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settembre 2012 anno v numero 20

aNALISI DI RISCHIO Poste Italiane Spa - Sped. in a.p. - D.L. 353/2003 conv. in L. 46/2004, art.1, c.1 - CB-NO/Torino – Anno 5 n. 20 DEA edizioni s.a.s. Strada del Portone, 127 - 10095 Grugliasco (TO)

LA SOLUZIONE STA NEL CONFRONTO E NELLA SEMPLIFICAZIONE

RACCOLTA DIFFERENZIATA LUCI E OMBRE SUL RICICLAGGIO DEI RIFIUTI IN ITALIA BARRIERE PERMEABILI REATTIVE BONIFICA DI ACQUIFERI CONTAMINATI DA PCE E TCE RECUPERO AREE DISMESSE GLI INCENTIVI PREVISTI DALLE NORME REGIONALI LOMBARDE

settembre 2012


PeVmedia.com

SO O N

CO M IN G

7,10NOVEMBRE2012RIMINIfierA Demolizione e riqualificazione Di aree Dismesse

ecologia energia TECNOLOGIA AL SERVIZIO DELL’ECOLOGIA TESECO viene fondata nel 1984 e sin dal suo esordio opera nel settore ecologico. Recupero della materia, recupero di aree inquinate e produzione energetica da fonti rinnovabili sono i cardini dell’impegno TESECO, da sempre al servizio dell’ambiente. TESECO è interlocutore unico partner ideale in grado di agire con competenza, professionalità e passione nella gestione dei rifiuti speciali e nella bonifica di aree inquinate. TESECO è certificata UNI EN ISO 9001, UNI EN ISO 14001, OHSAS 18001 TESECO è a Pisa, Torino, Milano, Trieste, Terni, Brindisi e Messina.

TESECO – trattamento rifiuti TESECO è leader in Italia nel settore di trattamento dei rifiuti speciali e delle bonifiche di siti contaminati. L’azienda gestisce, nella propria sede di Pisa, una piattaforma polifunzionale per lo stoccaggio ed il trattamento dei rifiuti speciali e delle acque e dei terreni contaminati tra le più complete ed efficienti presenti nel Paese con l’impiego di impianto di inertizzazione; lavaggio terreni (soil washing); impianto di triturazione e adeguamento volumetrico; impianto chimico-fisico; impianto biologico; laboratori di analisi.

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ritorna l'appuntamento dedicato alle demolizioni e al risanamento dei brownfield in contemporanea con

16a fiera internazionale del recupero di materia ed energia e dello sviluppo sostenibile www.ecomondo.com Per info: rimini fiera • mauro Delle fratte • Tel. 0541 744302 • m.dellefratte@riminifiera.it Dea edizioni • maria Beatrice celino • Tel. 335 237 390 • b.celino@deaedizioni.it

un evento organizzato da

TESECO – Bonifiche Presente con i propri cantieri in tutta Italia TESECO costituisce un punto di riferimento insostituibile per il trattamento di aree contaminate con assoluta certezza della qualità e affidabilità del lavoro svolto, nel rispetto dei limiti tabellari imposti dalla normativa. Proponiamo alla committenza due diligence ambientale e analisi del rischio; indagini ambientali; bonifiche suolo e sottosuolo; gestione delle emergenze ambientali; global service ambientale; lavori a mare; riqualificazione ambientale.

TESECO Bonifiche da amianto TESECO affianca i clienti nelle operazioni di censimento della presenza di amianto in siti produttivi, strutture edili e navali, redige la mappatura del sito ed i progetti di bonifica, esegue gli interventi di messa in sicurezza o rimozione dei materiali e la loro sostituzione.

TESECO Energia TESECO è partner unico e qualificato in tutti i passaggi necessari per semplificare, ottimizzare e garantire alte prestazioni a chi scelga le potenzialità energetiche fotovoltaiche. L’azienda si pone come interlocutore capofila per la progettazione, realizzazione e gestione di centrali a biomasse per la produzione di energia elettrica, garantendo controllo e logistica nella scelta dei combustibili.

TESECO Sistema Integrato Qualità Ambiente Sicurezza Oggi TESECO è in grado di offrire la sua consulenza per l’ottenimento e il mantenimento delle certificazioni in base alle esigenze dell’azienda, in conformità alle normative vigenti e secondo i canoni: UNI EN ISO 9001 • UNI EN ISO 14001 • OHSAS 18001 Il servizio di consulenza TESECO si arricchisce con l’offerta di corsi di formazione su Qualità, Ambiente e Sicurezza in grado di soddisfare ogni tipo di committenza.

Sede Legale, Direzione Generale, Tecnica e Operativa Via C.L. Ragghianti, 12, Pisa. Tel. 050 987511 - Fax 050 987575

www.teseco.it



INNOVAZIONE, RICERCA E SVILUPPO

GLOBAL SERVICE

IMPIANTI

_ 4.000.000 di euro per progetti nel periodo 2008-2012 _ Progetti: n ENERCLEAN “Idrogeno della combustione dell’alluminio” n GENERATOR “nuovo lampione per generare energia elettrica con fonte eolica e fotovoltaica ad elevata diffusività applicativa” n Trattamento percolato discariche n Unità mobile trattamento acque n Unità mobile trattamento fanghi n Impianto pilota di Osmosi

IMPIANTI MOBILI AUTORIZZATI

Sede principale Via Cimabue, 11/2 60019 Senigallia - An Tel. 071 6610040 Tel. 071 6610063 Fax 071 6610165 info@simam-spa.it www.simam-spa.it Sedi periferiche in Italia Assemini Cagliari Via Pio IX - Tel. 070 247394 Priolo Gargallo Siracusa Via Castel Lentini Tel. 0931 771406 Venezia - Marghera VEGA Parco Scientifico e Tecnologico di Venezia Via della Libertà, 12 Tel. 041 5093628 Principali sedi nel mondo Cina china@simam-spa.it Croazia info@simam.hr Costa d’Avorio simamci@simam-spa.it Senegal senegal@simam-spa.it

INGEGNERIA

AMBIENTE

RIFIUTI

SALUTE E SICUREZZA

ENERGIA

Autorizzazione alla realizzazione e utilizzo di 18 impianti mobili per il trattamento chimico-fisico (D9) di rifiuti liquidi costituiti da acque industriali ed acque di falda contaminate da inquinanti _ Impianti modulari skid mounted _ Moduli da 18 m3/h e da 36 m3/h _ Capacità totale di trattamento ca 600 _ CER trattati: n Rifiuti della raffinazione del petrolio, purificazione del gas naturale e trattamento pirolitico del carbone n Rifiuti dei processi chimici inorganici n Rifiuti dei processi chimici organici n Rifiuti della produzione, formulazione, fornitura ed uso di rivestimenti (pitture, vernici e smalti vetrati), adesivi, sigillanti e inchiostri per stampa n Rifiuti prodotti dal trattamento chimico superficiale e dal rivestimento di metalli ed altri materiali; idrometallurgia non ferrosa n Rifiuti prodotti dalla lavorazione e dal trattamento fisico e meccanico superficiale di metalli e plastica n Oli esauriti e residui di combustibili liquidi n Rifiuti non specificati altrimenti nell’elenco n Rifiuti prodotti da impianti di trattamento dei rifiuti, impianti di trattamento delle acque reflue fuori sito, nonché dalla potabilizzazione dell’acqua e dalla sua separazione per uso industriale _ Autorizzazioni ai sensi degli art. 208 e 210.


e d i tor ia l e

Si apre il sipario sull’Ilva di Taranto

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l quartiere Tamburi di Taranto fino a pochi mesi fa era sconosciuto a tutti, un agglomerato di case vicino ad un polo industriale, un quartiere anonimo dove abitano per lo più lavoratori ed operai. Quanti ce ne sono in Italia di quartieri simili? Praticamente uno o più per ogni grossa industria, acciaieria o raffineria che sia; ma adesso che tutti gli occhi sono puntati sull’Ilva di Taranto, la fabbrica dei veleni, è scoppiato lo scandalo, l’indignazione e la compassione per gli sfortunati abitanti del quartiere. “Nei giorni di vento da Nord – Nord Ovest veniamo sepolti da polveri di minerale e soffocati da esalazioni di gas provenienti dalla zona industriale Ilva, per tutto questo malediciamo coloro che possono fare e non fanno nulla per riparare” non è un intervista di uno degli abitanti del Tamburi ma una targa in marmo appesa al centro del quartiere che denuncia quello che nessuno voleva vedere, quello che nessuno voleva sapere. Quello che però in pochi sanno è che la targa è datata agosto 2001… sì, avete letto bene… oltre 10 anni fa. Il problema dell’inquinamento dell’Ilva non è cosa nuova, il fatto che non se ne sia mai parlato non deve stupire: sono gli scandali che fanno informazione e lo scandalo non è mai stato la situazione ambientale o lo stato di inquinamento dei luoghi vicini alla fabbrica, quelle erano notizie ordinarie, lo scandalo è stato l’ordinanza di chiusura dello stabilimento, i posti di lavoro a rischio e il calo della produzione. La gente viveva nel quartiere prima che la fabbrica venisse costruita, circa 50 anni fa, e continuerà a viverci adesso. Ma a quale prezzo? Il caro prezzo della propria salute e della vita che qualcuno più in alto ha deciso di sacrificare per interesse. Purtroppo sappiamo tutti che industrie e ambiente sovente non vanno d’accordo, che tenere sotto controllo le emissioni costa, che investire nell’ambiente non vuol dire incrementare la produzione; “abbattere l’inquinamento dell’Ilva si può” titolano i giornali “sono stati stanziati 146 milioni di euro per la bonifica”, esistono sempre le soluzioni ad un problema quando bisogna impedire di far chiudere l’acciaieria più grande d'Europa, quando bisogna salvaguardare il lavoro di migliaia di persone. Esistono sempre soldi pronti per rimediare a un danno solo in attesa di essere scoperto. Lo scandalo dell’Ilva dovrà essere di esempio, sicuramente per i rimedi che il Governo insieme alle parti civili e alla fabbrica metteranno in campo per risolvere questa situazione, ma soprattutto per quello che è stato e che non dovrà mai più ripetersi: tutti quegli anni di silenzio e tutte le denunce inascoltate. Massimo Viarenghi

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20 s o m m a r i o

settembre 2012

ECO bonifiche rifiuti demolizioni

www.ecoera .it

RUBRICHE

30 sorge a barcellona l'impianto di trattamento dei rifiuti urbani che integra il recupero di energia e di materia riducendo gli impatti sull'ambiente

ecoNews Vetrina ecoappuntamenti Libri

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STORIA DI COPERTINA ANALISI DI RISCHIO: più consapevolezza e meno “utilizzi impropri” di Tina Corleto

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ATTUALITÀ

38 la sicurezza del lavoro in relazione al settore degli appalti: le criticità legate a subappalti, massimi ribassi e qualificazione delle imprese

54 Sono in corso a milano i lavori di demolizione che porteranno all'abbattimento di uno dei tanti scempi edilizi del nostro paese: l'ex albergo monluè

Raccolta differenziata in Italia: luci e ombre di Gianni Marella

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Conto alla rovescia per Decommissioning 2012 di Maria Beatrice Celino

16

Cambia stagione, cambiamo abitudini! di Matteo Lovatti

19

La rigenerazione urbana come strumento per uscire dalla crisi di Bruno Vanzi

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Ridurre i rifiuti è un rompicapo? Forse, ma rebus è una soluzione di Sabrina Bonomi

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A Ravenna per fare i conti con l’ambiente di Gian Maria Brega

28

THE BIG EYE A Barcellona si integrano recupero di energia e di materia dai rifiuti di Pietro Navarotto e Raul Dominguez Llauro

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REPORT Sull'area della ex michelin nascono gli alberi... anzi le albere! di Maeva Brunero Bronzin

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SPECIALE

70 trasformazione dei rifiuti organici domestici in biometano. la filiera sostenibile per la valorizzazione della forsu in prossimità dei centri urbani

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Anno 5 - Numero 20

La sicurezza sul lavoro negli appalti e la qualificazione delle imprese di Maria Bonacci

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PANORAMA AZIENDE Flygt Experior: il top per risparmiare fino al 50% di Andrea Mariani

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Anno 5 - Numero 20 Settembre 2012 Direttore responsabile: Massimo Viarenghi Direttore editoriale: Tina Corleto Direttore commerciale: Maria Beatrice Celino Coordinamento editoriale: Maeva Brunero Bronzin

WORK IN PROGRESS REPLACEMENT DRILLINGS: BONIFICHE MEDIANTE CAROTAGGI A LARGO DIAMETRO di Alessandro Raffaldi Demolizione in punta di piedi di Andrea Terziano Il termovalorizzatore di San Vittore del Lazio: la gestione rifiuti sostenibile di Lara Bianchi

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Ecomostro, addio! di Marco Colombo

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Bonifica in-situ di lunga durata di Raffaele Pellegatta

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PROGETTI E TECNOLOGIE Barriere permeabili reattive adsorbenti per acquiferi contaminati da PCE e TCE di Armando Di Nardo et al.

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valutazione sanitaria dei monitoraggi dell’aria nei siti contaminati di Laura Colombo e Roberto Tebaldi

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La valorizzazione della forsu per la produzione di biometano di G. Ghiringhelli, M. Giavini e M. Centemero

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Urban mining e Web-GIS per l’ottimizzazione della raccolta differenziata di E.C. Rada, M. Ragazzi e P. Fedrizzi

74

L’incentivazione del recupero delle aree dismesse in Lombardia di Federico Vanetti

78

Impianti fotovoltaici: normativa e disciplina autorizzativa di Rosa Bertuzzi

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ASSOCIAZIONe STUDI AMBIENTALI Aggiornamenti e notizie

Comitato Scientifico: Maria Rosaria Boni (Sapienza Università di Roma) Daniele Cazzuffi (Cesi spa – Remtech) Laura D'Aprile (ISPRA, Roma) Luciano De Propris (Consulente ambientale) Ennio Forte (Università degli studi di Napoli) Luciano Morselli (Università di Bologna) Andrea Quaranta (Giurista ambientale – Cuneo) Gian Luigi Soldi (Provincia di Torino) Federico Vagliasindi (Università di Catania) Maria Chiara Zanetti (Politecnico di Torino) Ufficio commerciale - Vendita spazi pubblicitari: Maria Beatrice Celino Tel. 011 7802164 Cell. 335 237390 e-mail: b.celino@deaedizioni.it Grafica, disegni e impaginazione: PeVmedia - Via C. Vidua, 7G - 10144 Torino Abbonamenti: Italia annuo € 35,00 - estero annuo € 70,00 copia singola € 9,50 - arretrati € 11,50 Per abbonarsi è sufficiente fare richiesta a info@deaedizioni.it Stampa: Tipografica Derthona - s.s. per Genova, 3/I - 15057 Tortona (AL)

NORMATIVA

Il rischio Radon nelle costruzioni di Casto di Girolamo e Giuseppe Argento

Collaboratori: Giuseppe Argento, Rosa Bertuzzi, Lara Bianchi, Maria Bonacci, Sabrina Bonomi, Imma Bortone, Gian Maria Brega, Maria Beatrice Celino, Massimo Centemero, Laura Colombo, Marco Colombo, Casto di Girolamo, Armando Di Nardo, Michele Di Natale, Raul Dominguez Llauro, Alessandro Erto, Pierluigi Fedrizzi, Giorgio Ghiringhelli, Michele Giavini, Matteo Lovatti, Gianni Marella, Andrea Mariani, Anna Montefinese, Dino Musmarra, Pietro Navarotto, Raffaele Pellegatta, Elena Cristina Rada, Alessandro Raffaldi, Marco Ragazzi, Roberto Tebaldi, Andrea Terziano, Federico Vanetti

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Responsabilità: la riproduzione delle illustrazioni e articoli pubblicati dalla rivista è riservata e non può avvenire senza espressa autorizzazione della Casa Editrice. I manoscritti e le illustrazioni inviati alla redazione non saranno restituiti, anche se non pubblicati, e la Casa Editrice non si assume responsabilità per il caso che si tratti di esemplari unici. La Casa Editrice non si assume responsabilità per i casi di eventuali errori contenuti negli articoli pubblicati o di errori in cui fosse incorsa nella loro riproduzione sulla rivista. La responsabilità di quanto espresso negli articoli firmati rimane esclusivamente agli Autori. Direzione, Redazione, Abbonamenti, Amministrazione:

DEA edizioni s.a.s. Strada del Portone 127 10095 Grugliasco (TO) Tel. 011 7802164 Fax 011 4047946 e-mail: info@deaedizioni.it www.deaedizioni.it

Organo Ufficiale dell'Associazione Studi Ambientali L’abbonamento è deducibile al 100%. Per la deducibilità del costo ai fini fiscali vale la ricevuta del versamento a norma D.P.R. 22/12/86 n. 917 artt. 50 e 75. Conservare il tagliando - ricevuta, esso costituisce documento idoneo e sufficiente ad ogni effetto contabile. Non si rilasciano in ogni caso altre quietanze o fatture per i versamenti in c.c.p. Pubblicazione bimestrale Poste Italiane Spa – Sped. in a.p. D.L. 353/2003 conv. in L. 46/2004, art. 1, c. 1 – registrata presso il Tribunale di Torino il 19 ottobre 2009 al n. 56. Ai sensi del D.Lgs. 196/2003, informiamo che i dati personali vengono utilizzati esclusivamente per l’invio delle pubblicazioni edite da DEA edizioni s.a.s. Telefonando o scrivendo alla redazione è possibile esercitare tutti i diritti previsti dall’articolo 7 del D. Lgs. 196/2003.


n e ws

Gli innumerevoli benefici dell a filiera industriale raccolta -riciclo degli imball aggi

Nel 2011 l’industria del riciclo ha registrato un fatturato di 9,5 miliardi di euro, lo 0,61% del PIL nazionale, in crescita del 7% rispetto al 2010. Da questi dati si comprende come differenziare e riciclare, oltre a fare bene all’ambiente, faccia bene all’economia del Paese. Il fatturato dell’industria del riciclo si conferma come uno dei comparti principali della green economy, seconda nel 2011 al settore delle energie rinnovabili ed in testa nel 2012. Facendo poi un confronto con settori industriali ben più radicati e storici è possibile notare come con 9,5 miliardi di euro il riciclaggio superi il fatturato del settore tessile (8,4 miliardi di fatturato) e sia invece pari al settore della cosmetica. Rilevante, e in controtendenza, è inoltre l’incremento registrato nel 2011 rispetto all’anno precedente che con un 7,1% è notevolmente superiore all’aumento registrato dal PIL italiano (0,4%) e all’incremento della produzione industriale che si è attestato allo 0,1%. Questi dati confermano quindi il ruolo di riferimento del settore della raccolta differenziata e del riciclo degli imballaggi non solo nel panorama dell’industria green del nostro Paese, ma più in generale rispetto all’intero comparto industriale italiano all’interno del quale rappresenta una straordinaria opportunità di crescita e sviluppo in ottica sostenibile. Dal 1998 ad oggi il recupero dei rifiuti da imballaggio è aumentato del 140%. Nel 2011, 3 imballaggi su 4 sono stati recuperati mentre erano 1 su 3 nel 1998. Grazie allo sviluppo delle convenzioni sulla raccolta differenziata previste dall’Accordo quadro ANCI-CONAI, nel 2011 sono 7.267 i Comuni serviti, con un coinvolgimento di oltre 57 milioni di cittadini, pari al 95% della popolazione. Nell’ultimo anno, questo si è tradotto in un incremento dei materiali di imballaggio conferiti pari al 10,7% nel Centro Italia e del 4,1% al Sud. L’incremento medio nazionale della raccolta in convenzione è stato invece del 2,8%. Parlando poi di occupazione, il numero totale degli addetti del settore della gestione dei rifiuti è circa di 100.000 unità. Gli addetti del solo comparto della raccolta e del riciclo dei rifiuti di imballaggio sono, invece, oltre 36.000. Questo dato rappresenta l’indotto del Sistema Conai, che gestisce solo il 47% del riciclo italiano, in una situazione ove ancora il 50% dei rifiuti urbani viene inviato in discarica. E’ quindi evidente il potenziale di miglioramento e il conseguente impatto sull’occupazione che ancora è possibile sviluppare. In crescita anche i benefici economicoambientali che nel 2011 si sono attestati su un bilancio di 1,4 miliardi di euro mentre nel primo semestre del 2012 si prevede un “saldo positivo” netto di 712 milioni di euro. In termini ambientali, infine, il Sistema di raccolta consortile ha permesso di evitare in 15 anni emissioni di CO2 per complessivi 74 milioni di tonnellate, di evitare la costruzione di 507 discariche e l’avvio a smaltimento di 60,5 milioni di tonnellate di rifiuti.

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Quinto conto energia: aperto il Registro per i grandi impianti Il Gse (Gestore dei servizi energetici) ha reso noto che dalle ore 9.00 del 20 agosto è aperto il primo Registro per gli impianti fotovoltaici di potenza superiore a 12 kW che saranno incentivati con il Quinto conto energia. Le iscrizioni si chiuderanno alla mezzanotte del prossimo 18 settembre. L'iscrizione al Registro dovrà avvenire esclusivamente tramite web e l’ammissione in graduatoria sarà possibile solo entro il limite di costo stabilito dal decreto sul Quinto conto energia all'articolo 3, comma 2. Il tetto, in particolare, è di 140 milioni di euro, fatto salvo il raggiungimento del costo cumulato degli incentivi al fotovoltaico di 6,7 miliardi di euro l’anno. I prossimi Registri, secondo quanto previsto dal Quinto conto energia, saranno aperti con cadenza semestrale e resteranno aperti per 60 giorni. Le soglie di spesa saranno di 120 milioni di euro per il secondo Registro e di 80 milioni per quelli successivi, sempre fino al raggiungimento dei 6,7 miliardi annui complessivi. I titolari degli impianti, in pratica, devono sperare di rientrare nei limiti di spesa previsti dai vari Registri. Chi non riuscirà a rientrare nella soglia, potrà comunque presentare domanda di iscrizione al registro successivo, ma dovrà presentare di nuovo tutta la documentazione richiesta.

L a Turchia avvia un ciclopico piano di demolizioni, a rischio 1 casa su 3 Dopo il terribile terremoto di Van, che nell’ottobre scorso costò la vita a oltre 600 persone, la Turchia si appresta a cambiare il volto delle sue città in vista anche delle celebrazioni del 2023, quando ricorreranno i 100 anni della repubblica fondata da Mustafa Kemal Ataturk. Il faraonico piano di rinnovamento urbano potrebbe portare alla demolizione di un terzo dei circa 20 milioni di case del Paese, edifici vecchi o costruiti senza tener conto delle norme antisismiche, in un’area dove quasi ogni settimana si registra un evento sismico di media intensità. Si partirà nei primi due anni dalle 700 zone a più alta vulnerabilità con opere di consolidamento oppure con la demolizione completa. Sono più di sei milioni le case a rischio e per affrontare questo complesso piano di rinnovamento la Turchia farà appello a ditte straniere poiché nel Paese non vi sono aziende così specializzate negli interventi di demolizione che, nei casi degli edifici più alti, verranno eseguite anche mediante esplosivo. Sono già numerose infatti le società estere che hanno manifestato interesse per andare ad operare sul territorio turco rispondendo all’invito di associarsi con partner locali. Certamente il piano di rinnovamento previsto porterà all’ulteriore espansione della capitale, Istanbul, che conta già ora 15 milioni di abitanti ma che espandendosi sulla riva europea, a Kayaseyir, potrebbe accoglierne un altro milione.


Emergenza rifiuti a Roma: riorganizzare l a differenziata per uscire dal caos

Mentre il commissario per l'emergenza rifiuti di Roma, il prefetto Goffredo Sottile, pare aver scelto Monti dell'Ortaccio come sito da proporre per ospitare la discarica provvisoria per i rifiuti della capitale e mentre in città la protesta attraversa tutti i comitati, i quartieri e anche ampie fette delle istituzioni locali, si rafforza l’esigenza di rendere la raccolta differenziata più semplice ed efficiente in modo da ridurre realmente i rifiuti da conferire in discarica. Al momento risultano attivi ben cinque sistemi di raccolta differenziata, ma per semplificare il sistema e sperare in una maggior collaborazione da parte dei cittadini è necessario che i sistemi diventino due, un impegno che Salvatore Cappello aveva preso nell’assumere la carica di amministratore delegato dell’Ama circa un anno fa. Da novembre quindi si cambia ed i sistemi di differenziazione saranno il porta a porta integrale, con i contenitori nei condomini, e la classica raccolta stradale, con i cassonetti di diverso colore. Altre innovazioni riguarderanno la raccolta del vetro che verrà conferito separatamente dalla raccolta multi materiale.I cittadini riceveranno dall’Ama un kit per la differenziata che lancerà inoltre una massiccia campagna di informazione sulle regole della raccolta. Con l’avvio della fase sperimentale si estenderà il sistema all’intera città con l’obiettivo ambizioso di raggiungere il 40% di raccolta differenziata nel 2013 per arrivare al 50% nel 2014, puntando infine agli standard previsti dalla normativa europea. Importante sarà anche il ruolo di controllo contro le violazioni, un aspetto che l’Ama ha già incrementato dall’inizio dell’anno: dal primo gennaio a fine agosto sono 7767 le sanzioni elevate, superando già il totale delle violazioni accertate nel 2011 (5181).

Rel azione dell a Commissione europea sull a spedizione transfrontaliera dei rifiuti

E’ stata pubblicata la terza relazione sulla produzione, sul trattamento e sulle spedizioni transfrontaliere di rifiuti pericolosi e di altri rifiuti negli Stati membri dell'Unione europea nel periodo 2007-2009 redatta dalla Commissione europea. Il regolamento CE n. 1013/2006, che disciplina le spedizioni di rifiuti fra gli Stati membri dell’Unione, prevede infatti che ogni anno gli Stati stessi presentino una relazione relativa all'anno precedente concernente le disposizioni giuridiche, l'attuazione e le misure di tutela ambientale. Sulla base dei dati raccolti, ogni tre anni la

Commissione redige una relazione sulle limitazioni imposte alle spedizioni, il monitoraggio, i provvedimenti adottati contro le spedizioni illegali e la copertura finanziaria. Sebbene i dati forniti presentino spesso delle incongruenze tra Paesi importatori ed esportatori, e spesso i dati vengano trasmessi i ritardo non venendo quindi considerati nella stesura del documento, dalla relazione è comunque possibile riscontrare che nell’UE nel 2009 sono stati prodotti circa 77 milioni di tonnellate di rifiuti pericolosi. Questo dato rappresenta un incremento del 46% rispetto alla produzione del 2000 sebbene il 2009 abbia registrato un lieve decremento rispetto al 2008. Nel triennio in esame sono stati notificati in uscita dagli Stati membri 33,1 milioni di tonnellate di rifiuti, di cui 22,9 milioni di rifiuti pericolosi. Si sottolinea inoltre che il 99% di tutte le spedizioni di rifiuti pericolosi in uscita dagli Stati membri è stato destinato ai paesi dell'UE dei 27 e dell'Efta, mentre oltre il 95% è rimasto all'interno dell'UE dei 15. Secondo quanto riferito dagli Stati membri nel 2009 sono circa 400 i casi di spedizioni illegali di rifiuti, anche se si sospetta che il numero reale sia sensibilmente superiore. Nello stesso anno la metà degli illeciti segnalati riguardano spedizioni tra gli Stati membri, mentre l’altra metà riguarda spedizioni in entrata o in uscita dall’UE.

Cinque punti per lo sviluppo sostenibile dell’Italia Sono cinque i punti presentati dal Ministro dell’Ambiente, Corrado Clini, per promuovere lo sviluppo sostenibile dell’Italia. Si parte dalla “decarbonizzazione” dell’economia con l’obiettivo di sviluppare la filiera nazionale delle tecnologie green soprattutto nel settore energetico e della chimica “verde”. Il primo obiettivo potrà essere perseguito grazie all’approvazione del Piano nazionale per la riduzione delle emissioni di CO2 e degli altri gas serra, tramite l’approvazione di decreti per l’incentivazione delle energie rinnovabili e grazie all’introduzione di pedaggi autostradali differenziati in base alle emissioni specifiche di CO2/km. Il secondo punto riguarda la sicurezza del territorio: il Ministro propone entro dicembre 2012 l'approvazione del Piano Nazionale per l'adattamento ai cambiamenti climatici, la manutenzione e la sicurezza del territorio, la prevenzione dei rischi, sulla base di mappe aggiornate della vulnerabilità e la revisione degli usi del territorio in relazione alle mappe di vulnerabilità. Il terzo punto concerne la riqualificazione e la valorizzazione delle aree industriali dismesse in zone urbane, con l’obiettivo di recuperare aree strategiche per lo sviluppo urbano da anni bloccate da procedure di bonifica in corso e da contenziosi. Il quarto punto affronta invece la raccolta differenziata, puntando all’obiettivo del 70% da raggiungere entro il 2016 e con l’adozione entro dicembre 2012 del piano nazionale per il recupero dei rifiuti e la semplificazione delle procedure per l'autorizzazione degli impianti per la valorizzazione energetica della frazione residua dei rifiuti non riciclati. Il quinto punto infine riguarda la gestione integrata delle risorse idriche, con il perseguimento dei seguenti obiettivi: riduzione dei consumi di acqua, depurazione delle acque reflue e riuso delle acque depurate negli usi agricoli e industriali con l'adozione, entro dicembre 2012, del Piano Nazionale per la Gestione Integrata delle Risorse Idriche in Italia.

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s tor i a d i co p e rt i n a

ANALISI DI RISCHIO: più consapevolezza e meno “utilizzi impropri” Il futuro ci riserverebbe uno snellimento delle procedure amministrative e il rilancio degli interventi di bonifica di Tina Corleto

I

n molti paesi europei il territorio è una risorsa scarsa; la presenza di aree industriali dismesse e di discariche incontrollate rappresenta non soltanto un danno di tipo ambientale ma anche di carattere economico. L'Italia del resto, con la sua morfologia caratterizzata da elevate percentuali di territorio montuoso e con una densità abitativa molto alta nelle aree di pianura, non può più ambire al ripristino della "naturalità" del sito. Certamente permangono tutt’oggi una serie di problemi nel processo decisionale relativo alle aree contaminate: la riduzione del rischio, i requisiti relativi agli usi futuri, l’uso delle risorse ambientali, i costi, il coinvolgimento degli stakeholders, la gestione delle incertezze e altri vincoli urbanistici. Analizzando però tali problematiche, con uno sguardo a quanto indicato dalla rete europea per il recupero dei siti contaminati CLARINET, possiamo sostanzialmente definire tre componenti essenziali del modello rischio-territorio-gestione: • l’idoneità per l’uso ("fitness for use"), ottenuta attraverso la riduzione dei rischi sanitari ed ecologici per permettere il riutilizzo del sito per gli usi e funzioni cui esso è adibito; • la protezione dell’ambiente, ottenuta prevenendo la dispersione degli inquinanti. Una soluzione che soddisfi i requisiti di idoneità all’uso del sito non è una buona

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Anno 5 - Numero 20

soluzione se crea dei potenziali problemi nel futuro per le aree circostanti. La protezione ambientale del suolo come risorsa può portare a politiche che favoriscano il recupero dei brownfields rispetto al consumo di greenfields; • la riduzione dei controlli a lungo termine ("aftercare"), ottenuta con la scelta di soluzioni sostenibili. Le soluzioni che lasciano nel suolo i contaminanti immobili o inaccessibili implicano dei controlli o tecniche di contenimento a lungo termine e programmi di monitoraggio impegnativi, pur raggiungendo gli obiettivi prefissati, sono considerate meno desiderabili - a

causa dell’entità dei controlli di cui necessitano - delle soluzioni che minimizzano invece l’onere di aftercare. A livello normativo, in Italia molto si è fatto negli ultimi anni per snellire il processo decisionale e puntare alla riqualificazione dei siti dismessi. In primis, l'inserimento nel Testo Unico Ambientale di una fase di analisi di rischio che garantisce una valutazione obiettiva degli scenari di riconversione delle aree dismesse. Per valutare lo scenario attuale circa l'applicazione delle procedure di analisi di rischio, abbiamo rivolto alcune domande all'Ing. Laura D’Aprile, Responsabile del Settore Siti Contaminati presso ISPRA.


Oggi la strategia di intervento a livello europeo è rivolta a ottenere una "fitness for use", cioè a ripristinare la possibilità per un uso idoneo stabilito, anziché per tutti gli usi ipotizzabili. Al di là della normativa che ne impone l'applicazione, oggi come viene utilizzata l'Analisi di rischio e con quali risultati? L’utilizzo dello strumento dell’Analisi di Rischio sanitario-ambientale era già previsto dal D.M. 471/99 nel caso di impossibilità tecnicoeconomica di raggiungere i limiti tabellari. Il D.Lgs. 152/06 ha introdotto un’applicazione estensiva di tale strumento, fin dalle prime fasi di individuazione degli interventi, stabilendo che gli stessi obiettivi di bonifica vengano determinati su base sito-specifica mediante l’applicazione dell’analisi di rischio. Ad oggi l’analisi di rischio sito-specifica è quindi utilizzata diffusamente ed è aumentata in modo sensibile la consapevolezza tecnica di tale strumento. Occorre sottolineare che la valutazione di progetti di messa in sicurezza operativa e/o bonifica basati sull’analisi di rischio richiede competenze specifiche ed un approccio flessibile e multidisciplinare alla problematica. Infatti la valutazione degli obiettivi di bonifica

determinati mediante l’analisi di rischio sitospecifica non può prescindere da un esame complessivo del contesto al quale tali obiettivi devono essere applicati, in termini di livelli di contaminazione e di bersagli potenzialmente esposti e dalle finalità degli interventi, in termini di destinazione d’uso delle aree. Non bisogna mai dimenticare che l’obiettivo da perseguire, da parte delle autorità di controllo e degli operatori, deve essere la messa in sicurezza operativa o la bonifica del sito, da conseguirsi in tempi brevi anche al fine di consentire l’immediato riutilizzo delle aree. Qual è l'impegno di ISPRA su tale procedura? L’ISPRA, ex APAT, è impegnata fin dal 2004 nello sviluppo di strumenti tecnici per l’applicazione dell’analisi di rischio con l’obiettivo di fornire riferimenti comuni a tutti gli operatori del settore (pubblici e privati). L’impegno di ISPRA si è tradotto nella pubblicazione del manuale “Criteri metodologici per l’applicazione dell’analisi di rischio ai siti contaminati” e di numerosi documenti di supporto inerenti l’applicazione dell’analisi di rischio alle discariche, le procedure “semplificate” per l'elaborazione dell’analisi di rischio dei punti-vendita carburante, l’elaborazione delle istruttorie, la determinazione dei parametri sito-specifici. Tutti i documenti sono stati condivisi nell’ambito di un gruppo di lavoro costituito da esperti, oltre che dell’ISPRA, delle Agenzie Regionali per l’Ambiente (ARPA), dell’INAIL, ex ISPESL, dell’ISS e dell’ENEA nonchè da rappresentanti di altre pubbliche amministrazioni. E’ stato inoltre attivato un tavolo tecnico di confronto con i rappresentati delle associazioni industriali (Unione Petrolifera, FISE Assoambiente, Federchimica) allo scopo di pervenire a soluzioni condivise, nel rispetto dei reciproci ruoli. In ultimo, ISPRA ha partecipato, nell’ambito della rete Reconnet, della quale l’istituto fa parte, unitamente all’Università di Tor Vergata che presiede la rete, all’INAIL, ex ISPESL, e a numerose agenzie regionali per l’ambiente,

allo sviluppo del software Risk-net, applicativo messo a disposizione gratuitamente dalla rete, basato interamente sulla procedura riportata nel manuale “Criteri metodologici per l’applicazione dell’analisi di rischio ai siti contaminati”. Il software è stato sottoposto, prima della divulgazione, ad un’attenta procedura di validazione e di comparazione con altri applicativi che ha dato ottimi risultati. Rispetto al passato, sono state risolte alcune problematiche connesse all'interpretazione normativa e ai limiti tecnicoscientifici dell'AdR? Vi è sicuramente una maggiore consapevolezza delle problematiche e dei limiti tecnico-scientifici dell’analisi di rischio, pertanto alcune problematiche vengono risolte con soluzioni “di buon senso” da parte dei tecnici. E’ però evidente che, laddove non vi è chiarezza normativa, c’è la possibilità che si aprano lunghi contenziosi legali tra le Aziende e la Pubblica Amministrazione con conseguente rallentamento di tutti i procedimenti di bonifica.

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s tor i a d i co p e rt i n a

In tal senso il confronto tra enti di controllo e progettisti in fase di istruttoria tecnica può risultare molto utile per la condivisione delle scelte tecniche e quindi per evitare l’apertura di contenziosi. Quali sono le prospettive future a cui i tecnici del settore dovranno guardare? Ci

possiamo auspicare una semplificazione del quadro normativo e uno snellimento dell'iter burocratico che consentirebbero di agevolare la reindustrializzazione e il recupero dei siti dismessi? Le prospettive future per i tecnici del settore sono molto incoraggianti. Sono stati infatti

Risk-net Il software Risk-net è stato sviluppato nell’ambito della rete RECONnet (Rete Italiana sulla gestione e la Bonifica dei Siti Contaminati) su iniziativa del Dipartimento di Ingegneria Civile dell’Università di Roma “Tor Vergata”. A marzo 2012 è stata resa disponibile la versione 1.0 del software. Il software, scaricabile gratuitamente, permette di calcolare il rischio e gli obiettivi di bonifica applicando la procedura APAT-ISPRA di analisi di rischio sanitaria ("Criteri metodologici l'applicazione dell'analisi assoluta di rischio ai siti contaminati"; APAT 2008) in accordo con quanto previsto dalla normativa italiana (D.Lgs. 152/06 e D.Lgs. 04/08). Qui di seguito si elencano le caratteristiche salienti del programma di calcolo. Caratteristiche di Risk-net Procedura di analisi

Diretta Inversa

Database

Interno (ISS-ISPESL agg. maggio2009)

Comparti ambientali

Suolo superficiale Suolo profondo Falda

Recettori

Residenti (adulto, bambino, esposizione mediata tra adulto e bambino) Lavoratore

Concentrazione rappresentativa

Suolo Acqua Soil-gas

Dati di input

Sono richiesti solo quelli necessari per l'elaborazione specifica

Sommario dati di input

Sono riportati i dati di input inseriti Il sw evidenzia i parametri modificati rispetto ai valori consigliati da ISPRA

Output intermedi

Sono visualizzati: • fattori di trasporto • portate di esposizione • concentrazioni al POE

Calcolo CSR cumulate

È possibile ridurre le CSR individuali per verificare i limiti di accettabilità dei rischi cumulati

Presenza di saturazioni nel sottosuolo e Raggiungimento solubilità e tensione di vapore Modello calcolo della saturazione residua (mobilità ASTM E 2081-00 per la concentrazione residua NAPL) Altre analisi integrative

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Evoluzione spazio-temporale della concentrazione in falda Modello di Green Ampt Ripartizione dei contaminanti Inalazione di vapori off-site

operati numerosi interventi normativi in tema di bonifiche mirati da una parte allo snellimento delle procedure amministrative, dall’altra al rilancio degli interventi di bonifica e all’introduzione di elementi di innovazione. Basti citare la reintroduzione della progettazione per fasi e la possibilità di utilizzare, nell’ambito delle fasi progettuali individuate, tecnologie innovative; il rilancio delle attività di recupero ambientale delle aree soggette a crisi industriale complessa, individuate su istanza delle regioni, e dei siti militari; l’introduzione della possibilità di adottare procedure di bonifica semplificate per i punti vendita carburante. Gli interventi normativi sopra richiamati richiederanno sicuramente un notevole impegno da parte dei tecnici del settore e, in primis, degli istituti ed enti tecnici per lo sviluppo di lineeguida e procedure condivise.


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Affidarsi a una realtà leader nel settore, partner capace di offrire le migliori soluzioni di imballaggio grazie a una consulenza attenta e mirata. Ottimizzare la distribuzione aziendale attraverso prodotti cuciti su misura, sviluppati con professionalità e passione da oltre settant’anni. Dotarsi di Big Bag, strumenti ideali per ogni materiale, in grado di garantire sicurezza e protezione in tutte le fasi di stoccaggio e trasporto. Essere Minini: spazio ai contenuti, giusto in forma.

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Raccolta differenziata in Italia: luci e ombre Tra vetro, plastica, carta e legno un quadro della situazione italiana sul riciclaggio dei rifiuti da imballaggio e sul sistema dei consorzi di filiera di Gianni Marella*

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he la raccolta differenziata sia un mezzo, non un fine, è una premessa perfino ovvia; infatti la disposizione dell’art. 205 del T.U.A., che impone ai Comuni il raggiungimento di percentuali di raccolta differenziata, è preceduta da altre disposizioni che, come l’art. 201, dispongono che essi debbano effettuare “la raccolta, raccolta differenziata, commercializzazione e smaltimento di tutti i rifiuti urbani ed assimilabili”: l’obbligo della raccolta è pertanto strumentale e finalizzato all’attuazione di queste attività, tra cui la commercializzazione dei rifiuti raccolti. E’ evidente che si raccoglie in maniera differenziata una parte dei rifiuti per farne qualcosa e

non certo avviarli a smaltimento. La raccolta differenziata, pur se obbligata, è una risorsa offerta alle amministrazioni, che hanno l’obbligo di gestire i rifiuti. L’Italia è in forte ritardo sugli obiettivi di raccolta differenziata e sul raggiungimento degli standard previsti dalla normativa nazionale entro la fine del 2006, che non erano ancora stati raggiunti nel 2009. In forte ritardo risultano le regioni del Sud Italia, bene solo il Nord-Est con a capo il Trentino Alto Adige e il Veneto. Dall’elaborazione ISTAT invece, l’Italia risulta in ritardo di oltre tre anni, visto il raggiungimento del 33,6% solo nel 2009 con un accumulo di deficit di oltre 16 punti percen-

tuali rispetto agli standard previsti. Salta agli occhi quindi il profondo divario tra Nord e Sud della penisola, ma con variazioni a macchia di leopardo anche nel Centro: il Nord-Est spicca con il 63% circa delle province che hanno raggiunto lo standard del 50% di raccolta differenziata, contro lo 0% delle regioni centriste e il 7% del Sud e delle isole. Il fine della raccolta differenziata è quindi l’utilizzo ed il recupero di materiali (ed energia) dalla miniera dei rifiuti, fermando, o meglio, selezionando con attenzione il flusso dei rifiuti affinché non vadano indifferenziati verso lo smaltimento/dispersione, che è un inutile, costoso e dannoso sperpero.

