale gestione dei rifiuti speciali, con particolare attenzione ai materiali isolanti, all'amianto, alla parte non metallica dei veicoli rottamati, ai fanghi di depurazione e agli inerti. Una soglia della raccolta differenziata regionale pari al 65% entro il 31 dicembre 2012 e l'autosufficienza nello smaltimento dei rifiuti urbani. Particolare attenzione per la bonifica dei siti contaminati, con un' accelerazione dei tempi di intervento e messa in sicurezza delle aree coinvolte. Sono questi gli indirizzi in materia di gestione dei rifiuti, approvati a maggioranza in Commissione 'Ambiente e Protezione Civile', che la Giunta della Regione Lombardia dovrà avere come riferimenti nel periodo temporale 2013-2020. La Lombardia produce circa il 20% dei rifiuti speciali non pericolosi e il 30% di quelli pericolosi su scala nazionale, con una produzione totale annua pari a 22 milioni e mezzo

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Anno 4 - Numero 17

di tonnellate. ''Il documento di programmazione per la gestione dei rifiuti speciali -ha spiegato il relatore del provvedimento Angelo Giammario del Pdl - dovrà avere come obiettivi principali la riduzione della quantità e della pericolosità dei rifiuti speciali prodotti, favorire la possibilità di riutilizzo nonchè verificare la compatibilità ambientale degli impianti adibiti al trattamento dei rifiuti stessi''. Per lo smaltimento dell'amianto Regione Lombardia dovrà incentivare la realizzazione di impianti innovativi per l'inertizzazione e il successivo recupero del materiale riducendo così l'esportazione all'estero, con l'obiettivo di rimuovere completamente la presenza di amianto sul territorio regionale entro il 2015. In grande crescita è pure la produzione di rifiuti inerti, in Lombardia oltre un milione di tonnellate all'anno, e in tal campo saranno favorite politiche che puntano sul recupero di tali materiali. Dal provvedimento in discussione in Commissione Ambiente emerge come sul territorio lombardo siano presenti 7 siti inquinati di interesse nazionale e inoltre la Regione gestisce direttamente i procedimenti amministrativi per 49 siti che presentano problematiche di contaminazione, mentre sono 1092 i siti iscritti all'anagrafe regionale per i quali è stato concluso positivamente l'iter di bonifica. ''Obiettivo del piano regionale di bonifica -ha concluso Giammario - dovrà essere quello di fornire supporto tecnico e amministrativo ai Comuni e agli Enti locali ai quali fanno capo le procedure di bonifica, puntando su una successiva valorizzazione delle aree in termini di riqualificazione urbanistica e favorendo lo smaltimento dei rifiuti provenienti dai siti contaminati in idonei poli autorizzati da individuarsi nei rispettivi piani provinciali''.

APPROVATO IL PIANO BONiFICHE PER LE MINIERE DISMESSE SARDE La Giunta regionale della Sardegna ha approvato l'adozione delle Linee guida per la caratterizzazione e la bonifica delle aree minerarie dismesse. Le linee guida introducono e descrivono delle tecniche di bonifica e di ripristino ambientale basate su un approccio di sostenibilità tecnica ed economica che tiene conto delle peculiarità e dei contesti che caratterizzano i siti minerari e l'intera area vasta in cui sono inseriti, per cui il primo passo consi-


ste nella corretta individuazione dell'area compromessa dall'attività estrattiva e dei centri di pericolo in essa contenuti per l'individuazione delle soluzioni più opportune. Le aree minerarie dismesse in Sardegna occupano vaste porzioni di territorio e, attraverso una forte connotazione storica e sociale, incidono profondamente sul paesaggio e sull'assetto delle comunità locali ma non senza conseguenze dal punto di vista della tutela dell'ambiente e della salute dell'uomo. Affinché l'amministrazione pubblica, proprietaria nella gran parte dei casi delle miniere in disuso, possa procedere alla bonifica delle aree minerarie, è necessario eliminare, o almeno ridurre, i rischi per la salute dell'uomo e per l'ambiente connessi con la presenza dei residui dell'attività estrattiva pregressa. Il Piano di bonifica delle aree minerarie dismesse, quindi, si pone come obiettivi: la definizione e realizzazione di tutte le iniziative necessarie al superamento dell’emergenza, la realizzazione di opere di bonifica o messa in sicurezza secondo le priorità di intervento individuate nel piano medesimo in ordine alla rimozione delle situazioni di pericolo per la salute umana e per l’ambiente per far fronte ai danni conseguenti all’inquinamento. C

Torino in gara per diventare capitale verde europea 2014

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Torino è ufficialmente fra le 19 città candidate alla conquista del titolo di capitale verde europea per il 2014. L'annuncio arriva dalla Commissione Ue, che ogni anno seleziona la reginetta europea fra le città più all'avanguardia nel rispetto dell'ambiente e in grado di diventare un modello per altri centri urbani. Il capoluogo piemontese dovrà fare i conti con altre concorrenti agguerrite, da Parigi a Bruxelles, passando per Vienna e Saragozza. Tutte dovranno passare al vaglio di una commissione di esperti: Anversa, Ghent e Bruxelles (Belgio); Brasov (Romania); Bristol, Newcastle, Stoke-on-Trent (Gran Bretagna); Bursa e Trabzon (Turchia); Copenaghen (Danimarca); Francoforte (Germania); Parigi (Francia); Rotterdam (Olanda); Lubiana (Slovenia); Tampere (Finlandia); Salonicco (Grecia); Vienna (Austria); Saragozza (Spagna). Il giudizio sarà basato su dodici indicatori, come il contributo locale alla lotta contro i cambiamenti climatici, i trasporti, le aree verdi, la qualità dell'aria, il consumo di acqua e la gestione dei rifiuti. Questa prima selezione ridurrà a tre o quattro il numero delle città finaliste per il titolo del 2014. L'annuncio della vincitrice avverrà a giugno del 2012 a Vitoria-Gasteiz, capitale verde europea l'anno prossimo, che passerà la corona a Nantes nel 2013. Nel 2010 a vincere è stata Stoccolma e nel 2011 Amburgo.

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GIO.ECO s.r.l. Via L. Da Vinci,13 - 20090 Segrate (MI) Tel +39.02.2132113 r.a. - Fax +39.02.2133826 info@gioecosrl.it - www.gioecosrl.it Sede di Rappresentanza:

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BONIFICHE E DECOMMISSIONING L’ESPERIENZA DI UNO DEI PIù IMPORTANTI OPERATORI ITALiani Il mercato, le tendenze e le prospettive nell’intervista a 360 gradi con Riccardo Mozzi, Responsabile Ingegneria e Tecnologie Ambientali di Syndial di Massimo Viarenghi

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yndial Attività Diversificate S.p.A. è una società del gruppo Eni che nasce nel 2002 per la gestione e bonifica dei siti industriali dismessi italiani, da allora il Know how, acquisito in 10 anni di interventi su circa 50 aree, ha fatto diventare la società uno dei più importanti operatori in campo ambientale. Abbiamo incontrato il Dott. Riccardo Mozzi, Responsabile Ingegneria e Tecnologie Ambientali di Syndial e gli abbiamo chiesto di fornirci una panoramica sulle attività svolte, sui criteri di scelta dei fornitori, sulle criticità tecniche legate agli interventi da eseguire e sull’ottimizzazione dei processi gestionali ed economici finalizzati al recupero e rilancio delle aree. Quello che è scaturito è l’interessante intervista che vi proponiamo. Che ruolo ha Syndial all’interno del gruppo Eni, quando viene istituita e con che scopi? Syndial Attività Diversificate S.p.A. è una società interamente controllata da Eni, nata nel 2002 raggruppando le attività relative alla gestione e bonifica di siti industriali dismessi, prevalentemente associati alla petrolchimica di base in Italia. Oggi Syndial opera e gestisce, con azioni dirette di program management e engineering, attività di risanamento ambientale in circa 50 aree in Italia, di cui 17 sono di interesse nazionale, per una superficie complessiva di circa 5000 ha.

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La società, dalla sua costituzione, si è principalmente dedicata alla messa in sicurezza degli impianti dismessi, alla loro bonifica e demolizione, ancorché le principali attività abbiano riguardato la messa in sicurezza d’emergenza e le attività di bonifica del sottosuolo delle aree di proprietà. Il ruolo nel gruppo Eni è prevalentemente legato a quest’ultima tipologia di interventi. Il know how acquisito in questi anni, di fatto attuando i più importanti interventi di bonifica in Italia, ci permette di configurarci come uno dei principali operatori del settore. All’interno del gruppo Eni, Syndial inizia a configurarsi come global client per le altre aree di business del gruppo, che stanno promuovendo azioni e interventi in campo ambientale. Quali sono oggi le aree maggiormente interessate da lavori di decommissioning sul territorio italiano? Non riteniamo si possa stilare ad oggi una classifica di importanza in questo settore. Certamente un fattore determinante è costituito dalla domanda di riqualificazione territoriale. Laddove c’è una buona integrazione tra risviluppo urbanistico e attenzione all'ambiente, si hanno certamente i migliori risultati anche in termini di sostenibilità, con soluzioni che riescono ad associare il miglior equilibrio tra i diversi aspetti sociali, ambientali ed economici. Si tratta di un tema importante, che

altri paesi in Europa hanno saputo applicare con maggior efficacia che in Italia, con indubbi benefici a livello di impresa. Quali sono gli investimenti di Eni per i prossimi anni nel settore del decommissioning e di conseguenza in quello delle bonifiche? I driver principali che determinano i trend per il futuro sono decisamente i fattori che contribuiscono alla definizione di un intervento sostenibile.

Dott. Riccardo Mozzi, Responsabile Ingegneria e Tecnologie Ambientali di Syndial S.p.A.


Tra tutti, la determinazione del territorio ad una riconversione urbanistica è una delle componenti fondamentali, laddove occorre essere capaci di integrare le soluzioni di decommissioning, bonifica e pianificazione territoriale. Nella nostra esperienza un esempio efficace è il sito di Cengio, dove gli interventi di bonifica hanno prodotto la riqualificazione di 200.000 m2 di territorio riutilizzabili per la piccola media impresa; un’area ecologicamente attrezzata che può da subito essere riutilizzata per lo sviluppo di un intero territorio, che per decenni ha basato la propria economia sull’industria e il suo indotto. Per il futuro sono previste importanti soluzioni per il sito di interesse nazionale di Porto Torres, dove con il protocollo per la chimica verde è prevista la riconversione dell’intero sito petrolchimico e la creazione, attraverso la riconversione di aree bonificate e da bonificare, di una nuova area per la produzione di bioplastiche. Alcune di queste aree potranno essere destinate a coltivazioni ecocompatibili con la produzione industriale. Non è più possibile oggi pensare al decommissioning o alle bonifiche ambientali senza pensare allo stesso tempo alla riconversione utile del territorio. I processi devono essere integrati, con il rischio, viceversa, di vedere sprecate risorse e il valore aggiunto ambientale di questi interventi. L'ambiente, più che mai in questo particolare periodo storico, può diventare un valore e una risorsa su cui investire. Altri paesi europei con maggior pragmatismo ci sono riusciti e credo siano un importante esempio da seguire per mantenere competitività nel mercato internazionale.

L’abbassamento dei prezzi ed il ricorso al massimo ribasso provoca necessariamente un impoverimento della qualità della progettazione e dell’esecuzione dei lavori con una serie di costi indiretti ed imprevisti che a conti fatti portano ad un aggravio di costi per il Committente. Cosa proponete come alternativa per i criteri di aggiudicazione? L’abbattimento dei prezzi di mercato di fatto rappresenta un rischio generalizzato in tutti i campi, che ha un diretto impatto sulla qualità dei servizi o del prodotto reso. Eni in questo senso ha un sistema di qualifica decisamente importante e Syndial, che già da circa un anno opera come global procurement in campo ambientale per tutto il gruppo, ha ulteriormente “alzato l’asticella” per quanto concerne le società che operano nel settore ambientale. La qualifica Eni è solo un primo importante requisito; per la definizione di fornitori eccellenti contribuiscono poi alcune specifiche qualifiche in tema di qualità e sicurezza. In tema di qualità, l’indirizzo generale è orientato verso la segmentazione del mercato attraverso la definizione di aree di competenza, utili ad esprimere il principale know how espresso da una determinata azienda. Per ogni settore prediligiamo il meglio che il mercato possa esprimere; con questo approccio, in un periodo di compressione del mercato, riusciamo comunque a mantenere un focus sulla qualità dei nostri fornitori. Fermo restando quanto sopra, Syndial sempre più frequentemente ricorre a gare che prevedono l’assegnazione al “prezzo economicamente più vantaggioso”, inserendo

elementi di valutazione non economici (scoring model) che premiano l’eccellenza e la salvaguardia del rispetto delle norme di salute e sicurezza. Tralasciando l’aspetto dell’economia dei prezzi offerti, qual è il valore aggiunto di un’impresa che esegue un lavoro di decommissioning? Crediamo che il valore aggiunto che la nostra azienda può esprimere in un lavoro di decommissioning sia l’approccio volto alla tutela della salute e sicurezza dei lavoratori coinvolti e alla salvaguardia dell’ambiente. Elementi preferenziali per la definizione di un progetto sono: la riduzione delle interferenze derivanti dall’esecuzione degli interventi con le altre attività del reparto e dello stabilimento, la preventiva valutazione ed esplicitazione delle condizioni di pericolo e dei rischi e l’ottimizzazione delle tempistiche di intervento. Rivestono carattere di importanza anche tutte le azioni utili a garantire elevati livelli di recupero dei materiali, minimizzando i volumi e le quantità di rifiuti da destinare allo smaltimento. In sintesi, realizziamo interventi di bonifica garantendone la sostenibilità e la tutela del territorio. In base alla vostra esperienza, quali dovrebbero essere i contenuti minimi di un buon progetto di decommissioning industriale? Un progetto di decommissioning industriale contiene le linee guida e le modalità operative per l’esecuzione a regola d’arte delle attività di bonifica, smontaggio e demolizione delle

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strutture impiantistiche oggetto di intervento, senza prescindere dalla definizione delle attività correlate alla demolizione vera e propria, quali, in particolare, i relativi adempimenti/ vincoli in materia di ambiente, sicurezza e gestione dei materiali di risulta ai sensi della normativa vigente. Un progetto di decommissioning ben congegnato deve garantire un livello di dettaglio tale da vincolare le imprese esecutrici al rispetto dei requisiti minimi necessari per l’esecuzione dei lavori ed al rispetto degli standard del Committente, nonché degli eventuali vincoli peculiari dell’intervento di demolizione, fornendo informazioni complete in merito alle attività da eseguire. Pertanto un buon progetto di decommissioning non può prescindere da una profonda conoscenza tecnica degli impianti da demolire, del processo chimico di produzione industriale in essi applicato e dello stato di conservazione strutturale degli edifici/impianti oggetto

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di demolizione, incluse le informazioni in merito alle modalità di sospensione della produzione (es. messa in sicurezza delle apparecchiature, sezionamento linee). Uno dei contenuti minimi di un progetto di decommissioning è il piano di mappatura e pre-caratterizzazione preventiva delle strutture e dei materiali in opera, con l’ubicazione dei punti di campionamento, le modalità operative e il protocollo analitico a cui sottoporre i campioni di materiale prelevati nei punti più significativi dell’impianto. Lo scopo della precaratterizzazione è duplice. Da un lato, fornisce informazioni sullo stato di contaminazione, al fine di prevedere, con la miglior accuratezza possibile, quantità e qualità dei materiali di risulta prodotti, consentendo la gestione ottimale dei flussi nel rispetto delle normative vigenti. Dall’altro lato, permette di mappare i materiali per individuare le adeguate misure di protezione per i lavoratori coinvolti. Un altro contenuto essenziale di un progetto di decommissioning è una dettagliata descrizione delle fasi in cui saranno articolati gli interventi, ovvero: • attività preliminari ed operazioni propedeutiche (segregazione idraulica, bonifica elettrica, isolamento sistema fognario, verifiche stabilità strutture/capacità portante del terreno); • svuotamento/bonifica delle apparecchiature dai materiali di riempimento (rimozione materiali contenenti amianto, svuotamento in opera delle apparecchiature dai materiali di riempimento, scoibentazioni);

• smontaggio di apparecchiature e tubazioni; • trattamento/lavaggio dei circuiti e delle apparecchiature (lavaggio delle linee e delle apparecchiature in opera preventivamente alle attività di smontaggio, lavaggio all’interno di struttura confinata); • demolizione delle strutture e dei fabbricati (individuazione macro aree di intervento, criteri generali e mezzi impiegati per la demolizione delle strutture in calcestruzzo armato e delle parti metalliche); • gestione dei materiali di risulta e oneri autorizzativi (classificazione/codifica dei rifiuti prodotti, gestione dei flussi prodotti). Quali sono le maggiori criticità connesse all’esecuzione di lavori di decommissioning negli stabilimenti petrolchimici? Per i siti produttivi, le maggiori criticità connesse all’esecuzione di lavori di decommissioning sono gli aspetti legati alla sicurezza dei lavoratori, specialmente, come già detto, nei casi di interferenze derivanti dall’esecuzione degli interventi di bonifica/smontaggio/ demolizione con le altre attività del reparto e dello stabilimento ancora in esercizio. Per i siti in dismissione, i maggiori elementi di criticità si riscontrano laddove le condizioni generali degli item da demolire presentino evidenti segni di decadimento e deterioramento, con riferimento agli impianti, alle strutture, alle carpenterie metalliche, agli edifici e alle apparecchiature. In tali casi, l’Appaltatore dovrà, prima dell’inizio dei lavori, promuovere ed effettuare una verifica delle condizioni di conservazione e di stabilità di tutte le strutture oggetto di demolizione. Tale verifica, redatta e firmata da un professionista abilitato, dovrà contenere indicazioni sullo stato di sicurezza e agibilità dell’edificio, oltre che prescrivere gli eventuali interventi di messa in sicurezza dei luoghi per renderli accessibili (ad es. sostituzione grigliati e/o passerelle, asportazione parti pericolanti, etc.). Privilegiate tendenzialmente la definizione di un global contractor o quale altro criterio di gestione? Molto dipende dalle opere che devono essere realizzate. Viene preferita la definizione di una RTI o ATI; crediamo infatti che una singola società non possa esprimere direttamente la capacità di controllo e governo di tutte le attività


e dei molteplici aspetti che sono tipici di attività così complesse. Inoltre, occorre considerare che Syndial ha maturato un background impiantistico, che determina conseguentemente un importante know how anche nelle fasi di decommissioning che, come detto, parte dalla migliore conoscenza degli stessi impianti da bonificare e demolire. Di fatto manteniamo la leadership in tutte le fasi di intervento. Siete ormai un player importante per gli interventi ambientali in Italia ma solo recentemente si è avvertita la vostra presenza nel settore. Cosa è cambiato? L’ambiente è oggi una componente essenziale nella dinamica di un’impresa. L’attenzione a queste tematiche non può essere certamente procrastinata e non può essere argomento secondario in questa fase di crisi economica; tutt’altro. L’esperienza di altri paesi industrializzati, pone in evidenza come investire sull’ambiente crei valore aggiunto per l’impresa e pone nell’obbligo l’impresa stes-

sa di ottimizzare i propri processi rendendoli più sostenibili, con una diretta positività in termini di costi strutturali. Vi sono correzioni urgenti da attuare: non è più sostenibile che in Italia i costi per le bonifiche ambientali siano di circa tre volte superiori rispetto a quelli di altri paesi europei. Occorre con decisione entrare nell’Europa più illuminata nell’area ambientale, viceversa si rischia veramente di non essere competitivi e di allontanare investitori internazionali. L’integrazione e il coinvolgimento di tutti gli stakeholders verso la soluzione di un determinato problema ambientale possono decisamente determinare la svolta. Non servono grandi strategie, serve unicamente il buon senso di spendere le risorse economiche bene e dove necessario, senza sprechi e con buon senso pratico.

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TORINO SI TRAsFORMA si stanno concludendo i lavori nella ex area industriale di Spina 3: il più grande progetto di riqualificazione urbana del capoluogo piemontese di Maeva Brunero Bronzin

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razie all’interramento del circuito ferroviario cittadino che spaccava in due la città e alla riqualificazione di grandi aree industriali dismesse Torino in questi anni sta rientrando in possesso di oltre 2 milioni di metri quadrati del suo territorio. L’ambizioso progetto di riqualificazione urbana, ad oggi in avanzato stato di realizzazione prende il nome di Spina ed interessa quattro sotto-aree cittadine Spina 1, Spina 2, Spina 3 e Spina 4 e il grande asse viario di collegamento, un lungo boulevard realizzato al di sopra del Passante ferroviario, che dalla periferia est (in direzione Milano) correrà fino al cuore della città. Le Spine non sono dei quartieri o delle Circoscrizioni amministrative, ma delle aree urbanistiche che stanno ridisegnando la città di Torino segnando un passaggio epocale che scaturisce dalla demolizione e riqualificazione dei grandi complessi manifatturieri e industriali. Delle quattro, la Spina 3, con oltre 1 milione di metri quadrati, occupa la superficie

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più ampia ed è uno dei più grandi interventi del Piano Regolatore Torino, con investimenti complessivi nell'area per circa 800 milioni di euro. Quest’area, sino a due decenni fa, è stata caratterizzata da una forte presenza industriale, grazie alla sua localizzazione strategica nei pressi del fiume Dora e lungo i binari della linea ferroviaria; a partire dagli ultimi decenni dell’Ottocento, si insediarono qui alcune delle storiche fabbriche torinesi: le Ferriere Fiat, la Michelin, la Savigliano e la Paracchi. I quartieri limitrofi (San Donato e Campidoglio a sud e Lucento e Madonna di Campagna a nord) attrassero un numero sempre maggiore di lavoratori e divennero il cuore della “barriera operaia” torinese. Dopo aver convissuto con le fabbriche per decenni, questi stessi quartieri confinano oggi direttamente con i nuovi comprensori residenziali e il parco Dora (fulcro dell’intero progetto di riqualificazione) e costituiscono la zona di “ricucitura” tra le aree di recentissima edificazione e il tessuto urbano circostante.

L a riqualificazione dell a Spina Il progetto di trasformazione di Spina 3 prevede l’insediamento di un vasto mix funzionale – comprendente residenze, spazi commerciali, uffici, laboratori, centri di ricerca e produzione e spazi per attività ricreative – oltre al recupero e alla riconversione, in spazi atti ad ospitare attività produttive avanzate, degli edifici di pregio un tempo occupati dalle Officine Savigliano e dalla Società Paracchi. L’intera superficie di Spina 3 è stata suddivisa in sette comprensori di intervento – Valdellatorre, Valdocco, Vitali (come i tre ex impianti siderurgici della Fiat Ferriere, poi passati alla Teksid e infine a CimiMontubi), Paracchi, Savigliano, Ingest (Fiat-Nole), Michelin – che corrispondono ai componenti produttivi originari e, di conseguenza, all’iniziale suddivisione proprietaria. La riqualificazione dell’intera Spina 3 è stata preceduta da una vasta operazione di demolizione dei vecchi corpi fabbrica e poi da una complessa bonifica e messa in sicurezza dei


suoli e delle acque di falda che ha visto l’applicazione di diverse tecnologie per consentire il successivo recupero dei 7 comprensori funzionali. Molte delle trasformazioni nell’area di Spina 3 sono già state realizzate: in primo luogo l’Environment Park, uno dei due parchi tecnologici torinesi nati da operazioni di trasformazione urbana; esso sorge sulle aree ex-Teksid (circa 25.000 metri quadri) ed è stato realizzato tra il 1997 e il 2000, con finanziamenti dell’Unione europea. Di fronte all’Envipark, è ormai attivo dal 2003 anche il Centro commerciale Dora, sorto sull’area ex-Michelin (di circa 100.000 metri quadri). L’insediamento – finanziato dalla società Sviluppo Dora-Novacoop e da un gruppo di imprenditori milanesi – comprende anche nuove residenze in corso Umbria, per complessivi 350 alloggi. Nell’area ex-Vitali è stato invece realizzato il villaggio media per le Olimpiadi di Torino 2006, riconvertito subito dopo a spazi residenziali, terziari, commerciali e alberghieri. Nel maggio 2011 sono stati inaugurati altri tre lotti: Ingest, Vitali e Valdocco, che ospitano il più grande parco italiano con architettura post industriale; per i rimanenti lotti bisognerà invece attendere fine anno. Il Parco costituisce il cuore della grande trasformazione dell’area di Spina 3 e si configura come elemento connettivo tra i nuovi insediamenti; con i suoi 456.000 metri quadrati di superficie rappresenterà, una volta terminato, uno dei più vasti polmoni verdi della città. Il progetto del parco rientra nelle opere per le celebrazioni dei 150 anni dell’Unità d’Italia ed è stato cofinanziato da Comune e Stato con 70 milioni di euro; il parco che oggi è possibile vedere a Torino è il risultato di una gara internazionale a procedura aperta, avviata nella primavera 2004; che ha visto come vincitore il gruppo diretto da Peter Latz celebre paesaggista, già autore del parco post-industriale Thyssen nel Bacino della Ruhr.

L’impostazione progettuale del parco Tutto l’intervento di Spina 3, ha un carattere innovativo. Le strutture del museo A come Ambiente e dell’Environment Park sono destinate a raccontare e promuovere, utilizzandoli

essi stessi, l’utilizzo di energie rinnovabili, il rispetto dell’ambiente, il riciclo e la bioarchitettura. Il parco aggiunge a questi aspetti, facendoli propri, anche la ricerca “sperimentale” di nuove metodologie di recupero ambientale che, senza sacrificare il risultato finale, siano attuabili a costi contenuti e abbiano altrettanto bassi costi di gestione. Le sperimentazioni potranno essere utilizzate, in primis, dalla Città nella progettazione, nella gestione e nella manutenzione di nuove o già esistenti aree verdi; inoltre l’esperienza torinese potrà fornire una conoscenza utile ad altre città che inevitabilmente, nei prossimi anni, si troveranno ad affrontare i temi della postindustrializzazione. Il parco di Spina 3 ha peculiarità dovute all’ambiente post-industriale in cui viene ad insediarsi e al perseguimento degli obiettivi sopraindicati, ma non solo. L’esperienza progettuale portata da professionisti stranieri ha aiutato ad innescare anche in Italia comportamenti di fruizione propositivi in luogo del generico atteggiamento passivo, e talvolta negativo, tipico degli utilizzatori locali. In questo senso Peter Latz e i suoi collaboratori sono stati fondamentali stante l’esperienza compiuta nella progettazione, nella realizzazione e nella “promozione” verso gli abitanti dei quartieri limitrofi del parco di Duisburg Nord, nella Rhur, nel luogo dove un tempo sorgevano le acciaierie Thyssen Krupp.

Per meglio comprendere la filosofia progettuale perseguita dal gruppo (fin’ora è stata evidenziata la figura di Latz, ma il progetto nasce ovviamente anche grazie all’apporto di altri professionisti altrettanto esperti nei temi di propria competenza) si evidenziano qui brevemente alcuni tratti fondamentali. Il territorio di circa 40 ettari sembra potersi articolare in 4 frammenti (sono le aree degli stabilimenti di una volta), in cui sono riscontrabili condizioni peculiari. La situazione viene accentuata dalle arterie di traffico che tagliano nettamente la superficie del parco. Ci sono poi strade importanti, che sono state ulteriormente ampliate in seguito all’addensamento del quartiere ed attraversano e delimitano il parco. Ciò significa che esiste un’ottima connessione del parco alla rete dei trasporti pubblici e quindi un collegamento diretto anche con il resto della città. D’altro canto proprio i rapporti con i confini del parco, il collegamento fra le singole parti dello stesso ed il coinvolgimento del quartiere saranno di grande importanza per il suo funzionamento. Il progetto prevede sì di evidenziare le peculiarità e le caratteristiche delle singole zone, ma di realizzare comunque una struttura di collegamento che sarà il segno distintivo del Parco Dora. La progettazione consiste in una sovrapposizione di differenti livelli di progetto considerando gli elementi centrali del parco:

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Il passato si racconta Fiat Ferriere La vicenda della Ferriere Fiat cominciò nel 1917, in pieno periodo bellico, quando la Fiat acquistò dalla ditta Vandel gli stabilimenti della vecchia Fucina delle Armi - già utilizzati come ferriere - e li convertì in industrie per la fusione e la lavorazione dei metalli, utilizzati per componenti meccanici, indirizzando la produzione al settore automobilistico, motoristico e aviatorio. Il periodo tra le due guerre vide un’espansione del complesso e un notevole incremento del numero degli operai, destinato a crescere ulteriormente con l’ingresso dell’Italia nel Secondo Conflitto Mondiale. L’enorme comprensorio industriale era distribuito su tre diversi settori: l’area Valdocco che ospitava le acciaierie; i laminatoi e le fonderie trovavano posto nell’area Vitali; quest’ultima era collegata, mediante un tunnel ferroviario che attraversava via Borgaro, all’area Ingest, dove venivano prodotti nastri di lamiere. Nel 1978 le Ferriere Fiat furono assorbite dalla Teksid, l’azienda che raggruppava tutte le attività metallurgiche e siderurgiche della Fiat e che, a sua volta, fu inclusa nel 1982 nella Finsider, gruppo delle Partecipazioni Statali. A partire dagli anni ’80 l’attività cominciò a decrescere, a causa della progressiva crisi che colpì tutto il settore metallurgico, fino a quando, nel 1992, avvenne la definitiva chiusura dell’impianto.

Michelin

La Michelin insediò nel 1906 il grande complesso per la produzione di pneumatici nello spazio delimitato ad est da via Livorno a nord dalla Dora Riparia, a ovest da corso Umbria e a sud da via Treviso. La fabbrica si caratterizzava, a differenza delle altre costituite prevalentemente da capannoni, per i suoi edifici pluripiano: quelli prospicienti le strade perimetrali ospitavano gli uffici, le residenze dei dipendenti, la caserma dei pompieri, la centrale termica e la portineria, mentre nella parte interna del comprensorio si trovavano principalmente i capannoni per la produzione. La Michelin di Torino aveva una caratteristica forse unica nel suo genere: durante la costruzione dello stabilimento si erano lasciati ampi spazi tra un edificio e l’altro al fine di ottenere vere e proprie strade interne; a ciascuna di esse era stato dato un nome, e ogni singolo palazzo o capannone aveva un proprio ingresso con numero civico. Negli anni ‘50 la società francese si ampliò inglobando i fabbricati del preesistente Cotonificio Valle Susa e venne coperto il canale della Pellerina; la produzione subì un notevole aumento e l’esportazione raggiunse punte del 40% della produzione. Da allora fino agli anni ’60 lo stabilimento conobbe un grandioso sviluppo, e i dipendenti passarono dal migliaio del dopoguerra a circa cinquemila. Con la costruzione in Piemonte, a cavallo degli anni ’60 e ‘70, di nuovi stabilimenti dotati di macchinari ed impianti moderni, la produzione del vecchio stabilimento di Torino Dora si fece sempre meno competitiva. Il declino dell’azienda divenne inarrestabile nel 1982, quando la realizzazione a Torino Stura di un nuovo reparto di 10.000 metri quadrati fece sì che tutte le lavorazioni venissero via via trasferite e il vecchio stabilimento abbandonato poco alla volta.

• l’integrazione della Dora; • la metamorfosi di quanto è già esistente; • la connessione del parco con la città. Già nel corso dell’evoluzione industriale la Dora fu un punto di attrazione ed un fattore essenziale per l’ubicazione del quartiere Spina 3. Perseguendo i dettami del progetto “Torino – Città d’acqua” bisogna migliorare qualitativamente il fiume e farlo riscoprire agli abitanti della città. Il corso del fiume rappresenta la spina dorsale del nuovo parco e diventa quindi un elemento centrale di congiunzione, in grado di imprimere con la propria forma un carattere marcato alle varie parti del parco. E’ stato quindi di grande importanza prevedere l’apertura delle zone lungo la riva per rendere possibile l’accesso alla Dora. Nella zona di Valdocco è stata rimossa la copertura in calcestruzzo esistente sul fiume per renderlo visibile anche qui il suo corso. Contemporaneamente però sono rimaste le strutture in calcestruzzo, sicché il carattere del fiume in questo tratto ricorderebbe il passato industriale. Il confronto con la storia del quartiere è, accanto al rapporto con la Dora, una componente significativa del progetto concepito. L’obiettivo è quello di creare per Torino

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un parco unico nel suo genere, scaturito dalla sua storia e dalla sua trasformazione. Sorgono dunque 4 zone del parco a sé stanti e con caratteristiche differenti secondo l’ambiente e le dimensioni. Esse sono tuttavia collegate direttamente l’una con l’altra mediante ponti e passerelle. La varietà nella realizzazione e gli spazi vissuti all’interno del Parco Dora rappresentano una delle sue qualità principali.


Società Nazionale Officine Savigliano La SNOS, Società Nazionale Officine Savigliano, destinata alla costruzione e riparazione di materiale ferroviario, fu fondata a Cuneo nel 1879. Nel 1895 venne avviata una collaborazione con la “Società Anonima Italiana Ausiliare di Strade Ferrate, Tramvie e Lavori Pubblici” di Torino; nel 1889 questa venne assorbita dalla SNOS, che ne ereditò gli immobili esistenti in corso Mortara. La fabbrica conobbe, in tempi brevi, una rapida espansione: la produzione andò prima a soddisfare le richieste di prestigiose compagnie ferroviarie nazionale e statali, si allargò alla fabbricazione di macchinari elettrici e di costruzioni impiantistiche, si estese durante i conflitti mondiali alla realizzazione di costruzioni aeronautiche ed attrezzature di guerra e attivò lavorazioni nel campo della carpenteria metallica, dell’edilizia portuale, delle condotte idrauliche e degli impianti idroelettrici. Per molti anni le attività si svolsero all’interno degli edifici e dei capannoni esistenti; il ridisegno complessivo dei fabbricati avvenne tra il 1912 e il 1917. Nei primi anni del secondo dopoguerra il rincaro del costo della manodopera e del prezzo del materiale utilizzato ed alcune iniziative avviate ma non terminate a buon fine, fecero entrare la Società in un periodo di difficoltà economica che la costrinse ad essere messa, nel 1951, in amministrazione controllata. La Savigliano si affermò nel 1961 nel campo delle realizzazioni di carpenteria metallica; a Torino furono realizzate alcune opere come la passerella sul Po, il Palazzetto dello Sport di Torino, la Fiat di Rivalta, la guglia della Mole Antonelliana distrutta dall’uragano nel 1953. Nel 1976 la Società Savigliano interruppe le produzioni e passò da attività manifatturiera ad attività di servizi. La chiusura dello stabilimento avvenne alla fine degli anni ’90.

Paracchi

Il complesso edilizio Giovanni Paracchi & C., ritagliato tra l'ansa della Dora e il tracciato di via Pianezza, si impone per la sua consistenza insediativa: all'interno della proprietà, un aggregato di edifici variamente articolato da un punto di vista architettonico evidenzia il progressivo ampliamento dello stabilimento dove si svolgevano la tessitura, la tintoria e l'appretto dei "tappeti da terra". La Paracchi fu la più antica azienda d’Italia per la fabbricazione di tappeti a livello industriale. La trasformazione industriale dell'area prese l'avvio agli inizi del '900 nel primo tratto di via Pianezza, ma gli interventi più rilevanti vennero effettuati nel corso degli anni successivi, in parallelo all'espansione dell'impresa che nel 1926 – epoca a cui risale la facciata di intonazione neobarocca progettata dal geometra Norzi – produceva e commercializzava una grande varietà di manufatti, dando lavoro a 500 operai. Una sede secondaria fu allestita poco distante, in via Fossano, all’interno di un edificio risalente al 1894. A causa dei crescenti costi di produzione e della sempre più estesa concorrenza, a partire dal 1975 la Paracchi si specializzò nella sola tessitura dei tappeti, acquistando filati già trattati nei Paesi di provenienza. Negli anni ’80 quasi tutta la produzione venne spostata nella nuova sede di via Veronese e, nei primi anni ’90, lo stabilimento di via Pianezza chiuse definitivamente.

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iL recupero dell’acciaio supera la quota del 70% Imballaggi sostenibili e dalle innumerevoli vite: ecco come procede il riciclaggio dell’acciaio in Italia di Maria Beatrice Celino

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el 1997 nasce il Consorzio Nazionale per il Riciclo e il Recupero degli Imballaggi in Acciaio nel quadro della normativa ambientale definita dal Decreto Ronchi. Aderiscono al Consorzio 264 aziende tra produttori di materia prima e di contenitori d’acciaio. Il CNA è uno dei sei consorzi di filiera che compongono il Sistema Conai (Consorzio Nazionale Imballaggi) e svolge la propria fun-

zione istituzionale favorendo, promuovendo e agevolando la raccolta e il riciclo degli imballaggi usati di acciaio, provenienti sia dal flusso domestico quanto da quello industriale. Con il coinvolgimento di quasi 5.000 Comuni e più di 43 milioni di persone nel 2010 il Consorzio ha avviato a riciclo ben il 71,1% degli imballaggi di acciaio immessi al consumo in Italia superando sin dal 2002, la soglia del 50% imposta dalle normative europee. Per fare il punto sui risultati e sulle iniziative future abbiamo incontrato Federico Fusari, già vice presidente del CNA ed Amministratore Delegato di ArcelorMittal Packaging Italia, da luglio ricopre il ruolo di Direttore generale del Consorzio. Dott. Fusari ci può illustrare l’attuale situazione di mercato? Dalla sua nascita, nel 1997, e fino all’aprile 2010 il CNA è riuscito a mantenere inalterato il Contributo ambientale, garantendo con tranquillità l’ottenimento degli obiettivi di legge: nel corso dell’ultimo anno, pur essendo il nostro Consorzio l’unico a non avere mai disposto aumenti, a causa delle congiunture di mercato abbiamo dovuto incrementarlo per mantenere un equilibrio economico. Il momento è complesso e ci poniamo la domanda su come rendere competitivo l’imballaggio in acciaio. Una parte dei nostri imballaggi sono destinati all’industria, fondamentalmente fusti e latte, legate al settore chimico ed edilizio. Si parla di domanda (immesso al consumo) in forte contrazione per l’ultiDott. Federico Fusari, Direttore Generale del Consorzio Nazionale Acciaio mo trimestre e prospettive nebbiose

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per il 2012. Quindi se da un lato la riduzione del Contributo potrebbe essere un fattore di accresciuta competitività è altrettanto evidente che volumi in ribasso generano meno introiti (sia per effetto CAC che per la vendita degli imballaggi recuperati). Le doti del contenitore in acciaio restano indiscusse! E’ economico, protettivo, sicuro ed estremamente pratico per l’utilizzatore. Non dimentichiamo poi che per il riciclo l’acciaio è materia che non perde nessuna delle sue caratteristiche anche dopo innumerevoli cicli di vita. Aggiungerei che proprio sulla conoscenza del prodotto e sulle sue qualità, c’è ancora da fare, e per questo sono in corso numerose iniziative. I risultati raggiunti ad oggi sono davvero importanti… Certo, possiamo essere soddisfatti dei risultati raggiunti, sia come sistema Conai, che come Consorzio Acciaio con percentuali che hanno superato ampiamente il 70% dell’immesso al consumo (ricordiamo che l’obiettivo imposto dalla legge è del 50%). Si tratta di una buona base di partenza, ora giustamente occorre concentrarsi sulla qualità intesa come capacità di posizionarci correttamente nel mercato. Non occorrono grandi rivoluzioni, si tratta di impegnarsi affinché il sistema possa mantenersi in equilibrio tra i due obiettivi di base che ci caratterizzano: l’uno quello dell’implementazione della raccolta e riciclo l’altro quello della sostenibilità economica del Consorzio stesso, senza dover intervenire nuovamente sul Contributo Ambientale. Quali sono gli obiettivi che vi prefiggete nel medio e lungo termine? Puntiamo a mantenere il risultato economico raggiunto pur continuando nella politica che ci porta ad estendere le convenzioni con enti pubblici e Comuni che ne fanno richiesta. Nell’incertezza del mercato non è possibile guardare molto lontano ma siamo fortemente consapevoli di quanto è stato fatto e di quanto è ancora possibile fare. Continueremo nella politica di sviluppo della raccolta e riciclaggio, soprattutto puntando sulla superficie pubblica. Quanto ritiene strategico il ruolo della comunicazione in un’attività come la vostra? Riteniamo indispensabile l’attività di comunicazione; va sottolineato l’impegno e la partecipa-

zione del Consorzio a fiere e manifestazioni di caratura internazionale. Vetrine che riteniamo tra le più significative per veicolare l’utilizzo e la bontà del contenitore in banda stagnata, nonché la facilità di raccolta e riciclaggio. Quest’anno Ecomondo ci vede presenti oltre che con uno stand istituzionale assieme a Conai e agli altri consorzi di filiera, anche nella parte Education assieme a Comieco e Rilegno con un laboratorio per le scuole dal nome “Come suona il riciclo”. L’iniziativa è volta a sensibilizzare i più piccoli al recupero di acciaio, carta e legno facendogli scoprire come costruire uno strumento musicale partendo da barattoli in acciaio, scatole di cartone e cassette in legno usati, che da oggetti senza più valore si trasformeranno in veri e propri strumenti musicali. E’ appena partita in questi giorni a Genova e La Spezia l’undicesima edizione di Acciaio Amico, l’iniziativa di educazione alla raccolta e riciclo degli imballaggi in acciaio nelle scuole elementari e medie. La Liguria è stata la regione dalla quale in realtà siamo partiti diversi anni fa e, considerati i tempi, molto è stato fatto ma ancora tanto è possibile fare, anche in considerazione della disponibilità manifestata dal territorio a migliorare. Saremo inoltre presenti al “Salone del Gusto”, oltre che al “CaterRaduno”. Confermiamo anche nel 2012 la campagna media nei programmi più rappresentativi di Radio 2 Rai (Ruggito del coniglio, Caterpillar e Decanter). Direi quindi che l’obiettivo è quello se possibile di implementare la comunicazione, strumento fondamentale per una diffusione capillare su tutto il territorio e su differenti target. Se ci confrontiamo con altri Paesi in Europa come ci posizioniamo? La percentuale del 72% degli imballaggi recuperati costituisce un dato col quale il nostro Paese ricopre il ruolo di capolista in Europa e che proietta gli imballaggi metallici, nel loro complesso, in cima alla lista del riciclo e del packaging sostenibile. Questi i dati emersi nel corso dell’assemblea annuale del Consorzio Nazionale Acciaio svoltasi il maggio scorso a Perugia. L’ottimo risultato assume connotati ancor più significativi se paragonato agli altri materiali di imballaggio quali plastica, cartoni per bevande e vetro, che a livello europeo hanno fatto registrare tassi decisamente più bassi rispetto all’acciaio.

