Eco 23

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GIUGNO 2013 ANNO VI NUMERO 23

Saper demolire

è un’arte ILIPRANDI ASSOCIATI - FOTO NERI ODDO

Ci occupiamo di demolizioni speciali, civili e industriali, nonché di recupero ambientale, sia in Italia che all’estero.

Vitali spa 24034 Cisano Bergamasco 20145 Milano info 035 783107 02 74281998 www.vitalispa.it info@vitalispa.it

Poste Italiane Spa - Sped. in a.p. - D.L. 353/2003 conv. in L. 46/2004, art.1, c.1 - CB-NO/Torino – Anno 6 n. 23 DEA edizioni s.a.s. Strada del Portone, 127 - 10095 Grugliasco (TO)

IL RECUPERO DEI RIFIUTI UNA GRANDE RISORSA PER L’ECONOMIA DEL PAESE

SITI DISMESSI PROSPETTIVE EUROPEE NELLA GESTIONE DEI BROWNFIELDS DECOMMISSIONING NUCLEARE UN’OPPORTUNITÀ DI BUSINESS CON NUMERI DA RECORD BARRIERE PERMEABILI REATTIVE REALIZZATA IN ITALIA LA PRIMA PRB A FUNNEL & GATE

demolizioni speciali

GIUGNO 2013


PeVmedia.com

WeCare

Riqualificare

per il bene comune

BONIFICHEXPO2015 quando imprenditorialità e territorio si incontrano RIQUALIFICAZIONE

QUALITÀ URBANA

SOSTENIBILITÀ

Questi tre concetti sintetizzano la mission associativa di BONIFICHEXPO2015, sodalizio tra imprenditori interessati a cogliere comuni opportunità, il cui obiettivo è quello di individuare siti dismessi su cui fare azioni di sistema e proposte di comune interesse fra pubblico e privato.

nOn dare nienTe Per SCOnTaTO

EXPO 2015, ha come tema centrale quello della sostenibilità e su questo argomento ha invitato nel 2015 il Mondo ad incontrarsi a Milano per portare contributi e riflessioni su questo grande tema. Ciascuna azienda associata è leader nel proprio settore: ne fanno parte società di servizi e ingegneria, società operanti nelle tecnologie e nei servizi integrati per l’ambiente, nel settore edilizio ed immobiliare, nella costruzione e demolizione civile ed industriale, finanziarie focalizzate nel real estate, società specializzate nell’igiene ambientale e urbana, società operanti in grandi infrastrutture e turismo.

IngegnerIa applIcata alle demolIzIonI DEA ingEgnEriA hA Acquisito un’EspEriEnzA unicA E AltAmEntE spEciAlizzAtA nEl sEttorE DEllE DEmolizioni civili E inDustriAli. con il suo tEAm Di EspErti è in grADo Di progEttArE, rAzionAlizzArE E ottimizzArE l’intEro procEsso Di DEmolizionE con i migliori strumEnti Di cAlcolo E soluzioni innovAtivE

BONIFICHEXPO2015, si caratterizza per la capacità di coniugare processi tecnologici innovativi per la riqualificazione, la progettazione, la ricostruzione e il riuso di siti dismessi.

PROGETTAZIONE E CONSULENZA

■ demolizioni tradizionali ■ decommissioning di impianti ■ demolizioni con esplosivi ■ smontaggi strutturali ■ simulazione del crollo ■ modellazione strutturale ■ verifiche delle fasi transitorie ■ previsione impatti ambientali ■ monitoraggi rumore e vibrazioni ■ ottimizzazione dei costi di intervento

BONIFICHEXPO2015 associazione www.bonifichexpo2015.com Sede sociale e amministrativa: via Borgonuovo 4 - 20121 Milano sede operativa: via Battaglia 22 - 20127 Milano

email: bonifichexpo2015@bonifichexpo2015.com segreteria: +39 345 8750015

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e d i tor ia l e

Il consumo di territorio non conosce crisi

S

i torna a scrivere sempre delle stesse cose, questo il primo pensiero che viene in mente al lettore quando leggerà questo editoriale e sinceramente il mio pensiero è stato lo stesso quando ho iniziato a scrivere, ma è pur vero che quando un argomento è cosi importante bisogna lasciare stare i luoghi comuni e ribadire ancora una volta il concetto che “il suolo non è un bene usa-getta”. Il problema del consumo di suolo non è tangibile come altre questioni ambientali perché è un fenomeno complesso su vasta scala e difficilmente percepibile, bisogna per forza addentrarsi nei numeri in modo da farsi subito un’idea di quello che sta succedendo sotto i nostri occhi: 8 metri quadrati al secondo, 100 ettari ogni giorno. Questo è il ritmo con cui avanza il consumo di suolo in Italia, il dato è stato fornito lo scorso febbraio in uno studio dell’Ispra e si riferisce al 2012, un anno di piena crisi; ma allora come è possibile che nonostante la recessione, lo stallo dell’edilizia, la chiusura delle fabbriche continuiamo a rubare così tanto territorio alla nostra Italia? Si tratta di un tema molto complesso nel quale si intrecciano problemi ambientali e urbanistici, in cui convivono disposizioni normative non sempre coordinate, tempi incerti e costi potenzialmente maggiori rispetto ai nuovi sviluppi. E questo vale in particolare per la bonifica e il ripristino ambientale, che possono rappresentare un onere eccessivo per gli investitori. Ne abbiamo parlato più volte, lo spazio per costruire e urbanizzare a consumo zero di nuovo territorio in Italia ci sarebbe; basterebbe incentivare, promuovere e legiferare a favore del riuso e della riqualificazione di aree urbane già occupate o dismesse. Risolvere tutti questi problemi è difficile ma non impossibile. In Italia ci sono numerosi esempi virtuosi che ci dimostrano che costruire e guadagnare sui cosiddetti brownfields è fattibile. Quello che manca è una legge chiara a livello nazionale che punisca severamente i reati ambientali e semplifichi le attuali procedure di bonifica e riuso del territorio. Uno dei punti principali del programma nel nuovo Ministro dell’ambiente è proprio la limitazione del consumo del suolo per cui ci auguriamo che a breve vengano intraprese azioni concrete in risposta a tali problematiche. E chissà se, per una volta, qualcuno raccoglierà la voce silenziosa di un territorio che non ce la fa più invece di rispondere alle esigenze degli investitori, degli ambientalisti o delle banche… Massimo Viarenghi

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GIUGNO 2013

sommario

ECO bonifiche rifiuti demolizioni

26 ANTROPENTROPIA: L’INDICATORE DEL DEGRADO AMBIENTALE DEI COMUNI ITALIANI DETERMINATO GRAZIE ALL’INFORMATICA E AI SOCIAL NETWORK

www.ecoera .it

RUBRICHE ECONEWS VETRINA ECOAPPUNTAMENTI Libri

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STORIA DI COPERTINA RIFIUTI? CHIAMIAMOLI RISORSE di Massimo Viarenghi

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ATTUALITÀ

30 MODELLAZIONE DEI PROCESSI DI ATTENUAZIONE NATURALE IN UN ACQUIFERO CONTAMINATO DAI PERCOLATI DI DISCARICA

La bonifica dei siti contaminati nella regione Veneto di Massimo Ingrosso

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SITI DISMESSI: PAROLA ALL’EUROPA di Igor Villani e Marina Dragotto

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Decommissioning nucleare: una grande opportunità di Maeva Brunero Bronzin

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La filiera virtuosa del recupero delle terre da spazzamento di Ilaria Bergamaschini

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fabbrica delle idee Dalla carta riciclata ai pannelli isolanti di Paola Garbagnoli e Barbara Del Curto

41 un intervento eseguito in Tempi da record per la decostruzione della linea clinker della italcementi di rezzato

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REPORT L’informatica e i social network al servizio dell’ecologia: il progetto ACI di R. Albanesi, M.G. Albanesi e A. di Gennaro

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SPECIALE La modellazione dei processi di attenuazione naturale di E. Meneghetti, A. Bellin, F. Boso e O. Cainelli

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PANORAMA AZIENDE

70 LA MESSA IN SICUREZZA OPERATIVA PER CONIUGARE LE ESIGENZE DELLA BONIFICA CON LA PROSECUZIONE DELLE ATTIVITà PRODUTTIVE

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Anno 6 - Numero 23

BIG BAGS: un sacco di soluzioni per ogni esigenza di Maria Beatrice Celino

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STIAMO LAVORANDO PER VOI di Maria Beatrice Celino

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Anno 6 - Numero 23 Giugno 2013 Direttore responsabile: Massimo Viarenghi Direttore editoriale: Tina Corleto Direttore commerciale: Maria Beatrice Celino Coordinamento editoriale: Maeva Brunero Bronzin

WORK IN PROGRESS ECCO LA PRIMA PRB A FUNNEL & GATE MADE IN ITALY di M. Petrangeli Papini et al.

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Così si vincono le sfide! di Maria Beatrice Celino

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RAEE: TRATTIAMOLI BENE! di Bruno Vanzi

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Esecuzione perfetta e tempi da record di Andrea Terziano

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PROGETTI E TECNOLOGIE La co-digestione anaerobica di fanghi di depurazione e feccia di vinificazione di C. Da Ros, C. Cavinato, P. Pavan e D. Bolzonella

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Collaboratori: Maria Grazia Albanesi, Roberto Albanesi, Massimiliano Baric, Alberto Bellin, Ilaria Bergamaschini, Rosa Bertuzzi, David Bolzonella, Francesca Boso, Oscar Cainelli, Cristina Cavinato, Maria Beatrice Celino, Cinzia Da Ros, Davide Degiorgi, Barbara Del Curto, Antonio di Gennaro, Marina Dragotto, Luana Frassinetti, Paola Garbagnoli, Domenico Ielo, Massimo Ingrosso, Alberto Lodi, Gianmarco Lucchini, Erica Meneghetti, Anna Montefinese, Antonio Papi Rossi, Paolo Pavan, Isabella Pecorini, Marco Petrangeli Papini, Lucia Pierro, Francesco Olivieri, Roberto Ricci, Enrica Roncalli, Carlo Alberto Saccenti, Andrea Terziano, Igor Villani, Luca Zipoli Comitato Scientifico: Maria Rosaria Boni (Sapienza Università di Roma) Daniele Cazzuffi (Cesi spa – Remtech) Laura D'Aprile (ISPRA, Roma) Luciano De Propris (Consulente ambientale) Ennio Forte (Università degli studi di Napoli) Luciano Morselli (Università di Bologna) Andrea Quaranta (Giurista ambientale – Cuneo) Gian Luigi Soldi (Provincia di Torino) Federico Vagliasindi (Università di Catania) Maria Chiara Zanetti (Politecnico di Torino)

La sostenibilità entra in cantiere di Alberto Lodi e Enrica Roncalli

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Ufficio commerciale - Vendita spazi pubblicitari: Maria Beatrice Celino Tel. 011 7802164 Cell. 335 237390 e-mail: b.celino@deaedizioni.it

La crisi economica e le bonifiche ambientali di Carlo Alberto Saccenti e Roberto Ricci

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Grafica, disegni e impaginazione: PeVmedia - Via C. Vidua, 7G - 10144 Torino

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Abbonamenti: Italia annuo € 35,00 - estero annuo € 70,00 copia singola € 9,50 - arretrati € 11,50 Per abbonarsi è sufficiente fare richiesta a info@deaedizioni.it

Ossidazione del metano e mitigazione delle emissioni odorigene da discarica di I. Pecorini, L. Frassinetti, F. Olivieri e L. Zipoli

Stampa: Tipografica Derthona - s.s. per Genova, 3/I - 15057 Tortona (AL)

NORMATIVA Le gare pubbliche per l’affidamento di interventi di bonifica di Domenico Ielo

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La normativa del trasporto di rifiuti di Rosa Bertuzzi

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La bonifica dei siti produttivi di Antonio Papi Rossi

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Responsabilità: la riproduzione delle illustrazioni e articoli pubblicati dalla rivista è riservata e non può avvenire senza espressa autorizzazione della Casa Editrice. I manoscritti e le illustrazioni inviati alla redazione non saranno restituiti, anche se non pubblicati, e la Casa Editrice non si assume responsabilità per il caso che si tratti di esemplari unici. La Casa Editrice non si assume responsabilità per i casi di eventuali errori contenuti negli articoli pubblicati o di errori in cui fosse incorsa nella loro riproduzione sulla rivista. La responsabilità di quanto espresso negli articoli firmati rimane esclusivamente agli Autori. Direzione, Redazione, Abbonamenti, Amministrazione:

ASSOCIAZIONe STUDI AMBIENTALI Aggiornamenti e notizie

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DEA edizioni s.a.s. Strada del Portone 127 10095 Grugliasco (TO) Tel. 011 7802164 Fax 011 4047946 e-mail: info@deaedizioni.it www.deaedizioni.it

Organo Ufficiale dell'Associazione Studi Ambientali L’abbonamento è deducibile al 100%. Per la deducibilità del costo ai fini fiscali vale la ricevuta del versamento a norma D.P.R. 22/12/86 n. 917 artt. 50 e 75. Conservare il tagliando - ricevuta, esso costituisce documento idoneo e sufficiente ad ogni effetto contabile. Non si rilasciano in ogni caso altre quietanze o fatture per i versamenti in c.c.p. Pubblicazione bimestrale Poste Italiane Spa – Sped. in a.p. D.L. 353/2003 conv. in L. 46/2004, art. 1, c. 1 – registrata presso il Tribunale di Torino il 19 ottobre 2009 al n. 56. Ai sensi del D.Lgs. 196/2003, informiamo che i dati personali vengono utilizzati esclusivamente per l’invio delle pubblicazioni edite da DEA edizioni s.a.s. Telefonando o scrivendo alla redazione è possibile esercitare tutti i diritti previsti dall’articolo 7 del D. Lgs. 196/2003.


e co n e w s

Aumentano i “no” anche per la green economy

Da una piccola regione un grande esempio di riduzione rifiuti

L'Osservatorio Media Permanente Nimby Forum, ha presentato i dati della VIII edizione dell'Osservatorio Nimby Forum, rilevando in Italia un aumento consistente dei casi della cosiddetta sindrome Nimby (Not In My Back Yard). Nello scorso anno sarebbero 354 i progetti contestati, il che equivale ad un aumento di 7 punti percentuali rispetto al 2011, un dato molto significativo rispetto al trend degli ultimi anni. Si tratta di un fenomeno complesso che coinvolge figure molto diverse tra loro e che nello scorso anno ha visto sul podio dei contestatori Comitati, soggetti politici locali e Comuni, un dato preoccupante che conferma in qualche modo un’eccessiva strumentalizzazione di queste tematiche. Nel 2012 le ragioni dei “no” sono da ricondursi per lo più a preoccupazioni per l’impatto ambientale dei progetti in crescita dal 29,1% del 2011 al 37,3%; a ciò si aggiunga il fatto che la contestazione riguarda sempre più i progetti legati alla green economy come gli impianti per la produzione di energie rinnovabili tra cui spiccano le controverse centrali a biomassa, le centrali idroelettriche e i parchi eolici. Infine, nonostante il susseguirsi delle emergenze rifiuti che hanno interessato le grandi città del Centro e del Sud Italia, si è registrato un calo del 3% nelle opposizioni legate al settore rifiuti che si mantengono però al secondo posto rispetto al totale.

E’ stato presentato a “Save the Planet – International Eco Forum”, il convegno europeo tenutosi a Sofia in Bulgaria, il Programma Triennale per la riduzione dei rifiuti (20112013) elaborato dalla Regione Valle d’Aosta. L’evento ha riunito i massimi esperti europei di sostenibilità ambientale e gestione rifiuti pertanto la presentazione della case history valdostana ad una platea così qualificata è un degno riconoscimento dell’importante lavoro svolto dal 2011 dall’Assessorato del territorio e ambiente della Regione Valle d'Aosta. Il Programma si è articolato in campagne di comunicazione per la sensibilizzazione dei cittadini, accordi di programma per la riduzione dei rifiuti, incontri, convegni e iniziative di coinvolgimento dei giovani e del modo scolastico. Un Piano che è un esempio di innovazione di assoluto rilievo, non solo a livello nazionale, ma anche europeo, il cui filo conduttore è che l'esperienza, nella costruzione e nella valorizzazione di buone pratiche per la riduzione dei rifiuti, si autoalimenti e si diffonda sul territorio valdostano anche al termine del triennio programmato.

Brilla nel 2012 la raccolta dell’acciaio Migliorano in Italia le performance legate al riciclaggio dell’acciaio che nel 2012 ha raggiunto quota 75,5%, con un incremento del 2,9% rispetto all’anno precedente. I dati pubblicati dal Consorzio Ricrea attestano che a fronte di 374 mila tonnellate di imballaggi in acciaio raccolti, 332 mila tonnellate sono state avviate al riciclo. Un dato positivo che si scontra con la prevedibile diminuzione dell’immesso al consumo, conseguente al perdurare della crisi economica, che registra un calo del 9,5% rispetto al 2011. La copertura del territorio è aumentata grazie all’incremento del 6% dei Comuni coperti da convenzioni Anci-Conai mentre per quanto riguarda la distribuzione sul territorio si registra soprattutto la crescita del Centro Italia con un +16% rispetto all’anno precedente, il Nord Italia conferma invece il primato per le tonnellate avviate a riciclo che nel 2012 sono state 137mila.

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Anno 6 - Numero 23

Alle bonifiche i soldi confiscati alla criminalità Sono sempre di più i siti inquinati e sempre di meno i procedimenti di bonifica che riescono ad andare avanti a causa della mancanza di fondi per poterle finanziare. Per trovare una soluzione al problema il neo Ministro dell’Ambiente, Andrea Orlando, ha indicato tra le possibili strade da percorrere per affrontare tali emergenze ambientali l’utilizzo di parte del Fondo unico Giustizia per gli interventi di bonifica. Si tratterebbe di una percentuale inizialmente contenuta ma che ha un fortissimo valore simbolico: i patrimoni della criminalità derivano anche da attività illecite perpetrate nel traffico dei rifiuti e degli abusi ambientali quindi il fatto di riutilizzare i soldi confiscati per il ripristino dei territori è un segnale forte da parte dello Stato. Il Ministro ha proseguito sottolineando inoltre la necessità di "costruire un'alleanza per il reperimento delle risorse. Per chi si occupa della difesa del suolo, del territorio e dell'acqua" e riferendosi ad altri possibili canali di approvvigionamento ha parlato di "configurazione dei nuovi programmi comunitari che partiranno nel 2014”.


Ecomostri: il triste primato della Sicilia

In una splendida isola che vanta 1.400 chilometri di costa i dati parlano di un abuso edilizio per ogni chilometro, questo il nuovo triste primato della Sicilia certificato dai dati pubblicati da Legambiente. Il territorio siciliano incide sul valore di questo malcostume tutto italiano per il 19,8%, grazie anche all’inerzia delle Amministrazioni e a piani regolatori spesso mancanti o incompleti che prestano il fianco all’abusivismo. Si va dalle villette sulla spiaggia agli scheletri edilizi vista mare, dalle calette private alle colate di cemento a strapiombo sul mare. Una devastazione del territorio costante che ha pesantemente deturpato un’isola che vanta incredibili ricchezze naturali e culturali. A confermare la gravità della situazione fotografata da Legambiente, l’Assessorato regionale al Territorio ha recentemente diffuso il dato relativo alle istanze di sanatoria: 770.000 istanze di cui 52.000 per strutture edificate entro i 150 metri dalla costa. Un dato che spaventa poiché rappresenta solo la punta dell’iceberg di un fenomeno che per la gran parte non è noto. La soluzione può essere solo una legge quadro che in modo drastico e immediato riformi in modo radicale la materia paesaggistica e urbanistica, in un’ottica di riduzione del consumo di suolo e del ripristino dei territori deturpati dagli abusi.

NAD: 10 ANNI DI IMPEGNO GUARDANDO AL FUTURO Il prossimo 22 giugno si svolgerà a Milano il V Convegno di NAD Associazione Nazionale Demolitori Italiani. La giornata rappresenterà, come di consueto, un’importante opportunità di incontro tra gli operatori del settore, gli RSPP e i rappresentanti delle AUSL. Il convegno, dal titolo “10 anni di impegno guardando al futuro” vuole non solo sottolineare il percorso svolto dalla fondazione di NAD ad oggi, ma intende ribadire l’importante ruolo dell’associazione a rappresentanza di una categoria che mai come oggi necessita di una chiara identità e di una guida.

NAD intende offrire alle aziende un contributo concreto attraverso la trattazione di quei temi che, alla luce delle trasformazioni in atto nel modo di fare impresa, possono rappresentare uno stimolo a fare sempre meglio e sempre più in linea con quanto il nuovo mercato richiede. Allo stesso tempo NAD vuole mantenere il dialogo con gli Enti e gli organi di controllo con i quali quotidianamente gli operatori si confrontano, evidenziando gli sforzi messi in campo per garantire alle aziende percorso formativo mirato alla qualificazione professionaDF adun REV2_Layout 1 01/02/2013 14:58 Page 1 le della categoria. Il Convegno vedrà anche la presenza di alcuni operatori internazionali in quanto nelle due giornate precedenti, 20 e 21 giugno, si svolgerà nella stessa location il Convegno annuale EDA – European Demolition Association, evento che richiamerà a Milano tutti i maggiori operatori europei del settore demolizioni.

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s t o ria d i c op erti n a

RIFIUTI? CHIAMIAMOLI RISORSE L’IMPORTANZA FONDAMENTALE DEL SETTORE DEL RECUPERO E DEL RICICLAGGIO DEI RIFIUTI ATTRAVERSO LE PAROLE DELL’ASSOCIAZIONE FISE UNIRE di Massimo Viarenghi

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Cos’è FISE Unire e quali sono le principali attività svolte dall’Associazione? FISE Unire è l’Associazione che, all’interno del sistema di Confindustria e in particolare delle imprese aderenti a FISE, rappresenta le aziende che effettuano il recupero dei rifiuti, attraverso attività che vanno dalla raccolta al trasporto, dalla selezione ai trattamenti, fino alla commercializzazione dei beni e dei materiali recuperati. Unire è costituita da una serie di comparti, 9 per la precisione, che rappresentano ciascuno una filiera merceologica. Abbiamo quindi: GMR per il vetro, SARA per gli imballaggi in acciaio, UNIONMACERI per la carta, AIRA per i frantumatori di autoveicoli, ANPAR per gli aggregati riciclati dai rifiuti di costruzione e demolizione, UNIRIGOM per gli pneumatici, ASSODEM per gli autoveicoli, ASSORAEE per i rifiuti elettrici ed elettronici e CONAU per abiti e accessori usati. In questo modo copriamo a largo raggio tutte le filiere che valorizzano i rifiuti ricavando nuovi prodotti e materiali da reimmettere nei cicli di consumo e di produzione. L’Associazione ha quindi l’importante funzione di rappresentare le imprese che restituiscono a nuova vita i prodotti inutilizzati e che necessitano di essere riconvertiti. Dott.ssa Maria Letizia Nepi, Segretario Generale di FISE Unire l 15 dicembre 2004 le imprese precedentemente inquadrate nel Settore Recupero di FISE Assoambiente hanno costituito FISE Unire, una risposta alle esigenze delle aziende del settore per una maggiore identificazione di un comparto caratterizzato dalle variegate necessità delle singole filiere di recupero. Per comprendere meglio quali sono gli obiettivi di FISE Unire e come questi vengano perseguiti, stante l’attuale situazione di mercato ed il contesto caratterizzato da un quadro normativo ancora denso di criticità, abbiamo intervistato la Dott.ssa Maria Letizia Nepi, Segretario Generale di FISE Unire.

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Anno 6 - Numero 23

In un momento in cui la diminuzione della produzione porta inevitabilmente una riduzione dei rifiuti da smaltire è possibile avere una fotografia del settore delle imprese che gestiscono le attività di recupero e riciclaggio dei rifiuti in Italia? L’Associazione da tempo monitora l’andamento del settore e questo viene fatto anche con la pubblicazione annuale del Rapporto “L’Italia del Riciclo”, realizzato in collaborazione con la Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile e che è giunto nel 2013 alla quattordicesima edizione. Ciò che emerge dai dati è che, nonostante la crisi, il settore del recupero sta tenendo, anche in controtendenza con i trend macroeconomici del Paese, risentendo in misura minore dell’andamento negativo dell’economia rispetto ai settori tradizionali; ovviamente questo è un dato generale che rappresenta una sommatoria delle singole filiere, il cui andamento specifico può anche discostarsi da questi risultati. Da un’analisi dei risultati negli anni possiamo affermare che in Italia le raccolte differenziate tendono a crescere fino a stabilizzarsi; ciò deriva anche dal fatto che il nostro territorio è povero di materie prime quindi i rifiuti rappresentano da sempre dei validi sostituti delle materie prime vergini e delle risorse naturali. Quali sono i principali obiettivi dell’Associazione e come si tenta di concretizzarli? L’Associazione, che rappresenta delle imprese private, ha come finalità quella di promuovere la cultura e le attività del riciclo in un’ottica di apertura e liberalizzazione del mercato.


Il carattere "trasversale" dell’Associazione consente di sviluppare sinergie tra i settori associati, per l'elaborazione di progetti integrati, che hanno bisogno del concorso e della collaborazione di tutte le categorie di operatori del ciclo del recupero. In generale, l’Associazione punta a far sì che le politiche del riciclo e la rappresentanza dei riciclatori abbiano il giusto peso nelle scelte e nelle politiche delle istituzioni, degli organismi e dei sistemi di gestione dei rifiuti. FISE Unire è quindi impegnata nel perseguimento di importanti obiettivi, tra cui la promozione della qualità dei materiali recuperati, lo sviluppo delle applicazioni di tali materiali e la creazione di nuovi sbocchi di mercato, specie tramite il green procurement pubblico e privato. Essa mira inoltre a perseguire un adeguato livello di qualificazione delle imprese di trattamento e il mantenimento di elevati standard ambientali, nonché il rafforzamento della responsabilità dei produttori dei beni in relazione al fine vita dei prodotti. Il raggiungimento di tali obiettivi va sempre perseguito in accordo con la normativa di settore, che però spesso risulta non sufficientemente chiara e applicabile creando non poche difficoltà alle imprese stesse. Parlando quindi di difficoltà quali sono le maggiori problematiche riscontrate dalle imprese che operano nel settore? Il periodo che stiamo attraversando pone a tutte le imprese una serie di problematiche, mi riferisco ad esempio alla difficoltà di accesso al credito o ai ritardi dei pagamenti. In aggiunta a queste, le aziende del settore si trovano a dover affrontare un’organizzazione del sistema molto burocratizzata che porta con sé tempi lunghi e di conseguenza un incremento dei costi cui dover far fronte. La normativa ambientale, e soprattutto l’ambito della gestione rifiuti, è molto farraginosa tanto da mettere in difficoltà proprio le imprese che vogliono rispettarla e che sono quindi le più esposte ai controlli. D’altro canto, essa presenta dei veri e propri vuoti di regolamentazione e di attuazione su campi di importanza centrale. Un altro problema sentito particolarmente in Italia, riguarda la necessità di una maggiore sensibilizzazione nell’utilizzo dei materiali che provengono dai rifiuti.

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s t o ria d i c op erti n a

Parlando della carta, che si agevolano dei vuoti o delle incertezze per fare un esempio, normative per trarne del profitto. in Italia abbiamo un Più la norma è chiara meno presta il fianco ad surplus di raccolta di interpretazioni e più, di conseguenza, viene carta da macero che garantito un equo livello di concorrenza per non riesce ad essere tutti. Questo vale sia sul territorio nazionale assorbito dalle car- che a livello internazionale. tiere nazionali, sia Per fare un esempio, i RAEE sono dei rifiuti a causa della crisi, che allo stesso tempo contengono sia eleche ha portato una menti pericolosi che materiali preziosi anche riduzione della pro- difficili da reperire, per questo motivo è neduzione e una con- cessario che venga prestata molta attenzione seguente riduzione alle modalità di gestione. Può infatti accadedegli imballaggi, sia a re che un’apparecchiatura venga esportata causa dell’evoluzione chiamandola “apparecchiatura usata”, non tecnologica, che ha assoggettandola di conseguenza alle norme portato ad una dimi- sui rifiuti, e destinandola ad esempio, ad un nuzione nella carta Paese nel Nord Africa, dove verrà “cannibaQuest’opera di sensibilizzazione dovrebbe stampata. Da parte dei Paesi extraeuropei, lizzata” (ossia privata delle componenti o dei essere fatta in primis nei confronti delle Pub- Cina in testa, invece vi è una grossa richiesta materiali di maggior valore) senza nessuna atbliche Amministrazioni poiché rappresenta- di macero e siccome la concorrenza si basa tenzione alle norme ambientali o di sicurezza. C’è qualcosa che come Associazione no un soggetto importante nella richiesta di essenzialmente sul prezzo essi riescono ad materiali provenienti dai rifiuti che potrebbe avere accesso a grossi quantitativi sul merca- ritiene sia importante comunicare in quetrovare un notevole sbocco di mercato attra- to europeo. sto momento difficile per l’economia e per verso lo strumento del Green Public Procure- Fermo restando che non ci si può opporre al la politica italiana? ment. Gli acquisti delle PA se orientati in chia- mercato globalizzato, occorrerebbe comun- Siamo tutti consapevoli che stiamo vivendo ve verde, a parità di caratteristiche tecniche e que controllare che vi sia la certezza di desti- un momento difficile in cui è necessario prima prestazionali garantite da marchi di qualità e nazione ad un impianto, ancorché estero, che di tutto concentrarci sulla crescita e sull’ecocertificazioni, rappresentano infatti una scelta opera in base a requisiti minimi di sicurezza nomia. Il messaggio che ritengo importante conveniente per l’ambiente e per l’economia. ed ambientali, facendo sì per quanto possi- ribadire è che questo settore è in grado di La stessa opera di sensibilizzazione andrebbe bile che ciò non sottragga lavoro alle imprese produrre crescita ed è in grado di far crescere fatta da parte delle Pubbliche Amministrazioni italiane. FISE Unire punta quindi al recupero di l’economia. nei confronti dei cittadini, trasmettendo loro prossimità e ritiene indispensabile che almeno E’ limitativo e sbagliato pensare che la gel’importanza del recupero dei rifiuti e diffon- il primo trattamento dei rifiuti venga effettuato stione dei rifiuti sia legata solo al fatto di sbadendo la cultura dell’utilizzo di materiali che in Italia o nel mercato europeo in conformità razzarsi di cose inutili o, peggio, alla gestione con quelli che sono gli standard imposti dalla delle emergenze: essa va invece interpretata dai rifiuti provengono. Ormai è chiaro che il mercato delle normativa comunitaria . In tal modo i materiali come una vera risorsa per l’economia naziomerci non conosce confini, si può dire lo potranno essere commercializzati come semi- nale e ritengo che fino ad oggi questo setstesso anche per quanto riguarda il settore lavorati o merci ed esportati fuori dalla Comu- tore non sia stato valorizzato pienamente in del recupero dei rifiuti? nità avendo già subito una fase di trattamento tal senso, nonostante le tante dimostrazioni Questo è un tema importante sotto diversi quindi con meno rischio per l’ambiente e la di eccellenza che le imprese italiane hanno Expotutto 2015 un'opportunità pEr lE arEE dismEssE punti di vista. Innanzi è vero che tutti i salute. saputo fornire. Unire già da tempo e, più resettori, il nostro il compreso, sono esposti alla Spesso il mondo dei rifiuti è associato centemente anche tramite la partecipazione al mErcato dEl dEcommissioning dEllE arEE industriali globalizzazione; non si può infatti pensare ad attività illecite. Qual è il ruolo dell’Asso- Consiglio nazionale della Green Economy che che l’Italia esaurisca proprio mercato entro i ciazione nei confronti delle tante imprese si è appena costituito, sta proponendo misure arEail dEmO E CampO prOVE confini nazionali. Siamo in un mercato globale virtuose del settore? concrete che vanno in questa direzione, neldove i rifiuti sono anche merci che, soprattutto L’Associazione ritiene che tutte le aziende la speranza che il neo-eletto Parlamento ed nel caso dei rifiuti recuperabili, rappresentano debbano essere poste su un unico terreno di il nuovo Ministro raccolgano le richieste del delle materie prime molto richieste da Paesi, concorrenza anche attraverso l’imposizione di settore sfruttando quella che può essere una come l’India e la Cina, che vengono proprio standard qualitativi minimi, e va da sé che ciò valida opportunità e una leva economica per in Italia a cercare il loro approvvigionamento. significa che non ci devono essere imprese il nostro Paese.

FOCUS CONVEGNI 2011

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Anno 6 - Numero 23


PeVmedia.com

ON SO CO mI NG

6,9NOVEMBRE2013RIMINIfiera Demolizione e riqualificazione Di aree Dismesse

2013

ritorna l'appuntamento dedicato alle demolizioni e al risanamento dei brownfield in contemporanea con

17a fiera internazionale del recupero di materia ed energia e dello sviluppo sostenibile www.ecomondo.com Per info: rimini fiera • mauro Delle fratte • Tel. 0541 744302 • m.dellefratte@riminifiera.it Dea edizioni • maria Beatrice celino • Tel. 335 237 390 • b.celino@deaedizioni.it

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ATTU A LIT à

La bonifica dei siti contaminati nella regione Veneto Pianificazione, coordinamento e utilizzo razionale delle risorse per risolvere le problematiche connesse alla bonifica e al ripristino ambientale di 559 siti inquinati di Massimo Ingrosso*

S

econdo un comunicato stampa del Ministero dell’Ambiente divulgato il 30.11.2007, in occasione del Venezia Workshop “Approcci sostenibili per la gestione e la bonifica di mega siti: nuove prospettive”, sul territorio nazionale veniva stimata la presenza di oltre 13.000 siti contaminati, cinquantasette dei quali appartenenti ai cosiddetti Siti di interesse Nazionale le cui perimetrazioni erano state definite con D.M. 468/2001. SIN a parte è difficile accettare la veridicità scientifica di questo numero che avrebbe dovuto (ma così non fu e non è) fornire l’istantanea sulla consistenza dello stato dei siti contaminati in Italia. Si trattava, evidentemente, di dati estrapolati dalle sommarie informazioni contenute in vecchi censimenti nazionali dei siti potenzialmente inquinati presenti (o presumibilmente presenti) sul territorio (un esempio per tutti quello attivato con D.M. 185/1989, che conteneva criteri e linee guida per l’elaborazione, con modalità uniformi per tutte le regioni, dei piani di bonifica dei siti inquinanti), ai quali – peraltro - i soggetti interessati, in questo caso le regioni, avevano corrisposto i dati in modo intermittente, non completi e per aree disomogenee.

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Tuttavia il dato, nella sua lacunosa empiricità, rileva che la presenza di così numerosi siti contaminati, oltre al conseguente ed intrinseco degrado ambientale, costringe, volenti o no, alla limitazione forzata della fruizione e dell’uso di territorio per quelle aree che, sempre stando alle stime soprarichiamate, occuperebbero circa il 2-3% della superficie nazionale. Quanto al merito della situazione in argomento, che riguarda il territorio della Regione del Veneto, tenuto conto che questi è stato interessato dallo sviluppo industriale in tempi successivi rispetto alle altre regioni del Nord Italia (Lombardia, Piemonte, Liguria), sono individuati, dal recente Piano regionale della bonifica dei siti contaminati adottato nel marzo 2013, n. 559 siti contaminati. Il termine individuati va, in questo caso, inteso proprio nel senso di censiti, ciò a dire che, in primo luogo, si tratta di siti per i quali sono stati accertati i superamenti delle CSC (non siamo pertanto in presenza di situazioni che siano potenzialmente in grado di contaminare il sito), e per i quali siamo in possesso di tutti i dati necessari da inserire nell’anagrafe dei siti inquinati, secondo modalità di cui si dirà più sotto.

Il dato attualmente rilevato di 559 siti, rappresenta l’evoluzione di quanto precedentemente elaborato nel Piano regionale per la bonifica dei siti inquinati predisposto dall’anno 2000, nel quale, tra le centinaia di siti censiti come “potenzialmente contaminati”, venivano dichiarati di “interesse regionale”, sulla base di criteri di priorità che in questa sede non è il caso di ricordare, n. 66 siti che occupavano, in totale, una superficie stimata di circa 3.000 ha (si trattava per la maggior parte di ex discariche). Se si aggiungono i 5.800 ha della superficie del SIN di Porto Marghera (senza quindi tener conto delle situazioni che nell’anno 2000 non rispondevano ai requisiti per definire i siti di interesse regionale), la superficie contaminata ufficialmente censita, nella Regione Veneto, raggiungeva circa 8.800 ha, poco meno di 90 Kmq. Si tratta di un numero indubbiamente importante se si considera che il dato riguardava esclusivamente situazioni “accertate” e non potenziali di inquinamento le quali, solo per tenere fede ai criteri di stima, ammontavano a qualche centinaia di situazioni, essendo queste contenute in un elenco, allegato al piano del 2000, che, né più né meno, ricalcava l’elenco delle aree aventi presenza industriale con attività classificate insalubri di prima classe.