Le raccolte differenziate La raccolta differenziata è una metodica applicata prevalentemente: • ai rifiuti di imballaggio (acciaio, alluminio, carta, legno, plastica, vetro); • al rifiuto umido/organico per il successivo compostaggio; • ai rifiuti di apparecchiature elettriche o elettroniche. Per ridurne l’impatto è applicata anche ai rifiuti pericolosi (pile, medicinali, oli minerali, pneumatici) ed è classificata quale “raccolta selettiva”, nonché agli oli vegetali domestici e ai tessili, per i quali è stato recentemente sottoscritto un accordo nazionale con l’ANCI, che rappresenta i Comuni italiani i quali, alla fine, sono gli unici soggetti deputati alla raccolta. La raccolta dell’umido costituisce lo snodo reale per il raggiungimento degli obiettivi di legge: se si sommano i dati nazionali relativi alle raccolte dell’umido (20,26%) e del verde (14,48%) si raggiunge il 34,5% circa delle raccolte differenziate. Rilevante è la parte dedicata ai rifiuti di imballaggio: complessivamente essi rappresentano, a livello nazionale, il 50,36% delle quantità complessivamente raccolte in modo differenziato. Anche in questo caso le differenze tra le tre macroaree sono evidenti: nel Nord vengono raccolti quasi 41 kg di vetro per abitante, nel Sud 16 e mezzo; per la plastica si va dai 15 kg del Nord, ai 7,65 del Centro ed ai 5,19 del Sud; nella carta dai 63,41 del Nord si passa ai 56,90 del Centro ed ai 25,70 kg abitante anno del Sud. Nel caso dei rifiuti di imballaggio l’osservatore ha un vantaggio, poiché il Conai è tenuto a rendere pubblici ogni anno i dati relativi alla loro gestione. In 13 anni, ovvero dal 1998, il loro recupero è aumentato del 140%. Se nel 1998 i rifiuti di imballaggio destinati al recupero erano il 33,2% dell’immesso al consumo, l'anno scorso ne sono stati recuperati 3 su 4. Il riciclo complessivo si è attestato al 64,7% dell'immesso al consumo e per circa la metà è dovuto alla gestione diretta del Sistema Consortile. Sempre nel 2011, si stima che circa il 37% delle materie prime usate per produrre imballaggi sia derivato da materiale da riciclo. Tra sistema Conai ed intervento dei riciclatori esterni a Conai il 2011 segna un recupero complessivo di imballaggi in acciaio, alluminio, carta, legno, plastica e vetro pari a una percentuale del 74,8%. Il Conai è quindi il controllore di ben più del 60% del riciclo italiano, che è lo sbocco reale della fatica della raccolta differenziata. Fatica reale, poiché è nell’ambito delle mura domestiche che viene effettuata la selezione primaria che conduce poi alla raccolta differenziata, e quindi al riciclo che ne è la valorizzazione economica.

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Il Conai L’Accordo Quadro ANCI-Conai è giunto alla terza edizione con 7.267 Comuni serviti nel 2011 e un coinvolgimento di oltre 57 milioni di cittadini, pari al 96% della popolazione. Gli accordi hanno portato nell’anno ad un incremento dei materiali di imballaggio conferiti in convenzione pari al 9,2% nel Centro Italia e del 4,8% al Sud, mentre l’incremento medio nazionale della raccolta in convenzione è stato dell’1,6%; nell’anno in corso si evidenziano segnali di riduzione del flusso, conseguenti in primo luogo alla crisi economica che sta modificando le quantità e le modalità di consumo. Inoltre il fatto che l’attività di Conai coinvolga, attraverso i Comuni, la quasi totalità della popolazione italiana dà un forte significato politico all’esistenza di questo consorzio. Il Conai nasce da un atto politico: il D.Lgs. 22/97, noto come “decreto Ronchi”, che ne sancisce la nascita e –successivamente- l’obbligatorietà. Al Conai debbono aderire tutti i produttori di imballaggi, come anche ai sei Consorzi di filiera che raggruppano, secondo la tipologia merceologica, gli imballaggi: • acciaio (banda stagnata): CNA (oggi Ricrea) • alluminio (lattine, tubi, ecc): CiAl • carta (cartoni, scatole…): COMIECO • legno (tappi, scatole…): Rilegno • plastica (bottiglie, film…): COREPLA • vetro (bottiglie, flaconi): COREVE Ogni produttore di imballaggi funge da sostituto d’imposta, nel senso che incassa il CAC (Contributo Ambientale Conai) da ogni singolo utilizzatore/cliente. Tale contributo – che, come è ovviamente chiarito dall’AGCM nella sua indagine IC 26, ricade poi sul cittadino consumatore finale - è diversificato per ogni singola filiera merceologica ed è pagato per ogni tipologia di imballaggio. Gli imballaggi si suddividono in primari (la bottiglia), secondari (la confezione da sei bottiglie) e terziari (il pallet che trasporta tutti i secondari). Già qui c’è la prima contraddizione di sistema: pagano il CAC anche i terziari, benché escano dal servizio cui è chiamato Conai. Abbiamo qui una prima problematica “politica”, poiché il contributo è versato anche da chi non avrà alcun servizio dal consorzio cui lo versa; Conai, infatti, deve occuparsi degli imballaggi

che ricadono nella raccolta differenziata pubblica, cioè i domestici che equivalgono ai primari e, in alcuni casi, ai secondari. Il CAC è incassato da Conai su sei conti diversi, poiché Conai lo riversa ai consorzi di filiera che –sulla base dell’Accordo Quadro ANCI Conai – sono i soggetti tenuti a corrispondere ai comuni un corrispettivo per la raccolta differenziata dei rifiuti di imballaggio, cioè dei domestici. Il gettito complessivo del CAC nel 2010 è stato di 526.440.000 euro, di cui la sola plastica rappresenta oltre il 67%, essendo il materiale che ha pagato il CAC più alto di tutti: nei due semestri dell’anno 195 e 160 €/t. Le modificazioni del CAC hanno, oggi, motivazioni diverse; nel caso della plastica il passaggio a 195 € si è reso necessario a causa dell’ostinata determinazione con cui si è voluto conservare per oltre un decennio il CAC originario a 72 €/t, finchè il Corepla non si è trovato sull’orlo del baratro. Originariamente, alla nascita di Conai, il CAC era calcolato in rapporto al peso specifico dei singoli materiali e della loro unità tipo di imballaggio primario, per evitare che il CAC alterasse la concorrenza tra i diversi materiali. Questa originaria determinazione del CAC ci aiuta a comprendere meglio la storia e la composizione di Conai, che oggi ha 1.458.766 consorziati, ma quando nasce è -fondamentalmente- la scommessa di Confindustria e del Ministero dell’Ambiente; sono infatti i produttori di imballaggio quelli che danno vita e forma a Conai e nella prima formulazione del CAC pongono perciò attenzione a non danneggiarsi reciprocamente. La prevalenza dei produttori è visibile anche nella composizione del CdA di Conai: esso è formato da 29 membri, di cui 14 sono produttori, 7 utilizzatori e 7 commercianti/distributori. Il ventinovesimo è indicato dal MATTM a rappresentare i consumatori. Anche questo è un problema politico: chi paga i costi di tutto il sistema è 1/29 di tutto il CdA, una presenza… decorativa. Tale prevalenza è replicata nei consigli dei diversi consorzi di filiera, con presenze che, altro problema politico, non sembrano avere piena cittadinanza: nella plastica, per esempio, sono presenti i rappresentanti dell’industria petrolchimica (5 su 12), che non producono imbal-

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laggi, a loro si aggiungono (5 su 12) i trasformatori, cioè i produttori: coloro che trasformano le resine in imballaggio. Il che significa che 10/12 del CdA sono da loro rappresentati. Agli utilizzatori, che formalmente sono coloro che sborsano il CAC, è riservato 1/12. La composizione dei Consigli di Amministrazione dei consorzi di filiera è diventata di stretta attualità (attendiamo la composizione del CdA del consorzio della carta), a causa dell’assenza in essi del rispetto di una disposizione di legge che statuisce che vi possano partecipare pariteticamente i riciclatori che non corrispondono alla categoria dei produttori: nei consigli di amministrazione dei consorzi il numero dei consiglieri di amministrazione in rappresentanza dei riciclatori e dei recuperatori deve essere uguale a quello dei consiglieri di amministrazione in rappresentanza dei produttori di materie prime di imballaggio. Su questo si è pronunciato il Tribunale di Milano, intimando a Comieco (chiamato in causa da un suo consorziato) di adeguare il proprio statuto e accogliere questa categoria. E’ ovvio che il problema riguarda tutti i consorzi di filiera, per cui è prevedibile a breve termine una trasformazione degli statuti e della costituzione amministrativa di tutti loro.

Le caratteristiche dei consorzi di filiera La legge, a proposito della prevista presenza dei riciclatori, è chiarissima nell’escludere quelli che hanno anche la caratteristica di produttori. Infatti non tutti i consorzi sono uguali, per quanto riguarda il riciclo: mentre Corepla rappresenta il consorzio “a catena aperta” per eccellenza, poiché nella sua governance sono rappresentati per 10/12 i produttori della

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chimica e quelli dell’imballaggio, che col riciclaggio non hanno nulla a che vedere ed anzi potrebbero avvertirlo come una concorrenza da evitare, consorzi come Comieco e Coreve rappresentano invece la “catena chiusa” più stretta, poiché i produttori sono sostanzialmente dei riciclatori, poiché le raccolte della carta e del vetro sono ben più antiche dell’attuale sistema e le cartiere e le vetrerie hanno sempre utilizzato nel proprio ciclo produttivo la carta da macero o il rottame di vetro “pronto al forno”. Alla nascita dei due consorzi la governance è stata affidata ai produttori, cioè rispettivamente alle cartiere ed alle vetrerie. La raccolta differenziata, quindi rappresenta per questi produttori il modo per avere grandi quantità di “materia prima” a costi calmierati fissi nel tempo e grazie ad un sistema che –come si è visto- è pagato non dall’industria produttrice ma dal consumatore finale, sul quale ricade anche l’onere della selezione primaria in casa: hanno gratis la materia prima per la propria industria. Per questo –altro problema politico- l’AGCM aprirà un’indagine conoscitiva, la 26, che mira ad indagare tra l’altro proprio il modo in cui i materiali raccolti venivano “distribuiti” ai consorziati. Non solo perché si trattava di una materia prima acquisita con denaro pubblico, e quindi un bene cui i comuni rinunciavano a favore di terzi che non ci avevano messo una lira, ma anche perché le modalità di distribuzione potevano risultare più vantaggiose per alcuni soggetti e dannose per altri. è per questo che, oggi, Comieco e Coreve provvedono a distribuire parte dei materiali raccolti sulla base di aste periodiche, che restituiscono considerevoli valori ai consorzi, tant’è vero che alcuni, tra cui Comieco, han-

no deciso di ridurre l’ammontare del CAC imposto. I consorzi stanno già mutando la loro natura, trasformandosi da “gestori” dei flussi di materiale raccolto a “commercianti” degli stessi. Un’ulteriore trasformazione si avrà quando entreranno i riciclatori, che verosimilmente modificheranno anche lo stesso andamento delle aste: nel 2010, come si legge nel rapporto di Conai, le aste per il vetro in Italia (diversamente dal resto d’Europa) hanno avuto solo valori negativi, nel senso che le vetrerie non hanno pagato per averlo, ma sono state pagate per farlo! D’altronde le vetrerie italiane sono pochissime e si riducono di fatto ad un oligopolio assai ristretto, dominato da due multinazionali (St Gobain e OI). Non ci si deve meravigliare se il mercato può sembrare così controllato. Sarà così anche dopo l’ingresso dei riciclatori/non produttori nel consorzio? La distinzione tra catena “chiusa” e catena “aperta” apre quindi degli scenari estremamente interessanti sullo studio dell’evoluzione dei consorzi di filiera, e non esclude riflessi anche su Conai, benché questo non debba (a rigore) risentire delle dinamiche dei consorzi di filiera. Conai dovrebbe essere non un consorzio “di secondo livello”, retto su disposizione dei consorzi di filiera, ma una struttura del tutto autonoma e con forti compiti di regia del settore. Il TUA (D.Lgs. 152/06) aveva escluso la possibilità che gli amministratori dei consorzi di filiera fossero presenti anche nel consiglio di Conai, ma la soppressione di questa norma fu uno dei primi atti che, anche se pare incredibile, furono emanati dal successivo ministro verde dell’ambiente: Pecoraro Scanio. E oggi Conai è un po’ un “consorzio dei consorzi”, spesso condannato all’immobilità per le tensioni tra i soggetti che lo popolano.

Considerazioni conclusive Proprio perché è fuori discussione l’importanza di Conai nello sviluppo della raccolta differenziata italiana in questi ultimi 13 anni, spiace vedere il sistema intero (compresi i consorzi di filiera) imprigionato da problemi politici di struttura, cui sa rispondere solo in seconda battuta, senza riuscire ad anticiparne l’emersione:


• alle aste si arriva solo dopo che l’AGCM ha messo sotto indagine il sistema Conai e l’Accordo Quadro; • alla problematica dell’ingresso dei riciclatori si risponde solo dopo una dura diffida del tribunale di Milano; • alla questione dei terziari, che pagano senza avere alcun servizio, si cerca di rispondere con limitati accordi di settore, tuttora in fase di elaborazione, per quanto riguarda, per esempio, i fusti e le cisternette; • alla possibilità che nascano esperienze di gestione dei rifiuti di imballaggio al di fuori del sistema Conai (benché espressamente previste dalla legge) si risponde solo chiamando in causa davanti al TAR chi l’abbia tentato; • sul tema degli imballaggi riutilizzabili si opera, con grande ritardo, solo con lambiccate delibere del CdA. Sono troppo forti le resistenze conservative all’interno del sistema Conai, perché questo possa reggere a lungo davanti alle contraddizioni interne. Eppure proprio quelle contraddizioni furono espedienti salutari, furono il prezzo necessario che il sistema dovette pagare ai produttori per nascere e per rafforzare nel tempo una raccolta differenziata, che è ormai divenuta un fatto culturalmente diffuso. La stessa imposizione del CAC anche ad imballaggi non serviti rispose all’esigenza - accettata dai produttori - di far pagare tutti perché

i primari pagassero meno: ben più di un terzo degli imballaggi in plastica sono terziari, gli imballaggi in legno sono quasi del tutto terziari… forse l’unico settore merceologico in cui gli imballaggi sono solo primari è il vetro. Oggi Conai appare del tutto paralizzato rispetto a prospettive di autoriforma che appaiono invece indispensabili e sulle quali sarebbe opportuno aprire un confronto senza riserve. Preoccupa perciò pensare che il dominus della raccolta differenziata sia ammalato e non sembri aver voglia di curarsi! Ancor più preoccupa il nanismo dei soggetti potenzialmente alternativi: uno solo è il sistema di gestione autonoma dei rifiuti di imballaggio attualmente operativo, nei confronti del quale Conai e Corepla sono scesi duramente in campo con ricorsi al TAR e tuttora in attesa di giudizio da parte del Consiglio di Stato. Ma lo si guardi con attenzione: è un sistema che gestisce intorno alle 10.000 t/ anno di plastica, mentre Corepla ne gestisce oltre 2.100.000. Questa è la dimensione delle spinte alternative e non può che preoccupare perché evidentemente l’Italia non è in grado di esprimere una spinta di rinnovamento.

E infine un’ultima considerazione: come influirà sul panorama delle raccolte differenziate e sulla gestione di Conai il previsto avvio di un sistema cauzionale, che riguarderebbe in primo luogo le bottiglie in PET, ma anche i cartoni per bevande, ipotizzato con forte determinazione dal MATTM? Di sicuro il futuro prossimo dovrà portarci delle considerevoli novità, dispiace molto non poter prevedere con sufficiente certezza da dove verranno e non trovare interlocutori disposti a discuterne… anche perché i comuni hanno l’obbligo di raggiungere le percentuali di raccolta differenziata imposte dalla legge e l’ANCI, ad oggi, è risultata spesso fin troppo incline ad accogliere le richieste di Conai più che a rappresentare quegli interessi dei Comuni che proprio l’IC26 aveva rappresentato con tanta efficacia. *Consulente Ambientale

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conto alla rovescia per decommissioning 2012 il salone dedicato alla demolizione e dismissione dei siti industriali, in occasione di ecomondo cresce e volge lo sguardo alla sicurezza di Maria Beatrice Celino

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onto alla rovescia per la terza edizione di Decommissioning 2012, il salone dedicato al mondo delle demolizione e riqualificazione delle aree dismesse. L’evento si terrà a Rimini dal 7 al 10 Novembre 2012, in occasione della manifestazione fieristica Ecomondo, in un’area appositamente dedicata e dotata di un’ampia sala convegni. Collocata all’interno del padiglione C5 su una superficie di oltre 1.000 mq conterà sulla fitta presenza espositiva riservata alle aziende del settore. Durante l’evento, come nelle passate due edizioni, verrà dato ampio spazio all’attività

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convegnistica con una giornata dedicata tutta alla gestione della sicurezza nei lavori di demolizione dal titolo “Interventi complessi di decommissioning – Il ruolo della sicurezza”. “Nelle prime due edizioni abbiamo organizzato delle giornate convegnistiche dedicate ai numeri delle demolizioni, al mercato e alle principali tecnologie adottate nell’eseguire gli interventi di demolizione; quest’anno abbiamo deciso di affrontare un tema complesso e delicato al tempo stesso, quello della sicurezza - spiega Massimo Viarenghi, Direttore Responsabile della rivista Eco e moderatore del convegno - grazie al contributo delle principali

imprese del settore, delle associazioni di categoria e di buyer del calibro di Eni Syndial cercheremo di affrontare a 360° l’importante ruolo che la sicurezza ha nell’esecuzione di lavori in quota, nella demolizione di fabbricati e nella dismissione di impianti industriali”. Gli interventi di demolizione comportano condizioni lavorative molto delicate e gestione di rischi specifici diversi da quelli che si possono trovare in altri settori dell’edilizia. La gestione della sicurezza nel cantiere diventa quindi di fondamentale importanza e garantisce allo stesso tempo l’esecuzione di un intervento a regola d’arte.


“Nel convegno tratteremo anche il tema della sicurezza e del massimo ribasso nella gestione degli appalti – continua Viarenghi – un connubio spesso impossibile che porta all’impoverimento del mercato e all’improvvisazione con un unico risultato: l’aumento dei rischi per gli addetti ai lavori. Cercheremo di sviscerare inoltre i giusti criteri che un’Amministrazione deve seguire nella scelta delle imprese per garantire l’esecuzione di un intervento a regola d’arte”. La nuova edizione di Decommissioning, ampliata rispetto allo scorso anno, rappresenta un’importante opportunità per poter entrare in contatto con i principali buyer nazionali e un’occasione per tutti gli operatori del settore di conoscere le ultime tendenze di questo mercato. Decommissioning è un evento organizzato da Rimini Fiera, dalla rivista ECO - Bonifiche Rifiuti Demolizioni, dal portale www.ecoera.it con il patrocinio di NAD – Associazione Nazionale Demolitori Italiani e di AUDIS – Associazione Aree Urbane Dismesse.

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CAMBIA STAGIONE, CAMBIAMO ABITUDINI! Ecco come il progetto avviato in alcune delle province lombarde permette di ridare vita agli abiti usati all’insegna della sostenibilità ambientale e sociale di Matteo Lovatti*

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l Progetto Cambia Stagione consiste nella raccolta differenziata finalizzata al riciclo di indumenti usati, scarpe, borse e accessori mediante contenitori stradali posizionati nelle parrocchie o su suolo pubblico. Nel territorio della Diocesi di Milano, comprendente le province di Milano, Varese, Lecco e Monza-Brianza su un totale di 447 comuni e 5.300.000 abitanti, l’iniziativa è stata avviata nel 1998 dalla Caritas Ambrosiana di Milano e ha coinvolto 7 cooperative sociali operanti in porzioni del territorio della Diocesi. Il sistema di raccolta si fonda sulla collaborazione tra le pubbliche amministrazioni e le cooperative sociali, iscritte alla Categoria 1 “Raccolta e trasporto di rifiuti ingombranti/raccolta differenziata di rifiuti urbani” dell’Albo Gestori Ambientali, che sottoscrivono apposite convenzioni gratuite. Il Progetto si caratterizza per una doppia valenza ambientale e sociale.

Il valore ambientale I dati nazionali relativi alla produzione di rifiuti urbani aggiornati al 2009 parlano di una produzione pro capite annua pari a 530 kg; di questi circa il 33% è raccolto in maniera differenziata Produzione rifiuti urbani

e solo lo 0,23%, pari a 1,2 kg/ab/anno, sono indumenti usati; questi dati possono essere raffrontati con una stima di produzione di questa tipologia di rifiuti pari a ca. 10 kg/ab/anno, dato ottenuto considerando il nuovo immesso sul mercato. In termini relativi i quantitativi paiono trascurabili ma, se ragioniamo in valori assoluti, ci rendiamo conto che stiamo parlando di ben 71.000.000 kg e una potenzialità della raccolta differenziata di questa particolare tipologia di rifiuti di ca. 600.000 t. Pertanto è evidente che differenziare questa tipologia di rifiuti non è per niente trascurabile. Gli indumenti usati raccolti in maniera differenziata, inoltre, vengono avviati effettivamente a recupero. Il 68% dei rifiuti raccolti, fatti salvi gli indumenti consegnati direttamente ai bisognosi che si rivolgono ai Centri d’ascolto Caritas ubicati nelle varie parrocchie, vengono reimmessi nei mercati dell’usato soprattutto dei Paesi dell’Africa, Medio Oriente ed Europa dell’Est; il 25% viene impiegato per la produzione di materie prime secondarie utilizzate nell’industria tessile e solo il 7%, costituito principalmente da materiali estranei come giochi, attrezzature per infanzia o rifiuti indifferenziati, è avviato

a smaltimento in discarica/inceneritore. Il recupero degli indumenti usati, cui è attribuito il codice CER 20.01.10 (oppure 20.01.11) è effettuato mediante l’operazione R3, riciclo/ recupero delle sostanze organiche non utilizzate come solventi (comprese le operazioni di compostaggio e le altre trasformazioni biologiche), così come indicato nell’allegato C al D.Lgs.152/06, in impianti autorizzati al recupero di quella particolare tipologia di rifiuti dalle Province/Regioni. Il processo operativo di recupero consiste nelle seguenti operazioni: • selezione; • igienizzazione. La selezione consiste in un processo, per lo più manuale, teso ad individuare gli indumenti integri che possono essere ancora utilizzati come tali e a suddividere gli stessi secondo le diverse tipologie (se ne possono distinguere a decine, ad es. pantaloni, camicie, giubbotti, magliette, a loro volta suddivisi in abiti per uomo, donna e bambino). Il processo di igienizzazione è un trattamento atto a garantire il raggiungimento delle specifiche microbiologiche individuate al punto 8.9.3 del D.M. 05/02/1998 quali:

Raccolta

Raccolta

Percentuale raccolta

differenziata

differenziata

indumenti usati sul totale

rifiuti urbani

indumenti usati

dei rifiuti prodotti 0,23%

Italia

32.000.000 t

10.700.000 t

71.000 t

Media Abitante

530 kg/ab/anno

177 kg/ab/anno

1,2 kg/ab/anno (Fonte: L’Italia del Riciclo 2011 – dati 2009)

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• carica aerobica mesofila <106/g; • streptococchi fecali <102/g; • salmonelle assenti su 20 g. Tale trattamento consiste in diverse tipologie di operazioni che vanno dal lavaggio vero e proprio all’igienizzazione mediante fumigazione o nebulizzazione con sali quaternari di ammonio.

Il valore sociale Nel progetto Cambia Stagione, le attività di raccolta differenziata degli indumenti usati sono effettuate da cooperative sociali promosse da Caritas Ambrosiana. Le cooperative sociali sono particolari forme di imprese regolate dalla Legge 8 novembre 1991, n. 381 "Disciplina delle cooperative sociali“ che, art. 1, “hanno lo scopo di perseguire l'interesse generale della comunità alla promozione umana e all'integrazione sociale dei cittadini attraverso: (…) lo svolgimento di attività diverse - agricole, industriali, comIl recupero degli indumenti Indumenti ed accessori di abbigliamento utilizzabili

68%

direttamente in cicli di consumo Materie prime secondarie

25%

per l’industria tessile Smaltimento COOPERATIVA PROMOSSA DA CARITAS Novo Millennio

7%

AREA Infanzia e minori

merciali o di servizi - finalizzate all'inserimento lavorativo di persone svantaggiate.” Caratteristica fondamentale delle cooperative sociali è pertanto l’inserimento lavorativo di persone svantaggiate come definite all’art. 4: (…) si considerano persone svantaggiate gli invalidi fisici, psichici e sensoriali, gli ex degenti di istituti psichiatrici, i soggetti in trattamento psichiatrico, i tossicodipendenti, gli alcolisti, i minori in età lavorativa in situazioni di difficoltà familiare, i condannati ammessi alle misure alternative alla detenzione”. Il 30% dei lavoratori di una cooperativa sociale deve appartenere a queste categorie. Il valore sociale del progetto Cambia Stagione si manifesta altresì nel sostegno ad iniziative di solidarietà promosse da Caritas Ambrosiana. Tali progetti sono realizzati da altre cooperative sociali promosse da Caritas Ambrosiana e si sviluppano nelle seguenti aree di intervento: • salute mentale, • stranieri e rifugiati, • anziani, • mamme e bambini. A titolo esemplificativo, nella tabella seguente si riportano i progetti sostenuti nel 2011 con parte degli utili dell’attività di raccolta, recupero e commercializzazione degli indumenti usati dismessi. Ricapitolando, è possibile affermare che il valore sociale del Progetto Cambia Stagione

I NUMERI DEL PROGETTO Di seguito si riportano alcuni dati, aggiornati al 31/12/2011, relativi al Progetto Cambia Stagione attivo nella Diocesi di Milano. • Cooperative sociali coinvolte: 7 • N. di contenitori per la raccolta: circa 1.400 • N. convenzioni con pubbliche amministrazioni: circa 200 • Lavoratori impiegati: 50 di cui 32 svantaggiati • Indumenti raccolti nel 2011: circa 8.000 t • Indumenti raccolti dal 1998 al 2011: 80.000 t • Contributi a progetti di solidarietà promossi da Caritas nel 2011: € 140.000 • Contributi a progetti di solidarietà promossi da Caritas dal 1998 al 2011: € 1.300.000

è duplice: da un lato le cooperative sociali aiutano persone svantaggiate a reinserirsi nel mondo del lavoro, a riacquisire la dignità spesso perduta per strada nelle difficoltà della vita e ad essere parte attiva e costruttiva della società; dall’altro sostengono progetti socioassistenziali che, stanti le sempre peggiori condizioni economiche degli enti pubblici, non potrebbero essere tenuti in vita altrimenti. Ora, viste tutte le buone motivazioni che sono state elencate, rivolgiamo a tutti un invito: Cambia Stagione, dai vita al tuo usato! *Vestisolidale

PROGETTO DI SOLIDARIETA’

IMPORTO

Sostegno del centro prima infanzia “Bimbinsieme” di Monza che si trasforma in asilo nido rafforzando la sua peculiarità multietnica con un rapporto

45.000 euro

del 50% tra bambini italiani e stranieri e con un’equipe multietnica Sostegno dei servizi erogati dalla comunità per minori “Casa Daniele” di Abbiategrasso per l’adeguamento della struttura e delle attività

Filo di Arianna

Minori

alle nuove esigenze dei ragazzi presenti, e per la prosecuzione

30.000 euro

del progetto di autonomia per garantire un ulteriore spazio di accoglienza ai ragazzi al termine del periodo in comunità Sostegno al progetto “Varese accogliente”, in particolare al centro Intrecci

Rifugiati

di accoglienza di via Pola a Varese per 18 uomini adulti appartenenti alle seguenti categorie: richiedenti protezione internazionale, rifugiati

50.000 euro

riconosciuti, titolari di protezione sussidiaria o umanitaria Consorzio Farsi Prossimo

Rom

Supporto alle attività di accompagnamento all’autonomia abitativa dei nuclei familiari Rom del campo di via Novara a Milano TOTALE

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15.000 euro 140.000 euro



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LA RIGENERAZIONE URBANA COME STRUMENTO PER USCIRE DALLA CRISI LA SOFFERENZA DEL COMPARTO EDILIZIO FOTOGRAFATA DALL’ULTIMO RAPPORTO ANCE E LE POSSIBILI SOLUZIONI DA RICERCARE NELLA RIPROGETTAZIONE DEL NOSTRO TESSUTO URBANO di Bruno Vanzi

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o scorso 26 giugno è stato presentato l'Osservatorio Congiunturale sull'Industria delle Costruzioni curato dalla Direzione Affari Economici e Centro Studi dell'Ance. Il rapporto inquadra la situazione di crisi e le prospettive del settore anche alla luce del Decreto Sviluppo recentemente emanato. L'Osservatorio permette inoltre di fare il punto sull’attuale condizione del mercato immobiliare, del credito, dei ritardati pagamenti alle imprese e sugli effetti delle disposizioni di finanza pubblica. A livello europeo il settore delle costruzioni fatica ad uscire da una crisi iniziata ormai nel 2008, sebbene negli ultimi anni (2010 e 2011) gli investimenti abbiano mostrato una lieve ripresa, grazie anche ad alcune politiche utilizzate in alcuni Paesi mirate a fare leva sugli investimenti nel settore. Tra questi abbiamo la Germania, dove la ripresa degli investimenti nel settore delle costruzioni è legata sia agli incentivi rivolti al comparto privato/residenziale sia al maggiore impegno di spesa per le infrastrutture. Allo stesso modo anche in Francia dal 2011 l’adozione di misure di sostegno del settore residenziale ha determinato una crescita degli investimenti che verrà probabilmente riconfermata anche nell’anno in corso.

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Per quanto riguarda l’Italia invece, il rapporto Ance prevede per il 2012 una nuova flessione negli investimenti che sarà anche superiore (-6%) a quella registrata nel 2011 (-5,3%). Inquadrando la situazione da una prospettiva più ampia è possibile notare come in cinque anni, dal 2008 al 2012, il settore ha perso più di un quarto degli investimenti ritornando ad una situazione analoga a quella che si aveva nella metà degli anni ’70. Gli effetti della crisi attuale sono già nettamente maggiori rispetto a quelli della crisi degli anni novanta quando infatti nel periodo dal 1992 al 1998 la caduta degli investimenti si era fermata a -11,4%. Le previsioni riportate da Ance nell’Osservatorio tengono in conto anche gli effetti di alcuni provvedimenti che sono previsti nel Decreto Sviluppo recentemente approvato. Tali provvedimenti sono un primo segnale concreto volto ad arrestare la crisi ma rappresentano solo un inizio verso ulteriori e necessarie misure che stimolino la domanda e riattivino in tal modo il mercato verso una fase di ripresa. Le stime Ance mostrano nel 2013 un arresto nella caduta degli investimenti grazie agli incentivi legati principalmente agli interventi di ristrutturazione e riqualificazione energetica degli edifici.

Ad aggravare la situazione già critica delineata si aggiungono gli effetti generati dai ritardi nei pagamenti da parte delle Pubbliche Amministrazioni, spesso in grado di mettere a rischio la sopravvivenza stessa delle imprese operanti nel settore pubblico. Le conseguenze di tali situazioni hanno poi ripercussioni sull’insolvenza dell’intera filiera. Per avere un’idea della dimensione finanziaria di tale fenomeno si pensi che ammontano a 19 miliardi di euro i ritardi di pagamento da parte della Pubblica Amministrazione, un dato in costante crescita di cui un’ampia percentuale (62%) corrisponde alla situazione debitoria nei confronti delle piccole e medie imprese di costruzione operanti sul territorio.

RIGENERAZIONE URBANA COME VIA D’USCITA DALLA CRISI

L’attuale contesto di crisi spinge a cercare soluzioni che possano incrementare la crescita risolvendo al tempo stesso i problemi della città, riducendo le disparità sociali e limitando l’impatto sull’ambiente. Gli interventi di trasformazione e di riqualificazione urbana potrebbero realmente rappresentare il motore necessario per mettere in movimento il settore dando un’immagine dinamica del tessuto urbano.


Intervenire sul patrimonio esistente e attuare un piano di sostituzione edilizia, come succede da tempo in altri Paesi europei, rappresenta il modo più idoneo di sfruttare una risorsa di cui disponiamo contrastando al tempo stesso l’espansione disomogenea e sregolata dei comuni cui abbiamo assistito sino ad ora. La sostituzione edilizia permetterebbe anche di risolvere un’altra problematica, evidenziata nel rapporto Ance-Censis “Un piano per le città Trasformazione urbana e sviluppo sostenibile” dello scorso aprile, e messa in luce anche dagli eventi sismici degli ultimi mesi: l’arretratezza del patrimonio immobiliare del nostro Paese. Vi è una consapevolezza diffusa dell’importanza di tali tematiche che rende necessario ripensare al nostro territorio in una diversa prospettiva, partendo dalla manutenzione e sostituzione edilizia ed arrivando sino a rivedere l’assetto urbanistico di aree più vaste, zone e quartieri. Avviare processi di riqualificazione che consentano di ridurre il consumo di suolo è uno dei principi fondamentali sostenuti da tempo dall’Associazione Nazionale Costruttori Edili, una politica di risparmio del territorio che va sostenuta e incentivata con idonei strumenti che portino le imprese a privilegiare il “costruire sul costruito”. Gli interventi sul patrimonio esistente sono caratterizzati però da un maggiore complessità in quanto è necessario: saper accostare in modo armonioso edifici storici e moderni, rispondendo ai bisogni della collettività senza perdere di vista le esigenze economiche; eseguire interventi che garantiscano una maggior sicurezza del territorio dal punto di vista idrogeologico ed edilizio; avviare un processo di rinnovamento basato su principi ambientali, paesaggistici, di innovazione, sociali, culturali, ecc.

Una banca dati delle aree dismesse L’importanza della valorizzazione delle aree dismesse si basa necessariamente sulla conoscenza del territorio. Ed è per questo motivo che la Regione Lombardia ha realizzato la Banca dati geografica per il censimento e il marketing territoriale delle aree dismesse. Con il supporto di Assimpredil, Ance e delle Province ha effettuato tra il 2008 e il 2010 il rilievo delle aree dismesse presenti su tutto il territorio lombardo. Il censimento è stato fatto basandosi su una scheda che descrive le principali caratteristiche dell’insediamento dismesso: superficie, destinazione funzionale, anno di dismissione, eventuale utilizzo dopo la dismissione, ecc. Queste informazioni sono state poi inserite nel Sistema Informativo Territoriale regionale dando in tal modo la possibilità di confrontrare tale scenario con tutti gli altri livelli informativi disponibili, in particolare con quelli relativi alla pianificazione comunale. La banca dati è disponibile sul sito www.cartografia.regione.lombardia.it.

Un primo passo dal punto di vista normativo è stato fatto nel 2009 con il Piano Casa 2, il quale non ha però avuto molto seguito a livello di legislazione regionale. Il Decreto Legge 70/2011 è intervenuto quindi delineando i contenuti finalizzati a lanciare il processo di rigenerazione urbana con il necessario supporto di incentivi e semplificazioni burocratiche. Nello specifico la nuova normativa disciplina le modalità di riqualificazione delle aree urbane degradate e delle aree industriali dismesse o in fase di dismissione. Tali disposizioni sono state in alcuni casi recepite a livello regionale come accaduto il Lombardia con la L.R. 4/2012, una norma che mira alla valorizzazione del patrimonio edilizio esistente incentivando altresì la ripresa degli investimenti nel settore delle costruzioni. Sono molte le disposizioni contenute nella norma ma tra le novità principali si segnala la riqualificazione delle aree dismesse: la legge precedente (L. 1/2007) è stata riscritta prevedendo la possibilità per la proprietà dell’area dismessa o degradata di presentare una proposta di riutilizzo, con l’opportunità di incrementare fino al 20% la volumetria o la superficie ammessa, sempre in relazione alle previsioni del PGT comunale. In caso non venga sfruttata tale possibilità il Comune po-

trà ridefinire la destinazione urbanistica dell’area, per acquisirla al patrimonio pubblico. La Legge prevede inoltre incentivi per la bonifica delle coperture in amianto: sarà possibile, in caso di rimozione delle coperture in eternit, modificare le falde fino ad una pendenza massima del 40%, anche in deroga ai limiti sull`altezza degli edifici e con la possibilità, a discrezione dei comuni, di ridurre fino al 50% il contributo di costruzione. Inoltre in caso di smaltimento di coperture di costruzioni a destinazione produttiva, che si realizzino a totale carico del proprietario, si potrà incrementare del 10% la superficie esistente, fino ad un massimo di 500 mq.

RIPROGETTIAMO LA CITTÀ Per poter procedere sulla strada di rinnovamento indicata è necessario adottare i giusti strumenti e fare le scelte che a livello locale permettano di ovviare anche alla scarsità di risorse pubbliche. Un modo per superare tali problematiche sarà inevitabilmente quello di favorire nuove partnership pubblico-private, creando quindi un nuovo rapporto basato su principi di imparzialità, trasparenza e partecipazione al procedimento, riconoscendo altresì le capacità propositive e realizzative delle imprese nel pieno rispetto dei differenti ruoli.

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RIDURRE I RIFIUTI È UN ROMPICAPO? FORSE, MA REBUS È UNA SOLUZIONE Ecco come il progetto R.E.B.U.S. promuove nella provincia di Verona la riduzione dei rifiuti mediante il riutilizzo dei beni in una rete di solidarietà di Sabrina Bonomi*

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o sviluppo sostenibile di un territorio prevede che la crescita ed il benessere economico, ossia la prospettiva dal lato dell’impresa e della popolazione, crescano in misura proporzionata; diversamente si crea uno squilibrio fra la dimensione economica e sociale. Si ritiene che un modo efficace per governare questa complessità sia la creazione di geo-comunità che condividano territori ed esigenze, necessitino di servizi omogenei, raggiungano la massa critica e rispondano a bisogni comuni. Anzichè crearne di nuove, si è cercato di far sì che le esistenti si coordinassero per orientare strategicamente le iniziative, comunicare i risultati, promuovere innovazione e sperimentazione. All’interno del singolo territorio, i soggetti devono collaborare tra loro per incrementare lo sviluppo, mentre tra territori diversi la competizione, in ottica di economia civile, si ha mediante la ricerca, l’attuazione e la diffusione di buone pratiche e di forme collaborative che aumentino il benessere degli individui, l’efficienza dei soggetti e la tutela ambientale. Il progetto R.e.b.u.s. (Recupero Eccedenze Beni Utilizzabili Solidalmente), ispirato da principio alla filosofia di Last minute market, s’inserisce poi nel contesto descritto e si evolve in un modello autonomo, replicabile e

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trasferibile, di prevenzione dei rifiuti a monte della raccolta, che destina i beni con intatto valore di utilizzo, ma ridotto o nullo valore commerciale, ad associazioni non profit, mediante il meccanismo della donazione nel rispetto della normativa vigente, con impatti positivi economici, ambientali e sociali. Posto che alcuni sprechi si ritengono fisiologici (ad esempio nelle mense scolastiche per malattia, epidemie, difficoltà di gestione nelle calamità naturali; presso i grossisti per imprevedibili flessioni della domanda, ecc.), diventa necessario riuscire almeno a ridurne l’impatto, mantenendo i prodotti nel loro stato di bene ed evitando che diventino rifiuti. R.e.b.u.s. si realizza mediante collaborazione sinergica tra le Acli provinciali di Verona (associazione promotrice che coordina, control-

la e verifica la distribuzione anche per evitare comportamenti opportunistici e fa il rendiconto ai portatori d’interesse), i donatori (Grande Distribuzione Organizzata, Organizzazione produttori agricoli, Mercato ortofrutticolo, Gestori delle mense scolastiche e delle farmacie comunali, ecc. che donano i beni non più commerciabili e, in alcuni casi, forniscono materiali da smaltire), le istituzioni (Comuni, Asl, Municipalizzate, Provincia, Prefettura, Fondazioni che supportano nel proprio ruolo di governance del territorio) e gli enti benefici (che ricevono gli alimenti e li ridistribuiscono a scopo sociale tra i propri utenti). Le aree di intervento sono state le mense scolastiche, in cui è stato attivato anche un corso di formazione per docenti e alunni, la ristorazione organizzata, il mercato ortofrutticolo, la


grande distribuzione, i grossisti di ortofrutta, le eccedenze della produzione agricola, oltre a numerose donazioni occasionali nelle province di Verona, Vicenza, Belluno, Mantova, Ancona e Bergamo, per un parziale nel 2011 di 776.186,5 kg di alimenti. A ciò si aggiungono recuperi di libri, farmaci, tessuti, mobili, scarpe e quanto in genere rimane inutilizzato e destinato, se non intercettato dal progetto, a rifiuto. Gli obiettivi di R.e.b.u.s. sono: • favorire un uso più razionale e un maggior risparmio di risorse naturali nonché il rispetto della gerarchia nella gestione dei rifiuti che al primo posto nell’ordine delle priorità vede la prevenzione e la riduzione della produzione dei rifiuti stessi; • diffondere le buone pratiche che sviluppano circoli virtuosi di gestione delle eccedenze utilizzando i prodotti fino al completamento del ciclo di vita e minimizzando i conferimenti in discarica; • con particolare attenzione ai rifiuti organici, ridurre le emissioni di gas clima alteranti dovute agli scarti e ai conferimenti presso centri di compostaggio; creare un modello per un sistema di gestione integrata dei rifiuti, in grado di eliminare la frazione organica, tenendo conto delle normative vigenti in materia; • utilizzare il recupero di prodotti e di merci per aiutare persone in difficoltà economiche, per sostenere l’assistenza e favorire il processo di inclusione sociale di soggetti in condizione di marginalità (immigrati, poveri, anziani) innovando ed integrando la rete dei servizi; • realizzare una campagna di informazione sul consumo consapevole, sul rispetto dell’ambiente e sul riutilizzo dei prodotti, favorendo lo sviluppo di una cittadinanza attiva, responsabile e solidale; • fornire valutazioni di carattere economico ed ambientale. E’ previsto uno sviluppo sia nella replicabilità ad altri contesti, sia all’interno dei singoli territori, ampliando i donatori nelle aree d’intervento, i prodotti recuperati, l’apertura di canali innovativi (es. dogane, fiere), la collaborazione con istituzioni non ancora coinvolte (es. sequestri amministrativi) oltre che ricercando e realizzando ulteriori obiettivi, quali valutazioni

di carattere sanitario e sociale o la produzione di biogas con i residui non recuperabili. I benefici riscontrabili in capo a ciascun soggetto sono molteplici. I donatori hanno minori costi di raccolta, di trattamento, di smaltimento farmaci e riduzione sulla tariffa di igiene ambientale nei comuni che la applicano; possono comunicare positivamente una responsabilità sociale d’impresa ed infine ottimizzare acquisti e grammature sulla base dei dati storici forniti, trasformando la mancata produzione di rifiuti in un valore monetizzabile. I beneficiari hanno un vantaggio da mancati costi di acquisto che crea risorse non preventivate che possono essere reimpiegate per ampliare i servizi o il numero degli assistiti; ottengono una copertura dei pasti forniti dall’80% al 100% del fabbisogno, con risparmio economico e di tempo, arricchimento nutrizionale della dieta, che migliora la salute pubblica, oltre a partecipare ad una rete interna al terzo settore per condividere ed interscambiare informazioni e l’eventuale surplus recuperato. L’intero territorio si sviluppa: le Acli formalizzano le procedure e gli aspetti fiscali, organizzano recupero e distribuzione in maniera logisticamente ottimale così da ridurre al minimo i costi di struttura e gli impatti ambientali del trasporto, garantiscono la qualità igienico-sanitaria e mantengono la tracciabilità dei prodotti; creano posti di lavoro e realizzano percorsi educativi per far comprendere la complessità delle relazioni economico-sociali del territorio stesso.