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Expo 2015: opportunità di sviluppo del territorio per operatori e Comuni Gli strumenti a disposizione dei comuni lombardi per sfruttare l’esposizione universale per il rilancio economico del proprio territorio di Federico Vanetti*

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el 2015 Milano ospiterà l'esposizione universale che rappresenta, non solo un evento mediatico e culturale, ma anche un volano economico e di sviluppo per tutto il territorio lombardo. In occasione di tale manifestazione, città come Lisbona e Hannover, rispettivamente nel 1998 e 2000, hanno ridisegnato il proprio volto, sviluppato nuovi sistemi infrastrutturali (aeroporti, stazioni, linee metropolitane) e, quindi, modernizzato il proprio territorio (sul punto, cfr. anche relazione Arch. Antonello Boatti al Convegno "Ridisegnamo l'Expo", Milano, 16 maggio 2009). Purtroppo, i contesti politico nazionale ed economico generale rischiano di trasformare Expo 2015 in un obbligo più che in un'opportunità. La sensazione è che il treno stia già passando e che moltissimi passeggeri siano ancora fermi in banchina ad aspettare l'ultimo vagone. L'obiettivo minimo è sempre più volto a garantire il rispetto degli impegni espositivi, mentre il rilancio delle città interessate da Expo sembra ormai passare in secondo piano. In tale conteso, merita una considerazione particolare la delibera n. IX/999 del 15 dicembre 2010 della Regione Lombardia, "Indirizzi e orientamenti per la pianificazione locale in riferimento a Expo 2015 nell'ottica della sostenibilità", con cui sono stati approvati i criteri e gli indirizzi per una migliore programmazione del territorio dei Comuni lombardi, i quali sono

chiamati a sfruttare le chances che Expo porterà in Lombardia tra pochi anni (turisti, visitatori, imprese, tecnologia). Tali indirizzi - fino ad oggi poco considerati dalle amministrazioni locali - riguardano tutti i Comuni lombardi e non solo quelli direttamente interessati dall'esposizione universale e, quindi, possono rappresentare un importante strumento generale nell’impostazione delle strategie di sviluppo urbane. I punti fondamentali della delibera regionale mirano a promuovere l'uso razionale del suolo (meno consumo e più tutela per le aree verdi) e il recupero della aree dismesse (tumori del tessuto urbano). Secondo la delibera regionale Expo 2015 "deve essere considerato uno straordinario passaggio di modernizzazione, un volano per l'economia, un fattore di slancio competitivo e di attrazione di investimenti non solo per Milano ma per tutta la Regione". La Regione, dunque, si concentra proprio sulle aree dismesse, quale opportunità e necessità di sviluppo del territorio. Gli obiettivi di sostenibilità di piani e programmi relativi ai territori interessati direttamente o indirettamente da Expo 2015 devono, dunque, mirare alla riqualificazione del contesto territoriale di riferimento attraverso il riutilizzo e la rifunzionalizzazione degli spazi industriali dismessi, nell'ottica di preservare il suolo e il contenimento dell'espansione e della dispersione urbana.

Tali obiettivi, peraltro, coincidono con quelli stabiliti dalla L.R. 12/2005 che opta chiaramente per la "minimizzazione del consumo del suolo in coerenza con l'utilizzazione ottimale delle risorse territoriali, ambientali ed energetiche" (art. 8, comma 2, punto b). L'attività pianificatoria locale dovrà, quindi, seguire alcuni criteri di sostenibilità: • il riuso quale forma prioritaria di trasformazione del territorio; • la corretta verifica delle dinamiche territoriali nella definizione delle esigenze di trasformazione; • l'attenzione al disegno delle trasformazioni in armonia con il tessuto presente e finalizzato a limitare consumo e frammentazione territoriale; • l'attuazione di interventi di mitigazione e compensazione, in accompagnamento alla trasformazioni previste. I Comuni lombardi dovrebbero, pertanto, previlegiare gli interventi di riqualificazione e riuso del territorio già urbanizzato attraverso il recupero delle aree dismesse, con il duplice vantaggio di contenere il consumo di suolo e restituire alla comunità parti di territorio abbandonate e a rischio di degrado fisico e sociale. Gli indirizzi, quindi, chiariscono che "i comuni di significativa dimensione demografica o appartenenti al sistema metropolitano o caratterizzati dalla presenza di fenomeni

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di deindustrializzazione o dalla presenza di contesti urbani degradati, devono assumere come obiettivo prioritario dei rispettivi Piani di Governo del Territorio, la riqualificazione, a funzioni di interesse sociale e collettivo, di questi brani di tessuto urbano, adottando modelli incentivanti il recupero del patrimonio edilizio esistente". In tale ottica, "è bene porre in evidenza il fenomeno dell'aumento dell'"invenduto" che sta interessando parti sempre più significative del patrimonio edilizio di recente realizzazione. Potrebbe parzialmente risolvere tale forma di uso non efficiente del territorio la promozione della destinazione dei comparti edilizi a scopo abitativo sociale, utilizzando le diverse formule dell'housing sociale, quali ad esempio i servizi abitativi a canone convenzionato e il patto di futura vendita".

dicembre 2010 e che le stesse rappresentano ancora oggi utili strumenti per promuovere la riqualificazione delle aree dismesse. Si è già detto della L.R. 12/2005 che mira alla conservazione del suolo e indica espressamente gli strumenti urbanistici attraverso i quali è possibile promuovere e attuare interventi di riqualificazione del tessuto urbano. Un esempio, sono i Programmi Integrati di Intervento (art. 87 e ss della L.R. 12/2005) che, potendo anche essere in variante dello strumento urbanistico generale e potendo essere coordinati con Accordi di Programma, rappresentato un efficace strumento per intervenire su ambiti o aree specifiche, prevedendo riqualificazioni. Un'altra legge regionale - molto spesso dimenticata dalle amministrazioni locali - è poi

La delibera regionale, dunque, non si limita solo a stabilire obiettivi specifici, ma fornisce alle amministrazioni locali anche chiare indicazioni sui rischi funzionali e sull'attuale andamento del mercato immobiliare, così da mettere in evidenza anche gli aspetti economici dell'attività pianificatoria. Sebbene tali indirizzi non siano vincolanti per le amministrazioni comunali, gli stessi possono comunque rappresentare un misuratore della "corretta" azione amministrativa e di pianificazione del territorio. Non deve sfuggire, poi, che già diverse leggi regionali vanno nel senso della delibera regionale n. IX/999 del 15

la n. 1/2007, avente proprio ad oggetto la promozione di interventi di recupero delle aree dismesse. Secondo l'art. 7 di tale legge, "la dismissione di aree industriali costituisce grave pregiudizio territoriale, sociale ed economico-occupazionale. Si intendono per aree industriali dismesse, ai fini del presente articolo, le aree: a) che comprendano superficie coperta superiore a duemila metri quadrati; b) nelle quali la condizione dismissiva, caratterizzata dalla cessazione delle attività economiche su oltre il cinquanta per cento delle superfici coperte nelle aree di cui alla lette-

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ra a), si prolunghi ininterrottamente da oltre quattro anni. Il recupero delle stesse costituisce attività di pubblica utilità ed interesse generale, perseguibile secondo le modalità di cui al presente articolo, qualora la dismissione comporti le condizioni di cui al comma 1, oltre a pericolo per la salute, per la sicurezza urbana e sociale e per il degrado ambientale e urbanistico. Il comune competente per territorio, accertata la sussistenza delle condizioni di cui ai commi 1 e 2, invita la proprietà dell’area a presentare una proposta di riutilizzo della stessa, in coerenza con l’assetto insediativo e la programmazione urbanistica del territorio circostante l’area dismessa ed anche con il ricorso agli strumenti di cui all’articolo 11 della l.r. 12/2005, assegnando a tale riguardo un termine da definirsi in ragione della complessità della situazione riscontrata e comunque non inferiore a mesi sei e non superiore a mesi diciotto. La proposta di riutilizzo deve tra l’altro indicare: a) le attività e funzioni che si intendono insediare; b) gli interventi urbanistico-edilizi, infrastrutturali e per l’accessibilità coerenti e connessi con le funzioni che si intendono insediare; c) il grado di risoluzione delle implicazioni eventualmente derivanti dalla dismissione con specifico riferimento alla eventuale presenza di inquinamento dei suoli, nel rispetto delle norme vigenti; d) il cronoprogramma degli interventi previsti; e) il piano finanziario-imprenditoriale che sostiene il progetto. In caso di mancata presentazione della proposta, o nel caso questa non risponda ai contenuti di cui al comma 3, il comune, previa diffida ad adempiere rivolta al proprietario, può provvedere ad acquisire ulteriori proposte mediante procedura ad evidenza pubblica. Al proprietario è sempre e in ogni caso riconosciuta la facoltà di subentrare nell’attuazione della proposta eventualmente accolta dall’amministrazione, previo riconoscimento al promotore della stessa di una indennità pari al cinque per cento del valore delle opere in progetto. L’approvazione della proposta da parte del consiglio comunale produce contestuale recepimento della stessa nel documento di piano del PGT. Tale proposta deve


avere i contenuti di cui al comma 3 ed è attuata, in ragione della natura della proposta stessa, secondo le modalità di cui alla parte II, titolo VI, capo I, della l.r. 12/2005 (Programmi Integrati di Intervento – PII), ovvero dell’articolo 27 della legge 22 ottobre 1971, n. 865 (Piano delle aree da destinare a Insediamenti Produttivi – PIP), secondo le modalità dell’articolo 12 della l.r. 12/2005. Resta comunque salvo il procedimento autorizzatorio delle grandi strutture di vendita così come previsto dall’articolo 9 del d.lgs. 114/1998 e dalla l.r. 14/1999 e conseguenti provvedimenti, nel caso di iniziative a carattere commerciale di grande distribuzione". A differenza degli indirizzi regionali che non sono vincolanti, la citata norma imporrebbe alle amministrazioni locali di promuovere interventi di riqualificazione delle aree dismesse anche attraverso diffide ai proprietari e procedure ad evidenza pubblica per il reperimento di proposte alternative da parte di terzi. La mancata applicazione di tale norma potrebbe anche essere vista come inadempimento agli obblighi istituzionali facenti capo ai comuni. Anche in questo caso, inoltre, il richiamo alle autorizzazioni commerciali parrebbe rappresentare un’indicazione funzionale ed economica rispetto alla definizione dell'assetto urbanistico dell'area. In conclusione, sebbene il quadro politico ed economico nazionale non sembrerebbe agevolare l'arrivo di Expo 2015, i Comuni lombardi hanno già a disposizione gli strumenti e le indicazioni su come valorizzare il proprio territorio e su come sfruttare, quindi, l'esposizione universale. I tempi restano comunque stretti, ma gli strumenti programmatori di cui sopra possono essere applicati in un arco temporale di circa 6-12 mesi e, quindi, potrebbero essere ancora validi per non perdere il volano economico che segue un evento internazionale straordinario. Proprio in un periodo in cui le istituzioni nazionali sembra in grande crisi, maggiore diventa la responsabilità dei comuni, che hanno ancora un rapporto diretto con i cittadini e con il proprio territorio.

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Green economy, opportunità e problemi per le imprese di difesa dell’ambiente Come sostenere e diffondere un modello economico di sviluppo che tuteli l’ambiente e ci offra una nuova prospettiva per il superamento dell’attuale situazione finanziaria di Cesarina Ferruzzi*

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ome molti sanno, la Green Economy o Economia Verde è intesa come un modello di sviluppo economico che prende in considerazione anche l’impatto ambientale, cioè i potenziali danni all’ambiente, il quale deve essere contenuto entro i limiti sostenibili. L’Economia Verde viene percepita come “un modo di vivere e di pensare, come una nuova visione del mondo che cambia, come il futuro che ci aspetta”. “Chi non vede lo sviluppo economico sotto questa prospettiva è un cieco destinato a rimanere nel chiuso dei vecchi meccanismi produttivi”. Queste sono alcune affermazioni di base dei sostenitori della Economia Verde, la quale è diventata di gran moda negli ultimi tempi. Molti, infatti, si vestono e parlano di “Green”. Noto che i seguaci ed i discepoli dell’economia verde aumentano di giorno in giorno anche se poi alcuni di essi sono gli stessi che inquinano e non praticano, ad esempio, la raccolta differenziata, nel caso dei rifiuti solidi urbani. Insomma, vige anche in questo caso il vecchio detto: “si predica bene e si razzola male”. Comunque, oggi è impensabile prescindere da questo modo di vivere e di pensare che si sta manifestando e diffondendo anche a livello politico.

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Il Ministro dell’Ambiente sostiene, ad esempio, che “la Green Economy non è una delle scelte possibili, ma costituisce l’unico modo praticabile dell’economia per i prossimi anni. Questo nuovo vento produrrà” prosegue l’On. Prestigiacomo “un cambiamento strutturale del sistema Italia nella direzione della eco-sostenibilità associata ad obiettivi economicamente plausibili, cioè accettabili sul piano logico”. Il Ministro ha anche affermato che “in questo delicato periodo finanziario internazionale occorre un approccio pragmatico affinché la Green Economy diventi realmente la nuova frontiera”. Condivido pienamente l’avvertimento del Ministro che ci invita ad essere pragmatici e non integralisti vista la situazione economica attuale con le molte manovre finanziarie annesse avviate dal nostro Governo in questo ultimo periodo. Non mancano convegni ed appelli in ordine alle prospettive che la Green Economy presenta soprattutto in periodi di crisi economica. In realtà, essa potrebbe, al pari delle infrastrutture, agire come volano di investimenti pubblici e privati. Ciò premesso, vorrei ora accennare ai rapporti tra l’economia verde e l’attività imprenditoriale finalizzata alla difesa dell’ambiente. Non mi sembra che ci siano dubbi sul fatto

che il concetto di Economia Verde si estenda anche all’attività di smaltimento dei rifiuti, di depurazione delle acque inquinate e di bonifica dei siti contaminati. Tutte queste attività debbono infatti garantire un impatto ambientale minimo. Ma non sfugge però il fatto che le imprese che svolgono attività finalizzate alla difesa dell’ambiente sono, nel contempo, anche strumento e mezzo per lo sviluppo dell’Economia Verde. Queste imprese hanno, infatti, un duplice rapporto nell’ambito della Green Economy: da un lato, la loro attività, come tutte le altre attività produttive, produce impatti ambientali, che devono essere, come già detto, di livello minimo; dall’altro, le imprese ambientali sono espressione intrinseca dell’Economia Verde in quanto nascono con la vocazione di difendere l’ambiente. Occorre investire nella riqualificazione, oltre che nello sviluppo di nuovi impianti. Ma a complicare la situazione non manca un groviglio di cavilli burocratici e legislativi che si sono annodati in una staffetta trentennale di governi inefficienti. Non vorremmo che in Italia la Green Economy rischiasse di morire prima di nascere. Questo non perché non esista la capacità imprenditoriale, l’appoggio dell’opinione pubblica, le amministrazioni locali virtuose, tutt’altro.


Quello che manca è l’azione di direzione e programmazione a livello centrale. L’impresa di difesa dell’ambiente è dunque figlia legittima della Green Economy. Per questa funzione, l’impresa di difesa dell’ambiente deve essere maggiormente considerata, deve godere di più attenzione da parte delle Istituzioni e degli operatori economici. L’incremento dell’attività di queste imprese potrebbe oggi contribuire a combattere la crisi economica. Ad esempio, importanti contributi per la ripresa economica potrebbero aversi mediante la realizzazione e l’attuazione di piani nazionali e/o regionali per la termovalorizzazione dei rifiuti urbani, per la bonifica dei siti contaminati, per la depurazione delle acque o per la loro dissalazione o potabilizzazione. Questi sono interventi di carattere strutturale al pari delle infrastrutture stradali. Si registra, invece un atteggiamento ostile e talvolta vessatorio nei confronti delle aziende della nostra categoria. È vero che talvolta alcune imprese operano al di fuori delle norme, inquinando invece di disinquinare. Tuttavia, mi chiedo qual è la categoria che non ha nel suo paniere delle mele marce? Basti pensare all’evasione fiscale. Queste imprese, come gli evasori, vanno “scovate” e punite severamente. Parlando

invece delle imprese di difesa dell’ambiente “sane” e “rispettose” delle leggi e delle regole, va detto, anche in questa sede, che esse molto spesso non vengono premiate e tenute in considerazione. Eppure, anche queste imprese hanno, come quelle manifatturiere, tutte le medaglie ed i “pezzi di carta”, come ad esempio: le certificazioni ambientali, le iscrizioni specifiche negli albi o nelle categorie generali e specializzate, modelli organizzativi basati sulla responsabilità degli amministratori, per non parlare del fardello del carico burocraticoamministrativo e delle pesanti sanzioni penali, oggi derivanti anche dagli illeciti in campo ambientale. Parliamo della sostenibilità d’impresa e della responsabilità sociale dell’impresa. Nel nostro caso la sostenibilità si configura quale processo continuo di formazione verso la qualità integrale: ovvero la qualità del servizio, la qualità del processo, la qualità del sistema e la qualità del contesto, come valore complessivo della comunità e del territorio in cui l’impresa è inserita. La sostenibilità ambientale e l’innovazione vanno di pari passo. Possiamo dire che si hanno molti oneri, pochi onori e scarsi supporti creditizi, finanziari e fiscali. In tale ambito sono anche necessari strumenti agevolativi, in grado di dare le giuste motivazioni alle impre-

se per investire in ricerca e tecniche sempre più finalizzate alla difesa dell’ambiente. Spero che queste mie considerazioni vengano condivise dagli operatori del settore e in particolare da Assoreca, associazione che è diventata ormai, mi permetto di dirlo, un’ottima compagna di viaggio. E’ sempre più necessario sviluppare lo sviluppo di sinergie tra le nostre associazioni, per la realizzazione di un fronte comune. Potremmo valutare congiuntamente l’iniziativa di lanciare una “Rete di Imprese” per valorizzare, da un lato la professionalità e l’attività delle aziende associate e, dall’altro, per fare fronte comune negli interventi presso il Governo, il Parlamento e nei confronti di Confindustria. Potremmo allargare la rete e far entrare anche altre associazioni che operano in settori confinanti ed affini ai nostri. A livello organizzativo si potrebbe pervenire all’aggregazione di una Federazione di settore. Tutto questo per unire le nostre forze e per porre fine alla politica dell’uno contro l’altro tipica dei cosiddetti “polli di Renzo” di manzoniana memoria. Spero quindi che queste mie considerazioni troveranno terreno fertile in Assoreca. *Presidente ANIDA

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Mr. PLANET, LA VOCE DEL PIANETA ON AIR Ascoltiamola alla radio imparando comportamenti semplici e virtuosi alla portata di tutti per la tutela del nostro mondo di Bruno Vanzi

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iamo in tanti ad ascoltare la radio quando siamo in macchina oppure a lavoro e tra gli ascoltatori di Radio 105, Radio Monte Carlo e Virgin Radio molti si saranno sicuramente imbattuti in Mister Planet. Ma chi è questo Mr. Planet? Facciamocelo spiegare direttamente da lui: “Ciao amici, sono Mister Planet. Posso chiamarvi amici? Mi piace pensare che lo siamo ancora, nonostante tutto quello che mi fate. Se ci penso vi avevo dato una bellissima casa, grande come il mondo, ma voi la state mettendo a soqquadro. Le cose non

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vanno proprio come avevo immaginato; è proprio arrivato il momento di fare due chiacchiere…” Si perché, proprio di chiacchiere si sta parlando, dato che Mister Planet è una voce alla radio che ci chiede solamente un po’ del nostro prezioso tempo per ascoltare: “Ce l’ave-

te un minuto per me? Lo so lo so siete presi da mille appuntamenti, impegni, compiti, lavoro, sempre la vostra sacra fretta. Chissà poi se state facendo qualcosa di veramente importante. Magari state lavando la macchina o guardando una televendita in tv o magari state provando un paio di scarpe per decidere se vi donano. Ma sì sì, sono carinissime. Ma per innaffiare un fiore non avete mai tempo. Vi chiederete, chi è che vi parla in questo modo? Sono Mister Planet, ma sono anche voi”. Le parole di Mr. Planet che abbiamo riportato sono le promo che hanno anticipato


la partenza del programma vero e proprio che è in onda da metà giugno sulle tre emittenti radio Radio 105, Radio Monte Carlo e Virgin Radio alle 10 e alle 16. L’intenzione è quella di sensibilizzare quotidianamente e ri-educare chi ascolta a comportamenti virtuosi e responsabili nei confronti del pianeta, dell’ambiente, della natura, degli animali, semplici azioni o piccoli consigli che fanno riflettere sugli sprechi del consumismo, sulla tutela delle risorse, sul risparmio energetico, sul rispetto per la natura e molto altro. Per far questo si è scelto di servirsi di un nuovo modo di informare che si contrappone ai toni della comunicazione oggi

utilizzata riguardo le tematiche ambientali che spesso si esprime in modo allarmistico, monocorde e non fornisce soluzioni alla portata del singolo con il risultato che la gente non si sente più coinvolta. Mr. Planet è un progetto sostenuto da Coop, Ferrarelle e Sorgenia che ha coinvolto in esclusiva le emittenti del Gruppo Finelco, da sempre sensibili alle problematiche dell’ambiente, della natura e degli animali. Mr. Planet è infatti un progetto multipiattaforma pensato per la total audience di Gruppo Finelco (circa 8.000.000 di ascoltatori al giorno), programmato sui tre network, sui siti web delle emittenti, su oltre 30 web radio, blog, social network, podcasting, mobile e attraverso un sito internet interamente dedicato (www. mrplanet.it).

Obiettivo del progetto Mister Planet è divulgare il messaggio che qualcosa si può fare, se ognuno di noi nel proprio piccolo muove un piccolo passo a favore dell’ambiente. La voce, inconfondibile di Mr. Planet è quella di Carlo Valli, doppiatore di attori celeberrimi tra i quali Robin Williams, protagonista di capolavori come L’attimo fuggente, Good Morning Vietnam e Patch Adams, pellicole nelle quali voce e contenuti si sovrappongono in un mix avvolgente che seduce lo spettatore. Quindi, dopo aver letto questo articolo, non vi resta che sintonizzarvi alla radio ed ascoltare Mr. Planet ricordandosi che ogni singola buona azione può contribuire al migliorare del nostro pianeta e quindi anche di chi ci vive… “Sono Mister Planet, ma sono anche voi”!

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IL SUPERMERCATO HIGH-TECH DEI PRODOTTI ESOTICI... A KM ZERO! Presto in Olanda sarà possibile fare la spesa in mezzo a prati erbosi, vasche di acquacoltura, pergolati di kiwi e piante di avocado, in nome della sostenibilità ambientale di Tina Corleto

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arà come andare dal contadino. Il vantaggio però sarà quello di non dover badare alla stagione o alla specifica latitudine in cui quel prodotto può crescere. Si potrà trovare tutto (o quasi) in qualunque periodo dell’anno. Una gran fortuna per gli olandesi! L’idea della cascina-supermercato è scaturita e sarà realizzata (entro un anno) dall'azienda olandese Van Bergen Kolpa Architecten, che ha previsto di svilupparla nella regione di Randstad, che abbraccia le città di Amsterdam, L'Aja, Rotterdam e Utrecht, oltre a cittadine di minori dimensioni.

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L’Olanda non ha un clima caldo e assolato, i suoi prodotti più tipici e legati alla tradizione sono le patate, le uova e le aringhe. Del resto, i flussi migratori hanno nel corso degli anni portato nella nazione gente da diverse parti del mondo, tanto che oggi si contano 170 differenti nazionalità, a cui corrispondono abitudini alimentari e preferenze gastronomiche diverse. Ed ecco la crescente domanda di prodotti esotici, coltivabili solo in Paesi lontani, oltreché di animali e pesci di origini geografiche diverse. Il Park Supermarket sarà in effetti la risposta concreta alla richiesta di alimenti locali e stranieri.

Darà la possibilità agli acquirenti di trovare tutto quello che è comunemente stoccato in un tipico negozio di alimentari, ma la differenza sarà che gli alimenti non saranno prelevabili dagli scaffali ma dovranno essere colti direttamente dalla terra o scelti su prati o in vasche di acquacoltura. Si prevede che entro un anno circa 1.600 ettari di terreno agricolo saranno convertiti in una grande fattoria, il cui terreno agrario sarà dal punto di vista litostratigrafico costituito da argilla e torba. Benché la tradizionale zona "polder" (NdR zona costiera dell'Olanda caratterizzata da terreni bonificati, sotto il livello marino, difesi


da dighe e argini) sia spesso inondata dalle alte maree, la localizzazione della fattoria è stata scelta in modo tale da poter godere dei vantaggi derivanti dalla tipologia di terreni di tali zone, che col tempo hanno subito un riscaldamento e si sono modificate idrogeologicamente. Il progetto prevede che l'accesso al Park Supermarket avvenga dalla cittadina di Midden Delfland (nell'Olanda meridionale) e che l'intera area sia suddivisa in lotti da circa un ettaro per le coltivazioni e la vendita dei singoli prodotti alimentari. La fantasia e l'ingegno olandese mirano a ricreare zone con microclimi differenti (temperato, mediterraneo, tropicale, ecc.) in modo che ogni zona del Supermarket abbia proprie caratteristiche. Sarà così possibile acquistare il riso di Pandan immerso in acqua come nelle tradizionali terrazze di Cina e Indonesia, i pesci tipo trota e tilapia allevati in impianti di acquacoltura, frutti come il kiwi direttamente dalle pergole e gli avocado da piante originarie dell'America centrale e meridionale. Il reparto "carni", poi, offrirà al potenziale consumatore la scelta tra la pecora di razza Ardense, la vacca del Limousin o il bovino di razza argentina scorrazzanti su prati erbosi. Dal punto di vista ingegneristico, si farà fronte al clima olandese esterno alla cascinasupermercato attraverso un abbinamento di classiche tecnologie di riscaldamento a ser-

pentina e più moderne soluzioni basate su tetti isolanti dai quali sarà nebulizzata l'acqua e su impianti di riscaldamento geotermico, in modo da rendere la struttura quanto più possibile sostenibile. Adottando queste soluzioni impiantistiche si potrà artificialmente creare il microclima desiderato differenziandolo per ciascuna specifica coltura.

Nell'era in cui tutti rincorrono il prodotto “a km zero”, l'Olanda compie un enorme passo a favore della sostenibilità (ambientale ed economica). I prodotti a filiera corta, rispetto alla Grande Distribuzione Organizzata, si sa, garantiscono molti vantaggi dal punto di vista ambientale come di seguito riportato.

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th e b i g e y e

1. Risparmio: in Italia si è calcolato che il 5. Maggiore tracciabilità: il consumatore che acquista alimenti a filiera corta conosce 70% del prezzo degli ortaggi in venditutti i passaggi che il prodotto ha fatto (chi ta nei supermercati è correlato al costo è intervenuto a produrlo, trasformarlo, indella filiera. Di conseguenza acquistanscatolarlo e poi commercializzarlo). do frutta e verdura dai produttori locali risparmia l'acquirente e guadagna il “People buy (and recreate and consume and learn) where the food is produced” anticipa contadino. 2. Qualità organolettiche: frutta e verdura Jago Van Bergen della Van Bergen Kolpa Arprodotti dall’agricoltura industriale non chitects. hanno le stesse qualità nutritive di quelli Il progetto olandese è immaginabile come un raccolti poche ore prima dell'acquisto e grande farmer's market anglosassone: un mermagari coltivati mediante i criteri dell'agri- cato degli agricoltori che ha però il vantaggio di coltura biologica. mostrare vegetali e animali nelle loro comunità 3. Meno imballaggi: e dunque un costo mi- e habitat naturali, offrendo la possibilità di conore e una produzione dei rifiuti certamen- noscere prima ancora di consumare. te ridotta, a differenza di quelli che sono L'architetto Van Bergen ha comunicato alla obbligatori per gli immagazzinaggi e per stampa che la sua azienda sta lavorando a un progetto pilota su un fondo agricolo di 30 ettari, i trasporti. 4. Meno trasporto: gli articoli venduti nei dove collabora al suo campo prova con l'aiuto supermercati non sono prodotti locali e di una cooperativa di coltivatori, oltreché dei reok B DEPURACQUE 240X150.qxp:Layout 1 23-02-2010 Pagina sidenti e delle1 Autorità pubbliche di Nijmegen, pertanto il loro trasporto inquina e pro-9:13 cittadina prossima ai confini con la Germania. duce traffico di automezzi.

Nel mese di settembre di quest'anno il progetto del Park Supermarket è stato presentato durante l'evento "Architecture and the City Festival" di San Francisco, il più grande festival di architettura degli Stati Uniti d'America che ogni anno presenta vetrine, film, mostre, conferenze e altro a tema. Chi tra qualche anno sceglierà di trascorrere le proprie vacanze in Olanda, sappia fin d'ora che lo sguardo su distese di tulipani colorati si alternerà a piantagioni di frutti esotici e risaie a terrazza di stile orientale. Fonte fotografie e immagini www.worldarchitecturefestival.com

impianti per il trattamento del percolato da discarica

L’impianto per il trattamento del percolato che si origina nelle discariche di R.S.U. è stato sviluppato sulla base del know-how e dell’esperienza che Depuracque ha acquisito nel campo degli evaporatori sotto vuoto per il trattamento di reflui altamente inquinanti in oltre dieci anni di realizzazioni applicative in area industriale. Questo impianto risolve in maniera definitiva il problema del trattamento del percolato con una soluzione tecnologicamente avanzata ed economicamente vantaggiosa in termini di costi sia di investimento sia di esercizio. L’impianto comprende normalmente una opportuna sezione di finissaggio del condensato per la rimozione dell’ammoniaca (strippaggio-assorbimento con aria in circuito chiuso) ed un eventuale trattamento di ossidazione biologica a fanghi attivati (processo S.B.R.). Anno 4 - Numero 17

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In funzione di specifiche esigenze sono stati eseguiti impianti con sezioni di preconcentrazione e di finissaggio su membrane. I vantaggi sono rilevanti in quanto la tecnologia adottata coperta da brevetto Depuracque: - comporta il trattamento specifico del refluo con effettivo abbattimento degli inquinanti evitando qualsiasi diluizione; - evita i rischi connessi alla fase di trasporto; - consente l’ottimale recupero energetico del biogas; il fabbisogno termico può inoltre essere soddisfatto con il solo utilizzo di acqua calda da raffreddamento dei gruppi di cogenerazione e pertanto ad effettivo costo zero;

- costituisce applicazione della migliore tecnologia oggi praticabile per i reflui ad alto contenuto inquinante; - risolve in maniera definitiva i problemi dello smaltimento del percolato in assenza di emissioni significative in atmosfera. La gamma di normale produzione prevede modelli con capacità fino a 10 m 3/h. Ad oggi sono stati realizzati impianti presso le discariche di: Pescantina (VR), Centa Taglio (VE), Pantaeco (LO), San Miniato (PI), Chianni (PI), Fermo (AP), Rosignano Marittimo (LI), Serravalle Pistoiese (PT), Giugliano in Campania (NA), Monsummano Terme (PT), Jesolo (VE), Peccioli (PI), Malagrotta (RM), Bracciano (RM).


ECOMONDO pad. C5 stand 116


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Le attività delle regioni italiane nelle bonifiche Il coordinamento dei procedimenti di bonifica nelle attività regolamentative e amministrative delle Regioni di Marina Dragotto e Igor Villani*

A

seguito delle direttive contenute nel D.Lgs. 152/06, finalizzate ad impegnare le Regioni in un lavoro di dettaglio sulla norma relativa alla bonifica siti contaminati, a distanza di 5 anni (in realtà 12 trattandosi sostanzialmente delle stesse direttive già contenute nel D.M. 471/99), a livello nazionale, lo stato di adempimento da parte delle Regioni a quanto richiesto dalla norma è ancora molto disomogeneo. Per capire lo stato dell’arte AUDIS sta ricostruendo attraverso una ricerca puntuale Regione per Regione gli atti o Linee guida emesse in materia di bonifica di siti contaminati, sia in riferimento all’attuazione del D.Lgs. 152/06 che verificando le iniziative “autonome”. Ciò ha consentito di individuare sia chi ha prodotto di più ed in che

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direzione, sia la tipologia di strumenti tecnico-amministrativi elaborati, permettendo di fare valutazioni nel merito di efficacia e qualità dei documenti. Nell’ambito del progetto, oltre alla ricostruzione del quadro nazionale, l’analisi delle normative regionali e il confronto diretto con i funzionari delegati sta mettendo in luce la difficoltà da parte delle Regioni stesse di individuare e “praticare” gli spazi di manovra a loro disposizione all’interno della legge, ciò alla luce dell’esclusiva competenza ministeriale in materia di normativa ambientale e dei reiterati “annullamenti” dell’operato di alcune Regioni da parte della Corte Costituzionale. Questo rappresenta un nodo crucia-

le su cui il progetto si sta concentrando per individuare gli ambiti su cui le Regioni e gli enti locali possono intervenire. Nella convinzione derivata dall’esperienza e dal campo di interesse di AUDIS (la rigenerazione urbana) la ricerca considera, oltre alle norme strettamente ambientali, anche le norme dell’urbanistica e dell’edilizia di cui le Regioni si occupano per competenza diretta. Sul rapporto tra bonifiche ed urbanistica-edilizia, verso il quale praticamente nessuna amministrazione regionale ha prodotto norme specifiche, l’analisi del panorama italiano sta evidenziando i punti di potenziale collegamento tra queste due materie, consentendo di individuare i nodi su cui poter agire direttamente e con efficacia.


L’attività delle Regioni Sulla base degli artt. 196, 199, 240 (fondo) il D.Lgs. 152/06 prevede un’attività deliberativa, da parte delle Regioni, atta a dettagliare e perfezionare tecnicamente ed amministrativamente le modalità applicative della norma nazionale. I tre ambiti per i quali il Testo Unico ambientale prevede l’elaborazione di norme sono l’Anagrafe dei siti contaminati, il Piano bonifiche e le Linee guida operative/amministrative per le istruttorie. Nell’ordine in cui enunciati, questi tre ambiti rappresentano la virtuale filiera normativa che dovrebbe costituire il sistema di amministrazione ambientale in materia di siti contaminati. L’Anagrafe rappresenta l’immagine della situazione territoriale, teoricamente a supporto della pianificazione e base indispensabile per strutturare il Piano bonifiche, il quale dovrebbe identificare le situazioni critiche e coordinare i finanziamenti atti a risolverle. Le Linee guida operative chiudono poi il cerchio impartendo le competenze e le modalità con cui istruire il tutto. Queste disposizioni sono state recepite in maniera tutt'altro che organica e coordinata sul territorio nazionale, forse anche per mancanza di un coordinamento centrale, portando ad avere ad oggi solo alcune Regioni pienamente adempienti (7), altre con diversi gradi di parziale adempimento (8) e altre ancora sostanzialmente totalmente inadempienti. Inoltre, all’interno degli stessi strumenti (Anagrafe, Piani bonifiche e Linee guida) si riscontrano grosse differenze documentali da Regione a Regione rispetto ad atti che dovrebbero in realtà essere analoghi, nonché confluenti in un teorico quadro di insieme costruito a livello ministeriale. D’altra parte va rilevato che, in merito alle differenze documentali, se da un lato si può lamentare il fatto che alcuni prodotti sono elaborati con più completezza di altri, dall’altro è interessante notare che questa "libertà" operativa, pur gravando il quadro nazionale di contingenti difficoltà, ha allargato il campo culturale e giuridico delle tematiche elaborate, consentendo, oggi, di poter individuare diversi importanti nodi altrimenti probabilmente inespressi. Di rilievo è anche la questione dei SIN (Siti di Interesse Nazionale), che in molti casi hanno

assorbito quasi totalmente le energie delle amministrazioni regionali facendone esaurire la capacità operativa e deliberativa nell'esclusivo ambito a regime speciale, lasciando scoperte le esigenze a livello ordinario. Oltre alla mera ottemperanza a quanto prescritto dalla legge, alcune Regioni hanno avviato la produzione di norme e Linee guida ritenute necessarie per una effettiva salvaguardia ambientale, una virtuosa gestione del territorio ed un proficuo utilizzo delle cronicamente scarse risorse finanziarie. Anche in questo caso la "libertà" operativa delle Regioni ha portato alla produzione di diversi documenti tecnico-amministrativi di carattere progettuale volontario che, nel loro insieme, rappresentano un interessantissimo ed utilissimo set di potenziali strumenti di settore. Chi ha provveduto a stilare leggi, atti, Linee guida, ecc. ne vede oggi gli effetti positivi dal punto di vista della riqualificazione, della promozione dei relativi investimenti e della rapida risoluzione delle procedure di bonifica. Le amministrazioni regionali rimaste invece inerti, vedono uno scenario caotico e disomogeneo sul territorio: forti discrepanze tra gli Enti locali di riferimento, difficoltà nel gestire le informazioni ambientali e la chiusura delle procedure, una conseguente poco illuminata gestione dell’ambiente. Tutti elementi che si traducono, oltre che in un basso livello di tutela e salvaguardia, in un cospicuo spreco di risorse sia private che pubbliche.