Era in sostanza la mera riproposizione dei risultati del censimento previsto dal D.M. 185/1989, di cui si è detto all’inizio e al quale il Veneto, assieme a poche altre regioni, aveva compiutamente risposto. Per tornare al Piano del 2000, va ricordato che si era, per quanto concerne le procedure per la bonifica dei siti contaminati, in vigenza dell’ex art. 17, del cosiddetto Decreto Ronchi, e del suo regolamento applicativo costituito dal discusso D.M. 471/99 che prevedeva, tra l’altro, che le Regioni predisponessero l’Anagrafe dei siti contaminati sulla base di criteri elaborati dall’allora ANPA in accordo con le regioni. Il lavoro a livello nazionale iniziò ma non trovò conclusione a causa della successiva entrata in vigore del nuovo Testo Unico ambientale, il D.Lgs. n. 152/06 che, alla Parte IV, Titolo V, rimodulava le procedure della bonifica mantenendo tuttavia la previsione di predisporre il Censimento e dell’Anagrafe dei siti da bonificare da parte delle regioni. Così che la Regione del Veneto, preso atto che APAT (oggi ISPRA) non dava seguito alle previsioni del comma 3 dell’art. 251, del D.Lgs. n. 152/06, con proprio provvedimento deliberativo n. 4067 del 30 dicembre 2008 Istituisce l'Anagrafe dei Siti da Bonificare i cui contenuti, in sintonia con la norma, si sostanziano come segue: A. l'elenco dei siti sottoposti ad intervento di bonifica e ripristino ambientale nonché degli interventi realizzati nei siti medesimi; B. l'individuazione dei soggetti cui compete la bonifica; C. gli enti pubblici di cui la regione intende avvalersi, in caso di inadempienza dei soggetti obbligati, ai fini dell'esecuzione d'ufficio, fermo restando l'affidamento delle opere necessarie mediante gara pubblica ovvero il ricorso alle procedure dell'articolo 242. L'Anagrafe dei Siti da Bonificare comprende tutto il territorio regionale; si ritiene tuttavia utile che per il territorio ricadente nell'ambito del Sito di Interesse Nazionale (S.I.N.) di Porto Marghera, data la sua specificità, continuino ad essere applicate le procedure anche informatiche già in atto da tempo.

Criterio

Definizione del criterio di priorità

Punteggio

1

SIR con lavori di bonifica/MISO/MISP appaltati

3

2

SIR con progetti approvati di bonifica/MISO/MISP

2

3

Vulnerabilità ambientale

1

4

a. Profondità della falda

0 ÷ 2,5

b. Litologia superficiale

0 ÷ 1,5

c. Distanza da pozzi

0 ÷ 3,5

d. Distanza da recettori

0 ÷ 1,0

e. Distanza da abitazioni

0 ÷ 2,0

Aree vincolate ai sensi del D.Lgs. n. 42/2004

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Tabella 1. Criteri di priorità considerati e punteggi proposti per ciascun fattore

Quale soggetto attuatore dell’anagrafe, mediante l'inserimento e l'aggiornamento dei dati, veniva individuata l’ARPAV che doveva gestire l’operazione per il tramite dei Dipartimenti Provinciali, in collaborazione con il Comune sede dell'evento e la Provincia, con il coordinamento della Regione Veneto. Scopo principale dell’Anagrafe regionale è stata, ma ancora lo è, l’individuazione delle situazioni di maggior criticità ambientale e, in ossequio al principio di sussidiarietà e sulla base della graduatoria di priorità, l’individuazione e l’allocamento delle risorse necessarie all’esecuzione di studi, caratterizzazioni e bonifica dei siti interessati. All’inizio dell’anno successivo, con la legge regionale di finanza, n. 12 gennaio 2009, art. 20, comma 1 e comma 2, venivano così individuate le risorse da mettere a disposizione per dar corso alle ambiziose previsioni dell’anagrafe che, nel frattempo, prendeva corpo. La L.R. infatti, prevedeva la copertura finanziaria degli oneri sostenuti dagli enti locali per gli interventi di bonifica e ripristino ambientale dei siti inquinati di cui all'art. 242, del D.Lgs. 152/06, autorizzando la Giunta regionale ad istituire un fondo di rotazione per l’importo pari a € 30.000.000 per tre annualità 2009/2011. Inoltre, il comma 2, prevedeva la copertura finanziaria degli oneri sostenuti dagli enti locali, limitatamente alle fasi di studio, caratterizzazione e progettazione delle attività di cui all'art. 242, del D.Lgs. 152/06, per la concessione di contributi a fondo perduto pari a € 2.000.000 per gli anni 2009/2010, € 1.000.000 anno 2011 e € 300.000 anno 2012.

Emergeva, nel contempo, una volta avviate le procedure di implementazione dei dati dei siti contaminati, la necessità di aggiornare la metodica di predisposizione dell’anagrafe che veniva così definita con DGRV n. 3951 del 22/12/09. Tale metodica individua le modalità per "quantificare" i criteri di priorità; a tal fine sono stati privilegiati interventi relativi a "Siti di interesse regionale" (SIR) già inseriti nel Piano Regionale delle Bonifiche delle aree inquinate, adottato nel 2000, e successivamente aggiornato, nonché quelli relativi ad aree caratterizzate da elevata "vulnerabilità ambientale potenziale" assegnando i punteggi riportati nella Tabella 1. Si è giunti quindi, con la DGRV n. 264 del 05/03/2013, all’approvazione del nuovo piano regionale per la gestione dei rifiuti che contiene, come previsto dall’art. 199 del D.Lgs. n. 152/06, il Piano regionale di bonifica delle aree inquinate che ne costituisce parte integrante. Il piano si basa sui presupposti delle individuazioni dei siti di interesse regionale e delle risultanze dell’Anagrafe con le metodiche citate che così si sostanziano: • ambito di applicazione: l’Anagrafe comprende tutto il territorio regionale; per il territorio ricadente nell’ambito del Sito di Interesse Nazionale (S.I.N.) di Porto Marghera, data la sua specificità, potranno comunque continuare ad essere applicate le specifiche procedure anche informatiche già in atto; • l’Anagrafe dei Siti da Bonificare è stata trasferita al SIRAV di ARPAV, i cui rappresentanti hanno collaborato al gruppo di lavoro istituito dalla Regione Veneto;

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ATTU A LIT à

• contenuti: il contenuto informativo dell’Anagrafe si presenta suddiviso, analogamente a quanto previsto dal sopra richiamato documento dell’APAT (ISPRA) redatto in vigenza dell’ex D.M. 471/1999, “Criteri per la predisposizione dell'Anagrafe” nelle cinque sezioni sotto elencate: 1. sezione anagrafica, 2. sezione tecnica, 3. sezione procedurale, 4. sezione interventi di bonifica e controlli sul sito, 5. sezione finanziaria. Sulla base delle metodologie definite dall’anagrafe, risultano, ad oggi, complessivamente inseriti in Anagrafe regionale e georeferenziati, n. 559 siti, così ripartiti: • 17 in provincia di Belluno, • 130 in provincia di Padova, • 35 in provincia di Rovigo, • 91 in provincia di Treviso, • 109 in provincia di Venezia, • 61 in provincia di Verona, • 107 in provincia di Vicenza. Attraverso le informazioni contenute nella sezione anagrafica dell’Anagrafe Regionale sono stati estratti tutti i siti di interesse pubblico che sono risultati nel numero di 150 così distribuiti: • 4 in provincia di Belluno, • 38 in provincia di Padova, • 12 in provincia di Rovigo, • 16 in provincia di Treviso, • 34 in provincia di Venezia, • 16 in provincia di Verona, • 30 in provincia di Vicenza. Al momento quindi, tenuto conto dei criteri definiti dall’anagrafe, l’allocazione delle risorse finanziate con la L.R. 1/2009, art. 20, per le annualità 2009-2012 sono così ripartite: • complessivamente assegnati per interventi di bonifica e ripristino ambientale, a valere sul fondo di rotazione, € 90.000.000,00. • complessivamente assegnati per interventi di studi, indagini ambientali, piani della caratterizzazione e progettazione, € 5.800.000,00 in conto capitale (fondo perduto). Il suddetto riparto ha interessato n. 173 siti.

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Conclusioni Da sottolineare il vero aspetto significativo di tutta l’operazione, ovvero l’azione pianificatoria che la regione ha compiuto (al di là delle difficoltà dovute alla situazione generale di finanza del Paese), avviando una coordinata programmazione delle azioni finalizzate alla soluzione delle problematiche connesse con la bonifica e il ripristino ambientale dei siti contaminati, condotta attraverso l’uso razionale delle (poche) risorse disponibili. Ciononostante, nell’ambito della gestione finanziaria dei fondi, sono emerse, alcune criticità dovute ad aspetti che esulano dai principi generali e dalle modalità tecniche con cui si è sviluppata tutta l’operazione di cui si è detto. Infatti, se da una parte la regione, con la propria iniziativa normativa, lo sforzo finanziario compiuto per l’individuazione delle risorse e le risorse umane impegnate, ha messo in atto le condizioni stabilite dal D.Lgs. n. 152/06, relativamente all’individuazione dei finanziamenti necessari agli interventi di bonifica, in particolare a favore dei comuni che, come tutti sanno, il più delle volte si ritrovano nelle condizioni di dover attivare l’intervento sostitutivo in quanto i responsabili dell’inquinamento non intervengono (per varie ragioni), dall’altra si è trovata di fronte al subentrare

di aspetti di varia natura che non consentono una positiva gestione degli interventi di bonifica finanziati, anche soprattutto in riferimento ai tempi di esecuzione delle procedure e ai vincoli di bilancio attualmente in essere per gli enti locali. Questo con riferimento, in primo luogo, alla procedura amministrativa, stabilita dall’art. 242 del D.Lgs. n. 152/06, che spesso obbliga il dilungarsi, per varie cause, dei tempi di approvazione dei progetti, ed in secondo luogo a causa del cosiddetto patto di stabilità che impedisce (o impedirebbe) ai comuni l’accettazione dei contributi (sia in conto capitale che a fondo di rotazione), stanti i vincoli di spesa imposti dal patto stesso. Inoltre, ancorché superati gli impedimenti finanziari, le procedure dell’art. 242, come accennato, non consentono una spedita azione sia nei tempi di approvazione dei progetti, a partire dai piani della caratterizzazione, dall’analisi di rischio sito specifico, fino al progetto operativo di bonifica, per finire con l’altrettanto complessa fase che riguarda l’aggiudicazione e l’esecuzione dei lavori. Per ulteriori approfondimenti si segnala il seguente link www.regione.veneto.it/web/ambiente-e-territorio/piano-gestione-rifiuti. *Regione Veneto

Figura 1. Posizione dei siti contaminati di interesse pubblico individuati (in colore blu) e dei siti contaminati di competenza di soggetti privati (in colore rosso)


SITI DISMESSI: PAROLA ALL’EUROPA La Corte dei Conti Europea individua le principali problematiche dei procedimenti di bonifica ambientale e traccia nuove prospettive sulla corretta gestione dei brownfields di Igor Villani* e Marina Dragotto**

I

l 18 aprile 2013 la corte dei Conti Europea ha divulgato una relazione speciale (n. 23/2013) dal titolo "Le misure strutturali dell'UE hanno sostenuto con successo la riqualificazione dei siti industriali e militari dismessi?". Il documento è il risultato dell'analisi svolta dalla Corte dei Conti sulle modalità di gestione delle riqualificazioni industriali e militari da parte degli stati membri, attraverso l'analisi approfondita di 27 siti che hanno usufruito anche di finanziamenti della stessa UE. La relazione potrebbe sembrare una mera verifica economica da parte della Corte di Lussemburgo su come siano stati spesi i fondi strutturali finanziati dalla UE negli ultimi anni; in realtà si tratta di uno studio che entra nel merito degli aspetti tecnico-ambientali portando anche delle novità dal punto di vista dell’approccio al management ambientale. Una delle più importanti è che lo studio individua nei siti contaminati e nelle rispettive bonifiche una fase cruciale ed imprescindibile rispetto ai piani urbanistici/edilizi/immobiliari, diversamente dalla storica consuetudine di polarizzare l'attenzione sugli aspetti finanziari riducendo quelli ambientali a valutazioni complementari. Nelle conclusioni di sintesi della relazione la Corte sottolinea alcuni elementi particolarmente interessati: “I risultati delle opere di bonifica non sono sempre certificati in modo appropriato e vi

sono ampie differenze tra i valori di screening della contaminazione del suolo stabiliti a livello nazionale [...] (e) in molti casi i terreni e gli edifici riconvertiti non sono stati destinati all’uso previsto [...]. Due fattori principali concorrono a spiegare i modesti risultati ottenuti: la recessione economica e l’assenza di una solida analisi di mercato giustificante lo sviluppo dei siti, oppure il fatto che di tale analisi non si sia tenuto conto. Tutti i progetti avevano alcune caratteristiche chiave che favorivano la loro sostenibilità sul più lungo termine, ma solo due terzi di essi facevano parte di un piano di sviluppo integrato. [...] La politica in materia di siti dismessi è principalmente attuata tramite strumenti di pianificazione locali, [...] (che promuovono la pratica) di preferire la riqualificazione di siti dismessi allo sviluppo di nuove aree, ma raramente promuovono l’uso temporaneo di siti dismessi. Tuttavia, l’assenza di registri completi e adeguati dei siti dismessi, che includano anche i siti contaminati, complica la definizione delle priorità [...] (e) il riutilizzo dei siti dismessi [...] non viene adeguatamente sostenuto. [...] I fondi nazionali e dell’UE hanno anche coperto parte del costo della bonifica ambientale, dato che il principio «chi inquina paga» non è stato pienamente applicato [...]. I regolamenti dei Fondi strutturali e specifiche disposizioni delle decisioni di sovvenzione per progetti di riqualificazione non offrono sufficienti possibi-

lità di recuperare il sostegno pubblico nel caso i progetti generino più reddito del previsto”. Nelle conclusioni la Corte identifica come principio assoluto la necessità di utilizzare un approccio integrato per la pianificazione degli interventi di riqualificazione. Approccio integrato che va dalle analisi di mercato sul valore delle proprietà immobiliari alla possibilità di “tarare” gli utilizzi dei siti in funzione della potenzialità e rendimento delle tecnologie di bonifica. Abbinato all’approccio integrato c’è il riconoscimento, forse mai così formale ed esplicito, del fatto che la maggior parte dei siti dismessi sono in una qualche misura anche dei siti contaminati, assunzione da cui finora si è sempre cercato di prendere le distanze soprattutto per i timori sulle implicazioni giuridiche che può portare. Questa deduzione consente inoltre di applicare la relazione non solo ai siti industriali e militari dismessi, per i quali è stata elaborata, ma anche a tutte le tipologie di siti contaminati esistenti. Tra questi segnaliamo il caso delle aree agricole, che nella relazione vengono correttamente e giustamente menzionate come una delle tipologie di sito contaminato più frequenti, ma che in molte legislazioni nazionali vengono intenzionalmente ignorate per evitare di affrontare l’enorme complessità tecnico-normativa che le caratterizza. Esempio pertinente è l’Italia, dove già nel D.Lgs. 152/06, all’art. 241, si prevedeva la futura

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emanazione di un decreto attuativo per la regolamentazione degli aspetti sulle contaminazioni relative alle aree agricole e di allevamento, ma che, a distanza di sette anni e due-tre esecutivi, non ha ancora avuto seguito. In ogni caso, anche a dispetto dell’ultima osservazione sulle aree agricole, la relazione, contemplando l’analisi di procedure in diversi stati membri dell’UE, contribuisce a sfatare ancora una volta alcuni miti sul fatto che l’Italia sia sempre il fanalino di coda dell’Europa, evidenziando alcuni punti su cui siamo effettivamente in ritardo, ma anche altri sui quali siamo più attrezzati rispetto agli altri Paesi. Su questo tema possiamo ritornare ad alcune conclusioni del progetto-studio “Indagine sulle procedure adottate nei procedimenti di bonifica” svolto da AUDIS nel 2011, tra le quali si evidenziava che in Italia i tanto agognati strumenti normativi in realtà ci sono, ma è la loro applicazione nella macchina amministrativa a creare i veri problemi. Più che impegnarsi sulla redazione di nuove norme, in Italia sarebbe importante lavorare a una seria armonizzazione di quelle esistenti, anche e soprattutto nelle complesse relazioni tra gli enti che intervengono nel processo di bonifica con ruoli diversi. Significativo è anche il fatto che la Corte identifica la “stabilizzazione” come una delle mo-

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dalità di riparazione della contaminazione al fine del riutilizzo delle aree. Questo per l’Italia è un consistente motivo di “riflessione”, poiché la rigidità con cui si affrontano le bonifiche porta difficilmente ad accettare la convivenza tra interventi di risanamento e riutilizzo dei siti. Conseguenza fisiologica di questo atteggiamento è sia il preferire interventi rapidi e radicali di bonifica generalmente poco sostenibili, come la rimozione e smaltimento, sia inibire l’utilizzo delle aree, anche solo temporaneo, a qualsiasi tipo di attività finché non sia stata completamente allontanata la contaminazione. In questo modo, oltre a non sfruttare a pieno le opportunità offerte dall’approccio risk-based sulle bonifiche, le tecnologie di bonifica in situ, emblema della filosofia sostenibile per le operazioni di risanamento del futuro, non vengono nè applicate nè, tanto meno, sviluppate. Punto dolente, non solo per l’Italia, è la costituzione di una solida anagrafica dei siti dismessi e contaminati che possa rappresentare una base su cui poi progettare e pianificare in maniera idonea. Non avere un chiaro quadro di partenza rende sostanzialmente impossibile l’attività pianificatoria, aumentando lo spreco di risorse finanziarie ed abbassando l’efficacia degli interventi in un’ipotetica scala di priorità per il territorio.

Di seguito le raccomandazioni della Corte alla Commissione e agli stati membri. “La Corte raccomanda: 1. Agli Stati membri di richiedere ai promotori di effettuare un’analisi di mercato e di considerare le opzioni per un possibile utilizzo futuro dei siti dismessi. Gli Stati membri dovrebbero porre come condizione obbligatoria che i progetti di riqualificazione dei siti dismessi siano parte di un piano di sviluppo integrato e che i risultati della bonifica siano certificati da un’autorità competente o da un organismo accreditato; 2. Agli Stati membri di prendere in considerazione la definizione di strategie di riqualificazione dei siti dismessi, includenti chiari valori-obiettivo e di evitare l’utilizzo di nuovi siti in aree a verde se non strettamente necessario e, in caso contrario, imporre l’applicazione di misure compensative; di valutare le misure da adottare per i siti problematici, posseduti da privati, i cui proprietari non intraprendano le azioni necessarie; [...] nonché di creare registri di siti dismessi e contaminati con informazioni standardizzate sufficienti, che permettano di stabilire un ordine di priorità per gli interventi;


3. [...] Gli Stati membri dovrebbero pretendere che l’applicazione del principio «chi inquina paga» diventi un requisito necessario per la concessione del finanziamento dell’UE [...]. Gli Stati membri dovrebbero includere, in tutte le decisioni di sovvenzione relative a progetti di riqualificazione, una clausola di rimborso che permetta loro di riesaminare la performance finanziaria dei progetti alla luce di quanto avvenuto nel corso di un periodo più lungo (ad esempio, 15 anni) e, ad esempio, di recuperare, in tutto o in parte, la sovvenzione nel caso i progetti generino entrate maggiori del previsto [...]; 4. Alla Commissione di proporre, in cooperazione con gli Stati membri e sulla base di prove scientifiche e di migliori pratiche, norme UE per la definizione di «sito contaminato» e per la gravità dei rischi ambientali e sanitari causati da tali siti, nonché di proporre una metodologia per la definizione di standard di bonifica specifici per i siti, che tengano conto dell’utilizzo finale degli stessi. La Commissione dovrebbe promuovere l’applicazione di un approccio di sviluppo integrato, disponendo che i progetti cofinanziati di riqualificazione dei siti dismessi siano inclusi in un piano di sviluppo integrato; 5. Alla Commissione e agli Stati membri di sostenere l’applicazione di migliori pratiche nella riqualificazione dei siti dismessi, e di preferire la riqualificazione dei siti dismessi rispetto all’utilizzo di nuovi siti in aree a verde.” Tra le conclusioni che potremmo dire di maggior spessore, c’è quella secondo la quale interventi di riconversione che partono con obiettivi e utenti di riferimento generici risultano avere un basso tasso di successo in termini di corrispondenza tra risultati finali e obiettivi iniziali. Immediata deduzione può essere quella di soffermarsi a valutare bene la necessità di portare avanti a tutti i costi bonifiche ed interventi di cui in realtà non si vede bene l’orizzonte. Una considerazione che conforta lo sforzo compiuto da AUDIS in questi anni nel definire strumenti di gestione dei processi che accompagnano la costruzione di piani/proget-

ti di rigenerazione urbana di qualità: la Carta della Rigenerazione Urbana e la Matrice della Qualità Urbana. Anche il dogmatico principio europeo del “chi inquina paga” sembra vacillare sugli scossoni della crisi internazionale e sulle difficoltà di applicazione nel territorio. Probabilmente dal punto di vista giuridico rimane e rimarrà sempre un principio inconfutabile ed ineludibile, ma potrebbe anche verificarsi la necessità di entrare nel merito della questione con maggior dettaglio, definendo anche qualche direttiva applicativa oltre ad assumerlo come concetto generale. La relazione della Corte dei Conti Europea potrebbe anche fungere da sollecitazione per lo sblocco della Direttiva sull’inquinamento del suolo (COM2006/232) approvata dal Parla-

mento europeo nel 2007, ma da allora ferma alle valutazioni del Consiglio Europeo. Tale direttiva contiene importanti misure che, se portate avanti, potrebbero sicuramente innovare lo scenario internazionale sui brownfields e sui siti contaminati, iniziando intanto dall’armonizzazione di alcuni concetti e strategie di riferimento tra gli Stati Membri dell’Unione. Nel documento traspare infatti la difficoltà della stessa Commissione Ambiente UE che, in merito a diversi punti, risponde alle sollecitazioni della Corte esprimendo la propria impossibilità a superare l’inerzia del Consiglio Europeo, detentore dell’effettivo potere legislativo. * Provincia di Ferrara ** AUDIS Associazione Aree Urbane Dismesse

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at t u a l i t à

Decommissioning nucleare: una grande opportunità Numeri da record nel rapporto Sogin-Nomisma per il nuovo business nucleare: UN INDOTTO DA 12.000 posti di lavoro e investimenti per 6,5 miliardi di euro di Maeva Brunero Bronzin

I

l nucleare fa parlare di sè e lo fa in grande stile: passando da “problema” a “risorsa economica” per un Paese in sofferenza e con disperato bisogno di nuovi posti di lavoro. Stiamo parlando delle attività legate al decommmissioning delle centrali nucleari, non solo quelle italiane che hanno smesso di produrre energia dopo il referendum del 1987, ma anche quelle del resto del mondo che hanno raggiunto il fine vita e devono essere smantellate. Un’attività complessa ma necessaria che richiede importanti investimenti e specializzazioni. L’attività di dismissione dei siti produttivi nucleari è una concreta occasione di crescita economica, questo è quello che emerge dalla conferenza stampa sull’impatto economicooccupazionale della bonifica dei siti nucleari in Italia e nel mondo, che si è tenuta a Roma il 16 Aprile scorso da Giuseppe Nucci, amministratore delegato di Sogin, la società di Stato responsabile della bonifica ambientale dei siti nucleari italiani, e Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia. Sogin oggi è responsabile della gestione e della dismissione delle 4 centrali nucleari italiane di Trino, Caorso, Latina e Garigliano, di 4 impianti di ricerca sul ciclo del combustibile nucleare (due nel centro della Casaccia) e dell’impianto FN di Bosco Marengo (AL); in questi siti Sogin sta portando avanti la più grande bonifica ambientale della storia del nostro Paese con l'obiettivo di risanare le aree occupate dai siti produttivi portandole in gergo tecnico a green

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field ("prato verde"), ad una condizione priva di vincoli legati alla radioattività, e rendendole disponibili per il loro futuro riutilizzo. Nella conferenza stampa è stato presentato il piano di investimento di 6,5 miliardi di Euro che Sogin prevede per completare la bonifica ambientale di tutti i siti nucleari italiani e per realizzare il Parco Tecnologico, comprensivo del Deposito Nazionale dei rifiuti radioattivi. Di questi, 1,7 miliardi di euro sono destinati alle sole attività di smantellamento. Lo studio Nomisma Energia prevede che le attività di dismissione di Sogin produrranno complessivamente 12.000 nuovi occupati nell’indotto diretto, 7 nuovi posti di lavoro dell’indotto per ogni milione investito, con il raggiungimento di un picco nel 2016 e nel 2017.

Il Presidente di Nomisma Energia, Davide Tabarelli, ha evidenziato che la copertura dei costi per la bonifica dei siti nucleari avviene attraverso la componente A2 della tariffa elettrica, oggi pari a 0,1 €cent/kWh, su un costo medio di 18,9 €cent/kWh (0,5% del totale). Per questa componente, la spesa media annua di una famiglia tipo è di circa 2 euro, un valore quasi 4 volte inferiore rispetto a 8 anni fa. Attualmente, nel mondo sono già stati fermati 140 reattori nucleari. Il rapporto Nomisma Energia stima che nei prossimi 40 anni entreranno in decommissioning 400 impianti, con investimenti per il loro smantellamento di 165 miliardi di euro ed un valore complessivo per la bonifica di 606 miliardi di euro.

Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia (a sinistra) e Giuseppe Nucci, amministratore delegato di Sogin (a destra)


Le conclusioni dello studio riconoscono nel decommissioning una risorsa per lo sviluppo del tessuto produttivo del nostro Paese, un settore in cui l’Italia detiene un vantaggio competitivo, essendo stata uno dei primi Paesi ad avviare lo smantellamento delle centrali nucleari costruite con le tre tipologie principali di reattori esistenti. Nel biennio 2011-2012 il volume delle attività relative al solo smantellamento fisico è cresciuto del 23%. In questi due anni si sono ottenuti 70 milioni di euro di risparmi a parità di perimetro, grazie all’efficientamento dei processi e alla nuova policy di committenza, mantenendosi sempre ai massimi livelli di sicurezza e di compatibilità ambientale. Si è passati dal 34% di gare pubbliche svolte nel 2010 all’85% nel 2012 per le quali sono state qualificate 350 imprese italiane. Nei prossimi 12 anni, con l’avvio della costruzione del Parco Tecnologico e del Deposito Nazionale, gli investimenti medi annui saranno pari a 250 milioni di euro. “In un momento di grave crisi in cui la priorità è fare ripartire l’economia – ha dichiarato il Presidente di Nomisma Energia, Davide Tabarelli - disporre di risorse per 6,5 miliardi di euro nella bonifica dei siti nucleari e nella realizzazione del Deposito Nazionale dei rifiuti radioattivi è un’opportunità enorme per la politica industriale dell’Italia. Sono risorse

allineate agli standard internazionali. Peraltro – ha aggiunto Tabarelli - il contributo medio annuo di ogni famiglia per queste attività è da considerarsi contenuto in relazione all’elevato valore dell’obiettivo da raggiungere che è bonificare i siti nucleari e garantire agli italiani il diritto a veder messi definitivamente in sicurezza tutti i rifiuti radioattivi, compresi quelli provenienti dalla medicina nucleare pari a circa 500 metri cubi l’anno”. “Lo studio di Nomisma Energia – ha dichiarato l’Ammi-

nistratore Delegato di Sogin, Ing. Giuseppe Nucci - riconosce il valore del nostro knowhow. L’Italia ha la grande opportunità di essere una protagonista del mercato estero del decommissioning, in rapida espansione, generando occupazione qualificata e valore economico. Sogin sta facendo la sua parte – ha concluso Nucci - ed è impegnata nel creare una filiera industriale nazionale che sappia raccogliere questa sfida, che è ambientale, tecnologica e di sviluppo”.

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at t u ivaitlà ità

La filiera virtuosa del recupero delle terre da spazzamento Un modello di eccellenza nel riutilizzo di un materiale destinato alla discarica valorizzato come aggregato dai molteplici utilizzi di Ilaria Bergamaschini*

L

e priorità ambientali ed economiche legate alla necessità di ridurre la quantità di rifiuto destinata alle discariche, di ridurre il prelievo di materia prima vergine e di aumentare l’efficienza economica nella gestione del ciclo dei rifiuti impongono oggi di considerare con maggiore attenzione alcune filiere spesso considerate marginali. È il caso della terra da spazzamento stradale: generalmente raccolta e inviata in discarica, se fatta confluire in una filiera corretta di raccolta, trattamento e valorizzazione del materiale in uscita consente di recuperare materiali con caratteristiche prestazionali e di qualità identiche al materiale vergine. L’esperienza in questo senso di Amsa e Cem Ambiente, società di gestione del servizio di raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti solidi urbani rispettivamente per il Comune di Milano e per 49 comuni dell’est milanese, rappresenta uno degli esempi di eccellenza per il settore. Il trattamento effettuato negli impianti Amsa e Cem consente infatti un recupero di aggregati sul totale della terra in ingresso pari al 35-45%. Le possibilità di recupero salgono fino all’88% del materiale solido in entrata considerando ad esempio anche i sovvalli a recupero e il materiale organico a compostaggio. Tutti i materiali in uscita (aggregati per calcestruzzo, per conglomerati bituminosi, per opere di ingegneria civile, per malte) sono certificati CE e rispettano le rispettive normative UNI EN. Qualche numero a livello italiano. Sulla base

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Anno 6 - Numero 23

dei dati di raccolta riferiti al comune di Milano e altri 49 comuni dell’est milanese è possibile stimare una raccolta complessiva pari a 1,2 milioni di tonnellate di terra da spazzamento, che rappresenta quasi il 4% del totale dei rifiuti urbani prodotti in Italia. Il corretto trattamento di queste quantità di terra da spazzamento permetterebbe di evitare l’invio in discarica di circa 930 mila tonnellate di materiale (considerando percentuali di recupero di materiali pari all’80%) di cui circa 470 mila

tonnellate di aggregati riciclati, 40% del totale solido trattato. Tale percentuale rappresenta un dato medio tra i due impianti analizzati, in cui si riscontra una differente resa che dipende dalle differenze intrinseche nella composizione del rifiuto, derivanti dalla diversa tipologia di territorio sottoposto a spazzamento. Le conseguenze ambientali ed economiche sono del tutto rilevanti: 930 mila tonnellate di rifiuti evitati in discarica e in parte trasformati in aggregati, materiali con un valore da 2,3 a 4,7

Figura 1. DNA urbano, materiale per pavimentazione prodotto da Stone Italiana con le terre da spazzamento in uscita dall'impianto di Cem Ambiente


milioni di euro in base all’utilizzo. Da un punto di vista economico Comuni il risparmio dovuto al mancato conferiCem mento in discarica è sostanzialmente comAmsa pensato dal costo del Italia trattamento. Se infatti normalmente il valore degli aggregati è pari a 5 euro a tonnellata, esistono dei casi specifici in cui il materiale può essere maggiormente valorizzato, anche grazie alle caratteristiche di eccellenza del processo di recupero a cui viene sottoposta la terra da spazzamento stradale: grazie alla sinergia con Cem Ambiente, Stone Italiana, azienda veronese attiva da oltre trent’anni nel settore della produzione di quarzo e marmo ricomposto, ha prodotto lastre per pavimentazione da interni ed esterni di alta qualità che contengono percentuali comprese tra il 55,7 e il 75% di ghiaino proveniente dallo spazzamento stradale, con conseguente risparmio di aggregati vergini. I possibili utilizzi degli aggregati sono dunque molteplici: malte, calcestruzzo, produzioni di manufatti preconfezionati (tubature, travi, pannelli, traversine ferroviarie, blocchetti autobloccanti per pavimentazioni), fondo di campi golf, calcio, parco giochi, sottofondi drenanti, elementi di arredo per giardini e parchi pubblici, strade, autostrade, ferrovie, lavori stradali, ecc. Il settore si presenta estremamente vasto: circa 13.500 aziende in Europa con 28.000 siti di produzione e 3 miliardi di tonnellate di produzione di aggregati all’anno. Solo l’Europa fornisce più del 23% della produzione mondiale di sabbia, ghiaia e roccia frantumata. Ne emerge un enorme consumo di materie prime estratte da cave, con conseguenze ambientali e paesaggistiche considerevoli, conseguenze evitabili con il ricorso a materiali recuperati: si pensi ad esempio che la costruzione di 100 km di strade con aggregati recuperati permetterebbe di risparmiare 3 milioni di tonnellate di materia prima. La costruzione di 10 scuole con aggregati recuperati permetterebbe invece di risparmiare 30.000 tonnellate di materia prima. La sostituzione del materiale vergine con quello recupe-

Terra

Terra

Terra

spazzamento

spazzamento

raccolta [t]

pro capite [t]

445.782

9.220,51

0,0207

210.506,66

0,044

1.324.110

23.619

0,0178

711.837

0,036

60.626.442

1.168.200

0,0192

32.472.000

0,036

Abitanti

rato è però conveniente solo con determinate distanze di trasporto, altrimenti potrebbe verificarsi un impatto ambientale negativo oltre che un aggravio dei costi; una maggior diffusione degli impianti di recupero delle terre da spazzamento è pertanto fondamentale per lo sviluppo di questi materiali. Risulta quindi chiaro il ruolo degli aggregati recuperati delle filiere raccolta/trattamento e distribuzione fondato su qualità, controlli e certificazioni di tutte le fasi del processo, in termini di ripercussioni ambientali ed economiche; i modelli di eccellenza devono essere valorizzati attraverso l’accreditamento dell’intera filiera, dal rifiuto stradale, alla sua raccolta, all’impianto di trattamento fino al prodotto finale, soprattutto alla luce di alcuni trend e normative che stanno intervenendo nel settore. Il target del 70% di recupero degli inerti imposto dalle direttive europee, l’elaborazione di piani cave che pongono un

Rifiuti Urbani [t]

spazzamento su rifiuti urbani [%]

limite all’estrazione di materia prima vergine, l’adozione di strumenti di Green Public Procurement nel settore della Pubblica Amministrazione con obiettivi di utilizzo di materiale riciclato, la diffusione delle certificazioni per i “Green Building”, sono tutti fattori che dovrebbero incoraggiare un maggior ricorso al trattamento della terra da spazzamento stradale al fine di incrementare le quantità di aggregati recuperati di qualità disponibili. Se infatti il successo della filiera del riciclaggio della terra da spazzamento stradale non può che dipendere dalla vendita dei prodotti in uscita, l’esigenza per accreditarsi presso il mercato finale è sicuramente quella di avere la certezza che il materiale in oggetto possieda caratteristiche prestazionali di alta qualità, che sono diretta conseguenza del processo di recupero adottato. *Green Management Institute

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Ministero dello Sviluppo Economico

Associazione Commercianti della Provincia di Vercelli


fabbrica d el l e i d ee

Dalla carta riciclata ai pannelli isolanti Innovative applicazioni per la carta da macero nella produzione di pannelli ecosostenibili per l’edilizia di Paola Garbagnoli e Barbara Del Curto*

C

irca il 22% della massa totale dei rifiuti solidi urbani è costituito da carta o cartone: l'attuale raccolta di carta da macero e la produzione di carta riciclata sono caratterizzate da un eccesso di offerta. All'interno del Dipartimento di Chimica, Materiali e Ingegneria Chimica “Giulio Natta” del Politecnico di Milano, sono state svolte delle ricerche per individuare un possibile approccio alla soluzione di questa problematica. Una strada promettente è stata individuata nello sviluppo di un materiale composito, a base cellulosica (carta da macero), caratterizzato da proprietà uniche e innovative e per questo adatto ad aprire la strada a nuove applicazioni per la carta da macero. L'ottenimento di nuove proprietà è possibile grazie all'unione delle proprietà dei materiali costituenti il composito, che vanno quindi selezionati e progettati in base al risultato finale che si vuole ottenere e, in ultima analisi, all'applicazione prevista. Un'accurata analisi ha permesso di identificare, quale campo di applicazione promettente e in forte sviluppo, il settore dell'edilizia. Negli ultimi anni, il settore delle costruzioni ha subìto cambiamenti significativi, sia per quanto riguarda le tecniche costruttive, che per i fattori legati alle strategie energetiche. Questa tendenza è confermata dalle Direttive Comunitarie, in particolare, la Direttiva 93/76, con preciso riferimento alle emissioni di CO2, stima che oltre il 40% del consumo globale di energia è da attribuire al settore dell'edilizia. Inoltre, il settore contribuisce pesantemente all'emissione di gas ad effetto serra.