Aumentando le forme di capitale umano, tecnico, sociale ed economico, lo sviluppo si realizza in maniera stabile e duratura per l’effetto volano che si crea con la reciprocità delle relazioni costruite. A titolo di esempio si descrivono di seguito alcuni ambiti di recupero.

R.e.b.u.s. mense scol astiche Lo studio di fattibilità nacque dall’informazione che nelle mense scolastiche non avvenisse una completa distribuzione dei prodotti, che rimanevano in parte nei contenitori. E’ iniziata poi a Verona la sperimentazione innovativa di recupero di prodotti principalmente cotti, che richiedevano una procedura di tutela igienicosanitaria molto attenta. Fondamentale l’apporto dato dai dirigenti e dal personale del SIAN (Servizio Igiene Alimenti e Nutrizione) del Dipartimento di Prevenzione dell’Ulss 20. Fu avviato il dialogo sia con l’Assessorato all’Istruzione del Comune, affinché desse il benestare per il recupero nelle strutture scolastiche, sia con la società che gestiva la ristorazione e con AMIA (azienda partecipata del Comune di Verona che gestisce lo smaltimento rifiuti nel comune stesso), che erogò un finanziamento per l’acquisto delle attrezzature previste dal protocollo. Nei due mesi di attività sperimentale, si recuperarono 439 kg di prodotti alimentari; il recupero prosegue tuttora in tredici scuole; i prodotti recuperati, utilizzati da quattro strutture di as-

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sistenza, nel 2011 furono pari a 13.279 kg. Per l’anno scolastico 2011-12, si è realizzato un percorso formativo sui temi collegati: riduzione dello spreco, gestione dei rifiuti, analisi della filiera, tutela ambientale, cittadinanza attiva e responsabile, allo scopo di porre l’attenzione e coinvolgere gli alunni su azioni concrete di riduzione della produzione di rifiuti, di recupero e riutilizzo dei beni. L’attività delle Acli, oltre al coordinamento del recupero, consiste nella raccolta dati, nel controllo a campione della correttezza della procedura e nella relazione ai portatori d’interesse, nella redazione dei documenti per la riduzione della tariffa d’igiene ambientale e nell’organizzazione dei corsi. Dal 2008 si è replicata l’esperienza in collaborazione con le Acli di Padova; dal 2012 si è attivata anche a Vicenza.

R.e.b.u.s. Veronamercato Il mercato ortofrutticolo di Verona è il 3° mercato italiano per numero d’imprese concessionarie operanti all’interno e per quantità di merci movimentate. Il progetto di recupero di prodotti ortofrutticoli è nato dall’interessamento della dirigenza della Veronamercato S.p.A., per ridurre la quantità di prodotti ortofrutticoli avviata ai centri di compostaggio, implementare e pianificare il recupero, valorizzando le merci rimaste invendute attraverso la donazione alle Onlus del territorio, verificando gli accessi nel mercato da parte dei soggetti beneficiari. E’ stato sottoscritto un accordo tra Acli e Veronamercato S.p.A. per l’avvio della fase sperimentale, interamente gestita dall’ufficio progetti delle Acli con il supporto d’ispettori del mercato. Il progetto è stato sperimentato alla fine del 2008, dopo una prima fase d’indagine conoscitiva di quanti operavano già all’interno del mercato. La creazione e la standardizzazione della procedura non si è rivelata semplice, anche per la difficoltà degli esercenti a compilare la documentazione e di attenersi ad un protocollo. La maggior parte dei posteggianti, infatti, donava comunque le eccedenze, ma in modo non organico, non controllato e prevalentemente su richiesta di beneficiari di cui non sempre si conosceva la destinazione, col rischio di vendite parallele. E’ stata redatta una specifica modulistica, inserita all’interno del sito internet della Ve-

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ronamercato S.p.A., affinché le associazioni in possesso dei requisiti potessero chiedere l’accreditamento, ottenendo l’ammissione alla procedura; ciò consente potenzialmente a tutte le Onlus di accedere alle fasi di recupero nel mercato. Regolare e standardizzare l’attività di donazione ha riorganizzato e migliorato il servizio per tutti: riduce la produzione di rifiuti organici, migliora il sistema di recupero e la qualità, anche igienico-sanitaria, dei prodotti donati, garantisce continuità di approvvigionamento alle Onlus, formalizza le procedure e gli aspetti fiscali e mantiene la tracciabilità del prodotto. Il progetto ha consentito nel 2011 il recupero di 347.000 kg; da ottobre è stato replicato anche nell’ortomercato di Bergamo. L’attività delle Acli è di raccolta dei documenti emessi dai posteggianti, inserimento dei dati, predisposizione per la riduzione della tariffa d’igiene ambientale ed ampliamento dei soggetti coinvolti.

R.e.b.u.s. eccedenze dell a produzione agricol a (OP)

Nel corso del 2008 si è avviata una collaborazione con la Prefettura di Ancona, naturalmente inserita nel progetto sostenuto dalla Fondazione Cariverona, in quanto territorio di competenza; unica inizialmente in Italia, provvedeva e provvede a gestire la donazione di prodotti ortofrutticoli ritirati dal mercato. Tali prodotti sono messi a disposizione dalle Organizzazioni di Produttori (OP), riconosciute dalle Regioni territorialmente competenti, presso centri di ritiro autorizzati. L’attività, con metodologia logistica innovativa, consiste nella distribuzione di ortofrutta di prima qualità agli enti beneficiari nella stessa giornata di arrivo del prodotto, che è assegnato in funzione del numero degli assistiti dell’ente stesso, evitando così strutture di stoccaggio e conservazione.

Nel 2011 sono stati recuperati 281.000 kg; tale attività è stata estesa a Belluno e Venezia. L’attività delle Acli è pianificare e programmare la distribuzione, controllare e consegnare la merce, predisporre i documenti redatti dalla prefettura e fare il rendiconto delle quantità consegnate.

R.e.b.u.s. farmaci E’ un progetto innovativo nelle modalità di recupero e nella tipologia di prodotti. In primis ci fu la sottoscrizione di un accordo tra AGEC (ente partecipato dal Comune di Verona e gestore di quattordici farmacie comunali) e Acli, poi iniziò in via sperimentale, nel dicembre 2010, prevedendo il recupero e la distribuzione solidale dei prodotti invenduti delle farmacie comunali (parafarmaci, prodotti per l’igiene e la cosmesi, integratori alimentari, OTC; sono esclusi i farmaci soggetti a prescrizione medica). Agec e Acli, per raggiungere l’obiettivo prefissato, hanno costituito un gruppo di lavoro congiunto, avviato la sperimentazione, definito un piano comunicativo e le modalità di realizzazione e gestione delle attività. Nel circolo virtuoso creatosi, i vantaggi in capo agli attori coinvolti sono molti: Agec riduce la produzione di rifiuti di medicinali attraverso un’attività responsabilmente sociale; gli enti beneficiari riducono la spesa di acquisto farmaci per i propri assistiti e possono destinare diversamente le risorse; gli assistiti degli enti usufruiscono di prodotti che consentono migliori cure; tra essi, mediante una collaborazione con il Garante dei diritti dei cittadini privati della libertà personale del Comune di Verona, ci sono anche i detenuti del carcere. *Responsabile Ufficio progetti ACLI provinciali di Verona



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A Ravenna per fare i conti con l’ambiente Mancano pochi giorni all’edizione 2012 dell’originale festival su rifiuti, acqua, energia e sviluppo sostenibile di Gian Maria Brega*

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i terrà a Ravenna dal 26 al 28 settembre “Fare i conti con l’ambiente”, evento a km zero sui temi della sostenibilità e sulle buone pratiche in tema rifiuti/ acqua/energia che si svolgerà interamente nel Centro Storico pedonale di Ravenna all'interno di 12 Sale attrezzate, in Piazza del Popolo e nelle principali vie del Centro Storico. Fare i conti con l’ambiente non è solo il nome dell’evento ma anche il tema che percorre trasversalmente i percorsi offerti e i contenuti. Fare i conti con l’iniziativa spesso dissennata dell’Uomo, misurarne i danni provocati, ripensare il modo di vivere la Terra, intraprendere la strada della sostenibilità, ed anche con urgenza in quanto il Pianeta stesso presenterà inesorabilmente i “propri conti”. Forte è il filone internazionale in cui si inscrive “Ravenna2012”, come testimoniato dalla prima delle conferenze: stiamo parlando della seconda “International Web Conference Rio+20” sulle tematiche cruciali che riguardano i grandi problemi che ruotano attorno all’energia e all’ambiente. Le relazioni saranno tenute da esperti mondiali e da delegati dell’Unione Europea e saranno trasmesse in streaming on line in diretta nazionale. A 20 anni dal primo evento brasiliano, tenutosi nel 1992, sarà occasione importante per fare il punto sullo stato dell’ambiente sul nostro Pianeta e verificare cosa sia cambiato in questi 4 lustri. Gli esperti sono concordi nell’affermare che le risorse sono limitate e la gestione che stiamo facendo del Pianeta Azzurro non potrà

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che causare impoverimento, estinzioni e crisi sempre più profonde. Il modello economico vigente ha il fiato corto, sopraffatto da nuove esigenze e dalla necessità di preservare la natura e la sopravvivenza dell’animale-uomo stesso. La Web Conference di Ravenna2012 sarà un’occasione importante per discutere dello sviluppo e dell’implementazione di una vera “green economy”. La conferenza centrale (giovedì 27 settembre, dal titolo Fare i conti con l’ambiente il vero capitale) sarà magistralmente condotta da Philippe Daverio, giornalista, scrittore e critico d'arte, uomo-immagine di Rai5 con la trasmissione Passepartout, che racconterà e approfondirà i temi centrali dell’evento in modo assolutamente intrigante ed acuto. Anche in questo caso sarà prevista una diretta streaming web a livello nazionale. A “Fare i conti con l’ambiente” ci sarà spazio anche per una riflessione lucida e molto cosciente sul tema delle “ecomafie”: La rete di Penelope e le ecomafie (mercoledì 26 settembre), è il titolo della conferenza di Raffaele Cantone, magistrato italiano attivo nella lotta alla criminalità organizzata, che fa il verso al libro di Cantone stesso, Operazione Penelope, un libro ove affronta il tema mafie analizzando una risposta ad un interrogativo, contenuto nel sottotitolo al testo: "Perché la lotta alla criminalità organizzata e al malaffare rischia di non finire mai". Una tela, quella che nel poema omerico, Penelope realizza e disfa nell'attesa del suo Ulisse, che, sebbene dopo lungo

tempo, riuscirà a tornare ad Itaca. Eccola, la metafora solo apparentemente pessimista, che Raffaele Cantone prende a modello, analizzando le dinamiche che ruotano intorno alle mafie ed alle possibilità di riuscire nell'opera di contrasto ad esse. Lorenzo Pinna, “braccio destro” storico di Piero Angela a Quark e Superquark, ci introdurrà invece (venerdì 27 settembre) nel mondo dei rifiuti, e parlerà di come una gestione oculata ed intelligente degli stessi sia la chiave per le civiltà per accedere alla cosiddetta “modernità”. La conferenza di Pinna sarà anche l’occasione per presentare il libro Herambiente, “Il mestiere di trattare i rifiuti”. Partecipano alla conferenza David Newman (ISWA), Antonio Pergolizzi (Legambiente) e Filippo Brandolini (Herambiente e Federambiente). Ravenna 2012 si arricchisce poi di un ulteriore momento di incontro e scambio di conoscenze e saperi: il labecamp, non-conferenza prevista per il 28 settembre, vedrà la partecipazione di blogger, giornalisti, esperti ed appassionati di ecologia, tutti accomunati dalla voglia di praticare “conversazioni sostenibili”. Il labecamp – patrocinato da Novambiente.it - sarà coordinato da Vittorio Pasteris – firma del giornalismo e dell’internet nostrano – insieme con Andrea Vico (ex La Stampa e Tuttoscienze, attualmente giornalista scientifico e “divulgatore”). Lo svolgimento del camp sarà dinamico e fluido e i temi si succederanno uno dentro l’altro come frattali che crescono e muoiono dando vita a nuove discussioni.


Una sorta di “stream of consciousness” alla maniera di Joyce, tenendo comunque ben presente il “cappello” originario e primario, “vivere sostenibile: i conti tornano?”. Saranno con noi Marco Fratoddi (direttore de La Nuova Ecologia), Paola Bolaffio (direttore di Giornalisti nell’erba), Mario Notaro e Simona Falasca (responsabile e direttore editoriale di GreenMe), Paolo Bonafini di e-gazette.it, Alessandro de Pascale (giornalista di Terra ed autore anch’egli di un libro sulla criminalità organizzata), Antonio Pergolizzi di Legambiente, Giorgio Cusin (autore del libro Acqua fiume di vita) e tanti altri… “Salvaguardia dell'ambiente, sviluppo economico e mondo del lavoro: la sfida nel territorio romagnolo” è il titolo della conferenza, promossa in collaborazione con la Camera di Commercio di Ravenna, che si terrà la mattina di venerdì 28 settembre, con la partecipazione (e sarà un gradito ritorno a Ravenna) di Marco Gisotti, autore insieme a Tessa Gelisio (volto noto di Mediaset) proprio del libro “Guida ai

green jobs”, di esperti e professionisti da Università, Istituzioni di ricerca e Imprese, tutti coordinati dal sempre presente Umberto Torelli, giornalista de Il Corriere della Sera. Tanti e ulteriori i temi affrontati nelle sezioni scientifiche, tra cui evidenziamo la conferenza labeinnovation, tecnologia, ricerca e nuovi saperi per la gestione dei rifiuti – Focus 2012 (venerdì 28 settembre dalle 9:30) a cui parteciperà il Dott. Maurizio Pernice (Dir. Gen. Ministero dell’Ambiente). “Ravenna è anche arte e cultura – concludono Giovanni Montresori e Mario Sunseri, direttori della manifestazione - innumerevoli le iniziative in programma, tra cui i laboratori di riciclo

creativo in piazza, gli artisti di strada (Ecobusking dal Festival di Ferrara), le esposizioni di “public art”, le installazioni e la partnership con CinemAmbiente, costola “verde” del Festival del Cinema di Torino. Senza dimenticare il cortometraggio “Gorzan: Fare i conti con l’ambiente” (realizzato da Studio Vacuo-officina della comunicazione), che affronta in modo spiazzante le tematiche della manifestazione e si appresta a diventare un vero e proprio “tormentone dell’evento.” Insomma: un appuntamento da non perdere! Dal 26 settembre, a Ravenna. *Labelab s.r.l.

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A BARCELLONA SI INTEGRANO RECUPERO DI ENERGIA E DI MATERIA DAI RIFIUTI Nella provincia catalana sorge un impianto di trattamento dei rifiuti urbani nato all’insegna dell’ottimizzazione del recupero e della riduzione degli impatti sull’ambiente di Pietro Navarotto* e Raul Dominguez Llauro**

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coparc 4 si trova nel Comune di Els Hostalets di Piérola, in provincia di Barcellona, ed è la novità più recente nella rete di impianti di trattamento rifiuti dell’area catalana. Questo impianto tratta il 100% dei rifiuti urbani generati nella zona e gestisce inoltre il trattamento dei rifiuti di altri distretti come Anoia e Baix Llobregat. Rientra nel quadro definito nel Piano Territoriale di Settore per le infrastrutture di gestione dei rifiuti della Catalogna, approvato nel 2010 dal governo della Catalogna, l'impianto fa anche parte del Programma Metropolitano per la gestione dei rifiuti urbani, approvato nel 2009 dal Consiglio metropolitano.

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ECOP4RC, il Consorzio creato per costruire e gestire l'impianto, è costituito dall'Ente Metropolitano dei servizi idraulici e trattamento dei rifiuti (EMSHTR), dall'Agenzia dei rifiuti della Catalogna (ARC), da una società pubblica che opera sotto l'egida del Dipartimento del Territorio e Sostenibilità del Governo della Catalogna e dal Consiglio Comunale di Els de Hostalets Piérola. L’investimento per la costruzione di Ecoparc 4 ammonta a poco meno di 50,6 milioni di euro (al netto dell'IVA) importo interamente finanziato dall’ARC. Il EMSHTR finanzierà il funzionamento dell'impianto come definito nel contratto di 15 anni di concessione e i costi operativi potrebbero essere superiori a 14 milioni di euro all'anno.

Il contratto per la progettazione e l'esecuzione delle opere e la gestione dell'impianto per un periodo di 15 anni è stato assegnato a Cespa GR, SA (attualmente in commercio sotto il nome di Ecoparc de Can Mata, SL) che ha incaricato Stadler GMBH della realizzazione della selezione automatica dei materiali. L'impianto ha una capacità di progetto pari a 365.000 t/anno. Il progetto dell'impianto tiene conto della variazione costante nella composizione dei rifiuti urbani, a causa dell'implementazione progressiva e generalizzata della raccolta differenziata della frazione organica. Questa selezione è obbligatoria in tutti i comuni della Catalogna ed è attualmente in una fase di espansione. L'impianto è quindi progettato per il trattamento di 300.000 t/anno di sola frazione residua o di una combi-


nazione di 225.000 t/anno di frazione residua e 75.000 t/anno di FORSU. La percentuale di recupero, incluse le perdite per evaporazione del processo di compostaggio, è del 64% sul rifiuto in ingresso. Si recuperano in via automatica 8 diverse frazioni (PET, PEAD, plasmix, film, carta e cartone, tetrapack, ferro, alluminio) e si produce un CSS di qualità.

PRETRATTAMENTO I camion che arrivano a Ecoparc 4 vengono pesati e registrati all'ingresso dello stabilimento prima di recarsi presso il capannone di scarico. L'edificio dispone di due baie di scarico per la frazione residua e una terza baia per la FORSU. Due gru dotate di benne a polipo da 8 m3 scaricano i rifiuti su 4 alimentatori: 3 di questi alimentano le 3 linee di trattamento meccanico della frazione residua (ogni alimentatore ha una capacità di 30 t/h) e la quarta alimenta la linea della FORSU (20 t/h). Linea FORSU

Il trattamento meccanico della FORSU comprende le seguenti fasi: cernita manuale per rimuovere materiali metallici e i rifiuti ingombranti, apertura dei sacchetti e vagliatura mediante vaglio rotante con maglie da 90 mm. Il sopravvaglio del vaglio rotante (>90 mm) viene inviato alla stazione di trasferimento dei rifiuti di scarto, mentre il sottovaglio (<90 mm) passa sotto un elettromagnete prima di andare al reattore di compostaggio. Linea frazione residua

In primo luogo, i rifiuti ingombranti vengono rimossi mediante un vaglio rotante con maglie da 350 mm. In ogni linea, i rifiuti sono inviati ad una cabina di cernita manuale dove vengono rimossi vetro e metalli ingombranti prima di essere diretti all’aprisacchi. I rifiuti con dimensioni maggiori di 350 x 350 mm vengono inviati ad una seconda fase di cernita manuale per consentire l’ulteriore separazione dei materiali recuperabili. Successivamente al passaggio attraverso i 3 aprisacchi, i rifiuti vengono inviati a 3 vagli rotanti a doppio stadio (90 mm e 150 x 250 mm). In uscita dal vaglio si avranno le seguenti frazioni: • frazione <90 mm: inviata al trattamento biologico;

• frazione <150 x 250 mm: inviata a 3 separatori balistici con l'obiettivo primario di separare la frazione tridimensionale (3D) ricca di materiali plastici (contenitori per bevande) e tetrapack da quella bidimensionale (2D) ricca in carta e plastica film; • frazione >150 x 250 mm: inviata ad un quarto separatore balistico con l'obiettivo primario di separare la frazione piatta. I separatori balistici generano tre diverse frazioni: • frazione fine: inviata al trattamento biologico; • frazioni 3D e 2D: inviate ad un processo di recupero dei sottoprodotti basato sulla separazione ottica con tecnologia NIR. Tale processo è completato dal recupero dei metalli ferrosi e non ferrosi mediante separatori a correnti di Foucault e dall'aspirazione di film plastici con un sistema di raccolta pneumatica.

La parte finale del processo comprende una grande cabina di cernita manuale per il controllo di qualità dei materiali separati che vengono successivamente compressi in balle. Linea CSS

Ai fini di massimizzare il riutilizzo dei rifiuti, Ecoparc 4 ha una linea per ottenere combustibile solido secondario (CSS) di alta qualità privo di PVC derivante dalla frazione piatta scartata dal separatore balistico.

TRATTAMENTO BIOLOGICO Questa fase ha l'obiettivo di trattare biologicamente sia la materia organica residua della linea della frazione residua sia la materia organica derivante dalla linea di FORSU. Il processo si basa sulla decomposizione aerobica e rotazione automatica della materia organica in un edificio chiuso dotato di 3 reattori rettangolari. Due di questi vengono utilizzati per la biostabilizzazione della materia organica residua, mentre il terzo è destinato al processo di compostaggio della FORSU. La materia organica residua viene caricata nel reattore di fermentazione (reattore 1), dove viene mantenuto per un periodo di 14 giorni prima di andare al

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reattore di maturazione (reattore 2), dove permane per 28 giorni. La FORSU viene miscelata con la frazione vegetale triturata e caricata nel reattore 3, dove il periodo di maturazione è di 36 giorni.

RAFFINAZIONE La raffinazione del compost viene effettuata in un'unica fase, il risultato finale è un compost di qualità adatto per l'uso in agricoltura. La raffinazione del rifiuto biostabilizzato si svolge in due fasi di vagliatura e aspirazione, i rifiuti biostabilizzati possono essere così utilizzati come strato di copertura in discariche controllate e per il ripristino della vegetazione in opere pubbliche.

STAZIONE DI TRASFERIMENTO SCARTO La stazione di trasferimento degli scarti raccoglie e tratta i diversi flussi di scarto generati durante il pretrattamento meccanico e i processi di trattamento biologico.

mente costruita; scrubbing chimico degli acidi in 4 scrubber verticali e scrubbing chimico basico in uno scrubber orizzontale appositamente realizzato; depurazione biologica mediante biofiltro con 42.000 m3 di torba come agente filtrante ed emissione attraverso un camino.

VENTILAZIONE E TRATTAMENTO ARIA

RACCOLTA E TRATTAMENTO ACQUE

Ecoparc 4 è dotato di un sistema di ventilazione completo avente capacità sufficiente per effettuare il necessario ricambio dell'aria e per inviare il flusso d'aria estratto all'impianto di trattamento delle emissioni (400,000 m3 /h). Il sistema di abbattimento degli odori comprende: umidificazione in una camera apposita-

L'impianto ha numerose reti per la raccolta dei diversi tipi di reflui in modo che tali liquidi possano poi essere riutilizzati all’interno dell’impianto stesso: • rete di raccolta delle acque meteoriche l’acqua viene raccolta e riutilizzata per la pulizia degli edifici, per il compostaggio e per il trattamento dell'aria; • rete di raccolta delle acque grigie - l’acqua viene riutilizzata per l’irrigazione durante il processo di compostaggio; • rete di raccolta acque di processo - le acque nere e le acque di lisciviazione sono raccolte in un serbatoio da 250 m3 per l’irrigazione durante il processo di compostaggio. Prima di poter essere riutilizzate vengono però inviate all’impianto compatto di trattamento che è in grado di ricevere 108 m3/h. *Stadler Italia **CESPA

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Sull'area della ex michelin nascono gli alberi... anzi le albere! è giunto alle fasi conclusive l'importante progetto che restituirà alla città di trento un'area riqualificata e nuovi spazi urbani di Maeva Brunero Bronzin

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ichelin, Italcementi, Sloi, Carbochimica, Laverda, Ferriera… Parliamo di stabilimenti, di realtà produttive? Forse un tempo, adesso parliamo invece di luoghi della memoria di un passato industriale che adesso sono scomparsi o sono in procinto di scomparire. Siamo a Trento, dove queste e molte altre industrie hanno lasciato il segno nel tessuto urbano e sociale e ora, quando ormai la produzione è cessata da anni, ciò che ancora lasciano sono spazi, superfici liberate e pronte per essere riqualificate e destinate a nuovi insediamenti, residenze, aree commerciali o spazi di aggregazione. Tra le aree in cui questo processo è quasi giunto alle fasi conclusive c’è la ex Michelin di Trento, che occupava una zona a ridosso del centro storico lungo il fiume Adige. Su una superficie di oltre 100 mila metri quadri su sviluppava lo stabilimento, dismesso ormai nel lontano 1999, e rientrato in un ampio Piano di riqualificazione urbana e di politica urbanistica definito dall’Amministrazione Comunale. La riqualificazione della ex Michelin ha avuto inizio con la demolizione delle strutture industriali dismesse, cui è seguita la bonifica dei terreni e si sta concludendo ora con la realizzazione di un quartiere polifunzionale e di un grande parco: le Albere.

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Il progetto è stato sviluppato con l’obiettivo di ricucire il tessuto urbano recuperando il rapporto con l’ambiente fluviale, trasformando un’area resa marginale in punto di aggregazione socio-culturale e di grande interesse collettivo. La risposta a queste esigenze è stata trovata, a seguito di un concorso di idee, nel progetto elaborato dallo Studio Renzo Piano Building Workshop (RPBW).

Eredità di un passato industriale Lo stabilimento Michelin occupava una superficie di 113.000 mq dei quali 68.000 risultavano coperti da fabbricati. Dalla produzione iniziale di tessuti e ritorti di cotone impiegati per la realizzazione di pneumatici si era passati, negli ultimi anni di attività, alla fabbricazione di rinforzi metallici cui si affiancava sempre la produzione di ritorti di fibre artificiali e sintetiche. Durante i 70 anni di attività hanno operato nello stabilimento di Trento circa 6.200 persone. A seguito della dismissione sull’area era stato aperto un procedimento di bonifica a causa del rinvenimento nelle acque di falda di concentrazioni di tetracloroetilene superiori alle Concentrazioni Soglia di Contaminazione definite dal D.Lgs. 152/06. A luglio del 2009 infatti era stato approvato in Confe-

renza dei Servizi il Piano della Caratterizzazione del sito all’interno del quale erano appunto previste indagini dirette sui terreni e campionamenti delle acque sotterranee. I dati di caratterizzazione raccolti sono stati presentati agli enti di controllo unitamente all’analisi di rischio sanitario ambientale eseguita tenendo conto della variazione di destinazione d’uso del sito che sarebbe stato adibito ad utilizzo verde/residenziale e quindi con limiti maggiormente restrittivi in relazione alle concentrazioni ammissibili. Gli elaborati presentati sono stati valutati positivamente dalla Conferenza dei Servizi anche grazie al fatto che successivamente all’agosto del 2009 i campionamenti delle acque eseguiti non avevano più mostrato superamenti delle CSC. Gli Enti hanno perciò disposto la chiusura del procedimento di bonifica, prescrivendo unicamente la prosecuzione delle campagne di monitoraggio della falda, e destinando quindi l’area ad una “nuova vita”.

Verso l a trasformazione Nel 1998 l’area (di complessivi 116.000 mq) è stata venduta da Michelin alla società Ini-


Il progetto

ziative Urbane S.p.A., formata da rappresentanze del sistema creditizio e imprenditoriale della città di Trento, nata per realizzare la riqualificazione dell’area dello stabilimento. Dopo essersi occupata della fase di progettazione, bonifica e preparazione del sito, Iniziative Urbane ha affidato la gestione della “fase immobiliare” al Fondo Cesio, un Fondo comune di investimento immobiliare chiuso riservato a investitori istituzionali, gestito dal Castello SGR. L’operazione di riqualificazione è stata eseguita sfruttando totalmente la potenzialità edificatoria del sito e consentirà al Comune di Trento di acquisire, a titolo gratuito, un’area di più di 70.000 mq che verranno destinati a parco pubblico, strade e piazze.

La riqualificazione dell'area Michelin fa parte di un percorso di trasformazione e valorizzazione intrapreso dalla città nel 1998, quando l’Amministrazione Comunale decise di recuperare alcune aree dimesse per consegnare alle generazioni future un segno della cultura urbanistica e architettonica dei nostri giorni. Il progetto rientra nel PRUSST (Programma di Riqualificazione Urbana e Sviluppo Sostenibile del Territorio) presentato dalla Provincia nel 1999 ed approvato l'anno successivo dal Ministero dei Lavori Pubblici. L'operazione rappresenta inoltre una delle azioni cardine del "Piano strategico della città di Trento 20012010". Il disegno di riconversione dell'area ex industriale Michelin costituisce uno dei passaggi emblematici della variante 2001 al PRG.

Il compito di restituire alla città l’area dello stabilimento è stato affidato nel 2002 allo Studio Renzo Piano Building Workshop (RPBW) in seguito ad un concorso di idee bandito dalla società Iniziative Urbane S.p.A., proprietaria del sito. Le Albere, è questo il nome del progetto che dà il nome all’omonimo Palazzo presente nell’area un tempo residenza dei Principi Vescovi Madruzzo, un nome che in dialetto trentino significa pioppi, gli stessi alberi che formavano il filare d’ingresso al Palazzo. L’idea su cui si basa il progetto è quella di riportare la città a contatto con il suo fiume realizzando un’area in cui sia normale vivere, lavorare e fare shopping, poiché si tratta di una zona a due passi dal centro in cui saranno inoltre presenti due poli di attrazione: il Polo Sud e il Museo della Scienza, MUSE. Le linee guida del progetto si possono ricercare in cinque sistemi: energia, acqua, verde pubblico, costruito e coperture. Il sistema dell’energia si sviluppa sfruttando l’estensione dell’intervento progettato, inserendolo in modo armonico nell’ambiente ed utilizzandolo anche a proprio vantaggio. Perciò è stato ideato un sistema energetico centralizzato che ottimizza le risorse riducendo i costi di gestione: una centrale unica per il comparto ubicata sulla sponda opposta dell’Adige, che distribuisce e recupera l’energia da ciascun lotto grazie a una rete di tubazioni interrate. Oltre a questo sistema di distribuzione un’attenzione particolare è stata dedicata alla progettazione degli edifici al fine di ottenere elevati standard di coibentazione e controllo della dispersione termica. Il sistema dell’acqua è strettamente legato alla presenza dell’Adige e all’obiettivo già ribadito di riavvicinare la città al suo fiume. Questa necessità risale alla metà dell’Ottocento quando, a seguito della rettifica del tracciato eseguita dagli austriaci per la costruzione della ferrovia e per l’esecuzione di bonifiche, il centro storico è stato privato della presenza del fiume. L’attenzione riservata a questa tematica ha inoltre portato i progettisti ad inserire un sistema di canali che attraversano il parco da nord a sud alimentando specchi d’acqua che a loro volta contengono spazi pubblici.

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r e p ort

LA STORIA DELLO STABILIMENTO Ha inizio nel 1830 la storia del successo industriale della Manufacture Française des Pneumatiques Michelin quando un avo dei fratelli Michelin, Aristide Barbier, fonda a Clermont Ferrand una piccola fabbrica di macchine agricole, e sua moglie, nipote dello scienziato Mac-Intosh scopritore della solubilità della gomma nella benzina, volle riprodurre un gioco che le aveva insegnato il nonno: fabbricare delle palle di gomma. Da allora sono passati molti anni e molte sono le sperimentazioni fatte per arrivare agli attuali pneumatici. Il primo stabilimento in Italia venne aperto a Torino nel 1907, in un’epoca di espansione produttiva che proseguì anche negli anni successivi alla prima guerra mondiale. Prevedendo poi l’ulteriore sviluppo che avrebbe avuto la motorizzazione ed in linea con la politica di industrializzazione portata avanti dal Governo di quei tempi la Michelin decise di aprire a Trento uno stabilimento per la produzione di tele e ritorti di cotone. Siamo nel 1924 quando vengono presi gli accordi tra le autorità locali e l’allora Presidente della Michelin, il Gr. Uff. Ing. Adolphe Daubrée, nonno di Emmanuel Daubrée che fu presidente e Amministratore Delegato fino a metà degli anni ’90. Il nuovo stabilimento di Trento iniziò la produzione tre anni più tardi, nel 1927, quando furono completati la costruzione dei capannoni e il montaggio dei macchinari. La lavorazione delle balle di cotone provenienti dall’Egitto per la fabbricazione di tessuti e ritorti veniva effettuata dagli oltre 600 operai della fabbrica, tutti provenienti dalla zona di Trento ed in prevalenza donne. Il Palazzo delle Albere ospitava i primi uffici, la mensa dello stabilimento ed il pensionato femminile per le operaie, mentre l’ex Albergo Astoria in Via Torre Vanga era la sede del “dopolavoro” divenuto in seguito “Gruppo Sportivo Michelin”. Lo stabilimento di Trento è rimasto in attività fino al 1997 incentrando la produzione degli ultimi anni sulla fabbricazione di rinforzi metallici per i pneumatici e di ritorti di fibre artificiali e sintetiche. Anno 1924 Vengono presi accordi con le autorità locali e vengono acquisite le aree Anno 1927 Inizia l’attività produttiva dello stabilimento a Trento Anno 1933 Costruzione del fabbricato per la mensa ed il pensionato femminile, divenuto poi la sede del Gruppo Sportivo Michelin Anno 1943 Un bombardamento aereo colpisce a danneggia gravemente la sala di filatura, che venne subito ricostruita Anno 1949 Costruzione del nuovo fabbricato infermeria e docce Anno 1957 Inaugurazione del cinema-teatro del Gruppo Sportivo Michelin. Ampliamento dello stabilimento e inizio della nuova attività di trafilatura e cordatura di acciaio per pneumatici Anno 1961 Costruzione del nuovo fabbricato Laboratorio Dal 1963 al 1966 Ulteriore ampliamento dello Stabilimento per la realizzazione del nuovo reparto di trafilatura a secco Anno 1967 Cessazione dell'attività di filatura del cotone: continua la ritorcitura di fibre artificiali e sintetiche Anno 1972 Costruzione del nuovo ristorante self-service e realizzazione della nuova infermeria e del campo da tennis coperto Anno 1991 Fusione dello stabilimento di Fossano con quello di Trento Anno 1997 Chiude lo stabilimento di via Sanseverino e trasferimento a Gardolo di Trento

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Un sistema dell’acqua che assolve quindi a funzioni ludiche e ricreative ma anche di carattere più pratico (irrigazione, antincendio, raffreddamento, ecc.). Il terzo grande sistema è rappresentato dal verde pubblico, rappresentato da filari di alberi che costituiscono una sorta di spina dorsale del progetto ma anche un elemento di unione tra la città, il nuovo quartiere e il parco. Le costruzioni sono invece di due tipologie, una che si sviluppa in linea lungo la ferrovia, destinata quindi a funzioni non residenziali ed una che si sviluppa con edifici a corte con prospettive e forme diverse che fanno intravedere i cortili interni dalle strade. Questa seconda tipologia di costruzioni è destinata per lo più a funzioni residenziali. L'elemento di collegamento tra le varie parti dell’intervento progettato è rappresentato dalle coperture. Grazie all’uso di legno e acciaio, diversificando altezze, inclinazioni e dimensioni le falde degli edifici fungono da trait d’union tra tutte le strutture. Come già anticipato il Progetto prevede per l’area un mix di funzioni differenti: residenze, uffici, negozi, spazi culturali e aree ricreative. Occupando gli edifici con una stratificazione di destinazioni diverse su diversi piani si accostano varie tipologie di utenza evitando gli effetti negativi derivanti da picchi di presenza e picchi di assenza che si verificano in caso di destinazioni omogenee. Questo garantirà inoltre maggior vitalità al quartiere che sarà abitato e frequentato ad ogni ora del giorno, ricco di occasioni stimolanti dal punto di vista abitativo, lavorativo, sociale, ricreativo e culturale.

L a realizzazione La progettazione da parte dello Studio Renzo Piano Building Workshop è iniziata nel 2002. La demolizione di strutture e fabbricati è stata completata due anni più tardi, nel 2004. Il cantiere di costruzione è stato invece avviato nel 2008. Oggi vediamo completato il nuovo quartiere con alloggi certificati KlimaHaus, Il nuovo Museo della Scienza, il MUSE, che ha ottenuto la certificazione Leed mentre sono ancora da completare il Centro Congressi, l’hotel e il grande parco urbano. L’esecuzione del primo lotto dell’intervento è stato affidato al Consorzio di imprese Trento Futura Scarl ed è previsto che l’operazione venga completata entro il 2012.

I numeri di un grande progetto Partendo dai costi stiamo parlando di un investimento privato di 450 milioni che porterà alla costruzione di 310.000 metri cubi di edifici su un'area di 11 ettari, un grande Museo della Scienza, 300 appartamenti, 5 ettari di parco pubblico, 30 mila metri quadrati destinati a uffici e commercio, due piani di garage interrati con circa 2000 posti auto, di cui 480 condominiali e ad uso comune, e 30 mila metri quadrati di strade e piazze. L'area avrà un sistema di reti e cablaggi per consentire efficienti telecomunicazioni e un ottimale funzionamento degli impianti domotici. Caratteristiche e numeri che ben esprimono la dimensione del progetto Le Albere nonché l’importanza di un piano di riqualificazione di un’area dimessa come pochi se ne sono visti sino ad ora nel nostro Paese.

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SPE C IALE

La sicurezza sul lavoro negli appalti e la qualificazione delle imprese Valutazioni e approfondimenti specifici sulle questioni connesse alla sicurezza e alla salute dei lavoratori tra appalti, subappalti e massimi ribassi di Maria Bonacci*

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no degli aspetti più critici riguardo l’applicazione e il rispetto delle norme di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro rimane quello concernente il settore degli appalti. Si tratta di una questione che riguarda tanto l’ambito pubblico quanto quello privato: l’evoluzione dei modelli produttivi avvenuta negli ultimi anni spinge, infatti, sempre di più verso la frammentazione del processo di produzione e l’esternalizzazione di un crescente numero di lavorazioni o di servizi. Di conseguenza, l’ente committente, amministrazione pubblica o società privata che sia, si trova ad affidare a soggetti terzi determinati compiti, più o meno complessi: che possono andare dalla progettazione e realizzazione di un manufatto civile alla fornitura di servizi come la manutenzione, le operazioni di pulizia o le attività di trasporto di prodotti. In premessa va considerato che negli appalti nell’edilizia privata, non esistono procedure di gara o meccanismi di selezione degli appaltatori imposti per legge, essendo tutto rimesso alla libera contrattazione delle parti, per cui in genere i committenti tendono a privilegiare le imprese appaltatrici che offrono i prezzi più competitivi, magari a scapito della qualità o di aspetti fondamentali come la tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori impiegati. Un altro aspetto, negativo, degli appalti privati è, pure, la mancanza di un sistema di qualifica-

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zione delle imprese edili, posto che, ad oggi, qualsiasi lavoratore autonomo può iscriversi alla Camera di commercio e svolgere l’attività d’impresa partecipando a gare d’appalto di qualsivoglia importo. Mancano, altresì, riferimenti oggettivi codificati per valutare la congruità dell’offerta e i committenti non hanno spesso le competenze giuridiche e tecniche per verificare la bontà delle misure previste nei piani di sicurezza. Per altro verso, l’esperienza ha dimostrato che nel settore pubblico, malgrado le procedure e i controlli più severi, le norme sono spesso disattese, con il risultato che per offrire prezzi più bassi nelle gare d’appalto, molte ditte tendono a risparmiare proprio sui costi per la sicurezza, accrescendo i rischi per i lavoratori. Uno dei fattori che alimentano questi meccanismi risiede nel fatto che molte amministrazioni appaltanti utilizzano come criterio di valutazione delle offerte, quasi esclusivamente, il massimo ribasso d’asta: si tratta ovviamente di una scelta legittima, prevista dalla normativa vigente e che dovrebbe consentire alle amministrazioni pubbliche di contenere i costi a parità di prestazioni. Tuttavia, nella realtà questo si traduce, in molti casi, in una fortissima compressione dei costi, con ribassi anche superiori al 50% sia nella fase di progettazione che in quella di esecuzione. Risulta evidente che situazioni di questo tipo sono in grado di compromettere,

inevitabilmente, non solo la qualità del lavoro appaltato, ma anche il rispetto di tutte le procedure e le garanzie, incluse quelle inerenti la sicurezza sul lavoro. Sono stati, così, riscontrati casi di infortuni sul lavoro in presenza di appalti con ribassi anche superiori al 50%: formalmente era tutto in regola, ma in realtà il ribasso finiva per incidere anche sui costi della sicurezza, oltre a mettere in dubbio la stessa qualità del progetto o del lavoro da svolgere. Tutto ciò ha ricadute, drammatiche, sulla tutela dei lavoratori anche in considerazione dell’alto numero di infortuni, anche fatali, che si registrano nel settore e che riguardano, più frequentemente, ditte subappaltatrici di piccole o piccolissime dimensioni, che hanno omesso in tutto, o in parte, le prescritte tutele dei lavoratori, onde spuntare offerte più competitive in un tragico scambio tra lavoro e sicurezza degli addetti.

L a questione dei controlli Per quanto riguarda l’aspetto dei controlli, va considerato che molti committenti tendono a delegare, interamente, la gestione delle attività agli appaltatori o subappaltatori, senza verificare adeguatamente se tali imprese e, soprattutto, i lavoratori chiamati a svolgere le attività oggetto d’appalto o subappalto siano adeguatamente qualificati sotto il profilo della


competenza professionale e delle misure di sicurezza. Se, infatti, è il datore di lavoro di ciascuna impresa a rispondere, direttamente, sotto il profilo giuridico e contrattuale, di tali requisiti, è però vero che il committente deve, preventivamente, accertarsi, per quanto è in suo potere, che i requisiti siano effettivamente sussistenti. È soprattutto, quest’ultimo soggetto che deve organizzare l’ambiente di lavoro delle ditte terze, cooperando con loro per evidenziare i probabili rischi per la sicurezza e tutte le necessarie contromisure da adottare. Atteso che nel settore degli appalti pubblici vigono regole e controlli più stringenti, mentre il settore privato, per sua natura, è soggetto a minori vincoli, tuttavia, l’esperienza in campo ha mostrato che il problema è più generale e che non sempre le norme, per quanto sofisticate, possano risolvere tutti gli inconvenienti che emergono in tale ambito. Dagli interlocutori istituzionali viene richiesto un ruolo più incisivo alle stazioni appaltanti, pubbliche o private che siano, che dovrebbero essere in condizioni di poter esercitare una più adeguata e più costante vigilanza sulle attività affidate e sui soggetti affidatari. Un dato, inconfutabile, è che, ad oggi, il 75% degli incidenti avviene in cantieri nei quali mancano i responsabili della sicurezza e che a ciò si deve aggiungere l’insufficienza di controlli svolti da parte degli ispettorati del lavoro e delle aziende sanitarie locali. Esiste, infatti, un problema di controlli da parte degli organi territoriali di vigilanza, che devono essere intensificati e che vanno indirizzati verso attività e/o situazioni a maggior criticità, potenziando, parimenti, le risorse degli organi ispettivi e la loro capacità di programmazione, coordinamento e condivisione delle informazioni. Si deve evidenziare, altresì, come, al di là dell’elemento contrattuale, manchi, anche, da parte della PA un controllo concreto sull’applicazione della normativa in materia di si-

curezza sul lavoro. Occorrerebbe, in tal senso, un adeguato aggiornamento dei tecnici delle PA, in particolare nei piccoli Comuni, che non sempre hanno la necessaria formazione per seguire le procedure, svolgere gli iter di gara e per effettuare tutti i controlli necessari, specie in presenza di subappalto. In base alle puntuali rilevazioni dell’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici (AVCP), i rischi e gli incidenti sul lavoro più gravi si verificano soprattutto negli appalti di servizi: il codice dei contratti pubblici, ex D.Lgs. 163/06, detta la disciplina in merito ai controlli nei lavori, ma non altrettanto fa per i servizi. L’Autorità di vigilanza sorveglia sulla regolarità dei contratti, cercando di applicare in via analogica i controlli previsti per le opere, anche alle forniture e ai servizi e contestando le eventuali infrazioni emergenti: quest’ultime sono, però, sempre impugnabili in via amministrativa e risolvono solo in parte il problema, mentre in tal senso sarebbe più utile un’espressa previsione normativa.