Si evidenzia che il grado di rappresentatività delle Anagrafi prodotte rispetto al territorio è caratterizzato da due aspetti: la copertura territoriale ed il livello di aggiornamento. Il primo dipende dalla capacità di individuazione dei casi da parte delle varie Amministrazioni Locali, il secondo dipende dall’attività di integrazione e formalizzazione dei dati da parte delle Regioni. Sicuramente l’aggiornamento dell’Anagrafe è legato all’attività di finanziamento del relativo settore all’interno delle Regioni. Essendo presenti due tipologie di siti, quelli a carico di fondi pubblici e quelli a carico di finanziamenti privati, per i primi l’Anagrafe è un vero strumento istruttorio mentre per i secondi ha carattere di conoscenza del territorio. Non a caso le più aggiornate risultano essere quelle di Lombardia, Piemonte, Veneto, Toscana e Umbria, cioè Regioni con fondi di finanziamento dedicati. È interessante notare che si sta diffondendo l’informatizzazione delle anagrafi; avere un sistema interattivo informatizzato sopperisce parzialmente alla mancanza di integrazione (ormai necessaria) dell'anagrafica negli strumenti urbanistici, rendendo le informazioni sulle

Un primo bil ancio Volendo esporre più nel dettaglio quanto prodotto dalle Regioni, si osserva che, per la parte riguardante la rispondenza alle disposizioni di legge, l’Anagrafe risulta essere lo strumento più recepito (14 Regioni su 20).

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bonifiche, rispetto a specifici lotti, comunque un minimo fruibili anche a chi gestisce procedure di diverso genere. Ci sono anche esempi particolarmente virtuosi, come la Regione Friuli Venezia Giulia, in cui sono stati elaborati anche file in formato kmz da poter visualizzare su cartografia digitale on-line. I Piani bonifiche sono generalmente conseguenti all'istituzione dell'Anagrafe ed in funzione delle risorse finanziarie a disposizione e dedicate al settore. Undici Regioni si sono dotate di questo strumento, anche se in due casi si tratta di Piani strutturati sulla norma antecedente al D.Lgs. 152/06. Essi racchiudono in linea di massima tutte le direttive regionali esistenti, evidenziando la relazione diretta tra la capacità ”produttiva” delle Regioni e l’articolazione dei Piani. Alcuni di questi, infatti, si limitano sostanzialmente a riportare l’Anagrafe nell’ambito della pianificazione, altri invece, come il caso della Lombardia, entrano nel dettaglio impartendo

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indicazioni in merito alle modalità di gestione dei finanziamenti, di subentro dell’amministrazione con poteri sostitutivi, di effettuazione degli espropri, di programmazione delle fasi esecutive di intervento. Le Linee guida operative sono state elaborate da meno Regioni (otto) rispetto ad Anagrafe e Piani bonifiche. In evidenza ci sono quelle della Lombardia dove si possono trovare estremi di dettaglio sulla gestione dell'analisi di rischio e quelle di Marche ed Umbria in quanto estremamente recenti e pertanto elaborate sulla base di una migliore casistica. Oltre ad Anagrafe, Piano e Linee guida, richiesti dal testo unico, si è andata strutturando una serie di documenti volontari sicuramente di efficacia apprezzabile tra i quali segnaliamo: • Lombardia: ha definito specifici Accordi di programma su diversi temi tra i quali la riqualificazione di aree dismesse;

• Piemonte: produce uno vero rapporto annuale sulle bonifiche, molto utilizzato come indicatore di settore dagli operatori e dalle associazioni di categoria; • Toscana: ha costruito un valido sistema on-line di notifica e comunicazione delle procedure che dovrebbe supportare il lavoro di razionalizzazione anagrafico da parte degli enti; • Trentino: ha in rete un’area di pubblicazione integrale delle istruttorie, che affronta e risolve alla base la questione dell’accessibilità ai dati ambientali come indicato dalla Comunità Europea. Alcune Regioni si sono anche "sbilanciate" nel campo delle Linee guida tecniche. Risulta opportuno il termine “sbilanciate” in quanto la materia tecnica ambientale, essendo di competenza prettamente statale, è soggetta facilmente a cadere nel campo della incostituzionalità quando gestita dalle Regione.


Tra le Regioni che si sono mosse in questo senso segnaliamo il Veneto che ha recentemente elaborato una validissima Carta del fondo naturale dei suoli regionali. Pur trattandosi ancora esclusivamente di uno studio con questa Carta si affronta uno degli argomenti principe dello stesso D.Lgs. 152/06, il quale ribadisce più volte che le valutazioni ambientali devono essere effettuate sulla base delle reali condizioni locali, previo il riconoscimento di queste condizioni da parte delle amministrazioni competenti.

Quasi nessuna Regione fino ad ora si è adoperata per elaborare lo stato di fondo della propria realtà locale, sia per quanto riguarda i suoli che per le acque sotterranee. Ciò rappresenta un problema sostanziale perché implica che tutte le valutazioni debbano essere fatte sul tabellare nazionale, decisamente poco rappresentativo essendo concepito su base supercautelativa e dovendo coprire un range di casistiche molto ampio. Altri progetti di sicura importanza sono quelli relativi alle terre e rocce da scavo por-

tati avanti da Veneto, Liguria, Sicilia, Umbria, Provincia Autonoma di Trento e Piemonte. Tutti questi aspetti possono essere coordinati ed integrati per elaborare direttive perfezionate ed effettivamente efficaci, giovandosi del fatto di essere già stati applicati e "sperimentati" sul territorio. Quella che rappresenta una generalizzata grave lacuna è l'interfaccia dei siti contaminati con l'urbanistica e l'edilizia. In merito ci sono sporadiche indicazioni ed in pochi documenti regionali ma non esistono ancora delle effettive norme o direttive di collegamento. Va da sé che si tratta di un ambito diventato fondamentale verso il quale risulta ormai assolutamente necessario intervenire già a livello di normativa nazionale. Il progetto di AUDIS è rivolto anche all’individuazione dei punti di contatto tra le norme per l’individuazione di potenziali soluzioni. *AUDIS

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spe c i a l e

Le nuove misure di tutela della sicurezza per operare in ambienti confinati Insufficiente valutazione dei rischi, omissione dei controlli preventivi e la mancanza di informazione sulle sostanze pericolose: ecco le cause più frequenti degli infortuni in spazi confinati di Casto di Girolamo* e Giampaolo Moscatelli**

I

aperture per l’ingresso e l’uscita di un operatore e di difficile utilizzo, sia per le ridotte dimensioni sia per la configurazione esistente, tali da consentire l’effettuazione di operazioni di installazione, controllo, manutenzione come pure di bonifica di determinati impianti o attrezzature di lavoro. In ambito applicativo si può pensare, a mero titolo di esempio, ai lavori e agli interventi eseguiti all’interno di aree di lavoro come quelle riportate, in modo non esaustivo, qui sotto, nelle quali vi può essere una limitazione dell’ossigeno ambientale. Nel corso di attività eseguite negli spazi esempi di luoghi o spazi di confinati possono l avoro confinati verificarsi diverse • vasche, fosse biologiche, impianti fognari, decantatori situazioni pericolo• tombini, cunicoli, bacini di pompaggio se per i lavoratori, la • pozzi, tunnel, collettori, cavità e spazi assimilabili cui causa primaria • cantine sotterranee, tini, filtri, fermentatori, digestori è spesso ricondu• botole, tramogge, cavedi • canalizzazioni, tubazioni, camere/condotte di ventilazione o di scarico cibile a carenza di • locali con alloggiamento di tubazioni di gas inerti o di liquidi criogenici inerti ossigeno ambientale • recipienti e serbatoi chiusi/parzialmente aperti con connessioni a tubazioni ovvero all’accumu• ambienti chiusi ove vengono eseguite operazioni di saldatura lo, all’interno di aree • fosse di ascensori e montacarichi, piani interrati confinate, di gas o • scavi o fossi a contatto con terreno contaminati vapori tossici per • corpi caldaie, camere di combustione di forni cilindrici l’organismo umano. • autobotti, containers, sentine, stive navali e luoghi similari Lo studio delle dina• luoghi di lavoro assimilabili, per pericolo, ai precedenti miche infortunistiche

luoghi confinati sono individuabili come “spazi circoscritti, caratterizzati da limitate aperture di accesso e da una ventilazione naturale sfavorevole per gli addetti, nei quali possono verificarsi eventi incidentali di una certa rilevanza, che possono condurre ad un infortunio grave o addirittura mortale, in presenza di agenti chimici pericolosi (sotto forma di gas, vapori, nebbie o polveri)”; in generale, sono luoghi di lavoro non destinati allo stazionamento fisso o continuativo di addetti e non necessariamente chiusi, dotati di

ha messo in evidenza circostanze di forte criticità legate sia ad eventi di asfissia che a vere e proprie intossicazioni causate dalle esalazioni tossiche di agenti chimici pericolosi per la salute di lavoratori; a tutto ciò va aggiunto che le reazioni dell’individuo, in presenza di un’atmosfera sottossigenata, possono variare da soggetto a soggetto e che i sintomi di disagio non sono immediatamente avvertiti, dai soggetti coinvolti, in modo che ciò possa rappresentare, in qualche modo, una percezione di allerta per il lavoratore stesso. Tuttavia, un’indicazione generale di quali possano essere i sintomi percepiti e gli effetti sull’individuo, valutati in funzione della concentrazione di ossigeno presente, sono brevemente riportati in tabella 1. Da notare che, in particolare, quando la composizione naturale dell’aria (circa 21% di ossigeno e 79% di azoto) risulta in difetto di ossigeno, l’organismo umano ne risente e in certi casi può esserne gravemente danneggiato. Dal punto di vista prevenzionale, la normativa in tema di sicurezza sul lavoro nei luoghi di lavoro prevede, sin dagli anni ’50 (D. P. R. n. 547/1955 e il D. P. R. n. 303/1956), misure di tutela in favore dei lavoratori operanti in ambienti sospetti di inquinamento; non si può negare, pertanto, che le norme generali di sicurezza atte a salva-

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sp e c i a l e

guardare l’integrità fisica degli operatori all’interno degli ambienti confinati esistano e siano sufficientemente chiare in tal senso; basti pensare, in particolare, alle disposizioni contenute all’allegato IV, paragrafo 3, del D. Lgs. 81/08, che ripropongono alcuni requisiti minimi di sicurezza necessari per poter effettuare lavori in ambienti quali «vasche, canalizzazioni, tubazioni, serbatoi, recipienti, silos». Le restrizioni imposte dal legislatore sono volte all’eliminazione o alla massima riduzione del rischio: in tal senso, sono previste specifiche cautele per controllare anticipatamente l’eventuale presenza di sostanze nocive o di condizioni ambientali dannose per la salute dei lavoratori, per garantire l’uso di protezioni di sicurezza adeguate e per agevolare le operazioni di intervento e di soccorso in caso di emergenza. Per contro, recenti indagini post-incidentali mirate all’individuazione delle cause di radice che hanno dato origine a tragici infortuni occorsi in luoghi confinati (vedi riquadro della pagina seguente), hanno dimostrato come le misure organizzative individuate siano risultate, spesso, disattese divenendo causa di gravi incidenti. Ci riferiamo ad esempio all’omissione di controlli preventivi sull’agibilità all’interno delle aree di lavoro, alla mancata informazione sulla possibile presenza di sostanze pericolose o all’inosservanza delle regole basilari di sicurezza, a cominciare dall’utilizzo dei dispositivi di protezione individuale. Inoltre, frequentemente, gli eventi infortunistici hanno visto il coinvolgimento di dipendenti di aziende appaltatrici, estranei al processo produttivo principale, completamente ignari o non adeguatamente informati sui rischi per la loro incolumità. Appalti che, troppo spesso, hanno esposto i lavoratori autonomi o i prestatori di lavoro ai rischi qui indicati in quanto v’è stata una sottovalutazione dei pericoli e una non sufficiente preparazione ad affrontare le specifiche evenienze di sicurezza.

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Di qui l’esigenza, da un lato, di attuare appieno gli strumenti giuridici già esistenti e dall’altro di pianificare, monitorare e controllare gli appalti di servizio aventi per oggetto, ad esempio, attività manutentive o di pulizia in aree confinate. A tal fine, pertanto, è stato approvato, in data 14 settembre 2011, un decreto presidenziale che introduce misure di maggior tutela dei lavoratori operanti nei luoghi di lavoro nei quali vi possano essere rischi derivanti dalla presenza di gas deleteri per la salute o nei quali si possano sviluppare sostanze nocive per gli addetti. Nel testo gli autori, tenuto conto degli avvenimenti incidentali degli ultimi anni, riportano alcune delle misure di sicurezza volte a contrastare gli infortuni gravissimi di cui sono stati oggetto lavoratori chiamati ad operare in taluni luoghi di lavoro confinati nei quali non vi è stata una corretta valutazione dei pericoli esistenti unitamente ad una erronea supervisione e/o coordinamento datoriale delle attività assegnate.

recenti eventi infortunistici occorsi in spazi confinati

11 giugno 2008

Sei addetti intenti in operazioni di pulizia di una vasca di un depuratore consortile a Mineo sono deceduti; la morte potrebbe essere avvenuta per asfissia dovuta a carenza di ossigeno. Due operai avrebbero calato una scala nella vasca e avrebbero utilizzato una tubazione con acqua ad alta pressione. Quattro dei sei operai erano dipendenti comunali e altri due di una ditta appaltatrice esterna.

16 giugno 2009

Due lavoratori sono stati rinvenuti, all'interno del depuratore di Riva Ligure, dopo essere caduti all'interno di una vasca di trattamento. Le prime ricostruzioni dell’evento hanno rilevato che i due operatori sono entrati nel depuratore sprovvisti di protezioni individuali, hanno raggiunto la vasca all’interno e qui avrebbero perso i sensi. L'allarme è stato dato da un terzo addetto, rimasto all'esterno dell'attrezzatura.

Tre addetti sono deceduti per asfissia all'interno di un fermentatore di proprietà di una multinazionale farmaceutica ubicata a Capua. I tre operatori, dipendenti di una 11 settembre 2010 società appaltatrice, sono entrati in un fermentatore, attraverso il passo d’uomo superiore e hanno perso i sensi; la presenza di miscele di gas inerti, in particolare azoto, ne ha causato la morte, per anossia.

7 giugno 2011

Due lavoratori sono deceduti in un incidente sul lavoro a Vipiteno. Le vittime erano dipendenti di un'impresa di manutenzione di pozzi neri. I due operai erano intenti ad eseguire operazioni di spurgo di una fossa biologica condominiale e sono caduti all'interno della fossa, per cause ancora da chiarire, venendo sommersi alle acque reflue.

Principali novità introdotte dal regol amento di prevenzione • Imposizione per le imprese e i lavoratori autonomi, in addizione agli obblighi già previsti per loro in tema di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, dell’obbligo di procedere a specifica informazione, formazione e addestramento – oggetto di verifica di apprendimento e aggiornamento – relativamente ai rischi che sono propri degli “ambienti confinati” e alle peculiari procedure di sicurezza ed emergenza che in tali contesti debbono applicarsi; ciò con riferimento a tutto il personale impiegato ivi compreso il datore di lavoro. • Obbligo di presenza di personale esperto, in percentuale non inferiore al 30% della forza lavoro, con esperienza almeno triennale in attività svolta in “ambienti confinati”, assunto con contratto di lavoro subordinato o con altri contratti con la necessità per il preposto, che sovrintende sul gruppo di lavoro, di avere in ogni caso tale esperienza (in modo che alla attività formativa e di addestramento il “capogruppo” affianchi l’esperienza pratica maturata in campo). • Imposizione, per i datori di lavoro delle imprese e ai lavoratori autonomi, dell’obbligo di possedere dispositivi di protezione individuale e strumentazione o apparecchiature (come ad esempio rilevatori concentrazione di gas, autorespiratori, ecc. ) idonei a prevenire i rischi propri delle attività lavorative in parola e di aver effettuato, sempre in relazione a tutto il personale impiegato, attività di addestramento all’uso corretto di tali dispositivi. • Rispetto degli obblighi in materia di Documento Unico di Regolarità Contributiva e di quelli relativi alla parte economica e normativa prevista dalla contrattazione di settore, compreso il versamento dell’eventuale contributo all’ente bilaterale di riferimento (gli enti bilaterali organismi costituiti da associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro più rappresentative). • Applicazione delle regole della qualificazione non solo nei riguardi dell’appaltatore ma nei confronti di qualunque soggetto della filiera delle imprese, ivi comprese le società subappaltatrici. Peraltro, il subappalto è consentito solo a condizione che sia espressamente autorizzato dal datore di lavoro committente (il quale dovrà, quindi, verificare il possesso da parte dell’impresa subappaltatrice dei requisiti di qualificazione) e che venga certificato ai sensi della normativa vigente in materia. In aggiunta a ciò, nel caso in cui i lavori siano svolti attraverso procedure d’appalto, va garantita: • un’adeguata informazione, prima dell’accesso nei luoghi di lavoro, per tutti i lavoratori che verranno impiegati nelle attività in questione (compreso il datore di lavoro) di tutti i rischi che possano essere presenti nell’area di lavoro (compresi quelli legati ai precedenti utilizzi); è previsto che tale attività debba essere svolta per un periodo sufficiente e adeguato allo scopo e, comunque, sia non inferiore ad un giorno; • l’individuazione, da parte del datore di lavoro committente, di un proprio rappresentante; egli deve essere adeguatamente formato, addestrato ed edotto su tutti i rischi dell’ambiente lavorativo in cui debba svolgersi l’attività dell’impresa appaltatrice o dei lavoratori autonomi, oltre che vigilare sulle attività che in tali contesti si debbano realizzare; • l’adozione, durante tutte le fasi delle lavorazioni da eseguire in ambienti sospetti di inquinamento, di una procedura di lavoro specificamente diretta ad eliminare ovvero a ridurre i rischi propri di tali attività. Tali procedure potranno anche essere soluzioni derivanti dall’applicazione di “buone prassi”.

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Le nuove misure di tutel a in favore dei l avoratori Come già anticipato, il provvedimento legislativo è destinato, specificamente, agli addetti che sono chiamati a svolgere, temporaneamente, la loro attività in luoghi di lavoro connotati da un rischio infortunistico dimostratosi particolarmente elevato, quali silos, cisterne, cunicoli, vasche, canalizzazioni e luoghi similari, nei quali – come accennato - si sono registrati eventi infortunistici di particolare severità. Il legislatore nazionale, pertanto, al fine di rafforzare le norme in vigore e con l’obiettivo migliorare, in qualche modo, il quadro legislativo esistente, ha introdotto nuove disposizioni rivolte a tutte le imprese e i lavoratori autonomi chiamati a svolgere un’attività lavorativa in ambienti sospetti di inquinamento. Il provvedimento anzidetto è da considerarsi, quindi, una misura straordinaria atta ad impedire il ripetersi di incidenti aventi connotati di particolare drammaticità, prevedendo

stralcio ex allegato IV, paragrafo 3, d. lgs. n. 81/2008

3. 1

Le tubazioni, le canalizzazioni e i recipienti, quali vasche, serbatoi e simili, in cui debbano entrare lavoratori per operazioni di controllo, riparazione, manutenzione o per altri motivi dipendenti dall’esercizio dell’impianto o dell’apparecchio, devono essere provvisti di aperture di accesso aventi dimensioni tali da poter consentire l’agevole recupero di un lavoratore privo di sensi.

3. 2. 1

Prima di disporre l’entrata di lavoratori nei luoghi di cui al punto precedente, chi sovraintende ai lavori deve assicurarsi che nell’interno non esistano gas o vapori nocivi o una temperatura dannosa e deve, qualora vi sia pericolo, disporre efficienti lavaggi, ventilazione o altre misure idonee.

3. 2. 2

Colui che sovraintende deve, inoltre, provvedere a far chiudere e bloccare le valvole e gli altri dispositivi dei condotti in comunicazione col recipiente, e a fare intercettare i tratti di tubazione mediante flange cieche o con altri mezzi equivalenti ed a far applicare, sui dispositivi di chiusura o di isolamento, un avviso con l’indicazione del divieto di manovrarli.

3. 2. 3

I lavoratori che prestano la loro opera all’interno dei luoghi predetti devono essere assistiti da altro lavoratore, situato all’esterno presso l’apertura di accesso.

3. 2. 4

Quando la presenza di gas o vapori nocivi non possa escludersi in modo assoluto o quando l’accesso al fondo dei luoghi predetti è disagevole, i lavoratori che vi entrano devono essere muniti di cintura di sicurezza con corda di adeguata lunghezza e, se necessario, di apparecchi idonei a consentire la normale respirazione.

3. 3

Qualora nei luoghi di cui al punto 3. 1 non possa escludersi la presenza anche di gas, vapori o polveri infiammabili od esplosivi, oltre alle misure indicate nell’articolo precedente, si devono adottare cautele atte ad evitare il pericolo di incendio o di esplosione, quali la esclusione di fiamme libere, di corpi incandescenti, di attrezzi di materiale ferroso e di calzature con chiodi. Qualora sia necessario l’impiego di lampade, queste devono essere di sicurezza.

3

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che in tali contesti possano operare, unicamente, imprese e lavoratori in possesso di competenze professionali, formazione, informazione e addestramento adeguati al rischio delle attività da realizzare, oltre che risultino a conoscenza delle procedure di sicurezza da applicare e siano in possesso di informazioni complete sui luoghi di lavoro destinati ad accoglierli. Nel riquadro sottostante, sono state riportate, in sintesi, le principali novità introdotte dal regolamento presidenziale del 14/9/2011.

Conclusioni In Italia, nel solo periodo 2008-2010, si sono registrati 25 eventi fatali di natura lavorativa che hanno coinvolto addetti impegnati in operazioni di manutenzione di cisterne, serbatoi, vasche, canalizzazioni, silos o recipienti e attrezzature simili, venuti a contatto in maniera accidentale con agenti o sostanze nocive che, in assenza di idonee protezioni personali e di adeguate misure di emergenza, ne hanno causato la morte immediata. Inoltre, dalle indagini post-incidente è emerso, con una certa frequenza, che le cause principali degli eventi lesivi sono spesso ripetitive: come ad esempio, l’incompleta valutazione dei rischi da parte del soggetto datoriale, l’omissione di ispezioni preventive all’interno delle aree di lavoro, la mancata informazione sulla probabile presenza di sostanze pericolose o tossiche o, addirittura, l’inosservanza di alcune regole elementari di sicurezza, come la mancata predisposizione del permesso di lavoro, la scelta inadeguata dei dispositivi di protezione e l’inosservanza dei piani e delle procedure di emergenza, solo per citarne alcune. Per di più, molto frequentemente, si è dovuto registrare che, negli infortuni avvenuti in tale ambito, sono stati coinvolti dipendenti di imprese esterne, estranei al processo produttivo principale e non sufficientemente informati dei potenziali rischi presenti nel luogo ove dovevano operare. Tenuto conto di tutto ciò, il legislatore, con le disposizioni qui richiamate ha voluto introdurre una serie di misure volte ad accrescere la sicurezza e il controllo dei lavori da effettuare in ambienti confinati, siano essi affidati a imprese appaltatrici o a lavoratori autonomi.


O2 %

(vol. /vol. )

Effetti/sintomi

18-21

Non ci sono sintomi immediatamente riconoscibili da parte della persona esposta

11-18

Riduzione delle prestazioni fisiche e intellettuali senza che la persona esposta se ne renda conto

8-11

Possibilità di svenire entro pochi minuti, senza preavviso. Rischio di morte se il tenore di ossigeno è minore dell’11%

6-8

Lo svenimento si verifica in breve tempo. La rianimazione è possibile se effettuata immediatamente

0-6

Svenimento quasi immediato del soggetto. Danni cerebrali permanenti, anche se la vittima viene soccorsa con immediatezza

Tabella 1. Effetti sull’individuo alla variazione della concentrazione di ossigeno ambientale

Questo provvedimento consente, tra l’altro, l’inserimento delle lavorazioni svolte in spazi confinati tra le attività per le quali deve operare il sistema di qualificazione delle imprese, al fine di garantire ex lege che le società chiamate a svolgere tali operazioni siano, soltanto, quelle che adottano adeguate misure in termini di salvaguardia della sicurezza e della salute degli addetti. Sono state introdotte misure incentrate sulla formazione specifica delle imprese committenti ed appaltatrici, sul divieto di subappalto delle attività di lavoro in ambienti confinati e sulla presenza obbligatoria di un rappresentante dell’impresa committente, ai lavori effettuati dall’impresa appaltatrice, con funzione di controllo e di indirizzo ai fini della prevenzione dei rischi per gli addetti. In conclusione, con l’adozione di tale regolamento si auspica che le misure di rafforzamento individuate dal legislatore possano essere, in concreto, di ausilio al soggetto datoriale, questo anche mediante l’apporto di conoscenza dei luoghi di lavoro fornito dai progettisti, onde consentire l’adozione piena e condivisa di tali provvedimenti di prevenzione volti a garantire, in ogni circostanza, l’assenza di sostanze nocive, di condizioni ambientali dannose o di situazioni di grave pericolo per i lavoratori che sono chiamati, anche in via provvisoria, ad operare in luoghi confinati posti all’interno degli impianti. *tecnologo ex ISPESL **esperto in tema di sicurezza sul lavoro

43


Beneficiario:

Proge&o
di
recupero
di
SEDImen3

 derivan3
dal
dragaggio

 ObiettiviPORTuale
e
produzione
di
SILicio del progetto

Cofinanziatore:

Con
il
contributo
 dello
strumento
 finanziario
LIFE
 Il
 proge)o
 SEDI.PORT.SIL.
 è
 stato
 concepito
 per
 dimostrare
 la
 ges<one
 sostenibile
 dei
 sedimen<
 draga<
 dai
 por<
 della
Comunità
 mediante
un
approccio
integrato.
 Il progetto Europea

Si
intende
dimostrare
l’efficienza
di
consolidate
tecnologie
di
tra)amento
accoppiate
con
innova<ve
tecniche
mirate
al
 Il
 proge@o
 di
 recupero
 di
 SEDImenB
 derivanB
 dal
 dragaggio
 PORTuale
 e
 produzione
 di
 SILicio
 riciclo
e
alla
valorizzazione
dei
sedimen<
draga<
dai
bacini
portuali,
che
possono
quindi
essere
considera<
un
importante
 (SEDI.PORT.SIL),
è
finanziato
dalla
Comunità
Europea
nell’ambito
del
programma
“LIFE+
Environment
 risorsa
piu)osto
che
un
rifiuto
pericoloso.
 Dal
 punto
 di
Policy
and
Governance
2009”
e
co‐finanziato
dalla
Autorità
Portuale
di
Ravenna.
 vista
 tecnico,
 il
 proge)o
 propone
 un
 ciclo
 integrato
 da
 applicare
 ai
 sedimen<
 (ed
 acque
 associate)
 dire)amente
 a
 seguito
 delle
 aIvità
 di
 dragaggio,
 al
 fine
 di
 ridurre
 gli
 impaI
 ambientali
 e
 massimizzare
 il
 materiale
 Il
proge)o
prevede
la
realizzazione
di
un
set
di
sperimentazioni
volte
al
recupero
di
sedimen<
draga<
 riciclabile.
 I
 sedimen<
 contamina<
 possono
 essere
 impiega<
 come
 materia
 prima
 nel
 se)ore
 infrastru)urale
 e
 nell’ingegneria
ambientale.
Inoltre,
il
proge)o
indaga
l’uso
di
sedimen<
inquina<
come
materia
prima
per
l’estrazione
di
 dal
 Porto
 di
 Ravenna
 (Italia).
 Tra
 queste,
 la
 separazione
 fisica
 e
 tra)amento
 (soil‐washing,
 land
 silicio
di
grado
metallurgico.
Dapprima,
alcuni
campioni
di
sedimento
draga<
dal
Porto
di
Ravenna
(Italia)
sono
tra)a<
 mediante
 un
 farming)
mediante
un
impianto
pilota,
tra)amento
termico
con
torcia
al
plasma
anche
dalle
frazioni
 impianto
 pilota.
 Successivamente
 è
 studiata
 l’applicabilità
 del
 processo
 a
 scala
 regionale
 e
 valutata
 la
 replicabilità
in
un
differente
contesto
Europeo
(porto
di
Midia,
Romania).
L’obieIvo
finale
è
lo
sviluppo
di
linee
guida
per
 più
 fini
 per
 l’estrazione
 di
 silicio.
 Al
 fine
 poi
 di
 dimostrare
 la
 replicabilità
 della
 filiera
 produIva
 le
 il
 tra)amento
 dei
 sedimen<,
 il
 riuso
 come
 materie
 prime
 e
 la
 valutazione
 della
 sostenibilità
 per
 la
 realizzazione
 stesse
 tecniche
 di
 sperimentazione
 sono
 applicate
 su
 sedimen<
 di
 diversa
 natura
 (Porto
 di
 Midia,
 dell’impianto
di
tra)amento
nel
Porto
di
Ravenna.

Romania).

Risultati attesi

Obiettivo

SEDI.PORT.SIL.

•  
 Dimostrazione
 dell’efficienza
 dei
 processi
 di
 tra)amento
 applica<
 ai
 sedimen<
 inquina<
 (soil
 washing)
 e
 alle
 rela<ve
 acque
(Pump&Treat)
del

Porto
di
Ravenna;
 Testare
la
filiera
di
tra)amento
e
recupero
dei
sedimen<
di
dragaggio
al
fine
di
trasformare
il
rifiuto
 •  
 Dimostrazione
 dell’efficienza
 e
 produIvità
 dell’estrazione
 del
 silicio
 di
 grado
 metallurgico
 dai
 sedimen<
 contamina<
 in
una
risorsa
economica.
 a)raverso
il
tra)amento
al
plasma.
Questo
processo
è
altamente
innova<vo,
considerando
che
fino
ad
ora
non
è
mai
 stato
applicato
a
sedimen<
contamina<
di
<po
marino;
 •  
Iden<ficazione
e
pianificazione
dei
migliori
possibili
riusi
dei
sedimen<
decontamina<
e
del
silicio
estra)o;
 Risultati ottenuti ed attesi •  
 Dimostrazione
 dell’efficienza
 della
 torcia
 al
 plasma
 per
 la
 decontaminazione
 della
 frazione
 più
 fine
 del
 sedimento
 • 
Dimostrazione
dell’efficacia
dei
processi
di
tra@amento
dei
sedimen<
inquina<
(soil
washing
e
land
 dragato
(diametro
di
25÷150
µ);
 farming)
e
alle
rela<ve
acque

del

Porto
di
Ravenna,
dimostra<
con
un
impianto
pilota;
 •  
Creazione
di
un
Business
e
Master
Plan
per
definire
la
realizzazione
di
un
impianto
di
tra)amento
nel
Porto
di
Ravenna;
 •  
Valutazione
della
ripe<bilità
del
processo
in
un
differente
contesto
geografico
ed
amministra<vo
in
Europa;
 • 
Risoluzione
defini<va
al
problema
legato
alla
ges<one
della
frazione
più
fine
del
sedimento
dragato
 •  
Incremento
della
consapevolezza
in
merito
allo
sviluppo
sostenibile
indagato
dal
proge)o.
 e
valorizzazione
della
componente
limoso‐argillosa.

• Dimostrazione
 dell’efficienza
 e
 produMvità
 dell’estrazione
 del
 silicio
 di
 grado
 metallurgico
 dai
 sedimen<
contamina<
a)raverso
il
tra)amento
termico.

Co-Finanziatore
 Beneficiario • 
 Iden<ficazione
e
pianificazione
dei
migliori
possibili
riusi
dei
sedimen<
e
risorse
recuperate

e
del
 silicio
estra)o,
nonché
dei
materiali
di
scarto

iner<zza<
nei
processi
di
fusione.
 MED
INGEGNERIA
S.r.l.
 Autorità
Portuale
di
Ravenna
 Via
Otello
Pu<na<,
71/C
44123
Ferrara

Via
An<co
Squero,
31

• 
 
Creazione
di
un
Business
e
Master
Plan
per
definire
la
faIbilità
tecnico‐economica
di
un
impianto
 Sede
opera<va
di
Via
P.
Zangheri,
16

 48122
Ravenna
 48124,
Ravenna
 di
tra)amento
nel
Porto
di
Ravenna;

Beneficiari associati • 
Valutazione
della
ripeBbilità
del
processo
in
un
differente
contesto
geografico
ed
amministra<vo
in
 Europa;
 Università
di
Ferrara
 ISPRA

Parco
del
Delta
del
Po

Ferrara
 Comacchio,
Ferrara
 Roma
 • Sensibilizzazione
in
materia
di
recupero
integrato
dei
sedimen<
di
dragaggio.

Università
di
Bologna
 Bologna

GeoEcoMar

www.lifesediportsil.eu Bucarest

DIEMME
 Lugo
di
Romagna,
 Ravenna


pa n or am a a z i e n d e

QUANDO RECUPERARE ANZICHé DISTRUGGERE DIVENTA REALTà L’impegno di Simam per lo sviluppo di impianti mobili di desorbimento che consento il recupero della maggior parte delle sostanze organiche trattate di Ciro Cozzolino*

L

a Simam S.p.A. è una Società di servizi operante nei settori: salute, sicurezza ed ambiente; global service; progettazione di impianti ecologici (trattamento acque primarie e di scarico, sia di natura civile che industriale, trattamento e smaltimento rifiuti solidi urbani ed industriali) ed energetici (fotovoltaico, eolico, geotermia, cogenerazione e trigenerazione, waste to energy); bonifiche (progettazione, realizzazione e gestione). Simam ha iniziato nel 2005 a progettare una linea di trattamento rifiuti liquidi in grado di rispondere ad una domanda di smaltimento quanto più articolata possibile sia in termini quantitativi che qualitativi. Obiettivo del trattamento è stata la rimozione degli inquinanti di natura organica ed inorganica dalle acque di falda emunte nel corso di un intervento di bonifica, rimozione da effettuarsi con le rese previste dalla Normativa in capo alla materia ed in condizioni di massima salvaguardia ambientale. La filiera tipo di trattamento sviluppata consta di: • trattamento chimico-fisico; • filtrazione catalitica mediante letto misto di sabbia e pirolusite; • desorbimento della frazione organica volatile in ciclo chiuso, ossia con riciclo della quasi totalità del gas utilizzato per spostare gli inquinanti dalla fase liquida a quella gassosa;

• trattamento gas di strippaggio in vista del suo riutilizzo; • trattamento di finitura mediante adsorbimento su carboni attivi degli inquinanti, sia organici che inorganici, presenti nella corrente da inviare allo scarico.

rifiuto

chimico-fisico

Simam ha dato particolare attenzione al trattamento di desorbimento in quanto ad esso di solito si associano costi di investimento o di esercizio piuttosto elevati e, per quanto attiene gli impianti mobili, non sempre potrebbero essere applicabili le soluzioni impiantistiche

s ez i o n e c r i oge n a

s to c c ag g i o azoto liquido

f i lt r a z i o n e a sabbia e pirolusite

condensazione criogena

desorbimento con miscel a aria-azoto

adsorbimento su c a r b o n e at t i vo adsorbimento su

inquinanti

c a r b o n e at t i vo

o rga n i c i liquidi frazione

ac q ua d e p u r ata allo sc arico

a riutilizzo

m i s c e l a d e p u r ata aria-azoto

a l l ’ at m o s f e r a

45


pa n or a m a a z i e n d e

più diffuse. Il semplice spostamento di queste sostanze dalla fase acquosa a quella gassosa comporta dei benefici economici significativi,

ad impatto ambientale sicuramente non superiore, anzi, nella maggior parte dei casi, nettamente inferiore.

Per i suoi impianti mobili di smaltimento rifiuti Simam, al semplice processo di purificazione della corrente gassosa mediante adsorbimento su carbone attivo, ha pensato di affiancare un processo in grado di portare al recupero, in forma liquida, della maggior parte delle sostanze organiche desorbite attraverso il raffreddamento fino a temperature di -50÷90°C della corrente gassosa in circolo. Il processo messo a punto è coperto da brevetto (il N° 1359970 concesso il 4/5/2009) e nel 2008 ha visto la prima applicazione industriale nello smaltimento di un rifiuto caratterizzato da elevata concentrazione di composti organoclorurati. Riferendosi all’applicazione specifica Simam, si fa osservare che il prodotto separato nell’unità criogenica si è dimostrato idoneo per il recupero e Simam è stata autorizzata a procedere nell’attività di recupero, diventando di fatto produttore di materia seconda. * Direttore Tecnico Simam S.p.A.

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Nuova vita per il cartongesso Presso la divisione smaltimenti di cava di trezzano è stato attivato un impianto innovativo che consente anche il recupero del cartongesso di Francesco Galimberti*

D

a più di 50 anni leader nella produzione di sabbia, ma attiva anche nei settori delle demolizioni, del riciclo di inerti (terra e macerie) e dello smaltimento di rifiuti, da cantiere e non, Cava di Trezzano ha individuato nelle attività connesse con la salvaguardia e la qualità dell’ambiente la direzione verso la quale orientare con decisione le proprie linee di sviluppo. Per questo motivo, la società ha aperto un nuovo polo a Limbiate, nell’hinterland a nord di Milano, che, su una superficie di ottomila metri quadrati, quando sarà a regime permetterà lo smaltimento di 200 mila tonnellate all’anno di rifiuti da cantiere. A Limbiate è stata infatti costituita la Divisione Smaltimenti di Cava di Trezzano, finalizzata al recupero e al riciclaggio dei materiali di scarto provenienti dai cantieri edili: macerie da demolizione e materiali misti, quali legno, vetro, carta, cartone, imballaggi e metalli. Il servizio è realizzato con oltre 300 cassoni scarrabili, posizionati sui cantieri e trasportati da una flotta di autocarri appositamente attrezzati e predisposti. Grazie a uno staff che segue la filiera logistica in tempo reale attraverso sistemi di posizionamento satellitare (GPS), è inoltre possibile disporre di indicazioni precise su orari di consegna e di cambio dei cassoni, garantendo un servizio puntuale sia per le consegne iniziali che per il ritiro e lo smaltimento dei rifiuti. In considerazione dell’esigenza sempre più sentita di effettuare analisi chimico-fisiche sui

rifiuti in ingresso, inoltre, il nuovo polo di Limbiate è dotato di un importante laboratorio per gestire nel modo più efficace le problematiche di carattere ambientale e tecnico. “Nel mondo moderno, il recupero dei rifiuti ha assunto un’importanza sempre maggiore” spiega Marco Lavatelli, amministratore delegato di Cava di Trezzano “in quanto gioca un ruolo decisivo nel preservare le risorse naturali tramite la realizzazione di manufatti ottenuti utilizzando materie prime secondarie reinserite nel ciclo produttivo; per questo, ci siamo impegnati in un investimento assai consistente, pari a due milioni e mezzo di euro, che ci consente di mettere a diposizione di tutte le imprese, sia edili che non, un impianto profondamente innovativo che modifica radicalmente il comparto del cartongesso. Inoltre, il nostro impegno nel settore del waste mana-

gement ci porterà entro due anni a essere in grado di smaltire tutti i tipi di rifiuti: l’impianto di Limbiate è dotato infatti di un sistema avanzato per la cernita dei rifiuti e per l'avvio delle varie tipologie verso operazioni di recupero”. In particolare, presso la Divisione Smaltimenti di Cava di Trezzano è stato attivato un nuovo impianto, unico in Italia, che consentirà di recuperare completamente il cartongesso, materiale che nel nostro paese, fino a oggi, era destinato per la quasi totalità a essere portato in discarica. In altri Paesi (soprattutto del Nord Europa) il cartongesso è parzialmente avviato al recupero anche per la presenza di sensibili incentivi finalizzati a favorire queste operazioni. Frutto di oltre due anni di elaborazione autonoma di tecnologie statunitensi e britanniche, condotta da parte dello staff tecnico di Cava di Trezzano, l’impianto di Limbiate costituisce

49


pa n or a m a a z i e n d e

la più avanzata innovazione tecnologica a livello internazionale in questo campo. Il macchinario è in grado infatti di operare la totale separazione del gesso dal cartone di rivestimento delle lastre. Una volta che le varie componenti sono selezionate tramite un’apposita operazione di cernita, il cartongesso viene caricato nella tramoggia di alimentazione dell'impianto, utilizzando un tipo di caricatore definito "ragno". Un trasportatore avvia il materiale verso la bocca di alimentazione della macchina che, attraverso un procedimento particolare di frantumazione per urto, è in grado di separare con la massima precisione il cartone dal gesso. I due componenti del cartongesso fuoriescono così dall’impianto da due bocche di scarico separate e vengono indirizzati verso due aree di stoccaggio differenti. Il gesso recuperato può avere svariate destinazioni, tra le quali l'utilizzo (in percentuali variabili) nella produzione di nuovi manufatti in gesso, di malte particolari per l'edilizia oppure per la produzione di cemento (e per questo viene acquisito dai cementifici). Il cartone viene desti-

50

Anno 4 - Numero 17

nato invece alle cartiere, ove è utilizzato per la produzione di carta e/o cartone riciclati. La realizzazione e la messa in opera del nuovo macchinario costituisce un’importante acquisizione sia dal punto di vista ecologico (il materiale viene interamente recuperato) ma anche sotto il profilo economico: i costi di questo tipo di smaltimento sono infatti molto inferiori rispetto a quelli che si affrontano inviando il cartongesso in discarica, con notevole vantaggio quindi per chi produce questo tipo di materiale. Creata all’inizio degli anni Sessanta, Cava di Trezzano è una delle più brillanti e dinamiche realtà nel settore della produzione di sabbia dell’area milanese. Nel corso degli anni ha sviluppato altre business line occupandosi di movimento terra in demolizioni e riciclo di inerti. Oggi Cava di Trezzano opera attraverso tre impianti: oltre al nuovo polo di Limbiate (di cui si è parlato), vi sono la sede originaria di Trezzano e, in provincia di Novara, il polo di Trecate (aperto alla fine del 2010, con una produzione giornaliera di oltre duemila metri cubi di materiali inerti, in particolare sabbia di alta qualità del tipo “mista naturale”).