L'aspetto positivo è che ci sono molte possibilità per migliorare le prestazioni energetiche degli edifici, utilizzando tecnologie già disponibili, quali l'isolamento termico, vetri con una migliore efficienza, sistemi di ventilazione con recupero di calore, e così via. La Direttiva citata, afferma che attraverso lo sfruttamento di fonti rinnovabili e l'ottimizzazione del comportamento termico degli edifici sarebbe possibile ridurre il livello di consumo attorno al 20%. I requisiti di migliori prestazioni aumentano sempre più, non solo a causa delle normative più severe, ma anche in relazione alle sempre crescenti esigenze di comfort per gli utenti la diffusione dei sistemi di condizionamento dell'aria, anche in casa, è solo un esempio di questa tendenza. Alla luce di questi aspetti, è necessario fare delle considerazioni e rivedere come gli edifici sono progettati e costruiti, al fine di fornire prestazioni di alto livello con un limitato impatto ambientale - che è semplicemente la definizione di sviluppo sostenibile applicato agli edifici [1]. La superficie di un edificio è l'elemento di mediazione tra l'interno di un edificio e l'ambiente in cui si trova. In realtà, è soggetto a diversi fenomeni fisici provenienti dall'ambiente esterno, che possono essere fenomeni climatici, meteorologici o sociali: esso

costituisce la barriera di protezione. Il suo ruolo è quindi garantire il comfort all'interno dell'edificio attraverso il controllo dei flussi termici, acustici e luminosi. Negli ultimi anni, l'attenzione al design e al progetto dell'edificio è aumentata non solo per la progettazione di nuove architetture, ma anche nell'ottica di riabilitazione e riqualificazione di edifici già esistenti [2]. Esistono varie tipologie di rivestimento della superficie di un edificio che possono essere classificate attraverso diversi criteri: superficie strutturale o non-strutturale, strato unico o multistrato, trasparente o non, superficie attiva o passiva [3]. I requisiti principali, che i rivestimenti degli edifici devono avere, sono: isolamento termico e acustico, resistenza al fuoco, resistenza all'umidità, resistenza agli urti, lavorabilità e sostenibilità. Per ogni requisito ci sono regolamenti e normative in cui sono elencati i valori minimi accettabili e le caratteristiche specifiche.

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fabbric a d el l e i d ee

All'interno della presente ricerca, si è deciso di studiare la possibilità di sviluppare un nuovo materiale isolante per i pannelli prefabbricati. I pannelli prefabbricati costituiscono una tipologia di rivestimento di facciata, con superficie non strutturale, multistrato e non trasparenti, che sono montati direttamente sulla parete esterna di edifici come strato finale. Essi sono costituiti da uno strato esterno in malta cementizia e uno strato interno, storicamente in polistirene espanso, per l'isolamento termico. Recentemente molte aziende hanno cercato e stanno cercando di sostituire lo strato isolante di polistirene, materiale noto per le problematiche di impatto ambientale, con altri materiali, come ad esempio la perlite, al fine di ottenere una migliore classificazione energetica. Tuttavia anche questo materiale non rappresenta una soluzione ottimale al problema. Ci si è quindi focalizzati sullo studio e sviluppo di un materiale composito innovativo, costituito prevalentemente da carta da macero, idoneo a sostituire lo strato di polistirene o perlite dei pannelli prefabbricati. I materiali compositi sono costituiti dalla combinazione di due o più materiali che hanno proprietà molto diverse tra loro. I diversi materiali lavorano insieme e conferiscono al materiale composito proprietà uniche. All'interno del composito si possono facilmente separare i diversi materiali che lo costituiscono - infatti essi non si dissolvono né si fondono l'uno nell'altro. Essi rimangono separati e distinti su scala macroscopica o microscopica all'interno della struttura finita. Il grande vantaggio ottenibile mediante l'uso di un materiale composito è relativo alla capacità di combinare diverse proprietà e caratteristiche che un unico materiale non consentirebbe di avere. Si è lavorato all'ottenimento di un materiale composito a matrice cellulosica, derivante dal riciclo di carta e cartone, opportunamente caricato e/o modificato chimicamente per veicolare funzionalità specifiche. La modificazione chimica delle fibre mira a migliorare il processo di fabbricazione, la modulazione delle proprietà meccaniche e la loro stabilizzazione sulla base delle nuove applicazioni. L'uso di specifici additivi mira al miglioramento delle proprietà di isolamento termico, resistenza al fuoco e all'umidità.

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Anno 6 - Numero 23

Un approccio originale per controllare l'isolamento termico e per mantenere la temperatura desiderata, per un periodo limitato di tempo, è rappresentato dal metodo di accumulo dell'energia termica [4]. Seguendo questa direzione è possibile ottenere un migliore isolamento termico (attivo) sfruttando il calore latente (di congelamento o fusione) proprio dei materiali a cambiamento di fase (PCM, Phase Change Materials) [5]. I PCM sono materiali che subiscono un cambiamento di fase, ad esempio dallo stato solido allo stato liquido, ad una propria temperatura specifica, selezionabile in base all'applicazione in cui sono utilizzati. In tali sistemi, l'energia fornita durante la fusione è recuperata durante il congelamento, e viceversa. Il calore latente è l'energia termica che deve essere assorbita o rilasciata durante il cambiamento di fase dei PCM. Le principali caratteristiche che rendono interessanti i PCM per nuove applicazioni risiedono nel poter selezionare la temperatura di transizione, e nel poter essere micro-incapsulati per ottenere una forma stabile. I materiali a cambiamento di fase sono stati studiati da diversi gruppi di ricerca a partire dagli anni '80, e nel corso degli ultimi decenni sono stati sperimentati nei laboratori di ricerca e proposti per varie applicazioni. Anche se questi materiali presentano evidenti vantaggi, uno dei problemi aperti, che ne limitano la diffusione, è legato alla loro incorporazione in matrici e strutture. E' stato studiato e sviluppato un metodo per l'integrazione di microcapsule di PCM all'interno di una matrice cellulosica per la realizzazione di un materiale composito stabile, in grado di unire alle proprietà strutturali della carta, le proprietà di isolamento termico attivo dei PCM. Dopo le analisi preliminari si è proceduto alla sperimentazione in laboratorio. La fase di incorporazione è stata sviluppata all'interno della fase di

riciclaggio della carta. Sempre in questa fase sono stati inglobati altri additivi. Dalla produzione si è ottenuta una polpa in materiale composito che è stata successivamente schiumata per ottenere un materiale più leggero e per sfruttare la presenza di aria quale isolante passivo. Il materiale composito finale presenta una struttura porosa ed è costituito da una matrice cellulosica caricata con: • PCM per ottenere alte performance di isolamento termico attivo; • additivi anti-umidità per garantire la resistenza all'acqua; • sali di boro per garantire proprietà ignifughe. Le analisi effettuate hanno permesso di verificare che tutti gli additivi risultano integrati in modo uniforme all'interno della matrice. Con il materiale ottenuto si sono sviluppate campionature di pannelli isolanti, le cui proprietà sono state testate e paragonate con quelle dei pannelli isolanti standard, in perlite, già sostituto del polistirene all'interno dei pannelli prefabbricati. Questo nuovo materiale ha dimostrato di avere migliori proprietà di isolamento rispetto ai pannelli standard utilizzati negli edifici (perlite). Inoltre, particolare attenzione è stata data alla sostenibilità e all'analisi dell'impatto ambientale dell'intero ciclo di vita del prodotto (LCA). Le caratteristiche meccaniche risultano peggiori rispetto ai pannelli attualmente utilizzati a causa della struttura porosa del materiale; tuttavia, i valori delle proprietà meccaniche risultano accettabili per l'applicazione considerata, non essendo il pannello una componente strutturale.


La ricerca sperimentale effettuata ha confermato la possibilità di ottenere un materiale innovativo e sostenibile a partire dalla carta da macero e con applicazioni promettenti nel settore dell'edilizia. È stato possibile migliorare le prestazioni del materiale composito sviluppato aggiungendo speciali additivi per conferire particolari proprietà (anti-umidità, flame-retardant). Il materiale realizzato presenta i requisiti necessari per essere un'alternativa ecosostenibile ai pannelli isolanti attualmente in uso, ulteriori sviluppi sono attualmente in corso presso i laboratori del Politecnico di Milano. *Politecnico di Milano

NOTE [1] Imperadori, M., Masera, G., Iannaccone, G. (2006): High energy efficient buildings: sustainable strategies based on structure/envelope techniques with artificial thermal inertia. Proceedings of the XXXIV IAHS World Congress on Housing Sustainable Housing Design Emphasizing Urban Housing, Napoli, 20-23 September. [2] Allen E. (1990). Fundamentals of building construction: materials and methods. John Wily & Sons, New York. [3] Brunoro, S. (2007): Efficienza energetica in clima mediterraneo. Soluzioni tecniche d’involucro per la riduzione del surriscaldamento estivo, INARCOS 702. [4] Melone, L., Altomare, L., Cigada, A., De Nardo, L. (2011): Phase change material cellulosic composites for the cold storage of perishable products: From material preparation to computational evaluation, Applied Energy 89, pp. 339-346. [5] Günther, E., Hiebler, S., Mehling, H. (2005): Determination of the heat storage capacity of PCM and PCM-objects as a function of temperature, Bavarian Center for Applied Energy Research, ZAE Bayern.

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REPORT

L’informatica e i social network al servizio dell’ecologia: il progetto ACI Il Fattore di Antropentropia, un nuovo efficace indicatore del degrado ambientale dei Comuni italiani di Roberto Albanesi*, Maria Grazia Albanesi** e Antonio di Gennaro***

I

l progetto non-profit ACI (Antropentropia dei Comuni Italiani) si propone di coinvolgere e sensibilizzare l’opinione pubblica sul problema del degrado ambientale italiano, con particolare attenzione all’irreversibile e crescente antropizzazione del territorio, attraverso una nuova proposta di indicatore che consente una rappresentazione immediata del fenomeno, obiettiva e a una scala di dettaglio pratica (equivalente a quella di carte tecniche regionali o comunali). Nato a metà del 2012 nell’ambito della vasta web community [1] del divulgatore scientifico Roberto Albanesi, il progetto ha attirato l’interesse di esperti italiani di web democracy [2] e di stampa specializzata sia per l’approccio che lo caratterizza, basato sull’uso complementare dei modelli dell’Open Data (acquisizione e uso di geodati pubblici in formato aperto, laddove disponibili) e del Social crowdsourcing (coinvolgimento del social network per la produzione di open data locali per le zone non coperte da dati pubblici), sia per gli strumenti utilizzati: procedure aperte e condivise dagli autori con la comunità, che prevedono l’uso di software GIS Open Source o di consolidati algoritmi di Computer Vision. La novità dell’indicatore proposto nel progetto ACI, definito FA (Fattore di Antropentropia), sta nel tentativo di considerare non solo il rapporto tra la somma delle aree antropizzate e l’estensione complessiva del territorio di riferimento ma, al contempo, di includere nella

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Anno 6 - Numero 23

valutazione anche la topologia (relative forme, continuità, contiguità, etc.) delle aree compromesse, al fine di quantificare anche l’effetto negativo della frammentazione del territorio antropizzato (Figura 1).

nei datasets regionali di uso del suolo acquisiti, nonché le limitrofe fasce di influenza (buffer) di ampiezza 50 m.

Dominio di studio e definizioni L’approccio di seguito descritto è una naturale traduzione in ambiente GIS del concetto di Fattore di Antropentropia FA [3], applicato ai Comuni di sette regioni italiane che hanno prodotto geodati ritenuti qualitativamente idonei allo scopo e che ne consentono l'acquisizione dai rispettivi geoportali web in formato aperto (non onerosa e, al limite, con soli vincoli di attribuzione). Come sintetizzato in Tabella 1, lo studio ha coperto complessivamente 48 province (sulle 110 italiane), per un totale di 3678 Comuni (il 45% degli 8092 Comuni italiani). L’indicatore FA è definito dal rapporto adimensionato AM FA = AS dove AS è l'estensione areale totale di un dominio di riferimento, inteso come fruito o teoricamente fruibile dall'uomo e dagli animali; AM è l'estensione complessiva (sommatoria) delle zone ecologicamente morte interne ad AS, cioè NON liberamente fruibili dall'uomo per fini ricreativi; sono state considerate tali numerose tipologie di uso antropico definite

Figura 1. Un esempio dell’effetto negativo della frammentazione dell’abitato sul consumo complessivo di suolo: nei due schemi è identica l’estensione complessiva dell’edificato (2,4 ha) Ma, a parità (36,3 ha) di territorio disponibile, il consumo di suolo aumenta con la dispersione delle unità abitative (aumento di pertinenze e fasce di influenza, nonché della viabilità)


In termini GIS, AM e AS sono temi, livelli informativi caratterizzati da una componente spaziale e una descrittiva, costituiti da oggetti omogenei e riconducibili a un modello di dati (Raster o Vector); in quanto temi, AM e AS sono derivabili da altri temi. Lo sforzo principale del progetto ACI si è concentrato sia nella selezione, tra le numerose fonti disponibili, dei migliori geodati (temi) di partenza, definendone tipologia e requisiti qualitativi minimi, sia nella definizione di una procedura di elaborazione tale da garantire la conservatività dei risultati (i valori calcolati dei fattori FA sono da considerarsi come limiti inferiori) e da consentire un immediato confronto tra diverse realtà geografico-amministrative. Le unità-dominio di studio AS corrispondono concettualmente ai limiti amministrativi dei Comuni forniti dall'Istat, non generalizzati e relativi all'anno 2011, con l'eccezione di quei Comuni dai quali, se presenti, sono state stralciate le porzioni di territorio ritenute di fatto non fruibili a priori (neutre nella terminologia ACI): in pratica, eventuali porzioni di territorio a quote > 3000 m s.l.m. e/o occupate da corpi idrici superficiali di estensione superiore a 2 km2. Tali assunzioni sono state previste dagli autori sulla base di una definizione condivisa di fruibilità del territorio (intesa come possibilità di usufruirne da parte di persone in salute, senza particolari attrezzature o tecniche e con rischi accettabili), nonché per coerenza con i Comuni costieri marini italiani, per i quali la linea di costa coincide con il limite amministrativo.

Sono state considerate ecologicamente morte tutte le aree corrispondenti ad utilizzi ritenuti antropici sulla base dell’analisi della documentazione tecnica e dei metadati dei geodati di seguito descritti; i rari dubbi di attribuzione sono stati risolti anche con l’ausilio del noto software GoogleEarth. Nel caso specifico delle cartografie di uso del suolo [4], la selezione semi-automatica delle classi antropiche (per attributi, in termini GIS) è stata facilitata dalla corrispondenza parziale delle legende regionali di uso del suolo con quella del progetto europeo CORINE (COoRdination of INformation on the Environment) Land Cover [5], di seguito CLC. Sono state attribuite alla suddetta categoria AM, ad esempio, le aree (e i relativi buffer) descritte nelle carte di uso del suolo come insediamenti abitativi in tessuto più o meno denso, gli insediamenti commerciali e industriali, ma anche le colture protette (sotto serra), le aree associabili a viabilità stradale e quella ferroviaria etc.

Strumenti I geodati acquisiti per il progetto ACI sono stati elaborati con Quantum GIS (QGIS) vers. 1.7.4 Wroclaw, un software desktop GIS Open Source tra i più diffusi, affidabili e user friendly, sviluppato da un attivo gruppo di volontari che emettono con regolarità documentazione, aggiornamenti e correzioni [6]. Le operazioni standard di analisi, selezione per attributi e geoprocessing sono state effettuate con comandi presenti nei menu di default della versione 1.7.4 dell'applicativo; per

ATOT

Numero

Numero

AMED Comuni

[km2]

Province

Comuni

[km2]

LOMBARDIA (3)

23863

12

1546

15,4

TRENTINO-ALTO ADIGE (4)

13605

2

333

40.8

VENETO (5)

18407

7

581

31,7

EMILIA-ROMAGNA (8)

22452

9

348

64,5

PUGLIA (16)

19490

6

258

75,5

SARDEGNA (20)

24100

8

377

63,9

LIGURIA (7)

5416

4

235

23,0

REGIONE (cod. Istat)

la sola operazione di pulizia dei campi degli attributi degli shapefiles, è stato utilizzato il plugin Table scaricabile da una delle repositories ufficiali del progetto QGIS.

TOTALE Progetto ACI

127333

48

3678

34,6

TOTALE Italia

302070

110

8092

37,2

Tabella 1. Caratteristiche geografico-amministrative delle regioni studiate nel progetto ACI

Figura 2. Un esempio di risultato esportato in formato .kml di GoogleEarth: il Comune di Albuzzano (PV); nel popup è leggibile anche il valore calcolato dell’indicatore FA (0,275)

Tipologia e fonti dei geodati utilizzati Per la costruzione del tema AS sono stati acquisiti ed elaborati geodati di tipo: • geografico-amministrativo (vettoriali): confini amministrativi di regioni, province e comuni rilasciati dall'Istat in versione non generalizzata, aggiornati al 1° gennaio 2011; • altimetrici (raster): DEM distribuito dal CGIAR Consortium for Spatial Information, per la selezione e lo stralcio di aree a quota > 3000 m s.l.m.; • idrografici (vettoriali), dal CISIS (Centro Interregionale per i Sistemi informatici e statistici) per la selezione e lo stralcio di aree occupate da corpi idrici di estensione > 2 km2. Per la costruzione del tema AM sono stati acquisiti e utilizzati datasets vettoriali rappresentativi di:

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REPORT

• uso del suolo regionale, con Unità Minima Mappata adatta agli scopi di studio (scala nominale compresa tra 1:5k e 1:25k) e legenda conforme almeno fino al 4° livello dello standard europeo Corine; acquisiti dai geoportali delle regioni oggetto di studio (Tabella 2); • viabilità stradale e ferroviaria, con spazi annessi, acquisiti dai geoportali regionali (database topografici, CTR) e/o dal database Strati Prioritari di interesse nazionale del CISIS. • edificato (cassoni edilizi), pertinenze industriali e viarie, da database topografici regionali di dettaglio, a integrare l'uso del suolo nel caso di scale < 1:10k.

Lo schema di elaborazione adottato è sintetizzato nei seguenti passaggi: A. definizione di un dominio raw di studio (Provincia) e acquisizione dei relativi geodati vettoriali geografico-amministrativi, di uso del suolo e di viabilità; pretrattamento dei dati (riproiezione in un sistema di riferimento comune, esclusione di zone neutre) e definizione di un dominio vetto-

riale complessivo AS netto, suddiviso in sottodomìni ASi (Comuni); B. costruzione del livello informativo AM, per unione e fusione (dissolve) di: • poligoni di uso del suolo antropici, selezionati (by attributes) con queries diverse per ogni regione, definite preventivamente in base alle legende dei dataset; estesi verso l'esterno per ulteriori 50 m (buffer); • assi di viabilità stradale primaria e secondaria e spazi annessi, tratti di viabilità ferroviaria, estesi (buffer) a creare una fascia morta di semiampiezza 50 m; • poligoni rappresentativi dell'edificato di dettaglio (a scala maggiore di 1:10k), per le sole regioni con uso del suolo penalizzato da scala minore di 1:10k. C. suddivisione (per intersezione) del tema AM in sottodomìni di interesse AMi (Comuni); calcolo delle aree AMi, ASi e del rapporto FAi = AMi / ASi. La relativa omogeneità dei dati e il formato comune (ESRI shapefile, a primitive di tipo poligono e/o linee) hanno permesso di tradurre il suddetto schema in una procedura di dettaglio a 12 steps, ognuno dei quali è co-

Figura 3. Esempio di rappresentazione grafica dei risultati del progetto ACI: le zone AM (ecologicamente morte) per i Comuni della provincia di Como

Figura 4. Esempio di rappresentazione grafica dei risultati del progetto ACI: il Fattore di Antropentropia per i Comuni della provincia di Como

Procedura

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stituito da un'operazione standard (selezione, geoprocessing di base, modifica degli attributi) in ambiente QuantumGIS; coerentemente con gli scopi del progetto ACI, i dettagli dei passaggi della procedura (queries regionali, paths dei comandi, nomenclatura dei files di lavoro, etc.) sono a disposizione della comunità di volontari.

Risultati e commenti La procedura applicata a ognuna delle 48 Province studiate produce uno shapefile caratterizzato da tanti records quanti sono i Comuni della provincia stessa; ogni record-Comune corrisponde ad un poligono unico a geometria complessa rappresentante il tema AMi (zone morte del Comune); nella tavola degli attributi si trova ovviamente anche il campo FA, contenente il valore del Fattore di Antropentropia calcolato per ogni Comune. Per una condivisione immediata dei risultati, gli shapefiles sono stati convertiti nel formato .kml (Keyhole Markup Language) di Google Earth (Figura 2); le tabelle degli attributi sono state altresì esportate come fogli di calcolo .xls ulteriormente editabili. I files dei risultati per ciascuna Provincia di studio, dettagliati per ogni Comune, sono già disponibili e liberamente scaricabili [7]; è attualmente in preparazione la documentazione tecnica di dettaglio del progetto, contenente anche necessarie considerazioni sui limiti dello studio, riconoscimenti alle fonti e un’elaborazione statistica di base dei risultati. Per come è stato definito, il Fattore di Antropentropia FA risulta variabile tra i valori limite di 0 (totale fruibilità del territorio) e 1 (totale utilizzo antropico) e si presta comprensibilmente a immediati confronti tra realtà territoriali diverse o tra differenti situazioni temporali, particolarmente utili nell'ottica di una moderna e responsabile pianificazione territoriale. Si presta, tra l'altro, a vestizioni grafiche particolarmente efficaci, ad esempio attraverso la legenda cromatica proposta dagli stessi autori (Figura 3 e Figura 4): le risultanti istantanee della situazione attuale sono disponibili con i dati di sintesi, per tutte le province delle regioni studiate nel progetto ACI, in formato A3 pdf sul sito della comunità. Si sottolinea che le caratteristiche spaziali e


temporali dei dati utiUMM N_LIV N_CL CRS lizzati, la ridondanza REGIONE Anno Scala PRIM. [ha] [ ] [ ] [EPSG] di quelli relativi ad alcuni usi del suolo LOMBARDIA 2007 0,16 V 72 1:10.000 POL/LIN 32632 particolarmente critiVENETO 2007 0,25 V 173 1:10.000 POL 3003 ci, le assunzioni e le EMILIA-ROMAGNA 2008 1,56 IV 83 1:25.000 POL 32632 sovrapposizioni ragionate previste dalla PUGLIA 2007 0,25 IV 69 1:5.000 POL 32633 procedura, consentoSARDEGNA 2008 0,50 V 76 1:25.000 POL/LIN 3003 no di ottenere risultati Prov. Aut. di TRENTO 2000 0,50 IV 67 1:10.000 POL 3064 che possono essere considerati ottimistiProv. Aut. di BOLZANO 1991-97 0,16 III 33 1:10.000 POL 3064 ci, ovvero valori-limite LIGURIA 2010 0,50 IV 75 1:10.000 POL 32632 inferiori del FA di ciascun Comune delle Tabella 2. Caratteristiche dei datasets di uso del suolo acquisiti ed elaborati: UMM = Unità Minima Mappata; N_LIV e N_CL = numero livelli e regioni di studio: in classi uniche della legenda; PRIM = tipologia di primitiva dei dataset (POL = poligoni; LIN = linee); CRS = sistema di riferimento pratica, il FA reale non può essere minore di quello calcolato e della fascia di pianura Padana che va dall’hin- sposizione un terreno di SOLI (incredibile, ma rappresentato. terland milanese alla provincia di Padova, con vero!) settanta metri per settanta, ogni metro Preso atto di ciò, il quadro complessivo che estremi negativi nel territorio della provincia della penisola sarebbe urbanizzato: certo proemerge dallo studio fotografa una situazione di Monza e Brianza; altrettanto evidente il pe- testerebbero quelli che dovrebbero costruirsi particolarmente preoccupante in vaste aree sante effetto “antropizzante” della via Emilia, la villa sulle cime delle Alpi o in mezzo al lago nonché la netta e Trasimeno... prevedibile diversi*Thea s.r.l., responsabile del progetto ACI ficazione di uso del **Università di Pavia, Dipartimento di suolo tra Comuni Ingegneria Industriale e dell’Informazione montani e di pianu***Esperto in bonifiche siti contaminati ra anche all’interno e modellistica idrogeologica delle stesse province (Como, Brescia, etc.) o tra comuni costieri NOTE e interni di province [1] www.albanesi.it, dal 2000 sito di riferimento quali Savona, Genodel mondo del benessere in Italia va o Rimini. [2] Con il crowdsourcing la mappa del degrado Spicca, in Puglia, la ambientale italiano, articolo su Il Sole 24 Ore del 20/1/2013 notevole antropiz[3] come definito in La democrazia del benessere, zazione dei Comuni R. Albanesi, THEA Edizioni, 2012 (ISBN 978-88del Salento, proba89017-32-6) bilmente imputabile [4] tra i livelli informativi utilizzati per la anche a discutibili costruzione del tema AM, quello relativo all'uso modelli di sviluppo del suolo ha rivestito il ruolo di maggiore importanza, al punto che la valutazione di edilizio (orizzontale) alcune sue specifiche caratteristiche (copertura ed economico (regeografica, scala, unità areale minima mappata, cente boom turistico categorie previste) ha di fatto limitato il e “riminizzazione” di dominio dell'analisi alle sole regioni italiane porzioni di territorio). che dispongono di dati di qualità accettabile e Per ribadire il senso confrontabile. del progetto, basta [5] www.eea.europa.eu/publications/ COR0-landcover ricordare l'ipotesi del [6] www.qgis.org cemento: se ognuno [7] www.albanesi.it/Ambiente/ACI.htm di noi avesse a diFigura 5. Lo stato di fatto del progetto ACI al 10/4/2013

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SPECIA LE

La modellazione dei processi di attenuazione naturale Lo sviluppo del modello numerico di un acquifero contaminato dai percolati rilasciati a valle della discarica della Maza, in Trentino di E. Meneghetti*, A. Bellin*, F. Boso** e O. Cainelli***

La modellazione dell'impatto sull'acquifero di percolati provenienti dal lotto più vecchio della discarica comprensoriale di rifiuti solidi situata in località Maza nel comune di Arco (TN) è stata oggetto della tesi di laurea magistrale dal titolo “Modellazione dei processi di attenuazione naturale nell’acquifero a valle della discarica della Maza (Arco, Trento)” difesa dalla laureanda Meneghetti Erica (relatore Prof. A. Bellin, correlatori Ing. F. Boso e Ing. O. Cainelli) presso l’Università degli studi di Trento. La tesi ha ricevuto il premio RemTech 2012 per le migliori tesi di laurea magistrale.

L

a discarica è collocata alla base del versante occidentale del monte Brugnolo, propaggine meridionale del Monte Stivo, all’interno dell’area comunale di Arco. Essa si trova quindi a presidiare l’ingresso nord della valle del Linfano, dove si incunea anche il corso del fiume Sarca. Attualmente risulta suddivisa in due lotti: il primo è rimasto atti-

vo dai primi anni ’70 fino alla fine degli anni ’90, e risulta soltanto parzialmente impermeabilizzato (nella zona più bassa è dotato di una vasca di raccolta del percolato che viene regolarmente smaltito). Il secondo lotto invece è ancora coltivato ed è provvisto di impermeabilizzazione al fondo e di una rete di raccolta del percolato, nonché di una vasca per il suo stoccaggio (Figura 1). Nel dicembre del 2009 proprio il nuovo lotto è stato protagonista di un episodio di sversamento di percolato, tracimato dalle vasche di raccolta. A seguito di questo evento è stato dichiarato lo stato di emergenza e, tra le altre disposizioni, è stata richiesta la realizzazione di un sistema di monitoraggio della falda circostante l’area. Nell’arco del 2010 sono state effetFigura 1. Inquadramento della zona di studio discarica comprensoriale di tuate quattro campagne di misura della piezometria e rifiuti solidi in località Maza di Arco

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tre campagne per l’analisi della qualità delle acque sia superficiali che di falda. Dai risultati di queste analisi si è riscontrato, per alcuni punti, il superamento delle concentrazioni di soglia indicate dal D.Lgs. 152/06 per Ferro e Manganese. Da qui la necessità di un intervento per la messa in sicurezza del sito. L’obiettivo del presente lavoro è stato dunque quello di realizzare attraverso l’uso della modellistica numerica uno strumento specifico per il sito in questione, in grado di fornire un supporto durante un’eventuale fase di progettazione per la sua messa in sicurezza. Si è proceduto quindi con un’analisi preliminare dei dati a disposizione, costruendo poi un modello concettuale come base di partenza per lo sviluppo del modello numerico e quindi per la simulazione del flusso e del trasporto degli inquinanti all’interno dell’acquifero a valle della discarica. Tale modello è stato infine utilizzato per simulare alcuni scenari d’intervento.

Modellazione numerica Partendo dal modello concettuale, è stata realizzata una griglia tridimensionale, delimitando opportunamente i contorni dell’area d’interesse sulla base delle informazioni disponibili per la definizione delle condizioni al contorno (affioramenti rocciosi, misure di piezometria, ecc.). A partire dalle informazioni geologiche e stratigrafiche a disposizione si è individuata la successione in verticale di sei strati di di-


verso spessore con differenti caratteristiche di permeabilità. Si sono considerati anche l’interazione tra l’acquifero e il fiume Sarca, corso d’acqua principale della zona, e l’apporto idrico derivante dalle precipitazioni. Nella fase di sviluppo del modello numerico ci si è avvalsi dell’interfaccia grafica GMS (Groundwater Modelling System), che utilizza i codici MODFLOW, per la soluzione del flusso all’interno di un mezzo poroso saturo con il metodo delle differenze finite, e RT3D, per la soluzione del trasporto multi-specie per contaminanti reattivi. Per quanto riguarda la simulazione del flusso è stato adottato un modello stazionario, ossia rappresentativo di una situazione mediata nel tempo, i cui parametri sono stati calibrati confrontando il risultato numerico con le misure osservate durante varie campagne di monitoraggio. Una volta ottenuta la soluzione del campo di moto, questa è stata utilizzata come base per lo sviluppo del modello di trasporto reattivo. La contaminazione della falda con materia organica comporta l’innesco di una serie di reazioni di biodegradazione che modificano le caratteristiche chimiche e fisiche dell’acqua. Nelle acque di falda, a causa della difficoltà di riossigenazione della stessa, risultano di particolare importanza i processi di ossidoriduzione degli inquinanti mediati microbiologicamente. Tali processi avvengono in sequenza, poiché i batteri degradatori innescano per prime le reazioni che liberano maggiore energia, e solo dopo, a cascata, le alternative meno efficienti. Si vengono così a creare successioni di zone red-ox lungo la direzione principale del flusso, come per altro osservato a valle di molteplici siti contaminati da composti organici biodegradabili [1] (Figura 2). Questo processo è stato osservato anche nel nostro caso studio. Nella parte più interna del plume, dove le concentrazioni di inquinante sono maggiori e gli agenti ossidanti disponibili sono già stati utilizzati, sono attivi processi anaerobici come la metanogenesi e la riduzione di Solfati, Ferro e Manganese. Al margine della nube di contaminante, invece, la diffusione e la dispersione di ossigeno e nitrati verso il cuore del plume alimentano le zone di degradazione aerobiche e anossiche (Rolle et al., 2008).

ΔG°

Processo

Reazione RedOx

Respirazione aerobica

CH2O+O2→CO2+H2O

Denitrificazione

5CH2O+4NO 3+4H →5CO2+2N2+7H2O

-114

Riduzione del Manganese

CH2O+2MnO2+4H →CO2+2Mn +3H2O

-81

Riduzione del Ferro

CH2O+4Fe(OH)3+8H →CO2+4Fe +11H2O

-28

Riduzione dei Solfati

2CH2O+SO 4+H →2CO2+HS +2H2O

-25

Metanogenesi

2CH2O+CO2→2CO2+CH4

-22

-

-120

+

+

+

2-

[kcal/mol]

+

2+

2+

-

Tabella 1. Serie di reazioni ossidoriduttive per la degradazione di sostanza organica generica (Rolle et al. 2008)

Per descrivere il comportamento reattivo dei Il modello di trasporto, innestato su una socontaminanti in gioco si è scelto di adottare luzione del flusso stazionaria, simula l'evoluil modello cinetico proposto da Rolle et al. nel zione dei differenti pennacchi di contamina2008 [4]. Questo modello rappresenta in ma- zione per un periodo sufficientemente lungo a niera semplificata la serie di reazioni red-ox per raggiungere le condizioni di stazionarietà dei la degradazione di sostanza organica generi- plume. ca (Tabella 1). Come suggerito in Rolle et al. (2008), è stato sviluppato un apposito modulo, Applicazioni da inserire in GMS, per poter simulare il com- Il modello calibrato è stato infine applicato portamento reattivo di 10 sostanze chimiche (8 per simulare alcune ipotesi di intervento per mobili, cioè disciolte nell'acqua, e 2 immobili, la messa in sicurezza del sito. Poiché gli uniossia presenti nella matrice solida), attraverso ci contaminanti che superano i valori limite un sistema di equazioni differenziali che simu- di legge (D.Lgs. 152/06) sono gli ioni Ferro e lano il consumo degli accettori di elettroni e la Manganese, entrambi considerati dal modello formazione dei rispettivi sottoprodotti metabo- cinetico sottoprodotti metabolici, si è pensalici (tra cui Ferro e Manganese in forma disciol- to di sfruttare proprio i meccanismi di degrata). Tale approccio prevede che le velocità di dazione naturale per bonificare il sito. Infatti, reazione si modifichino in base alla presenza fornendo al sistema un quantitativo sufficiente dei vari accettori di elettroni, invece che dipen- di ossigeno e/o nitrati, è possibile inibire i prodere solo dalle concentrazioni delle specie red- cessi di riduzione di Ferro e Manganese, imox dominanti. pedendone il rilascio in forma mobile. Si sono A partire dall’osservazione delle analisi chimi- quindi proposte due tipologie di intervento: la che a disposizione si è collocata la sorgente prima basata sull’introduzione in falda di ossidi contaminazione alla base del primo lotto della discarica, imponendo una portata costante di 1 l/s e concentrazioni all’immissione pari ai valori massimi registrati. I parametri necessari all’esecuzione del modello di trasporto sono stati calibrati confrontando il risultato numerico con l’andamento e l’estensione dei plume osservati. Figura 2. Zonazione RedOx

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SPECIA LE

Risultati Si propone di seguito il confronto tra i risultati numerici del modello calibrato, a destra, e l’interpolazione spaziale delle concentrazioni misurate, a sinistra. L'area delimitata in rosso rappresenta la zona di confronto, entro cui si può ragionevolmente ipotizzare il primo lotto della discarica come unica sorgente di contaminazione. Le distribuzioni spaziali di Ossigeno (Figura 3), Ferro Totale (Figura 4) e Solfati (Figura 5) riescono ad essere ben riprodotte, mentre i Nitrati misurati presentano concentrazioni maggiori all’immissione, con conseguente degradazione lungo la direzione di flusso, rispetto alle concentrazioni previste dal modello (Figura 6). Le misurazioni, infatti, rilevano un nuovo incremento verso valle, che fa sospettare la presenza di ulteriori sorgenti di contaminazione, riconducibili sempre al primo lotto, che seguono vie preferenziali del percolato o a diversi percorsi all’interno del versante che rispondono a eterogeneità di scala più piccola rispetto alle quali il modello non è sensibile. L’estensione del plume per il risultato numerico del Manganese Totale risulta invece inferiore a quella osservata, anche se si sono ottenute delle concentrazioni dello stesso ordine di grandezza (Figura 7). Nella Figura 8 si può apprezzare infine l’efficacia del modello nel simulare la degradazione dell’inquinante. Considerate le elevate incertezze dovute alla carenza di dati e la complessità dei processi, i risultati ottenuti con il modello di trasporto reattivo sono piuttosto buoni. Essi hanno permesso di valutare l’azione svolta dai processi di natural attenuation in atto a valle della discarica, mostrando in maniera chiara l’evoluzione spaziale e temporale della zonazione red-ox che caratterizza la degradazione del percolato.

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Figura 3. Ossigeno disciolto confronto tra valori osservati (sinistra) e soluzione numerica (destra)

Figura 6. Nitrati confronto tra valori osservati (sinistra) e soluzione numerica (destra)

Figura 4. Ferro Totale confronto tra valori osservati (sinistra) e soluzione numerica (destra)

Figura 7. Manganese Totale confronto tra valori osservati (sinistra) e soluzione numerica (destra)

Figura 5. Solfati confronto tra valori osservati (sinistra) e soluzione numerica (destra)

Figura 8. Confronto tra il plume della generica sostanza organica inquinante (sinistra) ed un tracciante (soluzione numerica)

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genatori che mantengano una data concentrazione di ossigeno disciolto, la seconda impostata invece sull’immissione nell’acquifero di determinate portate di acqua in condizioni aerobiche. Per quanto riguarda la simulazione degli aeratori all’interno di alcuni pozzi, alle celle associate a questi punti sono state imposte delle concentrazioni fissate nel tempo, ossia si sono considerati gli ossigenatori ad efficienza costante. Tale ipotesi risulta però alquanto limitante, poiché nella realtà gli aeratori presentano efficienze basse e che calano velocemente nel tempo. Per questo si è sviluppata anche una seconda proposta, simulando l’immissione in falda di un flusso caratterizzato da determinate concentrazioni di elementi ossidanti. Per questo tipo di applicazione si è proposto semplicemente l’utilizzo di acqua in condizioni aerobiche, ma potrebbero essere utilizzate anche specie chimiche fortemente ossidanti come il permanganato di potassio. Per quanto riguarda la prima ipotesi, la soluzione più efficace è risultata essere quella che prevedeva l’inserimento di quattro punti di aerazione a valle del punto sorgente. Con un tempo di simulazione di circa due anni e mezzo si è arrivati ad una distribuzione delle concentrazioni stazionaria molto limitata nello spazio. Si nota come la presenza degli ossigenatori impedisca al plume di estendersi oltre, mantenendo concentrazioni superiori a quelle ammissibili (area rossa) solo nella zona a monte.