Il nuovo regol amento dei contratti pubblici Nel settore degli appalti, oltre al problema legato al massimo ribasso, c’è anche quello della qualificazione delle imprese. Il nuovo regolamento di esecuzione e attuazione del codice dei contratti pubblici di cui al DPR 5 ottobre 2010, n. 207, pur essendo molto misurato e per molti versi apprezzabile, si ritiene contenga qualche criticità. Ci si riferisce ad esempio alle previsioni dell’art. 85 che estende, pericolosamente, il subappalto nella realizzazione delle opere specialistiche, eliminando, altresì, l’obbligo di specifici e rigorosi requisiti di qualificazione per i subappaltatori. Ciò, unitamente all’uso eccessivo dell’istituto comunitario dell’avvalimento, potrebbe consentire l’ingresso di aziende non preparate negli appalti, abbassando in tale modo la qualità del lavoro e le stesse garanzie di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori. L’art. 85 del nuovo regolamento di attuazione, consente, all’impresa appaltatrice di acquisire, di volta in volta, una qualificazione per una quota pari al 10% dei lavori svolti dalle imprese subappaltatrici, così che dopo un certo numero di contratti quell’impresa appaltatrice avrà raggiunto il 100% e potrà chiedere la qualificazione ad

un organismo di attestazione (SOA) per determinate lavorazioni. Si tratta di un’attestazione che le consentirà di concorrere anche ad appalti per i quali non possiede, in via diretta, le necessarie e specifiche competenze. Il timore è che questo tipo di appaltatori, proprio per ovviare alla mancanza di competenze, tendano a subappaltare, o comunque ad esternalizzare ad altre aziende, magari non qualificate e ciò potrebbe andare a scapito della qualità finale dell’opera e delle tutele di sicurezza sul lavoro. Tra le criticità emergenti nell’attuazione del nuovo regolamento va considerato che talune lavorazioni specialistiche, riclassificate come generiche, possono essere appaltate o subappaltate anche ad imprese non qualificate; mancano, altresì, adeguati controlli sul rispetto delle percentuali dei ribassi nei subappalti, che secondo l’ art. 118 del codice dei contratti, ex D.Lgs. 163/06, non potrebbero essere superiori al 20% del prezzo di aggiudicazione. Nella realtà, spesso si verifica che tale percentuale non sia rispettata, arrivando talvolta a ribassi enormi con prezzi finali assai inferiori al costo del lavoro, ciò che ne pregiudica la qualità finale. Infine, spesso manca la certezza dei pagamenti tra appaltatore principale e subappaltatori, rendendo difficile per le aziende lavorare in maniera trasparente. Tutto ciò può danneggiare soprattutto le imprese specializzate, che sono dotate di maggiore esperienza, struttura ed organizzazione interna, e quindi in grado di garantire più alti livelli di sicurezza sul lavoro. Come già accennato in premessa, nel settore degli appalti e subappalti, il problema con maggior criticità resta quello del criterio del massimo ribasso per la valutazione delle offerte nelle gare ad evidenza pubblica. Si tratta di trovare sistemi, come ad esempio il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, che la legge già consente in alternativa a quello del massimo ribasso, che valutino l’offerta non solo sulla base di elementi meramente economici, ma anche qualitativi, assicurando quindi pure una selezione delle imprese più qualificate e capaci, che sono in genere anche quelle che rispettano maggiormente le regole, incluse quelle della sicurezza sul lavoro. Tale operazione, tuttavia, non è facile, per motivi normativi e contingenti: anzitutto, il criterio del massimo ribasso, come tutta l’attuale discipli-

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SPE C IALE

na in materia di contratti pubblici, è di derivazione comunitaria e non può dunque essere derogata, se non in misura molto limitata. Tale criterio presenta, inoltre, una serie di indubbi vantaggi, configurandosi come un parametro di valutazione oggettivo, immediatamente misurabile e di facile utilizzo per le gare ad evidenza pubblica: oltre ad essere, in linea di principio, più trasparente, esso consente maggiori risparmi per le PA. Per altro verso, l’aspetto negativo sta nella sua applicazione pratica che, in assenza di controlli e di un’adeguata selezione delle offerte, può portare alle degenerazioni qui riferite, con ribassi abnormi che possono compromettere la qualità della prestazione e la sicurezza sul lavoro. D’altra parte, altri criteri di valutazione più articolati che incorporino elementi di tipo qualitativo, se possono consentire una migliore selezione delle imprese appaltatrici, presentano anche una serie di inconvenienti, in quanto rendono più complessa e onerosa da gestire la procedura di gara, accrescono i margini di

discrezionalità delle stazioni appaltanti – di qui il rischio di irregolarità o illeciti - e riducono i margini di risparmio per le stesse. A questo proposito, occorre considerare le ristrettezze di bilancio di molte PA, che incoraggiano, in qualche modo, il ricorso alla ricerca del più alto risparmio possibile e quindi, in definitiva, al criterio del massimo ribasso. Inoltre, le stesse amministrazioni spesso non hanno la capacità tecnica per gestire procedure di gara sofisticate, né per effettuare i controlli, che pure sarebbero necessari, e affrontare gli eventuali contenziosi con le ditte che partecipano agli appalti: in tal senso si pensi, ad esempio, ai piccoli Comuni. Una delle soluzioni potrebbe essere quella di creare stazioni appaltanti uniche per varie amministrazioni pubbliche, ad esempio per i comuni di una stessa provincia, in modo da poter avere una “massa critica” e un peso maggiore e realizzare una gestione centralizzata e più efficiente degli appalti, anche a livello di controlli. Tale modalità operativa è già

stata sperimentata con successo in diverse realtà italiane, spesso sotto la gestione e il coordinamento degli uffici territoriali di governo, anche per contrastare le infiltrazioni della criminalità organizzata. Naturalmente, si tratta di un modello che non è sempre generalizzabile, ma l’idea di associare più enti nella gestione degli appalti è sicuramente più che valida, non soltanto nelle gare che hanno per oggetto lavori o forniture ma anche in quelle dei servizi, un settore in cui l’esternalizzazione è sempre più diffusa e dove i problemi della qualità della prestazione e della tutela della sicurezza sul lavoro sono, ormai, molto evidenti. L’altro aspetto è quello del rafforzamento dei poteri di controllo da parte delle stazioni appaltanti nei confronti non solo dell’appaltatore principale, ma anche, e soprattutto, dei subappaltatori. Non ci si stancherà mai di sottolineare che è proprio nell’allungamento della catena degli affidamenti, all’interno dell’appalto, che si vengono a creare le maggiori violazioni della sicurezza sul lavoro e i più gravi eventi incidentali. In molti casi, tuttavia, sono le stesse norme del bando di gara che limitano la capacità di intervento della stazione appaltante nei confronti delle imprese subappaltatrici: a tale situazione occorre dunque porre rimedio, mediante una stesura più attenta dei bandi.

Il tema dell a qualificazione delle imprese

Una disamina del problema della sicurezza del lavoro negli appalti non potrebbe esser completa senza un cenno anche al settore privato. Il committente privato, del resto, è portato, di solito, a privilegiare l’aspetto del risparmio economico non distinguendo nell’affidamento tra un’impresa e l’altra in termini di affidabilità e sicurezza. Nello specifico, la questione IDONEITÀ TECNICO PROFESSIONALE DELLE IMPRESE 1.

Certificato di iscrizione alla Camera di Commercio (CCIAA)

2.

Documento di Valutazione dei Rischi ovvero autocertificazione se con meno di 10 dipendenti (ammessa sino al 31/12/2012)

3.

Documento Unico di Regolarità Contributiva (DURC) - salvo acquisizione d’ufficio da parte delle amministrazioni pubbliche

4.

Dichiarazione di non essere oggetto di provvedimenti di sospensione o interdittivi dell’attività

5.

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Nei cantieri la cui entità presunta è inferiore a 200 uomini-giorno e i cui lavori non comportano rischi particolari di cui all’allegato XI del D.Lgs. 81/2008 (TU) è sufficiente esibire il certificato di iscrizione alla CCIAA ed un’autocertificazione in ordine al possesso degli altri requisiti

Anno 5 - Numero 20


riguarda, soprattutto, l’edilizia e si lega, strettamente, al tema della regolamentazione della professione di imprenditore edile. Le organizzazioni di categoria, a cominciare dall’ANCE, hanno infatti più volte segnalato come, attualmente, per l’accesso a tale professione non siano previsti idonei requisiti di esperienza, preparazione tecnica e struttura organizzativa, essendo sufficiente, nella maggior parte dei casi, una semplice iscrizione alla Camera di commercio. In tal senso, va annotato che il contesto di riferimento è quello di lavoratori autonomi che risultano iscritti, quali imprenditori edili, senza avere alcuna struttura organizzativa stabile e, una volta aggiudicato l’appalto, eseguono il lavoro avvalendosi di altri lavoratori autonomi reclutati ad hoc per l’occasione mediante il meccanismo del subappalto. Spesso sono ex titolari di imprese edili che utilizzano, surrettiziamente, i loro ex dipendenti, diventati a loro volta liberi professionisti, con una nuova formula organizzativa che consente loro di pagare meno tasse e contributi, ma altre volte si tratta di persone senza esperienza specifica che mettono insieme squadre di lavoranti più o meno raccogliticce. Il rischio oggettivo è, quindi, che, in assenza di una regolamentazione specifica, anche imprese o lavoratori autonomi privi di adeguata organizzazione e senza una formazione specifica, possano svolgere determinati lavori edili, anche di notevole rilievo, a prezzi assai più bassi delle imprese meglio organizzate, nei cui confronti praticano una sorta di concorrenza sleale. Giova ricordare che il legislatore, per l’edilizia, mediante l’art. 27 del D.Lgs. 81/08, ha stabilito, al comma 1-bis, che il sistema di qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi si realizzi attraverso uno strumento, individuato da uno specifico regolamento, che preve-

inoltre, che fu presentato un disegno di legge d’iniziativa parlamentare, approvato dalla Camera dei deputati ed attualmente giacente in Senato (atto n. 2663 del 29/3/2011) avente per oggetto la disciplina dell’attività professionale di costruttore edile e delle attività professionali di completamento e finitura edilizia.

Conclusioni

de, nella sostanza, l’attribuzione di un punteggio atto a misurare l’idoneità degli operatori sotto il profilo della tutela della salute e della sicurezza sul lavoro, rispetto a una serie di parametri (livello di formazione, assenza di violazioni di legge, ecc.). Tale disposizione prevede che l’azzeramento del punteggio, per ripetute violazioni di sicurezza, determini l’impossibilità per l’impresa o per il lavoratore autonomo di svolgere l’attività nel settore edile. Tale sistema di valutazione è contenuto in uno schema di decreto attualmente in corso di elaborazione nell’ambito di un apposito comitato istituito presso la Commissione consultiva permanente del Ministero del lavoro e delle politiche sociali; in collegamento a ciò, già in data 28 luglio 2011, le parti sociali avevano siglato un accordo che ha previsto l’istituzione della “patente a punti edile” per chi già possieda o intenda avviare un’attività imprenditoriale nel settore dell’edilizia, sia in forma di impresa individuale che di cooperativa, questo sia in qualità di appaltatore che di subappaltatore. Quest’ultima sarà operativa e realmente applicabile, solo dopo l’emanazione di un disposto ministeriale che recepisca l’anzidetto accordo tra le parti sociali. Sempre sul tema, è da segnalare,

Nonostante gli innegabili progressi normativi registrati negli ultimi anni, quello edile resta il settore con il più alto numero d’incidenti e con il più alto livello di rischiosità: si consideri, ad esempio, che nel 2010 v’è stato un calo delle denunce annue leggermente più favorevole di quello verificatosi per l’Industria e Servizi nel complesso (-25%), va precisato però che l’indice di frequenza continua a mantenersi sensibilmente maggiore (43,06 infortuni ogni mille addetti contro 26,74) e che non si ravvede alcun particolare miglioramento per quanto riguarda i casi più gravi, visto che il settore continua ad occupare il primo posto per i postumi permanenti (4,49) ed il secondo per quelli mortali (0,18); inoltre, quello edile è anche uno dei settori dove si concentrano le maggiori quote di lavoro irregolare o sommerso. Da quanto considerato nelle pagine precedenti, si ritiene che serva, dunque, uno sforzo maggiore per migliorare la regolamentazione di settore: in tal senso va, sicuramente, stimolato il dialogo tra tutti i soggetti istituzionali e sociali competenti e vanno approfonditi, ulteriormente, gli aspetti tecnici della questione, per addivenire a nuove proposte normative che possano contemperare le diverse esigenze al fine di favorire condizioni di lavoro sempre più sicure e dignitose per i lavoratori coinvolti. *Università Milano-Bicocca

IDONEITÀ TECNICO PROFESSIONALE DEI LAVORATORI AUTONOMI 1.

Certificato di iscrizione alla Camera di Commercio (CCIAA)

2.

Specifica documentazione attestante la conformità di macchine, attrezzature e opere provvisionali

3.

Elenco dei DPI in dotazione

4.

Attestati inerenti la propria formazione e relativa idoneità sanitaria, ove espressamente previsti dal D.Lgs. 81/2008 (TU)

5.

Documento Unico di Regolarità Contributiva (DURC)

6.

Nei cantieri la cui entità presunta è inferiore a 200 uomini-giorno e i cui lavori non comportano rischi particolari di cui all’allegato XI del D.Lgs. 81/2008 (TU) è sufficiente esibire il certificato di iscrizione alla CCIAA ed un’autocertificazione in ordine al possesso degli altri requisiti

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pa n or a m a a z i e n d e

Flygt Experior: il top per risparmiare fino al 50% Arriva sul mercato una novità per il pompaggio dei reflui che permette di ottenere risparmi energetici e ottimizzare la gestione delle stazioni di pompaggio con risultati sorprendenti di Andrea Mariani*

C

he Flygt sia il leader di mercato nel settore del pompaggio dei reflui è un fatto che qualsiasi operatore del settore conosce. Non sorprende quindi che Flygt sia sempre all'avanguardia nello sviluppo di prodotti e tecnologie per queste particolari applicazioni. Nonostante queste premesse la presentazione del nuovo Flygt Experior ha elementi

destinati a rinnovare l’offerta di soluzioni, non più focalizzate su un prodotto o sulla tecnologia di una singola parte di una stazione di pompaggio, ma sul complesso dei componenti che, opportunamente modulati secondo precisi dettami di efficienza, sono in grado di dare risultati di risparmio più che significativi. Il punto di partenza per sviluppare il concet-

Ma quanto si risparmia? È la domada ovvia e legittima che qualsiasi potenziale utente di un sistema marchiato Flygt Experior si pone. Per rispondere ovviamente bisogna fissare la configurazione da cui si parte, ovvero quale sia il livello di efficienza della stazione che ci si propone di adottare con tale sistema. La risposta generica corretta sarebbe dal 10 all'80% ma è ovvio che tanta incertezza genera sospetto e, per quanto il marchio Flygt sia in sè una garanzia di serietà e di alta tecnologia, un potenziale cliente non si lascia convincere con numeri così poco precisi. Il risparmio dell’Experior origina da 3 elementi. La tecnologia N delle pompe, l’efficienza Premium del motore e il controllo della pompa SmartRun. La pompa N consente normalmente un risparmio del 20-30% in relazione all’utilizzo ed al ciclo operativo. L’efficienza Premium del motore dà un 2-6% con minime variazioni. Il controllo SmartRun contribuisce con un altro 10-70% di risparmio. L’ampiezza del campo è connessa al gran numero di modelli di pompe differenti che possono essere controllate dallo SmartRun e dalle caratteristiche specifiche dell’impianto in cui sono inseriti. Per fornire un’indicazione approssimativa, il 50% di risparmio si ottiene applicando le tecnologie Flygt Experior ad una stazione di pompaggio di acque reflue di tipo duplex equipaggiata con pompe tradizionali con girante a canale e controllo del sistema di tipo on/off in cui la prevalenza statica è la metà della prevalenza totale della pompa (con una pompa in funzione). Per ottenere questo risultato si sono considerate le seguenti percentuali di risparmio per l’apporto degli elementi in Flygt Experior: • pompa N: -25% • efficienza Premium del motore: - 4% • controllo pompa SmartRun: - 30% Risparmio totale = 100 x (1-0.75*0.96*0.7) = 50%

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Anno 5 - Numero 20

to di Flygt Experior è proprio l'efficienza del complesso: solo una stazione di pompaggio che sia efficiente in ogni sua componente ed in ogni momento del suo funzionamento potrà essere definita Experior e offrire il migliore rapporto tra energia impiegata e resa del sistema. Dietro a questa semplice e banale affermazione si cela tutta l’esperienza Flygt con un enorme patrimonio pratico derivante dai dati di migliaia di stazioni di pompaggio installate e mantenute perfettamente funzionanti nel mondo. A questo segue un attento e puntuale lavoro di analisi di tutte le componenti che possono incidere sui costi di gestione, da quelle energetiche a quelle logistiche e pratiche che tengono conto anche dei costi indotti dalle manutenzioni non programmate ai costi di eventuali fermi degli impianti e persino di quei fenomeni di progressiva perdita di efficienza che il funzionamento nel tempo produce nelle pompe che devono lavorare con liquidi contenenti solidi sospesi di differente natura che si trovano comunemente nelle acque reflue. Elementi fondamentali su cui si basa Flygt Experior sono: efficienza idraulica, inintasabilità, motori ad alta efficienza energetica e SmartRun, sistema intelligente di gestione delle stazioni di pompaggio con funzionamento a velocità variabile.


Pompe N e N Adattiva , il top dell'efficienza idraulica

Gran parte dell’efficienza di una pompa dipende dalle sue caratteristiche idrauliche. In questo campo le pompe con idraulica N brevettata rappresentano da molti anni il massimo sia in termini di rendimento idraulico di pompaggio sia nelle caratteristiche di autopulizia e inintasabilità, fondamentali per il pompaggio dei reflui fognari. Dal 2000, quando venne presentata la prima pompa con idraulica N, il sistema è stato migliorato e reso modulare con una varietà di opzioni come le giranti in ghisa Ni-Hard per reflui contenenti materiali abrasivi o le giranti F con dispositivo di taglio da utilizzare nei liquami contenenti fibre lunghe. Le pompe con idraulica N sono da considerarsi quelle con rendimento idraulico più alto tra quelle utilizzate nel pompaggio di reflui fognari. Oltre a offrire risparmi energetici fino al 25%, l’idraulica N mantiene nel tempo la sua efficienza, aumenta l’affidabilità riducendo i costi di manutenzione ed il numero di interventi per bloccaggio delle pompe. Malgrado l’idraulica N permetta il passaggio dei solidi nell’apposita scanalatura, esiste un limite fisico alla dimensione di questi. Per questo le pompe con minore diametro di aspirazione in qualche caso potevano essere messe in crisi da solidi di dimensioni più grandi. Flygt ha sviluppato un’ulteriore evoluzione dell’idraulica N che risolvesse questo problema: l’idraulica N Adattiva, la prova che anche il meglio può essere migliorato. La tecnologia adattiva N è utilizzata solo per le pompe con dimensioni di scarico minori e motori con coppia bassa. La tecnologia N ha la funzione di auto pulizia meccanica che richiede una certa coppia per lavorare correttamente. Quando le pompe più piccole si intasano solitamente il problema è che il motore si ferma a causa di una resistenza che va oltre la coppia. Ora questo problema viene eliminato con la girante N Adattiva che scorre assialmente verso l’alto allontanandosi riducendo così il punto limite del momento torcente e consentendo alla pompa di riprendere il pompaggio.

Massima Efficienza per i motori Solo prodotti con motori elettrici con qualità Premium rientrano nella categoria Flygt Experior, ovvero quei motori che soddisfano o superano lo standard internazionale IEC 60034-30. La più elevata efficienza implica che i motori sono in grado di lavorare a minori temperature (dato che una minore quantità di energia viene convertita in calore) e ciò ha notevoli benefici anche sulla vita del motore e dei cuscinetti. Flygt Experior propone anche motori con tecnologia LSPM nella gamma N3085-3153. Mentre i motori a magneti permanenti (PMSM) richiedono un variatore di frequenza per l'avviamento, i motori Flygt con magneti semipermanenti con tecnologia LSPM possono essere avviati direttamente in linea come dei normali motori ad induzione. L'acronimo LSPM (Line Started Permanent Magnet) infatti chiarisce il concetto che tali motori, con i vantaggi di efficienza della struttura con magneti permanenti, non hanno alcun problema a sostituire i normali motori ad induzione e raggiungono efficienze che superano quella Premium anche del 4%.

SmartRun: variatore di frequenza intelligente specifico

Il passaggio da un semplice sistema di tipo on/off ad un controllo di tipo VFD (con variatore di Frequenza) costituisce una parte importantissima per il miglioramento dell’efficienza del pompaggio dei reflui. Dal punto di vista energetico i sistemi VFD permettono la migliore gestione del lavoro delle pompe adeguandone la loro velocità di rotazione alle effettive necessità dell’impianto. Ma spesso i clienti rilevano dei problemi con i sistemi VFD, perché la regolazione del funzionamento degli “inverter” è lunga e laboriosa e richiede competenze che non sono alla portata di tutti. Sulla scorta delle segnalazioni della clientela Flygt ha quindi pensato di sviluppare un sistema di controllo specifico per il pompaggio dei reflui in grado di ricercare la frequenza di

funzionamento delle pompe che garantisse la migliore efficienza energetica, ma con una semplicità assoluta di funzionamento che permettesse a chiunque di ottenere davvero il massimo risultato senza lunghe e difficili procedure di taratura. È nato così SmartRun, un controllo intelligente, sviluppato e programmato espressamente per le stazioni di pompaggio delle acque reflue, in grado di essere realmente plug&play, ossia con tutti i settaggi specifici per il pompaggio dei reflui pre-caricati e la programmazione già pre-impostata che non richiede alcuna personalizzazione. Le funzioni standard di SmartRun sono: • minimizzatore energetico; • funzione di pulizia del pozzetto; • funzione di pulizia delle tubazioni di mandata; • funzione di pulizia della pompa; • funzione soft start e stop con un aumento e una diminuzione graduale della velocità della pompa. *Xylem Water Solutions Italia s.r.l.

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wor k i n p rog r e ss

REPLACEMENT DRILLINGS: BONIFICHE MEDIANTE CAROTAGGI A LARGO DIAMETRO Il caso della bonifica della “lente profonda di idrocarburi” nell’area CityLife a Milano di Alessandro Raffaldi*

I

l progetto CityLife a Milano rappresenta uno dei più importanti interventi di sviluppo immobiliare presenti sul territorio italiano. In pochi anni l’area della vecchia Fiera Campionaria verrà trasformata in un nuovo quartiere dove sorgeranno prestigiose residenze, un importante Business and Shopping District composto da 3 grattacieli, una stazione della metropolitana ed un ampio parco cittadino. Nel corso delle numerose campagne d’indagine eseguite nel sito prima della realizzazione

Figura 1. Macchine perforatrici al lavoro

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Anno 5 - Numero 20

delle opere, è stata riscontrata la presenza di Idrocarburi Pesanti (C>12) nei terreni saturi ad una profondità di circa 18 m dall’originario piano campagna. La superficie interessata dalla cosiddetta “lente profonda di idrocarburi”, si estendeva per circa 3500 mq ed aveva uno spessore medio di circa 4,5 m. Tale area costituiva una potenziale sorgente di rilascio per le acque sotterranee e pertanto è stato deciso di bonificarla. I risultati non soddisfacenti dei test pilota eseguiti per verificare la fattibilità di una bonifica in

situ con tecnica ISCO hanno portato a propendere per una soluzione di scavo e smaltimento considerando 2 possibili tecnologie alternative: • scavo “tradizionale” mediante escavatore; • scavo mediante perforazioni affiancate a largo diametro (replacement drillings). Nel Progetto Operativo di Bonifica - redatto dalla Società Environ Italy - è stato scelto di adottare la tecnica dei Replacement Drillings in quanto, nelle specifiche condizioni locali, offriva i maggiori vantaggi così riassumibili: • possibilità di ridurre al minimo la realizzazione di barriere fisiche (muri di contenimento); • applicabilità anche nel suolo saturo ed in presenza di acquiferi produttivi senza necessità di abbassare il livello della falda; • grande flessibilità e possibilità di adattare in corso d’opera la profondità di scavo; • riduzione dell’area di cantiere; • applicabilità anche a grosse profondità senza particolari rischi statici; • riduzione dei rumori e della formazione di odori sgradevoli e polveri. Dopo l’approvazione del progetto da parte delle PP.AA., avvenuta nel mese di Aprile 2011, i lavori sono stati appaltati all’ATI Bauer - General Smontaggi. L’applicazione della metodologia dei replacement drillings ha permesso di superare tutti gli ostacoli esistenti ed ha consentito di asportare definitivamente la contaminazione in meno di 4 mesi.


Figura 2. Griglia di perforazione con evidenziate le perforazioni dell’indagine di dettaglio

La rimozione dei terreni della “lente profonda di idrocarburi” è avvenuta a mezzo di perforazioni di 1,8 m di diametro, ubicate secondo una maglia regolare, distribuita a copertura dell’intera area della lente. I fori così realizzati sono stati quindi riempiti con terreno non contaminato. Le perforazioni sono state eseguite con 2 macchine perforatrici attive in 2 porzioni distinte dell’area d’intervento. Una delle principali sfide affrontate nel corso del progetto è stata quella di garantire la salvaguardia delle acque di falda contro eventuali fenomeni di contaminazione indotti dalla mobilizzazione degli idrocarburi presenti nei terreni perforati. Le corrette procedure utilizzate per la gestione delle acque di perforazione e per la pulizia dei fori hanno consentito di tutelare i piezometri di valle sia durante l’esecuzione dei lavori che nei mesi successivi. Prima di dare corso alle attività di bonifica è stato eseguito uno scavo di sbancamento “tradizionale” del terreno insaturo spinto fino alla profondità di circa 14 metri dal piano campagna originario. Scopo di tale operazione è stato l’abbassamento del piano di lavoro dal quale partire con i carotaggi al fine di ridurre la lunghezza delle perforazioni e conseguentemente il loro costo.

Figura 3. Infissione del rivestimento

Successivamente sono iniziate le operazioni di bonifica vera e propria con la tecnologia dei carotaggi a largo diametro.

Le fasi operative dell a metodologia Il processo operativo si è sviluppato secondo le seguenti fasi: 1. esecuzione delle operazioni preliminari; 2. definizione del diametro e della griglia di perforazione; 3. esecuzione delle perforazioni preliminari per la definizione puntuale delle profondità di perforazione; 4. escavazione dei terreni mediante perforazioni a largo diametro; 5. sostituzione delle acque presenti nel foro e loro trattamento; 6. riempimento dei fori con terreno non contaminato, pompaggio dell’acqua del foro e suo trattamento; 7. smaltimento dei terreni contaminati. In seguito vengono descritte nel dettaglio le singole fasi del processo. Esecuzione delle operazioni preliminari

Le principali operazioni preliminari alla bonifica sono state: • installazione del cantiere;

• realizzazione dell’area di stoccaggio temporaneo dei terreni contaminati; • installazione dell’impianto di trattamento delle acque di risulta delle perforazioni. L’impianto di trattamento acque installato era composto dalle seguenti componenti: • sezione di presedimentazione in ingresso per la sedimentazione dei materiali più grossolani; • sezione di trattamento per rimuovere i sedimenti fini (flocculazione/sedimentazione) formato da: unità di dosaggio per il flocculante primario, per la correzione del pH e per l'additivo flocculante (stazione automatica di preparazione dalla soluzione concentrata); separatori lamellari conici per fanghi e pompa di scarico; filtropressa; • sezione di filtrazione a sabbia; • apparecchiatura per il controlavaggio: serbatoio polmone per l'acqua pulita, pompe per il lavaggio in controcorrente, serbatoio dell'acqua per il lavaggio in controcorrente, pompa per acqua pulita; • sezione filtrazione su carboni attivi; • unità di controllo; • containers per l'installazione delle stazioni di dosaggio, il sistema di controllo e l'apparecchiatura per il lavaggio in controcorrente.

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wor k i n p rog r e ss

Superficie di perforazione

3.500 m2

n. perforazioni

1778

Diametro delle perforazioni

1,8 m

Sovrapposizione perforazioni (overlapping)

25%

n. maccchine perforatrici

2

impiegate Profondità media di scavo

6,2 m

Profondità massima di scavo

9,5 m

Spessore medio del terreno contaminato Volume totale di terreno scavato e sostituito Volume totale di terreno avviato a smaltimento Volume di acqua trattato

4,72 m 26.261 m3 21.355 m3 15.000 m3

Tabella 1. Dati riassuntivi dell’Intervento di bonifica

Figura 4. Riempimento del foro

Definizione del diametro e della griglia di perforazione

Escavazione dei terreni mediante perforazioni a largo diametro

Sulla base del modello concettuale sono stati definiti il diametro delle perforazioni e la griglia di perforazione (vedi Figura 2) con l’obiettivo di ottimizzare la sovrapposizione dei fori (overlapping) necessaria per garantire la totale rimozione della contaminazione. Al centro di ogni foro sono state assegnate le coordinate geometriche che sono state successivamente rispettate con l’accuratezza di 1 cm mediante l’utilizzo di rilevatori topografici elettronici.

Una volta individuato il centro del carotaggio è stato posizionato il rivestimento del foro controllandone la verticalità. Il rivestimento è stato infisso nel terreno per Sostituzione delle acque presenti mezzo di macchine perforatrici Bauer per fori nel foro e loro trattamento a largo diametro (vedi Figura 3). Al fine di abbattere il rischio di contaminaIl suolo all’interno del rivestimento è stato zione delle acque di falda, è stato necessario scavato mediante un utensile di perforazione (bucket) anch’esso manovrato dalla macchina perforatrice. Il terreno asportato è stato poi scaricato su pale gommate di idonee dimensioni e successivamente caricato su camion con i quali è stato trasferito alla piazzola di stoccaggio temporaneo rifiuti. La sequenza di avanzamento delle perforazioni utilizzata è de- Figura 5. Esempio vista 3D dell’area di scavo

Esecuzione delle perforazioni preliminari per la definizione puntuale delle profondità di perforazione

Le prime perforazioni sono servite da investigazione di dettaglio ed hanno riguardato un numero rappresentativo di perforazioni della maglia concordata (vedi Figura 2). I risultati analitici dell’indagine sono stati estesi a tutte le perforazioni comprese nella stessa cella per le quali si è pertanto raggiunta la stessa profondità di perforazione determinata sulla base delle concentrazioni di contaminante riscontrate nel foro rappresentativo.

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nominata “pilgrim steps” ed ha comportato: • l’esecuzione delle perforazioni primarie; • l’esecuzione delle perforazioni secondarie; • lo spostamento sulla linea d’avanzamento successiva.


sostituire e trattare le acque di ogni singolo foro di perforazione. E’ stato utilizzato un sistema messo a punto da Bauer Environment in grado di emungere l’acqua contaminata e contestualmente pompare nel foro acqua pulita senza che quest’ultima venisse contaminata.Le acque emunte dal foro sono state inviate ad un impianto di trattamento e da qui scaricate in fognatura.

la di stoccaggio dei rifiuti sono stati analizzati e classificati secondo quanto previsto dalla normativa sui rifiuti e successivamente trasportati ad idonei impianti di trattamento autorizzati. Le analisi di omologa sono state eseguite ogni 1000 metri cubi di terreni scavati.

Riempimento dei fori con terreno non contaminato pompaggio dell’acqua del foro e suo trattamento

I principali dati dell’intervento sono riassunti nella Tabella 1. La bonifica della “lente profonda di idrocarburi” dell’area della vecchia Fiera Campionaria di Milano rappresenta sicuramente uno dei più grandi interventi di Replacement Drillings mai realizzati con successo in Italia. Sebbene questa tecnologia sia ormai consolidata all’estero e in particolar modo in Germania, in Italia non ha ancora trovato un importante sviluppo principalmente a causa dei suoi elevati costi.

Durante le operazioni di riempimento dei fori con materiale conforme, le acque al loro interno sono state aspirate al fine di prevenire l’allagamento dell’area circostante la postazione di perforazione. Anche queste acque sono state inviate all’impianto di trattamento acque installato in sito. Smaltimento dei terreni contaminati

I terreni contaminati depositati nella piazzo-

Conclusioni

Va comunque considerato che in alcune condizioni particolari questa tecnologia è una delle poche in grado di garantire la rimozione totale della contaminazione in tempi brevi ed inoltre può risultare economicamente vantaggiosa. In presenza di estese contaminazioni in terreni profondi saturi in prossimità di strutture staticamente delicate o in presenza di hot spots profondi l’utilizzo dei Replacement Drillings consente di evitare l’installazione di imponenti sistemi di dewatering (wellpoint) e la costruzione di muri di sostegno per garantire la stabilità delle pareti di scavo. Questi vantaggi, uniti alla grande flessibilità nella scelta delle profondità di scavo di ogni singolo foro, rendono questa tecnologia economicamente competitiva nei confronti dello scavo “tradizionale”. *Bauer Ambiente s.r.l.

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Demolizione in punta di piedi Modifiche ad hoc di un mezzo operativo per annullare emissioni e vibrazioni in un cantiere di demolizione in un impianto farmaceutico di Andrea Terziano

C

i sono cantieri di demolizione che vengono ricordati per le dimensioni delle opere, per i numeri in gioco, per i mezzi impiegati o per i materiali recuperati, poi ce ne altri, più piccoli, apparentemente più semplici che richiedono però la professionalità elevata delle imprese esecutrici per le difficili condizioni di intervento ed il contesto operativo in cui si eseguono i lavori. In questa seconda categoria ricade a pieno titolo il cantiere di demolizione di una parte delle strutture interne di un capannone adibito a magazzino all’interno dell’impianto farmaceutico della Sanofi Aventis a Scoppito (AQ) portato a termine da Demolscavi. Demolscavi s.a.s. è un impresa specializzata con sede a Carasco (GE) che possiede una notevole esperienza nel campo delle demolizioni civili ed industriali grazie a un parco mezzi all’avanguardia e al personale qualificato di cui dispone.

Geom. Pietro Cosola, Direttore tecnico Demolscavi s.a.s.

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I lavori di demolizione in sé erano semplici, veniva infatti richiesta la rimozione di alcune paratie in cemento armato e di un soppalco in carpenteria all’interno di un capannone dello stabilimento; le difficoltà dell’intervento consistevano nell’assoluto controllo e nella riduzione di tutti gli impatti ambientali dovuti a polveri e rumore generati dai mezzi operativi impiegati nella demolizione. Le esigenze del committente, fin dalle prime fasi di gara, erano chiare e semplici: annullamento delle polveri e di ogni emissione o fumi prodotti dagli scarichi dei mezzi operativi che dovevano operare nel capannone per evitare qualsiasi inquinamento dei prodotti farmaceutici stoccati all’interno del magazzino stesso. “Abbiamo eseguito un intervento chirurgico – racconta Pietro Cosola, Amministratore di Demolscavi – con una precisione assoluta in modo da non andare a lesionare in alcun modo le parti strutturali e i locali adibiti allo stoccaggio che sono rimasti funzionanti per tutta la durata dell’intervento”. L’escavatore utilizzato per eseguire i lavori è un CAT 320 che, per dimensioni ed ingombro, era perfetto ad operare negli angusti spazi del magazzino. L’escavatore è stato allestito con una cesoia Marilyn serie CS25 prodotta dalla Trevi Benne, un’attrezzatura specificatamente creata per i moderni cantieri di riciclaggio che grazie alla sua versatilità ha consentito di eseguire tutti i sezionamenti anche quelli più difficili da raggiungere. “La nostra impresa - continua Cosola – è abituata a lavorare nelle condizioni operative difficili che si presentano all’interno di alcuni

stabilimenti perciò siamo attrezzati e specializzati ad eseguire questo tipo di attività; in questo caso però le esigenze del cliente ci hanno obbligato ad andare oltre allestendo un escavatore da demolizione con pattini in gomma ed dotandolo di uno speciale depuratore ad acqua della marmitta”. Il depuratore utilizzato, mediante un sistema di lavaggio dei fumi ad umido, consente di ridurre la fumosità dei gas di scarico fino all’85%, il filtro inoltre consente un forte abbassamento della temperatura dei gas di scarico evitando così la trasformazione dell’ossido di azoto nel pericoloso diossido di azoto. Attraverso un tubo di entrata, i gas vengono convogliati all’interno del depuratore e fatti passare nell’acqua; le molecole di carbonio a contatto con l’acqua si appesantiscono e si depositano sul fondo del serbatoio.


I gas vengono poi diretti verso il separatore che provvede a recuperare le particelle d’acqua presenti nei gas in uscita e cattura le eventuali particelle carboniose che non si legano con l’acqua. Il fumo bianco che esce infine dal camino di scarico non è altro che vapore acqueo. Le modifiche apportate all’escavatore hanno permesso di operare all’interno del capannone in assenza di emissioni, senza lesionare la pavimentazione esistente e quindi senza necessità di mettere protezioni direttamente sulla pavimentazione. Prima di iniziare i lavori sono stati eseguiti pretagli con dischi e fili diamantati sui solai e sulle murature direttamente in aderenza alle strutture da demolire in modo da creare una separazione fisica tra le parti in demolizione e i locali del magazzino farmaceutico. Per incrementare ulteriormente le condizioni di sicurezza e ridurre l’impatto dei lavori Demolscavi ha realizzato una parete in cartongesso che ha completamente segregato la porzione di magazzino in demolizione da quella in funzione. I lavori sono stati ese-

Come funziona il depuratore Il depuratore ad acqua utilizzato nel cantiere è prodotto da Bersy, modello Gorgo D250, e consente di ridurre la fumosità dell’85% mediante un processo di "lavaggio" dei gas di scarico con un complesso sistema di convogliamento dei fumi. Il depuratore è un ottimo silenziatore e spegniscintilla (anche in mancanza di acqua). Interamente realizzato in acciaio inox AISI 316 al titanio è resistente alle alte temperature ed ai composti solforosi corrosivi presenti nei gas di scarico. E’ composto da un corpo cilindrico orizzontale che costituisce il serbatoio dell’acqua, da due staffe di fissaggio e da una torre cilindrica posta nella parte superiore del serbatoio che contiene il separatore. Attraverso un tubo di entrata, i gas vengono convogliati all’interno del depuratore e fatti finemente passare nell’acqua. Le particelle carboniose a contatto con l’acqua si appesantiscono e si depositano sul fondo del serbatoio. I gas vengono poi diretti verso il separatore che provvede a recuperare le particelle d’acqua presenti nei gas in uscita e cattura le eventuali particelle carboniose che non si legano con l’acqua.

guiti nei tempi contrattuali in sole tre settimane considerando anche le fermate operative che venivano imposte dall’impianto per ridurre le interferenze tra le attività di demolizione e quelle di ordinario stoccaggio nel magazzino. L’intervento eseguito da Demolscavi ha

richiesto investimenti particolari per adattare un mezzo operativo alle specifiche esigenze di un cantiere, dimostrando che la capacità di adattamento e la flessibilità imprenditoriale sono la giusta ricetta per risolvere i problemi e soddisfare le esigenze del Committente.

L a Marilyn di Trevi Benne Dal 1992 Trevi Benne S.p.A. produce e commercializza tecnologie e attrezzature per la demolizione, tra i numerosi prodotti proposti dall’azienda vicentina, la cesoia idraulica Marilyn Serie CS è indubbiamente una delle attrezzature in cui si fondono maggiormente l’aspetto tecnologico, l’estetica del profilo e un’elevata componente di produttività. La cesoia Marilyn è destinata ai cantieri di demolizione industriale che necessitano di forze di taglio rilevanti ad altezze considerevoli. La geometria della bocca e la disposizione delle lame consentono di avere un taglio lineare e netto del rottame tagliato permettendo di semplificare le operazioni di carico, riducendo i costi di movimentazione e trasporto. Questi sono alcuni degli aspetti che la rendono completa ed affidabile, unica nel suo genere: • tutti i modelli, dalla CS 03R di 300 kg alla CS 200RS di oltre 19.000 kg, sono dotati di rotazione idraulica continua; • il puntale di penetrazione con una lama intercambiabile evita manutenzioni in officina, fermi macchina e operai specializzati per eseguire i riporti; • la lama anteriore migliora la capacità di penetrazione del puntale del corpo mobile mentre la lama guida ne mantiene la direzione corretta per tutto il ciclo di taglio; • presenza della valvola moltiplicatrice di velocità per aumentare le prestazioni di chiusura della ganascia mobile in avvicinamento al materiale da tagliare; • come per ogni attrezzatura da demolizione Trevi Benne, la cesoia, in fase di progettazione, viene sottoposta alla procedura FEM (analisi degli elementi finiti) per esaminare le forze di carico sui punti nevralgici e più sollecitati della macchina.

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Il termovalorizzatore di San Vittore del Lazio: la gestione rifiuti sostenibile Corretta gestione e avanzate tecnologie inseriscono questo impianto in un sistema integrato, rispondente a principi di sostenibilità ed efficienza di Lara Bianchi*

A

l convegno “Il futuro del sistema rifiuti” che si è svolto lo scorso 16 maggio a Roma, presso Palazzo Rospigliosi Pallavicini, è stato approfondito il delicato tema della gestione di un impianto di termovalorizzazione di rifiuti, con particolare riferimento al termovalorizzatore di San Vittore del Lazio. Il trattamento dei rifiuti è un tema che negli ultimi anni ha tenuto vivo il dibattito culturale politico e scientifico del settore. La normativa europea punta a contenere l’impatto ambientale delle tecnologie di smaltimento, a responsabilizzare gli enti locali nella pianificazione del fabbisogno impiantistico e a supportare la sostenibilità dell’intero ciclo dei materiali con una particolare attenzione su prevenzione e recupero.

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La normativa nazionale recepisce l’orientamento comunitario nel senso di minimizzare lo smaltimento diretto dei rifiuti urbani in discarica e valorizzare il recupero attraverso la raccolta differenziata. La normativa punta quindi a privilegiare in ordine: • la riduzione dei rifiuti, quale azione preventiva; • il riutilizzo, processo attraverso il quale i materiali sono riutilizzati senza trasformazione; • il riciclaggio, processo ove il materiale non utilizzato viene trasformato mediante un processo industriale; • il recupero, mediante valorizzazione del rifiuto sotto il profilo economico per ricavare materia o energia; • infine quale soluzione finale lo smaltimento.