Sempre in tema di soluzioni tecnologicamente all’avanguardia, Cava di Trezzano ha messo a punto Soluzione Massetti, un sistema per la posa e la messa in opera di massetti di altissima qualità. Frutto di un approfondito studio tecnico durato quasi due anni, “Soluzione Massetti” è composto da due elementi: un silo bicamera contenente sabbia (o un legante a ritiro controllato) e una unità mobile (furgone da 35 quintali) sulla quale sono installati botte impastatrice, compressore e computer di controllo. Con “Soluzione Massetti” si può avere sempre esattamente la miscela desiderata, con numerosi altri vantaggi: certificazione CE del massetto, composizione costante dell’impasto su tutta la superficie di posa, riduzione della squadra di lavoro con conseguente maggiore sicurezza, minori costi di manodopera, unità mobile utilizzabile con patente B, cantiere pulito, nessuno smaltimento necessario, consegna puntuale dei silos e possibilità di impiego in ogni tipo di cantiere. *Cava di Trezzano



WORK I N P ROGRE S s

LA DEMOLIZIONE DEL TRIBUNALE DELL’AQUILA Le strutture lesionate dal sisma del 2009 sono state oggetto di un intervento chirurgico di demolizione per la successiva ricostruzione del nuovo tribunale di Alessandro Lorandi*

A

seguito del sisma del 6 Aprile 2009 il Ministero delle Infrastrutture e Trasporti ed il provveditorato interregionale per le opere pubbliche per Lazio, Abruzzo e Sardegna hanno appaltato gli interventi di adeguamento e la parziale ricostruzione degli immobili sede del tribunale de L’Aquila. L’impresa aggiudicataria dei lavori è la GDM Costruzioni S.p.A. che ha affidato a CORBAT S.p.A., azienda che opera da diversi anni in vari settori, ma specializzatasi nelle opere di demolizione e bonifica, la realizzazione delle opere di parziale demolizione e gli scavi.

52

Anno 4 - Numero 17

STATO DI CONSISTENZA DEL TRIBUNALE La costruzione del Palazzo di Giustizia per gli Uffici Pretura del Tribunale, della Corte d’Appello e delle Procure è avvenuta negli anni ‘60, su progetto degli ingegneri Enrico Lenti, Elio Piroddi, Renzo Sbriccoli e Emilio Tomassi. Negli anni successivi è stato interessato da diversi ampliamenti e vari interventi di ridistribuzione funzionale resisi necessari per rispondere a sopravvenute esigenze e a nuove procedure nella gestione della Giustizia, introdotte a seguito di importanti riforme

dell’Ordinamento Giudiziario (abolizione delle Preture, introduzione dei Giudici di Pace, del GIP, del GUP, ecc.) Il complesso, inserito in un’area rettangolare di dimensioni di circa 20.000 m2, è costituito da un primo corpo (corpo B) il cui volume è di circa 52.000 m3 e da un secondo corpo (corpo A) che ha la forma di una stecca del volume di circa 25.000 m3 ubicato nella parte più interna dell’isolato. I corpi A e B presentano un collegamento a quota -3,30 della stecca, introdotto per consentire ai detenuti, che accedono al Palazzo di Giustizia attraverso un ingresso riservato, ubicato nel corpo A alla medesima quota, di raggiungere le celle di attesa, ricavate nell’ammezzato sottostante le aule. Il seminterrato a quota -3,55 m si configura praticamente come un piano porticato, quasi del tutto privo di tamponature, destinato al ricovero degli automezzi. Questo porticato è delimitato, sul lato più interno verso la stecca del corpo A, dal volume ove sono localizzati gli ascensori e le scale principali del complesso e, sul lato verso via XX Settembre, dal volume degli archivi che sono stati ricavati in una trasformazione recente lungo la parete di sostegno sottostante a detta via. Il piano posto a quota 0,00 ha un’altezza libera di 3,90 m ed è caratterizzato dalla presenza di grandi pilastri cruciformi svasati in cemento armato, che si prolungano dal livello inferiore, precedentemente descritto.


A questo livello, prima del terremoto, erano localizzati gli spazi destinati all’accesso e alla distribuzione principale, raggiungibili attraverso una zona porticata d’accoglienza. Tale zona d’accoglienza, originariamente è stata molto ridotta per ricavare le aule e gli uffici del Tribunale di Sorveglianza. I due ultimi piani della piastra presentano una particolare organizzazione distributiva che prevede sui fianchi, posti est ed ovest, gli spazi destinati prevalentemente ad uffici e nella parte centrale, separati da chiostrine lineari quasi continue, le aule dibattimentali ed i locali ad essi complementari. La soluzione adottata in alzato per le sezioni, è particolarmente caratteristica, e si basa su uno sfalsamento dei piani di calpestio delle fasce laterali rispetto a quello della zona centrale. Questa soluzione propone una configurazione su livelli sfalsati in cui le aule risultano poste ad un livello intermedio rispetto a quello dei due piani ad uffici e sono quindi raggiungibili da questi ultimi utilizzando mezze rampe. Nello schema altimetrico adottato lo spazio vuoto che si viene a creare sotto le aule è parzialmente occupato da un ammezzato in cui sono state ricavate delle celle di attesa per detenuti giudicandi. Il corpo secondario a stecca (Corpo A) si sviluppa su cinque livelli, di diversa altezza che corrispondono puntualmente ai principali livelli di calpestio della piastra. Il piano più basso, posto a quota –7,00 m, copre soltanto una parte della superficie utilizzata ai piani sovrastanti ed è destinato a centrali tecnologiche ed ad archivi. Il resto della stecca è utilizzata quasi completamente ad uffici secondo uno schema a corpo doppio, che vede le stanze di lavoro prospettanti sul fronte esterno nord ed i corridoi di distribuzione su quello opposto verso la piastra. Questo corpo, a quota –3.55 m, presenta nella parte terminale posta ad est, un’espansione volumetrica di un solo piano verso l’interno dell’area, che crea un corpo basso, destinato principalmente ad Aule di dibattimento, una volta a disposizione della soppressa Pretura. La consistenza dell’intero complesso esistente è la seguente:

L a filosofia dell a ricostruzione L’intervento nel suo complesso è finalizzato a rendere l’edificio in oggetto (corpo B) agibile e rispondente alle nuove esigenze normative attraverso una serie di interventi che vengono di seguito riportati sinteticamente: • ricostruzione delle strutture demolite nel rispetto delle quote altimetriche, delle superfici e dei volumi esistenti con modeste variazioni; le variazioni, previste nel progetto, riguardano infatti solo un modesto incremento delle altezze dall’Aula d’Assise e di un’Aula Civile, modificate per rispondere alla richiesta dei magistrati del Tribunale di poter disporre di un’aula d’udienza molto più grande di quella attuale; • ristrutturazione funzionale dell’intero organismo per rispondere ai nuovi requisiti funzionali emersi a seguito dello spostamento degli Uffici della Corte d’Appello e della Procura presso la Corte d’Appello nella nuova sede di via Pile; a seguito di questo spostamento si è reso necessario riorganizzare gli spazi dell’intero complesso Giudiziario per soddisfare le sole esigenze degli Uffici del Tribunale, della Procura presso il Tribunale, del Tribunale di Sorveglianza e dei Giudici di Pace e dell’Ordine degli Avvocati di L’Aquila, che conserverà la sua sede nel corpo A del Palazzo; • il progetto, oltre a soddisfare le particolari esigenze quantitative dei singoli Uffici Giudiziari, prevede una completa riorganizzazione dei percorsi e dei collegamenti, per rispondere ai più moderni dettami di efficienza e sicurezza nel campo degli edifici giudiziari; • una riorganizzazione generale dei percorsi e degli spazi distributivi per garantire ed assicurare: •• la completa separazione dei flussi dei diversi utilizzatori (magistrati-personale giudiziario, avvocatipubblico-giornalisti, detenuti giudicandi); •• l’individuazione di zone autonome e distinte per i diversi fruitori; • è stata inoltre data grande importanza ridefinizione tecnologica dell’organismo edilizio per assicurare la piena rispondenza alle nuove normative in materia di sicurezza dei luoghi di lavoro, di risparmio energetico, di sicurezza antincendio, d’isolamento acustico e di tutela delle persone diversamente abili. Dal confronto tra lo stato di consistenza attuale del corpo B e quello che assumerà detto corpo dopo i lavori in progetto, emerge che l’intervento progettuale prevede la conservazione quasi integrale delle superfici e dei volumi esistenti, riducendo di soli 288 mq le superfici lorde e di 1.880 mc i volumi fuori terra.

53


WORK I N P ROGRE S s

• superficie lorda fuori terra 15.316 mq; • superficie lorda totale 25.170 mq; • volume fuori terra 60.188 mc; • volume totale 91.520 mc. La consistenza del Corpo B (Piastra) esistente è la seguente: • superficie lorda totale corpo B 14.152 mq; • volume totale corpo B 55.451 mc.

Demolire le strutture lesionate Il complesso, a seguito del sisma del 6 aprile 2009, ha riportato gravissimi danni che hanno lesionato le strutture e hanno comportato il crollo di parte della copertura. Per scongiurare ulteriori crolli sono state eseguite nell’immediato dai Vigili del Fuoco opere provvisionali di sostegno con puntellazioni estese. I lavori di demolizione hanno interessato le strutture non portanti degli interi piani posti a quota +4,30 m, a quota +7,60 m e a quota +5,95 m del corpo B prospiciente via XX Settembre. Anche alle strutture portanti in c.a. parzialmente crollate dovevano essere demolite in quanto non erano più recuperabili; in particolare è stata eseguita una demolizione puntuale con mezzi meccanici portati sui solai di tutte le coperture piane ed inclinate, dei solai a quota +7,50 m, dei pilastri e delle travi a partire ri-

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Anno 4 - Numero 17

spettivamente da quota 4,30 per le zone laterali destinate ad uffici ed da quota +5,95 m per la zona centrale destinata ad aule ed infine delle partizioni esterne ed interne e delle opere di finitura, relative ai piani sopra indicati. La durata dei lavori complessiva è di 440 giorni di cui 198 per la realizzazione di lavori di demolizione. I lavori eseguiti da Corbat consistono nel portare a nudo l’intera struttura cioè nella rimozione di tramezze, tavolati, caldane, intonaci, pavimenti, serramenti, impianti, servizi e sottoservizi per rendere la struttura al vivo dei cementi armati e delle solette intermedie per poter intervenire su questi ultimi in modo da rinforzarli o ricostruirli (lavori eseguiti dall’impresa aggiudicataria GDM Costruzioni S.p.A.). I lavori sono iniziati il 1 Luglio 2011 e avranno termine verso la fine del mese di Novembre 2011 compresa la realizzazione delle opere fognarie. La complessità del lavoro di demolizione è dettata dalla necessità di operare con mezzi meccanici posti direttamente al di sopra dei solai. La portata reale dei solai non era utilizzabile, in quanto i carichi ammissibili calcolati per il collaudo statico a seguito del sisma non erano più accettabili. Per questo motivo sono state realizzate prove di carico e sondaggi di ispezione sui solai che hanno determinato la classe ed il peso dei mezzi da impiegare: escavatori non superiori ai 30 q.li, Tutti i mezzi utilizzati sono ovviamente cingolati per una ripartizione più omogenea dei carichi trasmessi alle travi e alle solette. Per l’abbassamento delle macerie al piano di

campagna per consentire il relativo trasporto alle discariche autorizzate sono state realizzate delle tramogge di carico collegate su tutti e tre i piani alla cui base sono stati piazzati dei cassoni scarrabili per il contenimento delle macerie. I macchinari usati per la demolizione sono mini escavatori da 15, 20, 25 e 30 q.li dotati di pinze, cesoie, martelli e benne, per il carico delle macerie mini pale da 15 a 25 q.li, per la pulizia dei solai e dei soffitti sono state usate delle piattaforme elevatrici. La lavorazione più complessa dell’intero intervento è stata la demolizione del cordolo perimetrale e dei relativi pilastri al terzo livello dove per poter procedere a tali operazioni vi era la necessità di utilizzare un escavatore con peso minimo di 50 q.li per poter utilizzare un martello demolitore di adeguata potenza. Per poter ovviare a questo problema è stata realizzata una piattaforma in ferro della lunghezza di 12 m e una larghezza di 2,50 m per ripartire il carico sulle due travi portanti e non gravare con sollecitazioni troppo elevate sul solaio. Tutti i lavori di demolizione sono stati eseguiti con procedure di operative di sicurezza specifiche dettate dall’esigenza di dover operare su una struttura profondamente lesionata dal sisma; Corbat ha vinto questa sfida grazie alla professionalità degli operatori e dei tecnici, in particolare del responsabile di cantiere, Geom. Alessandro Lorandi e del Caposquadra Zucchelli Biagio, contribuendo alla restituzione di un importante edificio agli abitanti dell’Aquila. Corbat S.p.A.



wor k i n p rog r e ss

UN EFFICIENTE PARCO FOTOVOLTAICO AL DI SOPRA DELLA DISCARICA La riqualificazione di un'area padovana offre vantaggi tecnici ed economici sia sulla gestione del post-esercizio dell'impianto sia per la sinergia con il recupero energetico da biogas di A. Levorato, A. Atzori e A. Moretto*

P

er valorizzare energeticamente l’area occupata dai lotti B e C dell'impianto di interramento rifiuti di Roncajette (15 ettari) a Ponte San Nicolò (PD) di proprietà dell’Ente di Bacino Padova 2, è stato realizzato un impianto fotovoltaico (FV) sulla copertura della discarica in gestione postoperativa. Accanto all’impianto di circa 1 MWp di potenza disposto su circa 2 ettari di terreno sul versante sud del lotto C della discarica, è ora in fase di progettazione l’ampliamento fino a circa 2 MWp, avente le stesse caratteristiche tecniche, da realizzare entro giugno 2012. La discarica è stata in esercizio dal 1989 al

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1999 e sono state conferite complessivamente 800.000 tonnellate di rifiuti solidi urbani. Il collaudo funzionale della sistemazione finale è stato effettuato nel 2002 e da allora la discarica è in gestione post-operativa. Il progetto riqualifica l’area mediante lo sfruttamento delle superfici per la produzione di energia fotovoltaica, realizzata nell’ambito del D.M. 19.02.2007 “II Conto Energia”, accanto all’impianto per il recupero energetico del biogas prodotto dai rifiuti, per costituire un parco delle energie rinnovabili. Rientra tra gli impianti non integrati architettonicamente e all’energia prodotta sarà riconosciuto un incentivo per 20 anni dalla data di entrata in esercizio dell'im-

pianto. L’impianto FV figura tra gli “Impianti industriali non termici per la produzione di energia, vapore ed acqua calda” definiti dal D.Lgs. 152/2006 e l’area di intervento non ricade in aree protette. La procedura autorizzativa è stata molto lunga e complessa e ha incluso una valutazione di impatto ambientale (VIA) presso la Regione Veneto e una autorizzazione integrata rilasciata dal Comune di Ponte San Nicolò. La progettazione ha approfondito in particolare le valutazioni sulla copertura finale della discarica, sui cedimenti del corpo rifiuti e le considerazioni sulla produzione di biogas e percolato, come richiesto dalla Regione Ve-


neto ai fini della valutazione di impatto ambientale dell’intervento. Sono state inoltre realizzate alcune varianti e migliorie eseguite in corso d’opera, oltre al monitoraggio sotto il profilo ambientale e territoriale, verificato dal Controllore indipendente all’interno del PSC (Piano di Sorveglianza e Controllo) anche in seguito all’esondazione del fiume Bacchiglione, evento idraulico estremo accaduto durante la realizzazione dell’impianto fotovoltaico.

Install azione impianto fotovoltaico La durata del cantiere è stata di circa 6 mesi. I lavori di realizzazione dell’impianto fotovoltaico sono iniziati a maggio 2010 con la predisposizione preliminare ed è stata ultimata la posa dell’impianto il 10/12/2010. Il parallelo con la rete Enel è stato eseguito il 27/04/2011 e in data 26/05/2011 è stato ultimato in cantiere l’avviamento degli inverter e del cabinato ed è iniziata la produzione di energia elettrica incentivata. La produzione elettrica media a regime da fonte solare è valutata in circa 1.200.000 kWh/anno. I moduli fotovoltaici sono stati fissati a particolari componenti con il minimo aggravio di carichi statici e dinamici nonché il massimo grado di libertà reciproco fra elementi rigidi per assecondare tutti gli assestamenti del terreno. Sono stati impiegati speciali contenitori, realizzati in polietilene riciclato, posizionati direttamente a terra previo riporto e livellamento del terreno. Il contenitore ospita, con inclinazione di 30°, un singolo modulo assicurato tramite carpenteria in alluminio e bulloneria inox. Il contenitore, dotato di fori di drenaggio, è stato riempito con una zavorra pesata e sigillata, per circa 100 kg/mq di carico aggiuntivo.

Pozzetti e rete di captazione biogas

Rispetto a quanto previsto in progetto, è stata tolta la scolina alla base dei moduli e allargata la fascia di geotessuto a vantaggio sia dei potenziali rischi di erosione al piede ma soprattutto per agevolare lo sfalcio e limitare i rischi di sporcamento e danneggiamento dei pannelli.

Gestione post operativa dell a discarica Le principali operazioni di gestione postoperativa che interessano i lotti B e C sono le seguenti: • manutenzione di impianti e attrezzature; • manutenzione sponde e copertura; • captazione e recupero energetico del biogas; • raccolta e trattamento del percolato; • monitoraggio ambientale. La manutenzione delle opere comprende le attività di controllo e di mantenimento dell'efficienza della morfologia della discarica, della rete drenante e di sgrondo delle acque piovane e delle condotte di trasporto del biogas. Nel 2010 l'energia prodotta dall'impianto è risultata di 1.980.160 kWh (in calo del 29%

rispetto ai 2.800.000 dell’anno 2009), che corrisponde al fabbisogno annuale (1.000 kWh procapite) di circa 700 famiglie. La raccolta del percolato avviene tramite un sistema di trincee di drenaggio collegate ad una rete di pozzi di raccolta da cui viene estratto attraverso un sistema di aspirazione automatico e inviato a dei serbatoi di accumulo. Successivamente il percolato viene prelevato con delle autobotti ed inviato a depurazione. Nel corso del 2010 sono state estratte dai lotti B e C complessivamente 8.935 tonnellate di percolato. Come da prescrizioni regionali sono state analizzate le produzioni di energia elettrica da biogas e di percolato registrate negli anni. In merito è da evidenziare come l’andamento della produzione di percolato sia fortemente condizionata dalle modalità gestionali. In particolare con l’alluvione a novembre 2010 si sono avute alcune difficoltà anche per il trasporto del percolato agli impianti di depurazione conseguenti alla rottura dell’argine con chiusura dell’accesso principale alle autobotti e ai mezzi pesanti.

Caratteristiche dell’impianto fotovoltaico Il sistema consiste in 4160 pannelli fotovoltaici policristallini di potenza specifica 240 Wp e relativi contenitori, 13 moduli per stringa e 16 stringhe per quadro di campo per complessivi 20 quadri di campo per il collegamento parallelo stringhe, 2 sistemi di conversione - inverter e 2 quadri generali di parallelo sottocampi oltre ai cavi per i vari collegamenti. Per la realizzazione dell’impianto sono state eseguite le seguenti opere: apporto di terreno vegetale per livellamento area, spessore medio 30 cm, viabilità interna in terra battuta, realizzazione arginello in terreno per inserimento plinti di sostegno della recinzione, rete metallica di 1,5 m e canalette di scolo per evitare potenziali ristagni d’acqua a ridosso degli arginelli della recinzione interna. Si è quindi effettuata la posa e lo zavorramento del geotessuto e dei contenitori, il fissaggio dei moduli FV e infine la realizzazione del locale tecnico contenente le apparecchiature tecnologiche per il funzionamento dell’impianto oltre ad una cabina adibita all’allaccio alla rete, locale consegna ed elettrodotto, direttamente accessibile ad Enel. La superficie occupata dall’impianto è di circa 19.500 mq, di cui circa 7.030 mq corrispondono alla superficie captante dei moduli. A questa si aggiungono circa 90 mq dei fabbricati tecnici. L’area di cantiere ha interessato meno di 300 mq all’interno della quale sono state alloggiate le infrastrutture temporanee per le maestranze e per il magazzino delle apparecchiature da installare in campo.

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(pozzetti e condotte di collegamento alla torcia e ai motori). La presenza dell’impianto FV non interferisce con i pozzi di estrazione del percolato e consente la regolare manutenzione delle reti presenti e l’attività di sfalcio del verde grazie all’opportuna distanza mantenuta tra i pannelli e la posa del geotessuto. La posa dei pannelli fotovoltaici ed il loro modesto peso non influisce sul naturale cedimento biologico della discarica, non Rottura argine ed esondazione fiume Bacchiglione (A), ingresso discarica (B) e crea modificazioni impianto fotovoltaico (C), novembre 2010 nella morfologia e non incide significatiA seguito dell’esondazione del fiume Bac- vamente sul bilancio idrologico (infiltrazione, chiglione a novembre 2010, oltre al cancello ruscellamento superficiale). La collocazione e alla rampa di accesso all’impianto, è stata dell’impianto non incrementa la possibile forsmantellata parte della recinzione, danneg- mazione di avvallamenti e di eventuali spinte giate alcune piante, distrutta la centralina me- nei confronti degli argini di contenimento peteo e il quaderno di manutenzione insieme al rimetrale. La linea elettrica in media tensione per l’imcontainer di cantiere dedicato ad ufficio. missione in rete Enel, utilizzata dall’impianto a biogas, era compatibile con l’inserimento del Rapporto tra impianto fotovoltaico e discarica generatore fotovoltaico. La stratigrafia del pacchetto capping è di notevole importanza per la costruzione Monitoraggio dell a dell’impianto fotovoltaico poiché su tali layer discarica ed eventi vengono poggiate le vasche di supporto ai straordinari pannelli FV; pertanto erano stati verificati pre- Gli adempimenti previsti dai provvedimenliminarmente i potenziali effetti legati ai carichi ti provinciali di post-gestione della discarica aggiuntivi, risultati poi non significativi. L’im- sono stati resi particolarmente difficoltosi pianto FV è appoggiato direttamente sopra dalla rottura dell'argine del fume Bacchigliola superficie del capping senza alterarlo, l’in- ne poco prima dell'ingresso principale della tervento si riduce ad un modesto apporto di discarica con conseguente allagamento di terreno, circa 30 cm, per stabilizzare i bauletti, parte della discarica. e alla posa del geotessuto. La realizzazione In particolare, l'acqua del Bacchiglione ha dell’impianto fotovoltaico è stata integrata invaso inizialmente l'area a nord est vicina al con la gestione post-operativa della discarica punto di rottura dell'argine, sommergendo il di rifiuti: l’installazione del FV ha comportato cantiere di ristrutturazione della “Casa Coloun riordino della rete di captazione del biogas nica”, i container da cantiere presenti nell'area

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della pesa, alcuni automezzi e la stazione meteo. Successivamente l'acqua ha raggiunto l'area del Lotto A, allagando le parti più depresse. I Lotti B e C e il parco fotovoltaico, in fase di costruzione sulla sommità dell'impianto, sono stati interessati indirettamente dall'evento così come sono state coinvolte anche le aree dell'impianto di combustione del biogas e delle cisterne del percolato. I rilievi condotti dai tecnici e dagli Enti di Controllo nei giorni immediatamente successivi all'alluvione non hanno evidenziato problematiche ambientali direttamente connesse con quanto accaduto in discarica durante l'evento. In ogni caso, da novembre 2010, l'attività di controllo è stata orientata prioritariamente alla gestione della fase di emergenza e al ripristino delle condizioni ordinarie dell'area.

Sorveglianza e controllo ambientale Per minimizzare gli impatti negativi della discarica sull’ambiente, le procedure di qualità adottate per i lotti B e C prevedono dei monitoraggi periodici delle principali matrici ambientali interessate (acqua, aria) e delle potenziali fonti di emissione (percolato, biogas). A causa delle condizioni del terreno dopo l’alluvione e il proseguimento di condizioni meteo particolarmente piovose si sono registrate difficoltà nelle operazioni di campionamento, prolungandone i tempi di esecuzione. In linea generale non sono emerse variazioni significative del chimismo delle acque di falda rispetto ai precedenti monitoraggi.

Conclusioni L’intervento si colloca all’interno di un impianto di discarica in gestione post-operativa che comporta una serie di attività autorizzate, e l’impatto della realizzazione ed esercizio dell’impianto fotovoltaico risulta poco significativo rispetto alla gestione ordinaria (es. operazioni giornaliere di regolazione, sostituzione e posa in superficie delle condotte di captazione del biogas), tuttavia la presenza dell’impianto ha spinto un‘integrazione con la gestione della discarica con un riordino della rete di captazione del biogas (pozzetti e condotte di collegamento alla torcia e ai motori). Già la progettazione iniziale aveva studiato in


CON LA NOSTRA TECNOLOGIA, OGNI LAVORO DIVENTA UN GIOCO

Il tram a Padova

particolare gli effetti dei carichi aggiuntivi, in fase esecutiva sono state prese ulteriori cautele nella realizzazione degli arginelli in terreno di sostegno alla recinzione, nella semplificazione delle opere per lo sgrondo delle acque dai pannelli e nell’ottimizzazione di alcune attività di sorveglianza. La realizzazione di un impianto FV benché molto interessante sia per i vantaggi tecnici ed economici sulla gestione del post-esercizio della discarica, sia per la sinergia con il recupero energetico da biogas, risulta complessa nel contesto italiano. I tempi del processo autorizzativo, lunghi e incerti, da sommare a quelli necessari ad Enel per eseguire le opere di sua competenza e la normativa in continuo mutamento non garantiscono l’ottenimento degli incentivi energetici previsti per le energie rinnovabili. La valutazione della fattibilità economica degli interventi è quindi particolarmente problematica, diversamente essi potrebbero costituire un’utile sistemazione finale per le coperture delle discariche esaurite, fornendo anche un ulteriore ricavo, analogamente agli incentivi sul recupero energetico del biogas, a sconto della tariffa di smaltimento o come eventuale fondorischi aggiuntivo per la gestione post-operativa. Oltre che per il riutilizzo e il controllo dell’area, il progetto è un esempio di efficace gestione dei servizi territoriali. L’energia solare prodotta annualmente dal 2011 sarà di circa 1.200.000 kWh pari al 20% dell’energia consumata dalla linea del tram di Padova in un anno, con i suoi 14 veicoli da 180 passeggeri l’uno, per una mobilità urbana sostenibile. In questi primi mesi di esercizio particolarmente soleggiati, l’impianto ha prodotto in media 4.700 kWh al giorno per una produzione complessiva a fine settembre di oltre 550.000 kWh. Con l’ampliamento dell’impianto fotovoltaico si punta a produrre circa il 50% dell’energia necessaria al funzionamento del tram. L’intervento eviterà l’emissione in atmosfera di 530 tonnellate/anno di CO2, con un risparmio di combustibili fossili di circa 270 TEP (tonnellate equivalenti di petrolio).

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STABILIMENTO ECOESPANSO DI SANTA CROCE: L’ATTIVITà svolta Da ARPAT LE ATTIVITà DI CONTROLLO AMBIENTALE SVOLTE DALL’AGENZIA REGIONALE PER LA PROTEZIONE AMBIENTALE DELLA TOSCANA PRESSO UNO STABILIMENTO DI RECUPERO DEI FANGHI CONCIARI di Andrea Villani*

L

a Società Ecoespanso s.r.l. situata nel Comune di Santa Croce S/A (PI), gestisce un impianto dedicato al trattamento dei fanghi di depurazione prodotti dagli impianti consortili di Santa Croce S/A (Consorzio Aquarno) e Fucecchio (Consorzio Conciatori di Fucecchio). Il prodotto finale del trattamento di recupero è il Granulato Sinterizzato (KEU) che, dopo miscelazione con carbonato di calcio, è impiegato per la produzione di granulati inerti (HSC) per l’edilizia e conglomerati bituminosi (HCB) per asfalti. Nel Comprensorio del Cuoio toscano, loca-

lizzato principalmente nei Comuni di Santa Croce S/A, Fucecchio, Castelfranco di Sotto, San Miniato, Montopoli Valdarno, sono presenti tre grandi impianti centralizzati per la depurazione delle acque, due dei quali prima citati, ed il terzo situato a Ponte a Egola (Consorzio Cuoiodepur), ove viene effettuato un recupero dei fanghi in loco, alternativo a quello di Ecoespanso. In linea generale presso Ecoespanso vengono prodotte annualmente c.a. 80.000 – 120.000 tonnellate di fanghi disidratati, mentre presso l’impianto Cuoiodepur c.a. 40.000 tonnellate.

Vasca accumulo fanghi (1200 m3) dagli impianti di depurazione di S. Croce S/A e Fucecchio presso Ecoespanso

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Ciclo produttivo L’azienda Ecoespanso è autorizzata all’esercizio di un impianto di stoccaggio, centrifugazione e trattamento a caldo dei fanghi da depurazione inviati all’interno dello stabilimento. Le quattro fasi principali, legate a distinte unità di trattamento rifiuti, sono: • fangodotto e centrifughe: trattamento dei reflui (fanghi ispessiti, c.a. 3% di solidi sospesi) provenienti via fangodotto, dagli impianti di depurazione di S. Croce e di Fucecchio per la produzione di fanghi palabili al 26-30% di secco; • impianto di inertizzazione a caldo (impianto KEU): produzione Granulato Sinterizzato (KEU) attraverso l’essiccamento, la pirolisi e la sinterizzazione dei fanghi in uscita dalle centrifughe. In particolare l’essiccamento è realizzato in due sezioni, la prima a due stadi e la seconda ad uno stadio singolo, nei quali il fango subisce un ulteriore processo di disidratazione (secco finale intorno al 90%). L’energia termica necessaria per il riscaldamento del flusso d’aria è fornita, per gli stadi successivi, da una serie di scambiatori indiretti a superficie alimentati con vapore saturo (250°C, 40 bar). Dal forno di pirolisi il materiale è inviato ad un secondo forno rotativo di sinterizzazione.


Silos stoccaggio (150 m3 cad.) del Granulato Sinterizzato (KEU)

In questo forno si ha la fase di combustione del carbone presente. Questo forno di sinterizzazione è stato installato recentemente, mentre la precedente unità è rimasta in loco, pronta all’uso in caso di malfunzionamenti della nuova. L’energia termica necessaria nei due forni di pirolisi è fornita da due bruciatori ossigeno/metano. Dopo una fase di raffreddamento, il Granulato Sinterizzato viene convogliato in una coclea, dove viene fatto asciugare prima di essere inviato al sistema di carico dei silos di stoccaggio; • impianto Termoelettrico e trattamento gas di scarico: tutti i gas di scarico (cioè gli incondensabili provenienti dalla fase di essiccamento ed i gas provenienti dai forni di pirolisi e sinterizzazione) sono bruciati nel sistema di post-combustione, ottenendo vapore surriscaldato da inviare in turbina per la produzione di energia elettrica (2.5 MW). Nel post-combustore viene effettuato l’abbattimento degli NOx, sottoponendo i fumi ad un trattamento con urea. Successivamente, all’uscita della caldaia a recupero, l’effluente è inviato in una colonna ad acqua (quencher), per tenere sotto controllo la temperatura e rimuovere parte delle polveri. I fumi uscenti sono separati dalle polveri residue, mediante due batterie di

filtri a manica, e poi fatti transitare in un sistema di lavaggio ad umido (scrubber) per l’abbattimento dei composti acidi, prima del camino finale; • impianto di produzione Plastofill: trattamento del granulato inerte in uscita dall’impianto di inertizzazione a caldo per la produzione di un materiale silico-calcareo (Filler) da commercializzare come materia prima per la produzione di conglomerati bituminosi (HCB: 30% KEU, 70% carbonato di calcio) e cementizi (HSC: 10% KEU, 90% carbonato di calcio). I prodotti Plastofill HSC e HCB, si ottengono attraverso la miscelazione e successiva macinazione del Granulato Sinterizzato (KEU) con carbonato di calcio proveniente da cave di marmo situate a Campiglia (LI), in forma di pietrisco.

Inquadramento normativo L’attività dell’azienda rientra nella classe 5.3 IPPC “Impianti per l'eliminazione dei rifiuti non pericolosi quali definiti nell'allegato 11 A della direttiva 75/442/CEE ai punti D8, D9 con capacità superiore a 50 tonnellate al giorno”, di cui all’Allegato VIII alla parte seconda del Decreto Legislativo 152/2006 (ex D.Lgs. 59/05).

Attività di ARPAT sulle varie matrici ambientali presso l’impianto Ecoespanso

Negli ultimi anni presso l’impianto Ecoespanso di Santa Croce S/A (PI) sono state effettuate varie modifiche impiantistiche tra cui la sostituzione del forno di sinterizzazione. L’attività di ARPAT presso tale unità, che realizza il recupero di circa il 70% dei fanghi di depurazione conciaria prodotti nel Comprensorio del Cuoio, e destinati negli anni scorsi allo smaltimento in discarica, si è intensificata ulteriormente negli ultimi anni ed è stata finalizzata al monitoraggio e controllo integrato della performance dell’impianto, anche in collaborazione con la Provincia di Pisa e l’USL, mediante l’espressione di pareri, valutazioni tecniche, campionamenti ed attività analitiche.

In particolare viene effettuato semestralmente il monitoraggio delle prestazioni dell’impianto Ecoespanso, sulla base del bilancio materiale globale. Nella tabella sono riportati i dati complessivi degli ultimi anni. Si può notare un trend decrescente nei conferimenti dei fanghi provenienti dai due impianti di depurazione, a causa della recente crisi del settore conciario. Nel corso del 2010, a causa della crisi del settore conciario e della riduzione dei conferimenti dei fanghi dagli impianti di depurazione via fangodotto, sono state conferite 5090 t di fanghi disidratati (CER 190206) provenienti dall’esterno, in parte dallo stesso Comprensorio del Cuoio, e da impianti di depurazione situati all’interno della Regione Toscana. Per quanto riguarda i valori da assegnare all’emissione E1 (emissione derivante dall’impianto di trattamento dei fanghi e dalla combustione del syngas prodotto nei processi di pirolisi e sinterizzazione degli stessi), la posizione di ARPAT nella Conferenza dello scorso 23 marzo fu quella di considerare l’attività, nel suo insieme, come un impianto di coincenerimento rifiuti (art. 2, comma 1, lett. e) del D.Lgs. 133/05), per cui i parametri degli inquinanti risultano quelli relativi al D.Lgs. 133/05 per gli inceneritori, con i limiti riferiti ad un Ossigeno di riferimento pari all’11%. In data 02/02/2011 tecnici dell’ARPAT hanno effettuato il campionamento dei microinquinanti (diossine, IPA, PCB) al camino E1. I dati riscontrati e misurati sono riassunti come segue: • portata fumi: 44423 Nm3/ora; • temperatura dei fumi: 108°C; • velocità media dei fumi: 18,2 m/s; • ossigeno: 15,9 %; • PCDD (policlorodibenzodiossine) + PCDF (policlorodibenzofurani): 0.0210 μg/Nm3 (valore limite = 0.1 μg/Nm3 (rif. D. Lgs. 133/05)); • IPA totali: 3.02 μg/Nm3 (valore limite = 10 μg/Nm3 (rif. D. Lgs. 133/05)); • PCB totali: 27.4 μg/Nm3 (valore limite = 500 μg/Nm3); Nei prossimi mesi sarà effettuato anche il campionamento degli inquinanti standard (“macro inquinanti”) previsti nell’Atto Autorizzativo.