Per la seconda proposta progettuale si sono inseriti due soli pozzi per l’immissione di acqua satura di ossigeno. Tale disposizione ha creato una barriera idraulica sufficiente a mantenere circoscritta all’area a monte dei pozzi la zona di sforamento dei limiti di legge per Ferro e Manganese. In questo caso si è raggiunta la condizione di stazionarietà della soluzione dopo circa 14 mesi. Entrambe le soluzioni risultano abbattere i valori di Ferro e Manganese al di sotto dei limiti di legge (Figura 9), ma la seconda alternativa risulta essere più efficace, poiché, modificando il campo di moto, facilita la distribuzione ed il mescolamento dell’ossigeno all’interno del plume. In questo caso, la contaminazione in falda verrebbe abbattuta al di sotto dei limiti di legge in un arco temporale dell’ordine dei due anni, nel quale si raggiungerebbe la stazionarietà delle concentrazioni.

Conclusioni In conclusione, dopo aver costruito un modello di trasporto reattivo in grado di simulare la degradazione della sostanza organica presente nel percolato che contamina la falda a valle della discarica della Maza, sono stati proposti alcuni scenari di intervento basati sull'incentivazione dei processi naturali attraverso l'immissione di ossigeno in falda. Tuttavia va osservato che i risultati ottenuti sono caratterizzati da incertezze legate soprattutto alla carenza di informazioni spe-

Figura 9. Confronto tra la situazione di partenza (sinistra) e le soluzioni progettuali con pozzi di immissione (centro) e aeratori (destra)

cifiche, come ad esempio la composizione chimica del terreno che compone l'acquifero, informazioni sulle cinetiche di reazione delle specie considerate e una caratterizzazione della sorgente di contaminazione. Anche se il corpo rifiuti presente nel lotto vecchio appare prevalentemente mineralizzato e l’area di superamento delle concentrazioni massime ammissibili sembra essere alquanto limitata, non è possibile, secondo le norme di legge vigenti (D.Lgs. 152/06) non operare alcun tipo di intervento per la messa in sicurezza del sito. Allo stato attuale, grazie alla campagna di monitoraggio in corso, si sono osservati risultati di attenuazione naturale molto positivi. Ciò significa che il complesso sistema dei processi ossidoriduttivi ad opera dei microorganismi presenti nell’acquifero, anche se con scale temporali maggiori di quelle che potrebbero essere ricondotte ad interventi antropici di bonifica, sarebbe comunque in grado di rimuovere gli inquinanti introdotti, riportando la falda al suo stato naturale, considerato anche il fatto che la sorgente di contaminazione è ormai praticamente esaurita. * Università degli studi di Trento ** University of California, San Diego (US) *** Smart Hydrogeological Solutions s.r.l.

NOTE [1] Baedecker M. J., Back W. (1979); Hydrogeological Processes and Chemical Reactions at a Landfill; Ground Water, vol.17, n°5. [2] Ludvigsen L., Albrechtsen H.-J., Heron G., Bjerg P.L., Christensen T.H., (1998); Anaerobic microbial redox processes in a landfill leachate contaminated acquifer (Grindsted, Denmark); Journal of Contaminant Hydrology, vol. 33, pagg. 273-291. [3] Christensen T. H., Kjeldsen P., Bjerg P. L., Jensen D. L., Christensen J. B., Baun A., Albrechtsen H., Heron G. (2000); Biogeochemistry of landfill leachate plumes; Applied Geochemistry vol.16 (2001), pp.659718. [4] Rolle M., Clement T. P., Sethi R., Di Molfetta A. (2008); A kinetic approach for simulating redox-controlled fringe and core biodegradation processes in groundwater: model development and application to a landfill site in Piedmont, Italy; Hydrol. Process. Vol.22, pp.4905-4921.

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BIG BAGS: un sacco di soluzioni per ogni esigenza Dal 1928 Minini opera nel settore degli imballaggi ricercando con i propri clienti la giusta risposta ad ogni necessità di Maria Beatrice Celino

L

e origini di quello che è oggi Minini Imballaggi sono da ricercare nel 1928 quando il padre di Bruno Minini ha iniziato ad occuparsi di imballaggi, commercializzando i sacchi di juta che allora venivano largamente impiegati per il confezionamento di prodotti agricoli e minerari. Intuendo le potenzialità del settore, nel 1967 Bruno Minini costituisce la Minini Bruno & C. ed inizia ad occuparsi anche delle attività legate al recupero dei rifiuti, dagli imballaggi in carta ai pallet in legno, fino ad arrivare al recupero dei sacconi in rafia sintetica, chiamati anche big bag, che arrivavano dall’estero e che erano rivenduti come sacchi usati trovando impiego in vari settori.

Per saperne di più su come Minini Imballaggi sia arrivata ad avere nella commercializzazione dei big bag il suo core-business abbiamo intervistato Sebastiano Minini, uno dei figli di Bruno, che oggi si occupa di direzione aziendale e di marketing. In che modo Minini Imballaggi è arrivata ad essere una delle maggiori aziende in Italia a commercializzare big bags? Dal recupero e rivendita dei sacchi in plastica ai big bags il passo non è stato lungo. Abbiamo subito intuito il mercato che poteva avere questo tipo di prodotto e quando hanno iniziato ad essere introdotti anche in Italia, partendo dal basso, abbiamo cercato di farci

7 BUONI MOTIVI PER UTILIZZARE UN BIG BAG 1. Sopporta un carico fino a 1000 volte superiore al suo peso 2. Elimina l’impiego di pallet, in quanto possiede un sistema di sollevamento integrato 3. Una volta vuoto può essere ripiegato e ridurre così al minimo gli spazi occupati in magazzino 4. E’ riutilizzabile più volte in relazione alle caratteristiche costruttive 5. Con la stampa del logo aziendale diventa veicolo pubblicitario 6. E’ riciclabile, come richiesto dalle direttive comunitarie, perché costituito al 100% da polipropilene 7. E’ sicuro: non si verificano perdite di materiale o contaminazioni dell’ambiente lavorativo

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un’esperienza completa di tutte le fasi di impiego dei big bag. Siamo andati a vedere nei vari settori come venivano utilizzati, riempiti, svuotati e trasportati ed in base a come risultavano i sacchi dopo i vari impieghi abbiamo individuato i produttori migliori, quelli che facevano i sacchi più resistenti e che quindi risultavano maggiormente integri dopo l’uso. Perciò negli anni ’90 siamo andati in Turchia, dove l’industria tessile era già allora molto specializzata, e abbiamo trovato quello che attualmente è il nostro principale fornitore. Come dicevo prima, non era da molto che questi imballaggi erano stati introdotti in Italia quindi abbiamo un po’ anticipato il mercato e con una produzione delocalizzata in Turchia, che ci garantiva al tempo stesso prezzi competitivi e qualità elevata, abbiamo cercato di farci largo in questo settore di mercato fino a raggiungere la posizione che abbiamo ora e che possiamo definire di predominanza. Siamo partiti dalla Turchia ma in seguito siamo andati anche in India e nel Far East in modo da tenere monitorato il mercato soprattutto ora che l’utilizzo del big bag si è diffuso in modo esponenziale. Cosa vuol dire “Essere Minini”? Essere Minini è il nostro slogan e rappresenta un po’ il modo in cui abbiamo cercato di contraddistinguerci in questi anni. All’inizio il fatto di aver optato per l’importazione dalla Turchia era visto come un modo di rovinare il mercato fornendo prodotti a costo inferiore e di bassa qualità.


Questo non era vero allora e non lo è neanche oggi che importiamo dall’India. Il sistema di produzione integrato dei nostri fornitori era un qualcosa che in Italia non c’era e garantiva l’elevata qualità del prodotto tant’è che oggi, al contrario, alcuni clienti non ci chiamano in quanto pensano che il nostro prodotto sia di qualità troppo elevata e temono quindi che il costo sia alto di conseguenza.

Con l’impegno e l’attenzione per le esigenze dei clienti siamo riusciti a cambiare l’idea che il pubblico aveva di noi: da azienda di commercianti all’arrembaggio ad azienda seria che fornisce un prodotto di qualità. In questo modo, senza mai cambiare la nostra politica aziendale, siamo giunti oggi ad essere i primi in Italia nella commercializzazione di big bags.

Ma parliamo di big bags, qual è il segreto del loro successo? Il big bag, nella distinzione classica tra imballaggi primari, secondari e terziari rappresenta un po’ un’anomalia in quanto sarebbe un imballaggio primario poiché contiene del prodotto sfuso al suo interno, però al tempo stesso non va sugli scaffali, non necessita di imballaggi secondari o terziari per il trasporto e non ha neppure bisogno di un contenitore finale per lo stoccaggio poiché può rappresentare da solo un sistema di stoccaggio. Può contenere volumi fino a 3 mc sopportando carichi fino a 2 tonnellate, contenendo qualsiasi tipo di materiale sfuso, dai prodotti polverosi, per i quali è diffusissimo, ai prodotti alimentari (pasta, farina), dai giunti per ponteggi ai prodotti colloidali o semiliquidi. E’ inoltre caratterizzato da diversi sistemi di chiusura per cui può essere riempito e svuotato in diversi modi in base alle esigenze del processo o delle lavorazioni. Il segreto del successo di questo tipo di imballaggio sta proprio in queste numerose peculiarità che ne hanno favorito la diffusione capillare in tantissimi settori. Rispetto all’utilizzo che se ne fa all’estero si può in realtà dire che in Italia c’è ancora molta strada da fare. Ci sono infatti una serie di settori nei quali per mentalità non siamo abituati a pensare di usare i big bags. Faccio l’esempio dell’edilizia: in Inghilterra e in altri Paesi europei i big-bags sono diffusissimi sia per contenere gli inerti sia per trasportare materiali da edilizia sfusi, tanto da aver assunto la denominazione di “builder bag”. In Italia invece sono pochissimi ad usarli nonostante i vantaggi, in termini di logistica, trasporti e spazi, sarebbero tantissimi. Quanto è diffuso il big bag nel settore dell’ecologia? Il settore dell’ecologia non è il primo su cui ci siamo affacciati ma è il primo verso cui ci siamo indirizzati e infatti ora rappresenta una percentuale del 50% delle nostre vendite. I prodotti più diffusi in questo settore sono i big bags omologati ONU per contenere rifiuti pericolosi e i big bags omologati ONU per contenere amianto.

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pa n o ra m a a zi end e

STIAMO LAVORANDO PER VOI UN MODO DI DIRE CHE PER CARRARO FRATELLI è UN MODO DI FARE, AL SERVIZIO COSTANTE DEI CLIENTI E DELLE LORO NECESSITà di Maria Beatrice Celino

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a ditta Carraro F.lli nasce nel 1975 quando i tre fratelli Carraro iniziano l’attività di scavo e movimento terra prevalentemente legata all’agricoltura. Nel corso degli anni le richieste esigenti del settore e del mercato, hanno contribuito all’evoluzione dell’azienda, che oggi può rispondere a qualsiasi esigenza del settore edilizio. Abbiamo visitato la sede dell’azienda a Campodarsego in provincia di Padova dove abbiamo parlato con Mirko Carraro, figlio di uno dei tre fratelli Carraro, che oggi ricopre il ruolo di Responsabile Tecnico Commerciale. Dal 1975 come si è evoluta l’azienda per arrivare a quello che è oggi? Abbiamo avuto una partenza un po’ in sordina come ditta legata prevalentemente agli scavi nel settore agricolo, però grazie all’attenzione costante e continua di mio padre per la normativa siamo sempre stati un po’ dei precursori nel mettere in atto le nuove disposizioni di legge. Nel 1989 abbiamo ottenuto l’autorizzazione per la messa in riserva dei rifiuti, che abbiamo sempre mantenuto, e qualche anno dopo abbiamo avuto l’autorizzazione per il trattamento. Da subito ci siamo indirizzati verso una tipologia di impianto fisso e nel 2000 abbiamo avviato l’impianto per il riciclaggio del materiale proveniente da scavi e demolizioni. Pensavamo in quel momento di essere giunti al termine dello sviluppo dell’azienda ma in realtà da quel momento abbiamo iniziato a lavorare ancor più

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intensamente, occupandoci dell’intera catena produttiva: dal supporto alle attività di scavo e demolizione alla raccolta, dal trasporto fino al trattamento e al recupero del materiale. All’inizio avevamo un raggio di azione molto ristretto, adesso invece, complice anche l’attuale situazione di mercato che ha fatto capitolare molti dei nostri concorrenti, copriamo quasi tutte le province venete spingendoci talvolta fino a Udine e in Trentino. Anche se sulla carta non c’è una logica nel fare 100/150 km per andare a prelevare del materiale evidentemente ci sono una serie di altri motivi legati al servizio che offriamo, alla velocità e al tempismo nonché alla professionalità dell’azienda. Carraro Fratelli è la classica azienda del secolo scorso che si è trovata a dover affrontare il passaggio generazionale. La vecchia generazione che ha creato tutto questo tirandosi su le maniche, svegliandosi presto al mattino e facendo crescere l’impresa ad un certo punto ha dovuto passare lo scettro alla nuova generazione, che per resistere in momento come questi e continuare a svilupparsi, ha dovuto puntare su idee nuove. Su cosa stanno puntando quindi le nuove generazioni per il presente e per il futuro dell’azienda? Nel corso degli anni siamo sempre stati molto attenti alle esigenze dei clienti. Abbiamo sempre cercato di tenerci aggiornati in modo da poter fornire loro la nostra competenza e il

nostro supporto. Spesso ci è capitato addirittura di fare formazione per i nostri clienti: per gli adempimenti dei permessi di trasporto, per la parte analitica, per le nuove procedure del Sistri. E’ anche questo un modo per fidelizzare i clienti. Un altro aspetto significativo e specchio del cambiamento aziendale è rappresentato dal fatto che si è passati dall’avere solo autisti, escavatoristi e manovali come dipendenti ad assumere un buon numero di impiegati, destinati ad occuparsi della parte documentale amministrativa e ambientale, e anche un Chimico, il dott. Stefano Ranzato, che ricopre il ruolo di Responsabile Ambientale e grazie al quale possiamo dare un supporto e delle consulenze che prima non riuscivamo a fornire. Quali tipologie di materiale produce l’impianto? L’impianto produce in uscita 4 tipologie di materiale, sostanzialmente 4 granulometrie diverse di prodotto: • sabbia riciclata (0-8 mm) usata come sabbia da reinterro tubazioni o sottofondi per piazzali; • stabilizzato riciclato (0-30 mm) usato per sagomature strade e piazzali o reinterro scavi; • macinato riciclato (30-80 mm) usato come materiale drenante; • misto riciclato (0-80 mm) usato per rilevati stradali, riempimenti o piazzali.


Regione Toscana

mostra-convegno internazionale

terrafutura buone pratiche di vita, di governo e d’impresa

Firenze - Fortezza da Basso

17/19 maggio 2013 X edizione | ingresso libero 2004-20 13

Il materiale in uscita è certificato CE e su ciascun lotto di produzione (almeno ogni 2000 mc) eseguiamo dei controlli per la verifica delle caratteristiche prestazionali e chimiche. Oltre alle certificazioni del materiale ci tengo a sottolineare che l’azienda ha messo in atto un sistema integrato di gestione ambientale che ottempera alle due normative ISO 14001 e OHSAS 18001. Inizialmente l’abbiamo fatta perché ci è stata richiesta da uno dei nostri maggiori clienti che, lavorando per delle multinazionali americane, ne aveva necessità. Eravamo un po’ scettici e la vedevamo come un investimento, un qualcosa a cui adeguarsi per continuare a lavorare ma una volta ottenuta l’abbiamo trovata davvero utile perché è una forma di autocontrollo che ci siamo imposti. Sappiamo così che tutto è in ordine, in qualunque momento ci sia una verifica siamo tranquilli perché tutto viene costantemente e continuamente monitorato. Ci sono stati molti sviluppi in questi anni e non penso che abbiate intenzione di fermarvi… Sì è vero. Ci sono stati molti cambiamenti a tal punto che spesso ho l’impressione che siamo diventati un’azienda di servizi piuttosto che di scavi. Prima si partiva dal cantiere e si passava ogni tanto in ufficio per sbrigare qualche pratica, ora invece si parte dall’ufficio e quando è tutto pronto si va in cantiere. Il nostro punto di forza è sempre stato fornire al cliente le soluzioni e su questo non ci fermiamo mai; cerchiamo sempre di rispondere alle loro esigenze ragionando e sviluppando soluzioni per la logistica, per la raccolta o per il confezionamento. Poi c’è l’impianto che si può dire sia ormai giunto al termine. Siamo in fase di definizione di quello nuovo che sarà basato su una teoria più innovativa riducendo la parte di riciclaggio e sviluppando quella del trattamento dei rifiuti industriali. Parallelamente stiamo anche progettando un impianto di produzione di calcestruzzo magro sfruttando il materiale che produciamo e riutilizzando anche l’acqua piovana. Infine stiamo studiando un ulteriore trattamento per il materiale in uscita dall’impianto di riciclaggio che, miscelato con calce o altri additivi, blocchi l’eventuale dilavamento di sostanze e rappresenti una tipologia di materiale da poter utilizzare direttamente in cantiere senza ulteriori passaggi. Insomma le idee sono tante e l’entusiasmo per metterle in pratica non ci manca.

Dieci anni dopo: oltre la crisi, per una nuova Europa • appuntamenti culturali • aree espositive • laboratori • animazioni e spettacoli

abitare produrre coltivare

agire

governare

www.terrafutura.it Relazioni istituzionali e programmazione culturale Fondazione Culturale Responsabilità Etica tel. 049 7399726 - 055 2638745 email fondazione@bancaetica.org Organizzazione evento Adescoop-Agenzia dell’Economia Sociale tel. 049 8726599 email segreteria@adescoop.it

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ECCO LA PRIMA PRB A FUNNEL & GATE MADE IN ITALY Un esempio di interazione tra il mondo industriale e l’accademia per la progettazione e realizzazione di un intervento di messa in sicurezza operativa di M. Petrangeli Papini*, L. Pierro*, M. Baric*, D. Degiorgi** e G. Lucchini**

T

ra i diversi sistemi di contenimento e bonifica delle acque di falda che negli ultimi due decenni si sono andati consolidando nel mondo come valida alternativa a quelli tradizionalmente basati sul cosiddetto Pump & Treat, le Barriere Permeabili Reattive (PRB) sono sicuramente da considerarsi tra i più interessanti. Una PRB può essere definita come ”la installazione di un mezzo reattivo permeabile nel sottosuolo, progettata per intercettare un pennacchio contaminato, consentirne il flusso naturale attraverso il mezzo reattivo, e trasformare i contaminanti in forme ambientalmente accettabili allo scopo di raggiungere valori di concentrazione adeguati alla bonifica a valle della barriera” (US EPA, 1998). L’ultimo rapporto pubblicato nel Giugno del 2011 dal PRB Technology Update Team dell’ITRC Americano (Interstate Technology & Regulatory Council) riporta come siano circa 200 le installazioni in piena scala individuate nel mondo, la gran parte delle quali basate sull’impiego del ferro zerovalente (ZVI) ed utilizzate prevalentemente in situazioni di contaminazione da solventi clorurati e metalli riducibili, come ad esempio il Cr(VI). È stato ormai largamente riconosciuto che il ZVI è in grado di creare un ambiente fortemente riducente, efficace appunto nella declorazione riduttiva abiotica di molecole organiche clorurate fino a composti non tossici e ambientalmente compatibili quali etilene ed etano. In Italia la prima, e fino ad oggi unica, PRB in piena scala è stata realizzata nell’inverno

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del 2004 ad Avigliana in Provincia di Torino. La PRB di Avigliana è stata progettata nella configurazione a trincea continua, con una lunghezza di 120 m, spessore 60 cm e profondità variabile tra i 12 e i 14 m con un impiego di circa 1.700 tonnellate di ZVI. Nonostante nel corso degli ultimi anni tale approccio tecnologico avesse ricevuto nel mondo un notevole impulso e fosse ormai riconosciuto come consolidato negli interventi di bonifica e messa in sicurezza dei siti inquinati, non è stato possibile nel nostro paese avere progetti approvati ed interventi realizzati. Tra le diverse motivazioni che ne hanno oggettivamente limitato l’uso, sebbene sia stato largamente impiegato a livello mondiale, particolarmente negli Stati Uniti e in Europa, è possibile indicare una certa resistenza ”culturale” alla accettazione di tecnologie in situ, il consolidamento di approcci basati sullo “sbarramento” all’acqua di falda (barriere fisiche e idrauliche) che sembravano garantire maggior sicurezza rispetto all’adozione di sistemi di sbarramento al contaminante connotati d’altra parte da un necessario supporto tecnico/scientifico sperimentale e forse, a tale proposito, una non così efficace interazione tra il mondo industriale e quello della “ricerca”, necessario nella progettazione di interventi che richiedono appunto un significativo supporto scientifico. Nel presente articolo si descrive la progettazione e la realizzazione del primo intervento in Italia che impiega una PRB con ZVI nella

configurazione Funnel & Gate. La PRB è stata inserita come sistema di contenimento “sostenibile” ed alternativo ad un barrieramento idraulico con conseguente P&T, in un intervento di Messa in Sicurezza Operativa per un sito industriale attivo di piccole dimensioni in Provincia di Bologna e contaminato fondamentalmente da solventi clorurati. La progettazione e la realizzazione dell’intervento sono state eseguite a cura del gruppo di ingegneria ambientale della società URS Italia, ufficio di Milano, con la consulenza scientifica del Dipartimento di Chimica della Sapienza Università di Roma (che ha svolto gli studi di trattabilità, le prove cinetiche in colonna per la ottimizzazione degli spessori utili di mezzo reattivo e ha partecipato alla definizione delle strategie di intervento) e dell’IRSACNR di Roma (che ha contribuito al progetto con la caratterizzazione microbiologica di dettaglio del sito in oggetto). La realizzazione della PRB ha avuto inizio nell’ottobre del 2012 e si è conclusa con il ripristino delle aree interessate nel marzo del 2013.

CARATTERISTICHE DEL SITO Dalle numerose indagini di caratterizzazione il sottosuolo dell’area è risultato costituito prevalentemente da depositi alluvionali risalenti al Quaternario, ghiaie, sabbie e limi (unità di Modena), soprastanti la formazione delle Argille Azzurre. La successione litologica evidenziata si compone di quattro strati (fino ad una profondità di circa 6,5 m sotto il


piano campagna), rappresentati da terreno rimaneggiato e riporti, depositi di “limi sabbiosi debolmente argillosi” e “sabbie limose debolmente argillose”, depositi incoerenti di ghiaia e ciottoli classificati come “Ghiaia sabbiosa debolmente limosa” e quindi argilla consolidata (Argille Azzurre). L’acquifero di riferimento è costituito dai depositi alluvionali localizzati nei primi 5 metri circa da p.c. e si presenta come un acquifero monostrato a falda libera, sostenuto alla base da un acquicludo (Argille Azzurre). Lo spessore saturo è compreso tra 1,5 e 2,5 m, la soggiacenza tra i 2,5 ed i 3,5 m da p.c., la conducibilità idraulica media stimata pari a 10-4 m/s con un gradiente idraulico che mediamente oscilla tra 0,6 e 1,5%. Dal punto di vista della contaminazione non è stata riscontrata contaminazione dei terreni mentre si sono evidenziati superamenti significativi nelle acque per alcuni eteni clorurati (essenzialmente percloroetilene fino ad un livello di circa 1,5 mg/L, con presenza di concentrazioni significativamente inferiori degli eteni clorurati a minor grado di clorurazione). La presenza di composti alogenati a minor grado di clorurazione, seppure a bassissima concentrazione, ha fornito, inizialmente, evidenza di una naturale attività declorante in atto nel sito. Tale attività biologica declorante è stata successivamente confermata mediante riconoscimento diretto della presenza di quantità significative di microorganismi del tipo Dehalococcoides spp., effettivamente attivi nei processi di declorazione riduttiva biologica, identificati nel corso di una campagna sperimentale di caratterizzazione microbiologica condotta dall’IRSA-CNR mediante tecniche di biologia molecolare (Real Time PCR (qPCR) e CARD-FISH).

ANALISI DI RISCHIO L’analisi di rischio sito specifica è stata elaborata in modalità inversa (backward mode) per la definizione delle concentrazioni soglia di rischio (CSR) quali obiettivi di bonifica, in accordo con il D.Lgs. 152/06 e con i ”Criteri metodologici per l'applicazione dell'analisi assoluta di rischio ai siti contaminati” - APATISS-ISPESL-ICRAM-ARPA (rev. 2, 2008), considerando l’attuale destinazione d’uso del sito (industriale).

Le CSR per la salute umana dei recettori considerati (lavoratori presenti in sito) sono state determinate per il suolo insaturo superficiale e profondo e per le acque sotterranee, considerando come vie di esposizione l’inalazione dei vapori indoor e outdoor dalle matrici sopra dette e l’ingestione, il contatto dermico e l’inalazione di polveri dal solo suolo insaturo superficiale. In accordo con ARPA Bologna, i contaminanti di interesse (COPCs) rilevati sono stati il solo tetracloroetilene nei suoli ed il cromo totale, il cromo esa- Figura 1. Layout finale e modello idrogeologico dell’intervento valente e i solventi clorurati nelle acque di MISO sotterranee. Sulla base delle risultanze dell'analisi di rischio sono state concordate allo stesso tempo il flusso attraverso la zona con l'Amministrazione competente le conse- sorgente identificata, flusso necessario per un più efficace intervento di mitigazione medianguenti azioni da intraprendere. te stimolazione dell'attività biologica. Il seconPROGETTAZIONE DELLA PRB do gate è stato invece progettato per evitare Sulla base delle informazioni derivanti dalla all’interno del sito la presenza di zone carattecaratterizzazione del sito e dalla modellazione rizzate da flussi idrogeologici nulli o stagnanti idrogeologica, dopo una accurata valutazione e garantire la movimentazione dell’acqua, con di diversi scenari di intervento è stata selezio- il successivo trattamento nel gate. nata una strategia di MISO che prevede sostanzialmente: la realizzazione di un sistema TEST DI LABORATORIO Funnel & Gate composto da una sezione di Per la conduzione dei test di laboratorio è stabarriera reattiva (Gate 1, della lunghezza di ta scelta una modalità sperimentale in conticirca 45 m), un gate reattivo ingegnerizzato nuo, attraverso l’uso di specifici apparati spe(Gate 2) e una barriera impermeabile realizza- rimentali che fossero in grado di simulare una ta con diaframma plastico, per una lunghezza porzione di PRB. Tale approccio sperimentale complessiva di circa 165 m, per il conteni- risulta maggiormente aderente alle condizioni mento del pennacchio di contaminazione; una di un reale utilizzo rispetto alle prove in modafase successiva di stimolazione dell’attività lità batch e consente quindi di osservare l’indeclorante mediante l’aggiunta di ammen- tero processo in condizioni prossime a quelle danti in corrispondenza della identificata zona che si stabilirebbero in falda. L'attività sperisorgente di contaminazione. mentale è stata condotta per tre mesi alimenNella figura 1 viene riportato il layout risulta- tando le colonne con acqua di falda prelevata to più efficiente dal punto di vista idraulico sul sito e in condizioni di velocità simulanti dell’intervento di MISO unitamente alla dire- quelle previste sulla base della configurazione zione di deflusso della falda simulata a seguito Funnel & Gate. I dati sperimentali sono stati utilizzati per la modellazione cinetica del prodella realizzazione del Funnel & Gate. Dal punto di vista generale è stata prescelta cesso di rimozione dei solventi clorurati ad una configurazione che consente il massimo opera del ZVI e successivamente per il dimencontrollo del flusso di falda attraverso il gate sionamento della trincea costituente il Gate 1 reattivo principale mediante uno studio idro- dell’intervento di MISO. geologico basato su una dettagliata modella* Dipartimento di Chimica, zione dell’acquifero. La configurazione seleSapienza Università di Roma zionata permette di escludere la veicolazione ** URS Italia S.p.A. dei contaminanti al di fuori del sito garantendo

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REALIZZAZIONE DEL SISTEMA FUNNEL & GATE I lavori per la realizzazione dell’intervento di MISO sono stati avviati nell’ottobre 2012 e hanno avuto una durata complessiva di 3 mesi per il completamento con una fase successiva di ripristino dei luoghi. Le attività sono state svolte secondo le fasi di seguito riportate: • Installazione del tratto continuo di PRB (Gate 1): la trincea è stata realizzata mediante scavo a pareti verticali con benna rovescia, fino all'intestazione nel substrato argilloso utilizzando sistemi di blindaggio come supporto. Successivamente la miscela reattiva, acquistata dalla società tedesca Gotthart Maier Metallpulver GmbH e costituita da ZVI miscelato al 75% in peso con sabbia, è stata collocata nella trincea direttamente mediante svuotamento dei big bag di trasporto (Figura 2). Sulla base delle informazioni ottenute dai test di laboratorio e dalla modellazione idrogeologica la trincea è stata realizzata con le seguenti dimensioni: lunghezza 45 m, profondità 5 m, spessore 1,2 m, quantità di ferro circa 220 tonnellate. • Realizzazione del funnel impermeabile: il diaframma impermeabile è stato realizzato mediante scavo con benna mordente e utilizzando una miscela plastica auto indurente in grado di garantire il livello di impermeabilità di progetto (Figure 3 e 4). • Installazione del Gate 2 ingegnerizzato: il pozzo, opportunamente progettato per garantire un flusso controllato passivo attraverso il riempimento di ZVI, è stato collocato previo scavo con benna rovescia fino al raggiungimento del substrato argilloso e quindi incardinato al diaframma impermeabile in modo da garantire l’assenza di vie di migrazione preferenziali (figura 5). Al termine della realizzazione si è quindi proceduto al ripristino dei luoghi e all’avvio della prima fase di monitoraggio dell’intervento sulla rete di piezometri disponibile ed integrata di intesa con gli Enti di controllo. Dal punto di vista della tempistica richiesta per il completamento dell’intervento l’esperienza di Pianoro è risultata particolarmente positiva considerando che la notifica della contaminazione è avvenuta a maggio del 2010 e, dopo le varie fasi procedurali previste dalla normativa vigente e la sperimentazione di laboratorio, l’intervento (almeno per quanto riguarda la realizzazione del sistema di confinamento con PRB e diaframma plastico) si è concluso nel febbraio 2013.

Figura 2. Realizzazione della trincea, riempimento con la miscela reattiva e ripristino dei luoghi

Figura 3. Realizzazione del diaframma plastico mediante benna mordente e foto stato finale in un’area interna ad un capannone adibito a magazzino

Figura 4. Realizzazione del diaframma plastico mediante benna mordente e foto stato finale in corrispondenza del confine esterno di proprietà

Figura 5. Realizzazione del gate 2 ingegnerizzato e foto stato finale

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COSì SI VINCONO LE SFIDE! Decostruzione in tempi da record per il revamping della linea clinker dello stabilimento Italcementi di Rezzato di Maria Beatrice Celino

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iamo a Rezzato, in provincia di Brescia, presso lo stabilimento Italcementi inaugurato nel lontano 1964 in occasione del centenario della fondazione di Italcementi. Lo stabilimento, che per quegli anni presentava già soluzioni tecnologiche avanzate, è stato nel corso del tempo continuamente oggetto di investimento da parte del gruppo, fino a costituire un sito strategico con due linee di produzione di clinker grigio e una di clinker bianco. In questi giorni è in corso la decostruzione della linea produttiva n. 2 di clinker grigio, linea che sarà oggetto di un revamping. Tale opera-

zione vedrà la costruzione di una nuova linea verticale che permetterà all’azienda di ridurre i costi di produzione, di aumentare la competitività sul mercato e di garantire una maggiore sostenibilità ambientale dell’impianto. Questo intervento di ammodernamento, che coincide con il 150° anno di fondazione di Italcementi, prevede un investimento di circa 150 milioni di euro e mira a rafforzare ulteriormente la società già leader del suo settore. Il cantiere di decostruzione della vecchia linea di produzione è stata affidata all’impresa Longhi s.r.l. di Bergamo e prevede la demolizione di una ciminiera, del forno lungo circa 160 me-

tri, degli elettrofiltri, della griglia di raffreddamento e delle fondazioni. L’azienda è stata scelta proprio perché ha proposto un progetto che, per le sue peculiarità, permette tale esecuzione dei lavori nella tempistica richiesta da Italcementi di 50 giorni. Per tale scadenza infatti Italcementi ha in progetto di procedere al montaggio della nuova linea verticale, che proprio per la necessità di una rapida esecuzione avrà una struttura interamente in carpenteria metallica. Questo permetterà ad Italcementi di entrare in produzione in poco più di due mesi.

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Dunque andiamo a vedere in cosa consiste l’esecuzione di progetto che permetterà ad Italcementi di avere l’area libera in soli 50 giorni. Il progetto prevede una decostruzione delle varie parti della linea; non siamo quindi di fronte ad un cantiere “tradizionale” di demolizione con utilizzo esclusivo di escavatori da demolizione con bracci alti, ma in un cantiere dove si procede ad un vero e proprio smontaggio della vecchia linea. La scelta della decostruzione è stata effettuata sia per motivi di tempistiche ma soprattutto per motivi di sicurezza; altra caratteristica particolare di questo cantiere è infatti determinata dal fatto che posta a fianco della linea 2 si trova la gemella linea 1 che deve rimanere in funzione per tutta la durata dei lavori di demolizione. L’impresa Longhi ha quindi predisposto un intervento di demolizione che non creasse interferenze con la vicina linea in funzione e che permettesse a tutti gli operai dello stabilimento di lavorare in sicurezza durante l’intervento; per questo motivo, congiuntamente alle elevate altezze in gioco è stato scelto di non operare con i tradizionali escavatori da demolizione a braccio alto.