Parallelamente a questi processi e presupposto per garantire efficienza al sistema è lo sviluppo della Raccolta differenziata con una separazione accurata dei flussi. Nell’ottica di una piena attuazione di un sistema di gestione integrata dei rifiuti, rispondente a principi di sostenibilità ed efficienza, appare irrinunciabile la modalità di trattamento volta al recupero energetico da RU.

Il quadro di riferimento europeo L’unione europea nella configurazione a 27 Stati (UE27) ha prodotto nel 2009 circa 256 milioni di tonnellate di rifiuti urbani pari a circa 512 kg per abitante con un minimo nella Repubblica Ceca (316 kg/ab) ed un massimo in Danimarca con oltre 800 kg/ab. Se consideriamo i 15 Paesi più industrializzati (UE15) la media si attesta su 676 kg/ab. L’Italia, con i suoi 532 kg/ab, ha una produzione superiore alla media UE27 ma fra i valori più bassi fra i Paesi industrializzati, superiore solamente all’Inghilterra. Se esaminiamo la composizione delle tecniche di smaltimento applicate agli RU nei vari Stati si osserva che nei Paesi più evoluti, ove la gestione integrata ha trovato una sua reale e puntuale applicazione quali Danimarca, Svezia, Olanda e Germania, risulta favorito il recupero di materia ed energetico rispetto allo smaltimento in discarica.


Alcuni segnali positivi si hanno dallo sviluppo della raccolta differenziata che è in costante aumento e nel 2009 ha raggiunto circa il 34% degli RU, +11% in media dal 2007 al 2009, con superamento della media europea nel Nord Italia (48%) e con punte tutte le qualità sono espresse in milioni di tonnellate massime a Reggio Emilia (49,9%) Nella media europea il recupero energetico è ancora poco utilizzato e pesa un 20% contro e Modena (47%), con percentuali minori al cenun 40% delle tecniche di riciclaggio e compo- tro (24,9%) e al sud (19%). Nelle Regioni con una gestione industriale del servizio, ovvero staggio e un 40% della discarica. Con valori massimi di recupero energetico in affidata a operatori di dimensione adeguata, la Svezia (49%), del riciclaggio e compostaggio qualità, le dotazioni impiantistiche e lo “stato di in Germania (47%) e dell’utilizzo della discari- salute del sistema rifiuti” sono più elevati. Fra i segnali negativi si segnala invece che: ca in Bulgaria (97%). Dall’esame dei dati sinteticamente riportati • l’obiettivo di azzerare lo smaltimento diretto dei rifiuti urbani in discarica è ancora emerge che i Paesi riconosciuti più virtuolontano in quanto la media italiana è pari si nella gestione del ciclo integrato dei rifiuti a circa il 49%; hanno trovato un giusto equilibrio industriale ed ambientale fra gli impianti di recupero • i processi di sviluppo del settore sono rallentati da tempistiche incerte nell’auenergetico, gli impianti recupero e quelli di torizzazione alla costruzione di impianti e riciclaggio, demandando alle discariche un ruolo marginale.

da competenze di pianificazione e regolazione del settore eccessivamente frammentate tra i diversi livelli di governo - non adeguati rispetto alle necessità di fornire un quadro stabile per gli investimenti; • i progetti che rispondono ad obiettivi di recupero dei rifiuti con evidenti esternalità positive per l’ambiente (es. recupero energetico biomasse da rifiuti), incontrano difficoltà di accettazione e complessità autorizzative; • persiste l’insufficienza impiantistica, sia per rifiuti urbani che per rifiuti speciali, e conseguentemente l’esigenza di smaltimento all’estero, con un aumento dei costi di sistema. Nel disegno successivo è rappresentato un bilancio generale degli RU in Italia. I valori riportati confermano il peso dello smaltimento in discarica rispetto alle altre forme di trattamento.

Il recupero energetico nel contesto europeo e nazionale

Nell’istogramma riportato vengo forniti, per i Paesi europei, i quantitativi di rifiuti trattati in impianti di incenerimento e recupero energetico e il numero degli impianti presenti. In campo nazionale sono riportati di seguito gli impianti suddivisi per regione e il corrispondente numero di discariche autorizzate.

Il contesto nazionale La produzione complessiva di rifiuti in Italia nel 2009 è stata pari a 160,5 mln di tonnellate, composta per: • ca. 128,5 mln ton da rifiuti speciali-industriali, di cui non pericolosi per il 92% e pericolosi per l’8%; • ca. 32 mln ton da rifiuti urbani pari al 20% del totale. Il settore dei rifiuti urbani comprende una filiera articolata di attività ed un fatturato complessivo di oltre 8 miliardi di € l’anno - derivanti dall’applicazione della Tariffa di Igiene Ambientale e, per i Comuni che non hanno ancora deliberato il passaggio a tariffa, della Tassa raccolta Rifiuti Solidi Urbani - a carico di famiglie, istituzioni e imprese. Il settore impiega circa 80.000 addetti.

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Estrapolando i dati rispetto ai volumi di rifiuti prodotti dalle singole regioni è stata elaborata una mappa di rischio che evidenza lo stato di salute del sistema integrato di gestione dei rifiuti e la sua applicazione nelle singole regioni. In Italia si rileva un mix di tecniche di smaltimento differenziato per aree geografiche. Al Nord gli impianti di recupero energetico e incenerimento costituiscono il 19% (in termini di rifiuti trattati) contro il solo 3% del Sud. Sempre al Nord la raccolta differenziata raggiunge il 45% contro il solo 14,7% del Sud.

Il termovalorizzatore di San Vittore del L azio In questo contesto nazionale si inserisce l’impianto di termovalorizzazione realizzato dalla società ARIA (Acea Risorse ed Impianti per l’Ambiente) del gruppo Acea. L’impianto è costituito da tre linee delle quali due entrate in esercizio nel 2011 e la terza, realizzata nel 2003, attualmente fuori servizio ed oggetto di lavori di revamping. Nella configurazione finale a tre linee l’impianto garantirà una valorizzazione energetica di 304.000 t/y di CDR delle quali 45.000 potranno essere in alternativa fanghi essiccati provenienti dalla depurazione civile. I dati tecnici generali di impianto sono riportati nella tabella seguente. L’impianto costituisce una best-practice nazionale. Questa affermazione, che può apparire sibillina, trova in realtà la sua ragion d’essere sia per come sono state risolte le problematiche territoriali sia per le soluzioni tecnologiche proposte. L’Italia è in ritardo sull’impiantistica essenzialmente per i tempi necessari all’ottenimento delle autorizzazioni e la relativa mancanza di salvaguardia dei diritti/profili autorizzativi conseguiti e per la sindrome Nimby legata ad una difficoltà a trovare consenso nelle comunità locali. Nel caso dell’impianto citato tali problematiche sono state affrontate e risolte con un'attenta campagna di informazione sul territorio, con la ricerca di una condivisione delle soluzioni tecniche con le amministrazioni locali e soprattutto dedicando gran parte dell’investimento alle tecnologie per l’abbattimento delle emissioni. L’impianto è stato realizzato con tecnologie dedicate a

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N. di linee

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Quantità di rifiuti per ciascuna linea

13,0 t/h

Capacità oraria di trattamento complessiva

39,0 t/h

PCI di progetto al CNC

15.000 kJ/kg

Vapore totale prodotto per ogni linea

65,1 t/h

Temperatura dei fumi uscita caldaie

180-200 °C

Giorni/anno di funzionamento effettivo

325 d

Capacità giornaliera

936 t/d

Quantità totali di rifiuti

304.000 t/a

Ore/anno di funzionamento continuo

7.795 h

Potenza termica complessiva Potenza elettrica lorda prodotta Energia elettrica lorda prodotta su base annua

prevenire l’inquinamento e al contenimento delle emissioni. La prevenzione è stata ottenuta con un’ottimizzazione del processo di combustione articolato in:

162,5 MWt 43 MWe 320.000.000 kWh/anno

• realizzazione di un sofisticato sistema di regolazione e controllo della combustione del CDR e utilizzo di tecnologie di misuratori di portata e di valvole di regolazione della portata. In questo modo il sistema


di controllo della combustione è in grado di regolare al meglio il processo, agendo sulla posizione del fronte di fiamma e ottimizzando la combustione stessa; • ottimizzazione del rendimento del processo di combustione attraverso il mantenimento della potenzialità termica del forno in condizioni stabili. Viene effettuata la regolazione della produzione continua oraria di vapore in presenza di un eccesso di aria, e quindi di ossigeno libero nei fumi, costante e di temperatura uniforme della camera di combustione; • apporto di aria secondaria, per il completamento del processo di combustione e per il rispetto delle norme vigenti (CO, COT); • ricircolo di parte dei fumi in uscita dal filtro a maniche in camera di combustione al fine di: • permettere la miscelazione dei gas combusti e il controllo della temperatura di uscita dei fumi dalla caldaia; • ridurre il volume effettivo dei fumi a camino (per effetto di un abbassamento della temperatura di combustione); • ridurre il tenore di NOx in camera di post-combustione; • dimensionamento della camera di postcombustione per la permanenza dei fumi, per almeno 2 secondi, ad una temperatura superiore a 850°C ed in ambiente ossidante (>6% O). Il contenimento delle emissioni è stato ottenuto con la realizzazione di una linea fumi ad alta tecnologia. Le linee di trattamento dei fumi progettate sono caratterizzate da: • filtrazione primaria costituita da precipitatore elettrostatico a due stadi con possibilità di segregare separatamente le ceneri leggere, limitando il quantitativo da smaltire. Il passaggio dei fumi attraverso l’elettrofiltro garantisce una riduzione del tenore di polveri nei gas in uscita dalla caldaia fino a un valore pari a 100 mg/Nm3; • sistema di trattamento dei fumi a secco che permette di abbattere per neutralizzazione con bicarbonato di sodio gli inquinanti acidi presenti nei fumi quali HCl, HF ed SOx. Il dosaggio avviene nel reattore a secco posto dopo l’elettrofiltro e la reazione avviene sullo strato di pannello delle

maniche filtranti. I sali sodici formatisi durante le reazione di abbattimento vengono separati dal filtro a maniche e convogliati al relativo impianto di trasporto polveri; • l’abbattimento dei metalli pesanti, delle diossine e dei furani avviene mediante assorbimento con carbone attivo iniettato nel reattore con il bicarbonato ma con iniezioni separate; • il filtro a maniche ha la doppia funzione di completare i processi di rimozione degli inquinanti acidi e di liberare i gas dal carico di particelle solide. I prodotti della reazione e le particelle trattenute mediante il filtro a maniche cadono nella tramoggia per deformazione rapida delle maniche sotto l’azione di un flusso di aria compressa generata in controcorrente; • il sistema di abbattimento è completato da un sistema catalitico di rimozione degli NOx (SCR). I fumi in uscita dal filtro a maniche subiscono un processo di riduzione degli ossidi di azoto per cui il tenore degli

NOx viene ricondotto nei limiti normativi. Il reattore catalitico deNOx SCR assicura un alto tasso di conversione degli ossidi di Azoto in Azoto gassoso (N) e acqua, grazie a una reazione in cui intervengono l’ossigeno residuo contenuto nei gas e l’ammoniaca iniettata nel catalizzatore. Dopo i processi sopradescritti i gas cedono il calore sensibile residuo dei fumi all’ECO esterno attraverso il passaggio in uno scambiatore e successiva cessione in uno scambiatore fumi/condensa dove completano il raffreddamento. Le soluzioni tecnologiche sopradescritte consentono di avere in esercizio dei valori delle emissioni ben al di sotto dei limiti vigenti nella Regione Lazio già inferiori e cautelativi rispetto ai limiti imposti dalla normativa nazionale di cui al D.Lgs. n. 133/2005. Nella tabella vengono riportati i valori delle emissioni registrati nel primo anno di esercizio. *MGP Comunicazione

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ECOMOSTRO, ADDIO! Sono in corso di esecuzione i lavori di demolizione dell’ex albergo Monluè che porranno fine una volta per tutte ad uno scempio edilizio degli anni ‘90 di Marco Colombo

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mpossibile non vederlo per chi percorre con la macchina la tangenziale est di Milano, impossibile non chiedersi il perchè di tanti sprechi edilizi, impossibile non notarne la sagoma grigia che deturpa i prati verdi… Parliamo dell’ex albergo Monluè, nel Parco Agricolo Sud di Milano, uno dei tanti ecomostri che hanno reso “famosa” la nostra penisola. L’ecomostro di Milano, che ha fatto parlare di sè per molti anni, ha ormai vita breve, tra pochi mesi sparirà del tutto: sono, infatti, in pieno svolgimento i lavori che porteranno alla sua completa demolizione e al ripristino ambientale dell’area. Il difficile compito di porre fine allo scempio edilizio è stato assegnato alla General Smontaggi Spa, una delle più importanti realtà imprenditoriali del settore sia a livello nazionale che europeo; dopo gli ecomostri di Bari e di

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San Giuliano Milanese, demoliti con esplosivo, la stessa sorte toccherà a quello di Milano che questa volta dovrà inesorabilmente piegarsi sotto la forza degli escavatori dell’impresa novarese. I lavori di demolizione sono stati inaugurati il 24 giugno alla presenza del sindaco Giuliano Pisapia, dell’Assessore all’Urbanistica Ada Lucia De Cesaris e dei rappresentanti della società Beni Stabili Spa, attuale proprietaria dell’immobile; la presenza delle più alte cariche dell’amministrazione milanese conferma quanto questa demolizione sia importante per il territorio di Milano. Abbiamo visitato il cantiere di demolizione in una calda giornata di settembre accompa-

gnati dell’arch. Stefano Chiavalon, Responsabile dell’Ufficio Appalti General Smontaggi e del Geom. Danilo Caselli, Responsabile del Cantiere.

Uno scempio per gli occhi L’ex albergo di sei piani fuori terra ha una forma caratteristica ad “H”, con quattro ali collegate ad un corpo centrale. Sotto il piano campagna troviamo invece un livello interrato rettangolare di circa 10.000 mq avente una profondità di 4,5 m. Tutte le strutture del piano interrato, del piano terra e dei vani scala e ascensore sono in cemento armato; le strutture in elevazione sono in acciaio (colonne e


travi) con solette di piano in lamiera grecata e cappa in c.a. collaborante; la copertura è realizzata in lamiera zincata coibentata (con pannelli di polistirene estruso); non sono presenti impianti e finiture all’interno dell’edificio. Il livello interrato era completamente allagato con un battente di acqua di oltre 1,5 m nei periodi piovosi, questo dovuto alla presenza della falda superficiale a solo 3-4 m di profondità dal piano campagna.

L’intervento di demolizione L'intervento prevedeva i lavori di demolizione e smaltimento di tutte le strutture fuori terra e interrate, in calcestruzzo armato e acciaio, l’aggottamento delle acque di falda negli scavi nonché la successiva colmatura dei residui volumi interrati con materiale idoneo. La società Beni Stabili, attuale proprietaria dell’immobile, per l’aggiudicazione dell’appalto ha bandito una gara con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa con particolare attenzione alle proposte migliorative nelle tecniche di demolizione, nel contenimento del rumore e delle poveri e nella gestione delle acque di falda. Le difficoltà di intervento consistevano infatti nella presenza di un piano interrato di ben 10.000 mq con un battente d’acqua di 1,5 m che poneva non pochi problemi per la demolizione delle solette di fondazione, dei plinti e per le successive fasi di rinterro degli scavi al termine delle demolizioni. Dal punto di vista della demolizione non vi erano particolari criticità. Nonostante la mole dell’edificio, gli spazi al contorno erano più che sufficienti per l’operatività dei mezzi d’opera di General Smon-

taggi: un escavatore CAT 330 e il grande Case CX 800 allestito con braccio da demolizione di 42 m ed una pinza NPK. L’ecomostro di trova nel Parco Agricolo Sud a poche decine di metri dal fiume Lambro e a Nord il cantiere confina con la tangenziale Est; era di estrema importanza prevedere dei sistemi di controllo e riduzione degli impatti ambientali (polveri e rumore) durante l’esecuzione dei lavori di demolizione e scavo. Il geom. Caselli ci spiega che “l’ordine esecutivo delle demolizioni, che oggi sono a pieno regime, prevede la demolizione top down prima delle ali laterali dell’hotel e poi del corpo centrale operando dall’esterno verso l’interno della struttura in modo da non andare con i cingoli ad operare in corrispondenza del piano interrato”. Per l’abbattimento delle polveri General Smontaggi ha predisposto in cantiere un cannone a nebbia (fog cannon) che viene posizionato di volta in volta nelle zone a maggior

densità di polvere, in funzione dell’avanzamento dei lavori ed in particolare nelle fasi di demolizione delle strutture in elevazione e di quelle interrate, durante le operazioni di movimentazione dei materiali e di rinterro. stato inoltre predisposto un piano di monitoraggio e controllo delle particelle aerodisperse PM10 in modo da tenere costantemente sotto controllo le emissioni. Analogamente per il controllo del rumore è stato predisposto un sistema di monitoraggio ante operam per verificare i valori di fondo in corrispondenza dei recettori più vicini e durante i lavori per controllare che le emissioni acustiche siano compatibili con quelle previste.

Il problema delle acque La proposta di drenaggio delle acque nei livelli interrati prevedeva nel progetto a base di gara un sistema di well-point da installare in corrispondenza di ogni plinto e delle solette dei nuclei vani scala; tale tecnica di aggottamento era molto dispendiosa in termini di installazione e disinstallazione delle punte del well point e non garantiva di operare all’asciutto sul fondo di tutti gli scavi. “La soluzione al problema delle acque - spiega l’Arch. Chiavalon - è stata oggetto di un attento studio in fase di gara in modo da presentare al cliente una soluzione alternativa migliorativa che consentisse un risparmio nei tempi di esecuzione ed una maggior efficacia nelle operazioni di dewatering”. “L’intervento che abbiamo proposto, che sarà eseguito dopo le demolizioni se verrà riscon-

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trata acqua negli scavi - continua Chiavalon - consiste nell’installazione di un esteso sistema di well-point, ben 110 punte, lungo i fronti Nord-Est e Nord-Ovest del perimetro di scavo, tale sistema ci consentirà di abbassare il battente dell’acqua al fine di poter procedere con le operazioni di demolizione di tutti i plinti del piano interrato e delle successive operazioni di rinterro”. Il principio del sistema wellpoint si basa sulla deviazione del flusso di falda in direzione di elementi filtranti messi in depressione da una pompa. Il gradiente che si viene a creare tra la pressione atmosferica e gli elementi filtranti dirige verso questi ultimi le acque di falda con una velocità dipendente dalla tipologia di suolo. Nella zona di intervento circoscritta dagli aghi infissi viene estratta, attraverso gli interstizi del terreno, una quantità d'acqua e di conseguenza il livello piezometrico si deprime formando

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una superficie a forma di cono. Quando, col proseguire del pompaggio, la portata emunta raggiunge la portata di filtrazione, la falda si stabilizza formando il "cono d'influenza", funzione della permeabilità del suolo (tanto più ampio quanto maggiore è la permeabilità). In terreni sabbioso-ghiaiosi sono sufficienti poche ore di pompaggio per ottenere una depressione del livello di falda la cui ampiezza si estenda su ampie superfici. Nel caso in esame sfruttando l’elevato raggio di influenza, sarà possibile ottenere il drenaggio anche con una sola fila di well-point installati a distanza dallo scavo. “Per ottenere l’abbassamento voluto le punte di aspirazione verranno infisse ad una profondità di 1,5 m dal fondo dello scavo dunque a 7 m dal piano campagna. Tale profondità avrebbe creato numerosi problemi nell’installazione in terreni sabbiosi ghiaiosi come quelli in oggetto. Per ovviare a questa limitazione si è scelto di eseguire prima lo scavo di scalzamento del muro perimetrale dell’edificio poi l’infissione delle punte, con questa soluzione operativa le punte dovranno essere infisse solo a 2,5 - 3 m dal piano di scavo con un bel risparmio in termini di tempi e costi di installazione dell’impianto”.

Il rinterro per lotti Una volta risolto il problema delle acque di falda bisognava gestire le sequenze di rinterro di un volume di scavo di quasi 50.000 mc (20 volte il volume di una piscina olimpionica). Il geom. Caselli, responsabile tecnico del cantiere, ci spiega in dettaglio le sequenze operative di rinterro

degli scavi: “prevediamo di eseguire il rinterro dell’area di scavo con il materiale proveniente dalle demolizioni trattato direttamente in cantiere con un impianto mobile autorizzato; i riporti avverranno per lotti di riempimento al fine di ottimizzare la logistica all’interno del cantiere”. “Tale scelta operativa - precisa il responsabile di cantiere - ci permette anche di gestire il sistema di aggottamento delle acque di falda dismettendolo per moduli e mantenendo lo scavo asciutto anche durante il rinterro”. Nel dettaglio General Smontaggi ha previsto la suddivisione dell’area di scavo in 5 lotti di differenti metrature che verranno gestiti in sequenza effettuando dapprima la demolizione delle strutture di fondazione, dopodiché verrà eseguito il rinterro del lotto stendendo il materiale inerte per strati successivi come da indicazioni di progetto. Una volta che il materiale di riempimento ha raggiunto un franco sufficiente rispetto al livello statico della falda si potrà procedere alla dismissione del modulo di well-point in corrispondenza del lotto. Nel frattempo si eseguirà la demolizione delle strutture di fondazione del lotto adiacente, il successivo rinterro e procedendo quindi in maniera analoga per tutti i cinque lotti.


Il verde vince sul cemento Al termine dei lavori si dovrà procedere ad un rinterro con terreno vegetale e ad un inerbimento di tutta la superficie del cantiere. Là dove c'era l'erba ora c'è una città, e quella casa in mezzo al verde ormai, dove sarà? Così come recitava la celebre canzone di Celentano la casa nell’erba sparirà ma, in questo caso, non per lasciare spazio alla cementificazione ma per restituire al parco un’area verde e riqualificata. “La consegna dei lavori è prevista per fine ottobre siamo in linea con i tempi contrattuali, il cliente è molto soddisfatto; finite le demolizioni ci sarà ancora molto da fare ma, le sfide non ci hanno mai spaventato” conclude l’Architetto Chiavalon.

L’EVENTO Il 25 giugno alle ore 14,30 General Smontaggi ha iniziato la demolizione dell’ecomostro a Cascina Grande, in zona Monluè, nel Parco Agricolo Sud a Milano. L’inizio dei lavori ha avuto grande risonanza sul territorio e non solo, anche per la sua valenza politica, in quanto la sua demolizione era uno dei punti della campagna elettorale del sindaco di Milano Giuliano Pisapia che durante l’inaugurazione del cantiere ha confermato l’importanza dell’evento per la città a cui verrà presto restituito un territorio a suo tempo sfregiato da questo ecomostro. Presenti all’evento il Sindaco di Milano Giuliano Pisapia, l’Assessore all’urbanistica Ada Lucia de Cesaris, i rappresentanti della società Beni Stabili, attuale proprietaria dell’immobile, il Presidente della Provincia Guido Podestà, Damiano Simine di Legambiente e numerosi giornalisti nonché i cittadini della zona. L’operazione è un esempio di come pubblico e privato possono collaborare in modo proficuo a vantaggio dell’intera comunità. E’ iniziato l’abbattimento di un simbolo degli scempi urbanistici di Milano. Beni Stabili oltre all’abbattimento, provvederà anche al ripristino a verde dell’area, di circa 260mila metri quadrati, e lo cederà definitivamente all’amministrazione comunale. “Alla fine dell’opera di abbattimento – ha aggiunto l’assessore all’urbanistica Ada Lucia de Cesaris – avremo un progetto che possa veramente riqualificare l’area: stiamo pensando ad un progetto che conservi la vocazione agricola e che permetta anche al quartiere di usarlo. Siamo in una zona dove l’edificazione non è prevista; una parte sarà anche per la coltivazione, non contrapposta alla possibilità di avere parchi giochi ad uso della collettività. Ci stiamo lavorando con gli agricoltori della zona”.

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wor k i n p rog r e ss

Bonifica in-situ di lunga durata Iter tecnico-amministrativo e approccio per la gestione della parte finale del procedimento di Raffaele Pellegatta*

I

l completamento di un intervento di bonifica in-situ di un’area contaminata può spesso richiedere tempi molto lunghi. Questo articolo vuole presentare un caso di studio significativo, nel quale l’intervento di bonifica dei terreni è stato gestito nell’ambito di differenti normative, via via succedutesi nel tempo, sino ad arrivare ad un approccio “non convenzionale” per la gestione della parte finale del procedimento di bonifica. Il sito oggetto di studio è uno stabilimento chimico in attività sin dagli anni ’50, ubicato nel territorio della Regione Lombardia. In seguito al rilevamento di una contaminazione storica nei terreni e nelle acque di falda, precedentemente all’entrata in vigore del D.M. 471/99, è stato attivato l’iter di bonifica, secondo i dettami della Delibera della Giunta della Regione Lombardia n.17252 del 01/08/1996 (D.G.R.L. 17252/96). Il presente articolo ha per oggetto l’iter di bonifica dei soli terreni.

Nella Figura 1 si riporta una rappresentazione schematica del modello concettuale. In considerazione delle caratteristiche dei contaminanti, delle dimensioni dell’area contaminata, delle profondità raggiunte dalla contaminazione, delle caratteristiche lito-stratigrafiche dei terreni impattati e della necessità di consentire il mantenimento delle attività produttive nell’area contaminata, il progetto di bonifica, elaborato ai sensi della D.G.R.L. 17252/96 ed approvato dalle Autorità competenti prima dell’entrata in vigore del D.M. 471/99, si è basato sull’utilizzo della tecnologia in-situ del Soil Vapor Extraction (SVE).

In funzione degli esiti della sperimentazione di campo (test pilota di SVE), l’intervento di bonifica è stato implementato con un approccio di tipo modulare, suddividendo l’area contaminata in 4 lotti funzionali, trattando un lotto alla volta e passando da un lotto al successivo una volta raggiunto il presunto limite di efficacia del sistema di bonifica. Il numero complessivo di pozzi SVE realizzati nel corso dell’intera bonifica è stato pari a 26, mentre l’impianto di bonifica era in grado di operare su un numero massimo di 6 pozzi SVE. Per il trattamento dei vapori estratti dal sottosuolo è stato impiegato un combustore catalitico.

Attività in regime di D.G.R.L. 17252/96 e D.M. 471/99

Le indagini di caratterizzazione hanno dimostrato che i contaminanti di interesse del sito appartengono alla categoria degli Idrocarburi Aromatici (monociclici). La superficie dell’area contaminata, pur rappresentando una porzione minoritaria dell’intero stabilimento, era di considerevoli dimensioni, pari a circa 30.000 m2. La contaminazione interessava i terreni compresi tra profondità dell’ordine di circa 3 m da piano campagna, sino ad oltre 20 m da p.c., in funzione della specifica area.

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Figura 1. Rappresentazione schematica del modello concettuale


Le Figure 2 e 3 forniscono una visione dell’impianto di aspirazione e trattamento vapori.

Attività in regime di D.Lgs. 152/06 Nel corso delle operazioni di bonifica è entrato in vigore il D.Lgs. 152/06. In linea con il nuovo approccio tecnico introdotto dal decreto, mediante Analisi di Rischio sito-specifica sono stati rimodulati gli obiettivi di bonifica definendo le Concentrazioni Soglia di Rischio, CSR, valide per il sito. A seguito dell’approvazione dell’Analisi di Rischio da parte delle Autorità competenti, si è proceduto al collaudo della bonifica mediante realizzazione di numerosi sondaggi, prelievi ed analisi di campioni di terreno per la verifica della conformità con gli obiettivi di bonifica in termini di concentrazione residua di contaminanti nei terreni. Un campione di collaudo ha dimostrato la presenza di concentrazioni di contaminanti superiori agli obiettivi di bonifica, rendendo quindi necessario un ulteriore intervento in una porzione di uno dei 4 lotti in cui era stata suddivisa l’area originalmente contaminata. L’ulteriore intervento di bonifica si è basato sull’impiego del sistema già installato, ottimizzando l’efficacia di trattamento mediante perforazione di un nuovo pozzo SVE, appositamente realizzato per agire sui livelli stratigrafici interessati da contaminazione residua.

Al termine dell’ulteriore trattamento SVE, dopo un periodo complessivo di attività di bonifica di circa 11 anni, nel corso dei quali sono state rimosse dai terreni oltre 20 tonnellate di contaminanti (si veda in Figura 4 il grafico con il decorso della bonifica SVE, relativamente al solo ulteriore intervento sulla contaminazione residua), si è proceduto con un nuovo collaudo della bonifica. Nonostante l’ulteriore intervento, un campione di terreno ha dimostrato la presenza di concentrazioni di contaminanti superiori agli obiettivi di bonifica. Le informazioni di maggior interesse ottenute in fase di gestione dell’ulteriore intervento SVE e collaudo dello stesso, sono le seguenti: • la superficie interessata da contaminazione residua è stimabile pari a circa 500 m2 (meno del 2% della superficie originariamente contaminata, pari a circa 30.000 m2); si veda la Figura 5 per una rappresentazione dell’area con contaminazione residua, definita sulla base dell’ubicazione dei punti di indagine con concentrazioni conformi agli obiettivi di bonifica sito specifici (punti verdi) e del punto di collaudo risultato non conforme (punto rosso); • l’intervallo contaminato si estende da circa 4 m sino a circa 8 m da p.c. e, a differenza degli orizzonti stratigrafici circostanti, ca-

Figura 2. Vista esterna impianto di aspirazione e trattamento vapori

ratterizzati da preponderanti componenti sabbiose e ghiaiose, presenta una significativa componente fine (limi); • l’area con contaminazione residua presenta saltuariamente saturazione idrica, verosimilmente ascrivibile a perdite dalle reti idriche di stabilimento ed alla presenza di un locale livello a bassa permeabilità tra circa 8 m e 10 m da p.c.; • l’area contaminata è localizzata in presenza di impianti industriali attivi.

Nuovo approccio per l a gestione dell a parte finale del procedimento di bonifica

Sulla base delle considerazioni sopra esposte, si è valutato che un intervento di bonifica in-situ, con particolare riferimento alla tecnologia SVE, difficilmente potrebbe agire efficacemente sulla contaminazione residua. D’altra parte un intervento on-site o off-site, che comporterebbe come prima attività l’escavazione dei terreni contaminati, non risulterebbe operativamente fattibile a causa della presenza di impianti industriali attivi e della profondità della contaminazione. Allo scopo di superare la situazione di stallo creatasi, è stato proposto alle Autorità competenti un differente approccio, basato sulla valutazione del reale rischio generato dalla contaminazione residua presente nei terreni. Considerando che il percorso di esposizione critico è quello dell’inalazione, da parte dei lavoratori presenti in sito, di contaminanti da suolo profondo (rischio determinato dalla volatilizzazione dei contaminanti verso i lavoratori), è stata fatta la proposta di: • installare punti fissi di monitoraggio dei soil gas nell’area interessata da contaminazione residua (3 punti fissi, alla proFigura 3. Vista interna impianto di aspirazione e trattamento vapori

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Primi risultati del monitoraggio dei soil gas e calcolo del rischio

Figura 4. Grafico rappresentante l’andamento della bonifica mediante SVE

fondità di circa 1 m da p.c.); • prelevare campioni di soil gas da sottoporre ad analisi chimiche di laboratorio per la ricerca dei contaminanti di interesse, al fine di definire le reali concentrazioni di contaminanti nei gas interstiziali (quindi la reale volatilizzazione dei contaminanti dai terreni impattati verso i bersagli, costituiti dai lavoratori presenti in sito); • calcolare mediante software RISC il rischio generato dalle concentrazioni di contaminanti nei gas interstiziali, determinate come sopra indicato (calcolo del rischio in modalità diretta o forward, Figura 6). Per quanto concerne recettori, percorsi di esposizione e dati di input, vengono considerati i medesimi impiegati nell’Analisi di Rischio approvata per la rimodulazione degli obiettivi di bonifica, fatta eccezione per l’aggiornamento delle dimensioni della sorgente di contaminazione (considerevolmente ridottesi grazie all’intervento di bonifica realizzato) e l’introduzione della sorgente soil gas (le cui concentrazioni rappresentative possono essere acquisite mediante le suddette attività di campionamento ed analisi). L’approccio proposto prevede che: • in caso il rischio calcolato risultasse accettabile, si potrà proseguire con il solo monitoraggio dei soil gas; • in caso il rischio calcolato risultasse non accettabile, si dovrà riattivare il sistema

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di SVE allo scopo di catturare i vapori dei contaminanti, impedendone la propagazione verso i bersagli. In ogni caso il completamento della bonifica (trattamento dei terreni con contaminazione residua) viene rimandato alla dismissione del sito. Il suddetto approccio è stato dettagliato in un documento progettuale sottoposto alle Autorità competenti e da queste approvato. Di fatto l’approccio proposto consiste nell’introduzione, nell’ambito di un intervento di bonifica, di un’attività di messa in sicurezza operativa.

Allo stato attuale è stata effettuata la prima sessione di monitoraggio dei gas interstiziali. Gli esiti delle analisi chimiche del laboratorio di parte e del laboratorio ARPA mostrano come, per tutti i contaminanti di interesse, le concentrazioni nei gas interstiziali risultino inferiori al limite di rilevabilità analitica. Per il calcolo del rischio le concentrazioni rappresentative dei contaminanti di interesse nei gas interstiziali sono state cautelativamente assunte pari al limite di rilevabilità analitica. Le elaborazioni condotte evidenziano che i valori di rischio sono ampiamente accettabili. Visti i risultati dell’attività di monitoraggio dei soil gas e di valutazione del rischio, non risulta necessario riattivare il sistema di SVE. E’ invece sufficiente implementare un’attività di monitoraggio dei gas interstiziali volta a verificare il permanere nel tempo di condizioni di assenza di rischio. Si prevede la ripetizione delle attività di monitoraggio dei soil gas e di calcolo del rischio con cadenza trimestrale per un anno e semestrale per due ulteriori anni. Al termine dei previsti tre anni di monitoraggio dei soil gas, sulla

Figura 5. Planimetria del sito con indicazione dell’area con presenza di contaminazione residua


Eventuale ulteriore ridefinizione degli obiettivi di bonifica

Figura 6. Schermata del software RISC utlizzato per il calcolo del rischio in modalità diretta o forward

base degli esiti acquisiti, si potranno eventualmente ridefinire le successive tempistiche di monitoraggio.

In considerazione delle seguenti evidenze: • in una porzione del sito (individuata nella Figura 5), in occasione dell’ultimo collaudo della bonifica, è stata rilevata nei terreni la presenza di concentrazioni superiori alle CSR definite dall’Analisi di Rischio approvata; • i recenti risultati delle elaborazioni di rischio in modalità diretta, basati sugli esiti del monitoraggio dei soil gas, dimostrano l’accettabilità del rischio generato dalla contaminazione residua presente in sito; si può concludere che, da un punto di vista teorico, sulla base del nuovo modello concettuale si dovrebbe aggiornare l’Analisi di Rischio approvata, definendo quindi nuovi valori di CSR. Tali CSR dovrebbero risultare superiori alle concentrazioni rilevate in oc-

casione dell’ultimo collaudo della bonifica, con la conseguenza che la bonifica dei terreni del sito potrebbe considerarsi conclusa già allo stato attuale. In tale scenario, non si avrebbero interventi residuali di bonifica da realizzare dopo la dismissione dello stabilimento: tali interventi sono infatti motivati da obiettivi di bonifica (CSR da Analisi di Rischio approvata) che ad oggi non sono più attuali. Tuttavia, un aggiornamento dei valori di CSR risulta di difficile gestione sotto il profilo amministrativo, in quanto si tratterebbe di una seconda rimodulazione degli obiettivi di bonifica, dopo la prima effettuata in seguito all’entrata in vigore del D.Lgs. 152/06. Per questo motivo l’approccio proposto ed approvato dalle Autorità competenti è quello sintetizzato nel precedente paragrafo dedicato. *HPC Italia

Controlli ambientali

Due diligence ambientale Caratterizzazione dei siti Censimento amianto Controllo impatto ambientale Controllo esposizione dei lavoratori Analisi di laboratorio Via Moncalvo 33/35 - 20146 Milano Tel 0240095293 - Fax 0240094637 www.sileasrl.it info@sileasrl.it

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p rog e t t i e t e cn o lo gie

Barriere Permeabili Reattive Adsorbenti per acquiferi contaminati da PCE e TCE Un caso di studio dimostra l’efficacia delle PRB-A nella bonifica di acque sotterranee in caso di contaminazione multipla da solventi clorurati di A. Di Nardo*, I. Bortone*, M. Di Natale*, A. Erto** e D. Musmarra*

L

a contaminazione delle falde acquifere da composti organo-clorurati è un problema particolarmente importante per gli alti livelli di concentrazione che spesso sono rilevati, in particolar modo nei siti occupati da discariche di rifiuti, determinati soprattutto dalla degradazione di materiale plastico per la presenza dell’acqua di lisciviazione prodotta dalle precipitazioni meteorologiche (Jun et al., 2009). Tali composti costituiscono un elevato rischio di tossicità per la salute umana e richiedono interventi di bonifica che, nella maggior parte dei casi, risultano essere molto costosi e complessi sia nella fase di progettazione che in quella di gestione, durante un arco di tempo che può interessare diversi decenni. In particolare, il Tetracloroetilene (PCE) e il Tricloroetilene (TCE) sono tra i composti organo clorurati più spesso rilevati nei siti contaminati.

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Essi sono classificati tra gli inquinanti più pericolosi, a causa della loro elevata tossicità e grado di persistenza (EPA, 1988), con rischi connessi anche a livello sanitario. Negli ambienti acquatici, tali composti possono essere presenti in forma NAPL (non-aqueous phase liquid) o disciolti in acqua. Il destino ambientale di queste specie è strettamente dipendente dalle loro principali proprietà fisiche e chimiche (ATSDR, 1997). La scelta della migliore tecnologia di disinquinamento di una falda rappresenta il primo obiettivo del progettista che, spesso, si trova dinanzi un ventaglio di possibili soluzioni in situ ed ex situ tra le quali non sempre è facile districarsi. Alcune di esse, più tradizionali, come per esempio il pump and treat, offrono una più ampia versatilità a fronte di costi di gestione note-

voli (McKinney and Lin, 1996); altre, più recenti, come le Barriere Permeabili Reattive Adsorbenti (PRB-A) (EPA, 1998), possono essere una valida alternativa poiché più economiche (sia

Figura 1. Parametri di progetto di una PRB-A e individuazione del dominio contaminato (D) e non vcontaminato (N) dal plume


Figura 2. Area di studio

per i costi operativi che di manutenzione), ma necessitano di studi più approfonditi su alcuni aspetti strutturali legati ai fenomeni di adsorbimento, all’ottimizzazione della forma e delle dimensioni, ecc. (Erto et al., 2011a). In un trattamento mediante PRB-A, la barriera è comunemente costituita da materiali reattivi quali materiali adsorbenti, la cui conducibilità idraulica è superiore rispetto a quella dei terreni circostanti, in modo che le acque sotterranee contaminate siano costrette a passare attraverso la barriera con naturale gradiente idraulico senza apporto di energia esterna (Craig et al., 2006). Inoltre, per contaminanti quali i solventi clorurati, è particolarmente auspicabile un sistema di trattamento passivo, essendo probabile che, per essi, il plume di inquinanti persista per diverse centinaia di anni (Gavaskar, 1999). La rimozione dei composti organici clorurati, quali il PCE e il TCE, dalle acque contaminate

può essere efficacemente realizzata mediante adsorbimento (Erto et al., 2011b), un processo che, rispetto ad altri, è relativamente semplice e può raggiungere efficienze di rimozione molto soddisfacenti. Nel caso di composti organici, i materiali adsorbenti più usati sono i carboni attivi, data la loro elevata capacità di adsorbimento. Nel seguente articolo è presentato uno studio che analizza l’efficacia di una PRB-A nel trattamento di contaminazione multipla da PCE e TCE in un acquifero ubicato nel territorio del comune di Giugliano in Campania (NA) nel quale sono presenti diverse discariche di rifiuti urbani e speciali. Le simulazioni realizzate con codici di calcolo dedicati hanno consentito di valutare l’evoluzione del plume di inquinante nello spazio e nel tempo e di valutare l’efficacia delle PRB-A nel contenere simultaneamente al di sotto dei limiti normativi, previsti dal D.Lgs. 152/06 e s.m.i., sia la concentrazione di PCE che quella di TCE.

Progettazione di una PRB- A La fase preliminare di progettazione di una PRB-A consiste nella caratterizzazione del sito, al fine di individuarne le caratteristiche idrauliche e geotecniche, oltre che la tipologia ed entità di contaminazione (plume). Successiva-

mente, si procede al dimensionamento della barriera definendone la geometria e le proprietà del materiale di riempimento, in modo da intercettare completamente il plume di inquinante da trattare. L’obiettivo del dimensionamento della barriera è quello di intercettare il dominio potenzialmente contaminato D per effetto del moto del plume negli anni, individuato in Figura 1, nel caso di una PRB-A, con gli assi coordinati, la barriera e le sue proiezioni (linee A e C) sugli assi, separandolo da un dominio non contaminato N. Nel caso della PRB-A le principali variabili di progetto sono: • distanza (E) ed orientamento (m) rispetto al plume; • dimensioni della barriera (lunghezza L, altezza H e spessore W); • materiale di riempimento. Il dimensionamento di una PRB-A richiede una procedura iterativa che consiste nell’assegnare una posizione ed uno spessore alla barriera, come primo tentativo, scegliendo le variabili progettuali in funzione delle caratteristiche idrauliche dell’acquifero, verificando successivamente che le scelte effettuate permettano la cattura del plume di inquinante durante l’intero ciclo di vita della barriera. In caso contrario, è necessario modificare le scelte di progetto e ripetere tale operazione fino a quando non si ottengono risultati ottimali sia nel trattamento del sito che per i costi di realizzazione (Bortone et al., 2011; Erto et al., 2011a). I fenomeni di trasporto dei contaminanti in falda possono essere modellati con le classiche equazioni che descrivono principalmente la direzione del flusso e la sua velocità e quindi basate sui meccanismi di advezione, dispersione meccanica e molecolare (Bear, 1979). Il fenomeno dell’adsorbimento per i due contaminanti all’interno della PRB-A, invece, è descritto da isoterme di adsorbimento di tipo non lineare

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p rog e t t i e t e cn o lo gie

(Erto et al., 2011b). L’isoterma di adsorbimento è una relazione di equilibrio che permette di determinare la capacità di adsorbimento del solido adsorbente (espressa come massa di inquinante adsorbito per massa di solido adsorbente) in funzione della concentrazione dello stesso inquinante in fase liquida, ad una data temperatura. Il fenomeno di adsorbimento coinvolge direttamente la superficie esterna del solido adsorbente per cui la capacità di adsorbimento è direttamente legata all’estensione della sua superficie specifica; per questo motivo i materiali adsorbenti industriali più utilizzati sono quelli con elevata porosità, tra essi i carboni attivi, i quali associano alte capacità di adsorbimento e costi bassi (Ake et al., 2003).