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Le polveri raccolte dai filtri a manica di Ecoespanso, possono contenere cromo esavalente in concentrazione variabile dallo 0 allo 0,1% p/p. Queste vengono comunque trattate in due reattori agitati di riduzione, ove viene dosato cloruro ferroso al 30% in soluzione, per trasformare l’eventuale cromo VI a cromo III. Anche la sospensione di polveri abbattute nella torre di quench viene inviata in un terzo reattore analogo ai due descritti, ove viene sottoposta allo stesso trattamento con cloruro ferroso. Negli anni scorsi l’azienda ha provveduto, su indicazione dei tecnici ARPAT, ad installare due pHmetri in continuo ed una pompa di ricircolo, al fine di monitorare l’efficacia della riduzione del cromo esavalente, che risulta tale se il pH si mantiene inferiore a 6. Dai riscontri analitici effettuati semestralmente da ARPAT sulla presenza o meno di cromo esavalente (VI), in alcuni casi in collaborazione con l’USL di Empoli, si è evidenziato che il controllo del pH nei reattori di riduzione del cromo VI a III ha reso

efficace l’azione del cloruro ferroso sia in fase liquida che in fase solida (materiale sospeso), confermando quanto rilevato dalla Ditta durante le campagne interne di monitoraggio. Il personale del Dipartimento Provinciale ARPAT di Pisa sta svolgendo e continuerà a svolgere, mediante valutazioni tecniche, sopralluoghi, campionamenti ed attività

analitiche, l’opera di monitoraggio e controllo integrato della performance di questo importante impianto, nato allo scopo di recuperare materia dai fanghi di depurazione conciaria, altrimenti destinati allo smaltimento in discarica. * ARPAT

Filtro a manica presso impianto Ecoespanso

2005

2006

2007

2008

2009

2010

• Santa Croce S/A (Aquarno)

642783 mc

721470 mc

666190 mc

566084 mc

566084 mc

400208 mc

• Fucecchio

161090 mc

183623 mc

155039 mc

161622 mc

161622 mc

166914 mc

803873 mc

905093 mc

821229 mc

727706 mc

541258 mc

567122 mc

111677 t

118600 t

104636 t

89600 t

65543 t

70400 t

75500 t

78300 t

75540 t

68200 t

61000 t

71000 t

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1700 t

5090 t

7600 t

8000 t

9000 t

5123 t

750 t

5700 t

6400 t

6100 t

5850 t

5550 t

6400 t

5800 t

2100 t

3250 t

3190 t

2550 t

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3670 t

4200 t

3620 t

2970 t

2640 t

2280 t

2645 t

2400 t

Plastofill prodotto

20242 t

18080 t

8860 t

8000 t

10491 t

11550 t

Plastofill venduto

19642 t

17500 t

8660 t

7630 t

10281 t

11550 t

Fanghi ispessiti (3-5% SS) in arrivo all’impianto Ecoespanso

• TOTALE Quantitativo fanghi (~30% SS) in uscita dalle centrifughe Fanghi centrifugati inviati all’impianto di sinterizzazione Fanghi centrifugati (~30% SS) provenienti dall’esterno Quantitativo di fanghi essiccati (~90% SS) inviati ad impianti di smaltimento rifiuti/compostaggio Sinterizzato totale prodotto Sinterizzato inviato allo smaltimento in quanto non idoneo alla produzione di plastofill Sinterizzato inviato a recupero (R5) presso impianti di trattamento esterni Sinterizzato inviato alla produzione di plastofill

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BONIFICA DI UN EX DEPOSITO CARBURANTI Tempi e costi ridotti per un intervento di bonifica mediante biopila di terreni contaminati da idrocarburi pesanti di Arrigo Nobile e Fabiano Melis*

A

ll’interno dell’esercizio di una attività di stoccaggio e distribuzione carburanti può accadere che si verifichino perdite non direttamente e repentinamente riscontrabili visto che le cisterne sono nella maggior parte dei casi interrate. Ciò porta inevitabilmente ad una contaminazione delle matrici ambientali che si protrae per lunghi

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periodi portando, successivamente alla dismissione del sito, a condizioni operative di bonifica piuttosto gravose. Questo è il caso in cui si è operato nel cantiere in oggetto, dove erano presenti 6 cisterne interrate dalle quali si sono avute negli anni perdite di prodotto. La scelta da parte dei progettisti è stata quella di trattare ex situ - on site il materiale tramite

biopila statica, partendo da concentrazioni di idrocarburi pesanti C>12 dell’ordine di 20.000 mg/kg e avendo l’obiettivo di abbatterle fino ad un valore di 2.000 mg/kg, ovvero l’obiettivo di bonifica approvato per il sito. La biopila ha occupato una superficie di circa 1.500 m2, per una capacità complessiva di trattamento pari a circa 3.000 m3 di materiale.


Il cantiere in breve Oggetto appalto:

Intervento di bonifica terreni e messa in sicurezza

Impresa:

Perino Piero s.r.l.

Consegna lavori:

Giugno 2010

Durata lavori:

14 mesi

Descrizione intervento:

Scavo di terreno contaminato da idrocarburi pesanti e successivo collocamento su biopila collegata ad impianto di aspirazione\insuflaggio e trattamento aria. Sistemazione finale dell’area con ricollocamento materiale trattato e capping.

Fasi operative

• Accantieramento : installazioni di cartellonistica e reti “tipo orsogrill” mobili per delimitare l’area di bonifica dal cantiere edile attiguo; installazione baracche di cantiere e servizi igienici. • Predisposizione base della biopila con teli in HDPE, TNT e installazione delle linee di aspirazione di fondo. • Scavo del materiale di riporto non contaminato ed abbancamento in cantiere. • Scavo del materiale contaminato, con trattamento di frantumazione e miscelazione con inerti porosi e nutrienti. Contestualmente il materiale è stato collocato sulla biopila. Predisposizione del sistema di copertura provvisoria dello scavo. • Allacciamento impianto di aspirazione\insufflaggio e trattamento aria, con sistema di monitoraggio umidità\temperatura e sistema automatico di irrigazione. Copertura della biopila. Inizio trattamento. • Analisi sul materiale e riscontro raggiungimento obiettivi di 6. bonifica. Abbancamento del materiale su un fianco della base della biopila. Allargamento dello scavo e ripetizione delle operazioni n. 4, 5 e 6 per il secondo step di trattamento. • Nuove analisi e riscontro di raggiungimento obiettivi di bonifica e quindi ritombamento dei materiali trattati. • Sistemazione finale dell’area mediante formazione di capping.

Il fondo è stato opportunamente predisposto con telo in HDPE da 2 mm e TNT da 400 g/m2, sul quale sono state installate le linee di aspirazione ricoperte con ghiaia al fine di impedire l’intasamento delle microfessure. Considerando la ristretta area di cantiere e la profondità di scavo cui si doveva arrivare (circa 10 m da quota piano campagna), è stato operata una opportuna scelta dei mezzi e una corretta organizzazione delle fasi di lavoro. Sono stati utilizzati un escavatore da 350 q.li di peso operativo per lo scavo, un escavatore da 200 q.li e una minipala cingolata per il collocamento del materiale sulla biopila e un impianto semovente di frantumazione. Sull’area di scavo è stato asportato inizialmente il riporto non contaminato procedendo poi all’asportazione del terreno contaminato. Data la natura sabbio-ghiaiosa del terreno naturale, contestualmente allo scavo, è stata operata una omogeneizzazione mediante

frantumazione e una miscelazione con inerti porosi e opportuni nutrienti (sulla base degli esiti di prove pilota di biodegradazione). Questa scelta progettuale è legata al fatto che si è cercato di evitare la creazione di vie preferenziali di ossigenazione, all’interno delle quali poteva verificarsi una biodegradazione maggiore a discapito delle altre aree, con la creazione di zone troppo compatte dove la quasi totale assenza di ossigeno avrebbe potuto innescare processi di anaerobiosi. Il terreno così lavorato è stato collocato nel corpo della biopila, su due strati successivi, ponendo la massima attenzione a non compattare in maniera eccessiva il terreno, evitando durante la stesura dello stesso di effettuare più passaggi sullo stesso punto. Sulla sommità, alla fine della lavorazione del terreno, sono state installate delle linee di insufflaggio e sono stati inseriti punti di monitoraggio del soil gas con sensori per il rilievo in continuo di temperatura e umidità, oltre

ad un sistema di irrigazione automatico per mantenere l’optimum di umidità per la biodegradazione. Tutte le linee di aspirazione e di insufflaggio sono state dotate di valvole in modo tale che al verificarsi comunque di eventuali disomogeneità di biodegradazione, si potesse agire sulla quantità di aria da far passare in quella porzione di materiale. La biopila è stata quindi coperta con dei teli in HDPE opportunamente zavorrati. Le linee di aspirazione e quelle di insufflaggio sono state collegate ad un impianto di aspirazione collocato all’interno di un container, costituito da due blower, un separatore di condensa e una pompa di rilancio su cisterna per l’accumulo della stessa. L’aria aspirata viene quindi trattata mediante filtri a carboni attivi prima di essere introdotta in atmosfera. L’impianto è dotato inoltre di diversi punti di monitoraggio, prelievo e controllo, oltre che di un sistema di comunicazione di eventuali anomalie tramite modulo GSM.

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dei tempi di abbattimento dell’inquinante, grazie nello specifico alla scelta della data di inizio cantiere, ovvero il mese giugno così da sfruttare le alte temperature, e alla più soddisfacente omogeneizzazione e miscelazione del materiale. uesti accorgimenti, concertati dalla parte esecutrice, l’Impresa Perino Piero s.r.l., e dalla parte progettuale, lo Studio Associato Planeta, hanno permesso di trattare efficacemente circa 5.000 m3 di materiale contaminato nell’arco di 12 mesi e in due step differenti, raggiungendo le concentrazioni degli obiettivi di bonifica approvati per il sito (2.000 mg/kg). È stato così ottenuto un buon riscontro in termini sia temporali che economici, che ha permesso di ottenere il nulla osta per la ricollocazione in posto del materiale e quindi la conclusione delle operazioni di bonifica dei terreni con capping in tempi brevi. La buona organizzazione della successione delle operazioni e la corretta gestione dei

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materiali collocati nel corpo della biopila hanno permesso di ottenere una riduzione

*Perino Piero s.r.l.



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DEMOLIZIONE DELLE TORRI DI PIEVE EMANUELE: RADIOGRAFIA DELL’INTERVENTO un complesso intervento di demolizione di 4 edifici multipiano con esplosivo e escavatori super long demolition analizzato dalla progettazione all’esecuzione di Andrea Terziano

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ancano poche settimane all’ultimazione dell’intervento di demolizione delle quattro torri di Pieve Emanuele che hanno segnano di fatto l’avvio del programma di riqualificazione del quartiere di Via delle Rose. Le prime due torri si erano già piegate alla forza esplosiva delle cariche di dinamite il 10 settembre scorso, davanti ad una folla di migliaia di curiosi accorsi per non

perdersi lo spettacolo, mentre ad oggi gli escavatori della ditta Armofer Cinerari Luigi s.r.l. stanno completando la demolizione meccanica delle due rimanenti. Gli scheletri di cemento oggetto della demolizione facevano parte di un complesso di uffici mai entrato in funzione che comprendeva 8 torri di 9 piani e 8 fabbricati più bassi; negli anni i palazzi sono stati oggetto di saccheggi e occupazioni abusive contribuendo ad aggravare la situazione di degrado di un quartiere difficile.

Gli edifici I 4 edifici oggetto dell’intervento, identificati dalle lettere C, D, E e F, si trovano nel comparto edilizio della cintura sud di Milano nel Comune di Pieve Emanuele, tra via delle Rose, via dei Gigli e via dei Tulipani: gli edifici aventi caratteristiche geometriche e strutturali praticamente identiche possono essere suddivisi in due corpi:

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• corpo torre - blocco con prevalente sviluppo in altezza su 9 livelli a forma di parallelepipedo regolare avente un’altezza di 33 m circa con struttura portante a travi e pilastri e 3 corpi scale/ascensore. Le solette sono realizzate in latero-cemento. Dimensioni in pianta 75 m x 15 m circa; • corpo posteriore - blocco con prevalente sviluppo in pianta a forma di parallelepipedo, su due piani adibito a rimessa auto al piano terra e zona uffici/servizi al primo piano. Struttura portante a travi e pilastri in c.a. e solette in latero-cemento e gettate in opera. Dimensioni in pianta 60 m x 18 m circa. Il corpo torre si sviluppa in altezza con struttura a travi e pilastri disposti su tre allineamenti che si ripetono in tutti i piani; completano lo schema strutturale 3 corpi scale e ascensore. Tutti i piani superiori hanno uno sviluppo in pianta uguale gli uni agli altri.

L a progettazione dell’intervento La progettazione dell’intervento di demolizione è stata affidata da Infrastrutture Lombarde S.p.A. (Stazione Appaltante) alla Dea ingegneria s.r.l., società di ingegneria specializzata in progettazione e consulenza in interventi di


demolizione complessi con sede a Grugliasco (TO) e Valenza (AL). Il contesto urbano antropizzato, il problema legato alle occupazioni abusive e la necessità di rinnovamento dell’area oggetto di intervento, hanno vincolato le scelte tecniche dei progettisti imponendo da subito gli obiettivi dell’intervento di demolizione: la riduzione dei tempi di esecuzione e dei disagi legati alla presenza di un cantiere all’interno del quartiere di Via delle Rose. La scelta del metodo di demolizione è stata quindi ponderata in modo da rispettare il più possibile gli obiettivi prefissati, il tutto in funzione dei dati raccolti nelle analisi contestuali e sugli edifici. Le tecniche prese in considerazione per la demolizione dei 4 edifici possono essere suddivise in due grandi categorie: • tecniche di demolizione meccanica top down, procedendo con ordine dall’alto verso il basso con escavatori da demolizione mediante frantumazione di tutti gli elementi portanti delle strutture; • tecniche di demolizione controllata con esplosivi, inducendo il crollo direzionato del manufatto a mezzo di cariche di esplosivo piazzate in punti strategici delle strutture. L’elevata altezza delle quattro torri di circa 33 m e la presenza di 4 corpi scale molto rigidi e con numerosi setti in calcestruzzo armato, poneva alcune difficoltà per la demolizione meccanica, in quanto per ottenere dei tempi di esecuzione rapidi era necessario prevedere l’utilizzo contemporaneo di almeno 2 o 3 escavatori muniti di un braccio di almeno 45 metri per operare simultaneamente su diversi torri.

Perforazione dei pilastri

La tecnica di demolizione con esplosivo, che ben si adatta a strutture alte e snelle come le torri in oggetto, poneva a sua volta delle problematiche esecutive per la presenza, a soli 30 metri di distanza, di edifici residenziali che avrebbero necessitato di un’evacuazione durante l’intervento con esplosivo. Effettuate le dovute premesse è apparso evidente che bisognava applicare entrambe le soluzioni: per i due edifici posti su via dei Tulipani, posti a distanza di 60 m dai primi fabbricati abitati, è stata scelta la demolizione con microcariche esplosive mentre per i due rimanenti, più prossimi agli edifici abitati, si è optato per la demolizione con escavatori da demolizione. Questa soluzione mista garantiva la velocità dell’intervento e allo stesso tempo non necessitava di alcuna procedura di evacuazione per i residenti del quartiere, diminuendo l’impatto dei lavori sull’opinione pubblica. Per quanto riguarda la demolizione con esplosivo delle torri C e F si è scelto di dimensionare una tecnica mista di implosione e ribaltamento in modo da direzionare il crollo di ciascuna struttura in aree tali da non creare danno alcuno ai sottoservizi esistenti e alle vicine strutture. Nelle tecniche di demolizione con esplosivo si produce l’indebolimento dell’edificio, modificandone lo schema statico, mediante la detonazione di cariche di esplosivo piazzate in punti strategici della struttura; il cedimento o l’abolizione di alcuni degli elementi portanti crea un cinematismo che evolve in crollo per azione della forza peso. Le tecniche di demolizione con esplosivo dipendono da di-

versi fattori, tra i più importanti si citano le tipologie costruttive, le diverse caratteristiche geometriche delle strutture ed il contesto nel quale sono inserite. La disposizione in pianta dei 2 edifici permette di direzionare il crollo di ogni struttura perpendicolarmente al lato maggiore nella direzione del basso corpo a tergo di ogni edificio; tale scelta imponeva perciò di demolire preventivamente il basso corpo dei due palazzi fino alla quota del piano campagna. Per ottenere il cinematismo voluto e garantire il corretto ribaltamento di ogni edificio si è scelto di minare 3 livelli: piano terra, piano primo e piano terzo, mantenendo in ogni piano un allineamento di pilastri non minati per direzionare il crollo. Per i corpi scale ed ascensore invece è stato previsto un indebolimento preventivo delle strutture portanti da realizzarsi con dischi e fili diamanti ed in parte con mezzi meccanici, per compensare la rigidezza maggiore ed evitare che tali elementi strutturali si comportassero da puntone rallentando il cinematismo di caduta di ogni edificio. Nel Progetto Esecutivo, redatto dai tecnici di Dea ingegneria s.r.l., sono stati analizzati e previsti con programmi di calcolo agli elementi finiti i comportamenti delle strutture soggette ad indebolimento e la cinematica del crollo durante la detonazione delle cariche di esplosivo (analisi non lineare in transiente dinamico). Di fondamentale importanza è stata anche l’analisi delle pressioni in aria, delle sollecitazioni sismiche causate sia dalla detonazione delle cariche, sia dall’impatto delle macerie al suolo, nonché il dimensionamento delle misure di protezione atte a mitigare questi impatti.

Area occupata dalle macerie dopo il crollo

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Il cantiere in breve Committente: Infrastrutture Lombarde S.p.A. Importo lavori: € 585.000,00 Progettazione: DEA ingegneria s.r.l. Impresa: Armofer Cinerari Luigi s.r.l. Consegna lavori: 01/07/2011 Durata dei lavori: 132 giorni Oggetto appalto: Procedura aperta per l'affidamento dell'appalto concernente l'esecuzione dei lavori di demolizione integrale, con microcariche esplosive e mezzi meccanici di n. 4 edifici multipiano siti nel quartiere E.R.P., in via Delle Rose, nel comune di Pieve Emanuele (MI) Altezza massima edifici: 35 m Volumi: 45.000 mc vpp per edificio Numero di piani: 9 Numero di fori eseguiti: 282 per edificio Quantità di esplosivo impiegata: 52 kg per edificio Numero di detonatori: 64 Mezzi d’opera in cantiere: Caterpillar 365 Demolition, Liebherr 974 Demolition, Caterpillar 330 D, Pala gommata Liebherr 673, 4 miniescavatori, 2 piattaforme, 1 carro da perforazione

Nel progetto è stato eseguito il dimensionamento del piano di tiro, ossia il calcolo delle cariche e della loro disposizione, della quantità di materiale da minare e dei tempi di detonazione per ottenere la direzione di caduta voluta in ogni struttura e predisposto il piano degli smaltimenti e di ripristino delle aree di cantiere. Nelle operazioni di demolizione controllata con microcariche degli edifici C e F, ed in particolare durante le attività di fochinaggio, ossia durante quelle lavorazioni ed operazioni di cantiere che prevedono l’utilizzo di materiale esplodente, è stata inoltre posta particolare attenzione non solo nel coordinamento tra le attività di cantiere, ma anche, e soprattutto, nel coordinamento delle attività esterne all’area di cantiere definendo dettagliate procedure comportamentali che gli addetti ai lavori e gli enti competenti in materia di pubblica sicurezza dovevano intraprendere dal momento in cui l’esplosivo sarebbe entrato in cantiere fino al segnale di cessato pericolo, a demolizione avvenuta. Analogamente è stato sviluppato il progetto per la demolizione delle altre due torri identificando la sequenza esatta di demolizione e rimozione meccanica degli elementi portanti nei settori omogenei in cui erano stati suddivisi i due edifici.

Una perfetta esecuzione Il lavori appaltati ad Armofer Cinerari Luigi s.r.l., impresa specializzata con grande esperienza in lavori di demolizione, sono iniziati nel luglio 2011 con ultimazione prevista a metà novembre. Preliminarmente all’inizio dei lavori di demolizione, in funzione dei dati acquisiti dalla mappatura amianto e lane minerali, gli operatori dell’impresa hanno proceduto alla completa bonifica di materiali contenenti amianto e contenenti fibre secondo le vigenti normative di settore e con le procedure dettagliate nei Piani di Lavoro redatti dall’impresa. Al termine delle attività di bonifica, all’ottenimento della restituibilità delle aree di lavoro si è proceduto allo strip-out di ogni edificio operando una rimozione selettiva, ove possibile, di tutti materiali presenti all’interno e procedendo allo smontaggio delle pareti vetrate esterne.

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Demolizione meccanica con escavatore super long demolition

Una volta rimossi dagli edifici tutti i rifiuti è stata eseguita la demolizione dei 4 corpi posteriori operando con mezzi meccanici; viste le esigue altezze tale attività non ha presentato particolari problematiche. La preparazione degli edifici C e F per la demolizione con esplosivo ha visto impegnate diverse squadre di tecnici e operatori specializzati con un massimo di 10 addetti per edificio. Le lavorazioni hanno riguardato gli indebolimenti strutturali, realizzati per lo più meccanicamente con miniescavatori portati ai piani, con aperture (finestre rettangolari) nei setti dei corpi scale/ascensore, in modo da trasformare questi elementi da setti portanti in una pilastrata. Le perforazioni delle strutture portanti sui 3 piani minati entro cui alloggiare le cariche di esplosivo sono state realizzate mediante carri di perforazione portati ai piani che hanno consentito un notevole risparmio di tempo rispetto alla perforazione manuale. Per ridurre le sollecitazioni prodotte dall’impatto al suolo di ciascun edificio, a eseguito del crollo generato dalla detonazione delle cariche esplosive, sono stati realizzati all’interno dell’area di impatto prevista due letti di caduta realizzati con materiale frantumato proveniente dalle demolizioni dei corpi posteriori. La schermatura dalle proiezioni di detriti generati dalla detonazione delle cariche di esplosivo è affidata ad un sistema misto di reti metalliche paramassi e georeti a formare un doppio strato


Ing. Massimo Viarenghi Progettista e direttore operativo intervento - DEA ingegneria s.r.l. “La progettazione di un intervento di demolizione con esplosivo è molto complessa in quanto non sono assolutamente ammessi errori, bisogna simulare il comportamento della struttura durante il crollo, dove intervengono molte variabili, prevedere tutti i possibili impatti e disturbi prodotti dall’intervento e ridurli entro i limiti imposti dalle normative. Questo di tipo di approccio sempre più utilizzato nei lavori di demolizione, sia con esplosivo che con metodi tradizionali, non lascia nulla al caso e rappresenta l’evoluzione futura dei lavori di demolizione, la progettazione al servizio della demolizione come di fatto avviene ormai da diversi anni in molti Paesi europei e soprattutto extraeuropei”.

Emilio Cinerari Amministratore Delegato - Armofer Cinerari Luigi s.r.l. “Il ruolo operativo di Armofer è sempre proattivo e volto alla soluzione dei problemi che ogni giorno nascono in cantiere. Con questo tipo di approccio, che conta su 50 anni di esperienza professionale, abbiamo gestito e coordinato tutte le fasi preparatorie all’intervento con esplosivo (demolizioni meccaniche fabbricati bassi, indebolimento strutturale, taglio delle colonne di distribuzione verticale, scale e ascensori, bonifica ambientale e strip-out; esecuzione fori e coordinamento delle operazioni di caricamento). Col medesimo approccio abbiamo gestito la giornata-evento del 10 settembre. Ma il successo di un’operazione così impegnativa è dovuto alla collaborazione fattiva di tutti gli attori coinvolti che desidero ringraziare: DEA ingegneria, Tecnomine, Infrastrutture Lombarde, il personale Armofer stesso, ma anche le forze dell’ordine e la Protezione Civile per l’intervento del 10 settembre e in ultimo, ma di grande importanza, la collaborazione della popolazione di Pieve Emanuele. Una delle nostre primarie preoccupazioni è stata quella di lasciare sempre aperto il dialogo coi cittadini e organizzare il lavoro in modo da contenere il più possibile ogni fonte di disagio o disturbo”.

Ruggero Gregorini Responsabile di cantiere - Armofer Cinerari Luigi s.r.l. “La gestione di un cantiere di queste dimensioni e di questa entità è un’esperienza importante e complessa prima di tutto per le operazioni previste, sia l’intervento con l’esplosivo sia coi mezzi meccanici qui impegnati che sono fra i maggiori che operano nei contesti urbani (il maggiore raggiunge i 42 m di altezza). Il coordinamento delle fasi operative, della presenza dei mezzi e delle persone in cantiere è complesso ed è alla base della qualità e della sicurezza dell’intervento. Un tema di grande importanza per Armofer è stato la cura della qualità ambientale, in particolare il contenimento delle polveri. Durante tutte le operazioni di demolizione, anche meccaniche, impieghiamo i cannoni abbattimento polveri e il giorno della spettacolare esplosione le tecnologie impiegate da Armofer hanno permesso di contenere e abbattere in tempi brevissimi la nube di polvere sollevata”.

con maglie diverse disposte e fissate sul perimetro esterno dell’edificio in modo da ricoprire integralmente i piani minati.

Vista della torre indebolita e dei cumuli di caduta

Al termine delle suddette operazioni i due edifici erano pronti per le attività di caricamento dell’esplosivo. Tali operazioni e il successivo

brillamento, dette in gergo “attività di fochinaggio”, sono iniziate il 9 settembre all’alba e si sono concluse alle ore 14.30 di sabato 10 settembre con la perfetta implosione simultanea dei due fabbricati. Complessivamente in ogni edificio sono stati realizzati 282 fori e caricato un quantitativo di esplosivo (gelatina dinamite) pari a circa 52 kg, per la detonazione delle cariche sono stati utilizzati detonatori elettrici microritardati posizionati con ritardi progressivi dal centro verso l’esterno per massimizzare l’effetto di disarticolazione ed il cinematismo della struttura. La demolizione con esplosivo delle prime due torri rappresenta solo il primo traguardo per l’impresa Armofer che adesso è impegnata con due escavatori super long demolition con bracci fino 42 m per la demolizione meccanica delle due torri D ed E fino al livello di imposta delle fondazioni. Tutti i materiali prodotti dalla demolizione verranno riutilizzati in sito come riempimento degli scavi di fondazione mediante un impianto di trattamento autorizzato.

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Il monitoraggio ambientale nelle attività di dragaggio nel SIN di Pitelli L’importanza della progettazione di idonei piani di monitoraggio per la salvaguardia dell’ambiente durante le attività di bonifica e dragaggio dei fondali di La Spezia di F. Colonna*, E. Gollo*, A. Re*, A. Ausili**, M.E. Piccione**, A. Salmeri**, F. Pomo*** e I. Roncarolo***

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e operazioni di bonifica/dragaggio dei fondali di aree interessate dalla presenza di attività portuali, industriali e commerciali, può costituire un’attività di notevole rischio, in quanto ipotetico veicolo per la diffusione dei contaminanti eventualmente presenti nel sedimento. Ne consegue che, il progetto di un’attività di bonifica/dragaggio non può prescindere dall’adozione di specifiche misure di prevenzione e controllo, volte al contenimento ed alla mitigazione di ogni possibile impatto sull’ambiente circostante. In particolare, ciò è indispensabile, se le attività di escavo vengono effettuate in

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siti in cui, accanto alle normali attività portuali, coesistono impianti di acquacoltura, specie e/o biocenosi di particolare pregio naturalistico. I contaminanti rimessi in circolo possono, infatti, accumularsi, provocando conseguenze, non solo dal punto di vista ambientale, ma anche da quello sanitario (APAT-ICRAM, 2006). Nella predisposizione di un dragaggio ambientale, pertanto, è fondamentale la progettazione di idonei piani di monitoraggio, da attuarsi prima, durante e dopo le operazioni di bonifica/dragaggio, volti a verificare l’osservanza di tutte le condizioni di salvaguardia adottate.

Area di studio Nel 2005 il Ministero dell’Ambiente di concerto con il Ministero delle Attività Produttive e della Salute ha approvato i progetti definitivi di bonifica dei fondali marini ricadenti nel Sito d’Interesse Nazionale di Pitelli (Legge n. 426/1998) che l’Autorità Portuale della Spezia ha presentato con l’obiettivo di approfondire diverse aree della rada fissando i seguenti quantitativi di sedimento da rimuovere: Terminal Ravano 25.875 m3, Bacino Evoluzione 235.000 m3, Molo Fornelli Est 29.500 m3, Molo Garibaldi 198.300 m3, Molo Italia 175.000 m3.


L’intera rada è caratterizzata da un idrodinamismo piuttosto ridotto (Borelli et al., 1992). I processi che regolano il ricambio delle acque sono legati alla circolazione residua (dovuta all’azione combinata del vento di brezza e dello scarico termico della centrale ENEL), che determina il trasporto dalle zone più interne verso le bocche della diga ed a componenti attive, in vicinanza delle bocche, che favoriscono il rimescolamento delle acque e gli scambi tra rada e mare aperto. Tutte le attività che insistono sull’area sono responsabili della contaminazione dei sedimenti dei fondali marini, come evidenziato dai dati Figura 1. Ubicazione stazioni di monitoraggio e transetti ottenuti dalla caratterizzazione eseguita ai In tali progetti l’Autorità Portuale si è impegna- fini della bonifica (ICRAM, 2005), che indicano ta a minimizzare l’impatto delle attività di dra- una contaminazione elevata e diffusa, dovuta gaggio sull’ambiente circostante, mediante prevalentemente a metalli pesanti, policlorobil’impiego delle migliori tecnologie disponibili fenili, composti organostannici ed idrocarburi e la progettazione ed esecuzione del monito- (Bertolotto et al., 2005). In considerazione di quanto sopra dettagliato, risulta ancora più raggio ambientale dell’area. La rada della Spezia (44°07´N 009°50´E - Mar importante adottare tutte le misure di sicurezLigure), è inserita nell’elenco dei siti di boni- za per garantire un corretto svolgimento delle fica di interesse nazionale e copre una su- attività di bonifica, senza compromettere lo perficie pari a 1564 ha. All’interno del golfo stato di salute dell’ambiente circostante. Per si possono identificare aree destinate ad usi tale motivo è stato innanzitutto previsto di differenti: aree commerciali, adibite al traffico conterminare l’area di dragaggio utilizzando mercantile e passeggeri, aree militari (Arse- panne galleggianti munite di “gonne” ancoranale Militare, Aeronautica Militare), aree inte- te sul fondale marino, al fine di contenere la ressate da cantieristica navale, porticcioli tu- dispersione dei sedimenti risospesi durante le ristici, terminal energetici (GNL Italia e Arcola operazioni di bonifica. Petrolifera), aree con impianti di mitilicoltura Con l’obiettivo di controllare gli eventuali impatti sull’ecosistema marino legati alle ated ittiocoltura.

tività di escavo, l’ISPRA (già ICRAM ex art. 28 D.L. 112/2008, come modificato da art. 28 L. 133/2008), l’ARPAL, l’Istituto Superiore di Sanità, l’Autorità Portuale e l’ASL5 Spezzina, sono stati incaricati di progettare ed attuare il monitoraggio delle diverse matrici ambientali.

Descrizione del monitoraggio Il piano è stato progettato con l’obiettivo di eseguire opportune campagne di monitoraggio, previste in specifiche aree del golfo, finalizzate alla valutazione della qualità ambientale della rada e degli eventuali effetti dovuti alle attività di rimozione dei sedimenti. La progettazione e l’esecuzione del piano è stata affidata ai diversi enti coinvolti, in relazione alle specifiche competenze. Il monitoraggio è articolato in tre fasi distinte. Una fase ante operam, precedente alle attività di bonifica, finalizzata alla definizione delle stazioni di controllo, delle campagne e delle frequenze di monitoraggio, nonché all’acquisizione dei valori di riferimento per i principali parametri ambientali che caratterizzano l’area. Una fase in corso d’opera, durante le attività di movimentazione dei sedimenti, finalizzata al controllo delle eventuali fluttuazioni dei parametri indagati, dell’assenza di impatti sull’ambiente e della rispondenza delle attività di bonifica rispetto a quanto originariamente prospettato. Una fase post operam, successiva alle attività di bonifica, finalizzata alla verifica del ripristino delle condizioni ambientali iniziali e/o al raggiungimento di una situazione stabile. L’ARPAL è stato incaricato della valutazione della qualità del comparto abiotico mediante l’esecuzione di: • rilevamento in tempo reale di criticità che possano variare le caratteristiche chimicofisiche della colonna d’acqua (mediante l'utilizzo della sonda multiparametrica); • registrazione in continuo della variazione delle caratteristiche chimico-fisiche della colonna d'acqua mediante sonde multiparametriche posizionate in postazioni fisse (boe oceaniche) in corrispondenza dei due obiettivi maggiormente sensibili (impianti di ittiocoltura e mitilicoltura);

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• la costruzione di una curva di correlazione tra la torbidità e la concentrazione di solidi in sospensione, nonché tra questa e la concentrazione di contaminanti; • la verifica delle effettive concentrazioni di solidi in sospensione associati ai valori di torbidità misurati, nonché delle concentrazioni dei contaminanti e dei parametri chimico-fisici e microbiologici. L’ISPRA è stato incaricato della valutazione della qualità del comparto biotico mediante l’esecuzione di: • analisi delle concentrazioni di contaminanti chimici nei tessuti di mitili (Mytilus galloprovincialis), riconosciuto come ottimo indicatore di contaminazione (El Nemr et al., 2003), prelevati dagli impianti di mitilicoltura presenti nell’area (in collaborazione con l’istituto Superiore di Sanità); • analisi delle concentrazioni di contaminanti chimici eseguite sui tessuti dei pesci (Dicentrarcus labrax), prelevati dall’impianto di itticoltura presente nell’area e da una stazione di controllo (tali analisi

vengono effettuate dall’ dell’Istituto Superiore di Sanità e dell’Università di Siena -Dipartimento di Scienze Ambientali “G. Sarfatti”); • saggi ecotossicologici sui campioni d’acqua, prelevati dentro e fuori il golfo; • analisi qualitativa mediante ispezione Remotely Operative Vehicle (R.O.V.) in corrispondenza delle biocenosi sensibili presenti sui fondali delle aree prossime alla rada. La ASL5 Spezzina è stata infine incaricata del controllo dell’assenza di contaminazione microbiologica effettuato sui mitili e sui pesci prelevati dagli impianti di acquacoltura. La rete di monitoraggio consiste in un sistema integrato di stazioni (fisse e mobili) e transetti che coprono l’intero specchio acqueo del Golfo della Spezia e le aree sensibili del canale di Portovenere e delle Isole del Tino e del Tinetto (Fig. 1). Il piano di monitoraggio è stato progettato affinché fosse flessibile e quindi modificabile in corso d’opera, per adattarsi al meglio alle condizioni del dragaggio, ai risultati ottenuti

dalle analisi effettuate ed a tutte quelle condizioni al contorno (ad esempio condizioni meteo marine avverse, rottura di panne, perdite di materiale, etc.) che necessitano un’intensificazione o una diluizione delle attività di controllo. A supporto dell’attività di monitoraggio, è stato infine creato un database per la gestione dei dati acquisiti durante le campagne di ricerca. Il database è stato progettato con l’intento di fornire a tutti i soggetti coinvolti uno strumento per una facile archiviazione e visualizzazione dei dati.

Discussione e conclusioni Il monitoraggio è iniziato nel giugno 2003 con frequenza variabile in relazione alle attività di escavo presenti nel golfo (da settimanale a stagionale) e continua a tutt’oggi. Nel corso di otto anni di attività sono state condotte numerose campagne di monitoraggio ed è stata raccolta una notevole mole di dati che ha permesso un costante controllo sulle attività di bonifica/dragaggio dei fondali. L’integrazione dei risultati inerenti il comparto abiotico con quelli del comparto biotico hanno permesso di conoscere in dettaglio le caratteristiche dell’area in esame, correlando le oscillazioni dei parametri indagati con le fluttuazioni stagionali e le attività del sito. Hanno inoltre permesso di evidenziare un ridotto impatto ambientale delle operazioni di bonifica e l’efficacia dei sistemi di contenimento messi in atto durante tutte le operazioni di escavo e trasporto dei sedimenti dragati. Pertanto l’adozione di un idoneo piano di monitoraggio si conferma come valido strumento per il controllo delle attività di bonifica/dragaggio, in particolare nei siti fortemente antropizzati, come il sito di Pitelli, dove le criticità dell’area impongono una forte attenzione nei confronti dei diversi comparti ambientali.

Bibliografia [1] APAT-ICRAM, 2006. Manuale per la movimentazione dei sedimenti marini. [2] G. Borelli, M. Cambiaghi, P. Marri, R. Meloni, M. Miserocchi, M. Tomasino, 1992. Studio dell'idrodinamica del Golfo di La Spezia. Indagine sperimentale e applicazione di un modello numerico. In: "Calibrazione e validazione dei

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Anno 4 - Numero 17


modelli numerici con i risultati sperimentali in oceanografia fisica"; supplemento degli "Annali", Facoltà di Scienze Nautiche, Vol. LIX, 41-59. [3] R.M. Bertolotto, B. Tortarolo, M. Frignani, L.G. Bellucci, S. Albanese, C. Cuneo, D. AlvaradoAguilar, M.R. Picca, E. Gollo, 2005. Heavy metals in superficial coastal sediments of the Ligurian Sea. Marine Pollution Bulletin, 50: 348-356

[4] C. Bolognesi, R. Rabboni, P.Roggieri, 1996. Genotoxicity Biomarkers in M. Galloprovincialis as Indicator of Marine Pollutants. Comp. Biochem. Physiol. Vol. 113C, No. 2: 319-323. [5] ICRAM, 2005. Progetto preliminare di bonifica dell’area marina inclusa nella perimetrazione del sito di bonifica di interesse nazionale di Pitelli. BoI-Pr-LI-P-02.16.

STADLER

[6] A. El Nemr, A. El-Sikaily, A. Khaled, T. O. Said, A. M. A. Abd-Alla, 2004. Determination of hydrocarbons in mussel from the Egyptian red sea coast, Environmental Monitoring and Assessment 96: 251–261.

*ARPAL **ISPRA ***Autorità Portuale della Spezia

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p rog e tti e t e cn o lo gie

Riduzione dei nitrati mediante somministrazione di Etanolo denaturato I risultati di una sperimentazione condotta su scala reale per risolvere alcune delle difficoltà di funzionamento tipiche degli impianti di depurazione reflui di piccola taglia di A. Capriati, G. Schiano e L. Di Cosimo*

L

a gestione degli impianti di depurazione di reflui assimilabili a domestici e di piccola taglia, con potenzialità pari a circa 500-600 abitanti equivalenti (“AE”), presenti presso aree di servizio autostradali, può incontrare alcune difficoltà di funzionamento a causa della forte variazione della portata e del basso carico organico in ingresso. Come noto, sono gli impianti a fanghi attivi a risentire maggiormente di tali problematiche rispetto, ad esempio, agli impianti a biomassa adesa, e pertanto nel primo caso è necessario prevedere delle strategie d’intervento che, ove possibile, permettano di mantenere la configurazione esistente dell’impianto, limitando i costi di gestione e manutenzione, garantendo però il rispetto dei limiti imposti dalla normativa e dei relativi obiettivi di qualità definiti dai Piani di Tutela delle Acque Regionali (“PTAR”). Se i picchi di portata possono essere ridotti, mediante un bacino di accumulo a monte dell’impianto, che abbia la funzione di equalizzare la portata e il carico organico in ingresso, il problema del basso valore di quest’ultimo, generato, nel caso in oggetto, dalla presenza di una fossa Imhoff a monte dell’impianto, può essere risolto somministrando substrato carbonioso esterno.

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Anno 4 - Numero 17

Nel presente articolo verranno prima descritte le configurazioni iniziale e finale dell’impianto, con indicazione degli interventi adottati per tentare di mitigare le problematiche di funzionamento di un impianto di depurazione di reflui assimilabili a domestici del tipo a fanghi attivi, presente presso un’area di servizio autostradale, con particolare riferimento all’abbattimento dei nitrati e infine si presenteranno i risultati ottenuti a valle della sperimentazione effettuata somministrando substrato carbonioso esterno (Etanolo denaturato). La necessità di rispettare il limite allo scarico dei nitrati deriva da quanto riportato nel titolo autorizzativo allo scarico rilasciato dalle Pubbliche Autorità locali che hanno imposto il rispetto dei limiti della Tabella 3 dell’Allegato 5 alla Parte III del D.Lgs. 152/06 e s.m.i., limitatamente ai parametri derivanti dal metabolismo umano. La portata media nera in ingresso all’impianto in entrambe le configurazioni è stata stimata in 80 m3/d.

Descrizione dell’impianto nell a sua configurazione iniziale

L’impianto di depurazione a fanghi attivi era inizialmente costituito dalle seguenti unità:

• stazione di sollevamento iniziale; • bacino di equalizzazione; • unità di ossidazione/nitrificazione; • unità di sedimentazione secondaria; • stazione di sollevamento finale. Nella Figura 1 viene riportato lo schema di flusso dell’impianto di depurazione nella configurazione iniziale appena descritta.

Descrizione dell’impianto nell a sua configurazione finale

Per tentare la riduzione dei nitrati nell’effluente entro i limiti imposti dal titolo autorizzativo allo scarico (20 mg/l), partendo da un valore medio di circa 60-70 mg/l a valle del processo di nitrificazione, sono state effettuate delle piccole modifiche alla circolazione del refluo nelle varie unità dell’impianto di depurazione. In particolare il bacino di equalizzazione è stato adibito a unità di denitrificazione, attivando la linea, già esistente, di ricircolo della miscela areata dall’ossidazione e inviando nel bacino stesso anche la portata di ricircolo fanghi. Inoltre, al fine di mantenere la biomassa denitrificante in sospensione e favorire la reazione di denitrificazione, è stato installato un mixer di opportuna potenza di mescolamento (1 kW).