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Attraverso la decostruzione con il sistema di taglio delle strutture, si ottengono dei buoni tempi di esecuzione dell’intervento ma soprattutto, e non meno importante, si riducono i rischi di proiezione e di caduta di oggetti dall’alto, in quanto l’intero processo viene interamente controllato. Per l’esecuzione di questo intervento è stata utilizzata una gru cingolata tralicciata di notevoli dimensioni, con portata di 200 t che consente di sollevare pezzi di struttura di dimensioni importanti e di calarli a terra in prossimità della linea in un’area non interferente con le attività dello stabilimento dove potranno essere successivamente bonificati e ridotti volumetricamente con tradizionali escavatori da demolizione. Per la demolizione del camino fumi avente un’altezza di 70 m Longhi ha previsto di utilizzare il FDS (fly demolition system), agganciato al braccio della gru cingolata, con il quale si è proceduto alla demolizione progressiva della ciminiera attraverso la sua erosione dall’alto verso il basso. Il fabbricato "Piatti" realizzato in cemento armato con un’altezza di 32 m, viene decostruito dapprima con l’alleggerimento mediante smontaggio di tutte le pareti in mattoni che

vengono spinte da un miniescavatore sui piani di lavoro all’interno di un cassone sostenuto all’esterno dell’edificio dalla gru. Successivamente con tagli a disco e filo diamantato si procede al sezionamento di ogni livello in blocchi. Ogni blocco determinato in funzione delle geometrie della struttura da demolire e della portata dell’autogrù viene sollevato utilizzando la gru approntata in cantiere e spostato in un’area adiacente dove gli escavatori procederanno alla riduzione volumetrica e deferrizzazione. In questa fase di lavoro avviene la selezione dei materiali ed il recupero del ferro. I materiali inerti vengono invece conferiti ad apposti impianti di trattamento. Una delle parti più delicate dell’intervento è quella relativa alla bonifica degli elettrofiltri, parti di impianto completamente rivestite con fibre artificiali vetrose. Allo scopo di ridurre i tempi del cantiere di bonifica in opera dei rivestimenti, che avrebbe allungato di molto l’esecuzione dell’intervento e sicuramente rischiato di sforare i 50 giorni, Longhi ha scelto di procedere ad una bonifica fuori opera degli elettrofiltri prevedendo una rimozione integrale dei filtri comprensivi di coibentazione. L’intera porzione di impianto del peso di ben 150 t viene sezionata alla


base, sollevata e calata a terra in un'unica soluzione in un’area messa a disposizione dallo stabilimento, dove poi si potrà procedere alla sua bonifica allestendo un’area confinata. In questo modo i tempi delle lavorazioni di bonifica dei rivestimenti e la successiva demolizione degli elettrofiltri possono essere eseguiti in un’area che non interferisce con i lavori di costruzione della nuova linea garantendo il rispetto delle tempistiche di intervento. Anche il forno di cottura viene decostruito mediante taglio dei rivestimenti esterni e dei refrattari interni, per elementi compresi tra due sostegni adiacenti. I pezzi vengono raccolti e trasportati nell’area di stoccaggio e anch’essi conferiti in acciaieria. Successivamente anche i piloni che sostenevano la linea del forno saranno tagliati e trasportati nell’area dedicata alla loro successiva demolizione. Solo la parte relativa alle fondazioni verrà demolita in opera con escavatori. Alla luce di questa modalità operativa che mira a liberare l’area nel più breve tempo possibile e a restituire via via le aree al loro futuro utilizzo, il progetto è risultato vincente e non ha potuto che trovare il massimo consenso da parte della committente anche alla luce della presenza di aree di produzione in prossimità del cantiere. La società Longhi s.r.l. è presente da 28 anni nel mercato delle demolizioni nella persona di Virginio Longhi. “Recentemente ho affrontato almeno tre cantieri di questo tipo – afferma Longhi – e penso sempre più spesso ad un nuovo mercato delle demolizioni non più dettato da tante macchine operatrici che faranno la differenza, ma da uomini che pensano a come affrontare e risolvere i problemi tenendo conto di due fattori essenziali: i costi e la sicurezza”. “Oggi il mondo è cambiato – prosegue Longhi – e la vera chiave di volta è quella di adottare sistemi che favoriscano non solo l’imprenditore, ma anche il cliente con un maggiore contenimento dei costi ed una maggior sicurezza, garantendo la continuità nella produzione. Questa è la realtà che ho incontrato negli ultimi lavori che ho affrontato nei quali le soluzioni adottate sono state determinanti e vincenti”. “Credo inoltre sempre più fermamente che oggi il punto di forza nel cantiere non siano le

macchine ma gli uomini. – prosegue Longhi – Ho creato una realtà aziendale snella che in soli tre anni e mezzo è arrivata ad affermarsi nel settore, supportata da uno staff selezionato ad elevata capacità professionale. Si tratta di una struttura diversa da quella che avevo anni fa perché oggi sempre più clienti si rivolgono ad aziende competitive dotate di una specializzazione elevata e di personale altamente qualificato”. “I risultati che sto raggiungendo ed i miei progetti per il domani – ribadisce Longhi – sono da me sempre pienamente condivisi con tutti i miei collaboratori. Questo perché renderli partecipi della situazione dura che oggi affrontiamo permette anche a loro di affrontare il momento con aggressività. Sono convinto che in un’attività o un progetto come quelli che quotidianamente affrontiamo, la parte dell’imprenditore incida per un 15% e che la parte della squadra che gliene permette la realizzazione incida per il restante 85%. E’ vero che io oggi posseggo un’esperienza quasi trentennale in questo settore ma se non avessi loro non potrei fare nulla. I miei uomini mi stanno seguendo con l’aggressività che oggi richiede il mercato e che chiede sacrifici di costi, di tempi che sono sempre più dettati da numeri che non sono più quelli di ieri e si possono fare solo con il coraggio, la voglia e l’onestà della gente che ha voglia di fare”. “E del domani che dire… Io ho famiglia e i miei impegni, anche finanziari, ma anche tutta la mia gente ha famiglia, con figli che vogliono crescere e farsi a loro volta una famiglia e se qui

tutti ci rendessimo conto che la vera soluzione è lavorare tutti quanti, probabilmente andrebbe tutto un po’ meglio. I progetti di domani? Mi sono dedicato in questi due anni anche al settore nucleare. In Francia ho acquisito commesse importanti attraverso l’EDF. Con altre realtà italiane nel nucleare sto partecipando a gare e sono fiducioso di acquisire incarichi complessi che mi consentano di dimostrare il mio bagaglio tecnico. In questo momento del mercato, ora più che mai, noi imprenditori non possiamo sottrarci alla responsabilità di offrire sempre la possibilità di soluzioni valide a costi ragionevoli per fare sì che dalle nostre scelte tutti possano trarne beneficio, noi stessi, i clienti e i nostri collaboratori. Noi demolitori abbiamo una passione che si misura solo sul campo, una passione e un’esperienza che va messa al servizio di tutti; il mondo è cambiato, il ritorno non potrà essere solo economico, ma dovremo affrontare ogni nuova sfida sapendo di aver fatto la cosa giusta".

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RAEE: TRATTIAMOLI BENE! è nato in provincia di Verona un nuovo impianto di trattamento dei RAEE che offre soluzioni innovative per ogni esigenza di Bruno Vanzi

S

tena Technoworld è parte del gruppo Stena Metall, leader in Italia ed in Europa, nel recupero e riciclo di rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche e di altre frazioni contenenti metalli. Stena dispone di 30 impianti operanti nel pieno rispetto dei principi di sostenibilità e realizzati in conformità con le migliori tecnologie di settore. Fra di essi c’è anche l’ultimo nato in casa Stena, l’impianto di trattamento secondario dei RAEE ed altri rifiuti contenenti metalli sito a Angiari, in provincia di Verona. Detto impianto è operativo dall’inizio del maggio scorso ed è in grado di garantire il trattamento di numerose tipologie di rifiuti. In esso si concentrano le molteplici esperienze maturate nel corso degli anni nel gruppo Stena che si fondono in un impianto che, verosimilmente, non ha pari nel settore.

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Siamo andati a visitarlo e abbiamo parlato con Daniele Leso, Responsabile dell’impianto, che ci ha spiegato alcune delle caratteristiche che rendono questo impianto unico in Italia se non in Europa.

LA LINEA DI TRATTAMENTO Il sito nasce per la raffinazione delle frazioni derivanti dal trattamento dei RAEE, nonché di tutte le frazioni comunque contenenti metalli, di origine urbana ed industriale. E’ inserito all’interno di un’area ove sono già presenti altri due impianti che fanno di Angiari il polo di riciclaggio tecnologicamente più avanzato della galassia Stena, in grado di offrire soluzioni a 360 gradi per il trattamento e il recupero dei materiali contenenti ogni tipo di metalli. Il layout dell’impianto prevede una linea di trattamento con una

fase di triturazione primaria, deferrizzazione e cernita del ferro, una classificazione granulometrica ed altre operazioni sempre e comunque orientate alla selezione spinta dei metalli non ferrosi. Ultimate tali operazioni, i materiali passano attraverso una fase successiva che consta di una separazione densimetrica per frazioni di granulometria omogenea. La mission dell’impianto realizzato è, invero, quella di ottenere un concentrato di metalli non ferrosi, anche preziosi, da avviare successivamente a recupero in siti specializzati sempre del gruppo Stena. Il medesimo principio è alla base anche dello specifico impianto di trattamento delle plastiche che, unico in Italia, è in grado di classificare i singoli polimeri contenuti nelle miscele lavorate.


UN IMPIANTO VOCATO AL MERCATO Il P.M.R. è un impianto vocato ad intercettare frazioni di rifiuto urbano come i sovvalli di trattamento contenenti metalli e plastiche e quindi può essere un interlocutore privilegiato per la aziende di servizio pubblico locale che operano sul territorio, rappresenta inoltre un salto tecnologico sul territorio italiano da un punto di vista del cosiddetto “secondo trattamento” per i rifiuti elettrici ed elettronici (e non solo) valorizzando al meglio il sottovaglio di trattamento generalmente contenente plastica e metallo ma anche componenti rimossi quali, a titolo indicativo e non mai esaustivo, le schede dei televisori. Da un punto di vista commerciale il sourcing dell’impianto è seguito da una persona specifica che si interfaccia con il mercato direttamente e/o attraverso la rete commerciale B2B di Stena Technoworld in Italia; il sourcing manager ha quindi il compito di raccogliere le informazioni legate al ciclo produttivo che origina il rifiuto, le eventuali analisi disponibili per la caratterizzazione chimica del rifiuto e governare il processo di feedback al cliente rispetto a flussi di rifiuto non merceologicamente definiti. L’investimento effettuato in Italia è un segnale importante di continuità di Stena verso i clienti e di ulteriore rafforzamento della posizione di leadership sul mercato; è soprattutto il segnale della volontà di instaurare con gli operatori professionali un rapporto solido e continuativo che possa rappresentare per entrambi le parti uno spunto di crescita reciproca.

TECNOLOGIE E SOLUZIONI INNOVATIVE L’impianto, pur non avendo specifiche tecnologie oggetto di brevetto, si caratterizza poiché rappresenta il frutto di anni ed anni di esperienza nel settore da parte dei tecnici Stena, in grado di assemblare diverse linee di trattamento per ottenere i massimi livelli di recupero dei metalli, così come già avviene nell’impianto gemello di Halmstad in Svezia. Il trattamento principia da un trituratore primario di tecnologia giapponese che, unico in Italia, opera con una frantumazione ad asse verticale, atta a garantire impatti ambientali ridotti ed una separazione del materiale in base alla composizione. Altre lavorazioni importanti sono quelle finalizzate in maniera spinta al recupero dei materiali ferrosi e non ferrosi nelle quali è l’esperienza umana a fare la differenza, parliamo ad esempio di impianti di flottazione e delle tavole densimetriche. L’impianto si pone come unico nel settore, ubicato in un’area baricentrica e in grado di gestire ogni tipo di logistica con sistemi di carico e scarico consoni a qualsiasi modalità di trasporto. Tutti questi aspetti rendono l’impianto un’eccellenza nel settore del recupero e riciclaggio dei metalli e siamo orgogliosi che sia stato impiantato in Italia.

IL CLIENTE COME PRIORITà PRINCIPALE Stena Technoworld, nata nello scorso agosto dalla fusione per incorporazione delle precedenti realtà italiane acquisite, sta ponendosi sul mercato come interlocutore principale nel mercato del riciclaggio dei rifiuti elettronici e per questo sta mettendo a disposizione dei propri clienti alcuni strumenti informativi e formativi che possano migliorare il rapporto e facilitare l’accesso agli impianti. Al link http://stenatechnoworld.com/it/News-e-media/News-archive/Vademecum-Clienti/ potete trovare il vademecum clienti ricco di informazioni per rapportarsi con i nostri impianti da un punto di vista tecnico, amministrativo e normativo. Da circa due mesi è stato attivato il servizio di newsletter che consente, attraverso invii periodici, di mantenersi aggiornati sul mercato dei rifiuti elettrici ed elettronici e non solo; potete trovare i numeri arretrati al link http://stenatechnoworld.com/it/News-e-media/Newsletter/ ed attraverso l’indirizzo e-mail presente sulla stessa pagina potete essere inseriti nei prossimi invii. Il nostro orientamento è pertanto quello di offrire un servizio di alto livello accompagnando il cliente dalla valutazione dell'esigenza in sede di offerta, all'organizzazione della logistica di conferimento fino al trattamento di recupero e riciclaggio dei rifiuti conferiti.

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w o rk i n p r og r es s

Esecuzione perfetta e tempi da record Nulla da aggiungere per descrivere il lavoro di svaro eseguito in sole 5 ore delle 12 travi di un sovrappasso autostradale sulla tangenziale di Torino di Andrea Terziano

L

a demolizione di un ponte non è mai un’operazione semplice, se in più consideriamo che al di sotto passa la tangenziale Sud di Torino, che il lavoro va eseguito esclusivamente in notturna, che 12 travi vanno rimosse nell’arco di una notte e che non è possibile eseguire una demolizione tradizionale con escavatori, allora l’intervento diventa un lavoro solo per professionisti delle demolizioni.

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Anno 6 - Numero 23

I professionisti che hanno portato a termine questo intervento sono i tecnici e gli operatori di General Smontaggi S.p.a., azienda leader nelle demolizioni che è si aggiudicata l’appalto di Sicogen per la demolizione del sovrappasso di La Loggia. Il sovrappasso era un ponte a due campate in cemento armato che sovrastava la Tangenziale Sud di Torino in prossimità dello svincolo di La Loggia.

La struttura portante dell’impalcato era costituita da due campate di 27 m di lunghezza cadauna, formate da 6+6 travi a cassone chiuso precompresse e collegate le une alle altre da getti di completamento. A sostegno delle due campate vi erano due spalle e una pila realizzata sempre in c.a. Il sovrappasso aveva una trave gravemente lesionata, l’Ente Gestore (Ativa S.p.A.) valutando i costi benefici tra un ripristino e una


ricostruzione ha scelto un’opzione intermedia prevedendo la demolizione dei soli impalcati mantenendo in opera sia le spalle che le pile. Tale scelta consentiva la sostituzione integrale delle parti strutturali lesionate riutilizzando le pile che staticamente non presentavano problematiche. Era evidente che una demolizione tradizionale del sovrappasso con mezzi meccanici non era applicabile in questo particolare contesto perché non avrebbe garantito la salvaguardia delle pile durante le operazioni di collasso controllato delle travi precompresse indebolite con le pinze. Bisognava assolutamente adottare altre tecniche di demolizione meno invasive ma allo stesso tempo performanti in modo da ridurre al mimino i disagi legati a chiusure prolungate della tangenziale. L’intervento proposto e sviluppato da General Smontaggi rispondeva a tutte queste esigenze; in pratica, ci spiega l’arch. Stefano Chiavalon, responsabile tecnico dell’intervento, “abbiamo previsto di operare uno svaro di tutte le 12 travi durante un’unica chiusura in notturna in orari a bassa densità di traffico, preparando gli impalcati con tagli ed alleggerimenti nelle 4 notti precedenti, realizzando esclusivamente delle parzializzazioni del traffico”. Tirando le somme si trattava di eseguire tutte le operazioni sugli impalcati in 32 ore lavorative suddivise in 4 notti e di svarare 12 travi in 8 ore… non proprio un gioco da ragazzi. “Le lavorazioni - continua Chiavalon - non erano particolarmente complicate, normale ruotine per un’impresa come la nostra che ha già demolito più di 100 ponti, la difficoltà stava nell’organizzare in modo perfetto l’intervento senza lasciare spazio ad alcun tipo di imprevisto”. Tutto doveva dunque funzionare come un orologio svizzero, in particolare le operazioni di svaro delle travi che rappresentavano il culmine del lavoro. Per lo svaro, al fine di ridurre al massimo i tempi, l’impresa ha scelto di operare in contemporanea con due autogrù gommate da 500 ton di portata nominale, piazzate ciascuna su una carreggiata autostradale. Ad ogni gru spettava lo svaro di 6 travi del peso ciascuna di 65 ton.

Il capocantiere Ermenegildo Porzionato ci illustra in dettaglio l’intervento: “preliminarmente alle operazioni di svaro sono state eseguite delle operazioni di preparazione degli impalcati operando tagli di sezionamento ed alleggerimento delle travi; queste operazioni sono state predisposte in modo da evitare la presenza di personale e mezzi sulle carreggiate della tangenziale, prevedendo solo alcune parzializzazioni del traffico delle corsie sottostanti le parti di implacato, di volta in volta interessate dai lavori”. Ciascuna trave è stata separata dalle altre operando dei tagli longitudinali con disco diamantato in corrispondenza dei getti di collegamento e dei tagli sulle testate per il sezionamento dei traversi. Sulle travi laterali di ogni campata si è proceduto anche alla rimozione dei cordoli per ridurre il peso della trave e renderlo compatibile con la portata del mezzo sollevamento. I cordoli ridotti in spezzoni dal peso di 7-8 ton sono stati svarati con un’autogrù operante al di sopra dell’impalcato durante le 4 fasi di lavoro antecedenti lo svaro. La gru è stata posizionata in modo da non andare a scaricare con gli stabilizzatori al di sopra della trave lesionata. La rimozione dei cordoli aveva anche il vantaggio di annullare le asimmetrie delle travi di bordo durante il successivo sollevamento. L’imbragaggio di ogni trave è stato previsto in due punti in prossimità della testata della trave. In ciascun punto di sollevamento gli operatori hanno realizzato due fori nelle solette mediante carotaggio, posizionati in modo da non andare ad interferire con i cavi di tensionamento. In ogni coppia di fori doveva essere fatta passare una catena ad anello di portata adeguata al carico da sollevare collegata a sua volta con una fune in acciaio dotata di capocorda. Le funi sono state scelte di lunghezza tale da formare, durante il sollevamento, un angolo maggiore di 45° rispetto all’orizzontale. “Abbiamo ottimizzato l’ordine di svaro delle travi in modo da consentire di fatto di operare in assoluta indipendenza sulle 6 travi delle due campate senza interferire con le operazioni di sollevamento e scarico delle travi nonostante gli spazi di lavoro ridotti e consentire agli operatori di eseguire tutte le operazioni in as-

Durata Operazioni preliminari sugli implacati: 32 ore Operazioni di svaro travi: 7 ore

Mezzi impiegati • • • • • • • • • • •

1 Autogru Liebherr LTM1500 1 Autogru Grove GMK7450 1 Autogru Liebherr LMT1300 1 Autogrù Liebherr LMT1050 6 carrelloni di trasporto travi con motrice 2 piattaforme semoventi 2 tagliapavimenti 2 attrezzature di taglio a disco 3 attrezzature di carotaggio 1 attrezzatura di taglio a filo 2 torri faro

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w o rk i n p r og r es s

soluta sicurezza” precisa ancora Ermenegildo Porzionato. Ogni trave svarata è stata posizionata su un carrellone per trasporti eccezionali dotato di motrice e allontanata fino ad un’area individuata dalla Committente posta a 5 km dal punto di svaro. Nell’area di scarico sono state posizionate n. 2 autogru gommate da 300 ton per la ripresa delle travi dai carrelli ed il calo a terra per la frantumazione primaria. Per non avere tempi morti dovuti ai viaggi in andata e ritorno e svarare tutte le travi del sovrappasso in una chiusura notturna di 8 ore, si è previsto di utilizzare 6 carrelli che si sono avvicendati nel trasporto e scarico delle travi. Come da copione, tutti i lavori di preparazione sugli impalcati sono stati eseguiti nei tempi e nelle chiusure concordate con Ativa (ente gestore della tangenziale di Torino), dal 15 al 18

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Anno 6 - Numero 23

gennaio, tutto a questo punto era pronto per le operazioni di svaro che sono avvenute in una fredda notte il 20 gennaio. Alle 22 di sera, con una temperatura di -5 gradi ed una leggera nebbiolina invernale, gli ingranaggi dell’orologio svizzero si sono mossi e con assoluta precisione hanno dato avvio ai lavori di piazzamento dei due imponenti mezzi di sollevamento. Contemporaneamente 4 squadre di operai, in parte sull’impalcato, collegati a linee di vita, e in parte su piattaforme poste al di sotto dello stesso, hanno iniziato le operazioni di imbragaggio delle prime due travi. Dopo solo un’ora e mezza dall’avvio dei lavori le gru e i carrelli di trasporto erano in posizione, in attesa del sollevamento della prime travi che è avvenuto dopo soli 20 minuti. A questo punto bisognava ripetere tutte le operazioni per altre 10 volte… e così è stato.

Operando con una perfetta organizzazione tra tecnici, gruisti e operatori l’ultima trave è stata svarata alle 3.41 sotto gli occhi increduli della direzione lavori. “Un tempo da record e un lavoro perfetto - commenta l’architetto Chiavalon - esattamente dopo 5 ore e 41 minuti dalla chiusura al traffico siamo riusciti a rimuovere tutte le travi con ben 4 ore di anticipo sulla tabella di marcia che ci eravamo prefissati”. “Verificate le condizioni del manto stradale e l’inesistenza di alcun danneggiamento, abbiamo dato il via alle operazioni di disallestimento del cantiere con la conseguente riapertura al traffico della tangenziale avvenuta alle 5 del mattino”. Questo intervento eseguito a regola d’arte è la dimostrazione di una perfetta organizzazione e professionalità dell’azienda novarese che è riuscita non solo a rispettare i tempi di esecuzione ma a ridurli drasticamente.



pro g e t t i e t ec nol og i e

La co-digestione anaerobica di fanghi di depurazione e feccia di vinificazione Massimizzare il ricavo di energia sfruttando al meglio dotazioni impiantistiche e substrati da trattare di C. Da Ros*, C. Cavinato*, P. Pavan* e D. Bolzonella**

I

l processo di co-digestione anaerobica di differenti matrici di scarto offre i vantaggi tipici delle sinergie: massimizzazione nello sfruttamento delle dotazioni di impianto (ad esempio le volumetrie di reazione) e dei substrati utilizzati, e quindi dell’energia netta ricavata, unitamente ad una contestuale maggior stabilità di processo derivante da un miglior bilanciamento delle caratteristiche dei substrati alimentati ai reattori (ad esempio il rapporto carbonio/azoto o la presenza di micronutrienti). Un caso particolare di applicazione del processo di co-digestione è quello del trattamento congiunto di fanghi di depurazione ed altri substrati ed elevata biodegradabilità attraverso l’utilizzo di strutture già esistenti: i digestori anaerobici degli impianti di depurazione (Bolzonella et al., 2006 a,b). Presso gli impianti di depurazione, infatti, si realizzano nel medesimo luogo alcune opportunità difficilmente riscontrabili in altri contesti: a. la presenza di una struttura già esistente e, normalmente, sotto-utilizzata; b. la possibilità di trattare in maniera ambientalmente idonea i flussi effluenti dal digestore, con particolare riferimento al controllo dei flussi di azoto e fosforo in essi presenti; c. la presenza di personale specializzato. Recentemente, inoltre, sono andate via via definendosi le condizioni per le quali note-

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Anno 6 - Numero 23

voli sono le volumetrie disponibili nei nostri impianti di depurazione. L’introduzione del D.Lgs. 152/06, in materia di limiti di emissione per gli impianti di acque reflue urbane recapitanti in aree sensibili, impone infatti limiti allo scarico stringenti in riferimento al contenuto di nutrienti (COD, N e P). Per adempiere agli obblighi di legge molti depuratori hanno implementato processi avanzati per la rimozione biologica di azoto, o anche azoto e fosforo, con conseguente eliminazione dell’uso dei sedimentatori primari per favorire il recupero di carbonio necessario nei processi biologici di rimozione dei nutrienti. Contestualmente, al fine di favorire la nitrificazione dell’azoto ammoniacale, si sono adottati tempi di residenza dei fanghi attivi in linea acque particolarmente prolungati con età del fango tipicamente superiori ai dieci giorni. Ciò ha come conseguenza una parziale stabilizzazione dei fanghi già in linea acque, con conseguente diminuzione del biogas prodotto nella successiva stabilizzazione anaerobica (Bolzonella et al., 2005). Ne consegue che i digestori anaerobici pre-esistenti, dimensionati per il co-trattamento di fanghi primari e biologici, risultano oggi sovradimensionati. Ecco, quindi, che si rendono disponibili ampie volumetrie d’impianto, idonee al ricevimento di altri residui/rifiuti, atte al trattamento di digestione anaerobica con interessanti ritorni energetici:

in questo modo l’impianto di depurazione diviene quindi una vera piattaforma di servizio al territorio, agendo contemporaneamente da centro di raccolta e trattamento di determinate categorie di residui/rifiuti e da centrale di produzione di energia da fonte rinnovabile. In questo contesto, la co-digestione della frazione organica dei rifiuti solidi urbani (FORSU) con i fanghi di depurazione è una tecnologia già largamente applicata in Europa e risulta vantaggiosa sia in termini energetici sia ambientali (Mata-Alvarez et al., 2011). Oltre alla FORSU da raccolta differenziata, già in molti casi smaltita attraverso il processo di digestione anaerobica, possono essere utilizzati come co-substrati anche altri materiali come ad esempio gli scarti agroindustriali, specie se derivanti dal settore della preparazione degli alimenti o dagli scarti orto-frutticoli. Questi rifiuti sono un'interessante risorsa poiché caratterizzati da basso contenuto di inquinanti e materiali inerti, alto contenuto organico, indice di elevata biodegradabilità, e basse concentrazioni di azoto e fosforo; essi possono inoltre essere alimentati ai digestori senza pesanti adeguamenti impiantistici in quanto non necessitano di particolari pre-trattamenti. L’unico limite che si può riscontrare nell'uso dei rifiuti agro-industriali è la loro disponibilità spesso legata alla produzione stagionale. In alcune aree


esistono però scarti reperibili durante tutto l'anno come ad esempio nel settore vinicolo. L'Italia, insieme a Francia e Spagna, rappresenta uno dei maggiori produttori di vini al mondo. Il 17% della produzione mondiale di vino e il 28% di quella europea “parlano italiano”, ossia provengono dai nostri vigneti. Nel 2011 la produzione italiana di vino è stata di 40,6 milioni di ettolitri. Tra i flussi di scarto della filiera vinicola ci sono le acque reflue, generalmente trattate all’interno dell’azienda o inviate in impianti municipalizzati, e rifiuti semi-solidi, come vinacce e fecce. L'elevata biodegradabilità di tali rifiuti conferisce loro un elevato impatto sull'ambiente e, di conseguenza, il loro trattamento rappresenta una voce di spesa considerevole per le cantine. Tra i rifiuti semi-solidi le fecce rappresentano il principale scarto con una produzione di circa 6 kg ogni hl di vino finito (ANPA -CNR, 2001); ne consegue che solo nel 2011 sono stati prodotti nel nostro paese più di un millione di tonnellate di feccia. La digestione anaerobica rappresenta un trattamento efficace delle fecce grazie al loro elevato contenuto di composti rapidamente biodegradabili come etanolo, zuccheri e acidi organici, composti facilmente convertiti dai microrganismi anaerobi a biogas. Numerosi studi (Riaño et al., 2011, Rodriguez et al., 2007, Melamane et al., 2007) hanno però dimostrato che la digestione anaerobica di soli reflui vinicoli è difficilmente controllabile e l'uso di co-substrati meno fermentescibili, come fanghi o reflui zootecnici, favorisce la stabilità del processo grazie all’apporto di alcalinità e nutrienti al sistema creando così un ambiente favorevole per la crescita dei microorganismi senza l'aggiunta di composti di sintesi. Altro vantaggio della co-digestione è l’attenuazione dell’effetto inibente o tossico di composti come i polifenoli derivanti dalla lavorazione delle uve, metalli e micro-inquinanti organici provenienti dai fanghi di depurazione (Chen et al., 2008). In merito ai parametri di processo, frequentemente i reattori che trattano fanghi lavorano in regime mesofilo (37°C) ma numerosi studi mostrano che aumentando la temperatura a 55°C (termofilia) si ottengo rese in termini di biogas superiori e un elevato abbattimento di patogeni presenti nel

digestato. D’altro canto la mesofilia permette la crescita di una comunità microbica più ampia e diversificata, capace di degradare un maggior numero di substrati e adattarsi a variazioni di carico e condizioni ambientali (del reattore). Un esempio calzante è la degradazione dei polifenoli che raggiunge un’efficienza maggiore in mesofilia rispetto alla termofilia a causa della disattivazione di alcuni enzimi specifici ad elevate temperature (Leven et al., 2012). L'ottimizzazione del processo non è definibile solo sulla base delle attuali conoscenze in quanto l’applicazione di parametri di processo standardizzati possono avere effetti non valutabili se non attraverso prove sperimentali. Per tale motivo nella ricerca qui presentata si è voluto studiare il processo di co-digestione di fanghi e fecce su scala pilota, applicando diversi carichi organici e regimi termici al fine di determinare le rese in termini di biogas e la stabilità biologica dei processi. Oltre a tali aspetti, è di grande interesse l’utilizzo agronomico del digestato, per tale motivo gli effluenti sono stati caratterizzati in termini di elementi nutritivi, metalli pesanti, microinquinanti e microrganismi patogeni (Escherichia Coli e Salmonella Spp). Dal punto di vista normativo, vista l’assenza di leggi ad hoc, si farà riferimento alla terza bozza del documento di lavoro sui fanghi, redatto nel 2000 dalla Commissione Europea (tabella 1), dove sono proposti i limiti per metalli pesanti, microinquinanti e agenti patogeni nei fanghi da depurazione utilizzati su terreni.

MATERIALE E METODI Le prove di digestione anaerobica sono state condotte in quattro reattori completamente miscelati (CSTR) con volume utile di 230 litri ubicati presso la stazione sperimentale universitaria ospitata al depuratore di Treviso.

Figura 1. Reattori pilota da 230 litri

Per valutare l'effetto della temperatura sulla produzione di biogas due reattori sono mantenuti a 37°C (R1 e R2) e due a 55°C (R3 e R4). Le condizioni operative sperimentate sono riassunte in Tabella 2. Gli effluenti dei digestori sono analizzati in termini di solidi totali e volatili (TS e VS), domanda chimica di ossigeno (COD), azoto ammoniacale e totale di Kjiendhal (N-NH4+ e TKN), fosforo totale (Ptot), parametri di stabilità (pH, alcalinità, azoto ammoniacale e acidi grassi volatili), in accordo con gli Standard Methods.

Elemento

u.m.

Valore limite

Piombo totale

mg/kgSS

750

Cadmio totale

mg/kgSS

10

Nichel totale

mg/kgSS

300

Zinco totale

mg/kgSS

2500

Rame totale

mg/kgSS

1000

Salmonella

In 50 g tq

Assente su 50g tq

Escherichia Coli

UFC/ g tq

<5*10^2

PCB

ng/kgSS

0,8

PCCD/F

ngI-TE/kg sul secco

100

Tabella 1. Limiti di concentrazione nei fanghi per lo spandimento proposti dalla Commissione Europea nella Working Document on Sludge, 3rd draft (2000)

51


pro g e t t i e t ec nol og i e

Reattori

R2

R3

R1

R4

Volume reattore (m3)

0,23

0,23

0,23

0,23

Temperatura (°C)

37

55

37

55

20,6

20,6

15,8

15,8

2,4

2,4

3,6

3,6

Tempo di ritenzione idraulico, HRT, (d) Carico Organico Volumetrico, OLR, (kgCOD/m d) 3

Tabella 2. Condizioni operative delle prove di co-digestione anaerobica

Caratterizzazione dei substrati

I reattori sono alimentati con una miscela di fango di supero e feccia di depurazione. Il fango di supero utilizzato nella sperimentazione è stato prelevato presso l'impianto di depurazione di Treviso mentre la feccia di vinificazione è stata prelevata presso un'azienda vinicola trevigiana. Le caratteristiche dei due substrati considerati sono riportate in Tabella 3. Parametro

Unità di misura

Alcune brevi considerazioni possono essere fatte relativamente ai due substrati: • nel fango, il basso contenuto di COD e la produzione specifica di biogas inferiore a 0,2 m3/kgCOD alimentato (determinata mediante test di bio-metanazione), indicano una parziale stabilizzazione dovuta all'elevata età del fango applicata nel trattamento acque reflue. Il contenuto

Fango

Feccia

37°C

55°C

TS

g TS/kg

30

84

22

20

RISULTATI E DISCUSSIONE

VS

g VS/kg

22

78

17

16

Monitoraggio e valutazione del processo

VS/TS

%

73

91

69

71

6,5

4,6

7,8

8,1

mS/cm

0,9

5,2

9,2

9,7

N-NH4

mg/L

21

782

1291

1347

TA 6

mg CaCO3/l

-

-

3420

3320

TA 4

mg CaCO3/l

376

-

5277

5464

VFA

mg/kg tq

-

9100

318

1125

COD particolato

mg/g tq

24

155

15,4

14,1

TKN

mg/g TS

48

70

49

42

mg/g TS

18

14

26

27

mg/l

17

1,803

51

265

Salmonella

In 25 g tq

1 su 6

Assente

Assente

Assente

Escherichia Coli

UFC/ g tq

26,333

n.d. 5 su 6

2,750

333

Piombo totale

mg/kgSS

124,2

6,2

110,8

99,4

Cadmio totale

mg/kgSS

1,4

0,1

1,6

1,4

Nichel totale

mg/kgSS

25,8

1,7

24,0

24,2

Zinco totale

mg/kgSS

1,035

131

1186

1120

Rame totale

mg/kgSS

259

801

1103

927

PCB

mg/kg SS

0.04

<0.01

0,08

0,06

PCCD/F

ngI-TE/kg SS

5,25

-

6,55

7,18

pH EC +

P-PO4

3-

Polifenoli (Acido Gallico)

Tabella 3. Caratteristiche medie dei substrati alimentati ai reattori e degli effluenti

52

in solidi è circa il 3% di cui poco meno dell'80% volatili. La concentrazione di COD è di poco inferiore ai 25 gO2/kg. Le concentrazioni di azoto e fosforo sono pari a 48 e 18 mg/gTS rispettivamente; • la feccia presenta un tenore in secco di circa l'8% ed elevati livelli di COD, mediamente superiore a 140 g/kg, di cui per il 63% solubile. In accordo con i dati di letteratura il pH è minore di 5 e la concentrazione di polifenoli è circa 2 g/l. Il contenuto di nutrienti è pari a 70 mgN/gTS e 14 mgP/gTS. Gli intervalli di variazione dei parametri della feccia risultano piuttosto ampi dovuti sia alle variazioni legate al processo produttivo sia allo stoccaggio che può risentire delle condizioni ambientali, entrambi fattori che non possono essere controllati.

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Nel corso del periodo di monitoraggio, della durata di circa un anno, è stato possibile raccogliere i dati di processo e di resa che hanno evidenziato come la stabilità sia stata raggiunta per carichi inferiori a 3,6 kg COD/m3d, infatti a valori superiori si è osservato l’accumulo di acidi grassi volatili (VFA) che portano all’inibizione del processo di conversione a metano. Il confronto delle produzioni specifiche (in condizioni standard) tra due reattori con carico uguale, ma temperature diverse, è illustrato in fig 2. La produzione di biogas in termofilia risulta leggermente superiore (0,54 Nm3/kgCOD d) rispetto a quella ottenuta a 37°C (0,50 Nm3/kgCOD d), ed il contenuto di metano nel biogas mediamente del 65% in entrambe le prove. Una delle criticità che si riscontrano trattando reflui vinicoli è la presenza di polifenoli, sostanze che possono determinare inibizione della metanogenesi e al momento dell'immissione nell'ambiente possono ridurre l'attività microbica nei suoli e quindi la fertilità. Per questi motivi questi composti sono stati monitorati settimanalmente e non si sono riscontrate concentrazioni rilevanti, osservando in mesofila l'abbattimento dell’88% dei polifenoli. Nella Tabella 3 sono riportate le carat-


digestati hanno evidenziato concentrazioni al di sotto dei limiti di proposti dalla Comunità Europea. In merito al contenuto di metalli pesanti, l’unico valore che supera i limiti proposti dalla Comunità Europea per l’utilizzo dei fanghi sul terreno è il rame che si trova a concetrazioni superiori a 900 mg/ kgSS: tale risultato è Figura 2. Andamento dei parametri carico organico (kgCOD/m3d) e produzione dovuto all'elevato con3 specifica di biogas (Nm /kgCOD) nel corso della sperimentazione tributo della feccia in teristiche degli effluenti mesofilo e termofilo quanto nelle pratiche di cantina sono utilizzati sali di rame. Nella prospettiva dell'applicaa basso carico durante il periodo di stabilità. La stabilità biologica degli effluenti dalla dige- zione del processo studiato in piena scala è stione anaerobica è confermata dal rapporto quindi importante valutare la fattabilità sulla tra solidi volatili e totali, nettamente minore base degli impianti già esistenti, le produzioni rispetto all’influente. Il 54 e 64% dell'azoto di fanghi e di rifiuti vinicoli e, sulla base delle totale, rispettivamente, in mesofilia e termo- caratteristiche delle due matrici, determinare i filia, si trova in forma ammoniacale, indice di quantitativi massimi di fecce avviabili al proelevata degradazione del materiale organico cesso di co-digestione anaerobica al fine di (ammonificazione). La determinazione dei mi- mantenere i livelli di concentrazione dei metalli crorganismi patogeni evidenzia l'abbattimento entro il limiti di legge per l’utilizzo agronomico. di E.coli, principalmente nella prova condotta a Nel Veneto operano 80 depuratori con po55°C. Con riferimento ai limiti riportati in tabella tenzialità superiore a 15000 abitanti equiva1 solo la termofilia permette di raggiungere una lenti. Nel solo anno 2009 sono state prodotte igienizzazione adatta. Dall'analisi dei micro-in- 357.962 tonnellate di fanghi e la produzione quinanti organici si osserva che la feccia, con- probabilmente è cresciuta ulteriormente negli siderato il suo scarso contributo di diossine, ultimi anni con l'allacciamento alla rete fognafurani e PCB, è una matrice con effetto diluen- ria di nuove utenze. Nel 2011 meno del 20% te. Il processo di digestione contribuisce ad dei fanghi veneti sono stati trattati mediante abbattere le diossine e i furani meno clorurati e digestione anaerobica o compostaggio in uno più impattanti dal punto di vista tossicologico. degli 8 digestori anaerobici autorizzati (Servizio L'abbattimento dei PCB risulta invece minimo Osservatorio Rifiuti– ARPAV 2011) a favore di ad eccezione di due cogeneri (PCB-81 e PCB- altri rifiuti organici, ma è prevista un'evoluzione 126) che vengono rimossi in mesofilia per il 75 dello scenario impiantistico con la realizzazioe il 45% rispettivamente. In termofilia invece la ne di ulteriori digestori. Per quel che riguarda la rimozione si riduce al 38% per il PCB-81 e risul- produzione vinicola, il Veneto ha prodotto con ta nulla per gli altri PCB. Nonostante la scarsa la vendemmia 2011 quasi 9 milioni di ettolitri efficienza di rimozione dei PCB totali entrambi i di vino.