La scelta del materiale viene effettuata in base all’inquinante da rimuovere. Inoltre, la capacità di adsorbimento di un solido nei confronti degli inquinanti presenti in un refluo (sistema multicomponente) non può essere derivata dalla sua capacità di rimozione nei confronti degli stessi inquinanti presi singolarmente (sistema monocomponente). Infatti, è necessario considerare la presenza di più specie chimiche adsorbibili su una stessa superficie con differenti meccanismi che possono coinvolgere anche una competizione verso gli stessi siti attivi, per cui risulta necessaria un’analisi sperimentale dedicata (Quinlivan et al., 2005; Erto et al., 2011b).

(a) t = 0

(b) t = 10 anni

(c) t = 20 anni

(d) t = 30 anni

(e) t = 40 anni

(f) t = 60 anni

C[μg/l]

0 – 0.001

0.001 – 1.1

1.1 - 5

Figura 4. Evoluzione delle curve di isoconcentrazione del PCE in funzione del tempo

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5 - 15

15 - 25

Caso studio Il caso di studio si riferisce ad un’area, riportata in Figura 2, di superficie pari a 2,25 km2, dove sono presenti diverse discariche di rifiuti solidi, sita nel comune di Giugliano in Campania (Erto et al., 2011a). La falda acquifera sotterranea, che si trova ad una profondità di 35-40 m dal piano campagna (50 m s.l.m.), è contaminata da diversi inquinanti, sia organici che inorganici: la litologia del terreno può essere approssimata con un unico tipo di materiale, la cui conducibilità idraulica è 5*10-5 m/s (Di Nardo et al., 2010). Le linee di flusso delle acque sotterranee sono orientate da Est a Ovest, con altezze piezometriche che variano tra 5 e 12,5 m s.l.m. e un gradiente piezometrico di 0,01 m/m. In Figura 4(a) e 5(a) sono riportate le curve di isoconcentrazione rispettivamente del PCE e TCE nelle condizioni iniziali. Tali figure mostrano valori di concentrazione dei due composti che variano nella zona, con picchi elevati se confrontati con i limiti normativi vigenti pari rispettivamente a 1,1 μg/l per il PCE e 1,5 μg/l per il TCE; in particolare il PCE misurato è quasi 30 volte maggiore rispetto al limite, mentre il TCE lo è di circa 7 volte. Il materiale adsorbente scelto per la realizzazione della barriera è il carbone attivo granulare (GAC) Aquacarb 207EATM (Sutcliffe Carbon), disponibile in commercio, per il quale è stata effettuata una caratterizzazione completa. Lo studio dell’adsorbimento di PCE e TCE in sistemi multicomponente ha rivelato che la capacità di adsorbimento di PCE risulta indipendente dalla presenza di TCE, mentre quella di TCE è influenzata dalla presenza del PCE in misura proporzionale. Per bassi valori di concentrazione dei due analiti, quali quelli riscontrati nell’acquifero in esame, il modello di adsorbimento Langmuir multicomponente interpreta i dati sperimentali in maniera soddisfacente (Erto et al., 2011b). Le equazioni per la descrizione della dinamica dell’acquifero, in presenza della barriera, sono state risolte con l’utilizzo del software commerciale 2D, PMWIN (Processing Modflow for WINdow) (McDonalds et al., 1988), al fine di descrivere i meccanismi di convezione e dispersione all'interno della fal-


(a) t = 0

(b) t = 10 anni

(c) t = 20 anni

(d) t = 30 anni

delle simulazioni numeriche, rappresentati come curve di isoconcentrazione nel tempo. Tali figure mostrano l’evoluzione nel tempo del plume di inquinante del PCE e del TCE, partendo dalla condizione iniziale e dopo 10, 20, 30, 40 e 60 anni, rispettivamente. Esse evidenziano che l’intero plume di PCE è catturato dalla barriera in un periodo di circa 60 anni, mentre il plume di TCE, essendo meno esteso e caratterizzato da concentrazioni più basse, necessita di un periodo di circa 25 anni. I risultati del modello mostrano, quindi, che in presenza di contaminazione multicomponente la PRB-A è in grado di trattenere contemporaneamente sia il PCE che il TCE, mantenendo le concentrazioni in uscita di entrambi i composti sempre inferiore al limite normativo pari rispettivamente a 1,1 μg/l per il PCE e 1,5 μg/l per il TCE. Inoltre, la stessa barriera progettata per contenere l’inquinamento da solo PCE (Erto et al., 2011a) è in grado di operare efficacemente anche in presenza contemporanea di PCE e TCE.

Conclusioni

(e) t = 40 anni C[μg/l]

0 – 0.001

(f) t = 60 anni 0.001 – 1.5

1.1 - 3

3-5

5-7

Figura 5. Evoluzione delle curve di isoconcentrazione del TCE in funzione del tempo

da acquifera, e un codice in MATLAB, sviluppato dagli autori, per descrivere i fenomeni di cattura di entrambi gli inquinanti all'interno della barriera mediante adsorbimento. Inoltre, i risultati sono stati presentati mediante un codice di visualizzazione in ambiente G.I.S. (AMBSIT©). La PRB-A ottimale risultante, in grado di trattare entrambi i composti analizzati, è una barriera continua, che penetra interamente lo spessore della falda, di lunghezza pari a 900 m, distante 6 m da entrambi i plumes di inquinanti e di spessore W pari a 3 m. In Figura 3 sono riportate le concentrazioni di PCE e TCE in ingresso (CIN) e in uscita (CW)

alla PRB-A nel corso del tempo, in forma di curve di breakthrough, per il valore dello spessore (W) di 3 m. I risultati in figura si riferiscono rispettivamente ai punti S e P sulla barriera (Figure 4 e 5) che rappresentano i punti più critici durante le simulazioni, ossia quelli con i valori più elevati delle concentrazioni di PCE e TCE rispettivamente. Le curve mostrano chiaramente che sia le concentrazioni di PCE che di TCE in uscita dalla barriera sono sempre inferiori ai rispettivi limiti normativi, anche quando le concentrazioni in ingresso diminuiscono e/o possono verificarsi fenomeni di desorbimento. Nelle Figure 4 e 5 sono riportati, invece, i risultati

Nel presente lavoro è stata verificata l’efficacia di una Barriera Permeabile Reattiva Adsorbente (PRB-A) per il trattamento in situ di un’acqua sotterranea contemporaneamente contaminata da 2 inquinanti diversi. La procedura di progetto proposta è stata applicata, come caso studio, alla bonifica di una falda acquifera inquinata da PCE e TCE in un sito a nord di Napoli, individuando le dimensioni ottimali della barriera in grado di trattare entrambi gli inquinanti e valutando l’evoluzione del plume di inquinante di PCE e TCE nel corso del tempo. Di notevole interesse è il risultato che in presenza di contaminazione multipla la stessa PRB-A, opportunamente dimensionata per l’adsorbimento di PCE in sistema monocomponente, è in grado di trattenere contemporaneamente il PCE e il TCE, senza alcun aggravio di costi. *DIC, Dipartimento di Ingegneria Civile, Seconda Università di Napoli **Dipartimento di Ingegneria Chimica, Università di Napoli Federico II

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grog p ener e itco t i e t e cn o lo gie

valutazione sanitaria dei monitoraggi dell’aria nei siti contaminati L’esperienza dell’Asl di Milano nell’impiego di misure di campo in affiancamento o in sostituzione ai modelli di volatilizzazione dell’analisi di rischio di Laura Colombo e Roberto Tebaldi*

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a Regione Lombardia ha individuato con atti amministrativi recenti (nota del 24/10/11 prot. H1.2011.0031455 la Regione Lombardia, “D.Lgs. 152/06 Norme in materia ambientale, Titolo V Bonifica di siti contaminati. Coinvolgimento delle ASL nel procedimento istruttorio”) l’Azienda Sanitaria Locale come Ente della Conferenza dei Servizi competente alla valutazione dei rischi sanitari all’interno dei procedimenti di bonifica dei siti contaminati, compresi gli aspetti sanitari legati all’esposizione ai contaminanti dell’aria ambiente. L’ASL di Milano partecipa alle istruttorie tecniche di tali procedimenti per la valutazione delle Analisi di Rischio (AdR) da luglio 2001 (momento dell’istituzione dell’Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente della Lombardia), in base alla convenzione che regolamenta i rapporti reciproci attribuite ai due Enti, ASL e ARPA, in materia di tutela dell’ambiente e della salute e in riferimento ai compiti istituzionali previsti dal DPCM 2008 che definisce i Livelli Essenziali di Assistenza (LEA). Il DPCM 2008 definisce infatti che le prestazioni di assistenza sanitaria garantite dal SSN sono quelle riconducibili a: Tutela della collettività e dei singoli dai rischi connessi con gli ambienti di vita, anche con riferimento agli effetti sanitari degli inquinanti ambientali.

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L’ESPERIENZA DELL’ASL DI MILANO In genere la valutazione dei rischi sanitari viene esplicitata con l’utilizzo di modelli di AdR che applicano la procedura RBCA Risk Based Corrective Action secondo lo standard ASTM PS-104-98. L’ASL di Milano valuta in particolare i progetti presentati dalle parti secondo i seguenti criteri: • coerenza del modello concettuale rispetto alle previsioni di utilizzo del sito e correttezza della trasposizione dello stesso nel programma di analisi di rischio; • applicazione dei parametri tossicologici della banca dati ISS-ISPESL (ultimo aggiornamento disponibile) ovvero di parametri tossicologici provenienti da banche dati istituzionali; • parametri di esposizione proposti in relazione alle condizioni d’uso del sito previste. La valutazione dei dati derivanti dalle attività di caratterizzazione è demandata agli enti competenti per queste fasi. Tra i rischi sanitari considerati nei modelli di AdR, il rischio di inalazione vapori è quello che presenta maggiori complessità di valutazione a causa delle numerose semplificazioni introdotte dai software utilizzati per la modellazione

Al fine di rendere aderenti alla realtà le valutazioni di rischio sanitario legate ai percorsi di inalazione vapori, sempre più frequentemente è richiesta la valutazione di dati di monitoraggio dell’aria. In genere i monitoraggi dell’aria vengono proposti e realizzati nei seguenti casi: • gli attuatori dei progetti di bonifica e AdR, vista la conservatività dei modelli e dei parametri applicati che spesso (ma non sempre) sovrastimano i rischi d’esposizione, chiedono la realizzazione di monitoraggi dell’aria a riprova dell’assenza di rischi; • nelle aree in cui viene proposta una messa in sicurezza operativa ovvero al fine di valutare l’esposizione degli utilizzatori dei siti; • nelle aree in uso adiacenti a siti in procedimento di bonifica per valutare l’esposizione off-site alla contaminazione; • nelle aree in cui non è possibile la rimozione totale della contaminazione ovvero il raggiungimento degli obiettivi sito-specifici di bonifica (CSR); • nei casi in cui è dubbia l’applicazione dell’AdR con i modelli classici di valutazione; • nei casi di applicazione di messa in sicu-


rezza permanente a verifica degli interventi realizzati. Di seguito vengono presentati 2 casi emblematici trattati dalla Struttura Salute e Ambiente della ASL di Milano. Il primo caso trattato si riferisce ad un edificio scolastico costruito su materiali di riporto con caratteristiche non compatibili con i limiti di riferimento per la specifica destinazione d’uso (verde/residenziale) prevista per il sito. I materiali sono stati classificati come rifiuti. La presenza dell’edificio ha portato gli Enti competenti alla bonifica a richiedere l’asportazione pressoché totale dei materiali esterni all’impronta dell’edificio e alla realizzazione nel cavedio dello stesso di monitoraggi dell’aria per valutare eventuali contributi all’inquinamento dell’aria dei materiali rimasti sotto l’edificio. Oltre ai punti di monitoraggio nel cavedio sono stati richiesti punti di campionamento dell’aria outdoor nel giardino di pertinenza e punti di campionamento rappresentativi del fondo cittadino. I parametri da ricercare nei campionamenti dell’aria sono stati scelti sulla base di contaminanti rinvenuti nelle diverse matrici ambientali (terreni, gas interstiziali e acque di falda). Per la definizione dei limiti di riferimento è stato chiesto un parere all’Istituto Superiore di Sanità (ISS) che ha dato indicazioni relative ai limiti per alcuni contaminati e ai parametri di esposizione per il caso in esame. I risultati analitici dei primi 2 monitoraggi dell’aria segnalano che le concentrazioni in aria non si discostano dalle concentrazioni riscontrate nei punti di monitoraggio individuati come fondo e in genere le concentrazioni nel cavedio sono più basse delle concentrazioni riscontrate nel giardino e nel fondo, a dimostrazione dell’assenza di un contributo della contaminazione residua ai valori di concentrazione in aria. Unica eccezione è per il toluene le cui concentrazioni nel cavedio sono superiori a quelle riscontrate nel giardino e nel fondo. I livelli di tale contaminante, che era stato riscontrato in concentrazioni rilevanti nei gas interstiziali nei punti di campionamento del giardino, sono comunque inferiori ai limiti di riferimento proposti per il sito. Alla luce delle risultanze dei primi monitoraggi condotti, in previsione di una possibile aper-

tura della struttura scolastica, si è chiesto di realizzare altre 3 campagne di monitoraggio al fine di confermare i dati fino ad ora raccolti, con l’aggiunta di 2 ulteriori punti di campionamento dell’aria ambiente all’interno delle aule. Il secondo caso trattato si riferisce ad un sito industriale dismesso con una sorgente di contaminazione da idrocarburi adiacente ad un edificio a destinazione d’uso uffici. Poiché la rimozione totale della contaminazione poteva avere effetti sulla stabilità dell’edificio è stato chiesto di realizzare monitoraggi dell’aria ambiente all’interno dei locali, presenti anche nel piano seminterrato, in adiacenza alla sorgente individuata. Sono stati chiesti 4 monitoraggi stagionali così articolati: 2 punti indoor, 1 punto outdoor e 2 punti di bianco. Il Laboratorio di Prevenzione dell’ASL di Milano ha condotto degli audit delle fasi di campionamento e analisi. Nel presente caso si è proceduto in via preliminare a confrontare le concentrazioni riscontrate in aria con le concentrazioni calcolate con analisi di rischio, sulla base dei parametri tossicologici e di esposizione proposti dagli Istituti centrali (ISS, ISPRA e INAIL). Anche in questo caso non si sono riscontrati superamenti dei limiti di accettabilità del rischio calcolati come sopra riportato.

RISULTATI Le misure di concentrazione in aria dei contaminanti che migrano dalle matrici ambientali (terreni e acque sotterranee) presso i siti contaminati possono essere utilizzate in affiancamento ai modelli di AdR o in sostituzione ad essi. Nell’esperienza dell’ASL di Milano, il confronto delle misure di campo con le previsioni dei modelli di volatilizzazione dell’AdR di livello 2 si sono dimostrate un elemento a supporto della valutazione del rischio sanitario. L’esperienza maturata in questi anni ha evidenziato che non sempre i modelli di AdR sovrastimano le concentrazioni al punto di esposizione (POE); questo si è dimostrato vero ad esempio nel caso di sostanze volatili quali i solventi clorurati. La scelta di utilizzare misure di concentrazione in aria, nella valutazione del rischio sanitario per i percorsi di inalazione vapori, presenta alcune criticità che l’esperienza maturata in questi anni ha permesso di evidenziare: • la presenza di consistenti livelli di concentrazione in atmosfera di alcune tipologie di contaminanti dovute agli impianti termici civili e industriali e al traffico veicolare, particolarmente evidente nelle aree urbane o fortemente antropizzate, rappresenta una variabile non trascurabile nell’inter-

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atti dei convegni di remtech 2012 Dal 19 al 21 settembre si terrà a Ferrara la 6a edizione di RemTech Expo, il Salone sulle Bonifiche dei Siti Contaminati e sulla Riqualificazione del Territorio. Anche quest’anno una particolare attenzione è stata riservata all’organizzazione di sessioni congressuali di elevato profilo tecnico-scientifico, che vedranno la partecipazione di relatori nazionali ed internazionali di comprovata esperienza. Come già fatto nelle edizioni precedenti, gli atti dei convegni di RemTech, curati da Daniele Cazzuffi e Ilaria Pietrini, sono stati raccolti in un CD pubblicato e distribuito da DEA edizioni, da cui è stato tratto il presente articolo. Il CD contiene gli atti dei convegni che si succederanno durante i tre giorni della manifestazione e che saranno dedicati alle seguenti tematiche: • Tecnologie di trattamento dei terreni contaminati • Contaminazione, bonifica e riuso dei sedimenti • Monitoraggio degli inquinanti in fase vapore • Nuove prospettive per l’applicazione dell’analisi di rischio: evoluzione del quadro normativo e tecnico • Tecnologie per la bonifica delle acque di falda • Dragaggi e ripascimenti costieri • Caratterizzazione bio-idromeccanica dei rifiuti per la progettazione e l’ampliamento di discariche • Il Contratto di Fiume: strumento per la gestione e la riqualificazione dei paesaggi fluviali e delle aree a rischio idrogeologico Durante la fiera sarà possibile acquistare il CD presso lo stand di DEA edizioni – Rivista ECO oppure scrivendo all’indirizzo info@deaedizioni.it.

pretazione dei risultati raccolti in campo. La problematica si rivela di non facile soluzione nel caso di livelli di concentrazioni di fondo particolarmente consistenti, tali da “comprendere” le concentrazioni provenienti dai percorsi di migrazione dei

contaminanti dai terreni e dalle acque sotterranee, presso i siti contaminati; • l’esecuzione di una sola campagna di monitoraggio non è sufficiente a seguire l’andamento stagionale del fenomeno di infiltrazione dei vapori in relazione alle

variabili meteorologiche in grado di condizionare il fenomeno, con il conseguente allungamento dei tempi di definizione dei procedimenti istruttori; • la mancanza di limiti di riferimento ufficiali, se non per i casi in cui è possibile utilizzare i TLV/TWA per i lavoratori, priva gli Enti di controllo di un riferimento certo per l’interpretazione dei risultati delle misure delle concentrazioni in aria. L’ASL di Milano si è pertanto orientata, in alcuni casi rilevanti di tutela della salute pubblica, a richiedere pareri interpretativi all’Istituto Superiore di Sanità; • la non disponibilità di ARPA Lombardia ad effettuare misure di vapori indoor da luglio 2011 ha creato un gap nella conduzione delle istruttorie che deve essere ancora colmato. Mentre esiste da parte di ASL una prassi consolidata relativamente alla misura delle concentrazioni in aria di sostanze chimiche (polveri, aerosol, vapori e gas) presenti negli ambienti di lavoro, non esiste ad oggi un’esperienza significativa di misure eseguite presso ambienti di altro genere quali siti contaminati o potenzialmente contaminati. Le principali criticità che si avvertono sono legate alla mancanza di procedure standardizzate di monitoraggio dell’aria ed un solido background culturale tra gli operatori della prevenzione di sanità pubblica incaricati del controllo in campo delle operazioni di monitoraggio dell’aria in ambienti diversi da quelli lavorativi. Pertanto diventa centrale il ruolo della formazione degli operatori sanitari della prevenzione, finalizzato allo sviluppo di specifiche competenze e all’elaborazione di strumenti di lavoro, protocolli operativi per il prelievo e l’analisi dei campioni che garantiscano la completezza, l’uniformità e la trasparenza dell’azione di controllo. I monitoraggi dell’aria possono quindi essere un valido supporto nella formazione delle decisioni in tema di valutazione del rischio sanitario relativamente ai percorsi di inalazione vapori nei siti contaminati a condizione che vengano superate le criticità sopra riportate. *ASL Milano – SSD Salute e Ambiente

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La valorizzazione della FORSU per la produzione di biometano Una filiera sostenibile per la trasformazione dei rifiuti organici di origine domestica in biometano in prossimità di aree urbane di G. Ghiringhelli*, M. Giavini* e M. Centemero**

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’Italia è il nono consumatore mondiale di gas naturale mentre è di gran lunga al di sotto di tale posizione per quanto concerne l’autoapprovvigionamento, posizionandosi tra i primi dieci importatori netti di gas naturale a livello mondiale: il grado di dipendenza dell’Italia dalle forniture estere è stato nel 2009 pari al 90,2%. In ragione della situazione descritta si intuisce l’interesse che i diversi stakeholder dello scenario energetico nazionale stanno avendo verso la produzione potenziale di biometano, ovvero un gas da fonti rinnovabili con proprietà pressoché identiche a quelle del gas naturale ma generato attraverso il trattamento di purificazione del biogas. Le recenti modifiche al quadro normativo nazionale hanno infatti aperto la possibilità di un nuovo impiego del biogas, tipicamente utilizzato direttamente nel luogo di produzione per la generazione di energia termica e/o elettrica, dopo la sua purificazione a biometano (concentrazione del metano al 95-98%), per essere utilizzato per autotrazione e/o immesso nella rete di distribuzione del gas naturale. Il biometano, cioè il biogas opportunamente depurato, è un “idrocarburo rinnovabile” del tutto comparabile al gas naturale, utilizzabile senza necessità alcuna di miscelazione ovvero di modifica delle apparecchiature con cui il gas naturale è oggi correntemente utilizzato. Esso è nei fatti una bioenergia di seconda ge-

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nerazione potenzialmente, in grado di ridurre le emissioni di CO2 sino a risultare carbon negative, e immesso in rete può essere utilizzato sia in sistemi cogenerativi che come biocarburante. L’Italia è il principale mercato dei veicoli a gas naturale e il biometano è l’unica opzione consistente e già oggi disponibile per la produzione di biocarburanti made in Italy utilizzando materia prima italiana. I principali vantaggi della creazione di una filiera del biometano sono quindi di natura ambientale (riduzione delle emissioni di gas nocivi dei veicoli e della generazione elettrica e di calore in ambito urbano, riduzione al minor costo delle emissioni di gas climalteranti e mitigazione degli impatti ambientali delle pratiche agricole convenzionali), economici (ricadute dirette sulla filiera economica del Paese riducendo le spese destinate a tecnologie e biomasse di importazione).

Digestione anaerobica per produrre biogas da Forsu e integrazione con il compostaggio

Il biogas è un combustibile gassoso ottenuto dalla trasformazione anaerobica di biomasse di scarto di origine animale e/o vegetale. Il biogas può essere prodotto in modo controllato attraverso l’utilizzo di impianti di digestione anaerobica, che consentono, in condizioni controllate, di produrre biogas a partire da molteplici sub-

strati organici derivanti da diversi macro-settori produttivi, tra i quali la frazione organica dei rifiuti urbani (Forsu). La Forsu può essere intercettata dalle utenze domestiche e assimilate, oppure da utenze selezionate (ristorazione, mense, ecc.). La raccolta della Forsu viene effettuata, di norma, attraverso due sistemi: • raccolta "porta a porta" (ovvero domiciliare) attraverso sacchi o contenitori appositi; • cassonetti stradali per il conferimento non controllato o contenitori di prossimità predisposti per il conferimento di un numero ridotto di utenze definite nella stessa strada. La tipologia del servizio secco-umido più frequente è di norma caratterizzata dalla raccolta dell’umido in sacchetti biodegradabili o di polietilene (con frequenza di due passaggi a settimana) mediante l’esposizione di mastelli da 25-30 litri o bidoni carrellabili da 120/240 litri. La produzione di biogas da Forsu presenta delle peculiarità rispetto alla produzione da


altre matrici di natura prevalentemente agricola e/o zootecnica, legate essenzialmente a: • necessità di pre-trattamenti atti ad allontanare le impurezze presenti nella Forsu (materiali non compostabili) prima dell’immissione nei reattori di digestione; • il digestato prodotto da Forsu è classificato dalla normativa italiana come rifiuto speciale e non può essere destinato direttamente allo spandimento in agricoltura; • la produzione di Forsu è tipicamente concentrata in aree urbane causando incrementi rilevanti di costo per il trasporto; • problematiche ambientali per le emissioni odorigene potenzialmente generate. Quanto detto fa intuire l’importanza di integrare il processo di digestione anaerobica con quello di compostaggio. Ciò consente infatti di trasformare il digestato (frazione di scarto semi-solida al termine del processo di digestione anaerobica) in un ammendante utilizzabile direttamente in agricoltura. Un vantaggio secondario dell’integrazione potrebbe derivare da una riduzione delle emissioni odorigene: infatti in digestione anaerobica le fasi degradative con la maggior produzione di effluenti gassosi maleodoranti avvengono all’interno dei digestori anaerobici completamente sigillati. L’utilizzo del biogas può avvenire sostanzialmente in quattro modalità: • combustione diretta in caldaia, per la sola produzione di energia termica; • combustione in un cogeneratore, per la produzione combinata di energia termica ed elettrica. Il calore prodotto può essere ulteriormente sfruttato in sistemi ad assorbimento per la produzione di energia frigorifera (trigenerazione); • impiego in una fuel cell; • trattamento per la produzione di biometano (autotrazione o immissione nella rete gas).

Da biogas a biometano Il termine biometano si riferisce a un biogas che ha subito un processo di raffinazione per arrivare ad una concentrazione di metano del 95-98% ed è utilizzato come biocombustibile per veicoli a motore al pari del gas naturale (o metano fossile) e/o immissione nella rete del gas naturale (gas domestico o di città). Il biometano, dal punto di vista tecnico, può essere

immesso e distribuito nella rete del gas naturale poiché è del tutto simile al gas naturale stesso. Il principale vantaggio dell’immissione in rete è la possibile distribuzione nelle aree ad alta densità di popolazione e il raggiungimento della maggior parte dei potenziali utilizzatori finali. Affinché il biogas possa essere trasformato in biometano, deve essere sottoposto ad un processo di purificazione (deidratazione, desolforazione e rimozione di altri componenti indesiderati) e di upgrading (eliminazione dell’anidride carbonica, CO2). Attualmente ci sono molte tecnologie che permettono la purificazione e l’upgrading del biogas che vengono suddivise in quattro macro categorie: • tecnologie di rimozione dell’anidride carbonica; • tecnologie di deidratazione o deumidificazione; • tecnologie di desolforazione; • tecnologie per la rimozione dei gas presenti in traccia.

Recenti normative a favore del biometano

In Italia si è parlato del biometano in maniera consapevole nel Piano di Azione nazionale per le Energie Rinnovabili (PAN) redatto nel giugno 2010 ai sensi della Direttiva 2009/28/CE. Il D.Lgs. 28/11 definisce il biometano come il “gas ottenuto a partire da fonti rinnovabili avente caratteristiche e condizioni di utilizzo corrispondenti a quelle del gas metano e idoneo alla immissione nella rete del gas naturale”. All’art. 20 del citato Decreto Legge si precisa che “1. Entro tre mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, l’Autorità per l’energia elettrica e il gas emana specifiche direttive relativamente alle condizioni tecniche ed economiche per l’erogazione del servizio di connessione di impianti di pro-

duzione di biometano alle reti del gas naturale i cui gestori hanno obbligo di connessione di terzi. 2. Le direttive di cui al comma 1, nel rispetto delle esigenze di sicurezza fisica e di funzionamento del sistema: a) stabiliscono le caratteristiche chimiche e fisiche minime del biometano, con particolare riguardo alla qualità, l’odorizzazione e la pres-

Figura 1. Ciclo dagli scarti organici al biometano (Biogasmax, 2010)

Figura 2. Schema del ciclo di trattamento integrato anaerobico/aerobico (CIC, 2006)

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sione del gas, necessarie per l’immissione nella rete del gas naturale; b) favoriscono un ampio utilizzo del biometano, nella misura in cui il biometano possa essere iniettato e trasportato nel sistema del gas naturale …omissis…; c) prevedono la pubblicazione, da parte dei gestori di rete, degli standard tecnici per il collegamento alla rete del gas naturale degli impianti di produzione di biometano; d) fissano le procedure, i tempi e i criteri per la determinazione dei costi per l’espletamento di tutte le fasi istruttorie necessarie per l’individuazione e la realizzazione della soluzione definitiva di allacciamento; …omissis… i) stabiliscono le misure necessarie affinché l’imposizione tariffaria dei corrispettivi posti a carico del soggetto che immette in rete il biometano non penalizzi lo sviluppo degli impianti di produzione di biometano. …omissis….”. Al fine di incentivare le corrette scelte da parte dell’Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas (AEEG) è stato pubblicato nel marzo 2012 un documento dal titolo “Il biometano fatto bene: una filiera ad elevata intensità di lavoro italiano”. Si tratta di un Position Paper per lo sviluppo della filiera del biometano italiano coordinato dal Consorzio Italiano Biogas e che si focalizza unicamente sul biometano originato da biomasse di origine agricola o agro-industriale. Nell’aprile 2012 l’AEEG ha pubblicato una prima edizione del documento “Regolazione tecnica ed economica delle connessioni di impianti di produzione di biometano alle reti del gas naturale” (Documento per la consultazione 160/2012/R/GAS, avviato con deliberazione dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas 8 settembre 2011, ARG/gas 120/11) in cui l’Autorità “…omissis… intende dare il proprio contributo all’implementazione di una politica di sostenibilità ambientale che consenta l’immissione del gas prodotto da fonte rinnovabile nelle reti convenzionali del gas e favorisca il raggiungimento degli obiettivi definiti a livello nazionale e comunitario…omissis…”. Il CIC - Consorzio Italiano Compostatori ha presentato, come previsto proprio dall’AEEG, nel maggio 2012 un documento che sostanzialmente condivide il quadro generale proposto dall’Autorità, proponendo al contempo

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delle osservazioni al testo pubblicato ed in particolare: • l’esclusione nella parte II (Cenni sulla produzione di biogas) sia delle esperienze nel campo della digestione anaerobica della frazione organica dei rifiuti (Forsu), che di reflui civili e da discarica; • mancanza nella parte III (Ricognizione sulla normativa nazionale in materia di immissione in rete) delle specifiche che identifichino un gas tecnicamente libero (da acqua, idrocarburi in forma liquida, particolato solido e altri gas); • nella parte IV (Primi orientamenti per lo sviluppo della regolazione delle connessioni degli impianti di biometano): • in ragione del principio di non discriminatorietà richiamato nelle premesse (Direttiva 2009/73/CE) andrebbe comunque definito un livello di tutela e/o garanzia di accesso alle reti da parte del richiedente; • per quanto attiene alle caratteristiche chimico fisiche il gestore si dovrà riferire alle norme vigenti (DM 19/2/2007) ed eventualmente a quanto pubblicato in altri Paesi. In questo caso si suggerisce come riferimento quanto istituito in Germania, in quanto Paese che presenta una rete di distribuzione maggiormente confrontabile con quella italiana; • si segnala che i gas immessi potrebbero avere caratteristiche tecniche diverse, anche migliori, in analogia a quanto già oggi accade per la fornitura di gas

Figura 3. Esempio di impianto di upgrading di biogas a biometano con colonnina per rifornimento per autotrazione (SAFE s.r.l., 2010)

dai punti di rigassificazione nazionali; in merito alla determinazione del costo del contributo lascia perplessi l’indicazione della vita utile del cespite di 50 anni. Se ci si riferisce alle reti, allora devono valere le aliquote di ammortamento vigenti dal punto di vista fiscale in ragione della tipologia di rete. Se ci si riferisce agli impianti tecnologici la durata di 50 anni appare eccessiva.

Alcune preliminari valutazioni economiche Sono state eseguite alcune simulazioni economiche relativamente ad un impianto di produzione di biogas alimentato esclusivamente a Forsu con una potenzialità di trattamento pari a 30.000 ton/anno e annesso impianto di compostaggio per la mobilizzazione del digestato a compost. L’impianto descritto (tipico impianto in grado di generare una produzione di biogas utile ad alimentare un cogeneratore elettrico di potenza pari ad 1/1,5 MWe), valutato a costi standard di mercato sia per quanto riguarda gli investimenti che per quanto attiene ai costi/ricavi diretti ed indiretti di esercizio, è stato oggetto di un’analisi economica finalizzata alla comprensione della migliore destinazione d’uso del biogas da esso prodotto. A tale scopo si sono presi in considerazione diversi scenari alternativi che sono stati valutati mediante delle analisi di investimento che hanno consentito di determinare, per ogni alternativa possibile, il Net Present Value, l’Internal Rate of Return, ed infine il Tempo di Pay Back attualizzato. I casi analizzati sono riportati nel seguente schema esemplificativo delle diverse opzioni, dove sono riportate in rosso le variabili oggetto della valutazione economica.Le analisi effettuate hanno dimostrato come, ipotizzando una tariffa di incentivazione del biometano pari 1/1,2 €/Smc, l’immissione in rete si configurerebbe come uno scenario più remunerativo (IRR 23%) rispetto alla sola cogenerazione (IRR 14-16% a seconda si tratti di certificati verdi o tariffa omnicomprensiva). Per il caso descritto si è poi proceduto ad identificare, attraverso un’analisi “what if” quale sarebbe la tariffa incentivante il biometano immesso in rete utile a garantire una remunerazione pari alla cogenerazione con tariffa omni-


comprensiva attuale (0,28 €/kWhe), ottenendo un valore pari a 0,87 €/Smc. Le recenti proposte contenute nel position paper per lo sviluppo della filiera del biometano italiano prevedono forme di incentivazione a tariffa omnicomprensiva che garantiscano, per almeno i primi 3 anni, un IRR di progetto superiore al 12%.

Conclusioni

L'utilizzo del biogas per usi diversi dalla cogenerazione, attualmente la via preferenziale di impiego per motivi essenzialmente economici legati all'attuale meccanismo di incentivazione (certificati verdi o tariffa omnicomprensiva), sebbene supportato da recenti disposti legislativi non è ancora una soluzione facilmente attuabile in Italia. La via attualmente più interessante, alla luce dei recenti disposti autorizzativi, è quella della produzione di biometano e suo impiego per autotrazione e/o immissione in rete. I principali fattori ancora controversi e problematici dal punto di vista Figura 4. Schema delle variabili oggetto di indagine economica normativo per questi

utilizzi sono la mancanza di riferimenti tecnici per regolare il trasporto e la distribuzione di biogas/biometano gas naturale, unitamente alla mancanza di specifiche di rete, oltre che della definizione della tariffa incentivante. A queste mancanze l’AEEG sta cercando di dare una risposta mediante la pubblicazione di specifiche regole tecniche. Nonostante questi problemi oggettivi, che necessitano una rapida soluzione, nel medio periodo la filiera biogas/biometano italiana possiede un potenziale rilevante per essere una fonte di produzione nazionale di gas metano, con un potenziale significativo nell’ambito di carburanti di origine biologica, con una dimostrata efficacia nella riduzione delle emissioni di gas climalteranti, impiegando matrici non alimentari ed essendo una fonte rinnovabile più programmabile rispetto al solare e all’eolico. *ARS ambiente s.r.l. **CIC - Consorzio Italiano Compostatori

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Urban mining e WEB-GIS per l’ottimizzazione della raccolta differenziata come massimizzare il recupero di risorse dai rifiuti urbani con il supporto di strumenti di georeferenziazione di E.C. Rada*, M. Ragazzi* e P. Fedrizzi**

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ziata spinta, onde allungare la vita delle discariche e consentire la ricerca di soluzioni alternative anche per dare una risposta coerente con i principi dell’urban mining. Il Testo Unico Ambientale (D.Lgs. 152/06) impone di modificare i criteri di addebito al cittadino dei costi della raccolta e smaltimento dei rifiuti adottando criteri di calcolo basati sulla proporzionalità della quantità di rifiuto prodotta e non più sul criterio di superficie dell’unità immobiliare abitata. E’ sorta quindi una forte necessità di misurare la produzione del rifiuto e di identificare il produttore dello stesso, adottando criteri organizzativi orientati ad una politica di raccolta differenziata spinta per dare risposte concrete alla presa di coscienza di una graduale e sempre più diffusa indisponibilità di discariche. Dal punto di vista teorico, un sistema di gestione di rifiuti urbani (RU) perfetto dovrebbe generare flussi di raccolta differenziata senza impurità e un flusso di rifiuti urbani residui (RUR) con solo materiali non riciclabili. Dal punto di vista tecnico, tenendo in conto l’attuale comFigura 1. Elementi caratterizzanti la gestione integrata dei RU on urban mining si indicano nel complesso azioni e tecnologie attuabili per recuperare risorse prodotte dal catabolismo urbano (residui civili, ma anche industriali e agricoli, se associabili al contesto urbano). I sistemi di raccolta differenziata più evoluti, basati sul principio della raccolta porta a porta supportata da strumenti webgis, sono caratterizzati da una flessibilità adeguata a rispondere alle esigenze poste dalle iniziative di urban mining, che puntano a intercettare solo i flussi effettivamente valorizzabili. In Italia, le più recenti norme per la gestione del Ciclo del Rifiuto combinate con la realtà della graduale indisponibilità di discariche, impongono una politica di raccolta differen-

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posizione dei RU prodotti, il flusso di RUR non può essere ridotto a zero, a causa della presenza di materiali non riciclabili. L’entità di tale percentuale è spesso oggetto di discussioni in quanto non c’è una omogeneità di punti di vista. Dal punto di vista pratico i principi dell’urban mining segnalano l’importanza di attivare iniziative orientate ad una effetiva valorizzazione dei materiali e dell’energia presente nei rifiuti urbani, rinunciando ad iniziative volte soprattutto all’ottenimento di prestazioni di raccolta differenziata non coordinate e fini a se stesse. La larga diffusione di Internet e delle nuove tecnologie software, unite all’arrivo sul mercato di prodotti hardware sempre più compatti, affidabili ed economici, ha consentito la creazione di applicazioni per la filiera del rifiuto che integrano in modo spinto le funzionalità fornite dalle tecnologie ICT (Information and Comunication Technology) con le più evolute funzionalità GIS. La necessità di realizzare e gestire attività puntuali territoriali come la raccolta porta a porta ha comportato la necessità di adottare lo strumento WebGIS quale elemento centrale di raccolta e di sintesi dei dati territoriali georeferenziati fissi (punti di prelievo) e mobili (mezzi che raccolgono). In Italia sono stati sviluppati, sperimentati e adottati, da parte di alcune Organizzazioni (Consorzi di Comuni e Multiutilites), sistemi


particolarmente sofisticati in grado di gestire l'intero ciclo dei rifiuti dalla produzione alla discarica o agli impianti di trattamento, automatizzando e ottimizzando ogni fase della catena. La completa tracciabilità e la certificazione puntuale delle diverse fasi del servizio di raccolta sono in questo modo note, nel pieno rispetto delle direttive nazionali ed europee in materia di rifiuti consentendo economie di scala e riducendo al minimo i contenziosi dando totale oggettività al controllo di qualità. Nella Figura 1 è riportata una panoramica delle diverse fasi ed attività indispensabili, anche se non tutte, per affrontare in modo scientifico ed organico una RD finalizzata ad aumentare il recupero di materia e l’efficienza. Ricordiamo: • valutazione preliminare della situazione “as is” e del contesto socio economico; • individuazione delle diverse proposte per la separazione alla fonte dei rifiuti urbani (porta a porta, eco-centri, contenitori stradali, ecc.); • stima\simulazione dell’impatto dell’applicazione della tariffa TIA sulle diverse tipologie familiari e realtà economiche; • integrazione di diverse tecnologie per una raccolta differenziata tracciata e certificata (RD); • ottimizzazione degli itinerari programmati per i veicoli che raccoglieranno i rifiuti onde diminuire l’impatto sul traffico e migliorare il bilancio della CO2 emessa. Tutti questi aspetti devono essere presi in considerazione quando si desidera ottenere l'ottimizzazione della gestione dei RU. Il sistema integrato, che è già stato adottato in alcune zone in Italia, porta il nome di ROW (rifiuti sul web) e comprende: GPS, strumenti RFID (Transponder Radio Frequency Identification - Identificazione in Radio Frequenza), Wi-Fi e WebGIS (cartografia web geo-referenziata). Questo sistema è schematizzato nella Figura 2. L’utilizzo integrato tra gestione e cartografia permette di evidenziare in modo immediato ed intuitivo, attraverso un supporto visivo, anche il consuntivo dei dati prodotti dalle attività sul territorio. La tecnologia RFID è un sistema di riconoscimento di prossimità (1-2 cm max) di un micro-chip, denominato Tag/Trasponder. La lettura avviene tramite un lettore che emette un campo elettromagnetico il quale per induzione

genera nell'antenna del tag una corrente che alimenta il chip. Il chip così alimentato comunica tutte le sue informazioni che vengono irradiate tramite l'antenna verso il lettore. I contenitori, dotati e riconosciuti tramite il tag (Figura 3), possono essere associati in periodi differenti a contratti diversi, rendendone semplice il riutilizzo. A ciascun contenitore\tag sono inoltre associati gli svuotamenti, letti durante la raccolta mediante il lettore RFID fisso sul camion op-

pure portatile in mano all'operatore. Il sistema ROW è integrato dal sistema LeO (Localizzazione ed Orientamento) che è presentato nella Figura 4. LeO è composto da due parti: una sul Web con funzione di sala di controllo (LeO. Web) e un’altra come un desktop sul veicolo di raccolta (LeO.Car). LeO ha un modulo sofisticato di comunicazione tra il veicolo e il centro di controllo operativo con tutte le funzioni di un centralino software moderno (VoIP). Quando

Figura 2. Filiera di raccolta dati dal territorio ed applicazioni

Figura 3. Filiera di identificazione in radio frequenza

Figura 4. LeO&WebGis: Leo.Car hardware, centrale operativa e schema di comunicazione

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p rog e t t i e t e cn o lo gie

LeO.Web è collegato al database di utenti, permette, in una zona selezionata, l’effettuazione di numerose operazioni quali la verifica di: • numero di contratti e il loro tipo; • validità del contratto per ogni utente; • data di scadenza del contratto per ogni utente; • numero di abitanti residenti; • numero di svuotamenti effettuati (globale e specifico); • eventuali abusi e frodi. Il successo della raccolta diferenziata dipende principalmente dalla capacità di offrire ai cittadini un sistema che crei loro disturbi minimi. Inoltre il sistema deve essere flessibile, al fine di andare incontro a esigenze particolari. Per questo motivo LeO permette di gestire anche l'ODS (On Demand System), che è applicabile a utenti domestici e non (Figura 5). L’accoppiamento ODS + Leo è in grado di automatizzare le richieste di raccolta e di istruire il veicolo dando all'utente finale, tramite SMS, un feedback della sua richiesta (per esempio il giorno per l'esposizione del bidone dei rifiuti riducendo al minimo il tempo di esposizione degli stessi). Ogni veicolo che raccoglie i rifiuti è monitorato dalla sala di controllo ed ha sul PC di bordo gli elementi cartografici aggiornati ed idonei (strade, numero civico, luoghi, ecc.). E’ in fase di sperimentazione anche una App per i sistemi Android ed iOS che consentirà al cittadino di poter prevedere quando il mezzo passerà a svuotare il contenitore ed altre funzionalità miranti, assieme al sistema ODS, a minimizzare i disagi e le eventuali interferenze con le abitudini quotidiane del cittadino. In Italia l'andamento della raccolta diferenziata dei rifiuti urbani mostra una forte differenza

Figura 6. Contenitori utilizzati

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tra le regioni del Nord e del Sud anche se non mancano casi positivi e negativi in ambedue. Nel 2002 il sistema Web-GIS Oriented è stato implementato per la prima volta, in un’area di 14 Comuni associati, oggi diventati 49. Al fine di rispettare la prevenzione dello smaltimento diretto dei rifiuti e di favorire il riciclaggio e il recupero energetico, è stata implementata la RD porta a porta. Gli utenti (famiglie) hanno ricevuto una serie di contenitori per la separazione dei rifiuti (Figura 6). Ad ogni contenitore è stato associaFigura 5. Sistema ODS e suo funzionamento to un suo Tag. Nel momento dello svuotamento grazie al lettore RFID è il Elementi rilevanti del sistema sono: Tag che permette la registrazione automatica • la garanzia di una corretta gestione del ciclo integrato dei rifiuti, dalla raccolta all’avdel codice del contenitore. Gli utenti possono vio al recupero o allo smaltimento, permetanche fare compostaggio domestico, grazie tendo il controllo dell’intera filiera; questo ad un apposito contenitore. In questo modo gli aspetto favorisce una visione globale del utenti possono trasformare i rifiuti alimentari e sistema, aspetto fondamentale per impleil verde in un compost che può essere utilizzato mentare i principi di urban mining; nei giardini; la quota dei rifiuti può essere ridotta di conseguenza. Questo approccio riduce • il raggiungimento di un’elevata percentuale di raccolta differenziata e la riduzione della la quantità di rifiuti prodotti, secondo i criteri produzione procapite di rifiuti, in particoladi calcolo generalmente adottati. Dopo l'implementazione del sistema di cui sopra l'effire del rifiuto secco non riciclabile, garantendo il mantenimento nel tempo di un’ecienza della RD ha raggiunto circa l'80%, con una diminuzione della produzione di rifiuti per levata qualità merceologica del materiale abitante del 18% in circa 10 anni; ma il vanraccolto; anche da questo punto di vista, le attività sono coerenti con le esigenze inditaggio più importante riguarda la diminuzione dei rifiuti urbani residui nello stesso periodo, cate dai principi dell’urban mining, in quanto vanno evitate soluzioni che comportino dal 72% al 28% e l'incremento del flusso riciflussi di materiali a qualità scadente; clabile, che è triplicato (Figura 7).