Figura 1. Schema di flusso dell’impianto nella configurazione iniziale

L’unico reale ampliamento rispetto alla configurazione iniziale, a valle dei calcoli di dimensionamento effettuati, è stata l’installazione di un serbatoio al fine di fornire un volume integrativo all’unità di denitrificazione. Pertanto allo stato attuale l’impianto risulta così strutturato: • stazione di sollevamento iniziale; • unità di denitrificazione; • unità di ossidazione/nitrificazione; • unità di sedimentazione secondaria; • stazione di sollevamento finale. Nella Figura 2 sopra riportata viene illustrato lo schema di flusso dell’impianto di depurazione nella configurazione finale appena descritta.

Figura 2. Schema di flusso dell’impianto nella configurazione finale

Definizione dell a quantità di Etanolo denaturato da somministrare

Come accennato, a monte dell’impianto di depurazione, è tuttora presente una fossa Imhoff che assolve alla funzione di trattamento primario attraverso una camera di sedimentazione e una di digestione anaerobica. Se da un lato però tale dispositivo è in grado di far sedimentare circa il 55-65% dei solidi sospesi totali (“SST”), dall’altro riduce anche il valore della domanda biochimica di ossigeno (“BOD5”) di circa il 25-35% [1]. Pertanto il liquame, ancora oggi, ha le caratteristiche medie in ingresso all’impianto di depurazione riportate in Tab. 1.

La riduzione di BOD5 in ingresso provoca una deficienza della quantità di substrato carbonioso biodegradabile (“bCOD”), necessario all’abbattimento dei nitrati nell’unità di denitrificazione (60-70 mg/l), in quantità tale da garantire il rispetto del relativo limite allo scarico (20 mg/l). Per tale motivo è stato necessario prevedere un’aggiunta di bCOD da fonte esterna, al fine di raggiungere una concentrazione tale da permettere la riduzione dei nitrati. La scelta è ricaduta sull’Etanolo denaturato perché ha permesso di ottenere la maggior quantità di bCOD al prezzo di mercato più basso. Per stimare la quantità di Etanolo denaturato da somministrare si è fatto riferimento a dati riportati in studi precedenti [2].

Parametro

u.m.

Valore medio

Parametro

u.m.

Valore medio

pH

-

7,95

pH

-

7,57

SST

mg/l

82,60

SST

mg/l

10,43

COD

mg/l

220,60

COD

mg/l

29,00

bCOD

mg/l

111,04

bCOD

mg/l

8,53

BOD5

mg/l

69,40

BOD5

mg/l

5,33

Azoto ammoniacale

mg/l

103,34

Azoto ammoniacale

mg/l

2,36

Azoto nitrico

mg/l

0,11

Azoto nitrico

mg/l

7,50

Azoto nitroso

mg/l

< LR

Azoto nitroso

mg/l

0,10

Fosforo totale

mg/l

10,37

Fosforo totale

mg/l

5,77

Tensioattivi totali

mg/l

1,62

Tensioattivi totali

mg/l

0,10

Tabella 1. Parametri caratteristici del liquame in ingresso all’impianto

Tabella 2. Valori medi dei parametri dell’effluente in uscita dal sedimentatore secondario

77


p rog e tti e t e cn o lo gie

Nelle reazioni di ossidoriduzione sia l’ossigeno libero che l’azoto contenuto nei nitrati posseggono un potere ossidante. Pertanto, facendo riferimento a una singola mole di elettroni, si ottiene la seguente equivalenza tra i due elementi, ricavata dalle relative semireazioni: 0,252 + H+ + e- → 0,5H2O [1] 0,20N - NO-3 + 1,2H+ + e- → 0,6H2O [2] 0,25 mol O2 = 0,20 mol N - NO3- [3] che espressa in peso diventa: 0,86 gr O2 = 1gr N - NO3- [4] Sempre da riferimenti di letteratura [2], è noto che il bCOD rimosso dalla flora batterica è in parte utilizzato dalla biomassa per la sintesi cellulare e in parte ossidato, così come riportato nella relazione seguente: bCODr = bCODsyn + bCODo [5] Volendo esprimere la (5) in termini di rapporto tra quantità di bCOD da somministrare e nitrati da rimuovere, ricordando la (4), con alcuni passaggi si ottiene: bCODr 2,86 [6] = N - NO3- 1 - 1,42Y con Y che rappresenta il rendimento di crescita netto della biomassa denitrificante che, nel caso oggetto di studio, può essere assunto pari a circa 0,07 gVSS/gbCOD. Di conseguenza in queste condizioni la quantità stechiometrica necessaria risulterebbe pari a 3,17 grammi di bCOD per grammo di nitrati da rimuovere. Coerentemente, riferimenti di letteratura [3] indicano un intervallo compreso tra 4 e 15 grammi di bCOD per grammo di nitrati da rimuovere. Nel caso in questione è stata scelta la quantità di 5 grammi di bCOD. Poiché, dai calcoli effettuati, la quantità stimata di nitrati da rimuovere nell’impianto è risultata pari a 4,5 kg/d, la quantità di bCOD necessaria nell’influente avrebbe dovuto essere pari a 22,5 kg/d. Osservando la Tabella 1, si può notare che il rapporto COD/BOD5 è pari a circa 3,2, il che indica che non tutto il COD in ingresso all’impianto può essere considerato facilmente biodegradabile. Di conseguenza, sempre con riferimento alla Tabella 1, è stata utilizzata la concentrazione del bCOD, corrispondente a un valore in peso di circa 8,9 kg/d, che precauzionalmente è stato fissato, per

78

Anno 4 - Numero 17

la stima della quantità di Etanolo denaturato, pari a 8 kg/d. Il deficit di bCOD da integrare con Etanolo denaturato è risultato pertanto pari a 14,5 kg/d, che equivale a circa 9 litri/d. Per operare a favore di sicurezza, attualmente vengono somministrati all’impianto 12 litri/d di Etanolo denaturato, considerando anche il fatto che il prodotto disponibile sul mercato ha un grado di purezza del 90% o 94%. Nella Tabella 2 vengono riportati i risultati ottenuti a valle della sperimentazione. Confrontando dunque la concentrazione dei nitrati riportata in Tabella 2 con il valore a valle del processo di nitrificazione, si ottiene un’efficienza del processo di rimozione leggermente inferiore al 90%.

Conclusioni Il presente studio ha voluto mettere in risalto le difficoltà funzionali che spesso si incontrano su impianti di depurazione di reflui assimilabili a domestici, di piccola taglia, del tipo a fanghi attivi, presenti presso aree di servizio autostradali. In particolare è emerso il problema della riduzione della concentrazione di substrato carbonioso biodegradabile utile al processo biologico dell’impianto a causa della frequente presenza di fosse Imhoff a monte di impianti della suddetta tipologia. Pertanto sono stati preliminarmente eseguiti dei piccoli interventi di adattamento sull’impianto, al fine di ottenere un’unità dedicata di denitrificazione e, successivamente, da Aprile 2011, al fine di ottemperare alle prescrizioni imposte dal titolo autorizzativo allo scarico, e in particolare per la riduzione entro i limiti di legge della concentrazione dei nitrati, è stata avviata una sperimentazione con Etanolo denaturato presso l’impianto in oggetto. Tale sperimentazione si è resa necessaria in quanto la quantità di substrato carbonioso biodegradabile presente nell’influente non era, per i motivi sopra esposti, sufficiente a garantire l’abbattimento dei nitrati entro valori ritenuti accettabili dalla normativa attualmente vigente. Facendo pertanto riferimento a dati disponibili in letteratura, è stata calcolata la quantità di Etanolo denaturato ritenuta utile a integrare la

quantità di substrato carbonioso biodegradabile presente nell’influente. Dalle analisi svolte sino a oggi e dai relativi valori medi riportati in Tabella 2 si evince una concentrazione dei nitrati al di sotto dei limiti previsti per legge, confermando che l’impiego di Etanolo denaturato rappresenta una soluzione efficace sia per la riduzione dei nitrati sia per il contenuto onere economico rispetto ad altre sostanze con comportamenti similari, come il Metanolo o l’Acido Acetico. Nello specifico l’efficienza di rimozione dei nitrati, raggiunta tramite la sperimentazione effettuata in questo studio, si è attestata di poco al di sotto del 90%.

Bibliografia [1] Barrella, Grillo, L’evapotraspirazione, Ed. Geva, 1aEd. [2] Metcalf & Eddy, Wastewater Engineering, Ed McGraw-Hill, 4aEd. [3] Peng, Ma, Wang, 2006, Denitrification potential enhancement by addition of external carbon sources in a pre-denitrification process, Journal of Environmental Sciences 19 (2007), 284-289. *Golder Associates s.r.l.



P ROG E T T I E T E C N OLO GIE

Il trattamento dei televisori a tubo catodico a fine vita Analisi di un processo virtuoso di riciclo e recupero di materiali di Giovanni Modica*

I

rifiuti costituiti da Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche (RAEE) indicati in inglese con l’acronimo WEEE (Waste of Electric and Electronic Equipment) consistono di apparecchiature elettriche e/o elettroniche a fine vita. La normativa europea in materia di Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche regolamenta la gestione e il corretto trattamento dei rifiuti che ne derivano, i RAEE, attraverso le Direttive, recepite congiuntamente in Italia. Il 13 agosto 2005 è entrato in vigore il Decreto Legislativo 151 del 2005, la norma quadro nazionale sui RAEE che costituisce attuazione di tre direttive: la 2002/95/CE sui RAEE, la 2003/108/CE di modifica della precedente e infine la direttiva 2002/96/CE sulla

restrizione dell’uso di determinate sostanze pericolose nelle AEE (“Direttiva RoHS”). Il provvedimento definisce il sistema di raccolta e riciclaggio facendo ricadere sui produttori la responsabilità della gestione dei rifiuti generati dalle AEE provenienti dai nuclei domestici, mentre lascia di competenza dei Comuni la fase di gestione della raccolta. Il D.Lgs. 151/2005, composto da 20 articoli e 5 allegati è finalizzato a: 1. prevenire la produzione di rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche; 2. promuovere il reimpiego, il riciclaggio e le altre forme di recupero dei RAEE, in modo da ridurne la quantità da avviare allo smaltimento;

Figura 1. Schema delle parti presenti in un televisore a tubo catodico

80

Anno 4 - Numero 17

3. migliorare, sotto il profilo ambientale, l'intervento dei soggetti che partecipano al ciclo di vita di dette apparecchiature, quali, ad esempio, i produttori, i distributori, i consumatori e, in particolare, gli operatori direttamente coinvolti nel trattamento del RAEE; 4. ridurre l'uso di sostanze pericolose nelle apparecchiature elettriche ed elettroniche. I principali problemi derivanti da questo tipo di rifiuti sono la presenza di sostanze considerate tossiche per l'ambiente e la non biodegradabilità di tali apparecchi. La crescente diffusione di apparecchi elettronici determina un sempre maggiore rischio di abbandono nell'ambiente o in discariche e termovaloriz-

Figura 2. Materiali presenti in un televisore a tubo catodico in base alla loro pericolosità


zatori con conseguenze di inquinamento del suolo, dell'aria, dell'acqua con ripercussioni sulla salute umana. Questi prodotti vanno trattati correttamente e destinati al recupero differenziato dei materiali di cui sono composti, come il rame, l’acciaio, l’alluminio, il vetro, l’argento, l’oro, il piombo e il mercurio, evitando così uno spreco di risorse che possono essere riutilizzate per costruire nuove apparecchiature incrementando inoltre la sostenibilità ambientale di tali prodotti. Gli ultimi dati confermano che in Italia la raccolta e trattamento dei RAEE ha raggiunto la quota significativa di 245.000 ton/anno nei cinque codici da R1 a R5 di cui circa 81.000 con il codice R3, rappresentato in gran parte dai televisori a tubo catodico (cathode ray tube - CRT) a fine vita.

potenzialità economiche del recupero di materiali da televisori a tubo catodico a fine vita

Il processo di trattamento di un televisore a tubo catodico a fine vita per il recupero di materiali prevede le seguenti operazioni eseguite, prevalentemente, in modo manuale. In un televisore, dopo lo smantellamento, rimane il tubo catodico che è costituito da una parte frontale piatta raccordata ad una parte conica che ristringe fino a diventare un cilindro al cui interno è collocato il generatore ed all’esterno il giogo realizzato con bobine di rame (Figura 1). Le tipologie di vetro presenti in un CRT sono nettamente diverse in quanto svolgono funzioni differenti (Tabella 1). Il vetro cono contiene un’elevata quantità di piombo, legato come silicato, avente la funzione di schermo dei raggi catodici che percorrono il cammino dalla sorgente fino alla parte posteriore dello schermo. Il vetro schermo contiene, invece, una notevole quantità di bario e stronzio che sostituiscono il piombo nella schermatura ma, avendo un potere schermante inferiore, obbligano ad aumentare in modo considerevole lo spessore della parte anteriore del CRT. Nel vetro schermo non si può utilizzare piombo per la schermatura in quanto il vetro assumerebbe un colore giallo alterando i colori. Il valore economico legato al trattamento e riciclo dei televisori a tubo catodico è, allo stato odierno, legato alla vendita sul mercato delle

Vetro

Vetro

Vetro

Vetro

schermo PC

cono PC

schermo TV

cono TV

SiO2

63,28

54,85

59,17

58,58

Al2O3

1,99

3,50

3,13

3,33

Na2O

7,67

7,10

8,86

6,87

K2O

5,70

5,79

5,42

4,95

CaO

0,87

3,26

1,39

2,98

MgO

0,28

1,88

1,23

2,16

BaO

11,17

2,47

8,89

5,58

SrO

8,28

2,13

9,39

1,86

Fe2O3

0,08

0,11

0,11

0,12

CoO

0,01

0,00

0,02

0,00

TiO2

0,49

0,11

0,21

0,26

ZrO2

0,00

0,21

1,81

0,26

ZnO

0,14

0,25

0,21

0,18

PbO

0,01

18,29

0,02

12,87

NiO

0,03

0,03

0,04

0,01

P2O5

0,00

0,00

0,00

0,00

Totale

100

100

100

100

Ossido

Tabella 1. Composizione media dei vetri presenti nei CRT

Televisore

a tubo

c at o d i c o

Smantell amento

CRT 4 8 %

S e pa r a z i o n e vetro schermo da l v e t ro c o n o

M at er i a l i re cup e rati (% • • • • • • •

in peso)

20 Plastiche 4 Legno 4 Schede elettroniche 1, 6 B o b i n e 14 A c c i a i o 1, 2 C av i e l e t t r i c i 4 8 c at h o d e r ay t u b e (CRT)

Vetro schermo 65% S e pa r a z i o n e f o sf o r i

Vetro cono 35% B u r at tat u r a p e r l ’ e l i m i n a z i o n e d e i c oat i n g → V e t r o c o n o → p i c c o l a pa r t e a l r i c i c l o

Vetro

schermo:

al riciclo

F o sf o r i :

at t ua l m e n t e i n d i s c a r i c a

in discarica

discarica

81


P ROG E T T I E T E C N OLO GIE

materie prime – seconde recuperate, escluso il vetro al piombo destinato alla discarica. In questo materiale è presente una significativa quantità di piombo il cui attuale valore di mercato, espresso come metallo, è di 1.700 €/ton. Il valore del piombo presente nel vetro al piombo si deduce dal seguente calcolo: 81.000 ton di televisori trattati annualmente x 0,48 percentuale di materiali vetrosi x 0,35 percentuale di vetro a piombo x 0,15 percentuale di ossido di piombo presente nel vetro x 0,928 fattore di conversione da ossido a piombo metallico x 1.700 €/ton = 3.379.219 €/anno (2011). Questa stima è stata calcolata per difetto in quanto si riscontrano partite di vetro al piombo con un tenore di metallo superiore. Allo stato attuale nel mondo non esistono processi totalmente idrometallurgici che permettano di trattare il vetro al piombo per recuperare questo metallo. Esiste un solo trattamento, però totalmente pirometallurgico condotto in fornaci con riscaldamento elettrico, sviluppa-

to dalla Nulife Glass Ltd di Stourbridge che permette il recupero di piombo dal vetro. I costi di questa tipologia di trattamento sono alquanto elevati e compensati in parte dal risparmio delle spese di messa in discarica.

Il processo, in fase acquosa , per il recupero del piombo dal vetro

Il solfuro di piombo è un sale di grande interesse per l’industria del piombo in quanto da millenni rappresenta la materia prima per la produzione di piombo. Questo sale esiste in natura e si ritrova nelle miniere allo stato puro, ma spesso associato con altri solfuri, ed è conosciuto con il nome di galena. Il nuovo processo sviluppato da Costech prevede i seguenti stadi: • macinazione del vetro al piombo; • trattamento del vetro macinato con una soluzione acquosa di soda; • separazione della frazione di vetro non reagita e suo riciclo al trattamento con soda;

• trattamento della frazione solubile con solfuri e separazione selettiva del solfuro di piombo insolubile; • recupero della soluzione di silicati, che viene in parte riciclata come reattivo di attacco al primo stadio, ed in parte purificata e avviata alla vendita. I vantaggi offerti da tale processo si possono così riassumere: • assenza di emissioni gassose e di polveri; • nessuna coproduzione di reflui liquidi o di solidi tossico-nocivi; • temperatura operativa bassa (max 200°C); • impiego di reagenti facilmente reperibili; • recupero totale del piombo presente; • coproduzione di silicati solubili facilmente collocabili presso i produttori di ceramiche, cemento, vetro, vernici per l’edilizia e carta; • operazioni controllabili a distanza mediante PLC. *Costech International S.p.a.

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Anno 4 - Numero 17

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SEDI.PORT.SIL. la gestione sostenibile dei sedimenti dragati dai porti I primi risultati del progetto finanziato dalla comunità europea che intende dimostrare l’efficienza di tecnologie di trattamento accoppiate per il recupero e la valorizzazione dei sedimenti di Danilo Bettoli*

I

l progetto "SEDI.PORT.SIL." Progetto di recupero di SEDImenti derivanti dal dragaggio PORTuale e produzione di SILicio, è finanziato dalla Comunità Europea nell'ambito del programma "LIFE+ Environment Policy and Governance 2009" e co-finanziato dalla Autorità Portuale di Ravenna. Beneficiario del Progetto è Med Ingegneria Srl, partners del progetto sono Diemme Spa, le Università di Bologna e Ferrara, Ispra, il Parco del Delta del Po, GeoEcoMar (Romania). Il progetto Sedi.Port.Sil. è stato concepito per dimostrare la gestione sostenibile dei sedimenti dragati dai porti mediante un approccio integrato. Si intende dimostrare l’efficienza di consolidate tecnologie di trattamento accoppiate con innovative tecniche mirate al recupero e alla valorizzazione dei sedimenti, che possono quindi essere considerati un’importante risorsa piuttosto che un rifiuto pericoloso: il progetto mira quindi a sviluppare una soluzione ambientalmente ed economicamente sostenibile di gestione dei sedimenti portuali. La società Diemme Spa fondata nel 1923 tramite la società Diemme Soil washing s.r.l. progetta e realizza impianti con tecnologia di processo Soil Washing per il trattamento di terreni e sedimenti marino – fluviali contaminati. Il principale ruolo all’interno del progetto

Sedi.Port.Sil. si è sviluppato nell’ambito della progettazione, realizzazione e gestione dell’impianto pilota industriale di “Sediment Washing Treatment” per effettuare la sperimentazione finalizzata alla classificazione e decontaminazione delle frazioni costituenti i 45 m3 di sedimenti prelevati dal porto di Ravenna. I sedimenti sono stati campionati in aree predeterminate, sulla base delle analisi eseguite precedentemente per ottenere tre diversi livelli di contaminazione (sedimenti non contaminati, mediamente contaminati e fortemente contaminati). I tre lotti di sedimenti, classificati per l’esecuzione delle prove in verdi, gialli e rossi a seconda del livello

Impianto pilota “Sediment Washing Treatment”

di contaminazione, sono stati caratterizzati con analisi dettagliate di ciascun campione sia a monte che durante il processo di trattamento, con analisi fisico-chimiche, microbiologiche, ecotossicologiche e mineralogiche. Dal punto di vista tecnico, il progetto propone un ciclo integrato da applicare ai sedimenti ed acque associate alle attività di dragaggio, al fine di ridurre gli impatti ambientali e massimizzare il materiale riciclabile. I sedimenti dopo il trattamento sono recuperati come materie prime, inoltre il progetto indaga l’uso di sedimenti come materia prima per l’estrazione di silicio di grado metallurgico. Presso il laboratorio R&S della società inizialmente sono stati testati piccoli quantitativi dei tre lotti di sedimenti con una linea pilota da laboratorio al fine di ricavare alcuni significativi parametri di processo che, elaborati e sommati all’esperienze realizzate su analoghi prodotti, hanno portato alla progettazione e costruzione dell’impianto pilota industriale di “Sediment Washing Treatment” atto a trattare gli elevati volumi richiesti. Il trattamento dei sedimenti è stato gestito nelle seguenti fasi sperimentali: • classificazione dei sedimenti mediante vagliatura ad umido; • separazione delle frazioni con recupero della sabbia;

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P rog e tti e t e cn o lo gie

• separazione della frazione pelitica ed ispessimento dei relativi fanghi; • caratterizzazione dei fanghi ispessiti e disidratazione meccanica tramite filtrazione con filtropressa a piastre. La situazione italiana nei confronti del trattamento dei sedimenti portuali è decisamente arretrata rispetto alle realtà del nord Europa, sarebbe necessario adottare soluzioni sostenibili indirizzate verso un migliore equilibrio fra valori ambientali e socio-economici che considerino i sedimenti anche come risorsa e non solo come rifiuto. Esiste anche la necessità di un’armonizzazione normativa che dovrebbe aiutare nella programmazione e gestione dei sedimenti a scala regionale e nell’ambito dei piani di distretto idrografico. Attualmente nel progetto Sedi.Port.Sil è in corso la fase dimostrativa di trattamento dei sedimenti e contestualmente sono in esecuzione le analisi chimiche sulle varie frazioni ottenute nelle differenti fasi di lavorazione,

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Anno 4 - Numero 17

al fine di monitorare l’efficienza dell’intero processo di “Sediment Washing Treatment”; mentre presso l’università di Bologna i sedimenti subiscono un trattamento al plasma per l’estrazione di silicio di grado metallurgico. I prossimi passi prevedono lo studio per l’applicabilità del processo a scala regionale nonchè la valutazione della replicabilità in un differente contesto Europeo (porto di Midia, Romania). L’obiettivo finale è lo sviluppo di

Panello filtro pressato di pelite

linee guida per il trattamento dei sedimenti, il riuso come materie prime e la valutazione della sostenibilità per la realizzazione dell’impianto di trattamento nel Porto di Ravenna. Il progetto è iniziato a settembre 2010 e ha una durata di 24 mesi. Fino ad oggi i risultati ottenuti hanno superato le aspettative, inoltre queste tecnologie possono essere velocemente implementate su scala industriale e trasferite nelle diverse realtà portuali italiane. L’intrinseca flessibilità del processo “Sediment Washing Treatment” lo rende adatto sia al trattamento di contaminanti organici come idrocarburi sia al trattamento dei metalli pesanti. La capacità progettuale e produttiva della società Diemme Soil Washing permette di realizzare soluzioni chiavi in mano, economicamente gestibili anche per grandi volumi di sedimenti contaminati. *Diemme Soil Washing s.r.l.


IL NUOVO COLLETTORE FOGNARIO DELLA SPONDA VERONESE DEL LAGO DI GARDA INGEGNERIA AMBIENTALE E IDRAULICA INTEGRATA PER RISOLVERE LE CRITICITà DELL’ATTUALE SISTEMA DI COLLETTAMENTO DEI REFLUI E SALVAGUARDARE UNO DEI Più IMPORTANTI LAGHI D’ITALIA di S. Venturini*, M. Sandri*, A. Ardieli** e P. Varotto**

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l lago di Garda è il più importante lago italiano sia come dimensione (con una superficie di circa 370 km² e un bacino imbrifero di circa 2.290 km²), sia per la sua funzionalità irrigua, turistica ed ambientale. La sua fragilità ambientale ha nel tempo determinato, a vari livelli istituzionali, la maturazione di una nuova coscienza tesa alla tutela del lago che si sostanzia (e si sostanzierà nel futuro) in un complesso programma di interventi tesi a proteggere il lago da numerosi elementi di criticità che rischiano di minarne lo stato di qualità ambientale che oggi è ancora molto elevato. Tra questi interventi, si colloca, con un ruolo primario, la costruzione del nuovo sistema di collettamento dei reflui fognari della sponda veronese del lago di Garda, sviluppato dall’Azienda Gardesana Servizi (AGS). L’Azienda, di capitale interamente pubblico, è concessionaria del servizio idrico integrato in forza di specifica convenzione con l’Autorità d’Ambito Veronese (AATO Veronese). Il progetto, a livello Preliminare, è stato sviluppato dalla società di ingegneria Technital S.p.A. e riguarda la sponda di lago che va da Malcesine a Torri del Benaco, in località Brancolino (Alto Lago Veronese), ove confluiscono anche i reflui della sponda bresciana mediante una condotta sub-lacuale.

Il complesso di interventi che vedranno a breve l’Azienda Gardesana Servizi porre mano anche al tratto meridionale del collettore veronese (quello che va da Garda a Peschiera) porterà nei prossimi anni ad un nuovo scenario nel quale il lago di Garda potrà avvalersi, lungo tutta la sua gronda, di un articolato sistema di raccolta dei reflui che eviterà gli scarichi incontrollati con gli inevitabili attuali effetti negativi sull’ecosistema lacustre. Il progetto, sviluppato a livello di Preliminare, affronta numerose criticità dell’attuale collettore, la cui costruzione risale agli anni 70.

Le criticità dell’attuale collettore: l a raccolta mista delle acque nere e bianche

L’attuale collettore, progettato negli anni 70 e realizzato per stralci successivi tra gli anni 70 e 80 presenta sezioni idrauliche dimensionate sulle portate meteoriche previste in occasione di eventi intensi. Ciò deriva da una consolidata (ma ormai obsoleta) prassi di quegli anni di realizzare reti fognarie e collettori destinati alla raccolta sia di acque nere che bianche. L’attuale collettore dunque raccoglie sia acque nere che acque meteoriche provenien-

ti dalle sedi stradali e dai piazzali e spesso anche dai tetti degli edifici: le portate che ne derivano per eventi intensi sono rilevanti e spesso tali da attivare gli scaricatori di piena con sversamento a lago delle portate eccedenti la capacità di portata del collettore. Recenti sviluppi normativi hanno stabilito che sono ammissibili presso gli scaricatori di piena solo scarichi attivati in occasione di eventi di piena che facciano transitare nel collettore portate superiori a 5 volte la portata media nera di dimensionamento del collettore stesso. Appare piuttosto acclarato come il collettore esistente non soddisfi tale requisito e spesso veda attivarsi gli scaricatori di piena anche per portate inferiori. Ciò comporta talvolta lo sversamento a lago di volumi d’acqua con concentrazioni di solidi sospesi ed agenti contaminanti rilevanti e non compatibili con la qualità del corpo idrico ricettore. In secondo luogo, le rilevanti portate raccolte dal collettore vanno a cimentare anche il depuratore finale ubicato a Peschiera del Garda con aggravio significativo dei costi di sollevamento e gestione e spesso anche con l’attivazione del by-pass di monte e scarico nel fiume Mincio di portate sottoposte solo ad un trattamento di grigliatura.

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Le criticità dell’attuale collettore: le acque parassite

Il collettore attuale presenta notevoli problemi di infiltrazione di acque “parassite” ovvero di acque di lago e di falda che nulla hanno a che vedere con i reflui fognari e che invece si mescolano con essi transitando poi all’interno delle tubazioni. L’infiltrazione di tali acque nell’attuale tubazione ne aggrava sensibilmente il funzionamento. Tali infiltrazioni dipendono principalmente dalla collocazione del collettore attuale che si trova a quote inferiori a quelle di regolazione idraulica del lago di Garda sicché le tubazioni risultano spesso sottobattente. Il livello del lago di Garda è regolato da un manufatto artificiale (la “diga di Salionze” ubicata in località Ponti sul Mincio - MN) gestita dall’AIPO, l’Agenzia Interregionale per il fiume Po in quanto l’emissario del lago di Garda è il fiume Mincio, tributario di sinistra del fiume Po. Il manufatto regolatore di Salionze è costituito da una serie di paratoie piane che vengono gestite allo scopo di conservare nel lago un volume sufficiente per l’irrigazione della pianura mantovana nel periodo irriguo che va da Maggio a Settembre. Tale regolazione - che nel tempo ha destato molte controversie tra le comunità ripariali, interessate ad un livello del lago non particolarmente elevato (sotto quota +120 cm sull’idrometro di Peschiera) e i consorzi irrigui mantovani, interessati ad una regolazione su livelli più elevati in grado di garantire maggiori volumi di invaso disponibili per l’irrigazione – ha effetti anche sulla

Figura 1. Lo sviluppo del collettore dell’Alto Lago Veronese

gestione del collettore fognario dacché i livelli del lago oltre quota +100 cm sull’idrometro di Peschiera cimentano il collettore che spesso si trova, lungo il suo sviluppo, a quote di posa inferiori e tali dunque da esporre il collettore stesso ad infiltrazioni d’acqua di lago. La scarsa capacità di tenuta dei giunti delle tubazioni (in cemento con innesti a bicchiere) di cui è costituito per la maggior parte l’attuale collettore consente l’ingresso in tubazione

di notevoli portate di acque parassite, per lo più di lago. Ciò avviene sia in corrispondenza dei giunti del collettore principale sia nelle numerose immissioni laterali realizzate direttamente sulla tubazione principale, sia in corrispondenza dell’innesto tubazione - pozzetti di ispezione. La pluralità di occasioni di infiltrazione rende il collettore attuale vulnerabile all’ingresso di acque parassite e talora, quando il livello del lago scende sotto la quota di posa del collettore (normalmente a fine stagione irrigua), si rende possibile anche la fuoriuscita di liquami dalla tubazione verso il terreno circostante e verso il lago. Ciò provoca contaminazione dei terreni e delle acque del lago. Poiché il collettore in progetto è molto lungo, circa 33 km (tra Navene di Malcesine e Brancolino di Torri del Benaco) e le pendenze molto modeste, essendo tutti gli abitati, attraversati dal collettore e serviti dalla rete fognaria afferente, disposti pressoché alle medesime quote rispetto al livello del lago (intorno a quota 64,50 m s.m.m.), il flusso dei reflui all’interno delle condotte richiede numerosi impianti di sollevamento mediante pompe per il loro invio al recapito finale. Questi impianti sono stati costruiti in fregio al lago di Garda o nei pochi spazi liberi e scoperti presenti nei centri abitati. Anche il collettore è ubicato in fregio al lago, lungo il camminamento ripariale, che è stato costruito contestualmente ai lavori di posa della condotta. Gli impianti di sollevamento lungo la condotta assorbono molta energia elettrica, dovendo sollevare, oltre alle acque reflue, anche le acque di infiltrazione (e quelle di pioggia non sfiorate); il costo complessivo dell’energia spesa per sollevamenti è molto elevato e va a gravare sulla tariffa che i cittadini devono pagare al gestore (AGS).

Altre criticità dell’attuale collettore

Figura 2. L’edificio regolatore dei livelli del lago di Garda a Ponti sul Mincio

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Il collettore, nella posizione in cui si trova oggi, presenta altre criticità: l’attraversamento delle incisioni naturali che recapitano nel lago le acque delle pendici del monte Baldo (“vallette”), costituisce in alcuni casi un vistoso e critico restringimento che provoca un’evidente alterazione del deflusso delle acque naturali verso


il lago, con problemi di rigurgito e talvolta di sicurezza dei ponti della strada Gardesana. Talvolta, a causa dell’ingombro delle tubazioni lungo tali vallette, si può verificare la tracimazione delle acque di ruscellamento dei torrenti che, talora, non potendo disporre di una adeguata sezione idraulica, possono interessare il sottotrave dei ponticelli ed anche invadere la sede stradale con rischio per la viabilità. Il collettore fognario attuale ha palesato nel tempo anche altre criticità gradualmente crescenti dovute a: • aumento dell’urbanizzazione: le acque meteoriche sono state introdotte in quantità via via crescenti (a causa dell’aumento delle superfici coperte e il contestuale aumento dei coefficienti di deflusso) nell’attuale collettore misto che raccoglie acque nere ed acque bianche e ciò ne ha ridotto l’efficienza; • aumento della popolazione lungo le sponde del lago, sia residenziale che turistica, che inevitabilmente ha influito ad aumentare la portata del refluo civile scaricato nella rete fognaria, soprattutto d’estate. A ciò si aggiunge il progressivo (ed apprezzabile) mutamento del quadro normativo con nuovo rigore nelle norme in materia di protezione ambientale che portano a ritenere l’attuale collettore non più adeguato agli standard che un contesto come quello del bacino Benacense richiede. D’altro canto occorre sottolineare che il collettore esistente è una struttura idraulica che vanta quasi 40 anni di esercizio: tale arco temporale coincide sostanzialmente con la vita tecnica media di un’opera di questo tipo che, anche in virtù delle diverse modalità di dimensionamento ed i diversi magisteri di posa che oggi si possono considerare rispetto a quelli degli anni 70, richiede di essere ripensata. Negli ultimi anni, sono stati attuati numerosi interventi straordinari per limitare le criticità e che hanno consentito al collettore un regolare funzionamento e, grazie ad un’attività ben organizzata e telecontrollata, una pronta gestione delle emergenze con conseguenti significativi risultati ambientali, evidenziati anche dagli studi e dai rilievi dell'Arpav (l’Agenzia per la Protezione dell’Ambiente del Veneto) che hanno recentemente indicato un miglioramento della qualità delle acque del lago di Garda.

criteri generali di intervento del nuovo collettore di progetto

stesse separate (e ciò richiede investimenti rilevanti, oggi non possibili), il collettore continuerà ad avere un funzionamento misto (ancorché migliorato secondo quanto indicato di seguito).Per questa ragione, esso è stato dimensionato, considerando una portata massima pari alla portata media nera diluita (Qm) con fattore di diluizione 5 che è quello di normativa (Piano di Tutela delle Acque della Regione Veneto) (5Qm).

Il collettore esistente è misto: in esso confluiscono acque di scarico ed acque meteoriche. Ciò in ragione del fatto che le reti secondarie a servizio dei Comuni rivieraschi sono esse stesse miste e recapitano pertanto nel collettore principale portate miste. Solo alcune utenze (alcuni campeggi) hanno scarichi separati. Il collettore è dotato di sfioratori di piena a lago, alcuni con recapito prossimo alla riva, alcuni invece con recapito al largo, in profondità (Figura 3). Lo scarico avviene talvolta a gravità e talvolta mediante l’ausilio di pompe per rendere idraulicamente indipendente lo scarico Figura 3. Schema idraulico dello stato attuale del collettore dell’Alto Lago Veronese dai livelli del lago di Garda, spesso, come detto, più elevati della stessa livelletta della tubazione. Il criterio generale di progetto seguito prevede la completa separazione del sistema di raccolta dei reflui. La completa separazione potrà avvenire solo a lungo termine, Figura 4. Schema idraulico di progetto a lungo termine allorquando, anche le reti secondarie del sistema fognario dei vari abitati saranno separate (Figura 4). Tale separazione passa attraverso una fase intermedia di separazione delle reti secondarie che, come detto, recapitano reflui misti nel collettore. Fino a quando tali reti non saranno esse Figura 5. Schema idraulico di progetto a medio termine

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La garanzia di non introdurre nel collettore portate superiori al valore prefissato 5Qm è data dalla previsione di progetto di una serie di sfioratori collocati lungo le immissioni secondarie, nelle sezioni immediatamente a monte delle immissioni nel collettore principale. Ciò comporta quanto di seguito indicato:

dove avendo indicato con Qm-s,i la portata nera proveniente da ogni singolo ramo secondario, s e con Qm la portata media nera dell’intero bacino. Perciò, lungo il collettore principale non sono previsti sfioratori di piena (non potendo entrare nel collettore una portata eccedente la minima diluita Qm-s che la norma prescrive di non scaricare, se non con un adeguato trattamento) che invece sono previsti sui rami secondari sicché è scongiurato, comunque, lo sversamento a lago. Il complesso di nuovi sfioratori che sono previsti sui rami secondari presenta esso stesso caratteristiche innovative e conformi ai più recenti dettami normativi che prescrivono che, la portata sfiorata, eccedente il valore Qm-s,iv, sia comunque priva di solidi grossolani. Il cuore dell’impianto normativo che vige in Regione Veneto per quanto attiene gli sfioratori di piena è ben riassunto dall’art. 33 del Piano di Tutela delle Acque che sta alla base della progettazione del nuovo collettore del Lago di Garda: • “per gli sfioratori di piena di reti fognarie miste, il rapporto minimo consentito tra la portata di punta in tempo di pioggia e la portata media in tempo di secco nelle ventiquattrore (Qm) deve essere pari a cinque. Tale rapporto può ridursi a tre per l’ultimo sfioro in prossimità dell’impianto di depurazione; • gli sfioratori di piena devono essere dotati, prima dello sfioro, almeno di una sezione di abbattimento dei solidi grossolani e, ove possibile, anche di una sezione di abbattimento dei Solidi Sospesi Sedimentabili. A tal fine, i gestori di tali opere devono provvedere a redigere un programma di adeguamento degli sfiori esistenti che deve essere approvato dall’AATO e comunicato alla Provincia (…)”.

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Il progetto prevede che gli sfioratori siano dotati di griglie autopulenti azionate da turbine idrauliche (senza alimentazione elettrica). Lo schema idraulico di progetto a medio termine (con separazione del solo collettore principale ma non delle reti secondarie) è quello indicato in figura 5. Come desumibile dagli schemi di progetto, è previsto che l’attuale condotta del collettore venga destinata alla raccolta delle acque meteoriche che, prima di essere scaricate a lago, verranno comunque trattate in opportune vasche di pioggia, con trattamento in continuo (trattamento di tutta l’acqua di pioggia e non solo di quella cosiddetta “di prima pioggia”).

Criteri di posa e scelta del tracciato del nuovo collettore

Il nuovo collettore verrà inoltre posato non lungo il tragitto dell’attuale che, in molti tratti, è dentro il lago ma lungo la SR249 Gardesana, che è a quote più elevate. In questo modo, la tubazione si troverà per lunghi tratti, a quote ove non verrà mai sommersa dalle acque del lago, anche d’inverno quando il livello del lago è alto. Nei tratti più meridionali, causa le quote delle numerose incisioni vallive (denominate in loco “vallette”) interferite, il tubo potrà trovarsi a quote inferiori a quelle del lago, ancorché disposto non già sotto il lago bensì sotto la strada. Il nuovo collettore verrà posizionato in modo tale da non ridurre mai lo spazio libero sotto i ponti, utile per il deflusso delle acque di piena dei torrenti. Da questo punto di vista, l’intervento si configura anche come un intervento di miglioramento dell’assetto idrogeologico del bacino del lago di Garda, nel suo versante Veronese.