Considerato il tipico fattore specifico di produzione della feccia (ANPA-ONR 2011) si stima che siano state prodotte circa 51 mila tonnellate di feccia. Destinando tutta la produzione di feccia alla digestione anaerobica e mantenendo i rapporti volumetrici testati a scala pilota, verrebbe utilizzata circa il 50% della produzione veneta di fanghi (180mila ton). In tal modo si otterrebbe una produzione di energia elettrica di circa150mila MWh/anno.

CONCLUSIONI Le prove di co-digestione anaerobica di fango di depurazione e feccia di vinificazione sono state condotte in condizioni mesofile e termofile. Il processo risulta stabile con carico organico di circa 2,5 kgCOD/m3d con l'apporto di COD dovuto per il 70% dalla feccia. In queste condizioni i processi non sembrano evidenziare criticità e la produzione di biogas è circa 0,5 Nm3biogas/kgCOD alimentato, di cui il 65% costituito da metano. Il regime termofilo, benchè sia caratterizzato da un maggior abbattimento dei solidi, non determina un sostanziale aumento della produzione di biogas. La presenza di polifenoli nel refluo di cantina non ha determinato inibizione del processo e l'abbattimento osservato a 37°C è dell'85%. A livello impiantistico l'uso dei digestori già presenti risulta la scelta più idonea sia per i vantaggi che porta la co-digestione sia dal punto di vista logistico in quanto la produzione di vino è ampiamente distribuita nel territorio. *Dipartimento di Scienze Ambientali, Informatiche e Statistiche, Università Ca’ Foscari Venezia **Dipartimento di Biotecnologie, Università degli Studi di Verona

Ringraziamenti Lo studio è supportato economicamente dal 7° Programma Quadro per la Ricerca della Unione Europea attraverso il progetto ROUTES (Contratto No 265156, FP7 2007-2013, THEME [ENV.2010.3.1.1-2] Innovative system solutions for municipal sludge treatment and management). Si ringrazia inoltre la ditta Vinicola Serena srl per la collaborazione.

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La sostenibilità entra in cantiere Come raggiungere obiettivi di sostenibilità nella gestione del cantiere e dei rifiuti prodotti grazie alla certificazione LEED di Alberto Lodi e Enrica Roncalli*

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partire dal settembre 2009, ICMQ è impegnato nel processo di certificazione LEED Core & Shell di un importante cantiere di Milano (12 edifici, sia a destinazione uffici che residenziale, tra i quali alcuni “skyscraper”, con un valore delle opere superiore a 250 Ml€). Il sistema statunitense di certificazione della sostenibilità degli edifici, LEED (acronimo di Leadership in Energy and Environmental Design), sviluppato dallo U.S. Green Building Council (USGBC), fornisce delle “metriche” di misura per valutare le costruzioni ecosostenibili tramite un sistema di “rating” (punteggio) che si basa sulla verifica di un insieme di prerequisiti (obbligatori) e di crediti (che danno punteggio) da acquisire da parte del progetto. La struttura generale dei crediti comprende le seguenti aree tematiche: 1. sostenibilità del sito; 2. gestione delle acque; 3. energia e atmosfera; 4. materiali e risorse; 5. qualità ambientale interna; 6. innovazione nella progettazione; 7. priorità regionale. Il punteggio finale si ottiene sommando i punteggi conseguiti all’interno di ogni area tematica e determina il diverso livello di certificazione ottenuta: • Base 40 – 49 punti • Argento 50 – 59 punti • Oro 60 – 79 punti • Platino 80 punti e più

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Il team ICMQ, costituito da LEED AP (professionisti accreditati come esperti in materia, dal GBCI - Green Building Certification Institute di Washington) ed altri esperti, ha il compito di gestire e coordinare tutte le attività utili a perseguire la certificazione nella fase di cantiere, con l’onere di supportare il General Contractor nel conseguimento del livello di certificazione (nel caso in questione, il livello “Gold”) richiesto dal Committente e divenuto obbligo contrattuale per il General Contractor stesso, nel momento dell’accettazione del contratto. Gestire un cantiere di questo tipo, con caratteristiche spinte di sostenibilità, implica la gestione operativa di diversi requisiti specifici, il rispetto di norme di riferimento richiamate nello standard e il raggiungimento di specifici obiettivi dettati da ciascun credito di appartenenza. E’ inoltre necessario monitorare costantemente le varie fasi di lavorazione del cantiere attraverso audit periodici effettuati per verificare il mantenimento delle strategie implementate. Per chiarire meglio tali concetti, forniamo qui di seguito alcune esemplificazioni di quali siano i prerequisiti e i requisiti da soddisfare nel cantiere sostenibile.

Generalità sui prerequisiti e crediti della fase di cantiere Prerequisito 1: “Sustainable Site - Construction Activity Pollution Prevention”

Il rispetto di questo prerequisito richiede lo

sviluppo e l’implementazione di un “Piano per il controllo dell’erosione e della sedimentazione del suolo” allo scopo di prevenire la perdita di suolo verso l’esterno del cantiere, la sedimentazione di terreno nei canali fognari e nei corpi idrici e l’inquinamento dell’aria causato dallo sviluppo di polveri. Ciò comporta, ad esempio, l’installazione di coperture realizzate con teli HDPE sulla porzione più alta delle rampe di risalita degli automezzi, l’impiego di un impianto di lavaggio delle ruote dei camion uscenti dall’area di cantiere al fine di prevenire l’imbrattamento del manto stradale esterno, la collocazione di impianti di inumidimento dei mucchi di terra presenti in cantiere durante la stagione secca. Tutti provvedimenti tesi a minimizzare l’impatto del cantiere sulla città. Credito 5.1-5.2: “Material & Resource Regional Materials, 10/20% extracted, Processed & Manufactured Regionally”

Viene richiesto ai vari fornitori/subappaltatori di utilizzare la maggior percentuale possibile di materiali estratti, lavorati e realizzati a livello locale (entro 800 km dal cantiere, secondo le regole stabilite da USGBC). Obiettivo di questi crediti è diminuire l’impatto dei trasporti (consumi ed inquinamento) e favorire l’impiego di materiali di provenienza regionale. Credito 2.1-2.2: “Material & Resource - Construction Waste Management”

I rifiuti generati dalle attività di demolizione e costruzione vengono indirizzati verso impianti di recupero e riciclo piuttosto che in discarica o presso inceneritori. Tale strategia deve


essere implementata mediante la creazione di un apposito “Piano per la gestione dei rifiuti”. La raccolta differenziata svolta in cantiere deve venire spinta e praticata per diverse tipologie di materiali (scarti di lavorazione). Secondo dati aggiornati, un’attenta gestione della raccolta differenziata nel cantiere, può portare a superare il 90% dei rifiuti riciclati. Essi vengono distolti dalla discarica e dall’incenerimento per essere inviati a recupero o riciclo. In tale attività non è così difficile riuscire anche ad oltrepassare le soglie obiettivo indicate da USGBC per i relativi crediti. Risulta perciò attuabile, se la raccolta viene adeguatamente preparata, innanzitutto con una formazione iniziale delle maestranze ed un corretto posizionamento dei punti di raccolta in cantiere e un'elevata diminuzione dell’impatto dei rifiuti. Credito 4.1-4.2: “Material & Resources - Recycled Content, 10/20% (postconsumer +½ pre-consumer)”

In questi crediti, viene richiesto ai vari fornitori/subappaltatori di utilizzare la maggior percentuale possibile di materiali derivati dal riciclo di materiali di scarto di lavorazioni e di materiali di scarto costituenti rifiuto, allo scopo di ridurre il consumo di materiale vergine. A tale proposito, ciascun fornitore deve presentare un’autodichiarazione conforme alla UNI EN ISO 14021 “Environmental labels and declarations - Self-declared environmental claims (Type II environmental labelling)", indicante la percentuale di materiale riciclato del proprio prodotto. Nel caso di studio, la committenza ha richiesto che tali dichiarazioni fossero convalidate da Organismi di Certificazione o Ispezione di terza parte indipendente, accreditati, in conformità alla norma ISO IEC 17020 per "Servizi e prodotti per le costruzioni", come organismo di tipo A, oppure accreditati in conformità alla norma ISO IEC 17021 per i sistemi di gestione ambientale nel settore EA specifico di appartenenza del prodotto.

delle risorse riciclabili nel processo produttivo, conferendo i materiali riutilizzabili in appositi siti di raccolta. Il mercato dei rifiuti speciali da costruzione e demolizione ha conosciuto un rilevante sviluppo nell’ultimo decennio, sostenuto da un lungo ciclo di espansione del settore delle costruzioni, oltre che da norme volte a favorire una gestione a minore impatto ambientale degli scarti prodotti dall’attività edilizia. La gran parte di tali rifiuti è oggetto di un importante processo di recupero dei materiali, e quindi non destinata ad operazioni di smaltimento, presentando vantaggi economici per una molteplicità di attori. Per poter conseguire questi due crediti, è necessario riciclare e/o recuperare almeno il 50% (credito 2.1) o il 75% (credito 2.2) dei

materiali di costruzione e demolizione non pericolosi, sviluppando ed implementando un piano di gestione dei rifiuti da costruzione. Il terreno di scavo e le macerie di risulta dalla pulizia del terreno non contribuiscono a questi crediti. I calcoli possono essere fatti secondo il peso o il volume. La documentazione da presentare per il perseguimento dei crediti, deve comprendere: • tabelle per il calcolo dei rifiuti da costruzione adeguatamente compilate con la descrizione di ogni tipo/categoria di rifiuti prodotti, la localizzazione del riciclatore/ discarica e le quantità; • relazione che descriva l’approccio di gestione dei rifiuti del progetto di costruzione, essa deve comprendere il Piano di Gestione Rifiuti.

Crediti MR 2.1 e 2.2 – Gestione dei rifiuti da costruzione

L’obiettivo di questi due crediti è evitare che i rifiuti di costruzione, demolizione e pulizia del terreno siano conferiti in discarica e negli inceneritori, in modo da favorire la re-immissione

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Nel Piano è necessario prevedere il riciclaggio di: • carta e cartone, • laterizi, • pannelli isolanti, • cemento e calcestruzzo, • plastica, • inerti, • ferro e altri metalli, • legno, • vetro, • cartongesso. Per tali raccolte sono da destinare una o più aree specifiche in cantiere per la raccolta separata, o indifferenziata, dei materiali riciclabili, documentando gli sforzi attuati per il riciclaggio durante le fasi di costruzione. Questo processo di gestione di materiali include l’identificazione dei soggetti che effettueranno trasporto e riciclo dei materiali designati, ma anche la possibilità di donare materiali ad enti caritatevoli o di recuperarli all’interno del sito di costruzione.

In termini strategici il Piano di Gestione dei Rifiuti deve essere periodicamente revisionato in relazione al progredire delle fasi di cantiere, poiché in funzione delle attività svolte devono essere valutati, ad esempio, la nuova localizzazione e il numero dei cassoni di raccolta sulla base delle tipologie di rifiuti prodotte nelle diverse fasi. Per quanto riguarda la verifica del rispetto da parte di tutti i subappaltatori delle procedure di raccolta differenziata, è necessario eseguire controlli periodici, durante i quali vengono compilate apposite schede di valutazione, per monitorare e documentare il corretto andamento del Piano di Gestione dei Rifiuti. Tutti i formulari di accompagnamento dei rifiuti in uscita dal cantiere devono essere raccolti e archiviati al fine di ricostruire inequivocabilmente il codice CER di identificazione, i quantitativi di rifiuti prodotti, i soggetti trasportatori e i destinatari finali.

La complessità di tali operazioni è data dalla necessità di coordinamento tra: • subappaltatori, i quali hanno l’onere di servirsi degli appositi cassoni presenti nelle aree di raccolta, di separare i rifiuti secondo le frazioni stabilite e fornire tutta la documentazione relativa al processo di gestione dei rifiuti; • soggetti trasportatori e riciclatori/smaltitori dei rifiuti, ai quali è richiesto di massimizzare la percentuale di rifiuti avviati a recupero/riciclo e di fornire, mensilmente, una dichiarazione che descriva la situazione dei rifiuti prodotti, sia in termini di tipologie e quantitativi, sia di obiettivi di riciclaggio raggiunti, riportando nello specifico luogo di ricezione dei rifiuti, per ogni tipologia e quantitativo inviato a recupero/riciclo; • destinatario finale che riceve le frazioni recuperate/riciclate. *ICMQ

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Un tetto ovunque


La crisi economica e le bonifiche ambientali È possibile affrontare la recessione valutando tecnologie di bonifica in situ a basso costo? Spesso sì! di Carlo Alberto Saccenti* e Roberto Ricci**

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causa della profonda crisi economica che da oltre due anni ha colpito il nostro Paese, si è verificato un forte rallentamento dei cantieri di bonifica a causa degli elevati costi di intervento che in passato, magari a fatica, si riusciva però a sostenere al fine di rispettare puntualmente la normativa vigente. D'altra parte, la recessione ha fatto registrare la chiusura di numerose attività industriali, spesso con importanti criticità di carattere ambientale, fatto che talvolta ha comportato l'abbandono delle aree utilizzate, la dismissione delle attrezzature in esse presenti, l'assenza di manutenzione ad impianti e ad eventuali stoccaggi.

Il tutto a discapito dell'ambiente che, crisi o non crisi, deve far fronte ai nuovi carichi inquinanti che gravano su di sé. Relativamente alle tecnologie applicate, fino a poco tempo fa per bonifica di un sito si intendeva per lo più lo spostamento del rifiuto da un sito di produzione ad un altro di smaltimento, reintegrando i volumi rimossi con ulteriori volumi di estrazione da cave che nel contempo andavano nuovamente a danneggiare l'ambiente. É ovvio che tali tecniche, ormai da considerare obsolete e da evitare, non fanno altro che elevare esponenzialmente i costi di bonifica mettendo in ginocchio le figure che devono sostenere tali costi, le quali non potendo sopportare la pressione fiscale, decidono che è più conveniente la chiusura dell'attività rispetto alla salvaguardia del territorio. Per ovviare a tale situazione ormai insostenibile abbiamo cercato di coinvolgere i ns. Clienti nell'acquisizione di una maggiore coscienza ambientale proponendo loro l'applicazione di tecniche innovative di bonifica in situ, che garantiscono risultati ottimi in relazione alla effettiva messa in sicurezza e all'eventuale bonifica del sito con un conseguente drastico contenimento dei costi finali. Tra le potenziali tecniche di trattamento in situ, le tecnologie di biorisanamento sono basate sulla stimolazione di determinati processi naturali in grado di biodegradare o detossificare le sostanze contaminanti presenti nelle matrici inquinate.

Con queste tecnologie è possibile trattare in maniera efficace la maggior parte dei contaminanti ambientali, se adottate con i dovuti criteri e la dovuta preparazione tecnico-scientifica; sovente, infatti, il ricorso a “polverine magiche” presenti in commercio, rappresentate magari da batteri derivanti da scarti di impianti di depurazione venduti a caro prezzo, vanificano le attività di bonifica. Considerati i vari step burocratici impartiti dalla legislazione vigente, occorre puntare sempre più a ottimizzare le fasi iniziali del procedimento in termini di costo totale dell'intervento. In effetti a tutti è noto quanto la fase di caratterizzazione del sito sia decisiva al fine di comprendere le effettive problematiche presenti, ma va sottolineata l'importanza di tale step per individuare i possibili “aiuti” naturalmente presenti in sito. Pertanto, oltre alle consuete opere di caratterizzazione adottate sino ad oggi, riteniamo di fondamentale importanza l'esecuzione di test in microcosmo finalizzati proprio a definire le caratteristiche di biotrattabilità della matrice inquinata e le modalità di intervento, che spesso consentono di evitare o almeno ridurre al minimo eventuali smaltimenti e/o costosi trattamenti off site. Tali verifiche biologiche consentono di valutare la fattibilità di biorisanamento nel caso specifico. Per quanto riguarda la contaminazione delle acque di falda e/o superficiali, sono stati condotti numerosi interventi in situ, che hanno consentito di evitare l'utilizzo di im-

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che limita il consumo di corrente elettrica. Dopo questa breve ma necessaria prefazione, qui di seguito si propone un case history, in cui vengono messe a confronto, dal punto di vista operativo ed economico, le tecnologie “classiche” (MOC) con le tecnologie da noi adottate (MOA).

Conclusioni

pianti di sollevamento, smaltimento di letti filtranti e/o allontanamento di acque trattate col migliore rapporto costi economici/benefici ambientali. La nostra esperienza ci ha portato a selezionare sempre più frequentemente tecniche di bioremediation dei terreni, con impianti installati fin dalla prima fase di messa in sicurezza seguendo l'applicabilità desunta dai precedenti test di microcosmo, agevolando la fauna batterica alla digestione naturale mediante inserimento di specifici nutrienti e aria per velocizzare il processo e ridurre più velocemente possibile la dispersione della contaminazione. Per l'inserimento di queste miscele è molto efficace l'utilizzo della tecnica RW (Reverse - Wellpoint), che permette l'iniezione a quote diverse di miscele appositamente studiate, che consente di trattare anche aree estese con l'utilizzo di ridottissime quantità di acqua e con una strumentazione pneumatica

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Come indicato in premessa, i risultati dei Test in microcosmo svolti in fase di caratterizzazione sono stati impiegati per definire la fattibilità e il dimensionamento dell’intervento di biorisanamento. La bonifica è avvenuta trattando in situ le matrici ambientali contaminate, tramite aggiunta di un mix di nutrienti in grado di stimolare la flora microbica autoctona, capace di biodegradare gli idrocarburi limitandone la diffusione nell’ambiente. Nel caso specifico, la tecnologia di biorisanamento è consistita nell’adozione della tecnica RW (Reverse Wellpoint), che permette l'iniezione a quote diverse, coprendo una ragguardevole area di intervento con l'utilizzo di ridottissime quantità di acqua, senza aggiunta di sostanze chimiche e con una strumentazione pneumatica che limita il consumo di corrente elettrica. Grazie a tale gestione il cliente ha potuto contenere il costo dell'intervento, è riuscito a tenere sotto controllo i flussi finanziari evitando SAL esorbitanti dovuti a trattamenti off site e ha gestito una contabilità snella e dilazionata nei due anni. La tecnologia ha inoltre effettivamente consentito di salvaguardare l'ambiente. * SIA Saccenti Ingegneria Ambientale sas ** BIOSEARCH Ambiente srl

Contaminazione accidentale di 23.000 lt di gasolio e 13.000 lt di benzina verde a seguito di sinistro stradale A causa di un incidente si è verificata la fuoriuscita improvvisa di 36.000 lt di idrocarburi che hanno invaso una risaia allagata, la banchina stradale e la sottostante falda superficiale (che si attesta a circa 6 m da p.c.). Si mettono qui di seguito a confronto le tecniche solitamente adottate per interventi analoghi e nuove tecnologie da noi proposte in fase progettuale e operativa. Riteniamo questo caso esemplare poiché, oltre ad evidenziare i vantaggi sopra descritti dall’adozione di tecniche di biorisanamento in fase di bonifica, mostra che il corretto approccio ad un evento accidentale nelle fasi di messa in sicurezza d’emergenza contribuisce in modo efficace all’abbattimento dei costi complessivi di intervento. L'esempio pratico condiviso mostra che il sistema classico porta alla movimentazione di grandi quantitativi di acqua e di terreni contaminati, ma non scongiura la diffusione del contaminante nelle matrici ambientali; l'applicazione del sistema MOA ha permesso di contenere effettivamente e immediatamente la diffusione dei contaminanti, senza trascurare nel contempo lo svolgimento di tutte le indagini utili a selezionare l’intervento di bonifica. Le attività di caratterizzazione devono inoltre essere volte fin da subito a ottenere i dati utili a redigere il documento di Analisi di Rischio sanitario ambientale, documento essenziale al progettista per definire gli obiettivi da fissare nel progetto di bonifica e di fondamentale importanza per il cliente per poter prevedere anticipatamente la destinazione d'uso del sito a termine delle opere, permettendo in tal modo di valutare le varie e possibili azioni di investimento finanziario. Una caratterizzazione delle matrici e dell'ambiente circostante eseguita fin dall'inizio nella maniera più completa e approfondita possibile, al fine di ottenere tutte le informazioni utili a definire tipologia e grado di contaminazione, biotrattabilità delle sorgenti e definizione di tutti i valori di input dell'analisi di rischio, consente di accelerare i tempi dell'iter normativo e operativo, nonché di ottimizzare i costi di messa in sicurezza e bonifica futuri. Dal punto di vista dell'iter burocratico, si confrontano, per la stessa contaminazione descritta in precedenza, lo scenario classico MOC e quello seguito dagli scriventi MOA, analizzati preventivamente allo svolgimento delle opere in sito.


FASE DI MESSA IN SICUREZZA EMERGENZA - ACQUA SUPERFICIALE MOC

MOA

Aspirazione mediante autospurgo delle acque contenute all'interno della risaia e successi- Estrazione del surnatante dall’acqua della risaia con apparecchiature skimmer tipo barracuda. vo smaltimento; spandimento dell'iridescenza sul terreno al momento dell'abbassamento P&T con disoleazione dei liquidi, filtrazione su doppio elemento filtrante e reimmissione dei del livello d'acqua con conseguente necessità di asportazione di parte di terreno superfi- liquidi trattati in risaia. ciale ed allontanamento ad impianto autorizzato. Costi Smaltimento liquami mc 600 x 190,00 €/mc = € 114.000,00 Smaltimento terreno mc 480 => 864 ton. 175,00 €/ton. = € 151.200,00 Reinterro terreno mc 480 x 25 €/mc = € 12.000,00

Costi Trattamento acque e smaltimento rifiuti compresi elementi filtranti = € 79.000,00

Totale 277.200,00 €

Totale 79.000,00 € FASE DI MESSA IN SICUREZZA EMERGENZA - TERRENO MOC

MOA

Escavazione banchina stradale contaminata con asportazione terreno ed invio a smaltimento, problemi di viabilità per rischio smottamento sede stradale per lavori di sottomurazione. Durante tali lavori non è possibile occuparsi immediatamente della falda nonostante la maggiore criticità ambientale.

Sono stati asportati mc 52 di terreno maggiormente contaminato. Durante le fasi di indagini preliminare eseguite 72 ore dopo il sinistro sono stati realizzati 5 carotaggi allestiti a piezometri e prelevate aliquote di suolo impiegate per l’esecuzione del Test in microcosmo e per indagini utili per l’Analisi di rischio. Riscontrata la presenza di un notevole quantitativo di surnatante (circa 80 cm) in corrispondenza della verticale della banchina stradale, si è immediatamente installato un impianto di P&T a bassa portata, come messa in sicurezza della falda e nel contempo si è provveduto ad installare un disoleatore a nastro direttamente in falda per rimuovere solo il surnatante.

Costi Smaltimento terreno: mc 240 => 432 ton 175,00 €/ton = € 75.600,00 Reinterro terreno: mc 240 x 25 €/mc = € 6.000,00

Costi Smaltimento terreno mc 52 => 94 ton 175,00 €/ton = € 4.900,00 Reinterro terreno: mc 52 x 25 €/mc = € 1.300,00 Impianto P&T durata 6 mesi € 84.000,00 Disoleazione in falda 2 mesi € 39.000,00

Totale 81.600,00 €

Totale 129.200,00 € PIANO DI CARATTERIZZAZIONE MOC

MOA

Impossibilitati all'escavazione oltre i 3 m di profondità si sarebbe provveduto a presentare il PdC ed attendere la conferenza dei servizi senza avere approfondito la conoscenza del livello saturo del sottosuolo; nella migliore delle ipotesi dopo alcuni mesi sarebbero iniziati i lavori di caratterizzazione che avrebbero evidenziato una grave contaminazione delle acque sotterranee estesa su un'area piuttosto ampia. Si sarebbe presumibilmente installato un impianto di P&T con un elevato dispendio di denaro per il pompaggio e il trattamento delle acque. Opere di caratterizzazione e installazione n. 5 pozzi per P&T = € 27.000,00 Impianto di P&T durata presunta di 6 mesi = € 120.000,00

Dopo 1 mese dal sinistro è stato presentato il PdC e gli Enti preposti hanno riscontrato la volontà di bonifica da parte del produttore dell'inquinamento. La conferenza dei servizi è stata svolta dopo pochi giorni dalla presentazione del documento progettuale ed entro 60 gg dal sinistro era stata rimossa completamente la sostanza surnatante, era stato mantenuto un presidio di P&T dotato di allarmi e dato il via alla redazione del documento di analisi di rischio.

Totale 147.000,00 € PROGETTO OPERATIVO DI BONIFICA MOC

MOA

Proposta di un progetto di bonifica che probabilmente avrebbe previsto la rimozione di altro terreno fino al raggiungimento dei limiti tabellari e l'impianto di P&T sarebbe rimasto in funzione come sistema di messa in sicurezza della falda per una durata di “n” anni con un costo realisticamente previsto di € 350.000,00.

A 10 mesi dal sinistro è stata presentata l'AdR e sulla base delle risultanze è stato redatto il POB. A 18 mesi dal sinistro è stato installato il sistema di bonifica RW (Reverse Wellpoint) per la bonifica dei terreni. Impianto RW per durata di mesi 5 = € 145.000,00

Totale 350.000,00 €

Totale 145.000,00 € RISULTATO AMBIENTALE MOC

MOA

Dopo la rimozione e smaltimento di enormi quantitativi di terreni, acqua, filtri esausti e A 2 anni dal sinistro il sito è stato bonificato ai limiti tabellari colonna A, è stato eseguito un solo quant’altro il risultato sarebbe stato comunque incerto. cambio di carboni per l'impianto P&T (70 mc/h), non è stata smaltita acqua. Movimentazione di circa n. 70 mezzi per il trasporto di terreni e acqua contaminati, filtri Movimentazione di n. 3 mezzi per il trasporto di terreni e acqua contaminati. esausti con relative emissioni. Elevato dispendio di energia. Consumo minimo di energia. COSTI COMPLESSIVI MOC

COSTI COMPLESSIVI MOA

€ 855.800,00

€ 353.200,00

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Ossidazione del metano e mitigazione delle emissioni odorigene da discarica Studio dell’applicazione di sistemi di biofiltrazione dei gas di discarica, sperimentazioni a scala di laboratorio e a scala pilota di I. Pecorini*, L. Frassinetti**, F. Olivieri*** e L. Zipoli***

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no dei maggiori effetti ambientali legati alle discariche e ad alcuni impianti di smaltimento e trattamento dei rifiuti, deriva dall’emissione in atmosfera dei gas che si producono dalla naturale degradazione della sostanza organica presente all’interno del rifiuto. Nel caso della discarica, si tratta di una miscela gassosa (biogas) composta principalmente da metano, anidride carbonica e altri gas in tracce prodotti dalla fermentazione anaerobica metanogenica della sostanza organica. La produzione delle principali componenti del biogas avviene inizialmente attraverso tre fasi sequenziali (aerobica, anaerobica acida, metanogenica iniziale) seguite da una fase di produzione stabile di CH4 e CO2. È noto che le emissioni di biogas sono caratterizzate da impatti con differenti scale spaziali e temporali. A differenza di altri processi coinvolti nei sistemi di trattamento dei rifiuti, quelli che avvengono in discarica generano impatti anche molto tempo dopo che il rifiuto è stato smaltito, da decine a centinaia di anni. Non solo il periodo in cui le emissioni sono significative può essere lungo, ma gli stessi composti emessi possono avere effetti di lunga durata. Il sistema di captazione del biogas e le coperture giornaliere e definitive sono, di norma, i metodi impiegati per il controllo delle emissioni.

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Tuttavia questi non raggiungono un’efficienza del 100%: è stato dimostrato che il sistema di captazione in un impianto attivo raggiunge il 35% e fino al 90% dopo la posa della copertura definitiva. Inoltre, nel tempo, con la naturale diminuzione della produzione del biogas e del suo contenuto di metano, le tecnologie di trattamento attualmente diffuse, come il recupero energetico o la combustione in torcia, diventano tecnicamente ed economicamente inadatte (discariche in post-gestione). La biofiltrazione è considerata un’alternativa efficace nella gestione dei gas di discarica sia per l’ossidazione del metano nelle emissioni fuggitive e con basso potere calorifico, che per la riduzione delle componenti odorigene. La biofiltrazione è un processo di trattamento degli effluenti gassosi che utilizza l’ossidazione dei composti inquinanti da parte di microrganismi specifici. Nei mezzi filtranti, in cui viene convogliato l’effluente che deve essere trattato, vengono create e monitorate le condizioni ottimali per lo sviluppo di popolazioni microbiche eterogenee che fungono da agente di rimozione naturale. In particolare, i processi di ossidazione del metano avvengono ad opera di batteri mesofili aerobici metanotrofi, mentre la rimozione dell’idrogeno solforato (fra i principali composti odorigeni) avviene ad opera di batteri autotrofi zolfo-ossidanti.

Dalla revisione della letteratura scientifica emerge che i parametri che maggiormente influenzano i processi di trasporto, emissione e migrazione dei gas di discarica sono: • condizioni meteorologiche (pressione barometrica, precipitazioni, temperatura, vento); • caratteristiche della copertura (crepe, fessure, permeabilità, diffusività, porosità, contenuto d’acqua, contenuto organico); • caratteristiche dei rifiuti smaltiti e elementi impiantistici della discarica (produzione di gas, presenza di barriere interne, sistema di captazione). Nello specifico, relativamente ai processi di ossidazione biologica del metano, sono parametri forzanti: • l’umidità del terreno filtrante, parametro influenzato dalle caratteristiche tessiturali del terreno e dalle condizioni climatiche, in particolare dalle precipitazioni (deve essere compresa fra 7-8% e 70%); • la temperatura del terreno, il cui incremento è indice di attività microbica essendo le reazioni di ossidazione del metano esotermiche; in particolare, elevate efficienze di ossidazione sono registrate per valori compresi fra 20°C e 40°C; • la presenza di ossigeno, necessario per le reazioni ossidative, che può essere limitata dalla presenza di acqua per le precipi-


tazioni o dall’accumulo di sostanze esopolimeriche (EPS), sostanze prodotte dalle stesse colonie batteriche quando esposte a flussi di gas per periodi prolungati di tempo; questo parametro risulta quindi correlato alla composizione, alla tessitura, alla porosità e permeabilità del materiale filtrante nonché alla pressione atmosferica ; • il pH del materiale filtrante i cui valori ottimali, per l’ossidazione sia del metano che dell’idrogeno solforato, risultano essere quelli prossimi alla neutralità o leggermente basici. In questo articolo vengono illustrati i risultati di un progetto di ricerca sperimentale sviluppato presso l’impianto di discarica di Podere Casa Rota, gestito da Centro Servizi Ambiente e Impianti S.p.A., nell’ambito del progetto RECORE (Riduzione delle Emissioni di gas serra in discarica mediante COperture REattive). L’obiettivo della ricerca è quello di verificare l’applicabilità di questi sistemi a impianti di discarica reali, sia come biofiltri passivi per il trattamento di biogas povero, sia come coperture giornaliere

e definitive per discariche ancora attive per il trattamento delle emissioni superficiali. Le coperture reattive, ovvero un sistema di copertura con materiale in cui si sviluppano le condizioni ambientali adatte alla crescita delle flore batteriche metanotrofe, sono state costruite in vasca di coltivazione, direttamente in contatto con il rifiuto conferito. In particolare sono state studiate quattro coperture in differenti materiali biofiltranti: • compost, proveniente dal compostaggio di frazione organica dei rifiuti urbani raccolta con sistema di raccolta differenziata miscelato a sabbia con un rapporto di 5:1; • Frazione Organica Stabilizzata (FOS), proveniente dalla stabilizzazione della frazione organica dei rifiuti ottenuta dalla selezione meccanica di rifiuto urbano indifferenziato, sempre in un rapporto di 5:1 con sabbia; • FOS-Compost, una miscela dei due materiali con sabbia, secondo un rapporto volumetrico di 2,5:2,5:1; • sabbia, copertura utilizzata come copertura di riferimento (test in bianco).

L’area della sperimentazione, di circa 100 m2, è costituita dalle quattro coperture divise fra loro da un argine in legno e da un’area di circa 20 m2 di copertura giornaliera utilizzata come test bianco. Ogni copertura sperimentale, che affossa nel rifiuto per 30 cm circa, è composta da uno strato di circa 10 cm di materiale drenante (ghiaia) e da uno strato filtrante di 70 cm circa.

Figura 1. Risultanze del primo periodo di osservazione in merito alle concentrazioni di metano; per ogni materiale filtrante si osserva una riduzione lungo il profilo del carico di inquinanti, in superficie prossimi allo zero

Figura 2. Risultanze del primo periodo di osservazione in merito alle concentrazioni di H2S; per ogni materiale filtrante si osserva una riduzione lungo il profilo del carico di inquinanti, in superficie prossimi allo zero

Figura 3. Risultanze del primo periodo di osservazione; per ogni tipologia di copertura è stato calcolato il rapporto fra le concentrazioni di CH4 e CO2, l’aumento della concentrazione di CO2 porta ad una consistente diminuzione di tale rapporto

Figura 4. Coperture reattive, realizzazione dell’impianto pilota e vista delle 4 tipologie di materiali filtranti scelti

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pro g e t t i e t ec nol og i e

Figura 5. Realizzazione dell’impianto pilota

Figura 6. Realizzazione dell’impianto pilota

Il sistema di misurazione e di monitoraggio della sperimentazione è composto da numerose sonde di campionamento del gas per ogni copertura, in modo tale da consentire il campionamento del gas a diverse profondità per ciascun materiale utilizzato, costituite da piccoli tubi in HDPE con un diametro interno di 8 mm. In particolare il sistema di campionamento è formato da 27 sonde per ognuna delle quattro coperture e 16 sonde nella zona esterna circostante. Il biogas presente nella copertura può essere campionato in questo modo alla profondità di 15, 25, 35, 45, 55, 65 e 75 cm. Attraverso il metodo sperimentale della “Camera di Accumulo” vengono inoltre effettuate delle misure del flusso superficiale di biogas dalle coperture, al fine di determinare la relativa efficienza di abbattimento di metano. Riassumendo quindi, per ogni copertura sono stati rilevati i seguenti parametri:

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I risultati ottenuti dimostrano che in ogni copertura, la concentrazione di metano in uscita alle coperture (basse profondità) per ogni materiale è minore di quella in ingresso. Inoltre, confrontando i valori misurati all’interno delle coperture con quelli misurati nell’area circostante (riga rossa), si nota che concentrazioni delle coperture sperimentali sono apprezzabilmente più basse. Le performance migliori sono quelle della copertura in FOS e Compost. Considerando le concentrazioni rilevate si stima un’efficienza di abbattimento 92% del metano e del 96% dell’idrogeno solforato. Nel lungo periodo il sistema dimostra di essere ancora efficace nell’abbattimento delle emissioni, nonostante l’eccessiva umidità delle coperture dovuta ad abbondanti piogge stagionali crei problemi nell’utilizzo delle sonde di campionamento più profonde. Risulta inoltre che l’abbondante vegetazione che si sviluppa naturalmente interferisce con il sistema implementato rendendo necessari alcuni lavori di mantenimento della copertura sperimentale. A conferma dei buoni risultati ottenuti nel test a scala pilota, il materiale FOS-Compost è stato utilizzato anche in alcuni test in colonna. Nei numerosi test a cui è stato sottoposto, questo materiale ha dato prova di avere alte efficienze di rimozione. In particolare per un flusso di metano in ingresso pari a 40 ml/min (che corrisponde a 1000 gCH4/m2d circa) è stata registrata un’efficienza di rimozione pari all’80% con un rateo specifico di abbattimento di 33 gCH4/m3h.

• l’umidità e il pH della copertura; • le condizioni atmosferiche; • la composizione del biogas in termini di CH4, CO2, O2 e H2S; • la temperatura dello strato filtrante alle differenti profondità; *Dipartimento di Ingegneria Industriale, • il flusso di biogas dalla copertura attraverUniversità degli Studi di Firenze so il metodo della “Camera di Accumulo”. **Amministratore delegato di Centro Servizi Le biocoperture sono state monitorate per più Ambiente Impianti un anno, è stato quindi possibile studiarne il ***Tecnici di Centro Servizi funzionamento nel breve e nel lungo periodo. Ambiente Impianti In particolare, con la misura della composizione del biogas alle differenti profondità è stato possibile ricostruire l’andamento dei vari gas nonché individuare le profondità con più elevata atti- Figura 7. Sezione con illustrazione schematica dell’apparato di sonde dedicato al vità batterica. monitoraggio dell’impianto pilota


NORM ATIVA

Le gare pubbliche per l’affidamento di interventi di bonifica La complessa e articolata questione dell’obbligo di gara per la realizzazione di interventi di bonifica da parte della pubblica amministrazione di Domenico Ielo*

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n tema ad oggi poco affrontato riguarda il perimetro degli obblighi di gara pubblica per gli interventi di bonifica. La questione, come si illustrerà, è complessa e articolata. Nulla quaestio sulla necessità di affidare con gara i lavori di bonifica che devono essere realizzati da parte della p.a. A norma dell’art. 250 del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, laddove il responsabile della contaminazione non bonifichi, e non provveda neanche il proprietario del sito né altri soggetti interessati, può intervenire la p.a. In questo caso, la selezione del soggetto attuatore di tali interventi di bonifica deve avvenire tramite gare a evidenza pubblica. Anche l’organismo di diritto pubblico è tenuto ad affida-

re con gara pubblica i lavori di bonifica, considerata l’ampiezza dell’obbligo di gara che grava su tali soggetti. Obbligo che riguarda: i) tutti gli appalti che attengono alla missione di interesse pubblico dell’organismo; ii) anche gli appalti – in applicazione della c.d. teoria del contagio, affermata dalla sentenza Mannesman – estranei alla missione di interesse generale di cui tale organismo sia investito (Corte Giust. CE, 15 gennaio 1998, n. 44).