PeVmedia.com

• una maggiore responsabilizzazione degli utenti nella differenziazione spinta e nella riduzione delle quantità di rifiuto rispetto agli scopi di tutela ambientale, sulla strada della chiarificazione della stretta relazione tra produzione di rifiuto e tariffa applicata in quanto effettivo costo ambientale; • l’ottimizzazione dei percorsi di raccolta, il raggiungimento di elevati standard di qualità del servizio e soddisfazione dell’utenza; • l’implementazione del sistema di educazione dell’utenza all’acquisto intelligente, alla riduzione dei rifiuti, al compostaggio domestico, alla raccolta differenziata, da realizzare con strumenti di formazione ambientale quali la comunicazione diretta con gli utenti tramite gli sportelli territoriali o il raggiungimento della stessa con l’ecocalendario, allegati alle fatture, pubblicazione di un giornalino consortile, il sito internet, campagne di educazione ambientale con le scuole; • il raggiungimento di un’elevata trasparenza tra servizio reso, determinazione dei costi e relativa applicazione delle tariffe; • l’applicazione di un metodo di gestione integrata del territorio partendo da un settore che storicamente non ha mai previsto investimenti finalizzati all’ottimizzazione del servizio e di analisi di costi sulla base di costi programmati e consuntivati; • l’adattabilità a variazioni quali-quantitative dei rifiuti urbani; • la possibilità di modificare la modalità di separazione dei flussi di frazioni di rifiuti, in funzione della loro valorizzabilità, secondo il principio dell’urban mining.

Figura 7. L’andamento dei RU prima e dopo l’introduzione del sistema integrato

Grazie ai risultati raggiunti, questo sistema è stato implementato anche in altre zone e proposto, anche su iniziativa privata, in aree che devono rapidamente incrementare l’efficienza della raccolta differenziata. In conclusione, il sistema descritto è compatibile con la visione globale e razionale della gestione dei rifiuti indicata dall’urban mining, la cui importanza è in rapida crescita come dimostrato dall’organizzazione di convegni internazionali (www.urbanmining.it) e gruppi di lavoro delle associazioni di settore nazionali (GITISA) e internazionali (IWWG). *DICA,Università degli Studi di Trento **I&S, Informatica e Servizi

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L’incentivazione del recupero delle aree dismesse in Lombardia Trasformazione del territorio all’insegna della sostenibilità e recupero di aree dismesse e contaminate: questi gli obiettivi di gestione del territorio ribaditi dalle normative regionali di Federico Vanetti*

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egli ultimi anni, la Regione Lombardia è stata particolarmente attenta alla gestione del proprio territorio. La L.R. 12/2005 è già chiara nel definire i propri indirizzi pianificatori, mirando espressamente alla "minimizzazione del consumo del suolo in coerenza con l'utilizzazione ottimale delle risorse territoriali, ambientali ed energetiche" (art. 8, comma 2, punto b). La trasformazione del territorio, dunque, deve essere ispirata a specifici criteri di sostenibilità, quali:

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a. il riuso quale forma prioritaria di trasformazione del territorio; b. la corretta verifica delle dinamiche territoriali nella definizione delle esigenze di trasformazione; c. l'attenzione al disegno delle trasformazioni in armonia con il tessuto presente e finalizzato a limitare consumo e frammentazione territoriale; d. l'attuazione di interventi di mitigazione e compensazione, in accompagnamento alla trasformazioni previste.

La necessità di salvaguardare aree verdi e, quindi, di concentrarsi sul recupero delle aree dismesse è stata poi ulteriormente ribadita in occasione della pubblicazione degli "Indirizzi e orientamenti per la pianificazione locale in riferimento a EXPO 2015 nell'ottica della sostenibilità" (Delibera n. IX/999 del 15 dicembre 2010). Attraverso tali indirizzi e orientamenti, la Regione si è rivolta ai Comuni lombardi, fornendo indicazioni e spunti per una migliore pianificazione del territorio lombardo in occasione di EXPO 2015. In particolare, è stato chiarito che gli obiettivi di sostenibilità di piani e programmi relativi ai territori interessati direttamente o indirettamente da EXPO 2015 devono mirare, tra le altre cose, alla riqualificazione del contesto territoriale di riferimento attraverso il riutilizzo e la rifunzionalizzazione degli spazi industriali dismessi, nell'ottica di preservare il suolo e il contenimento dell'espansione e della dispersione urbana. Ancora una volta, quindi, gli indirizzi regionali promuovono:


1. il contenimento del consumo di suolo (riuso e valorizzazione delle aree dismesse); 2. l'efficienza delle trasformazioni territoriali ed efficienza degli insediamenti; 3. la qualificazione e riqualificazione del territorio e dei contesti urbani. È evidente, dunque, la necessità di privilegiare interventi di riqualificazione e riuso del territorio già urbanizzato attraverso il recupero delle aree dismesse, permettendo così di contenere il consumo di suolo e restituire alla comunità parti di territorio abbandonate e a rischio di degrado fisico e sociale. Gli indirizzi, poi, chiariscono anche che "i comuni di significativa dimensione demografica o appartenenti al sistema metropolitano o caratterizzati dalla presenza di fenomeni di deindustrializzazione o dalla presenza di contesti urbani degradati, devono assumere come obiettivo prioritario dei rispettivi Piani di Governo del Territorio, la riqualificazione, a funzioni di interesse sociale e collettivo, di questi brani di tessuto urbano, adottando modelli incentivanti il recupero del patrimonio edilizio esistente". Tuttavia, la definizione di indirizzi e obiettivi (salvo che gli stessi non abbiano natura vincolante e non costituiscano obblighi o divieti per le amministrazioni comunali) non è da

sola sufficiente a cambiare le regole di gestione del territorio, inevitabilmente condizionate dalle esigenze di mercato e dai costi di recupero delle aree dismesse. È, quindi, necessario fornire anche gli strumenti giuridici che permettano effettivamente il raggiungimento degli obiettivi prefissati. In tal senso, la Regione Lombardia aveva già tentato di creare incentivi a favore di chi perseguisse realmente gli obiettivi di recupero di aree dismesse. Con la L.R. n. 10 del 26 giugno 2009 è stata inizialmente prevista la possibilità - ricorrendo determinate condizioni - di scomputare quota parte dei costi di bonifica dagli oneri di urbanizzazione secondaria. La medesima legge, poi, riscrivendo l'art. 21 della L.R. 26/2003, ha altresì previsto la possibilità di mettere a disposizione di operatori terzi le aree bonificate in caso di bonifica d'ufficio delle aree ai sensi dell'art. 250 del D.Lgs. 152/06. Infine, più recentemente, è stata emanata un’ulteriore legge che contiene incentivi e strumenti volti a garantire il recupero di aree dismesse e contaminate. La L.R. n. 7/2012, infatti, ha inserito nella citata L.R. n. 26/2003 un ulteriore articolo (21 bis) dedicato agli incentivi per la bonifica dei siti contaminati. La norma sostituisce una precedente previsione contenuta nella L.R. 1/2007 che, invero, non ha trovato grande applicazione. L'art. 7 di tale legge regionale sanciva che "la dismissione di aree industriali costituisce grave pregiudizio territoriale, sociale ed economico-occupazionale" e, quindi, forniva anche una definizione di area industriale dismessa: "si intendono per aree industriali dismesse, ai fini del presente articolo, le aree: a) che comprendano superficie coperta superiore a duemila metri quadrati; b) nelle quali la condizione dismissiva, caratterizzata dalla cessazione delle attività economiche su oltre il cinquanta per cento delle superfici coperte nelle aree di cui alla lettera a), si prolunghi ininterrottamente da oltre quattro anni".

Anche in tale occasione, il legislatore lombardo aveva chiarito che "il recupero delle stesse costituisce attività di pubblica utilità ed interesse generale" e aveva, dunque, previsto una procedura su iniziativa dell'Amministrazione comunale volta a sollecitare una proposta di riqualificazione dell'area da parte del proprietario. Il nuovo art. 21 bis della L.R. 26/2003 sostanzialmente riprende l'idea contenuta nel citato art. 7 e inserisce una nuova procedura per promuovere il recupero dei siti contaminati inseriti nell'anagrafe regionale, molti dei quali sono aree ormai dismesse da anni. Il primo e secondo comma dell'articolo in esame, sostanzialmente, prevedono la possibilità di riconoscere incentivi volumetrici o di incremento della s.l.p. a favore del proprietario incolpevole di un'area inserita nell'anagrafe regionale dei siti contaminati, il quale decide di farsi carico della bonifica (pur non essendone obbligato). La concessione di incrementi volumetrici o di superficie è rimessa ad un'ampia discrezionalità dell'Amministrazione comunale, che può riconoscere l'incentivo anche in deroga agli strumenti urbanistici nella misura massima di un incremento del 30%, tenendo conto della vocazione delle aree, nonché - perlomeno ad avviso di chi scrive - dell'incidenza dei costi di bonifica. Le uniche condizioni per la concessione dell'incentivo sono rappresentate dalla necessità che il PGT preveda il recupero dell'area e non precluda l'attivazione di agevolazioni rispetto a questa. I commi 3 e 4, dunque, disciplinano la procedura attraverso cui possono essere concessi tali incentivi, la quale può essere avviata sia su iniziativa del Comune, sia su richiesta del privato. Quest'ultimo, dunque, dovrà presentare entro 8 mesi una proposta di riqualificazione dell'area con impegno di farsi carico delle bonifiche. La proposta dovrà essere predisposta in conformità alle linee guida che la stessa Regione Lombardia dovrebbe approvare entro ottobre 2012. In attesa delle linee guida, si pongono due riflessioni fondamentali. Da un lato, occorre domandarsi se i comuni siano tenuti ad avviare tale procedura, ovvero se questa rappresenti solo una facoltà.

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Il tenore letterale della norma farebbe propendere per la seconda conclusione, ma occorre anche tener conto degli obblighi che il D.Lgs. 152/06 pone a carico dei comuni, in particolare, l'obbligo di avvio della bonifica d'ufficio qualora non provveda il responsabile della contaminazione (ovvero non sia individuabile) e qualora non provvedano spontaneamente i soggetti interessati. In considerazione, dunque, di tali obblighi, l'Amministrazione comunale, in caso di inerzia del responsabile e dei soggetti interessati, sarebbe tenuta ad avviare la bonifica d'ufficio o, in alternativa, può decidere di avviare la procedura di cui al citato art. 21 bis. Dall'altro lato, non è chiaro se la proposta di riqualificazione debba limitarsi agli incentivi volumetrici ovvero possa considerare anche l'inserimento di nuove funzioni più appetibili per il mercato immobiliare. Il comma 4, infatti, parla di "riutilizzo e riqualificazione urbanistica", che potrebbe anche includere cambi d'uso e nuove destinazioni. Il tema della riqualificazione urbanistica e dell'inserimento di nuove funzioni è un punto fondamentale (forse ancor più importante degli incentivi volumetrici) in quanto rappresenta molto spesso il vero volano economico dell'operazione e permette - anche nei casi di gravi contaminazioni - di raggiungere la sostenibilità economica dell'intervento. Si auspica, quindi, che le linee guida regionali chiariscano tale aspetto fondamentale. In attesa di tali chiarimenti, un utile spunto interpretativo è fornito dal successivo comma 6

della norma in esame e dall'art. 21 della medesima L.R. 26/2003. Secondo tali disposizioni, in caso di inerzia del proprietario dell'area, la disciplina urbanistica della stessa decade e il comune è tenuto ad avviare la procedura di bonifica d'ufficio individuando, attraverso procedura ad evidenza pubblica, un soggetto terzo che si faccia carico dell'intervento di ripristino ambientale. Al fine di remunerare il terzo, può essere concessa a quest'ultimo la possibilità di utilizzare l'area, procedendo all'esproprio della stessa. Il comma 3 dell'art. 21, dunque, prevede la possibilità per il terzo di concordare con l'amministrazione comunale, attraverso un Accordo di Programma, non solo il progetto di bonifica, ma anche la proposta di riqualificazione urbanistica dell'area. Il ricorso allo strumento dell'Accordo di Programma lascia implicitamente ritenere che la proposta possa anche essere in variante agli strumenti urbanistici in quanto l'Accordo di Programma può comportare gli effetti di variante. Se, quindi, il terzo può proporre una riqualificazione dell'area con nuove funzioni e destinazioni d'uso, non si vede per quale motivo tale possibilità non debba essere riconosciuta anche al proprietario incolpevole dell'area contaminata, perlomeno per ragioni di parità di trattamento. Il meccanismo di subentro nella bonifica e nella gestione dell'area rappresenta sicuramente un’importante novità anche per gli operatori immobiliari che potrebbero individuare e acquisire aree di interesse attraverso la procedura in esame, con una ragione-

vole aspettativa di riuscire a concordare con l'Amministrazione comunale un progetto di riqualificazione sostenibile e certo. Le modalità di selezione del terzo e di valutazione della proposta di riqualificazione assumono, quindi, fondamentale importanza e dovranno essere tenute in debito conto dalle amministrazioni comunali nell'impostare le procedure. Anche in questo caso, la Regione Lombardia dovrebbe approvare un apposito regolamento per venire incontro ai comuni e rendere più chiara la procedura da seguire. Tuttavia, sussistono già gli strumenti normativi per avviare e impostare tale procedura (Codice dei Contratti Pubblici, Testo Unico Espropri, Testo Unico Enti Locali, ecc.) e, quindi, anche in assenza del regolamento regionale, i Comuni possono già promuovere il recupero delle aree dismesse e contaminate nel proprio territorio. In considerazione di quanto sopra, è evidente che la norma in esame rappresenta sicuramente un ulteriore passo per incentivare e permettere l'effettivo recupero delle aree contaminate e/o dismesse. Da un lato, infatti, viene ribadito l'interesse pubblico a recuperare tali aree, dall'altro, è stato concepito uno strumento che può permettere ai comuni e ai privati di negoziare il progetto di recupero anche nell'ottica di raggiungere una sostenibilità economica dell'intervento, condizionato molto spesso dai costi di bonifica e dai tempi delle procedure amministrative. Infine, la possibilità di superare anche l'inerzia del proprietario incolpevole (che potrebbe anche non avere i mezzi o le capacità per sostenere il recupero del sito) attraverso l'individuazione di un terzo interessato, rappresenta sicuramente un'ottima occasione per i comuni e per gli operatori del settore immobiliare. La speranza, dunque, è che la norma trovi concreta attuazione già nell'immediato. *Avvocato in Milano, Partner di DLA Piper

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Impianti fotovoltaici: normativa e disciplina autorizzativa Tra norme nazionali e regionali, come districarsi tra titoli autorizzativi e controlli in cantiere durante l’installazione di pannelli fotovoltaici di Rosa Bertuzzi*

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n impianto fotovoltaico è un impianto che sfrutta l'energia solare per creare energia elettrica mediante effetto fotovoltaico. L'effetto fotovoltaico si concretizza quando un elettrone presente nella banda di valenza di un materiale (solitamente semiconduttore) si sposta nella banda di conduzione, a causa dell'assorbimento di un fotone sufficientemente energetico incidente sul materiale. Questo evento viene ordinariamente utilizzato nella produzione elettrica nelle celle fotovoltaiche. Parte indispensabile dell’impianto, è il modulo fotovoltaico, un dispositivo in grado di convertire l'energia solare direttamente in energia elettrica attraverso l’effetto fotovoltaico ed è utilizzato come generatore di corrente in un impianto fotovoltaico. Può essere meccanicamente preassemblato a formare un pannello, pratica poco in uso con il progressivo incremento delle dimensioni dei moduli, che ne hanno quindi assimilato le finalità. Può essere esteticamente analogo al pannello solare termico, ma ha destinazione e funzionamento profondamente eterogenei. L’articolo 117 comma 3 della Costituzione dispone che “produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia” sono una materia di legislazione concorrente tra Stato e Regioni. A livello nazionale, la produzione di energia da fonte solare fotovoltaica, è disciplinata dalla normativa tecnico/amministrativa riportata nel

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box a lato. Infatti nelle materie di legislazione concorrente, come in materia impianti fotovoltaici, spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per l’indicazione dei principi fondamentali, assegnata alla legislazione dello Stato. In tal caso, dunque, lo Stato determina i principi fondamentali, mentre alle Regioni compete la legislazione di dettaglio. Tra gli obblighi delle Regioni vi è quello di dotarsi di un Piano Energetico Regionale nel rispetto del Piano Energetico definito a livello Nazionale. Le norme statali hanno un’influenza eterogenea, a seconda di come ciascuna Regione ha deciso di esercitare i propri poteri legislativi (regionale e provinciale) inerenti allo sviluppo di impianti fotovoltaici industriali autorizzati in base alla c.d. DIA (dichiarazione inizio lavori)/SCIA (Segnalazione Certificata d'inizio attività) o procedura di Autorizzazione Unica ex art. 12 D.Lgs. 387/2003. Nelle diverse regioni d’Italia, dalla Puglia, alla Lombardia e al Trentino Alto Adige, si va diffondendo con maggiore intensità l’installazione di campi eolici e fotovoltaici per la produzione di energia elettrica da fonti alternative. Dal punto di vista autorizzativo l’impianto fotovoltaico si presenta come un’opera edile e perciò necessita di permesso di costruire ovvero di denuncia di inizio lavori (DIA o SCIA). Prima di procedere all’installazione dell’impianto è necessario presentare all’ufficio comunale preposto una DIA/SCIA oppure, se l’installazione

riguarda un cantiere aperto, dotato di un regolare permesso di costruire, si dovrà richiede una variante in corso d’opera per l’installazione dell’impianto fotovoltaico. Necessariamente nel caso di conclusione positiva della pratica autorizzativa sarà possibile procedere alla fase di installazione. Poche regioni hanno seguito la Puglia e la Sicilia che si sono dotate di una normativa che definisce quale sia l’iter autorizzativo e/o burocratico per lo sviluppo di un determinato numero di MW da fonti rinnovabili. In base alla normativa nazionale, il D.Lgs. 387/03 definisce nazionalmente la procedura autorizzativa pertinente alla costruzione e all'esercizio degli impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili, determinando che le opere connesse e le infrastrutture indispensabili alla costruzione e all'esercizio degli impianti stessi sono vincolate da autorizzazione unica, rilasciata dalla Regione o altro soggetto delegato dalla Regione. L’articolo 12 del D.Lgs. 387/03 razionalizza e semplifica la procedura autorizzativa in commento, infatti disciplina: 1. la costruzione e l’esercizio degli impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili; 2. gli interventi di modifica, potenziamento, rifacimento totale o parziale e riattivazione; 3. le opere connesse e le infrastrutture indispensabili alla costruzione e all’eser-


LA NORMATIVA • Decreto Legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 “Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell'elettricità.” (G.U. n. 25 del 31 gennaio 2004 - s.o. n. 17). • Ministero dello Sviluppo Economico - Decreto 19 febbraio 2007 “Criteri e modalità per incentivare la produzione di energia elettrica mediante conversione fotovoltaica della fonte solare, in attuazione dell'articolo 7 del Decreto Legislativo 29 dicembre 2003, n. 387. ” (G.U. n. 45 del 23 febbraio 2007) • Decreto Legislativo 30 maggio 2008, n. 115 “Attuazione della direttiva 2006/32/CE relativa all'efficienza degli usi finali dell'energia e i servizi energetici e abrogazione della direttiva 93/76/CEE. ” (G.U. n. 154 del 3 luglio 2008). • Ministero dello Sviluppo Economico - Decreto 6 agosto 2010 “Incentivazione della produzione di energia elettrica mediante conversione fotovoltaica della fonte solare.” (G.U. n. 197 del 24 agosto 2010). • Ministero dello Sviluppo Economico - Decreto 10 settembre 2010 “Linee guida per l’autorizzazione di impianti alimentati da fonti rinnovabili.” (G.U. n. 219 del 18 settembre 2010). • D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia” (G.U. n. 245 del 20 ottobre 2001- s.o. n. 239). • Ministero dello Sviluppo Economico - Decreto 15 marzo 2012 “Definizione e qualificazione degli obiettivi regionali in materia di fonti rinnovabili e definizione della modalità di gestione dei casi di mancato raggiungimento degli obiettivi da parte delle regioni e delle provincie autonome”. • Ministero dell'Ambiente - Decreto 19 luglio 2011 “Modifica ed integrazione degli allegati del decreto 25 novembre 2008 di disciplina delle modalità di erogazione dei finanziamenti a tasso agevolato del Fondo rotativo”. • Ministero dello Sviluppo Economico - Decreto 5 maggio 2011 “Produzione energia elettrica da impianti solari fotovoltaici, tecnologie innovative conversione fotovoltaica”. • Determinazione Ministeriale 26 ottobre 2011 n. 6 “Linee guida per l’affidamento della realizzazione di impianti fotovoltaici ed eolici”. cizio degli impianti stessi sono soggette ad un’autorizzazione unica, rilasciata dalla Regione o altro soggetto istituzionale delegato. Tale procedura ripercorre le seguenti fasi: il produttore presenta la domanda di autorizzazione all’ente pubblico competente (Regione o Provincia); la Regione, entro 30 giorni dal ricevimento della domanda di autorizzazione convoca la Conferenza dei Servizi; l’autorizzazione è rilasciata a seguito di un procedimento unico, al quale partecipano tutte le Amministrazioni interessate. Il termine massimo per la conclusione del procedimento non può essere superiore a 180 giorni. Molte Regioni, per semplificare l’iter autorizzativo per l’installazione di un impianto fotovoltaico, hanno eliminato la necessità della presentazione di DIA/SCIA o permesso a costruire, per impianti con potenza limitata. E' quanto fatto ad esempio dalla Regione Lazio con l'art. 19 della L.R. 26 del 28/12/07, un modello accolto favorevolmente anche da altre Regioni. Molte delle procedure approvate comportano diversità di comportamenti fra le varie Regioni e in qualche caso fra le varie Province della singola Regione. La casistica varia fra le normative delle Regioni Lombardia e Puglia, che hanno seguito le raccomandazioni del D.Lgs. 387/03 (nessuna autorizzazione in assenza di vincoli) a quelle delle Regioni Sicilia e Basilicata, che sono da considerarsi fra le più restrittive per lo sviluppo del fotovoltaico. In tutti i

casi “Per negare l'installazione di un impianto fotovoltaico occorre dare prova dell'assoluta incongruenza delle opere rispetto alle peculiarità del paesaggio, cosa che non coincide con la semplice visibilità dei pannelli da punti di osservazione pubblici” (T.A.R. Brescia Lombardia sez. I, sentenza n.3726 del 04/10/10). Cercando di sviluppare linee basi per tutte le Regioni italiane si può riassumere che i titoli autorizzatori variano in base alle caratteristiche tecniche dell’impianto fotovoltaico: • impianto integrato installato sul tetto di edifici esistenti senza modificarne la sagoma (D.M. 19 febbraio 2007, articolo 2, comma 1 lettera b3; D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 115, articolo 11) - è attività libera, non serve nessuna autorizzazione è sufficiente una comunicazione preventiva al Comune da parte del proponente; • impianto integrato installato sui tetti degli edifici con la stessa inclinazione e lo stesso orientamento della falda o aderente alla superficie degli edifici e i cui componenti modificano la sagoma degli edifici medesimi (moduli che sporgono rispetto alla falda di copertura o con superficie complessiva dell’impianto superiore a quella dell’intero tetto o della superficie laterale dell’edificio). (non ricompreso nella categoria di cui al D.M. 19 febbraio 2007, articolo 2, comma 1 lettera b3) - Denuncia di inizio attività (DIA) è considerata “manutenzione straordinaria”. Particolare attenzione se è richiesta l’auto-

rizzazione paesaggistica, se in area vincolata ex D.Lgs. 42/04 alla DIA il proponente allega le altre autorizzazioni necessarie; • impianto parzialmente integrato aderente al tetto e che rispetta contemporaneamente tutte le condizioni di cui all’articolo 11 del D.Lgs. 115/08 (D.M. 19 febbraio 2007, articolo 2, comma 1 lettera b2; D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 115, articolo 11) - è attività libera, non serve nessuna autorizzazione è sufficiente una comunicazione preventiva al Comune da parte del proponente; • impianto parzialmente integrato non aderente al tetto, che non rispetta contemporaneamente tutte le condizioni di cui all’articolo 11 del D.Lgs. 115/08 (D.M. 19 febbraio 2007, articolo 2 comma 1 lettera b2) - Denuncia di inizio attività (DIA), è considerata “manutenzione straordinaria”. Autorizzazione paesaggistica, se in area vincolata ex D.Lgs. 42/04, il Comune è responsabile del procedimento di Denuncia di inizio attività e la Regione è responsabile del procedimento di Verifica di Via (Valutazione di Impatto Ambientale) e rilascio della Via; • impianto non integrato ubicato al suolo <20 kW (D.M. 19 febbraio 2007, articolo 2 comma 1 lettera b1) - Denuncia di inizio attività (DIA) per impianti, il Comune è responsabile procedimento di Denuncia di inizio attività e Permesso di costruire; Terminati i lavori di costruzione dell'impianto con l’eventuale comunicazione di "fine lavo-

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ri”, si avvia la fase di richiesta di connessione all'impresa distributrice di energia elettrica da parte del proprietario dell'impianto. La procedura si diversifica in base ai casi (capacità produttiva e dimensionale degli impianti) in cui le diverse norme regionali deliberano la necessità di una richiesta di autorizzazione unica regionale, quelli per i quali la stessa non è necessaria o di quelli in cui è sufficiente la DIA/SCIA. Si ricorda che la Legge 30 luglio 2010, n. 122 introduce la Segnalazione Certificata d'inizio attività in luogo della DIA ma la SCIA non è perfettamente sovrapponibile alla DIA; ciò anche nel caso dell'edilizia, e cioè manutenzione straordinaria su parti strutturali, restauro, ristrutturazione edilizia “leggera”. La SCIA non si applica agli interventi più rilevanti, al permesso di costruire e alla Super-DIA, cioè ristrutturazioni “pesanti”, ampliamenti e nuove costruzioni e nuovi impianti. L'ambito di applicazione del nuovo istituto è quello della DIA e non può essere ampliato ad altri titoli abilitativi. Le linee guida (emanate in attuazione dell’art.12 D.Lgs. 287/03 G.U. n. 219 del 18/09/10 le Linee guida per l'autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili) si riferiscono alla

DIA per quanto riguarda l’installazione di fonti rinnovabili con determinate caratteristiche: in particolare, per il fotovoltaico è adatta la DIA quando si vuole installare un impianto con potenza inferiore a 20 kW o un impianto su edifici già esistenti, di superficie non superiore al tetto e non in centro storico. Il testo delle linee guida fa esclusivo riferimento alla DIA, anche alla luce delle novità introdotte con l’art. 49 del D.L. 31 maggio 2010, n. 78 (Decreto convertito, con modificazioni, in legge 30 luglio 2010, n. 122), con la conseguenza logica che la presentazione di DIA o SCIA siano alternative. In tale materia sembrerebbe ritenersi che la sostituzione sia operante. Fatta eccezione per il caso in cui è richiesta la “super DIA”, per l’istallazione dell’impianto fotovoltaico potrebbe bastare la SCIA. Interessante che a Torino, la SCIA è accettata come autorizzazione edilizia, mentre a Venezia e a Firenze ritengono che non sia applicabile all’edilizia e continuano a richiedere la DIA. Il doppio regime, SCIA/DIA, è vigente anche a Perugia, Modena, Bologna, Genova, Brescia e Verona. Sostenitori del nuovo corso sono, invece, i Comuni di Milano, Napoli e Bari.

Durante i normali controlli si rende necessaria la presentazione del titolo autorizzativo. La presenza di eventuali vincoli paesaggistici che gravano sul sito interessato all’installazione dell’impianto fotovoltaico prevedono obbligatoriamente un provvedimento specifico della Soprintendenza, la quale può annullare l’autorizzazione paesaggistica comunale per la realizzazione di un impianto fotovoltaico qualora violi le caratteristiche proprie del pregio di quel paesaggio protetto (Cons. Stato 18 gennaio 2012, n. 175). Molti impianti già approvati dal committente e dagli istituti finanziari non sono stati realizzati per la presenza di vincoli di ogni genere. L’articolo 12 comma 7 del D.Lgs. 387/03 (normativa statale), sancisce che gli impianti di produzione di energia elettrica possono essere ubicati anche in zone classificate agricole dai vigenti piani urbanistici. Nell’ubicazione si deve tenere conto delle normative in materia di sostegno nel settore agricolo, con riferimento alla valorizzazione delle tradizioni agroalimentari locali, alla tutela della biodiversità, del patrimonio culturale e del paesaggio rurale. *Ambienterosa, Consulenze legali ambientali

CONTROLLI, ISPEZIONI E SOPRALLUOGHI E’ indispensabile, per la Polizia Municipale, verificare prudentemente la normativa locale in materia prima di effettuare controlli, ispezioni e sopralluoghi.Il rilascio dell’autorizzazione costituisce titolo a costruire l’impianto in conformità al progetto approvato. Tale titolo, deve contenere l’obbligo alla rimessa in pristino dello stato dei luoghi a carico del soggetto esercente a seguito della dismissione dell’impianto. Infatti i lavori d’installazione di un impianto fotovoltaico possono essere sospesi dall’Amministrazione Comunale, a mezzo di ordinanza del responsabile del servizio incaricato dell’Urbanistica. Il provvedimento di immediata sospensione può giungere a seguito di sopralluogo da parte della Polizia Municipale da cui possono emergere alcune irregolarità rispetto all’Autorizzazione rilasciata. Caso avvenuto in Puglia, a Galatina (Lecce). In particolare le anomalie riscontrate riguardano: la realizzazione di basamenti in calcestruzzo armato posizionati sulla superficie del terreno, non riportati negli elaborati grafici allegati all’Autorizzazione regionale; i pali metallici della recinzione bloccati nel terreno mediante calcestruzzo contravvenendo alle prescrizioni dell’Arpa Puglia riportate nella innanzi citata autorizzazione. Gli Ufficiali/Agenti di Polizia Municipale, durante una potenziale ispezione presso un impianto fotovoltaico ubicato al suolo, devono controllare il rispetto di possibili norme comunali, come i Regolamenti, che definiscono i confini e le distanze. “Se è pur vero che gli impianti fotovoltaici non costituiscono costruzione nel senso classico del termine, non sviluppando cubatura, l'amministrazione può comunque valutare che un impianto immediatamente a confine con il ciglio stradale - posizionato proprio nella fascia di rispetto, pur senza preclusione di visuale - contrasti con l'esigenza di sicurezza e viabilità, evidentemente a prescindere dal fatto che non costituisca fronte di fabbrica (si può pensare ad eventuali riflessi che disturbano gli automobilisti ed all'esigenza di manutenzione viaria nelle diverse stagioni), ed in ogni caso va rilevato che, ai sensi delle disposizioni del codice della strada la fascia di rispetto è sottoposta a vincoli di realizzazione pressoché totali, prevedendo "costruzioni, recinzioni, piantagioni, depositi e simili", dai quali non vi è motivo di escludere gli impianti fotovoltaici, in assenza di una previsione normativa specifica in deroga” (T.A.R. Bolzano Trentino Alto Adige sez. I, sentenza n. 240 del 9 agosto 2010). La natura pertinenziale di un impianto fotovoltaico rispetto ad un'opera già esistente non può essere esclusa se la distanza che lo separa da quest'ultima è breve e il posizionamento dei pannelli solari in un'area libera, discosta dall'edificio principale, si giustifica con la necessità di esporli alla maggiore illuminazione solare possibile (T.A.R. Trento Trentino Alto Adige sez. I, sentenza n. 152 del 19 giugno 2008). Riassumendo, la Polizia Municipale, durante un controllo presso un impianto fotovoltaico, valuterà che tipo di intervento edile è in corso, in caso di necessità di titolo autorizzativo, verificando che sia presente sul luogo e che il manufatto sia conforme all’autorizzazione rilasciata. Non dimenticandosi di valutare la conformità ai Regolamenti comunali e al Codice della Strada se collocato a terra. Per quanto riguarda le sanzioni conseguenti i titoli autorizzatori, si rimanda alla disciplina generale in materia di DIA e Permesso di costruire, ricordando che le violazioni delle disposizioni riguardanti gli interventi soggetti a DIA, come stabilito dalla vigente normativa, non comportano l’applicazione delle sanzioni penali, ma solo quelle amministrative. Gli abusi inerenti interventi eseguiti con il permesso di costruire sono sanzionati anche penalmente. Gli abusi inerenti gli interventi subordinati a permesso di costruire, qualora realizzati mediante DIA, sono sanzionati sia penalmente sia amministrativamente. La realizzazione degli interventi edilizi di cui all’art. 22 (cosiddetti minori), effettuata in assenza o in difformità dalla DIA è assoggettata a una sanzione pecuniaria avente un importo pari al doppio dell’aumento del valore venale dell’immobile conseguente alla realizzazione degli interventi stessi e comunque non inferiore a 516 euro.

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Il rischio radon nelle costruzioni rischi di esposizione e principali soluzioni di prevenzione da adottare nella progettazione per ridurre l’infiltrazione del radon dal sottosuolo di Casto di Girolamo e Giuseppe Argento*

N

contenuta nel sottosuolo contiene radon proveniente dal decadimento degli atomi di radio presenti nelle singole particelle di terreno e nella roccia. È così che l’aria del sottosuolo diventa radioattiva. A tal proposito, si ricorda che la radioattività è intesa come la capacità di alcuni elementi chimici di emettere radiazioni ionizzanti in seguito alla trasformazione strutturale dei loro nuclei atomici e che per isotopi si intendono forme diverse di uno stesso elemento chimico. Inoltre, tra questi ultimi alcuni sono stabili mentre altri sono instabili, tendono cioè a perdere uno o più costituenti del nucleo dell’atomo. Durante il processo sono emesse radiazioni ionizzanti e per questo motivo sono definiti isotopi radioattivi. Un nucleo radioattivo nel momento stesso in cui manifesta la sua radioattività si trasforma in un diverso nucleo. Ciò comporta la trasformazione di un determinato elemento chimico in un altro: il fenomeno è noto con il nome di decadimento. Dato che i processi di trasformazione del nucleo comportano l’emissione di energia sotto forma di radiazioni ionizzanti si può parlare più propriamente di decadimento radioattivo. Il numero di decadimenti radioattivi che si verificano nell’unità di tempo, viene denominata attività del nuclide, misurata Figura 1. Concentrazione di radon nelle abitazioni italiane e % di in Becquerel (Bq): 1 Bq = 1 decadimento radioattivo al secondo. abitazioni con concentrazioni superiori a 200 e 400 Bq/m3

ell’aria che viene respirata sono contenute diverse sostanze, tra le quali v’è il radon; si tratta di un gas radioattivo inodore ed insapore che viene continuamente generato dall’uranio presente nella crosta terrestre, in quantità diverse da luogo a luogo, sin dalla formazione della Terra. Anche in alte concentrazioni il radon è invisibile, non velenoso, inerte, né combustibile né esplosivo, non riconoscibile dall’odore né dal gusto. In particolare, il radon è un gas nobile generato dal decadimento del radio, che a sua volta è un prodotto del decadimento dell’uranio. Poiché l’uranio è presente in varie concentrazioni quasi ovunque sulla crosta terrestre, anche il radon si trova praticamente dappertutto nel terreno. Inoltre, per circa un quarto il sottosuolo è costituito da aria. L’aria

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Concentrazioni medie di radon nell’aria del sottosuolo sono in grado di provocare una radioattività dell’ordine di alcune migliaia di Becquerel per unità di volume (Bq/m3). Come detto il decadimento radioattivo comporta un’emissione e a seconda del tipo di isotopo interessato è possibile avere tre tipi di emissioni diverse: particella alfa (α), particella beta (β) e radiazione gamma (γ) (tabella 1).

L a questione del radon nelle abitazioni Normalmente la principale fonte di radon è il suolo. In dipendenza dei meccanismi di diffusione del radon dal suolo, i locali degli edifici collocati nei seminterrati o al pianterreno sono, in genere, quelli particolarmente interessati dal fenomeno. In certi casi anche l’utilizzo di determinate lave, tufi, pozzolane e di alcuni graniti nella costruzione o nei rivestimenti interni, così come la presenza di acque sorgive ad alto contenuto di radon, possono contribuire ad incrementare la concentrazione di radon indoor. In questo caso le concentrazioni medio-alte di radon non si presenteranno, necessariamente, al piano più basso, ma potrebbero riguardare gli ambienti nei quali sono stati utilizzati tali materiali o viene usata l’acqua. Una delle cause principali per le quali aria ricca di radon affluisce dal suolo verso l’interno degli edifici è la depressione che si viene a creare tra i locali ed il suolo, in conseguenza della differenza di temperatura tra l’interno e l’esterno dell’edificio. Più pronunciata


Radiazioni γ Particelle β

Particelle

α

è questa differenza, maggiore sarà la depressione all’interno delle abitazioni, si parla in tal caso di effetto camino (stack effect). Anche altri fattori, come la presenza di aperture in un edificio o il vento, possono incrementare la depressione dovuta alla differenza di temperatura. L’effetto del vento, ad esempio, varia in funzione della tenuta degli infissi o della posizione di questi ultimi rispetto alla direzione prevalente del vento e alla sua forza. Inoltre, la concentrazione di radon può subire sensibili variazioni giornaliere e stagionali; in tal senso, i valori più elevati si osservano nelle prime ore del mattino, quando il gradiente termico tra l’interno e l’esterno è maggiore. Per lo stesso motivo d’inverno le concentrazioni sono mediamente maggiori di quelle estive, ma la variabilità è molto alta. Nel caso dei pendii i fenomeni in gioco sono, piuttosto, complessi: in dipendenza della stagione e/o dell’insolazione possono formarsi moti convettivi nel terreno che trasportano il radon nelle case site sul pendio o alla base di questo; di conseguenza questi edifici risultano, spesso, particolarmente interessati al problema del radon. Oltre a tutti i fattori sinora descritti, la concentrazione di radon indoor dipende in modo deciso dalle caratteristiche costruttive degli edifici: pertanto ogni edificio rappresenta un caso a parte. A parità di presenza di radon nel sottosuolo e di gradiente di pressione interno/esterno, l’effettiva concentrazione del radon è fortemente influenzata dalle caratteristiche tecniche dell’abitazione così come dalle sue caratteristiche di fruizione e di gestione (vedasi tabella 2). Tutto

ciò premesso, in sede di fabbricazione edile le strategie utilizzate per la protezione dal radon indoor possono riassumersi in: • determinazione della situazione iniziale esistente (fotografia e analisi dell’area geologia e del suolo); • interventi e scelte adottate in fase di progettazione; • messa in campo di tecniche di costruzione a tenuta stagna (isolamento); • interventi di ventilazione e antidepressurizzazione; • fase di controllo dell’efficacia delle misure adottate (con misurazione della concentrazione di radon indoor presente).

abitanti al fine di eliminare o ridurre l’esposizione al radon. Questo indipendentemente che si tratti di nuove costruzioni o ci si trovi in presenza di edifici già esistenti. In entrambi i casi, quindi, si cerca d’impedire o limitare l’infiltrazione del radon dal suolo e di interdirne la diffusione nei locali. Va detto, parimenti, che in termini operativi v’è però una sostanziale dif-

Protezione dal radon nelle costruzioni esistenti

Come già accennato il radon deriva principalmente dal terreno, dove sono contenuti i suoi precursori, e frequentemente è presente nelle falde acquifere sotto forma di gas disciolto. Il suolo, in particolare, è responsabile dell’80% del Radon presente nell’atmosfera, l’acqua del 19% e le altre fonti dell’1%. Esso è circa 8 volte più pesante dell’aria e per questa sua caratteristica tende ad accumularsi negli ambienti confinati e quindi anche nelle abitazioni. L’eccessiva concentrazione di radon riguarda in particolare i locali soggiorno posti in prossimità del terreno (seminterrati) e sono interessate anche abitazioni al piano terreno situate su cantine o ambienti similari. Talune misure tecniche attuabili tendono ad “isolare” dal suolo i locali e le unità di permanenza o di soggiorno delle persone e degli

Figura 2. Potenziali vie di ingresso del radon in una abitazione

Costituite da nuclei di elio. Penetrano in misura molto scarsa nella materia perché sono tra le particelle più pesanti emesse dai nuclei. Questa caratteristica permette loro di superare solo gli strati più esterni della cute; comportano quindi rischi contenuti per quanto concerne l’irraggiamento esterno, ma configurano rischi molto maggiori in caso di irraggiamento interno (penetrazione attraverso lesioni della cute, ingestione accidentale di cibi contaminati, inalazione di gas Radon). Il decadimento α è proprio di elementi chimici pesanti, quali uranio, torio, lo stesso radon e i suoi “figli”. Costituite da elettroni (β-) o positroni (β+), a seconda del tipo di isotopo radioattivo che decade. La maggior parte dei decadimenti β è di tipo β- e interessa soprattutto isotopi radioattivi di elementi leggeri. Gli elettroni hanno massa molto inferiore rispetto alle particelle α e di conseguenza sono dotati di un potere di penetrazione maggiore nei tessuti del corpo.