Il materiale delle nuove tubazioni Il nuovo collettore sarà costituito con materiali e giunti a perfetta tenuta idraulica per cui, anche nei casi in cui esso dovesse trovarsi a quote inferiori a quelle di regolazione del lago, esso non sarà soggetto ad infiltrazioni esterne. Il nuovo collettore sarà realizzato con tubazioni in ghisa sferoidale, in luogo delle attuali tubazioni in cemento: le condotte in ghisa hanno giunti dotati di tenuta idraulica ad elevate prestazioni che non permettono, dunque, l’in-

gresso di acque parassite (di lago o di falda) nella tubazione né l’accidentale fuoriuscita di acque reflue. Le tubazioni in ghisa sono prodotte commercialmente in barre lunghe 6 m, a differenza delle attuali tubazioni in cemento lunghe solo 2,5 m: ciò comporta in generale una minore quantità di punti di discontinuità ed una maggiore rapidità ed affidabilità di posa. E’ stato verificato che i terreni entro i quali saranno posate le nuove tubazioni consentono la loro durabilità poiché non saranno soggette a fenomeni di corrosione.

ingegneria idraulica di elevata qualità ambientale

Le minori portate che saranno convogliate al collettore, grazie alla separazione tra le acque reflue e le acque meteoriche, e la tenuta stagna delle tubazioni, eviteranno che le pompe presenti nelle stazioni di sollevamento possano trovarsi nella condizione critica di non riuscire a sollevare portate eccessive, provocando scarichi anomali nel lago. Il nuovo collettore, inoltre, verrà posato non più lungo il tragitto dell’attuale tubazione, che quasi interamente è ad una quota inferiore al livello medio del lago di Garda, ma lungo la strada Gardesana, a quote più elevate. In questo modo, la tubazione verrà a trovarsi sotto il livello di falda solo in pochi tratti durante il periodo invernale, quando il livello del lago è mediamente più elevato. Ciò sarà un’ulteriore garanzia del corretto funzionamento del collettore, che riceverà esclusivamente le acque reflue, con notevoli vantaggi sia sui costi energetici richiesti dai sollevamenti, sia sulla gestione finale del depuratore di Peschiera. La corretta gestione di quest’ultimo, in particolare, è un requisito fondamentale per la garanzia della salvaguardia ambientale del sistema fluviale del Mincio ed il suo parco ripariale-fluviale. Questo si può ritenere un intervento d’ingegneria idraulica e ambientale integrata; esso, infatti, risolve molte altre questioni oltre a quella della raccolta dei reflui civili dell’Alto Lago Veronese. *Technital S.p.A. **Azienda Gardesana Servizi


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LE DEMOLIZIONI NEL DECRETO LEGISLATIVO 81/08: UNA RIVOLUZIONE MANCATA nonostante i progressi tecnici e tecnologici del settore delle demolizioni il panorama normativo in materia di sicurezza rimane carente e obsoleto di Alberto Picco*

L

’introduzione del Decreto Legislativo del 9 aprile 2008 n.81 ha segnato un profondo cambiamento nell’ambito della sicurezza sul lavoro in Italia. Il D.Lgs. 81/08 è stato emanato con lo scopo di attuare quanto previsto dall’art. 1 della Legge del 3 agosto 2007 n. 123 (Misure in tema di tutela della salute e sicurezza sul lavoro e delega al Governo per il riassetto e la riforma della normativa in materia). Analizzando quanto indicato nei vari commi dell’art. 1 della Legge 123/2007 pare evidente l’obiettivo di voler effettuare un riordino, un aggiornamento ed un coordinamento delle disposizioni all’epoca vigenti. Sicuramente l’introduzione del D.Lgs. 81/08 ha permesso l’accorpamento delle numerose disposizioni normative in materia di sicurezza e salute nei luoghi di lavoro emanate nel corso degli anni. Si sono concentrate così, in un unico documento, le disposizioni normative di tutela oggettiva (come il D.P.R. 547/55 e il D.P.R. 164/56) con quelle di tutela soggettiva (come il D.Lgs. 626/94 e il D.Lgs. 494/96). Questa importante modifica permette una più semplice consultazione della normativa vigente, eliminando la frammentazione a cui eravamo abituati fino al 2008. Un’altra novità attesa con l’emanazione del D.Lgs. 81/08 era rappresentata dall’aggiornamento dei contenuti tecnici delle normative in relazione all’evolversi delle metodologie appli-

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cate nell’esecuzione delle attività lavorative. E’ importante ricordare che le prime “norme tecniche” relative alle costruzioni risalgono a circa sessant’anni fa. In quest’arco di tempo tutto il comparto edilizio ha sviluppato notevoli cambiamenti e migliorie, in particolare in alcuni settori, fra cui sicuramente quello delle demolizioni, dove la crescita tecnica e tecnologica è stata esponenziale. I primi interventi di demolizione avvenivano con metodi rudimentali e con un’altissima incidenza di manodopera. Tali operazioni erano spesso considerate delle semplici attività complementari ai lavori di costruzione. Nel corso degli anni però, anche in relazione alla necessità di creare nuovi spazi intervenendo non più su aree vergini ma occupate da edifici obsoleti ed abbandonati, è cresciuto il numero di interventi di demolizione e conseguentemente è sorta l’esigenza di sviluppare metodologie di demolizione specifiche. La creazione delle prime aziende specializzate in demolizioni ha permesso la nascita di figure professionali del settore e non più “prese in prestito” da altri ambiti. La determinazione nel voler perseguire gli obiettivi di sicurezza totale nello svolgimento delle attività ha generato un forte impulso alla specializzazione di tecnologie, macchine e figure professionali. Si è passati così da un approccio grossolano e poco controllabile ad

uno molto più tecnologico e strutturato. Se ora proviamo a fare un confronto tra quanto era previsto dalla precedente normativa rispetto al D.Lgs. 81/08 non risulta così evidente lo sviluppo delle metodologie di demolizione sopra citato. La precedente normativa di riferimento era il D.P.R. del 7 Gennaio 1956, n. 164 (Norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro nelle costruzioni). Il capo IX del D.P.R. riguardava le attività di demolizione ed era composto da 6 articoli (dall’art. 71 all’art. 76). Analizzando quanto scritto nei 6 articoli sembra che le disposizioni indicate siano principalmente indirizzate a piccoli interventi di demolizione eseguiti con attrezzature manuali. Il D.Lgs. 81/08 e s.m.i. tratta le attività di demolizione nel titolo IV (Cantieri temporanei o mobili), Capo II (Norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro nelle costruzioni e nei lavori in quota) alla Sezione VIII (Demolizioni). Tale sezione è composta da 7 articoli (dall’art. 150 all’art. 156). L’art. 156 prevede la possibilità di rendere obbligatoria la verifica di ponteggi ed attrezzature per costruzioni. I titoli dei primi 6 articoli sono invariati rispetto a quelli che erano presenti nel D.P.R. 164/56 ed anche i contenuti non si discostano di molto. Nelle seguenti pagine è proposto un confronto tra gli articoli del D.P.R. 164/56 con quelli del D.Lgs. 81/08.


D.P.R. 164/56

D.Lgs. 81/08 e s.m.i.

Art. 71 Rafforzamento delle strutture

Art. 150. Rafforzamento delle strutture

1. Prima dell'inizio di lavori di demolizione è fatto obbligo di pro- 1. Prima dell'inizio di lavori di demolizione è fatto obbligo di procedere alla verifica delle condizioni di conservazione e di stabilità cedere alla verifica delle condizioni di conservazione e di stabilità delle varie strutture da demolire. delle varie strutture da demolire. 2. In relazione al risultato di tale verifica devono essere eseguite 2. In relazione al risultato di tale verifica devono essere eseguite le opere di rafforzamento e di puntellamento necessarie ad evita- le opere di rafforzamento e di puntellamento necessarie ad evitare che, durante la demolizione, si verifichino crolli intempestivi. re che, durante la demolizione, si verifichino crolli intempestivi. Art. 72 Ordine delle demolizioni

Art. 151. Ordine delle demolizioni

1. I lavori di demolizione devono procedere con cautela e con ordine dall'alto verso il basso e devono essere condotti in maniera da non pregiudicare la stabilità delle strutture portanti o di collegamento e di quelle eventuali adiacenti, ricorrendo, ove occorra, al loro preventivo puntellamento.

1. I lavori di demolizione devono procedere con cautela e con ordine, devono essere eseguiti sotto la sorveglianza di un preposto e condotti in maniera da non pregiudicare la stabilità delle strutture portanti o di collegamento e di quelle eventuali adiacenti.

commenti

I due articoli sono identici.

2. La successione dei lavori, quando si tratti di importanti ed estese demolizioni, deve risultare da apposito programma il quale deve essere firmato dall'imprenditore e dal dipendente direttore dei lavori, ove esista, e deve essere tenuto a disposizione degli ispettori del lavoro.

In questi 2 articoli possiamo individuare 3 sostanziali differenze: -nel primo comma è sparita in relazione al procedere delle demolizioni la dicitura “dall’alto verso il 2. La successione dei lavori deve risultare da apposito program- basso” ma contenuto nel POS, tenendo conto di quanto indicato nel -nel primo comma è inserita la diciPSC, ove previsto, che deve essere tenuto a disposizione degli tura “devono essere eseguiti sotto la sorveglianza di un preposto” organi di vigilanza. -nel secondo comma non si parla più di un documento specifico per le importati ed estese demolizioni ma di un programma, contenuto nel POS, per tutti gli interventi di demolizione.

Art. 73 Misure di sicurezza

Art. 152. Misure di sicurezza

1. La demolizione dei muri deve essere fatta servendosi di ponti 1. La demolizione dei muri effettuata con attrezzature manua- In questi 2 articoli possiamo individi servizio indipendenti dall'opera in demolizione. li deve essere fatta servendosi di ponti di servizio indipendenti duare 2 principali differenze: -nel primo comma è specificato dall'opera in demolizione. 2. E' vietato fare lavorare gli operai sui muri in demolizione. 2. E' vietato lavorare e fare lavorare gli operai sui muri in demo- che i ponti di servizio sono funzionali ad attività di demolizione lizione. eseguita con attrezzature manuali. 3. Gli obblighi di cui ai comma precedenti non sussistono quan- 3. Gli obblighi di cui ai commi 1 e 2 non sussistono quando trat-nel terzo comma è diminuita la do trattasi di muri di altezza inferiore ai m 5; in tali casi e per tasi di muri di altezza inferiore ai due metri. quota (da 5 a 2 metri) a cui è conaltezze da m 2 a 5 si deve fare uso di cinture di sicurezza. sentito andare in deroga rispetto ai primi due commi. Art. 74 Convogliamento del materiale di demolizione

Art. 153. Convogliamento del materiale di demolizione

1. Il materiale di demolizione non deve essere gettato dall'alto, ma deve essere trasportato oppure convogliato in appositi canali, il cui estremo inferiore non deve risultare ad altezza maggiore di m 2 dal livello del piano di raccolta.

1. Il materiale di demolizione non deve essere gettato dall'alto, ma deve essere trasportato oppure convogliato in appositi canali, il cui estremo inferiore non deve risultare ad altezza maggiore di due metri dal livello del piano di raccolta.

2. I canali suddetti devono essere costruiti in modo che ogni 2. I canali suddetti devono essere costruiti in modo che ogni tronco imbocchi nel tronco successivo; gli eventuali raccordi tronco imbocchi nel tronco successivo; gli eventuali raccordi I due articoli si differenziano per devono essere adeguatamente rinforzati. devono essere adeguatamente rinforzati. una piccola modifica al comma 3. 3. L'imboccatura superiore del canale deve essere sistemata in 3. L'imboccatura superiore del canale deve essere realizzata in La parola sistemata è stata sostituita con realizzata. modo che non possano cadervi accidentalmente persone. modo che non possano cadervi accidentalmente persone. 4. Ove sia costituito da elementi pesanti od ingombranti, il mate- 4. Ove sia costituito da elementi pesanti od ingombranti, il materiale di demolizione deve essere calato a terra con mezzi idonei. riale di demolizione deve essere calato a terra con mezzi idonei. 5. Durante i lavori di demolizione si deve provvedere a ridurre il 5. Durante i lavori di demolizione si deve provvedere a ridurre il sollevamento della polvere, irrorando con acqua le murature ed sollevamento della polvere, irrorando con acqua le murature ed i materiali di risulta. i materiali di risulta.

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D.Lgs. 81/08 e s.m.i.

commenti

Art. 75 Sbarramento della zona di demolizione

Art. 154. Sbarramento della zona di demolizione

1. Nella zona sottostante la demolizione deve essere vietata la 1. Nella zona sottostante la demolizione deve essere vietata la sosta ed il transito, delimitando la zona stessa con appositi sbar- sosta ed il transito, delimitando la zona stessa con appositi sbarramenti. ramenti. I due articoli sono identici. 2. L'accesso allo sbocco dei canali di scarico per il caricamento 2. L'accesso allo sbocco dei canali di scarico per il caricamento ed il trasporto del materiale accumulato deve essere consentito ed il trasporto del materiale accumulato deve essere consentito soltanto dopo che sia stato sospeso lo scarico dall'alto. soltanto dopo che sia stato sospeso lo scarico dall'alto. Art. 76 Demolizione per rovesciamento

Art. 155. Demolizione per rovesciamento

1. Salvo l'osservanza delle leggi e dei regolamenti speciali e locali, la demolizione di parti di strutture aventi altezza sul terreno non superiore a 5 metri può essere effettuata mediante rovesciamento per trazione o per spinta.

1. Salvo l'osservanza delle leggi e dei regolamenti speciali e locali, la demolizione di parti di strutture aventi altezza sul terreno non superiore a 5 metri può essere effettuata mediante rovesciamento per trazione o per spinta.

2. La trazione o la spinta deve essere esercitata in modo graduale e senza strappi e deve essere eseguita soltanto su elementi di struttura opportunamente isolati dal resto del fabbricato in demolizione in modo da non determinare crolli intempestivi o non previsti di altre parti.

2. La trazione o la spinta deve essere esercitata in modo graduale e senza strappi e deve essere eseguita soltanto su elementi di struttura opportunamente isolati dal resto del fabbricato in demolizione in modo da non determinare crolli intempestivi o non previsti di altre parti.

3. Devono inoltre essere adottate le precauzioni necessarie per la sicurezza del lavoro quali: trazione da distanza non minore di una volta e mezzo l'altezza del muro o della struttura da abbattere e E’ stato eliminato il comma relativo alla possibilità di realizzare lo scalallontanamento degli operai dalla zona interessata. zamento delle opere per favorirne 4. Si può procedere allo scalzamento dell'opera da abbattere per 4. Il rovesciamento per spinta può essere effettuato con marti- la caduta. facilitarne la caduta soltanto quando essa sia stata adeguatamen- netti solo per opere di altezza non superiore a 3 metri, con l'aute puntellata; la successiva rimozione dei puntelli deve essere silio di puntelli sussidiari contro il ritorno degli elementi smossi. eseguita a distanza a mezzo di funi. 3. Devono inoltre essere adottate le precauzioni necessarie per la sicurezza del lavoro quali: trazione da distanza non minore di una volta e mezzo l'altezza del muro o della struttura da abbattere e allontanamento degli operai dalla zona interessata.

5. Il rovesciamento per spinta può essere effettuato con marti- 5. Deve essere evitato in ogni caso che per lo scuotimento del netti solo per opere di altezza non superiore a m 3, con l'ausilio di terreno in seguito alla caduta delle strutture o di grossi blocchi possano derivare danni o lesioni agli edifici vicini o ad opere puntelli sussidiari contro il ritorno degli elementi smossi. adiacenti pericolose per i lavoratori addetti. 6. Deve essere evitato in ogni caso che per lo scuotimento del terreno in seguito alla caduta delle strutture o di grossi blocchi possano derivare danni o lesioni agli edifici vicini o ad opere adiacenti pericolosi ai lavoratori addetti ivi.

Come si può vedere risulta difficile poter affermare che i cambiamenti introdotti dal D.Lgs. 81/08 e s.m.i. abbiano raggiunto efficacemente l’obiettivo di aggiornare la normativa anche in relazione alle nuove metodologie di demolizione esistenti. Auspichiamo un futuro intervento del legislatore per dare maggior dignità ad un settore fortemente specializzato con rischi molto elevati che ad oggi in Italia non dispone di alcuna linea guida di riferimento né norme tecniche di supporto. *RSPP General Smontaggi S.p.a.

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L’ ESPERIENZA E’ ALLA BASE DEL FUTURO Scavi, demolizioni e bonifiche Impianti di cava per inerti Infrastrutture stradali e sportive Recupero di aree dismesse

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De qualitate: un approccio sistemico per la gestione dello scenario di cantiere Come l’attenzione verso la qualità può rappresentare il valore aggiunto indispensabile nell’individuazione delle imprese adatte ad eseguire interventi complessi di Stefano Scaini*

I

l fenomeno della sensibilizzazione di Enti ed Imprese alle problematiche del cosiddetto “controllo qualità” risale ormai ad una quarantina di anni orsono nello scenario produttivo dei paesi anglosassoni, a fronte della necessità di dover trasferire, nel caso di cessione della proprietà aziendale o molto più semplicemente per favorire il ricambio generazionale della classe dirigente, la totalità dei sistemi, delle procedure e dei processi caratterizzanti l’attività specifica dell’Azienda. Nel nostro Paese invece, si tratta di un aspetto molto più recente ma in continua e graduale espansione; infatti, se dapprima, e cioè oltre una ventina di anni orsono, l’attenzione alla Qualità era secondaria all’ottenimento di una referenza funzionale a creare indirettamente un indotto di “business”, con il passare del tempo si è vista crescere una vera e propria cultura del lavoro in qualità, una consapevolezza di sistema che ha portato le Aziende a ridisegnare pressoché totalmente il proprio approccio al mercato moderno. Va senz’altro sottolineato come l’adesione di un’Impresa ad un sistema di gestione qualità sia squisitamente di natura volontaria e come, in virtù di tale aspetto, l’affidarsi ad operatori aventi determinate caratteristiche sia certamente una scelta corretta ed efficace; ciò, a condizione però che

sussista tutta una serie di altri requisiti, con particolare riferimento alle competenze tecniche e alle capacità economiche. Inoltre nel panorama delle Imprese certificate, qualora si voglia avere un’ulteriore garanzia, occorre orientarsi su operatori i quali abbiano ottenuto le relative certificazioni da parte di Enti particolarmente referenziati, i quali garantiscono un livello massimale di serietà ed obbiettività nell’analisi dei processi delle Aziende sottoposte al loro controllo. Con particolare riferimento alle attività in ambito cantieristico, gli aspetti “sensibili” e correlati all’Area della Qualità non riguardano solamente, ad esempio, i materiali oggetto di forniture, l’aderenza alla fase progettuale e l’esecuzione ad opera d’arte di quanto richiesto dalla committenza; il particolare contesto operativo nel quale vengono svolte le attività di cantiere necessità infatti della valutazione attenta di un cosiddetto Sistema complesso di protezione uomo-scenario. Tale Sistema deve garantire l’assoluta sicurezza di tutti gli individui interagenti con lo scenario del cantiere, sia direttamente (ovvero le maestranze, i visitatori autorizzati e gli Enti preposti al controllo) che indirettamente (ovvero le persone presenti a vario titolo nelle adiacenze del cantiere e della viabilità eventualmente ne-

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cessaria e funzionale alla movimentazione dei mezzi d’opera); il medesimo Sistema deve altresì garantire un’efficiente ed efficace comunicazione attiva tra tutte le figure coinvolte a vario titolo, nonché la massima imperturbabilità possibile relativamente all’ambiente presente oltre il limite di segregazione e confinamento fisico del cantiere, ponendo in essere soluzioni atte a limitare i cosiddetti effetti indesiderati di un siffatto intervento. Essi non sono rappresentati solamente da effetti quali rumore, polvere e vibrazioni ma anche, ad esempio, dalla variazione degli equilibri dei flussi di traffico sia dal punto di vista quantitativo (maggiore congestionamento) che qualitativo (eventuali limitazioni a particolari categorie di utenti della strada) e, aspetto non indifferente, dagli eventuali condizionamenti dei quali risentiranno le attività produttive maggiormente prossime al luogo dell’intervento. Ecco quindi giustificata la necessità di approcciare l’intervento cantieristico in maniera articolata e sistemica, al fine di garantire “standards” qualitativi massimali in merito a programmazione, gestione, esecuzione, controllo e verifica; a tale approccio deve obbligatoriamente sottintendere un Sistema integrato di gestione della Qualità orientato ed attento ad importanti Aree, nella fattispecie quattro, tutte strettamente correlate e mutualmente interagenti nell’esecuzione di un intervento complesso di matrice cantieristica:

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• Gestione di Sistemi, Processi e Procedure (ISO); • Ambiente (EMAS); • Sicurezza in accezione “Safety” (OSHAS); • Etica (Code of Ethics). La gestione della qualità di sistemi, processi e procedure, comunemente associata alla Certificazione ISO, è relativa a tutte le attività intraprese specificatamente da un’Azienda; essa è infatti la base di partenza per correttamente gestire, rispondendo appieno alle loro aspettative, il rapporto con i clienti, siano essi nuovi o consolidati, in piena armonia con le finalità e le politiche della direzione d’Impresa. Tale gestione si estende dall’Area commerciale a quella operativa, passando trasversalmente da criteri ben precisi relativamente alla scelta e al rapporto con i fornitori fino alla verifica dello stato di soddisfazione del cliente finale. Come tutte le gestioni di sistemi Qualità, avendo come dichiarata finalità il miglioramento generale dell’Impresa ed il relativo indotto sia diretto che indiretto in termini di profitto, essa procede in modo organico e ciclico seguendo la logica anglosassone del percorso “P.D.C.I.”. Brevemente, tutto il fluire dell’attività d’Impresa segue un percorso ciclico e continuo caratterizzato da quattro tappe chiave: • PLAN (Progetto): come pianifico e programmo, pre-progetto acquisendo informazioni ed operativamente progetto l’intervento; a quali requisiti devo attenermi ed in quale modo rispondo a tali necessità, con un approccio sempre attivo e propositivo di eventuali migliorie; • DO (Eseguo): come eseguo materialmente e a regola d’arte l’intervento in piena conformità allo “step” precedente; a quali normative devo attenermi e come rispondo operativamente “in itinere” ad eventuali modificazioni apportate dalla committenza o dall’appaltatore (qualora sia coinvolto in qualità di subappaltatore, fornitore o subfornitore); • CONTROL (Verifica): quali processi metto in atto per la verifica costante delle cosiddette non conformità; la non attinenza anche parziale di qualsivoglia situazione a quanto preventivamente pianificato, programmato e progettato, impone un’atten-

ta analisi e la predisposizione di adeguate azioni correttive e di mitigazione, soprattutto in corrispondenza di pericoli e relativi rischi; • IMPROVE (Miglioramento): quali procedure preventive pongo in essere per impedire il verificarsi di eventuali non conformità, in un'ottica di costante miglioramento relativamente a tutti gli aspetti caratterizzanti l’Impresa. In ambito cantieristico grande enfasi va inoltre data necessariamente al Sistema Qualità Ambiente (EMAS); esso, seguendo la stessa logica di miglioramento continuo del precedente, è in particolare dedicato a tutti gli aspetti ambientali. La scelta di attrezzature e mezzi d’opera particolarmente indicati per essere impiegati in un determinato scenario, in termini ad esempio di produzione di emissioni e rumori, è un aspetto al quale una consapevolezza di matrice ambientale deve necessariamente orientarsi. Una particolare attenzione a lavorazioni da considerarsi critiche o addirittura supercritiche, in virtù della produzione ad esempio di polvere, rumore e vibrazioni, deve altresì essere un aspetto oggetto di un’attenta valutazione: verranno pertanto scelte particolari fasce orarie d’intervento e di rispetto, attrezzature idonee non solo per eseguire le attività ma anche per mitigare gli effetti e i disagi da esse provocati e, aspetto assai importante, i sistemi di monitoraggio del rumore e delle vibrazioni da eseguirsi obbligatoriamente in continuo. Con particolare riferimento alla produzione di eventi vibratori di matrice non sporadica (ad esempio prodotti da martelli demolitori a percussione non dotati di sistemi di variazione delle frequenze di battuta), è necessario imporre alle maestranze un monitoraggio costante ed in continuo delle attività, caratterizzato da sistemi di allerta telefonici voce e dati i quali, al superamento delle soglie di rispetto opportunamente impostate, permettono alle figure preposte di intervenire con immediatezza sul luogo della segnalazione e di approntare opportune ed idonee azioni di contrasto e, successivamente, di prevenzione. Inoltre, la scelta, il trasporto, lo stoccaggio, l’utilizzo e lo smaltimento di materiali non inerti e caratterizzati quindi da particolari peculiarità soprattutto in materia di produzione del rifiuto,


sono problematiche assai sensibili da porre ai primissimi posti della scala delle priorità. La gestione in Qualità delle problematiche legate alla Sicurezza (OSHAS) nell’accezione anglosassone di “Safety”, riveste un ruolo di primaria importanza al fine di predisporre un Sistema di protezione complesso uomo-scenario come accennato in precedenza. Tale gestione è infatti relativa alla salute e alla sicurezza, nel luogo di lavoro e nelle aree ad esso correlate e con esso interagenti, di tutte le persone che a vario titolo, sia direttamente che indirettamente, recitano la parte di attori. In virtù di ciò è bene però chiarire come un Sistema di gestione in qualità della Sicurezza sia assolutamente di ampio respiro e ben più articolato e complesso di quanto possa sembrare. Infatti, la finalità ultima di tale Sistema non è solamente il raggiungimento di un risultato concreto fatto di “zero” incidenti e “zero” infortuni; sempre in un’ottica di miglioramento con-

tinuo, tale Sistema mira alla creazione di una reale cultura della Sicurezza, passando attraverso una Formazione professionalizzante di primo ingresso degli addetti e, aspetto fondamentale, una successiva e costante attività di Formazione continua. Pertanto è necessario che un’Impresa non guardi solamente al mero risultato numerico e statistico di infortuni, incidenti ed incidenti cosiddetti “inermis”, ovvero quelle circostanze nelle quali nulla è accaduto solo grazie alla casualità (e non alla causalità) degli eventi; è necessario che fornisca evidenza dell’impegno profuso dalla Direzione per formare professionalmente i propri tecnici ed addetti, sia al momento dell’assunzione che, con particolare dedizione ed attenzione, periodicamente e quantomeno semestralmente durante la loro vita professionale. Guardando oltre gli obblighi strettamente previsti dalla Legge vigente, è necessario che le maestranze garantiscano elevati livelli di competenza, strumento imprescindibile per l’esecuzione di interventi di particolare entità dal punto di vista tecnico ed ingegneristico. Infine, ma non per importanza, si ricorda quanto sia importante il processo di Comunicazione dal e nel cantiere; valutandolo nell’ottica di un innalzamento globale dei livelli di Sicurezza (reale e non solamente percepita) sia all’interno che all’esterno del sito, è necessario che l’Impresa fornisca in merito soluzioni di assoluta efficacia. Di recente introduzione, l’adesione volontaria ad una Certificazione Etica può apparire di secondaria importanza ed assolutamente corollaria a quanto fino ad ora esposto. In realtà, ritengo che il sorriso a volte suscitato da questo argo-

mento si trasformi in triste consapevolezza da parte di tutti gli addetti del settore non appena si guardi oltre la barriera dell’ipocrisia. Garantire alla committenza di impiegare, ad esempio, rispettivamente criteri seri nella scelta di subappaltatori, fornitori e subfornitori, chiari nella stipula delle condizioni contrattuali e rispettosi nel riconoscimento degli eventuali stati di avanzamento, credo sia una “conditio sine qua non” perché un’Impresa possa essere considerata, quantomeno, seria ed affidabile da un punto di vista non solo gestionale. Per concludere, ritengo sia molto importante focalizzare l’attenzione sul concetto di “Cultura dell’Innovazione”, un’etichetta ultimamente molto utilizzata per spronare l’Impresa italiana (non solo quelle medie, piccole e micro) ad una reazione, nei confronti di una profonda crisi di mercato, fatta di orgoglio ed autostima. Applicando tale concetto ai criteri di selezione necessari ad individuare un’Impresa particolarmente adatta ad eseguire un intervento complesso di carattere cantieristico, ritengo sia assolutamente da premiare l’evidente presenza di un elevato valore aggiunto, il quale può derivare indifferentemente dalla presenza di personale particolarmente capace, dall’adozione di particolari tecnologie uniche nel proprio genere, dalla comprovata capacità nel poter gestire scenari d’intervento complessi e, con particolare riferimento a quanto riportato in precedenza, dall’attenzione e dalla sensibilità dimostrate nei confronti della Qualità del proprio operato a 360°. *Dexplo s.r.l.

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La delega di funzioni ambientali Spetta alla Corte di Cassazione colmare le lacune normative sulla disciplina del trasferimento degli obblighi da un soggetto ad un altro di Rosa Bertuzzi*

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l tema della delega di funzioni in campo ambientale riveste un’importanza tutt’altro che secondaria, in quanto coinvolge situazioni di imputabilità personale che potrebbero avere conseguenze anche penali non indifferenti nei confronti del legale rappresentante dell’azienda. Innanzi tutto è opportuno chiarire che se per “delega di funzioni” s’intende comunemente il trasferimento degli obblighi dal soggetto su cui gravano ex lege ad un’altra persona incaricata del loro soddisfacimento in sua vece, non è altrettanto pacifica la sua disciplina: infatti, nel nostro ordinamento non esiste alcuna disposizione che regoli questo istituto frutto della sola elaborazione giurisprudenziale della Corte di Cassazione. Ad oggi, la delega di funzioni assolve all’importante compito di consentire il decentramento funzionale dell’organizzazione aziendale, permettendo così una burocratizzazione delle procedure interne a vantaggio di uno svolgimento più agile e snello di tutti i tradizionali compiti.

Partendo da quanto stabilito dagli articoli 197 del codice penale e 27 della Costituzione, il nostro ordinamento positivo ha accolto il principio secondo cui è esclusa la responsabilità penale diretta delle persone giuridiche, sicché la qualità di soggetto attivo del reato viene ricondotta in capo alla sola persona fisica. Per certo, l’addebito di responsabilità alla persona giuridica non esclude l’azione penale nei confronti delle persone fisiche che hanno concorso ai fatti illeciti. In quest’ottica risulta necessario tentare non solo di salvaguardare l’asserito principio nazionale della responsabilità penale, ma anche di individuare un criterio di imputazione della responsabilità che si armonizzi con un modello organizzativo imprenditoriale strutturato su un’articolata ripartizione di funzione tra più soggetti. Proprio in tale ipotesi si segnalano le esigenze di impedire che la delega sia utilizzata esclusivamente per fare “scivolare” la re-

sponsabilità dai rispettivi titolari a soggetti del tutto ignari della problematica o che i fatti di reato vengano attribuiti a soggetti formalmente titolari dei compiti delegati, ma concretamente privi dei connessi poteri di autonomia decisionale. In ogni caso, “l’eventuale ripartizione di compiti all’interno dell’impresa non può certamente attenuare l’obbligo e, soprattutto, non deve essere utilizzata al di là delle effettive necessità delle strutture organizzative complesse e per operare uno scivolamento della responsabilità verso i quadri medio bassi” (Cass. Pen. Sez. III, n. 1112 del 26 maggio 2004). Infatti, è opportuno ribadire che ad oggi la delega di funzioni scriminante la responsabilità penale, pur non esistendo come istituto giuridico (in quanto non esplicitato in alcuna norma giuridica), ma generato solo dalla prassi giurisprudenziale è una prassi da ritenersi lecita, ammissibile e consolidata, seppur in presenza di precise condizioni, anche se

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stituto rischia un’ulteriore ridimensionamento. Tale stato di cose ha reso necessari interventi giurisprudenziali volti ad individuare l’ambito di operatività degli obblighi giuridici derivanti da determinate attività anche con riferimento a specifici soggetti. La particolarità dell’istituto ha determinato la necessità di individuare lo spazio per il titolare dell’impresa di trasferire ad altri soggetti alcuni obblighi in quanto questi potrebbe essere impossibilitato ad adempiere personalmente e pertanto essere assoggettato alla responsabilità penale. Inoltre occorre considerare l’ulteriore esigenza di evitare che attraverso lo strumento della delega anche il soggetto che possa soddisfare l’obbligo giuridico impostogli dalla legge abbia la possibilità di non adempiervi sottraendosi alle conseguenti responsabilità attraverso un indebito trasferimento delle sue funzioni a terzi.

“il soggetto responsabile va individuato in base, non alle qualifiche formali, ma, alle mansioni effettivamente esercitate nell’ambito dell’organizzazione aziendale. Corollario di questa impostazione funzionale delle qualifiche soggettive è che la responsabilità deriva direttamente dalla legge, e che la delega finisce per essere un solo possibile strumento di identificazione del responsabile” (Cass. Pen. Sez. III, n. 33308 del 13 settembre 2005). Con una decisione ancor più recente (Cass. Pen., 10 luglio 2007, n. 26708) la Corte ancora una volta ha esaminato la dibattuta questione della delega di funzioni dei reati ambientali statuendo che “Secondo la giurisprudenza di questa Corte la delega di funzioni nell'ambito di una impresa dai vertici aziendali ai sottoposti, seppure non necessiti di atto scritto (Cass. 7 ottobre 2004 n. 39268), per poter conseguire l'effetto di escludere la responsabilità penale del delegante originariamente tenuto per legge a determinati comportamenti attivi od omissivi, deve essere espressa (anche attraverso la concreta preposizione a settori autonomi in cui è stata articolata una organizzazione aziendale complessa: Cass. 25 gennaio 2007 n. 2592), inequivoca nel contenuto e certa e deve investire persona dotata delle necessarie nozioni e capacità tecniche, alla quale devono essere

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attribuiti poteri decisionali e di intervento anche finanziario nel settore di competenza, fermo l'obbligo del datore di lavoro di vigilare che il delegato usi correttamente i poteri delegati (Cass. 22 novembre 2006 n. 38425). Nell'ottica considerata, non appaiono delegabili o comunque nella pratica non sono delegati se non eccezionalmente i poteri relativi alla decisione in ordine alla struttura e alla organizzazione aziendale (cfr., in proposito, la citata Cass. n. 39268/04), in quanto di stretta pertinenza dell'imprenditore, mentre sono delegabili e sono ampliamente delegati, soprattutto nelle strutture complesse, i poteri inerenti l'ordinario funzionamento dell'organizzazione data o dell'impianto prescelto per il tipo di produzione o servizio intrapreso”. La vicenda presa in esame riguarda uno scarico di acque reflue industriali con superamento dei limiti sanzionato dall’art. 59, quinto comma, D.Lgs. 152/99 (ora sostituito dall’art. 137 D.Lgs. 152/06), in riferimento al quale vengono richiamati principi sui quali già in precedenza la Corte ha statuito. Il corretto inquadramento della delega di funzioni assume determinante rilevanza ai fini dell’individuazione delle responsabilità penali caratterizzato da un impianto sanzionatorio di strettissima efficacia che in caso di un possibile uso disinvolto dell’i-

Decreto Legisl ativo 7 luglio 2011, n. 121. Tutel a penale dell’ambiente

Dal 16 agosto 2011 sono vigore in nuovi reati ambientali introdotti dal Decreto Legislativo 7 luglio 2011, n. 121, pubblicato nella G.U. del 1 agosto 2011, n. 177, il c.d. Tutela Penale dell’ambiente, già trattato nel n.16 della rivista Eco. Il decreto legislativo 7 luglio 2011, n. 121 ha ampliato il sistema di repressione penale degli illeciti ambientali, introducendo nuove fattispecie incriminatrici (art. 727-bis c.p. e art. 733-bis c.p.) e una nuova disciplina in materia di responsabilità delle persone giuridiche, antecedentemente assente per i reati contro l’ambiente, estendendo i reati previsti da Decreto Legislativo 8 giugno 2001, n. 231. L’ intervento legislativo di recepimento delle direttive suindicate ha provocato alcune problematiche legate al tradizionale impianto di tutela penale dell’ambiente, basato su reati contravvenzionali di pericolo astratto, non conforme alle prescrizioni europee. A seguito dell’entrata di in vigore di tale norma, la quale prevede la irrogazione di sanzioni pecuniarie “pesanti“, e cioè sanzioni a carico dell’azienda fino ad oltre un milione e mezzo di euro, risulta, ad oggi, essere di estrema importanza la delega di funzioni. Ciò non tanto allo scopo di eludere la norma, ma allo scopo di limitare le responsabilità del titolare dell’impresa.