Il perimetro dell’obbligo di gara per gli interventi di bonifica Limitato è il perimetro dell’obbligo di gara attinente all’affidamento di lavori di bonifica - gravante sulle imprese pubbliche (sostanzialmente società assoggettate a controllo pubblico).

In base agli artt. 207 e 217 del D.Lgs. 12 aprile 2006 n. 163 (codice dei contratti pubblici), le imprese pubbliche sono obbligate a indire gare a evidenza pubblica solo al ricorrere di due concorrenti presupposti: i) quando operino nei settori speciali (gas, acqua, energia elettrica, porti, aeroporti, ecc.); ii) per l’affidamento di appalti che siano strumentali all’attività svolta nei settori speciali. Laddove affidi un appalto non strumentale alle attività svolte nei settori speciali, l’impresa pubblica non è assoggettata a obblighi di gara. Conseguentemente, laddove l’attività di bonifica sia strumentale all’attività svolta dall’impresa pubblica nel settore speciale, quest’ultima è obbligata a scegliere l’appaltatore con gara. Diversamente, non vige alcun obbligo di gara. Si prenda in considerazione, per esempio, il settore aeroportuale: laddove al fine di allargare una pista aeroportuale debba bonificare

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la stessa, il gestore dell’infrastruttura aeroportuale deve selezionare l’appaltatore mediante gara. Considerazioni analoghe valgono nei casi di privati che (eccezionalmente) sono obbligati a indire gare laddove svolgano attività nei settori speciali in virtù di un diritto speciale o esclusivo. Tali soggetti saranno tenuti ad affidare con gara i lavori di bonifica solo laddove tali lavori siano strumentali all’attività svolta dal privato nel settore speciale (ad esempio un concessionario del gas che, per installare un metanodotto, debba necessariamente bonificare il sito).

dei contratti pubblici, la realizzazione diretta delle opere di urbanizzazione a scomputo è assoggettata all’obbligo di gara pubblica. Tale norma recepisce le indicazioni contenute nella sentenza della Corte di Giustizia “Ordine degli Architetti delle Province di Milano e Lodi” (Corte di Giustizia, 12 luglio 2001), secondo cui la realizzazione diretta di un’opera di urbanizzazione a scomputo totale o parziale del contributo previsto da una concessione edilizia o da un piano di lottizzazione ha natura di appalto pubblico di lavori, con conseguente obbligo di esperire procedure ad evidenza pubblica per l’affidamento della realizzazione dei lavori stessi.

Gli interventi di bonifica realizzati dal privato

Poiché gli interventi di bonifica sono opere di urbanizzazione secondaria, in via di principio per la loro realizzazione dovrà essere indetta una procedura di gara da parte del privato. Al riguardo, si segnala il recente intervento normativo introdotto dal c.d. decreto Salva Italia che, inserendo il comma 2 bis nell’art. 16 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, ha previsto che l’esecuzione diretta delle opere di urbanizzazione primaria sottosoglia e funzionali all’intervento di trasformazione urbanistica del territorio, sia a carico del titolare del permesso di costruire e che non trovi applicazione il codice dei contratti pubblici. Conseguentemente: i) per le opere di urbanizzazione primaria e secondaria (tra cui vi sono gli interventi di bonifica) sopra soglia vige l’obbligo di gara; ii) per le opere

Più complicato è il caso degli interventi di bonifica realizzati dai privati (al di fuori dei casi illustrati). In base all’art. 16, comma 8, del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, in quanto attrezzature sanitarie, gli interventi di bonifica rientrano tra gli oneri di urbanizzazione secondaria. Occorre considerare che i costi di bonifica rappresentano un disincentivo al recupero di aree dismesse (brownfields). Per favorirne il recupero occorrono incentivi agli interventi da parte dei c.d. sviluppatori e un incentivo è senz’altro rappresentato dalla possibilità di scomputare i costi di bonifica dagli interventi di riqualificazione urbanistica. Ma lo scomputo ha un rovescio della medaglia. Secondo l’art. 32, comma 1, lett. g) del codice

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di urbanizzazione secondaria sotto soglia vige l’obbligo di gara con le modalità e le forme dell’art. 122, comma 8 del codice dei contratti pubblici; iii) per le opere di urbanizzazione primaria sotto soglia non vige più l’obbligo di gara.

La connessione tra obbligo di gara e meccanismo dello scomputo Il meccanismo della gara è legato al sostanziale finanziamento pubblico dell’opera realizzata a scomputo. La realizzazione di un intervento costruttivo, che comporti trasformazione, obbliga il costruttore a corrispondere gli oneri di urbanizzazione e il contributo sul costo di costruzione. Tali contributi sono finalizzati a compensare il carico urbanistico prodotto dall’intervento, vale a dire l’effetto prodotto dall’insediamento primario consistente nella domanda di strutture e opere collettive, in dipendenza del numero degli abitanti insediati. Il costruttore può evitare di pagare tali oneri tramite la diretta realizzazione delle opere di urbanizzazione. Poiché, nella sostanza, il finanziatore di tali opere è l’ente pubblico, che non esigerà più i contributi scomputati, l’ordinamento comunitario pone l’obbligo della gara a carico del privato. Di qui un’importante considerazione: l’intervento di bonifica commissionato dal privato è assoggettato a gara nei casi in cui quest’ultimo benefici dello scomputo. Il che, tuttavia, non avviene sempre con riferimento alle attività di bonifica. Non può beneficiare dello scomputo, per esempio, il soggetto inquinatore. In questo caso, infatti, l’obbligo di bonifica non è altro che l’adempimento di una sorta di risarcimento in forma specifica o, addirittura, di una c.d. sanzione ripristinatoria. Non sono concepibili, pertanto, meccanismi premiali in relazione allo svolgimento di tale attività. Inoltre, il proprietario deve avere acquistato l’area in buona fede e non deve avere già decurtato il costo della bonifica dal prezzo d’acquisto (il valore dell’area deve essere inferiore ai costi di bonifica). In ogni caso il privato deve sollevare la p.a. dall’obbligo di bonificare in via sostitutiva. Lo scomputo non è ammissibile poi, laddove vi siano limiti di legge.


Infine, e in via più generale, lo scomputo non avviene con riferimento alle attività di bonifica non legate a un’attività costruttiva.

Chi deve indire la gara per gli interventi di bonifica? Può assumere la qualifica di stazione appaltante sia il proprietario tenuto a cedere all’amministrazione le opere sia la p.a. (alla quale devono poi essere cedute le opere). Ovviamente (anche nel caso in cui sia qualificato per eseguire i lavori pubblici), il privato che indice la gara non può partecipare alla stessa procedura di evidenza pubblica, né direttamente né indirettamente (cioè attraverso un soggetto con cui sussistono rapporti di controllo ex art. 2359 c.c. o tali da configurare un unico centro decisionale). In alternativa, la gara può essere bandita dalla p.a. In tale ipotesi, la p.a. che rilascia il permesso di costruire può prevedere che l’interessato presenti, in sede di richiesta del permesso, un progetto preliminare delle opere di urbanizzazione da realizzare, con l’indicazione del tempo massimo di realizzazione e allegando lo schema del relativo contratto d’appalto.

ne delle opere di urbanizzazione non a scomputo. Il provvedimento che ha affrontato in modo approfondito la questione è la determinazione dell’AVCP, del 2 aprile 2008, n. 4. Ivi l’AVCP ha affermato che la realizzazione di opere pubbliche - anche non a scomputo - prevista da convenzioni urbanistiche rientra nella nozione di appalto pubblico di lavori e, in quanto tale, è assoggettata alle procedure ad evidenza pubblica. In realtà, già prima di tale provvedimento vi erano stati interventi giurisprudenziali che avevano affermato l’estensione dell’obbligo di gara rispetto alle opere non a scomputo. Precisamente, la

rebbe un contratto di appalto (soggetto agli obblighi di gara) nell’accezione della Corte di giustizia. In sintesi, la giurisprudenza e l’AVCP estendono l’obbligo di gara anche alle opere pubbliche non a scomputo. Tale estensione è attuata sulla base di tre considerazioni: i) il carattere sostitutivo dell’intervento del privato, rispetto all’autorità pubblica, ai fini della realizzazione di opere pubbliche (di norma le opere pubbliche sono realizzate dalla pubblica amministrazione, la quale deve acquisire i relativi lavori tramite gare pubbliche); ii) la previsione della realizzazione dell’opera nell’ambito di una

Corte costituzionale ha esteso il principio sancito dalla Corte di Giustizia nella sentenza “Ordine degli Architetti delle Province di Milano e Lodi” anche all’ipotesi di realizzazione di attrezzature e servizi pubblici oggetto di accordi stipulati tra il Comune e i privati proprietari di aree destinate ad essere espropriate (Corte costituzionale, sentenza 28 marzo 2006, n. 129). Tale estensione dell’obbligo di gara è stata oggetto di accese critiche. Si è rilevato che: i) l’art. 32, comma 1, lett. g) del codice dei contratti pubblici si riferisce unicamente alle “opere di urbanizzazione a scomputo”; ii) la realizzazione di opere di urbanizzazione senza scomputo non rappresenterebbe un contratto a titolo oneroso e - pertanto - non sa-

programmazione urbanistica; iii) il carattere sinallagmatico che riveste la realizzazione dell’opera pubblica nell’ambito di programmi urbanistici.

L’affidamento di interventi commissionati dal privato e non legati al meccanismo dello scomputo

La realizzazione di opere non a scomputo rappresenta un’area grigia. Sul piano oggettivo, anche gli interventi per i quali non sia previsto lo scomputo sono opere pubbliche (attrezzature sanitarie). Conseguentemente, mentre il profilo oggettivo (natura pubblica dell’opera da realizzare) depone per la gara, quello soggettivo (soggetto su cui è posto l’onere finanziario) conduce alla soluzione opposta. Il punto di partenza dell’analisi è la ricognizione del dato normativo: non esiste una norma che estenda l’obbligo di gara alle opere non a scomputo. Tale estensione, tuttavia, è avvenuta in via giurisprudenziale. La Corte di Giustizia aveva affermato che la realizzazione delle opere di urbanizzazione a scomputo previste dalle convenzioni di lottizzazione sono soggette alle procedure a evidenza pubblica. Tale affermazione lasciava aperta la questione inerente alla realizzazio-

Un possibile profilo discretivo A ben vedere, vi sono sostanziali differenze tra tali casi - realizzazione di opere di interesse pubblico (quali sono i lavori di bonifica) nell’ambito di una programmazione urbanistica - e realizzazione di opere (pubbliche) non legate a tale pianificazione. Nella prima tipologia di casi, i privati esercitano una partecipazione attiva nell’elaborazione e realizzazione di programmi di assetto urbanistico.

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Questi ultimi ritraggono vantaggi diretti dal nuovo assetto urbanistico concordato con la p.a. Si tratta, ad esempio, di vantaggi consistenti nelle destinazioni edificatorie previste dal piano urbanistico concordato fra amministrazioni e proprietari delle aree interessate dall’intervento. Nella sostanza, in tali ipotesi i privati investono capitali nella realizzazione di opere pubbliche in quanto la p.a., tramite varianti allo strumento urbanistico generale, attribuisce indici edilizi e specifiche destinazioni d’uso ai terreni di loro proprietà. In tali ipotesi, gli interventi di trasformazione e riqualificazione del territorio (nell’ambito dei quali potrebbero inscriversi le opere di bonifica) avvantaggiano determinate attività economiche (non solo edilizie, ma anche commerciali) dell’attuatore (degli interventi). In tale ipotesi emerge la necessità di un confronto concorrenziale rispetto a tali benefici, posto che vi potrebbero essere più operatori economici interessati

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a utilizzare tali opportunità di trasformazione territoriale a beneficio dello svolgimento di un’attività economica. Complessivamente, queste ipotesi riguardano convenzioni urbanistiche o edilizie prive dell’elemento dello scomputo e considerate, comunque, contratti a titolo oneroso se e in quanto siano suscettibili di attribuire vantaggi economici appetibili da parte di una pluralità di operatori economici (attività costruttiva ma anche possibilità di aprire centri commerciali). In questo caso, pertanto, l’obbligo di gara deriva dai benefici derivanti dalla trasformazione urbanistica e non dalla semplice esecuzione di opere pubbliche. Diversa è l’ipotesi dell’intervento non legato all’attribuzione di vantaggi di questo tipo, quali potrebbero essere certamente alcuni interventi di bonifica. Si pensi alla bonifica strumentale alla realizzazione di un impianto industriale. In tale ipotesi, il diritto allo sfruttamento economico dell’im-

pianto industriale da parte del privato non è vantaggio economicamente apprezzabile attribuito dalla p.a. La situazione di un soggetto attivo nella realizzazione di un impianto industriale è diversa rispetto a quella di un soggetto attivo nella realizzazione di centri commerciali. Nell’attività del secondo rientra fisiologicamente la trasformazione di aree e la negoziazione di convenzioni urbanistiche con gli enti pubblici. L’oggetto dell’attività del primo, invece, non è la trasformazione del territorio in quanto tale, ma la localizzazione e gestione di un impianto industriale. In conclusione, in assenza di un meccanismo di premialità diretta rispetto all’intervento di bonifica, al di fuori dell’ipotesi dello scomputo, sembra potersi ragionevolmente dubitare della sussistenza dell’obbligo di gara a carico del privato che affidi i relativi lavori. *Studio Legale Bonelli Erede Pappalardo


La normativa del trasporto di rifiuti Autorizzazioni, obblighi e prescrizioni cui sono soggetti i trasportatori di rifiuti di Rosa Bertuzzi*

I

l trasportatore di rifiuti deve ottemperare a determinati obblighi. Il primo in assoluto è l’iscrizione all’Albo Nazionale Gestori ambientali della ditta che effettua il trasporto, con la relativa iscrizione del mezzo che effettua il trasporto, nonché l’iscrizione della ditta che tratta/riceve il rifiuto. Occorre poi procedere alla corretta identificazione del Codice del Rifiuto mediante codice CER: per risalire alla tipologia di rifiuto bisogna necessariamente individuare il codice CER del rifiuto che è contenuto nelle venti categorie di cui all’Allegato D, Parte quarta, del D.Lgs. 152/06. Da notare che i rifiuti pericolosi sono contrassegnati con un asterisco, mentre i rifiuti non pericolosi non sono contrassegnati da asterisco. I veicoli fuori uso ad esempio sono contraddistinti dal codice 16 01 04*, contrassegnati da asterisco in quanto pericolosi, mentre i veicoli fuori uso bonificati, e cioè privati delle batterie, liquido antigelo, olio freni, appartengono alla categoria 16 01 06 senza asterisco, e quindi rifiuti non pericolosi. E’ importante fare questa distinzione in quanto se il trasporto è relativo ai rifiuti pericolosi è prevista, quale sanzione

accessoria, oltre a quella penale, il sequestro al fine della confisca del mezzo di trasporto. E’ intervenuta, in tale senso, la giurisprudenza recente, la quale ha sancito che, in merito alla corretta attribuzione del codice CER, non è imposta l’analisi per ogni singolo conferimento, in quanto non prevista dalla norma legislativa. Secondo il TAR Lombardia, Sez. I, 01/03/13, n. 207, sono illegittime le prescrizioni contenute nell’autorizzazione provinciale relativa ad attività di recupero di rifiuti, per la parte in cui per varie tipologie di rifiuti viene imposta, ad ogni relativo conferimento singolo e perciò per ogni partita in entrata medesima, una particolare analisi anche chimica.

Se da un lato ed in astratto, tali prescrizioni siffatte sembrano potersi ritenere tese a praticare il principio comunitario di prevenzione e cautela, dall’altro, le stesse in concreto appaiono del tutto inusuali, non certe nel loro risultato utile ed altresì non imponibili normativamente.

La compilazione del Formulario di Identificazione del Rifiuto FIR

Deve essere emesso un formulario per ciascun rifiuto quale risulta individuato dal codice (ex codice CER, oggi all. “D” Parte Quarta

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n o rm at i va

Normativa trasporto rifiuti • D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152. Norme in materia ambientale • L. 25 gennaio 1994, n.70. Norme per la semplificazione degli adempimenti in materia ambientale, sanitaria e di sicurezza pubblica, nonché per l'attuazione del sistema di ecogestione di audit ambientale. Artt. 1-4, 6 • D.M. 26 marzo 1994. Raccolta e trasporto di rifiuti di origine animale • Deliberazioni/Circolari dell’Albo Nazionale Gestori Ambientali vedi sito: www.albogestoririfiuti.it • D.M. 1 aprile 1998, n. 145. Regolamento recante la definizione del modello e dei contenuti del formulario di accompagnamento dei rifiuti ai sensi degli articoli 12, 18, comma 2, lettera m) e 18, comma 4 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n.22 • D.M. 1 aprile 1998, n. 148. Regolamento recante approvazione del modello dei registri di carico e scarico dei rifiuti ai sensi degli articoli 12, 18, comma 2, lettera m), e 18, comma 4, del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 • D.M. 28 aprile 1998, n. 406. Regolamento recante norme di attuazione di direttive dell'Unione europea, avente ad oggetto la disciplina dell'Albo nazionale delle imprese che effettuano la gestione dei rifiuti • Circ. 4 agosto 1998, n. GAB/DEC/812/98. Circolare esplicativa sulla compilazione dei registri di carico scarico dei rifiuti e dei formulari di accompagnamento dei rifiuti trasportati individuati, rispettivamente, dal decreto ministeriale 1 aprile 1998, n. 145 e dal decreto ministeriale 1 aprile 1998, n. 148 • D.Lgs. 24 giugno 2003, n. 182 e D.M. 17 novembre 2005, n. 269 Rifiuti – pericolosi, non pericolosi - prodotti dalle navi e residui del carico • D.P.R. 15 luglio 2003, n. 254. Regolamento recante disciplina della gestione dei rifiuti sanitari a norma dell'articolo 24 della legge 31 luglio 2002, n. 179 • D.M. 29 luglio 2004, n. 248 Regolamento relativo alla determinazione e disciplina delle attività di recupero dei prodotti e beni di amianto e contenenti amianto • D.M. 8 aprile 2008. Disciplina dei centri di raccolta dei rifiuti urbani raccolti in modo differenziato - Articolo 183, comma 1, lettera cc) del D.Lgs. 152/2006 • D.M. 18 febbraio 2011, n. 52. Regolamento recante istituzione del sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti, ai sensi dell'articolo 189 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 e dell'articolo 14-bis del decretolegge 1° luglio 2009, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102 • D.M. 10 agosto 2012, n. 161. Disciplina dell'utilizzazione delle terre e rocce da scavo - Criteri qualitativi da soddisfare per essere considerati sottoprodotti e non rifiuti - Attuazione articolo 49 del D.L. 1/2012

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D.Lgs. 152/06) e dalla descrizione. A tale ultimo fine, al punto 4 del formulario, voce «Descrizione», dovrà riportarsi l'aspetto esteriore dei rifiuti che consente di identificare il rifiuto con il massimo grado di accuratezza, tenuto conto che la descrizione del Codice non è sempre esaustiva, soprattutto in riferimento ai codici che recano negli ultimi due campi numerici le cifre «99». Le quantità vanno indicate in kg oppure in litri. Nel caso in cui i rifiuti siano individuabili in termini di unità numeriche, l'indicazione delle «Quantità» può essere espressa indicando anche il numero delle unità trasportate. Per «firma del trasportatore» si intende la sottoscrizione da parte della persona fisica che effettua il trasporto e ne assume la relativa responsabilità. Quando il trasportatore dei rifiuti è lo stesso soggetto che li ha prodotti, e si tratta di rifiuti non pericolosi, il D.Lgs. 152/06, prevede che il trasporto possa essere effettuato senza iscrizione all'Albo dei gestori dei rifiuti. L'esclusione dall'obbligo della predetta iscrizione deve risultare dall'apposita dichiarazione riportata in fine del punto 3 della prima sezione del formulario.


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A tal fine il produttore che effettua il trasporto deve barrare l'apposita parentesi inserita dopo le parole «trasporto di rifiuti non pericolosi prodotti nel proprio stabilimento» e dopo la preposizione «di» indicare il luogo e lo stabilimento di produzione dei rifiuti trasportati. Ovviamente quando i rifiuti non pericolosi sono trasportati dallo stesso soggetto che li ha prodotti, il punto 3 del formulario, non deve essere compilato, unitamente ai seguenti dati identificativi: «Trasportatore del rifiuto CF ........ N. ...... AUT/ALBO .......... del ............ ». La medesima procedura si applica agli imprenditori agricoli nei casi previsti dall'art. 3 del decreto legislativo 30 aprile 1998, n. 173. Le caratteristiche chimico-fisiche, di cui alla casella 5, terza sezione, dell'allegato B, al D.M. n. 145/1998, che devono essere specificate nel caso in cui i rifiuti siano avviati allo smaltimento in discarica, sono quelle necessarie per accertare la compatibilità del rifiuto con le prescrizioni dell'autorizzazione. Alla voce «quantità», casella 6, terza sezione, dell'allegato B, al decreto ministeriale n. 145/1998, deve sempre essere indicata la quantità di rifiuti trasportati. Inoltre dovrà essere contrassegnata la casella relativa alla voce «Peso da verificarsi a destino» nel caso in cui per la natura del rifiuto o per l'indisponibilità di un sistema di pesatura si possano, rispettivamente, verificare variazioni di peso durante il trasporto o una non precisa corrispondenza tra la quantità di rifiuti in partenza e quella a destinazione. Il trasporto di olio minerale usato deve essere accompagnato anche dall'allegato F al decreto ministeriale 16 maggio 1996, n. 392. Nel caso in cui, per concrete esigenze operative o imprevisti tecnici, un trasporto di rifiuti venga effettuato dallo stesso trasportatore con veicoli diversi o da trasportatori diversi, gli estremi identificativi dei diversi trasportatori (nominativo, c. fiscale, n. aut. albo), dei diversi mezzi utilizzati (es. targa automezzo), il nominativo del conducente e la firma di assunzione di responsabilità potranno essere riportati sulle tre copie che accompagnano il trasporto medesimo nell'apposito spazio riservato alle «annotazioni». In caso di trasporto misto (es. gomma/ferrovia. gomma/nave), occorre specificare nello spazio per le annotazioni, la tratta ferroviaria o marittima interessata e allegare al formulario stesso i documenti previsti dalle norme che disciplinano il trasporto ferroviario o marittimo. Poiché in tale evenienza le quattro copie del formulario risultano insufficienti in quanto i soggetti che partecipano alla movimentazione sono più di tre (il produttore/detentore, il trasportatore e il destinatario) sarà possibile conservare delle fotocopie dei formulari, fermo che il trasporto dovrà sempre essere accompagnato dagli originali dei formulario. Pertanto, a conclusione del trasporto gli originali dei formulari dovranno restare: due originali al produttore/detentore; un originale al trasportatore che consegna i rifiuti al destinatario finale; e un originale al destinatario finale che effettua le operazioni di recupero o di smaltimento. *Ambienterosa, Consulenze legali ambientali

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La bonifica dei siti produttivi messa in sicurezza operativa: come coordinare l’esigenza di bonifica del sito garantendo la prosecuzione delle attività produttive di Antonio Papi Rossi*

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a bonifica dei siti contaminati rappresenta un tema di notevole interesse, sia dal punto di vista giuridico sia dal punto di vista pratico, per le rilevanti conseguenze, non solo di tipo sanzionatorio ma anche sul piano imprenditoriale e sociale, che la bonifica di siti contaminati è venuta ad assumere nella più recente legislazione. Il presente scritto tratterà della bonifica di siti produttivi, vale a dire dei siti in cui sia presente un’attività imprenditoriale (sia essa attività produttiva in senso stretto sia essa attività edilizia o di sviluppo)[1]. Dal punto di vista pratico ciò richiede di coordinare le misure ambientali previste per il caso di sito contaminato con l’esigenza di garantire la prosecuzione dell’attività del sito.

Il quadro comunitario di riferimento Limitandoci, per ovvie ragioni di sintesi, al contesto più recente, conviene anzitutto ricordare le disposizioni in materia di riparazione del danno ambientale derivante dall’esercizio di un’attività professionale, quali contenute nella direttiva 2004/35/CE [2], che ha dettato una disciplina-quadro per la prevenzione e la riparazione dei danni all’ambiente fondata sul principio (contenuto nel Trattato sul funzionamento dell’Unione europea [3]) comunemente indicato come “chi inquina paga”. La direttiva stabilisce, tra l’altro, che al verificarsi di un danno ambientale (inclusa la contaminazione di un terreno) l’operatore [4] debba adottare a) tutte le iniziative praticabili per controllare, circoscrivere, eliminare o gestire, con effetto immediato, gli inquinanti

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in questione e qualsiasi altro fattore di danno nonché b) le necessarie misure di riparazione, conformemente ai principi contenuti nella medesima direttiva [5]. Anche la recente direttiva 2010/75/UE sulle emissioni industriali [6] ha introdotto disposizioni volte a garantire che l’esercizio di un’installazione industriale non comporti un deterioramento della qualità del suolo e delle acque sotterranee. In particolare, le disposizioni della direttiva, oltre a ribadire il principio “chi inquina paga”, pongono in capo al gestore di determinati impianti l’obbligo di elaborare e trasmettere all’autorità nazionale competente una relazione di riferimento sullo stato di contaminazione del suolo e delle acquee sotterranee [7]. Va precisato che l’ambito di applicazione della direttiva non si estende a qualsiasi attività industriale potenzialmente inquinante, ma soltanto a quelle indicate nella direttiva stessa [8]. Infine, va segnalato, per quanto qui di particolare interesse, che la direttiva introduce la previsione che un (eventuale) obbligo di bonifica in capo al gestore di un sito produttivo sia previsto soltanto al momento di cessazione dell’attività [9]. Al di là delle regole generali e dei principi di cui si è fatto cenno, il diritto dell’Unione europea non ha individuato una specifica disciplina per le azioni e le procedure da intraprendersi nel caso in cui il danno ambientale si sia verificato in siti produttivi. Tale disciplina è rimessa, dunque, alla discrezionalità degli Stati membri, naturalmente nel rispetto dei principi comunitari sopra indicati [10].

La normativa italiana Nell’ordinamento italiano, la disciplina generale per la bonifica dei siti contaminati è contenuta nella Parte IV, Titolo V, del D.Lgs. 152/06, agli articoli da 239 a 253. La disciplina del procedimento ordinario dei siti contaminati è contenuta all’art. 242 del Codice dell’Ambiente, rubricato “procedure operative ed amministrative”; vi sono poi norme specifiche per i siti di ridotte dimensioni, per i siti di interesse nazionale (SIN) e per i siti di preminente interesse pubblico per la riconversione industriale, sempre nella sezione del Codice compresa tra gli art. 239 e gli art. 253. Presupposti, condizioni e procedimento di bonifica

Prima di trattare della normativa specifica per i siti produttivi, conviene una breve premessa sulla procedura generale di bonifica dei siti contaminati. Sono individuabili tre fasi: la prima fase è diretta a mettere in atto, nell’immediatezza di un evento potenzialmente in grado di contaminare il sito, le “misure necessarie di prevenzione”, con obbligo di comunicazione alle amministrazioni competenti e obbligo di campionamento e analisi. Ove le analisi accertino l’eventuale superamento, anche per un solo parametro, delle “concentrazioni di soglia di contaminazione” (CSC), ha luogo la seconda fase, che consiste nell’adozione di misure di messa in sicurezza d’emergenza, vale a dire interventi immediati o a breve termine volti a contenere la diffusione delle sorgenti primarie di contaminazione, a impedirne il contatto con altre matrici presenti nel sito e a rimuoverle, in attesa di eventuali interventi di bonifica o messa in sicurezza operativa


o permanente. In parallelo, viene condotta un’analisi sito-specifica volta a indagare se la situazione configuri anche il “superamento delle concentrazioni di soglia di rischio” (CSR). In caso affermativo, scatta la terza fase del procedimento, con obbligo di dare corso alla “messa in sicurezza permanente del sito” e nella predisposizione e realizzazione del progetto di “bonifica”. Bonifiche dei siti produttivi e messa in sicurezza con prosecuzione dell’attività

Come accennato in apertura, il legislatore italiano ha introdotto, con il Codice dell’Ambiente una disciplina specifica per la bonifica dei siti produttivi, in recepimento di una indicazione contenuta nella Legge Delega 308/2004, con la quale il parlamento aveva invitato il Governo ad adottare “differenti previsioni a seconda che le contaminazioni riguardino siti con attività produttive in esercizio ovvero dismessi”. L’interpretazione della volontà del legislatore delegante non è agevole, perché la relazione parlamentare non reca alcun riferimento a tale tema, ed è mancato, in sede di approvazione del Codice dell’Ambiente, il parere del Consiglio di Stato [11]. La delega legislativa si è comunque concretizzata nelle seguenti previsioni del Codice dell’Ambiente: nella premessa n. 3 dell’allegato III al Titolo V della parte IV del Codice, secondo la quale “Per i siti "in esercizio", laddove un intervento di bonifica intensivo comporterebbe delle limitazioni se non l'interruzione delle attività di produzione, il soggetto responsabile dell'inquinamento o il proprie-

tario del sito può ricorrere, in alternativa, ad interventi altrettanto efficaci di messa in sicurezza dell'intero sito, finalizzati alla protezione delle matrici ambientali sensibili mediante il contenimento degli inquinanti all'interno dello stesso, e provvedere gradualmente all'eliminazione delle sorgenti inquinanti secondarie in step successivi programmati, rimandando la bonifica alla dismissione delle attività”; nella disciplina dei commi 9 e 10 dell’art. 242 del Codice [12], che introducono previsioni specificamente dirette al caso di siti produttivi e disegnano un sub-procedimento amministrativo ad hoc di autorizzazione degli interventi di “messa in sicurezza operativa”; infine, nella parte del citato allegato III al titolo V della parte IV del Codice, recante i “criteri generali per la selezione e l’esecuzione degli interventi di bonifica e ripristino ambientale, di messa in sicurezza (d’urgenza, operativa o permanente) nonché per l’individuazione delle migliori tecniche d’intervento a costi sopportabili”. La normativa, che ora verrà esaminata nel dettaglio, può così riassumersi: nel caso di un sito produttivo, ove l’intervento di bonifica non sia compatibile con lo svolgimento dell’attività, è consentito rinviare l’intervento di bonifica al momento della cessazione dell’attività, a condizione, però, che siano posti in essere “interventi altrettanto efficaci di messa in sicurezza dell’intero sito”. La volontà del legislatore di assicurare la prosecuzione delle attività produttive nonostante le misure ambientali

non va però considerata in termini assoluti, dovendosi comunque evitare qualsiasi pericolo per la salute delle persone che frequentano il sito ed essendo necessaria la dimostrazione che gli interventi di messa in sicurezza siano, al contempo, efficaci e non pregiudizievoli per la (futura) bonifica. Nello specifico, la procedura da applicare in ipotesi di sito contaminato con attività produttive in esercizio prevede che il soggetto responsabile dell’inquinamento o il proprietario del sito possa ricorrere, in alternativa alla bonifica, ad interventi altrettanto efficaci di messa in sicurezza dell’intero sito, finalizzati alla protezione delle matrici ambientali sensibili mediante il contenimento degli inquinanti all’interno dello stesso, e provvedere gradualmente all’eliminazione delle sorgenti inquinanti secondarie in fasi successive, rimandando la bonifica alla dismissione delle attività (cfr. sezione “premessa” dell’All. III del Codice). I progetti di messa in sicurezza operativa sono accompagnati da accurati piani di monitoraggio dell’efficacia delle misure adottate ed indicano se all’atto della cessazione dell’attività si renderà necessario: i) un intervento di bonifica vero e proprio (per eliminare definitivamente le fonti di inquinamento e le sostanze inquinanti o per ridurre le concentrazioni delle stesse presenti nel suolo, nel sottosuolo e nelle acque sotterranee ad un livello uguale o inferiore ai valori delle concentrazioni soglia di rischio (CSR) ovvero ii) un intervento di messa in sicurezza permanente (per isolare in modo definitivo le fonti inquinanti rispetto alle matrici ambientali circostanti e garantire un elevato e definitivo livello di sicurezza per le persone e l’ambiente). L’articolo 40, comma 5, del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, in Legge 22 dicembre 2011, n. 214 (cd. Decreto Salva Italia) ha poi introdotto la possibilità, da parte delle amministrazioni interessate, di autorizzare interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria e di messa in sicurezza degli impianti e delle reti tecnologiche, purché non compromettano la possibilità di effettuare o completare gli interventi di bonifica che siano condotti adottando appropriate misure

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di prevenzione dei rischi (cfr. secondo periodo del comma 9). In sede di approvazione del progetto di messa in sicurezza, la Regione (o il Ministero, per il caso di Siti di Interesse Nazionale) assicura che i suddetti interventi siano eseguiti in modo tale da risultare compatibili con la prosecuzione della attività.