Costitute da fotoni, sono cioè vere e proprie radiazioni elettromagnetiche. Hanno la stessa natura della luce e si muovono alla stessa velocità, ma possiedono frequenza, e quindi energia, molto più elevata. Costituiscono il tipo di radiazione ionizzante più penetrante.

Tabella 1. Tipologie di radiazioni

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ferenza tra nuove realizzazioni costruttive ed edifici esistenti oggetto di risanamento. Infatti, in quest’ultimo ambito le contromisure vanno adeguate ad una struttura già realizzata, con diversi punti d’infiltrazione e in aree aventi una certa concentrazione di radon: di conseguenza i risultati non sempre possono considerarsi soddisfacenti in termini di efficacia. Si tenga conto che il più delle volte l’opera di risanamento di edifici esistenti, in presenza di un’eccessiva concentrazione di radon, è estremamente più complessa, incerta e costosa della prevenzione effettuata nelle nuove costruzioni. La scelta di una determinata soluzione è quasi sempre un compromesso tra la complessità di realizzazione, il costo ed il beneficio stimato. Spesso si inizia con un determinato metodo ritenuto promettente ma poco invasivo e poco costoso, per passare poi, in caso d’insuccesso, ad un metodo più complesso da un punto di vista operativo. Diversa è, invece, la questione dell’emissione di radon dai materiali da costruzione, in quanto in questo caso non esistono, al momento, dati esaustivi sui quali basare gli interventi di risanamento. Si tenga conto che la Commissione Europea ha emanato un documento “Radiological Protection Principles Concerning the Natural Radioactivity of Building Materials” nel quale viene indicato per i materiali da costruzione un limite all’impiego qualora possano portare al superamento di concentrazione di gas radon indoor pari a 200 Bq/m3 negli edifici. La prevenzione dal radon nelle nuove costruzioni

In generale, le tecniche di intervento preventivo sono più efficaci e economiche rispetto agli interventi di risanamento effettuate sugli edifici esistenti. La prevenzione dal radon deve partire sin dalla fase di studio e progettazione dell’edificio. In tal senso particolare attenzione va posta riguardo alla: 1. selezione dei materiali da costruzione; 2. scelta della posizione e della destinazione dei locali; 3. definizione dei passaggi delle condotte (gas, acqua, impianto fognario, ecc.); 4. scelta della tipologia di scale, vani ascensori, condotti verticali e camini, ecc. Per le buone pratiche costruttive, la protezione dal radon deve tener conto delle infiltrazioni e

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• effettuato minando la roccia diffusione attraverso Scavo • in area di riempimento, su ghiaia o sabbia le parti della costrufondazione zione e i suoi com• in terreni di fondazione con presenza di crepe o molto permeabili ponenti. Per questo i • contatto diretto del primo solaio e/o di alcune pareti al terreno Attacco materiali utilizzati deb• mancanza di vespaio areato a terra bono essere quanto • pavimenti naturali in terra battuta, ciottoli, ecc. più impermeabili a Superfici • solai in legno questo gas. In com• pareti in mattoni forati permeabili mercio v’è un’ampia gamma di prodotti • muratura in pietrisco commercializzati in • fori di passaggio di cavi e tubazioni fogli o membrane iso• giunti o fessurazioni in pareti o pavimenti lanti di diversa natura Punti di • pozzetti ed aperture di ispezione e composizione utilizinfiltrazione • prese elettriche nelle pareti di cantine zabili per questo sco• camini, mantacarichi, ecc. po. In tabella 3 sono riportati alcuni mateDistribuzione • locali interrati o seminterrati adibiti ad abitazione riali e la corrisponden• presenza di scale aperte che conducono ai locali cantina degli spazi te efficacia rispetto • mancata o insufficiente ventilazione dei locali interrati alla impermeabilità al Fruizione • insufficiente ventilazione dei locali di permanenza abitativa radon in presenza di • lunga permanenza in locali interrati o seminterrati materiale integro e in assenza di fessura- Tabella 2. Caratteristiche dell’edificio che aumentano la probabilità di ingresso del radon zioni. Si tenga conto che la caratteristica di impermeabilità di questi attraverso l’isolamento delle fondamenta. In prodotti può venir meno qualora nella messa quest’ultimo ambito esistono diverse possibiin opera dovessero fessurarsi o nel collega- lità. Tra queste la costruzione dell’edificio su mento tra loro non venga garantita la tenuta fondazioni a piattaforma (a platea in cemento stagna. Particolare attenzione, quindi, deve es- armato) o ricorrere a fondazioni a strisce con sere posta alla posa in opera della membrana, ventilazione delle stesse. evitando qualsiasi tipo di foratura o di lacera- Attualmente le fondamenta a platea in cemento zione che potrebbe risultare poco importante speciale (protetto da membrane di plastica a nell’arrestare la risalita nell’edificio dell’umiSpessore Materiale costituente Efficacia dità ma sicuramente barriera (mm) più critica per quanto Polietilene ad alta densità riguarda l’infiltrazione 1,50 SI molecolare (PEAD) di radon. In generale, si può affermare PVC armato 1,0 SI che se da una parte è Polimeri bituminosi 3,8 SI fondamentale imperPitture sintetiche 0,2 NO meabilizzare l’edificio al radon, dall’altra è Resina epossidica 3,0 SI importante favorire la Cemento armato 100 IN PARTE ventilazione naturale Gesso 100 NO del suolo. La misura essenziale, da un punto di vista precauzionale, è quella atta ad impedire la risalita del radon dal suolo

Laterizio

150

NO

Pietra arenaria calcarea

150

NO

Tabella 3. Impermeabilità di alcuni materiali da costruzione al radon (dati estratti dalla Guida Tecnica sul radon pubblicata da UFSP, Divisione radioprotezione, Berna)


Rischi per l a salute degli esposti Come detto il radon è un gas nobile radioattivo, generato continuamente da alcune rocce della crosta terrestre (principalmente lave, tufi, graniti, pozzolane) in seguito al decadimento del Radio 226, che a sua volta è generato dall’Uranio 238. Il Radon si trasforma spontaneamente in altre sostanze radioattive dette “figli”. Il radon quindi “decade” in altri elementi anch’essi radioattivi - detti “prodotti di decadimento del radon”- per cui nell’aria che inaliamo si possono trovare sia il radon che i suoi prodotti di decadimento. Molti suoli e numerosi materiali da costruzione sono quindi in grado di emanare, con continuità, una certa quantità di radon, che all’aperto si disperde in atmosfera, mentre se penetra nelle abitazioni si concentra nel volume interno agli ambienti di vita. In tal caso, se il radon entra in un ambiente chiuso, quale un’abitazione o un luogo di lavoro, a causa del limitato ricambio d’aria, questo può raggiungere concentrazioni in aria rilevanti. Si tenga conto che, il radon è da un punto di vista chimico poco reattivo, oltre che inalabile è facilmente eliminabile per via respiratoria. Non altrettanto si può dire dei suoi figli, che sono da un punto di vista sia chimico che elettrico molto più reattivi e una volta formatisi vengono veicolati all’interno del corpo umano grazie a particelle di fumo, vapore acqueo, polveri, particolato, ecc.. I figli del radon una volta giunti a livello polmonare si fissano ai tessuti e continuano ad emettere particelle α, in grado di danneggiare le cellule dell’apparato polmonare in modo irreversibile. Sulla base di numerosi studi epidemiologici condotti, il radon è stato classificato dall’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) come cancerogeno per l’uomo. Difatti oggi il radon è considerato la principale causa di morte per tumore ai polmoni dopo il fumo di tabacco. Il radon non si deposita sulle pareti dell’apparato bronco-polmonare e viene, in gran parte, riesalato senza avere avuto il tempo di decadere; i suoi prodotti di decadimento, invece, si depositano facilmente sulle pareti dei bronchi e dei polmoni e in breve, entro circa mezz’ora, decadono emettendo radiazioni ionizzanti che possono colpire e danneggiare il DNA delle cellule. Gran parte dei danni al DNA vengono riparati da appositi meccanismi cellulari, ma alcuni di essi possono persistere e con il tempo evolvere in un tumore polmonare. Maggiore è la quantità di radon e dei suoi prodotti di decadimento inalata e maggiore è la probabilità che qualche danno non venga riparato, o venga riparato male, e possa quindi svilupparsi, nel tempo, in un tumore. Questo soprattutto se le cellule sono, parimenti, sottoposte ad altre sostanze nocive inalate, in particolare a quelle contenute nel fumo di sigaretta. I primi effetti dell’esposizione al radon sono stati evidenziati tra i lavoratori di miniere sotterranee di uranio, nelle quali la concentrazione di radon arrivava a valori estremamente elevati. Tali studi hanno mostrato un evidente e forte aumento di rischio di tumore polmonare tra i soggetti esposti ad alte concentrazioni di radon. In epoca successiva sono stati condotti studi epidemiologici anche sulla popolazione esposta al radon nelle abitazioni. I principali risultati di questi studi sono i seguenti: • il rischio di tumore del polmone aumenta proporzionalmente all’aumentare della concentrazione di radon; • il rischio di tumore a livello polmonare aumenta proporzionalmente alla durata dell’esposizione; • l’aumento del rischio cancerogeno avviene proporzionalmente rispetto alla “normale” frequenza dei tumori polmonari, mantenendone quindi la distribuzione per età: in tal senso i tumori polmonari sono rari fino all’età di 45 anni, poi la frequenza cresce e raggiunge i valori massimi dai 65 anni in avanti; • a parità di concentrazione di radon e durata dell’esposizione, il rischio di tumore polmonare è molto più alto (circa 25 volte) per i fumatori rispetto ai non fumatori. In conclusione, si può affermare che il rischio di cancerogenicità aumenta proporzionalmente alla concentrazione di radon e alla durata dell’esposizione a tale agente. Dal punto di vista abitativo, le indagini mirate alla valutazione dei livelli di concentrazione di radon nelle abitazioni italiane, hanno rilevato che la maggior parte della popolazione italiana è esposta ad una concentrazione media di radon inferiore a 100 Bq/m3; all’incirca il 5% della popolazione è esposta a concentrazioni medie superiori a 200 Bq/m3 e circa l’1% a concentrazioni medie superiori a 400 Bq/m3. In figura 1 i risultati della campagna nazionale di misura della concentrazione di radon indoor (Indagine nazionale sulla radioattività naturale nelle abitazioni) condotta, a suo tempo, da ISS e ANPA. Per ultimo, in relazione alla legislazione vigente va considerato che in Italia, ai fini della protezione della popolazione dall’esposizione dal radon indoor, non esiste, allo stato attuale, una normativa specifica, ma si fa riferimento ad una Raccomandazione dell’Unione Europea (90/143/Euratom), la quale riporta i valori oltre i quali intraprendere azioni di risanamento; questi valori sono espressi come concentrazione media annua di radon in aria e corrispondono a: • 400 Bq/m3 per edifici già esistenti; • 200 Bq/m3 per edifici di nuova costruzione (oggetto di progettazione). Inoltre, allo scopo di proteggere la popolazione anche dall’esposizione al radon presente nell’acqua potabile l’Unione Europea ha emanato una seconda Raccomandazione (2001/928/ Euratom), nella quale viene indicato un livello di azione per le acque potabili, da acquedotto pubblico, pari ad una concentrazione di radon in acqua di 100 Bq/l, ed un valore limite da non superare di 1.000 Bq/l. Tale limite è applicabile anche nel caso di acque potabili attinte da pozzi artesiani (approvvigionamento individuale).

Figura 3. Origine del radon

tenuta radon) che ricopre tutta la superficie orizzontale dello scavo è la protezione più efficace per evitare la risalita del radon. In questi casi se realizzata con spessori superiori a 30 cm si hanno buone garanzie di bloccare la risalita del gas. In linea di massima, quindi, per piccoli edifici in zone con elevata concentrazione di radon è da preferire la fondazione a platea rispetto a quelle a strisce. Comunque, in questi casi è molto importante che venga assolutamente evitato di bucare la platea. Se ciò non fosse possibile, si consiglia di isolare tutte le perforazioni con materiali isolanti o flange elastiche. Se contrariamente a quanto detto sono previste delle fondazioni a strisce, è assolutamente necessario realizzare la pavimentazione in cemento, con uno strato isolante d’ottima fattura che non dovrebbe ricoprire solo la pavimentazione, ma per

almeno 50 cm anche le pareti interne. Occorre prestare la massima attenzione a non danneggiare le membrane isolanti, evitando curvature a spigoli. In ogni caso, viene consigliato di proteggere all’esterno le pareti interrate con della ghiaia e delle lamine di plastica isolanti. Inoltre, è indispensabile prevedere un sistema d’aspirazione di aria dal suolo. Allo scopo sotto la pavimentazione vanno inseriti dei tubi di drenaggio, posti in parallelo e collegati tra loro, in uno strato di ghiaia. Questa va posata direttamente sul terreno compattato, nel caso di un terreno poco o mediamente permeabile. Per terreni molto permeabili viene raccomandato, invece, di posare la ghiaia su di uno strato di cemento magro, che funge da isolante verso il terreno. *Tecnologi – settore ricerca

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a ss oc i a z i on e s t u d i amb ientali

Il Piano di Azione Nazionale e il Green Public Procurement

Avviata nella regione Abruzzo l’indagine conoscitiva per il “Progetto di sostenibilità ambientale dei consumi nella Pubblica Amministrazione”

Con la Comunicazione 302 del 18 giugno 2003, Politica Integrata dei Prodotti-Sviluppare il concetto di ciclo di vita, la Commissione ha invitato gli Stati Membri a elaborare appositi piani d’azione per l’integrazione delle esigenze ambientali negli appalti pubblici. In seguito, nell’ambito del Piano d’Azione per la Diffusione delle Tecnologie Ambientali del 2005, sono state diffuse delle Linee Guida per la redazione dei Piani d’Azione che prevedono la definizione di una strategia per la diffusione del GPP completa di obiettivi quantitativi da raggiungere e monitorare a livello nazionale, basata sulla specifica esperienza di ciascun paese in materia di GPP. Il Piano d’Azione Nazionale (PAN) per il GPP italiano, approvato con Decreto Interministeriale n. 135 dell’11 aprile 2008, è stato redatto dalla Divisione Salvaguardia Ambientale del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare e condiviso con il Ministero dell’Economia e delle Finanze e quello dello Sviluppo Economico e si identifica nel “Piano d’Azione per la Sostenibilità Ambientale dei Consumi nel Settore della Pubblica Amministrazione”, previsto dalla Legge 27 Dicembre 2006 (Finanziaria 2007), articolo 1 comma 1126. L’AMBITO DI ATTUAZIONE

Il PAN si rivolge a tutti i soggetti pubblici nazionali e locali: amministrazioni centrali dello Stato e loro Agenzie; enti pubblici territoriali (Regioni, Province, Comuni, Città Metropolitane, Comunità Montane); ASL e aziende ospedaliere; Enti Parco Nazionali e Regionali; Centrali di Committenza (Consip ed eventuali centrali regionali); Università, enti di ricerca e scuole; Enti, società a capitale pubblico e imprese che offrono servizi di trasporto pubblico locale. Gli obiettivi ambientali che si vogliono perseguire attraverso la riconversione degli acquisti in senso ecologico sono:

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• efficienza e risparmio nell’uso delle risorse, in particolare dell’energia e conseguente riduzione di CO2; • riduzione dell’uso di sostanze pericolose o inquinanti; • riduzione quantitativa dei rifiuti prodotti. Sono in corso di definizione i criteri ambientali minimi da inserire nelle procedure d’appalto per: arredi, edilizia, gestione dei rifiuti, servizi urbani e al territorio (gestione del verde pubblico, arredo urbano), servizi energetici, attrezzature elettriche ed elettroniche, prodotti tessili e calzature, cancelleria (carta e materiali di consumo), ristorazione (servizio mensa e fornitura alimenti), servizi di gestione e manutenzione degli edifici, trasporti pubblici e mezzi di trasporto. COS’E’ IL GREEN PUBLIC PROCUREMENT

Gli acquisti pubblici verdi (Green Public Procurement –GPP) sono l’approccio in base al quale le Amministrazioni Pubbliche integrano i requisiti ambientali in tutte le fasi del loro processo di acquisto, incoraggiando la diffusione di tecnologie ambientali e lo sviluppo di prodotti validi sotto il profilo ambientale, attra-

verso la ricerca e la scelta dei risultati e delle soluzioni che hanno il minore impatto possibile sull’ambiente lungo l’intero ciclo di vita. Di fatto, quando un’amministrazione pubblica acquista verde, adotta delle scelte di consumo consapevoli, ovvero utilizza il proprio potere di acquisto per influenzare il mercato ed attivare così quel processo di cambiamento dei modi di produzione e consumo che è condizione necessaria ed irrinunciabile per il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile. Acquistare verde significa quindi privilegiare l’acquisto di beni e servizi che garantiscono: • la riduzione del prelievo di risorse naturali; • la riduzione della produzione di rifiuti; • l’aumento dell’utilizzo di materie prime e fonti di energia rinnovabili; • la riduzione delle emissioni in aria, acqua, suolo; • l’eliminazione di sostanze chimiche e pericolose; • una durata di vita maggiore dei beni; • la promozione della filiera del riciclo.


Rafforzare gli appalti di eco-innovazione realizzando un net work transnazionale e green di committenti pubblici e privati Nell'ultimo decennio, i governi di tutta Europa hanno riscoperto l’alto potenziale proveniente da domande basate su strumenti di politica dell'innovazione. L’aspetto degli appalti pubblici è sempre più considerato come uno dei più importanti dal lato strategico della domanda che promuove la crescita economica e garantisce la competitività dell’economia europea. Gli appalti pubblici nell'Unione europea rappresentano poco meno del 20% del PIL dell'UE. Se solo 1-2% di questo budget potesse essere utilizzato per l'acquisto di innovazioni, come ha suggerito il gruppo di esperti appositamente creato, si potrebbe generare una significativa domanda, aiutando le imprese innovative ad ottenere l'accesso ad un mercato più ampio. Come sottolineato nella comunicazione su "Gli appalti pubblici per un ambiente migliore", la Commissione riconosce il ruolo potenziale degli appalti pubblici come fattore di rilievo per una maggior tutela ambientale, e raccomanda la creazione di un processo per la definizione di un criterio comune di Green Public Procurement (GPP). Perciò, al fine di contribuire all’attuazione del Piano d'Azione Europeo per l’Eco-innovazione (pubblicato a fine 2011), la Commissione Europea, Direzione Generale Ambiente, bandisce un invito a presentare proposte (entro 20 ottobre 2012), per sostenere gli “Appalti Verdi Pubblici e Privati“ nel campo dell’Eco-innovazione. L'obiettivo dell’invito è quello di rafforzare il ruolo strategico dell’eco-innovazione creando reti transnazionali di committenti pubblici e privati che acquistano prodotti, servizi e lavori “verdi”, al fine di superare la frammentazione della domanda di soluzioni eco-innovative in Europa e di condividerne i rischi e i costi aggiuntivi di acquisto e di utilizzo. Lo scopo di questo invito è rivolto a settori caratterizzati da importanti innovazioni in ambiti ad alta rilevanza politica ambientale dell'UE al fine di fornire benefici a livello europeo come trasporti, trattamento delle acque reflue, riutilizzo dei rifiuti e riciclaggio, componenti chimici, prodotti biologici, prodotti sanitari e componenti ad alta efficienza energetica. La durata del progetto deve essere di 36 mesi. Per ulteriori informazioni è possibile contattare l’help desk del GPP Call for Proposals (European Commission- DG Environment) via email all’indirizzo env-ecoap@ec.europa.eu. LE OPPORTUNITA’ PER GLI ENTI LOCALI

L’adozione del GPP offre agli enti locali una serie di opportunità che non possono essere sottovalutate: • l’adozione sistematica dei criteri ambientali nelle procedure d’acquisto porta ad una razionalizzazione della spesa. L’acquisizione di beni e servizi ad impatto ambientale ridotto (che pure possono avere un prezzo di mercato più elevato rispetto a beni e servizi con impatto ambientale maggiore) porta a risparmiare sui costi di uso, manutenzione e smaltimento; • il GPP è uno strumento di politica ambientale trasversale, che coinvolge più settori dell’ente nella sua attuazione e che può essere utilizzato per il raggiungimento di obiettivi di politica ambientale già prefissati nell’ambito di piani e programmi dell’ente; • attraverso il GPP gli enti locali possono offrire un modello di buon comportamento a cittadini ed imprese attuando interventi visibili facilmente e nell’immediato;

• il GPP costituisce un ulteriore strumento per affrontare tematiche ambientali come l’inquinamento dell’aria, il contributo locale ai cambiamenti climatici, la produzione dei rifiuti e il suo inserimento non richiede l’adozione di pratiche estranee all’ente, ma solo un’azione preliminare di informazione e formazione; • attraverso il GPP un ente locale può animare e stimolare la produzione locale, promuovendo la cultura ambientale e le tecnologie e soluzioni ad impatto ambientale ridotto che le imprese possono trasformare in elemento di competitività. LA CONVENIENZA PER LE IMPRESE

Il mercato per i prodotti e i servizi ad impatto ambientale ridotto è in espansione grazie alle leve politiche, normative e anche di mercato, dato il numero crescente di consumatori “attenti”. Le imprese che forniscono beni e servizi alla PA hanno di fronte una grande occasione da cogliere: consolidare ed ampliare la loro offerta di prodotti e servizi ad impatto ambientale

ridotto oppure adeguarsi a standard di protezione ambientale più elevata per sfruttare nuovi fattori di competitività e posizionarsi come leader nell’ambito di nuovi mercati “verdi”. Inoltre le imprese stesse possono operare in termini di revisione ambientale degli acquisti al fine di sfruttare ulteriori opportunità di innovazione di processo e di organizzazione e favorire un maggiore dinamismo sia nelle proprie scelte d’acquisto che nella competitività tra i propri fornitori. Nel caso di organizzazioni private, gli acquisti verdi influenzano necessariamente tutta la struttura della filiera dei fornitori, che devono essere rivalutati sulla base delle prestazioni ambientali che sono in grado di fornire/garantire. Questo può rappresentare elemento di innovazione ed apertura di nuove opportunità sia se visto anche in chiave di rapporti con il territorio e con le comunità locali, sia se visto come accesso a nuove opportunità di mercato e partenariato aziendale. A sua volta una filiera “green” può divenire elemento di garanzia dell’offerta che viene presentata all’esterno. IL GPP NELLE POLITICHE COMUNITARIE

Il ruolo del GPP come strumento capace di regolare il mercato e di promuovere la diffusione delle tecnologie ambientali è più volte ribadito dalla Commissione Europea che vi fa riferimento in una serie di documenti chiave: • Sesto Programma di Azione per l’Ambiente (2001); • Comunicazione sulla Politica Integrata dei Prodotti-Sviluppare il ciclo di vita ambientale (2003); • Strategia tematica per l’uso sostenibile delle risorse (2003); • Strategia tematica per la prevenzione e il riciclo dei rifiuti (2003); • Strategia tematica sull’ambiente urbano (2003); • Piano d’Azione per le Tecnologie Ambientali –ETAP (2004); • Primo rapporto sullo stato di attuazione dell’ETAP (2005); • Politica di coerenza per lo sviluppo (2005); • Riesame della Strategia Europea in materia di sviluppo sostenibile (2006); • Documento quadro per i Piani d’Azione per il Consumo e la Produzione Sostenibili e la Politica Industriale Sostenibile (2007).

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V e tr i n a

CGT E KOMPTECH PARTNER PER L’AMBIENTE

CGT, storico dealer italiano di Caterpillar, ha recentemente siglato un accordo che la vede commercializzare, noleggiare e assistere in esclusiva in Italia l’intera gamma Komptech, azienda austriaca leader nella costruzione di macchine e sistemi per il trattamento meccanico e biologico di rifiuti solidi ed il trattamento di biomasse come fonte di energia rinnovabile. La partnership tra CGT e Komptech presenta enormi potenzialità di crescita grazie alle importanti sinergie su cui può contare. La gamma Caterpillar, infatti, prevede numerosi prodotti concepiti per le varie fasi del trattamento dei rifiuti, dalle pale gommate in allestimento WHA, agli escavatori gommati e cingolati MH per la movimentazione di ogni genere di materiali, fino ai gruppi elettrogeni e di cogenerazione. Trituratori mono e bialbero, lenti o veloci, vagli a tamburo o stellari, separatori eolici e rivoltacumuli sono solo alcuni dei prodotti Komptech appositamente concepiti per trattare ogni tipo di rifiuto - domestico, industriale, ingombrante, legname, verde, ecc. - oltre a compost, biomasse, terreno, sabbia e ghiaia. Tutti sono dotati da tecnologie avanzate e caratteristiche distintive, quali trasmissioni idrauliche o elettriche, ampie superfici per l’alimentazione di materiale e numerose opzioni per adeguarsi a ogni esigenza operativa. I prodotti Komptech, inoltre, sono equipaggiati con motori Caterpillar che garantiscono elevate prestazioni e la massima disponibilità di potenza. Macchine Cat e prodotti Komptech, che coprono tutte le fasi chiave della lavorazione dei rifiuti solidi e il trattamento delle biomasse, forniscono soluzioni in grado di superare le sfide più complesse.

MG Recycling: il modo migliore di riciclare

MG Recycling fu fondata nel 1995 da Guido Blo, Presidente, grazie all’esperienza maturata nel settore meccanico a livello di progettazione, costruzione ed installazione di impianti per il riciclaggio di cavi ed altri scarti industriali. La sede dell’azienda è situata a Bondeno (Ferrara); gli edifici occupano circa 3000 mq con previsione di espansione. Lo scorso dicembre sono stati inaugurati i nuovi uffici direzionali, commerciali ed amministrativi. MG Recycling si avvale della collaborazione di circa 50 persone, tra impiegati, operai e addetti ai reparti di saldatura, assemblaggio e collaudo. Oltre alla presenza diffusa a livello nazionale, MG Recycling vanta una formidabile rete di distribuzione in Europa, Asia, U.S.A., Sud America e altrove, coadiuvata da partner internazionali tra i più noti nel settore del riciclaggio. “Lo scopo di MG Recycling è di essere all’avanguardia” - spiega il direttore generale Elisabetta Blo – “grazie al reparto ricerca e sviluppo siamo in grado di offrire sempre soluzioni innovative con l’intento di guadagnare la fiducia dei nostri clienti e consolidarla nel tempo”.

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MILLER: MACINATORI, RAFFINATORI, CIPPATORI E IMPIANTI PER IL RICICLAGGIO

Miller s.r.l. è una giovane e ben collaudata realtà specializzata nella produzione di macchinari per la macinazione di rifiuti e impianti per il riciclaggio.In pochi anni il settore ha visto crescere la domanda in svariati settori: alimentare, ospedaliero, siderurgico e più in generale tutte le aziende che lavorano legno, plastica, carta, gomma, ecc. Miller ha sviluppato trentadue distinti macchinari per il riciclaggio suddivisibili nelle cinque tipologie di macinazione: macinatori, raffinatori, cippatori, dosatori, pre-rompitori, vagli rotanti. I primi sono macchinari a bassa velocità adatti alla macinazione di qualsiasi scarto, formati da una parte rotante con lame intercambiabili e reversibili, capaci di ridurre i materiali da sei a cento millimetri anche con pezzature di dimensioni elevate. I raffinatori si distinguono dai primi per l'uso dell'alta velocità in grado di polverizzare svariati prodotti; i macinatori ad alta velocità si rivolgono prevalentemente ai materiali legnosi e agli scarti di segheria, ma trovano applicazione anche per materiali come profili alluminio, lattine, plastiche, bottiglie pet, vetro, inerti, ecc. Oggi Miller è in grado di proporre impianti completi di nastri trasportatori, impianti di aspirazione e nel nuovo programma, ha inserito la separazione dei prodotti e la vagliatura di legno, cereali ed altri materiali. I macinatori, progettati e costruiti per sopportare cicli di lavorazione onerosi, sono caratterizzati da una struttura robusta, da materiali di alta qualità e da soluzioni tecniche e progettuali di ultima generazione, tali da consentire la macinazione di un'ampia gamma di materiali: legno, plastica, gomma, carta, alluminio, latta e contenitori metallici, pneumatici, ecc. La flessibilità e la capacità di trovare soluzioni personalizzate costituiscono i punti di forza dell'azienda.

Corr-Tek Idrometria presenta il nuovo sistema di monitoraggio delle acque di falda e superficiali Corr-Tek Idrometria, distributore del marchio OTT Hydromet, presenta il nuovo sistema di monitoraggio delle falde e delle acque superficiali OTT ecoLog 500, dotato di modem GSM/GPRS integrato, ad un prezzo veramente competitivo. OTT ecoLog 500 viene installato completamente a scomparsa all’interno di pozzi, piezometri e tubi di calma e permette la misura di livello e temperatura, una prolungata memorizzazione dei dati e la loro teletrasmissione. La sonda immersa si compone di una robusta e precisa cella ceramica per la misura del livello, di un sensore di temperatura e di un’elettronica di acquisizione dati. Il cavo di sospensione è rinforzato con un’anima in kevlar ed è dotato di un capillare che consente la compensazione automatica delle variazioni di pressione atmosferica. Il cavo termina con l’unità di comunicazione che si trova alla testa del pozzo che contiene: le batterie, l’interfaccia IrDA ad infrarossi per il trasferimento dei dati e la programmazione in locale e il modem per la teletrasmissione dei dati in remoto. Il modem è di tipo GSM/GPRS completo di antenna e permette l’utilizzo contemporaneo della rete GSM e della rete GPRS. La primaria qualità di tutti i componenti del sistema e la sua ingegnerizzazione garantiscono un investimento vantaggioso sul lungo termine grazie anche ad un costo contenuto.

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LIONE

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E COAP P U N TA ME N TI

REMTECH EXPO

ferrara, dal 19 al 21 settembre

Si tratta di uno degli eventi nazionali più specializzati nel settore delle bonifiche dei siti contaminati e della riqualificazione del territorio. Durante i tre giorni si incontreranno realtà industriali, comparto petrolifero, settori della riconversione, imprese, pubbliche amministrazioni, ricerca e università. A un'area espositiva rinnovata e ampliata, si affiancheranno sessioni congressuali di elevato livello tecnico-scientifico, corsi di formazione per operatori, autorità e decision makers, prove pilota e dimostrazioni sul campo, delegazioni straniere in rappresentanza dei principali buyers, focus sull'innovazione tecnologica, premi di laurea e di dottorato, e premi speciali. www.remtechexpo.com

RAVENNA2012

ravenna, Dal 26 al 28 settembre

Prenderà il via il 26 settembre Ravenna2012-Fare i conti con l'ambiente, evento a km zero sui temi della sostenibilità ambientale e sulle buone pratiche in tema rifiuti/acqua/energia. Ravenna2012 si conferma una delle manifestazioni "green" più originali del panorama italiano, con un format che miscela contenuti dall'alto valore tecnico-scientifico calati all'interno di un "palcoscenico" particolare come il centro storico della città. La tre giorni di Ravenna prevede diversi momenti di incontro, tutti gratuiti, caratterizzati da tematiche e livelli di approfondimento differenziati. In particolare sono previste conferenze, workshop, labmeeting ed eventi culturali. www.ravenna2012.it

GEOFLUID 2012

piacenza, dal 3 al 6 ottobre

Una delle più importanti manifestazioni dell’ambito della perforazione e della geotecnica si terrà a Piacenza il prossimo ottobre. In particolare, inclusi in questi settori, sono la ricerca e lo sfruttamento dei fluidi sotterranei, le fondazioni speciali e i consolidamenti, le indagini geognostiche e le applicazioni geologiche, idrogeologiche, geofisiche, geotecniche. In questo contesto l’evento si pone l’obiettivo di essere la vetrina dell’evoluzione tecnologica e l’appuntamento biennale più qualificato per presentare con la massima visibilità la propria offerta. www.geofluid.it

AMBIENTE LAVORO CONVENTION

modena, dall'11 al 12 ottobre

La VII edizione di Ambiente Lavoro Convention si svolgerà nei padiglioni di Modena Fiere l’11 e 12 ottobre prossimi. Il progetto nasce nel 1999, complementare ad Ambiente Lavoro che si tiene a Bologna negli anni dispari, per offrire un percorso culturale continuativo e una periodica opportunità di aggregazione a chi pone al centro dei propri interessi i temi della salute e della sicurezza negli ambienti di lavoro. Mentre l’edizione bolognese di Ambiente Lavoro è prevalentemente orientata al mercato, la convention nazionale dei responsabili dell’igiene e sicurezza in ambiente di lavoro privilegia l’informazione e la formazione, fondamentali per una corretta ed efficace azione di prevenzione di malattie professionali e infortuni sul lavoro. www.ambientelavoro.it

MADE EXPO

milano, dal 17 al 20 ottobre

Torna dal 17 al 20 ottobre l’appuntamento con le principali aziende del settore e l’offerta più completa per la filiera delle costruzioni. MADE expo apre i battenti in uno scenario difficile per la filiera costruzioni, che vede il settore in una situazione di stallo dovuta a diversi fattori, tra cui i ritardi nei pagamenti e la difficoltà di accesso al credito. La manifestazione diventa quindi un’occasione importante per il mercato interno, per trovare risposte e soluzioni concrete e un punto di incontro con la business community internazionale. Questa edizione è caratterizzata inoltre da un’onda verde che risponde alle crescenti necessità di progettare e costruire secondo i criteri dell’ecosostenibilità, un valore aggiunto ma anche un’occasione di business per le aziende. www.madeexpo.it

SAIE

bologna, dal 18 al 21 ottobre

Il Salone Internazionale dell’Edilizia segna in questa quarantottesima edizione il passaggio verso un futuro all’insegna della sostenibilità, del green building e della riqualificazione urbana. Quest’anno la manifestazione avrà come slogan “Ricostruiamo l’Italia” un tema che verrà sviluppato nelle numerose iniziative in programma che, prima e durante la manifestazione, affronteranno il tema della ricostruzione del nostro patrimonio edilizio e ambientale. Secondo gli organizzatori del SAIE niente dovrà essere come prima: un nuovo modo di progettare; un nuovo modello di edificio produttivo, abitativo e pubblico; il recupero, il restauro, la riqualificazione dei centri storici e del patrimonio architettonico; le regole di una nuova certificazione ambientale, energetica e per la sicurezza sismica. www.saie.bolognafiere.it

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libri

BIOGAS DA AGROZOOTECNIA E AGROINDUSTRIA

A cura di R. Vismara, R. Canziani, F. Malpei e S. Piccinini

Dario Flaccovio Editore (pagine 418 - € 45,00) Il crescente interesse verso la produzione di biogas da biomasse sta assumendo negli ultimi anni una notevole rilevanza e in Italia, anche per effetto della crisi, numerose aziende agricole e zootecniche guardano al settore in cerca di forme diversificate di reddito. In questo contesto si inserisce questo volume con l’obiettivo di offrire a tecnici, operatori e agricoltori interessati una sintesi organica dei vari aspetti tecnici, normativi, economici e ambientali che vanno considerati già in fase di pianificazione di iniziative volte alla produzione di biogas come fonte di energia rinnovabile. Grazie al contributo di docenti universitari e professionisti del settore, sia italiani che esteri, il manuale fornisce un quadro aggiornato sullo sfruttamento energetico del biogas da scarti delle attività agro-zootecniche. Organizzato in 22 capitoli, ad una prima parte di inquadramento destinata all’approfondimento normativo del settore, agli aspetti ambientali e a quelli economici, segue una parte maggiormente tecnica dedicata ai criteri di dimensionamento e di controllo nonché alla descrizione delle tipologie impiantistiche adottate sia nel nostro Paese che all’estero. Valutando poi necessità ed alternative di trattamento del digestato il volume si conclude infine con l’illustrazione di diversi casi di studio italiani e con la presentazione dei risultati del progetto europeo “EU agro-biogas”.

GUIDA PRATICA ALLE EMISSIONI IN ATMOSFERA E ALLA QUALITà DELL’ARIA A cura di Leonardo Benedusi

Irnerio edizioni e servizi editoriali (pagine 299 - € 32,00) La problematica dell’inquinamento atmosferico viene in questo libro affrontata partendo dall’esame della normativa vigente e passando poi ad affrontare nello specifico il Titolo I del D.Lgs. 152/06 relativo alla prevenzione e limitazione delle emissioni in atmosfera generate da impianti e attività. L’autore si concentra nella prima parte sulle novità introdotte nello stesso anno dal D.Lgs. 128/10 e dal D.Lgs. 155/10 che hanno revisionato quasi integralmente la normativa previgente, ritornando per certi aspetti all’impostazione definita in precedenza dal D.P.R. 203/88. Il secondo capitolo è invece dedicato all’approfondimento del Titolo I del Testo Unico Ambientale in quanto risulta essere la parte di maggior interesse per i gestori degli stabilimenti e per le autorità competenti. Un piccolo ma interessante spazio è poi dedicato al tema degli odori, che seppur connesso alle emissioni atmosferiche non ha grandi risvolti per la salute dell’uomo in quanto legato spesso a concentrazioni nettamente inferiori alle soglie di rischio. Chiude il volume l’appendice normativa che riporta integralmente il testo del D.Lgs. 155/10 ed il Titolo I della Parte V del D.Lgs. 152/06 come aggiornato dal D.Lgs. 128/10.

RUMORE E VIBRAZIONI. TECNICHE DI MISURA A cura di Mario Romani e Nicola G. Grillo

Geva Edizioni (pagine 168 - € 28,00) Partendo dall’esperienza maturata sul campo dagli autori, questo volume rappresenta una guida operativa di uso facile ed immediato in grado di fornire metodologie di approccio e strategie corrette per la valutazione del rumore e delle vibrazioni. Per quanto concerne le emissioni sonore, il testo persegue l’obiettivo di esporre agli operatori del settore, sinteticamente e in maniera comprensibile, le metodologie di misura per prevenire o mitigare gli effetti derivanti dal rumore sia sulla popolazione esposta sia sui lavoratori. Riguardo al tema delle vibrazioni invece, viene dedicata una parte specifica alle misure e alla determinazione del disturbo generato in ambiente e alla valutazione del rischio da esposizione in relazione invece ai luoghi di lavoro. Grazie ad alcuni esempi e alla presentazione degli errori più comuni in cui è possibile incappare in sede di presentazione e valutazione dei risultati, il lettore è facilitato nel comprendere le metodologie descritte avendo inoltre un immediato riscontro su quali ricadute si possano avere in sede amministrativa, civile e penale. La descrizione degli adempimenti di legge e gli schemi delle principali procedure amministrative con esempi di modulistica completano il manuale che si contraddistingue per essenzialità e praticità di consultazione.

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PeVmedia.com

SO O N

CO M IN G

7,10NOVEMBRE2012RIMINIfierA Demolizione e riqualificazione Di aree Dismesse

ecologia energia TECNOLOGIA AL SERVIZIO DELL’ECOLOGIA TESECO viene fondata nel 1984 e sin dal suo esordio opera nel settore ecologico. Recupero della materia, recupero di aree inquinate e produzione energetica da fonti rinnovabili sono i cardini dell’impegno TESECO, da sempre al servizio dell’ambiente. TESECO è interlocutore unico partner ideale in grado di agire con competenza, professionalità e passione nella gestione dei rifiuti speciali e nella bonifica di aree inquinate. TESECO è certificata UNI EN ISO 9001, UNI EN ISO 14001, OHSAS 18001 TESECO è a Pisa, Torino, Milano, Trieste, Terni, Brindisi e Messina.

TESECO – trattamento rifiuti TESECO è leader in Italia nel settore di trattamento dei rifiuti speciali e delle bonifiche di siti contaminati. L’azienda gestisce, nella propria sede di Pisa, una piattaforma polifunzionale per lo stoccaggio ed il trattamento dei rifiuti speciali e delle acque e dei terreni contaminati tra le più complete ed efficienti presenti nel Paese con l’impiego di impianto di inertizzazione; lavaggio terreni (soil washing); impianto di triturazione e adeguamento volumetrico; impianto chimico-fisico; impianto biologico; laboratori di analisi.

2012

ritorna l'appuntamento dedicato alle demolizioni e al risanamento dei brownfield in contemporanea con

16a fiera internazionale del recupero di materia ed energia e dello sviluppo sostenibile www.ecomondo.com Per info: rimini fiera • mauro Delle fratte • Tel. 0541 744302 • m.dellefratte@riminifiera.it Dea edizioni • maria Beatrice celino • Tel. 335 237 390 • b.celino@deaedizioni.it

un evento organizzato da

TESECO – Bonifiche Presente con i propri cantieri in tutta Italia TESECO costituisce un punto di riferimento insostituibile per il trattamento di aree contaminate con assoluta certezza della qualità e affidabilità del lavoro svolto, nel rispetto dei limiti tabellari imposti dalla normativa. Proponiamo alla committenza due diligence ambientale e analisi del rischio; indagini ambientali; bonifiche suolo e sottosuolo; gestione delle emergenze ambientali; global service ambientale; lavori a mare; riqualificazione ambientale.

TESECO Bonifiche da amianto TESECO affianca i clienti nelle operazioni di censimento della presenza di amianto in siti produttivi, strutture edili e navali, redige la mappatura del sito ed i progetti di bonifica, esegue gli interventi di messa in sicurezza o rimozione dei materiali e la loro sostituzione.

TESECO Energia TESECO è partner unico e qualificato in tutti i passaggi necessari per semplificare, ottimizzare e garantire alte prestazioni a chi scelga le potenzialità energetiche fotovoltaiche. L’azienda si pone come interlocutore capofila per la progettazione, realizzazione e gestione di centrali a biomasse per la produzione di energia elettrica, garantendo controllo e logistica nella scelta dei combustibili.

TESECO Sistema Integrato Qualità Ambiente Sicurezza Oggi TESECO è in grado di offrire la sua consulenza per l’ottenimento e il mantenimento delle certificazioni in base alle esigenze dell’azienda, in conformità alle normative vigenti e secondo i canoni: UNI EN ISO 9001 • UNI EN ISO 14001 • OHSAS 18001 Il servizio di consulenza TESECO si arricchisce con l’offerta di corsi di formazione su Qualità, Ambiente e Sicurezza in grado di soddisfare ogni tipo di committenza.

Sede Legale, Direzione Generale, Tecnica e Operativa Via C.L. Ragghianti, 12, Pisa. Tel. 050 987511 - Fax 050 987575

www.teseco.it


settembre 2012 anno v numero 20

aNALISI DI RISCHIO Poste Italiane Spa - Sped. in a.p. - D.L. 353/2003 conv. in L. 46/2004, art.1, c.1 - CB-NO/Torino – Anno 5 n. 20 DEA edizioni s.a.s. Strada del Portone, 127 - 10095 Grugliasco (TO)

LA SOLUZIONE STA NEL CONFRONTO E NELLA SEMPLIFICAZIONE

RACCOLTA DIFFERENZIATA LUCI E OMBRE SUL RICICLAGGIO DEI RIFIUTI IN ITALIA BARRIERE PERMEABILI REATTIVE BONIFICA DI ACQUIFERI CONTAMINATI DA PCE E TCE RECUPERO AREE DISMESSE GLI INCENTIVI PREVISTI DALLE NORME REGIONALI LOMBARDE

settembre 2012


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