Modalità esecutive L’istituto della delega di funzioni, che trae origine dalla normativa sulla prevenzione degli infortuni e dell’igiene del lavoro, è stato successivamente filtrato anche tra le tematiche ambientali e, prendendo le mosse anche dal concetto di mandato di cui all’art. 1703 C.C. (“Il mandato è il contratto con il quale una parte si obbliga a compiere uno o più atti giuridici per conto dell’altra”), si è caratterizzato nella pratica come un trasferimento della posizione di potere del legale rappresentate al soggetto da questi delegato. Infatti, secondo l’orientamento della Suprema Corte (Cass. Pen. Sez. III n. 1112 del 26/05/04) “la ratio della previsione della delega trova unanime collocazione nella molteplicità di compiti e di obblighi penalmente sanzionati, nella necessaria conoscenza di specifiche regole tecniche, nella esigenza di protezione dei beni oggetto di tutela in maniera più incisiva e nella dimensione e complessità del fenomeno aziendale”. In linea di principio, l’efficacia liberatoria della delega sul

versante della responsabilità penale è subordinato alla sussistenza di precisi presupposticondizioni elaborati, volta per volta, dalla giurisprudenza, che possono essere così riassunti: • dimensione dell’impresa: la tradizionale giurisprudenza ha sempre sostenuto che la delega poteva escludere la responsabilità del titolare solo laddove l’impresa avesse notevoli dimensioni tali da rendere impossibile il controllo dell’intera attività produttiva in capo ad una sola persona (Cass. Pen., Sez. III, n. 8538 del 14/09/83, secondo cui “in tema di tutela delle acque dall’inquinamento, la delega a terzi può escludere la responsabilità del titolare solo quando l’azienda ha notevoli dimensioni e si articola in varie branche, che rendano impossibile ad una sola persona il controllo dell’intera attività produttiva”); • certezza della delega: con il requisito della certezza si vuole indicare che la delega deve avere un contenuto chiaro e puntuale, completo e ben determinato, riportante

la specifica indicazione dei poteri delegati, così da non lasciare dubbi circa la portata del conferimento stesso, perché in caso contrario risulta arduo dar prova della delega e non si può considerare dimesso da parte del delegante il potere relativo alla stessa attività delegata (Cass. Pen. 26390 dell’11/06/04, secondo cui “in tema di responsabilità penale all’interno di un ente collettivo, la delega di funzioni perché possa considerarsi liberatoria nei confronti di chi non abbia la rappresentanza e gestione, deve avere comunque forma espressa e contenuto chiaro”); • l’effettivo trasferimento dei poteri: in capo al delegato con l’attribuzione di una completa autonomia decisionale e di gestione; • onerosità della delega: la delega può essere attribuita a titolo gratuito o a titolo oneroso. *Ambienterosa, Consulenze legali ambientali

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a ss oc i a z i on e stu d i amb ientali

DAL CONSIGLIO SUPERIORE DEI LAVORI PUBBLICI UNA SPINTA AL RIUTILIZZO DEI RIFIUTI INERTI DA C&D

I rifiuti inerti da costruzione e demolizione (C&D) rappresentano una componente molto rilevante dei materiali classificati come rifiuti speciali e la loro cattiva gestione costituisce uno spreco di risorse e di opportunità. La sostenibilità ambientale, nella realizzazione di opere edili private e pubbliche, derivante dall’utilizzo di aggregati riciclati certificati, è notevole e vantaggiosa. Oltre al rispetto della normativa in materia di gestione dei rifiuti inerti da C&D da parte delle imprese, particolare rilevanza viene data al rispetto degli obiettivi di riutilizzo ed alle norme imposte agli Enti Locali per l’utilizzo di aggregati riciclati certificati. Sono questi i temi trattati nel recente seminario organizzato a Roma dal Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici per iniziative volte alla riduzione, recupero e riutilizzo dei rifiuti inerti da C&D. E’ stato inoltre presentato il Rapporto curato da un gruppo di lavoro coordinato dal Presidente della II Sezione evidenziando che le dimensioni fisiche ed economiche in gioco sono enormi. Dall’ultimo rapporto ISPRA si evince che la quantità dei rifiuti inerti da C&D rappresenta il 38% dei rifiuti speciali prodotti in Italia. A fronte di un problema di questa dimensione e largamente sconosciuto nella sua

complessità, è utile ricordare che l’Italia ha recepito gli obiettivi imposti dalla Direttiva Europea 2008/98/CE di pervenire entro il 2020 ad una percentuale di riutilizzo di almeno il 70% dei rifiuti inerti prodotti. Il Rapporto dell’Assemblea del Consiglio Superiore dei LL.PP. conclude rilevando che per conseguire tale risultato è indispensabile che il sistema delle costruzioni in generale, e quello delle opere pubbliche e delle infrastrutture in particolare, siano pienamente consapevoli e collaborino con spirito attivo per ottimizzare tutte le competenze coinvolte nelle varie fasi del processo edilizio, così come è avvenuto nei Paesi che hanno avviato diffuse pratiche di riciclaggio e recupero nel settore. Infatti solo la consapevolezza delle imprese e delle stazioni appaltanti può consentire alla conoscenza di diffondersi ed accumularsi per migliorare le pratiche tecniche ed istituzionali. Tale comportamento è richiesto inoltre dalla obbligatorietà per gli Enti Pubblici di coprire il proprio fabbisogno con almeno il 30% di beni e prodotti rinvenienti da recupero come evidenziato dal D.M. 203/2003. Nell’insieme “la questione dei rifiuti da C&D reclama un importante ammodernamento del settore delle costruzioni che, integrandosi con il mondo del recupero, deve dar luogo a nuove prassi industriali diffuse. Le istituzioni, devono accompagnare con convinzione questo ammodernamento”. Un ulteriore

elemento viene dall’approvazione del recente Regolamento UE n. 305/2011 in materia di utilizzo dei prodotti e dei materiali da costruzione che abroga la Direttiva 89/106/CE. Infatti con l’introduzione di un nuovo requisito di base “uso sostenibile delle risorse naturali” si rende necessario “invertire il punto di vista”. E’ necessario quindi “invertire il punto di vista” infatti, essendo la produzione pari a circa il 40% dei rifiuti speciali e che tale materiale sia in massima parte recuperabile per la produzione di aggregati riciclati purché il sistema produttivo ed istituzionale sia organizzato per raggiungere tale scopo, se ne conclude che una corrispondente quantità di materiale viene inutilmente prelevata dall’ambiente naturale attraverso le attività estrattive. Per spingere questi comportamenti l’Assemblea del Consiglio Superiore dei LL.PP. ha ritenuto che sarebbe opportuno: 1. indirizzare l’attività dei Provveditorati interregionali alle opere pubbliche per integrare, nei capitolati e nei prezziari regionali delle opere di competenza, le voci di prezzo con gli inerti di riciclo e quelli delle opere di demolizione; 2. predisporre linee guida per indirizzare i progettisti ed i direttori dei lavori alla gestione ambientalmente corretta dei rifiuti provenienti da C&D sia in fase di progettazione sia in fase di cantiere;

I FONDI EUROPEI NEL CASSETTO: PER L’UE “UN CASO ITALIA” Fotografia al 31/12/2010 sulla situazione dei finanziamenti europei relativa al programma 2007-2013 della Ragioneria Generale dello Stato. Sarà necessario accelerare l’impegno e la spesa. La Ragioneria Generale dello Stato ha diffuso recentemente i dati relativi all’utilizzo di due fondi, l’Obiettivo Convergenza rivolto alle cinque regioni meridionali (Basilicata, Calabria, Campania, Puglia e Sicilia) ed i fondi dell’Obiettivo Competitività Regionale, rivolti a tutte le regioni. Dall’analisi dell’impegnato al 31/12/2010 si evince che, per quanto riguarda l’Obiettivo Convergenza, la percentuale media di spesa, nelle cinque regioni meridionali, si ferma al 9,59%. I fondi dell’Obiettivo Competitività Regionale invece, presentano una netta contrapposizione per aree geografiche, infatti nelle regioni meridionali le percentuali sono molto basse, leggermente migliore al centro, modeste nelle regioni settentrionali. Si passa da un misero 2,31% della regione Sicilia al 47,42% del Trentino AA. La percentuale impegnata per singola regione, sulle somme assegnate, è indicata nella cartina dell’Italia a lato. Secondo la Ragioneria Generale dello Stato la situazione fotografata evidenza “gravi difficoltà amministrative”. L’Unione Europea ha aperto “un caso Italia” inviando lo scorso mese di aprile il commissario per le politiche regionali Johannes Hahn in tournée tra Sicilia, Puglia e Campania. “I fondi comunitari vanno spesi nei tempi stabiliti seguendo una strategia e non messi da parte pensando di poterli spendere tutti insieme, altrimenti si perdono”, ha spiegato Hahn. Le tre regioni visitate, rischiano di perdere entro l’anno,due miliardi di euro.

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3. analizzare i processi di progettazione, costruzione e demolizione, per verificare i possibili meccanismi incentivanti dei comportamenti virtuosi; 4. analizzare i componenti dell’edilizia di maggior consumo per verificare la loro intrinseca potenzialità di riciclaggio e migliorarne le caratteristiche; 5. avviare una ricognizione presso gli enti vigilati dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti in ordine all’effettivo inserimento nei capitolati e nei prezziari delle prescrizioni relative al riciclaggio dei rifiuti da C&D ed all’uso di materiali per C&D quando opportuno, nonché monitorare le difficoltà incontrate e le opportunità riscontrate; 6. promuovere di intesa con il Ministero dell’Ambiente un censimento degli impianti esistenti e delle capacità industriali del settore; 7. procedere alla ricognizione delle sperimentazioni in corso, per favorire lo scambio di informazioni e di esperienze; 8. procedere nella ricognizione del mercato degli aggregati (naturali e riciclati) per comprenderne le dinamiche e le potenzialità, da accompagnare con l’evoluzione normativa; 9. verificare l’efficacia dell’attuale sistema dei controlli in materia edilizia. L’Assemblea Generale ha condiviso l’osservazione che è urgente che il mondo delle istituzioni e l’industria delle costruzioni si preoccupino entrambi del destino finale delle loro realizzazioni fisiche, per modificare i termini organizzativi e concettuali delle proprie attività di costruzione. Questa consapevolezza potrà portare importanti ricadute in termini di innovazione nei processi di produzione, nella cooperazione tra soggetti diversi, nella formazione della mano d’opera, nella produzione dei materiali e nel sistema dei controlli dei prodotti finiti. Essa richiederà anche l’aggiornamento del mondo delle professioni. Si tratta di accettare una cultura nuova e per farlo bisogna vincere le resistenze e le abitudini. Tale innovazione necessaria corrisponde alle trasformazioni che hanno investito negli ultimi decenni tutti i più importanti comparti produttivi, quali l’industria automobilistica e quella dei componenti elettronici. La scadenza del 2020 per raggiungere l’obiettivo del 70% di riutilizzo degli inerti da C&D impone di non frapporre indugi.

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Arjes, i trituratori e i vagli con l’innovazione della linea Raptor

Nel mercato in continua evoluzione del riciclaggio industriale, Camoter Commerciale si pone con una visione chiara, quella di proporsi come innovatore costante di prodotto e di processo. Il fil rouge della missione aziendale si concretizza attraverso partnership con produttori sempre un passo avanti. Come nel caso della società Arjes di proprietà dell’Ing. Norbert Hammel, il primo costruttore ad avere ideato le tecnologie di triturazione primaria bialbero nel riciclaggio industriale. Arjes produce trituratori e vagli adatti ai più diversi utilizzi industriali, dalla riduzione volumetrica alla separazione di legno da riciclo, RSU, rifiuti industriali, tetra pack, bobine di carta, pneumatici, traversine ferroviarie, alluminio, ecc. La ricerca tecnologica si fonda su precise e imprescindibili linee guida di progettazione: l’incremento dell’efficienza delle macchine, la riduzione di consumi ed usure, la riduzione dei tempi di manutenzione e l’allungamento della vita utile dei componenti fondamentali della macchina. Al fianco della tradizionale linea di trituratori VZ, che si distingue sul mercato per la qualità della pezzatura e la riduzione dei consumi di oltre il 20%, si pone una vera e propria rivoluzione nel mondo della triturazione: la gamma Raptor. Un trituratore tradizionale ad azionamento idraulico trasferisce la potenza dal motore principale, sia esso diesel o elettrico, ad un gruppo di triturazione attraverso un impianto idraulico; quest’ultimo è costituito da una o più pompe che generano la pressione e la portata idrauliche necessarie ad un motore per porre in marcia, tramite un riduttore, i rotori su cui sono montati gli utensili di triturazione. Una soluzione ancora oggi considerata tecnicamente ed economicamente vantaggiosa. Arjes ha aperto una nuova strada. Il trituratore convenzionale presenta una velocità dei rotori che cambia a seconda della composizione dei materiali da trattare. Ad ogni incremento di carico la velocità di rotazione diminuisce e il sistema si setta, variando la portata della pompa e richiedendo più potenza al motore, fino al suo limite, raggiunto il quale viene comandata l’inversione del senso di rotazione; si consente così di “liberare” i rotori e riprendere la marcia nel senso ordinario: una serie di rallentamenti, arresti e ripartenze, che comportano un costo energetico. Proprio per ridurre questi consumi nasce la tecnologia Raptor. Partendo dall’osservazione tecnica di base per la quale il sistema meccanico più conosciuto ed efficace è l’utilizzo del volano, Norbert Hammel, anima di Arjes, nei trituratori Raptor lo pone a monte del gruppo di riduzione così da accumulare energia; energia che viene poi restituita nel momento in cui si verifica una variazione nel carico di triturazione. Un sistema che senza richiedere potenza supplementare al motore riesce ad accumulare energia quando la lavorazione è meno “pesante” con un risparmio energetico assicurato nell’ordine del 35% rispetto alle tecnologie tradizionali. L’efficacia del sistema è ottenuta sia grazie all’innovativa progettazione, sia alla altrettanto nuova generazione di rotori dal caratteristico disegno a “T”. Un beneficio non secondario è inoltre rappresentato dall’assenza della maggior parte dei componenti oleodinamici presenti sulle macchine tradizionali: scompaiono pompe e motori a pistoni, radiatori dell’olio, sistemi elettroidraulici di controllo e viene ridimensionato il serbatoio dell’olio idraulico. Si elimina così una parte di componenti che nel tempo inevitabilmente richiede manutenzione e relativi costi di servizio. Arjes e Camoter Commerciale, distributore esclusivo per l’Italia: un connubio d’innovazione, la scelta di chi vuol essere un passo avanti.

Coop Bilanciai: PROFESSIONISTI PER LA PESATURA NEL RECUPERO E NEL RICICLO Coop Bilanciai, con i suoi 60 anni di storia nel mondo della pesatura, ha investito strumenti e risorse per creare soluzioni dedicate in particolare alla gestione dei Centri di Raccolta con i suoi prodotti Diade, terminale di pesatura DD2050 ed il software Ecodiade. In particolare Diade DD2050, completamente omologato, rappresenta un innovativo modello che coniuga la potenza e la flessibilità di programmazione di un computer con le caratteristiche metrologiche di uno strumento di pesatura, consentendo all’utente di effettuare autonomamente le operazioni di pesatura senza la presenza di un operatore. E’ robusto e adatto a qualsiasi ambiente, immediato e semplice da utilizzare, è flessibile nell’applicazione, programmabile, comunica in rete e si gestisce attraverso PC. Il software Ecodiade invece è stato progettato e realizzato con l’intento di agevolare/facilitare il più possibile le diverse operazioni che riguardano le tre figure - amministratore, operatore e utente - che interagiscono all’interno dei Centri di Raccolta. Altamente personalizzabile, risponde pienamente alle esigenze di ogni specifica gestione territoriale. L’interfaccia grafica accattivante e intuitiva a guida vocale e schermo tattile ne facilita l’uso, l’opzione per la gestione della raccolta punti premio aiuta a motivare ulteriormente l’utenza nel recupero dei materiali destinati al riciclo.

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LA GAMMA JCB WASTEMASTER SI AMPLIA CON LA MINIPALA DI NUOVA GENERAZIONE

Presentata per la prima volta all'evento JCB VIP Waste & Recycling, la nuova minipala 260 con pacchetto Wastemaster offre anche al settore dei rifiuti i vantaggi prestazionali della gamma di nuova generazione JCB. La minipala gommata 260 è uno dei modelli di minipale e pale cingolate JCB di ultima generazione progettati per fornire visibilità ai vertici della categoria, straordinario comfort per l'operatore, sicurezza senza eguali, eccezionali vantaggi e versatilità e prestazioni senza rivali. Per tutte le macchine della gamma saranno disponibili i pacchetti opzionali per rifiuti e demolizione. Il modello illustrato ha un peso operativo di 3. 615 kg con una portata di 1179 kg. Alimentata da un motore JCB Dieselmax da 84 CV, abbina alte prestazioni a bassi consumi di carburante, mentre la sua configurazione a sollevamento verticale assicura il massimo sbraccio in avanti alla massima altezza di sollevamento. Comprende le dotazioni aggiuntive Wastemaster fra cui protezione FOPS di livello 2, griglia per parabrezza e finestrini laterali e protezione dagli urti per vetri e pannelli laminati. Queste assicurano l'incolumità della macchina e dell'operatore per lavori negli impianti di trattamento rifiuti e nel settore del riciclaggio di metalli o altri materiali. Le sue dimensioni compatte consentono l'accesso nei container, mentre l'elevata manovrabilità assicura l’operatività anche negli spazi più ridotti. Inoltre è disponibile un'ampia scelta di attrezzi per migliorare la versatilità della macchina, consentendo ad un unico modello di essere impiegato per vari compiti sul sito. Ad esempio, sostituendo una benna con griffa con un spazzolone raccoglitore, la JCB 260 può agevolmente caricare i materiali precedentemente separati su un convogliatore e dopo un attimo occuparsi della pulizia del sito. Il modello JCB 260 presenta l'esclusivo design “PowerBoom” di JCB, che utilizza un solo braccio, in sostituzione del tradizionale design a due bracci delle minipale della concorrenza. I modelli JCB non necessitano la presenza di un tubo di torsione trasversale sul retro della macchina, offrendo all'operatore una visuale posteriore senza ostacoli e una migliore visibilità a 360 gradi per maggiore sicurezza e tranquillità in cantiere. I costi di gestione di una minipala o pala cingolata JCB sono minori grazie alla maggiore produttività e accessibilità. I consumi pagina PUBBLICITà 2011 sgm:Layout 1 12-09-2011 18:05 Pagina 1 complessivi di carburante sono stati ridotti per un risparmio annuale valutato attorno al 16%.

SGM S.G.M. ingegneria geologia & ambiente S.G.M. Geologia e Ambiente S.r.l. con sede a Ferrara, opera nel campo dell'ingegneria, della geologia ambientale, dell'idrogeologia, e delle bonifiche ambientali è attiva nel settore sin dall'anno 1994. SGM ingegneria S.r.l. con sede a Ferrara è uno studio di Ingegneria che opera nel settore delle attività di progettazione di bonifiche ambientali, demolizioni e sviluppo dell’analisi di rischio e della gestione dei rifiuti urbani e speciali. Le Società lavorano in maniera congiunta su tutto il territorio nazionale. SEDE E RIFERIMENTI S.G.M. GEOLOGIA E AMBIENTE S.r.l. Via Bologna, 292 – 44124 Ferrara Tel. 0532/977899 – Fax 0532/906907 e.mail: info@sgm-ambiente.it Sito: www.sgm-ambiente.it SGM INGEGNERIA S.r.l. Via Zucchini, 79 - 44122 Ferrara Tel. 0532/770108 - Fax. 0532/775279 e.mail: info@sgm-ingegneria.it Sito: www.sgm-ingegneria.it

PRINCIPALI ATTIVITÀ • esecuzione di piani di caratterizzazione, progettazione di bonifiche dei siti inquinati; • esecuzione di indagini ambientali con tecnologia Geoprobe System® e analisi (suolo, sottosuolo, acque sotterranee e superficiali); • esecuzione di monitoraggi periodici (discariche, siti contaminati, siti bonificati); • investigazioni di dettaglio (rilievi topografici, indagini geognostiche); • direzione lavori e coordinamento della sicurezza; • progetti di gestione delle terre e rocce da scavo; • progetti di demolizione di siti industriali; • analisi di rischio per attività di progettazione di bonifica e progettazione e gestione discariche; • esecuzione di studi di impatto ambientale; • sviluppo di attività di pianificazione territoriale di gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti speciali; • direzione lavori messe in sicurezza d’emergenza.

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SIERRA PRESENTA L’EVOLUZIONE DELLA PRESSA PER ROTTAME: 80 2C XL

Sierra Europe, azienda con sede a Ferrara leader mondiale nella produzione e commercializzazione di macchinari per il trattamento del rottame metallico, presenta all’edizione 2011 di Ecomondo una rivoluzionaria pressa compattatrice per rottame adatta a tutti i piazzali: 80 2C XL è infatti la prima compattatrice automatica ad alta produttività e densità in grado di essere alimentata con caricatore e polipo da 600 lt. Questo modello a doppio asse di compressione ortogonale, di derivazione della gamma di compattatrici automatiche lanciate da Sierra nel 2008 e ideate per la compattazione di scarti di produzione delle industrie manifatturiere, unisce per la prima volta le esigenze produttive dei piazzali di rottame con la produttività e densità del prodotto finale tipico delle compattatrici automatiche. La possibilità di alimentare la macchina sia con polipo fino a 600 lt che con nastro convogliatore consente all’operatore di non modificare le proprie abitudini di lavoro e allo stesso momento lo libera dall’onere di azionare il ciclo di compattazione: l’unica necessità sarà alimentare la 80 2C XL e raccogliere i pacchi prodotti in automatico. La densità del pacco è ideale per il processo in fonderia e la compattatrice presenta bassissimi costi operativi grazie al suo completo automatismo e all’impiantistica, ideata per ridurre al minimo i consumi di energia in attesa dell’avvio del ciclo di pressatura. Le fotocellule installate nella tramoggia di carico permettono di ottenere sempre pacchi di uguale dimensione e densità, mentre il numero delle precompressioni del cilindro principale possono essere impostate rispetto alla densità iniziale del materiale da processare. Con la compattatrice automatica 80 2C XL di Sierra ogni piazzale potrà vedere aumentare il valore del proprio prodotto senza modificare le abitudini di lavoro: direttamente dall’azienda leader del mercato, un’altra innovazione concreta per il mercato del rottame.

GEOMEMBRANA ALVATECH 5002 FIX: MENO SALDATURE, MENO CONTROLLI La Sotrafa S. A., azienda del Gruppo Armando Alvarez, è la più grande società spagnola di trasformazione del polietilene. All’interno di tale processo, la materia prima viene sottoposta ad accurate analisi e classificazioni per poi essere trasformata in fogli di polietilene a bassa o alta densità con differenti spessori e larghezze secondo due diversi processi produttivi: • il sistema soffiato, per spessori compresi fra 0. 15 mm e 0,75 mm (larghezza dei fogli compresa tra 1 e 18 m); • il sistema a testa piana, per spessori compresi fra 1 e 3,0 mm (2 larghezze disponibili 5,8 e 7,5 m). Tutti i prodotti, per l’intero processo di lavorazione, sono realizzati secondo la certificazione di qualità ISO 9001, dal ricevimento delle materie prime, al processo produttivo, allo stoccaggio del prodotto finito, sino alla spedizione. Dal 2010 la Sotrafa ha introdotto una novità sul mercato. Si tratta della produzione della geomembrana ALVATECH 5002 FIX in polietilene ad alta densità, strutturata indifferentemente su una o su entrambe le superfici, presenta una fitta distribuzione di punte (57. 000/m2 per ogni faccia) con h ≈ 1 mm, che in parete assicurano alla membrana un’ottima aderenza al terreno o ad altri geosintetici. Questo prodotto è disponibile con spessori da 1,5 a 2,5 mm e con una larghezza di 7,5 m. La produzione della geomembrana strutturata avviene in un unico processo offrendo come risultato finale un prodotto monometrico omogeneo nel quale le punte non si staccano facilmente. ALVATECH 5002 FIX è attualmente l’unica geomembrana in HDPE strutturata di larghezza 7,5 m e presenta pertanto i seguenti vantaggi: • meno saldature = meno criticità durante l’installazione; • meno controlli sulle saldature durante il lavoro = tempi di lavorazione e costi minori.

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odori sempre sotto controllo SACMI, UN NASO ELETTRONICO PER CONTROLLARE GLI ODORI

Un naso elettronico capace di riconoscere e misurare tutti gli odori, 24 ore su 24, funzionando da solo e all’esterno, in tutte le condizioni atmosferiche. Si chiama EOS Ambiente e sarà presentato da Sacmi in fiera a Rimini, a Ecomondo, il prossimo 9 novembre. Un dispositivo unico al mondo, fondamentale per riuscire a tenere sotto controllo non solo le emissioni potenzialmente nocive, ma anche quelle semplicemente sgradevoli, ad esempio di una raffineria o di una discarica. Il nuovo naso elettronico nasce dalla scelta di Sacmi di utilizzare anche per i monitoraggi ambientali la grande esperienza maturata nei dispositivi di controllo olfattivo per l’industria alimentare. EOS Ambiente è stato così sviluppato dal gruppo imolese in collaborazione con il Politecnico di Milano e con Progress s. r. l., che ha dato un contributo importante nella messa a punto della fase di addestramento dei nasi elettronici. Ma come funziona il nuovo sistema che sarà presentato in fiera? EOS Ambiente può contare su un sistema pneumatico per il campionamento dell’aria esterna e su sensori evoluti di gas ad ossidi metallici semiconduttori, collocati all’interno di un’apposita cella di misura brevettata da Sacmi. Grazie a questa soluzione il dispositivo richiede una manutenzione minima e funziona all’esterno 24 ore su 24 in qualsiasi condizione di temperatura e umidità. Attraverso questi sensori il naso elettronico rileva, esattamente come il naso umano, l’impronta olfattiva di ogni sostanza, ma a differenza di quel che può fare un uomo riesce a riconoscere sempre con precisione la sostanza e a misurare con esattezza la sua concentrazione, anche quando la fonte è lontana e la percentuale nell’aria minima. Il sistema viene addestrato a rispondere alle varie concentrazioni odorose in analogia alla risposta del panel umano utilizzato in laboratorio secondo la norma UNI EN 13725 che definisce in modo univoco la scala di misura dell’odore con il concetto di “unità odorimetrica”. Il naso elettronico può essere utilizzato così per monitorare con precisione le emissioni di discariche, impianti di compostaggio, termovalorizzatori, impianti con produzione di biogas, raffinerie e impianti chimici, allevamenti zootecnici, depuratori di acque reflue civili o industriali. Attività che generano emissioni non necessariamente nocive, ma spesso sgradevoli. In tutti questi casi EOS Ambiente può quantificare l’odore percepito dalla popolazione, verificare oggettivamente se rientra entro livelli tollerabili, analizzare gli eventuali scostamenti stagionali, ma anche funzionare come sistema di allarme per emissioni anomale o impreviste. C

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Il primo naso elettronico, ideato e realizzato da Sacmi per effettuare monitoraggi olfattivi non presidiati in ambiente esterno. Un dispositivo unico al mondo che riconosce e classifica gli odori ambientali fornendo misurazioni oggettive e ripetibili anche in conformità alla norma UNI EN 13725. Facile da usare, minima manutenzione richiesta, la sua tecnologia brevettata gli consente di operare senza interruzione giorno e notte, in qualsiasi condizione di temperatura e umidità. Tenendo gli odori sotto controllo, EOS Ambiente permette alle aziende di monitorare nel tempo il proprio impatto olfattivo e consente agli enti di controllo di misurare oggettivamente il disagio generato dalle attività produttive.

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www.sacmi.com

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Per informazioni: eos@sacmi.com


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MACCHINARI PER IL RICICLAGGIO MILLER: UNA SOLUZIONE PER OGNI MATERIALE

Miller s.r.l. Unipersonale è una giovane e ben collaudata realtà specializzata nella produzione di macchinari per la macinazione di rifiuti e impianti per il riciclaggio. Fondata nel 2002, Miller ha sviluppato una vasta gamma di macchinari per il riciclaggio suddivisibile nelle quattro tipologie di macinazione: macinatori, raffinatori, cippatori e pre-rompitori per legno, plastica, RSU, RAEE, ecc. Oggi Miller è in grado di proporre impianti completi con nastri trasportatori, impianti di aspirazione e nel nuovo programma, si è inserita la lavorazione dei rifiuti da demolizione. I macchinari Miller sono personalizzati in base alle esigenze del cliente, consentendo completa adattabilità e flessibilità d’impiego. Le macchine Miller, progettate e costruite per sopportare cicli di lavorazione onerosi, sono caratterizzate da una struttura robusta, da materiali di alta qualità e da soluzioni tecniche e progettuali di ultima generazione, tali da consentire la macinazione di un’ampia gamma di materiali: legno, plastica, gomma, carta, alluminio, latta, contenitori metallici, pneumatici, ecc. La flessibilità e la capacità di trovare soluzioni personalizzate costituiscono i punti di forza dell’azienda e la partecipazione a fiere internazionali ha permesso di entrare in contatto con diverse realtà d’oltralpi, acquisendo clienti anche in America, Asia e nei Paesi dell’est Europa.

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CMB: Benne a polipo per escavatori e caricatori CMB è un’azienda che opera nel settore metalmeccanico in Asigliano Veneto. L’azienda, con lunga esperienza nel settore, produce attrezzature per il riciclaggio: si è specializzata nello sviluppo di benne a polipo per la movimentazione di rottami metallici sfusi o compattati, minerale di ferro, rifiuti solidi urbani, pellame, carta, massi, fanghi, stracci, ecc. I polipi idraulici CMB sono ideali per il completamento di caricatori, escavatori, gru, carriponte e camion. I loro svariati allestimenti permettono di essere versatili per ogni tipo di impiego. Oltre alle benne a polipo, CMB ha voluto allargare la sua gamma inserendo la produzione di benne mordenti idrauliche: queste benne sono indicate per lo scavo e carico di sabbia, ghiaia, fango, movimento terra in genere, svuotamento di fossi e canali. La novità sono le pinze per la movimentazione di tubi in ferro, rotaie, binari ferroviari, traverse ferroviarie, pali, legname, pallet e tronchi. Le benne a polipo CMB sono costruite con acciai ad alto limite elastico (WELDOX e DOMEX) per le parti strutturali, mentre per le parti soggette ad usura che entrano in contatto con materiali da movimentare, come le punte e le valve, si utilizzano acciai antiusura (HARDOX). CMB, grazie alla sua lunga esperienza, costruisce su misura attacchi e snodi da applicare a gru e bracci per il collegamento “a pendolo” della benna a polipo. In particolare, le benne a polipo idrauliche CMB sono state progettate per essere robuste, agili e compatte per un miglior utilizzo da parte dell’operatore. I cilindri, di grande alesaggio, permettono di avere una straordinaria forza al dente: presentano ghiere di serraggio esterne e snodi sferici alle estremità per garantire la massima affidabilità anche nei lavori più duri. La caratteristica principale che le differenzia del mercato è l’applicazione del cilindro studiato appositamente per proteggere lo stelo da urti. La benna a polipo è costruita con materiali antiusura: HARDOX 450 e 500. Queste caratteristiche rendono adatte le Benne a Polipo Serie PE ad escavatori fino a 40 t di peso per movimentazione rottami e materiali vari.

INERTI CAVOZZA TRASFORMA IL RIFIUTO IN RISORSA NEL RISPETTO DELL’AMBIENTE La Inerti Cavozza s.r.l. è nata nel 1975 come azienda di fornitura di materiali inerti e autotrasporto per conto terzi; nel corso degli anni però l’attenzione alle esigenze della clientela ha portato l’azienda a sviluppare un ampio ventaglio di servizi tanto nel settore dell’edilizia quanto in quello dello smaltimento di rifiuti speciali, essendo questo un importante problema ambientale. Da alcuni anni l’azienda è diventata centro di raccolta, recupero e smaltimento rifiuti, con iscrizione nel registro delle imprese che effettuano l’attività di recupero della Provincia di Parma e nell’Albo nazionale gestori rifiuti di Bologna. La Inerti Cavozza, la cui sede si sviluppa su di una superficie di circa 20.000 metri quadrati, dispone di cassoni e benne scarrabili di varie misure, campattatori, caricatori a ragno e presse verticali. In grado quindi di fornire ogni tipo di servizio rivolto allo smaltimento di rifiuti speciali quali: plastica, carta, cartone, legno, pneumatici, ferro, vetro, rifiuti di costruzione e demolizione con servizio di microraccolta per piccole quantità. In tal modo la Inerti Cavozza si configura come un nodo centrale del sistema di recupero del rifiuto che confluisce da ogni settore sia esso industriale, artigianale, commerciale, edile o professionale, così da poterlo trasformare in preziosa materia prima da avviare al riutilizzo come previsto dalle disposizioni vigenti. Le autorizzazioni di cui l’azienda dispone consentono il deposito delle diverse tipologie identificate dal codice europeo, di stoccare il rifiuto minuziosamente selezionato in box separati in attesa della idonea reimmissione nelle specifiche attività industriali. La professionalità dei propri operatori, la puntualità e la qualità dei servizi forniti della Inerti Cavozza sono testimoniate anche dalla presenza tra i suoi clienti di alcune tra le più importanti aziende presenti sul territorio non solo provinciale ma anche regionale (circa 350 aziende servite). L’azienda ponendo molto rilievo al rispetto per l’ambiente, che considera parte integrante della propria attività ha conseguito la certificazione UNI EN ISO 14001:04.

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dal 16 al 21 aprile 2012 Parigi - Nord Villepinte - Francia

Esposizione Internazionale delle Attrezzature e Tecnologie per le Industrie dell’Edilizia e dei Materiali

Together let’s build

the future

1.500 espositori 200.000 visitatori 375.000 mq espositivi

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an event by

Per ulteriori informazioni : Saloni Internazionali Francesi S.r.l. Tel.: 02/43.43.53.27 - Fax: 02/46.99.745 e-mail: adelpriore@salonifrancesi.it

www.intermat.fr


E COAP P U N TA ME N T I

Ecomondo

Rimini, DAL 9 AL 12 novembre

In un'unica grande fiera tutta l´industria dell´Ambiente in Mostra nel più qualificato appuntamento nazionale giunto quest’anno alla 15° edizione. È la vetrina più qualificata sulle soluzioni tecnologiche più efficaci alla corretta gestione e valorizzazione del rifiuto in tutte le sue tipologie, al risparmio idrico, all´efficienza energetica, al riuso delle risorse. Punto di confronto per i key players di natura strategica su nuovi modelli di crescita economica e di business attraverso la lente di ingrandimento della green economy. Uno straordinario strumento di informazione e formazione per i professionisti del settore. Un tavolo di interazione unico tra impresa e ricerca delle migliori soluzioni per un business etico e responsabile. Trova spazio all’interno della manifestazione il progetto “Decommissioning”, dedicato alle demolizioni ed al risanamento di aree dismesse civili e industriali, che dopo il successo del 2010 quest’anno godrà di spazi più ampi per la parte espositiva nonché di due interessanti giornate convegnistiche dedicate al mercato del decommissioning dei siti industriali e all´Expo2015 come opportunità per il recupero di aree dismesse. www.ecomondo.com

Pollutec horizons 2011

Parigi, dal 29 novembre al 2 dicembre

Appuntamento mondiale dedicato alle eco-tecnologie, alla performance energetica e alle soluzioni per il trattamento dell’inquinamento, Pollutec Horizons si svolgerà quest'anno a Paris Nord Villepinte. Oltre ai settori tradizionali (acqua, aria, rifiuti, suolo, rischi) saranno presentate le nuove sfide ecologiche (riciclaggio e valorizzazione, riutilizzo dell’acqua, RSE – Ricerca sul Sistema Energetico e acquisti sostenibili, cambiamento climatico e economia senza carbonio, biodiversità,…) e in un contesto di ripresa economica, la prossima edizione sarà incentrata su tre tematiche in grado di suscitare forti attese fra gli operatori: l’innovazione, la ricerca e il finanziamento; l’ottimizzazione dei processi industriali; l’energia e la performance energetica. Sono attesi circa 1.500 espositori di cui il 30% internazionali provenienti da tutto il mondo e 35.000 visitatori: industriali, rappresentanti di enti e amministrazioni locali, operatori dell’ambiente, dell’energia, dell’edilizia, dell’agricoltura, del commercio e della distribuzione. www.pollutec.com

Klimahouse

Bolzano, dal 26 al 29 gennaio 2012

Klimahouse è la fiera leader del settore per l’efficienza nell’edilizia sostenibile giunta quest'anno alla settima edizione. Klimahouse nasce dall’esigenza sempre crescente di costruire in maniera sostenibile, risparmiando energia e così rispettando l’ambiente. Klimahouse si svolge in Alto Adige, territorio all’avanguardia per quanto riguarda costruzioni sostenibili e risparmio energetico. Già da anni il progetto “CasaClima” è ormai sinonimo di edilizia moderna, che unisce sostenibilità, drastica riduzione dei costi energetici e una perfetta climatizzazione dell’ambiente. In questo contesto Klimhouse mette a disposizione dell'espositore e del visitatore le competenze sviluppate in Alto Adige grazie all'offerta espositiva qualificata e assai specializzata dei suoi espositori e ad un programma convegnistico pensato proprio per fornire informazioni, trasferire competenze e rispondere alle esigenze di enti locali, imprese e professionisti del settore. www.fierabolzano.it/klimahouse

Ecocasa&Ecoimpresa Expò

Reggio Emilia, Dal 16 al 19 febbraio 2012

In ogni settore dell’edilizia: civile, sociale, industriale, terziario, l’attenzione verso il risparmio energetico, la salubrità degli edifici, gli accorgimenti costruttivi e le tecnologie che favoriscono il comfort, la sicurezza, l’accessibilità, la qualità complessiva, è in costante crescita. Nella sua 6a edizione, Ecocasa&Ecoimpresa Expò svilupperà in particolar modo le tematiche legate all’identificazione di un modello mediterraneo, inteso quale modello di architettura sostenibile adatto al clima italiano; all’individuazione delle tecniche di intervento necessarie alla riqualificazione e all’efficienza energetica degli edifici esistenti, che costituiranno, nei prossimi anni, il maggior impegno nel settore dell’edilizia e allo sviluppo delle energie rinnovabili. La manifestazione proporrà inoltre un vasto programma di iniziative, che andranno a coinvolgere oltre ai progettisti anche i cittadini e specifiche categorie di soggetti, coinvolti anche indirettamente nel processo di sostenibilità degli edifici. Ecocasa&Ecoimpresa Expò vuole porsi, quindi, quale appuntamento di riferimento, un importante momento di incontro tra le aziende protagoniste della green economy e tutti i soggetti interessati. www.ecocasa.re.it

Intermat

Parigi, dal 16 al 21 aprile 2012

Il Salone internazionale dedicato alle attrezzature per cantiere si svolgerà nel quartiere fieristico di Paris-Nord Villepinte: un’offerta mondiale con visitatori provenienti da tutti i Paesi ed eventi nuovi e straordinari. Intermat 2012 è la più grande fiera triennale francese del settore, che in questa edizione si contraddistinguerà per la creatività e per l’organizzazione di eventi eccezionali, tesi a valorizzare il settore delle attrezzature per cantiere e le imprese che le utilizzano, tra questi eventi il “Pré-Intermat Prestige” e gli “Innovation Awards”. La Manifestazione dovrebbe richiamare oltre 200.000 visitatori: l’ultima edizione, nel 2009, ha riunito circa 1.500 espositori e quasi 185.000 visitatori (di cui il 33% internazionali). www.intermat.fr

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libri

SMALTIMENTO DEI RIFIUTI RADIOATTIVI PROBLEMATICHE E SOLUZIONI GEOLOGICO-AMBIENTALI A cura di Aldo Brondi, Riccardo Levizzari, Giancarlo Ventura e Francesco Zarlenga

Dario Flaccovio Editore (pagine 207 - € 32,00) “Sottrarre lo spazio che negli anni si è conquistata la disinformazione, su un argomento delicato come lo smaltimento dei rifiuti radioattivi” questo è lo scopo della pubblicazione di questo volume secondo le parole dell’Ing. Lelli, Commissario dell’Enea. Si tratta di un vero e proprio manuale che contiene al suo interno informazioni raccolte in anni di ricerca, in Italia e all’estero, dai curatori di questo volume, quattro geologi con rilevanti esperienze in Enea e in Sogin sulle tematiche riguardanti lo smaltimento di questa particolare categoria di rifiuti. Partendo dall’analisi degli aspetti che riguardano la produzione dei rifiuti il testo analizza poi tutte le problematiche relative alla gestione ed allo smaltimento dei rifiuti radioattivi, sia ad alta che a bassa attività. Strutturato in sei capitoli, una parte rilevante è dedicata ai depositi geologici per lo smaltimento di tali materiali, approfondendo il concetto degli analoghi naturali che rappresentano il filo conduttore di tutta l’attività di ricerca svolta su tali tematiche negli ultimi quarant’anni, sia in Italia che all’estero. Il capitolo conclusivo è invece riservato alla comunicazione ambientale, un aspetto che assume spesso connotazioni socio-politiche, ma la cui rilevanza è fondamentale per la corretta formazione e informazione dei cittadini.

MENO 100 CHILI. RICETTE PER LA DIETA DELLA NOSTRA PATTUMIERA A cura di Roberto Cavallo

Edizioni Ambiente (pagine 223 - € 14,00) Non si può dire che le librerie scarseggino di libri sulle diete, ma è certo che un libro di ricette per mettere a dieta le nostre affamatissime pattumiere non può che fare del bene, di sicuro all’ambiente e quindi a noi di conseguenza. Trae ispirazione da uno spettacolo teatrale questo libro nel quale possiamo trovare l’approfondimento scientifico sapientemente “condito” da aneddoti e racconti sulle nostre azioni quotidiane e su come ciascuna di esse sia legata alla produzione di rifiuti. L’autore ci presenta una serie di trucchi che messi in pratica, a casa e sul lavoro, ci permettono di ridurre significativamente gli scarti con soluzioni vantaggiose e anche divertenti. Detersivi alla spina, compost in casa, ecopannolini fino alle feste a rifiuti zero, questi sono solo alcuni degli esempi concreti che vengono proposti per raggiungere l’obiettivo assai realistico di “meno 100 chili” di rifiuti. Un libro utile ma anche piacevole da leggere perché non si tratta di un “freddo” manuale ma di un testo scritto in modo personale e con la piena convinzione che si possa fare molto cambiando anche di poco le nostre abitudini quotidiane.

ESERCIZI RISOLTI DI INGEGNERIA GEOTECNICA E GEOLOGIA APPLICATA. VOLUME 1 E 2 A cura di Giulio Riga

EPC Editore (Vol. 1 pagine 383 – € 30,00; Vol. 2 pagine 349 – € 30,00) Questi due volumi nascono per fornire a studenti e professionisti del settore i presupposti teorici e i metodi di base necessari per la risoluzione dei problemi di geologia applicata e di ingegneria geotecnica. L’autore ha racchiuso nei sette capitoli del primo volume e nei nove capitoli del secondo tutti i maggiori temi: dalla distribuzione degli sforzi alle fondazioni profonde, dall’abbassamento della falda all’idrochimica. I manuali fanno parte della collana "Quaderni per la progettazione" e ciascun esercizio è articolato in una parte teorica introduttiva di supporto alla risoluzione dell’esercizio ed in una parte di calcolo vera e propria dove viene riportato lo svolgimento del problema. Questi testi sono di indubbia utilità per accrescere le proprie conoscenze sull’argomento fornendo una panoramica sulle possibilità che si hanno nell’affrontare le tematiche della geologia applicata e dell’ingegneria geotecnica anche senza il supporto di programmi di calcolo dedicati.

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Anno 4 - Numero 17


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