Mentre si tralascia, per ragioni di spazio, il procedimento di bonifica (che avrà luogo al termine dell’attività produttiva, e che non differisce da quello dettato in via generale per i siti contaminati: cfr. il comma 13 dell’art. 242), conviene esaminare la normativa tecnica contenuta nel già citato l’allegato III al Titolo V, parte IV del Codice, recante i “criteri generali per la selezione e l’esecuzione degli interventi di bonifica e ripristino ambientale, di messa in

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sicurezza (d’urgenza, operativa o permanente) nonché per l’individuazione delle migliori tecniche d’intervento a costi sopportabili”. Posto che la “messa in sicurezza” di un sito inquinato è comprensiva delle azioni di monitoraggio e controllo finalizzate alla verifica nel tempo delle soluzioni adottate e al mantenimento dei valori di concentrazione degli inquinanti nelle matrici ambientali interessate al di sotto dei valori soglia di rischio (CSR), le “misure di messa in sicurezza” si distinguono in: a) misure di messa in sicurezza d’urgenza, quando venga in rilievo un caso di rilasci accidentali o di improvviso accertamento di una situazione di contaminazione o di pericolo di contaminazione; b) misure di messa in sicurezza operativa, nel caso di continuità e compatibilità con le lavorazioni svolte nei siti produttivi in esercizio; c) misure di messa in sicurezza permanente nel caso in cui, nei siti non interessati da attività produttive in esercizio, non sia possibile procedere alla rimozione degli inquinanti pur applicando le migliori tecnologie disponibili a costi sopportabili (messa in sicurezza permanente). Con riguardo alle misure di messa in sicurezza operativa, che si applicano, come detto, nell’ipotesi di siti con attività produttive in esercizio, l’allegato in commento detta i seguenti criteri: nelle operazioni di messa in sicurezza operativa devono essere privilegiate le soluzioni tecniche che consentano di minimizzare la produzione di rifiuti e pertanto favoriscano: • il trattamento on-site ed il riutilizzo del terreno eventualmente estratto dal sottosuolo; • il riutilizzo nel sito come materiali di riempimento anche dei materiali eterogenei e di risulta; • la reintroduzione nel ciclo di lavorazione delle materie prime recuperate; • il risparmio idrico mediante il riutilizzo industriale delle acque emunte dal sottosuolo. E’ poi precisato che le misure di messa in sicurezza operativa si distinguono in: • mitigative (si tratta di interventi finalizzati ad isolare, immobilizzare e rimuovere gli inquinanti dispersi nel suolo, sottosuolo e nelle acque superficiali e sotterranee); • di contenimento (volte ad impedire la mi-

grazione dei contaminanti verso ricettori ambientali sensibili, quali acque superficiali e sotterranee. Esse sono generalmente applicate in prossimità dei confini del sito produttivo). Le misure mitigative sono attuate in particolare con sistemi fissi o mobili di emungimento e recupero con estrazione monofase o plurifase; trincee drenanti; sistemi di ventilazione del sottosuolo insaturo e degli acquiferi ed estrazione dei vapori; sistemi gestionali di pronto intervento in caso di incidente che provochi il rilascio di sostanze inquinanti sul suolo, nel sottosuolo o nei corpi idrici. Le misure di contenimento sono si dividono in: • misure di sbarramento passive di natura fisica o statica (barriere o diaframmi verticali in acciaio o in altri materiali impermeabili e sistemi di impermeabilizzazione sotterranei e di immobilizzazione degli inquinanti); • misure di sbarramento attive di natura idraulica o dinamica (sbarramenti realizzati con pozzi di emungimento per intercettare il flusso di sostanze inquinanti presenti nelle acque sotterranee; trincee di drenaggio delle acque sotterranee; sistemi idraulici di stabilizzazione degli acquiferi sotterranei); • misure di sbarramento reattive di natura chimica (operano l’abbattimento delle concentrazioni degli inquinanti nelle acque di falda mediante sistemi costituiti da sezioni filtranti in cui vengono inseriti materiali in grado di degradare i contaminanti). La lettura delle norme tecniche dell’allegato deve essere accompagnata, direi anzi “guidata”, dai criteri interpretativi che il giudice amministrativo ha indicato, già all’indomani della disciplina legislativa, nel tentativo di coniugare l’esigenza di ripristino e messa in sicurezza ambientale con le esigenze imprenditoriali e produttive. L’esigenza che l’Amministrazione tenga conto (anche) delle ragioni di continuità aziendale è stata posta in evidenza dal Tar Lombardia (Milano, sez. II, 27 giugno 2007, n. 5289): “Nel proporre soluzioni per la bonifica del sito diverse da quelle proposte dal privato l’Amministrazione deve contemperare anche le


esigenze di continuità aziendale della società coinvolta, così come previsto dall'art. 242 d.lgs. 3 aprile 2006 n. 152, ciò anche al fine di assicurare la conformità dell’azione amministrativa ai principi di cui agli artt. 41 e 97 della Costituzione”; analogo accento sul diritto di impresa è stato posto da altro Tribunale (T.A.R. Sicilia, Catania, sez. II, 20 luglio 2007,

n. 1254), con il rilievo che “il diritto alla salute, sebbene rivesta un predominante valore costituzionale, nel campo della tutela dell’ambiente dall’inquinamento va realizzato e tutelato “nel” procedimento amministrativo volto al recupero dei siti inquinati, previo adeguato contemperamento con il diritto di libertà economica e di iniziativa di impresa, che, nella gerarchia

NOTE [1] Il presente articolo è una rielaborazione dell’intervento al Convegno organizzato da Paradigma S.r.l. sul tema “Bonifiche e danno ambientale”, Roma 20, 21 e 22 novembre 2012. [2] Direttiva 2004/35/CE sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale, in GUCE L 143/56 del 30 aprile 2004. La nozione di “attività produttiva” è definita nella direttiva come “qualsiasi attività svolta nel corso di un’attività economica, commerciale o imprenditoriale, indipendentemente dal fatto che abbia carattere pubblico o privato o che persegua o meno fini di lucro”. [3] L’art. 191(2) del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (“TFUE”), infatti, prevede che la politica dell’Unione in materia ambientale “è fondata sui principi della precauzione e dell’azione preventiva, sul principio della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all’ambiente, nonché sul principio “chi inquina paga”. [4] Definito nella direttiva “qualsiasi persona fisica o giuridica che esercita o controlla un'attività professionale oppure, quando la legislazione nazionale lo prevede, a cui è stato delegato un potere economico decisivo sul funzionamento tecnico di tale attività […]”. L’art. 6(3) dispone che se l’operatore non si conforma agli obblighi previsti, o non può essere individuato o non è tenuto a sostenere i costi, l’autorità competente dello Stato membro ha facoltà di adottare essa stessa le misure di riparazione qualora non le rimangano altri mezzi. [5] V., in particolare, l’allegato II, che stabilisce un quadro comune da rispettare per scegliere le misure più appropriate cui attenersi per garantire la riparazione del danno ambientale. [6] Direttiva 2010/75/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 24 novembre 2010 relativa alle emissioni industriali, in GU L 334 del 17 dicembre 2010. [7] In particolare, l’art. 22(2) della direttiva prevede che: “Quando l’attività comporta l’utilizzo, la produzione o lo scarico di sostanze pericolose e, tenuto conto della possibilità di contaminazione del suolo e delle acque sotterranee nel sito dell’installazione, il gestore elabora e trasmette all’autorità competente una relazione di riferimento prima della messa in servizio dell’installazione o prima dell’aggiornamento dell’autorizzazione rilasciata per l’installazione, per la prima volta dopo il 7 gennaio 2013”. [8] La direttiva 2010/75/UE riguarda le attività energetiche, di produzione e trasformazione dei metalli, l’industria dei prodotti minerali, quella chimica, la gestione dei rifiuti ed altre attività indicate ad alto potenziale inquinante. Disposizioni particolari sono previste per determinati impianti di combustione, di incenerimento dei rifiuti, per le installazioni che utilizzano solventi organici e per quelle che producono biossido di titanio. [9] V. art. 22, commi 3 e 4. In particolare, è richiesta una “relazione di riferimento”, quale strumento pratico volto a consentire un raffronto tra lo stato del sito descritto in tale relazione e lo stato del sito al momento della cessazione definitiva delle attività, al fine di accertare se si è verificato un aumento significativo dell’inquinamento del suolo o delle acque sotterranee. [10] Si rammenta che, in materia ambientale, l’Unione europea ha competenza concorrente con quella degli Stati membri, ai sensi dell’art. 4 del TFUE. [11] L’approvazione del Codice dell’Ambiente è avvenuta senza il parere del Consiglio di Stato, nonostante la sua obbligatorietà sia richiesta, dalla Legge 127/97 (cd. Bassanini bis) per tutti gli atti normativi del Governo e per gli schemi di decreto legislativo aventi valore di testi unici. Nonostante il Presidente della Repubblica avesse, anche per tale ragione, rinviato informalmente il decreto legislativo al Governo, chiedendo chiarimenti sulla mancata richiesta di parere al Consiglio di Stato, la risposta del Governo è stata che in tal caso il parere non era necessario, non trattandosi di testo unico. Il Decreto legislativo è stato quindi firmato dal Presidente delle Repubblica (D.Lgs. 152/06), divenendo così il testo normativo di riferimento in materia ambientale. [12] Come modificato dall'articolo 40, comma 5, del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201.

dei valori costituzionali viene immediatamente dopo l’art. 32 della Costituzione. Tale tutela va assicurata non con una ingiustificata compromissione del diritto di impresa, bensì con l’equo contemperamento degli interessi costituzionalmente rilevanti, in attenta adesione alle scelte operate dal legislatore in materia”; sia il TAR Lazio sia il Consiglio di Stato hanno, infine, sottolineato la necessità che le prescrizioni d’urgenza imposte ai privati siano informate a criteri di proporzionalità e progressività, anche cronologica: “Alla stregua sia dei criteri di efficacia ed economicità dell’azione amministrativa, sia dei criteri di sussidiarietà e di proporzionalità che devono guidare ogni intervento pubblico autoritativo, è necessario che le necessarie prescrizioni d’urgenza imposte ai privati e relative all’introduzione di sistemi di monitoraggio e di contenimento della diffusione dell’inquinamento nelle falde idriche, si susseguano nel tempo, prevedendo solo in tempi successivi gli impegni via via crescenti resi necessari dalla persistente presenza degli inquinanti. Per tale via, le misure di messa in sicurezza d’urgenza possono progressivamente giungere a interventi urgenti ma tendenzialmente definitivi, come quelli di contenimento fisico, che successivamente si integreranno con gli ulteriori interventi di bonifica ovvero di messa in sicurezza operativa senza sostituirsi ad essi”. (T.A.R. Lazio, Roma, sez. II, 16 maggio 2011, n. 4214 e Cons. Stato, sez. VI, 12 aprile 2011, n. 2249). L’interpretazione sistematica delle norme tecniche sopra riferite, alla luce dei chiarimenti della giurisprudenza amministrativa, consente di confermare la tesi di partenza: la materia della bonifica di siti produttivi è di notevole interesse ed è un campo in cui possono dialogare e contemperarsi esigenze complesse, ma non contraddittorie, quali la tutela ambientale e lo svolgimento di attività produttive: il tutto, quale declinazione del concetto di “interesse pubblico”, che consiste appunto nella ricerca e nell’individuazione del miglior equilibrio possibile fra i diversi interessi di cui è portatrice la collettività nel suo insieme. *Avvocato in Milano Santa Maria Studio Legale Associato

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a ss oc i a z i on e s t u d i amb ientali

Dall’Unione europea due opportunità per finanziare progetti nel settore ambientale

Il 15 maggio la Commissione Europea ha lanciato la call del Bando EcoInnovation rientrante nell’ultima tranche di finanziamenti nel quadro CIP-EIP del periodo di programmazione 20072013. Il bando EcoInnovation, del programma europeo Competitività e Innovazione, riguarda progetti di prima applicazione commerciale di ecoinnovazione. L’ecoinnovazione è definita come qualsiasi forma di innovazione mirante a un significativo e dimostrabile progresso verso l’obiettivo dello sviluppo sostenibile, in grado di ridurre l’incidenza sull’ambiente o conseguire un uso più efficace e responsabile delle risorse.

Il bando mira a sostenere progetti riguardanti la prima applicazione o l’immissione nel mercato di tecniche, prodotti, servizi o prassi eco-innovativi d’interesse comunitario, la cui validità è già stata dimostrata con successo ma che non hanno ancora penetrato il mercato. I progetti presentati dovrebbero contribuire a rimuovere gli ostacoli per lo sviluppo e l’applicazione diffusa di eco-innovazione, creare o ampliare i mercati di prodotti e migliorare la competitività delle imprese europee sui mercati mondiali. I progetti dovrebbero altresì puntare a ridurre l’impatto ambientale, aumentando l’efficienza dell’uso delle risorse o migliorare prestazioni ambientali delle imprese, in particolare le PMI. E’ importante dimostrare le ricadute e il valore aggiunto europeo, oltre a proporre idee con alto potenziale di replicabilità sul mercato.

Pur non essendo condizione obbligatoria è preferibile condurre un Life Cycle Assessment ai fini della presentazione della proposta, considerando l’intera supply chain, e con un approccio integrato alle tematiche considerate. Il contributo a fondo perduto copre fino al 50% delle spese sostenute. Le domande possono essere presentate da uno o più soggetti, tutti i candidati devono essere persone legali private o pubbliche, aventi sede in uno dei paesi eleggibili. La durata massima dei progetti è di 36 mesi, il tasso di cofinanziamento copre fino al 50% delle spese sostenute. Non è previsto un valore minimo obbligatorio, in media i progetti Eco-Innovation hanno valore complessivo di 1.600.000 €. Il termine ultimo per la presentazione delle proposte progettuali è il 5 settembre 2013.

AMBITI DI FINANZIAMENTO L’Unione Europea, al fine di migliorare le performance ambientali, finanzia progetti innovativi nei seguenti ambiti prioritari:

1. Riciclaggio dei materiali

Saranno finanziati progetti che si occupano di: • miglioramento della qualità dei materiali riciclati attraverso migliori metodi di smistamento e trattamento dei rifiuti da costruzione e demolizione, di quelli commerciali/industriali, dei rifiuti riciclabili o potenzialmente riciclabili provenienti da apparecchiature elettriche ed elettroniche e dai veicoli alla fine della loro vita; • prodotti innovativi che utilizzano materiali riciclati o che agevolano il riciclaggio dei materiali, che aderiscono agli standard internazionali di prodotto, ai requisiti avanzati di design e alle esigenze dei consumatori; • innovazioni commerciali tese ad aumentare la competitività dell’industria del riciclaggio, quali nuove strutture di mercato per riciclare i prodotti, catene di fornitura o processi di fabbricazione e riciclaggio armonizzati.

2. Prodotti sostenibili per la costruzione

Saranno finanziati progetti che si occupano di prodotti per la costruzione e processi correlati che riducono il consumo di risorse; ciò comprende l’uso di materiali di costruzione ecologici, l’uso ridotto di materie prime e processi di fabbricazione innovativi che riducano notevolmente l’impatto ambientale della costruzione, valutata nel suo intero ciclo di vita.

3. Alimenti e bevande

Saranno finanziati progetti che si occupano di: • prodotti più puliti e innovativi, compresi metodi e

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materiali per il confezionamento e processi e servizi per un’alta efficienza dell’uso delle risorse. L’utilizzo completo di materie prime nel settore alimentare, che aumenta l’efficienza e la produttività, riduce i rifiuti biodegradabili e sostiene il passaggio a un’economia sostenibile; • prodotti, processi e servizi più puliti e innovativi nella fase di realizzazione, volti alla riduzione e prevenzione dei rifiuti all’efficienza idrica e ad una migliore qualità dell’acqua e alla riduzione delle emissioni di gas a effetto serra e/o ad aumentare il riciclaggio e il risparmio di materiali; • maggiore efficienza nel consumo di acqua da parte dei processi produttivi o eco-efficienza nella gestione dell’acqua; • prodotti, processi e servizi innovativi più puliti finalizzati a ridurre l’impatto ambientale del consumo di cibi e bevande (ad esempio servizi logistici e decisioni di distribuzione e di acquisto).

4. Acqua

Saranno finanziati progetti che si occupano di: • processi, prodotti e tecnologie efficienti relativi all’utilizzazione dell’acqua, soprattutto processi che fanno a meno dell’acqua; • trattamento dell’acqua e delle acque reflue: soluzioni che offrono una maggiore efficienza e un ridotto impatto ambientale, ad esempio, un uso ridotto di prodotti chimici e di risorse; recupero di risorse, come i fertilizzanti, dalle acque di scarico; • sistemi di distribuzione intelligenti volti a risparmiare acqua, sostanze chimiche e altre risorse: sistemi innovativi per misurare e regolare il dosaggio chimico, il flusso e la velocità di scorrimento;

rilevamento e riparazione delle perdite, materiali innovativi per le tubazioni, ecc.

5. Imprese verdi

Saranno finanziati progetti che si occupano di: • progettazione, attuazione e diffusione sul mercato di prodotti innovativi che riducano l’impatto ambientale o facciano un minor uso di risorse. I progetti devono seguire il principio della politica integrata di prodotto, in un approccio che considera l’intero ciclo di vita, ed essere in linea con il piano d’azione su “Produzione e consumo sostenibili” e “Politica industriale sostenibile”; possono essere in relazione con la direttiva Ecodesign e mettere in pratica una prospettiva ambientale più globale; basare le performance ambientali di un nuovo prodotto sul Marchio di qualità ecologica (Ecolabel) europeo e su altri sistemi accreditati di certificazione/etichettatura; • sostituzione di materiali con minore impatto ambientale e maggiore efficienza delle risorse; sostituzione di materiali scarsi e maggior uso di materie prime secondarie; la sostituzione può riguardare i prodotti o i processi produttivi; • azioni tese a rendere più ecologica la produzione e puliti i processi produttivi di sostegno ambientale, processi innovativi con alto fattore di riproducibilità. Le azioni potrebbero anche comprender la simbiosi industriale, vale a dire sotto-prodotti o scarti di prodotto come nuova materia prima al fine di migliorare l’impatto ambientale della produzione industriale; • innovazione graduale introducendo un meccanismo di ri-fabbricazione e servizi di riparazione innovativi con benefici ambientali significativi e un alto fattore di riproducibilità.


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Le salondelle des éco-technologies, Salone eco-tecnologie, de l’énergie et développement durable dell’energia edudello Sviluppo sostenibile

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3> > 66 DECEMBRE 2013 dICeMbre 2013

FRANCE Paris Nord Villepinte FrANCIA


VETRINA

SSAB lancia un nuovo metodo per misurare l’usura del materiale

SSAB è stata la prima a sviluppare un metodo per misurare l’usura del materiale basandosi sui flussi di ghiaia. Il metodo è stato usato per effettuare delle prove sull’acciaio Hardox 450 e i risultati hanno mostrato caratteristiche positive in termini di usura, il che apre le porte all’alleggerimento di tamburi per miscelazione e a piattaforme di carico. Il metodo e i risultati sono stati presentati per la prima volta alla fiera Bauma di Monaco, in Germania. SSAB ha deciso di sviluppare il proprio metodo di misurazione dell’usura del materiale perché attualmente non esiste sul mercato alcun metodo standardizzato in grado di simulare l’usura effettiva dei diversi materiali. “Il nostro metodo permette di simulare diversi tipi di usura, come quella derivante dai flussi della ghiaia, l’usura da impatto e da scorrimento causata dal granito. L’usura è un elemento molto importante, che teniamo sempre in considerazione quando sviluppiamo nuovi prodotti”, ha affermato Patric Waara, Manager Wear Technology presso SSAB. La ghiaia granitica è molto usata nella costruzione delle strade in qualità di componente dell’asfalto e del cemento e provoca usura durante il trasporto. La qualità dell’acciaio usato per il tamburo che miscela il calcestruzzo o per la piattaforma di carico di un veicolo è quindi fondamentale per la durata di entrambi. “L’acciaio Hardox 450 è stato testato con il metodo sviluppato internamente da SSAB e l’esito è stato estremamente positivo”, ha affermato Waara. “I materiali sottili utilizzati in vari prodotti devono essere resistenti all’usura perché anch’essi sopportano dei carichi. Con l’acciaio Hardox 450, SSAB soddisfa i requisiti restrittivi di coloro che producono piattaforme di carico per veicoli e tamburi di miscelazione.” Il nuovo metodo per misurare l’usura dei materiali si basa su simulazioni di flusso e sul cosiddetto Finite Element Method (FEM). Il metodo FEM è uno strumento di analisi utilizzato per migliorare i prodotti dirigendo i flussi lontano dalle aree sottoposte a sollecitazioni elevate. In questo modo l’usura del materiale viene ridotta nei punti in cui il carico è particolarmente elevato. Il metodo è stato sviluppato in collaborazione con il candidato al dottorato industriale, Dan Forsström, della Luleå University of Technology, che lavora con una tecnologia assolutamente innovativa nella quale la simulazione del flusso si combina con l’analisi FEM.

L’Intelligent Camera Monitor System con visione a 360° Brigade Elettronica ha presentato al Salone Internazionale Tecnologie per l’Ambiente, la sua ampia gamma di dispositivi per la sicurezza e in particolare ha lanciato il nuovissimo Smarteye®, l’Intelligent Camera Monitor System con visione a 360°. Brigade Smarteye®, powered by ASL360, è un sofisticato sistema di telecamere che fornisce all’autista una vista panoramica e completa del veicolo, per manovrare senza alcuna difficoltà, in totale sicurezza. Un aiuto prezioso, soprattutto per chi si deve muovere in centri urbani: vie strette e presenza di pedoni e ciclisti possono costituire un pericolo per l’incolumità, innanzitutto, delle persone stesse e, in secondo luogo, del mezzo. Smarteye® può dunque essere un ausilio utile per i mezzi pubblici e per i servizi di igiene ambientale e raccolta rifiuti che operano in città o in luoghi poco spaziosi. Quattro telecamere ad angolo molto ampio con lenti a 187° eliminano gli angoli ciechi del veicolo, fornendo una vista a 360° tutto intorno al mezzo in una sola immagine. Un software intelligente, appositamente studiato, appiattisce le immagini grandangolari fisheye riunendole in una unica, per garantire una visione senza soluzione di continuità sul monitor. I punti di unione possono essere adattati in base al veicolo, per ottenere la migliore visibilità eliminando gli angoli ciechi. Il software, inoltre, bilancia le differenti luminosità delle diverse riprese, per un’immagine veramente reale, in tempo reale. Rispetto ad altri sistemi, Brigade Smarteye® è molto accurato nel setup iniziale, per evitare accidentali punti ciechi e garantire fin da subito la massima sicurezza. Il self-monitoring spegne automaticamente una telecamera in caso di malfunzionamento, spingendo l’operatore a verificare il guasto. Brigade Smarteye® viene installato e calibrato da personale autorizzato, qualificato e professionale, che garantisce al cliente una totale affidabilità e tranquillità. Per ulteriori informazioni visitate www.brigade-elettronica.it.

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Anno 6 - Numero 23


Toso risolve semplicemente ogni problematica di movimentazione Toso s.r.l., azienda nata nel lontano 1877 è impegnata dai primi anni ’90, con la collaborazione di “Partners Tecnologici” di avanguardia nello studio, sviluppo e realizzazione di macchine e sistemi di trasporto soprattutto per lo smaltimento e il riciclaggio di diverse tipologie di materiali nei seguenti settori: ecologia, fonderia, meccanica, alimentare, tessile, chimica, laterizi. L’azienda ha raggiunto obiettivi di affidabilità ed efficienza acquisendo una modularità costruttiva che ha come fine la realizzazione ottimale in tempi brevi di macchine costruite su misura. Toso s.r.l. è in grado di fornire sia trasportatori singoli che sistemi completi di trasporto e separazione meccanica. L’azienda inoltre realizza oltre ai vari trasportatori, elevatori a tazze, sistemi di trasporto a coclea , sistemi di vagliatura ed assicura assistenza tecnica professionale del tipo “global service” unita al servizio ricambi in pronta consegna. La forte applicazione alla Ricerca e allo Sviluppo, fanno dei nostri prodotti la scelta ideale per ogni cliente; ogni macchina costruita da Toso è esattamente il risultato di moduli rispondenti alle richieste specifiche ed individuali del committente. L’obiettivo di crescere e consolidarsi nel mercato ecologico ambientale è la nostra mission. Le dimensioni e la struttura interna ci conferiscono dinamicità e flessibilità, ingredienti indispensabili per soddisfare la nostra clientela con macchine e impianti semplici e funzionali.

Soluzioni elettriche Bonfiglioli nel campo delle piattaforme aeree Nel mondo delle piattaforme aeree Bonfiglioli ha sviluppato soluzioni innovative per l’azionamento elettrico di sollevatori telescopici, articolati, piattaforme a sollevamento verticale e a traliccio. “Non è una novità per Bonfiglioli lo sviluppo di soluzioni meccatroniche. Il gruppo – ribadisce Fausto Carboni, GM della Business Unit Mobile e Wind di Bonfiglioli – è da molto tempo attivo nella ricerca e l’applicazione di soluzioni ad alta efficienza energetica non solo per applicazioni industriali ma anche per elettromobilità. Il settore delle piattaforme, in cui Bonfiglioli è attiva da molti anni per le soluzioni tradizionali, è stato anche per questo motivo molto attrattivo per noi ed è questa una delle ragioni che ci ha spinto a dedicarci allo sviluppo di soluzioni per la trazione elettrica in questo ambito. Ora possiamo affermare di essere in grado di presentare al mercato soluzioni con la necessaria integrazione di sistema tra motore e riduttore”. La trazione elettrica è chiaramente vantaggiosa sotto molteplici punti di vista per l’utente: le dimensioni compatte permettono un’installazione semplice e flessibile, le attività di manutenzione e assistenza sono ridotte al minimo, inoltre si abbattono notevolmente i consumi energetici, le emissioni ed i livelli di rumorosità - cosa fondamentale per questo genere di macchine che devono spesso operare in interno, ove sono presenti normative stringenti dal punto di vista di questi limiti. Disegnata per macchine sollevatrici (piattaforme verticali, articolate, telescopiche con sollevamento verticale o a traliccio) con capacità di sollevamento da 5 a 27 metri, sia outdoor (anche per terreni accidentati) che indoor e raggio di curvatura ridotto, la soluzione Bonfiglioli è basata su un riduttore a 2 o 3 stadi di riduzione con un sistema di disinnesto meccanico integrato e con rapporti di riduzione fino a 1:95 per adattarsi alle più svariate esigenze. Il riduttore è accoppiato ad un motore a induzione a bassa tensione (serie BT) sviluppato appositamente per applicazioni di controllo ed azionamento della trazione. La serie di motori a induzione trifase in bassa tensione BT garantisce la massima flessibilità applicativa: disponibili in voltaggi da 16V a 53V, possono essere disponibili in differenti taglie (lunghezza e diametri) per coprire diverse necessità in termini di potenza e di dimensioni, a seconda del tipo di macchina su cui devono essere installati. Completano la descrizione un sistema di monitoraggio delle temperature e della velocità, un freno di rilascio elettronico e la possibilità di installare un sensore di temperatura a seconda delle proprie esigenze. Questa soluzione, quando viene integrata con un sistema di batterie a 24-80 VDC e ad un controllore in bassa tensione permette un’operatività più efficiente lato energetico controllando più efficacemente e senza sprechi la velocità di traslazione, aumentando la ‘gradability’ (capacità di operare su pendenze elevate) e la trazione. Ovviamente è possibile accoppiare al medesimo riduttore differenti taglie di motore a seconda delle necessità progettuali mantenendo i vincoli geometrici e dimensionali esterni, oltre che l’accoppiamento con il riduttore.

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E COAP P U N TA ME N TI EIRE

Milano, dal 4 al 6 giugno

EIRE è il luogo di incontro e di lavoro della community del Real Estate italiano. Giunta quest’anno alla nona edizione rappresenta un ambito privilegiato in cui gli operatori del settore possono individuare le migliori direzioni di espansione delle opportunità immobiliari. EIRE rappresenta la vetrina ideale per la presentazione di progetti di sviluppo e valorizzazione e consente alla community italiana e internazionale del Real Estate di incontrarsi, riconoscersi e confrontarsi in uno spazio progettato secondo il migliore Italian Style. La nona edizione di EIRE si svolgerà nel quartiere di FieraMilanoCity, una decisione frutto di numerose sollecitazioni pervenute negli ultimi anni da parte di visitatori ed espositori della manifestazione. www.italiarealestate.it

REMTECH EXPO

ferrara, Dal 18 al 20 SETTEMBRE

È il Salone più specializzato in Italia sulle bonifiche dei siti contaminati e la riqualificazione del territorio. Rivolto ad aziende, pubbliche amministrazioni, associazioni, professionisti, università, industria, comparto petrolifero, settore immobiliare e della pianificazione vanta un’area espositiva altamente qualificata cui si affiancano una sessione congressuale di elevato profilo, corsi di formazione, eventi paralleli e incontri tecnici, prove pilota, delegazioni straniere, il forum SuRF Italy, premi speciali, di laurea e di dottorato. Il programma congressuale verterà sui temi dell'analisi di rischio, impianti pilota, bonifica di suoli, acque, sedimenti, piani di bonifica, sostenibilità, rete carburanti, terre e rocce da scavo, rifiuti e amianto. Una particolare attenzione sarà inoltre rivolta a tre Sezioni Speciali: Coast Expo, Esonda e Inertia. www.remtechexpo.com

CHEM-MED

Milano, dal 24 al 26 settembre

Chem-Med, The Mediterranean Chemical Event, unica manifestazione in Italia a offrire una vetrina completa di apparecchiature e strumentazione per il laboratorio oltre alle tecnologie di processo per l'industria chimica, si terrà nel quartiere espositivo di Fieramilanocity. Forte del successo dell’edizione 2011 quest’anno presenterà una vastissima gamma di settori merceologici. Particolare attenzione sarà dedicata alle aree tematiche Biotech, dedicata alle biotecnologie, e Watermed, dedicata a macchinari, tecnologie e strumentazione per il trattamento, il processo, l’engineering e l’analisi delle acque e dei reflui. Completerà la sezione espositiva un qualificato programma di convegni con la partecipazione di rappresentanti di istituzioni, università, associazioni e aziende. www.chem-med.eu

RAVENNA2013

Ravenna, dal 25 AL 27 settembre

Fare i conti con l’ambiente. E’ questo il titolo del Festival sui rifiuti, acqua, energia giunto quest’anno alla sesta edizione. La tre giorni di incontri di tipo informativo-formativo dedicati a tematiche tecnico-economiche si svolgerà interamente nel centro storico pedonale di Ravenna. La manifestazione si svilupperà secondo quattro tipologie di eventi distinte: Conference, costituiscono l’evento principale del mondo delle scienze economiche, dell’impresa, della cultura e della tecnologia; Workshop, sono incontri di approfondimento sviluppati in collaborazione con le principali reti esterne; LabMeeting, sono momenti di formazione e approfondimento in corsi a numero chiuso; Eventi Culturali, rappresentano la ricerca, la conoscenza, l’innovazione, l’arte e la cultura intesi come terreno ideale dal quale far partire un nuovo modo di pensare, agire e comunicare. www.ravenna2013.it

FORLENER

Vercelli, dal 27 al 29 settembre

Forlener è la principale fiera italiana dedicata alla filiera foresta–legno–energia, l’unica manifestazione che mette in mostra prodotti, servizi e tecnologie secondo una logica di filiera. L’edizione 2013 si presenta con forti aspettative e un rinnovato programma di iniziative: visite guidate con percorsi di filiera, Premio Innovazione Forlener, Pellet Days, tour agli impianti, dimostrazioni tecnico pratiche e formazione professionale. Forlener è l’appuntamento per le imprese agricole e forestali che vogliono aggiornarsi o rinnovare il proprio parco macchine; per installatori e progettisti che vogliono conoscere i vantaggi dell’energia rinnovabile; per il privato che intende riscaldare la propria casa in modo naturale e per quanti vogliono crearsi un’opportunità di lavoro nella green economy. www.forlener.it

SARDINIA

Santa Margherita di Pula, dal 30 settembre al 4 ottobre

Istituiti nel 1987 con lo scopo di rendere facilmente disponibili e condivisibili le conoscenze e le esperienze nel campo della gestione dei rifiuti e dello scarico controllato, i Simposi Sardinia sono diventati uno dei principali forum di riferimento a livello mondiale per gli esperti del settore che ogni due anni si ritrovano in una delle vetrine più prestigiose per la ricerca nazionale e internazionale. Il programma si articolerà in otto sessioni parallele dedicate alla presentazione contributi orali, svariati workshop e una sessione poster. Sulla base delle positive esperienze delle edizioni del 2009 e 2011, anche quest'anno verrà organizzata una sessione interamente dedicata a lavori presentati in lingua italiana. www.sardiniasymposium.it

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libri SITI CONTAMINATI CARATTERIZZAZIONE - ANALISI DI RISCHIO - TECNICHE DI DISINQUINAMENTO A cura di Maurizio Gorla

Dario Flaccovio Editore (pagine 585 - € 72,00) La normativa è in continua evoluzione, le linee guida e i regolamenti pure. La necessità di essere sempre aggiornati sul tema dei siti contaminati trova una risposta nel libro dell'autore. “Siti contaminati” è strutturato in modo da percorrere puntualmente tutte le fasi che conducono alla bonifica di un sito, dallo sviluppo del modello concettuale alla scelta e pianificazione delle indagini sito specifiche. I cinque capitoli in cui è suddiviso hanno ciascuno una propria appendice con numerosi riferimenti bibliografici: il primo capitolo tratta gli aspetti essenziali dell'analisi di rischio, afferente sia alla valutazione della salute umana sia a quella ambientale; il secondo fornisce tutte le specifiche tecniche per sviluppare una completa caratterizzazione del sito; il terzo e il quarto descrivono le tecnologie di bonifica dei terreni e delle acque di falda; l'ultimo propone un quadro esaustivo delle fasi di lavoro relative alla rimozione dei serbatoi interrati. Le bonifiche ambientali rappresentano un ottimo esempio di approccio multitasking, richiedendo competenze in differenti settori specialistici. Il testo è indirizzato a professionisti del campo ambientale, a studenti di geologia, ingegneria ambientale, chimica e a tecnici del settore pubblico che si occupano di temi correlati alla bonifica dei siti contaminati. L'autore mette a disposizione numerose tabelle sinottiche a corredo di casi applicativi studiati e sviluppati e, grazie agli approfondimenti forniti dalle fonti bibliografiche elencate per ciascun argomento, offre spunti di ricerca extratestuali che consentono al lettore di sviscerare indipendentemente ogni rimando presente.

GUIDA ALLA TARES - II edizione A cura di Bruno Battagliola

EDK Editore (pagine 354 - € 75,00) A decorrere dal 1° gennaio 2013 è stato istituito in tutti i Comuni del territorio nazionale il tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (TARES), a copertura dei costi relativi al servizio di gestione dei rifiuti urbani e assimilati avviati allo smaltimento. La TARES è subentrata alla tassa sui rifiuti solidi urbani (TARSU) e alla tariffa di igiene ambientale (TIA) per effetto del decreto legge 6 dicembre 2011 n. 201, già modificato con la Legge di stabilità 2013 (L. n. 228/2012) e il D.L. n. 1/2013. Per aiutare gli Enti a districarsi nelle novità normative già in vigore, l'autore propone un percorso guidato nella recente disciplina introdotta, confrontandola con quella relativa ai previgenti tributi, mettendo in evidenza differenze e analogie. Modelli e schemi operativi, nonché un CD-Rom allegato al testo offrono un concreto contributo operativo a chiunque debba applicare correttamente la TARES. Ai due capitoli che approfondiscono il tema del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti urbani e la disciplina della TARES contenuta nel D.L. 201/2011 fanno seguito il capitolo terzo che elenca numerosi casi pratici in materia di tributi e tariffe sui rifiuti e il capitolo quarto che fornisce schemi e modelli operativi per la gestione del tributo. Nel prezzo di copertina è compresa anche la versione e-book dell’opera, costantemente aggiornata dall’Autore sino al 31 dicembre 2013.

PROGETTAZIONE E RELAZIONE GEOTECNICA SECONDO LE NTC 2008 E GLI EUROCODICI A cura di Piergiuseppe Froldi

Maggioli Editore (pagine 312 - € 39,00) La geotecnica è sempre stata una disciplina al limite tra le scienze geologiche e l'ingegneria. A differenza di altre discipline dell'ingegneria civile, nella progettazione delle opere geotecniche i materiali naturali (terreni e rocce) di cui si deve modellare il comportamento meccanico sotto l'effetto delle azioni restano ad un livello di conoscenza non paragonabile a quello di materiali artificiali quali il calcestruzzo e l'acciaio. Dopo un lungo periodo in cui in Italia la materia è stata disciplinata da decreti ministeriali separatamente dalle norme tecniche di progettazione strutturale, con l’avvento degli Eurocodici e delle Norme Tecniche per le Costruzioni di cui al D.M. 14.01.2008 (NTC2008) si è assistito ad una integrazione della geotecnica nel novero delle discipline progettuali dell’ingegneria civile. Il testo si prefigge lo scopo principale di esaminare in dettaglio i contenuti del capitolo 6 delle NTC 2008 – Progettazione geotecnica, elaborandone i significati ed integrandone le prescrizioni e i suggerimenti con quanto espresso negli Eurocodici. Il libro non eccede in approfonditi tecnicismi per i quali si rimanda a testi ben più autorevoli e specializzati; esso risulta diviso in capitoli in funzione delle opere geotecniche trattate, con numerose schede applicative di approfondimento al termine di ogni sezione. È rivolto a ingegneri, geologi e a tutti i tecnici coinvolti a vario titolo nelle problematiche di carattere geotecnico.

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Anno 6 - Numero 23


PeVmedia.com

WeCare

Riqualificare

per il bene comune

BONIFICHEXPO2015 quando imprenditorialità e territorio si incontrano RIQUALIFICAZIONE

QUALITÀ URBANA

SOSTENIBILITÀ

Questi tre concetti sintetizzano la mission associativa di BONIFICHEXPO2015, sodalizio tra imprenditori interessati a cogliere comuni opportunità, il cui obiettivo è quello di individuare siti dismessi su cui fare azioni di sistema e proposte di comune interesse fra pubblico e privato.

nOn dare nienTe Per SCOnTaTO

EXPO 2015, ha come tema centrale quello della sostenibilità e su questo argomento ha invitato nel 2015 il Mondo ad incontrarsi a Milano per portare contributi e riflessioni su questo grande tema. Ciascuna azienda associata è leader nel proprio settore: ne fanno parte società di servizi e ingegneria, società operanti nelle tecnologie e nei servizi integrati per l’ambiente, nel settore edilizio ed immobiliare, nella costruzione e demolizione civile ed industriale, finanziarie focalizzate nel real estate, società specializzate nell’igiene ambientale e urbana, società operanti in grandi infrastrutture e turismo.

IngegnerIa applIcata alle demolIzIonI DEA ingEgnEriA hA Acquisito un’EspEriEnzA unicA E AltAmEntE spEciAlizzAtA nEl sEttorE DEllE DEmolizioni civili E inDustriAli. con il suo tEAm Di EspErti è in grADo Di progEttArE, rAzionAlizzArE E ottimizzArE l’intEro procEsso Di DEmolizionE con i migliori strumEnti Di cAlcolo E soluzioni innovAtivE

BONIFICHEXPO2015, si caratterizza per la capacità di coniugare processi tecnologici innovativi per la riqualificazione, la progettazione, la ricostruzione e il riuso di siti dismessi.

PROGETTAZIONE E CONSULENZA

■ demolizioni tradizionali ■ decommissioning di impianti ■ demolizioni con esplosivi ■ smontaggi strutturali ■ simulazione del crollo ■ modellazione strutturale ■ verifiche delle fasi transitorie ■ previsione impatti ambientali ■ monitoraggi rumore e vibrazioni ■ ottimizzazione dei costi di intervento

BONIFICHEXPO2015 associazione www.bonifichexpo2015.com Sede sociale e amministrativa: via Borgonuovo 4 - 20121 Milano sede operativa: via Battaglia 22 - 20127 Milano

email: bonifichexpo2015@bonifichexpo2015.com segreteria: +39 345 8750015

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GIUGNO 2013 ANNO VI NUMERO 23

Saper demolire

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IL RECUPERO DEI RIFIUTI UNA GRANDE RISORSA PER L’ECONOMIA DEL PAESE

SITI DISMESSI PROSPETTIVE EUROPEE NELLA GESTIONE DEI BROWNFIELDS DECOMMISSIONING NUCLEARE UN’OPPORTUNITÀ DI BUSINESS CON NUMERI DA RECORD BARRIERE PERMEABILI REATTIVE REALIZZATA IN ITALIA LA PRIMA PRB A FUNNEL & GATE

demolizioni speciali

GIUGNO 2013


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