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Poste Italiane Spa - Sped. in a.p. - D.L. 353/2003 conv. in L. 46/2004, art.1, c.1 - CB-NO/Torino – Anno 6 n. 24 DEA edizioni s.a.s. Strada del Portone, 127 - 10095 Grugliasco (TO)

settembre 2013 anno vI numero 24

GREEN ECONOMY IL SUPPORTO DELLE ASSOCIAZIONI PER IL RILANCIO DI UN’ECONOMIA VERDE

BIOENERGIE E TERRITORIO la strategia energetica nazionale e il ruolo delle biomasse REPORT BONIFICHE LO STATO DI AVANZAMENTO DEGLI INTERVENTI NEL NOSTRO PAESE AGGREGATI RICICLATI POTENZIALITà E VANTAGGI DEL RICICLAGGIO DEI MATERIALI DA C&d

settembre 2013


Demolizione e riqualificazione Di aree Dismesse

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Oltre il concetto dello zero waste

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na società a rifiuti zero è veramente possibile? La visione di una comunità dove non si butta via niente ma tutto viene riciclato e riutilizzato, di un mondo senza discariche e termovalorizzatori è la fotografia che spesso viene associata alla Green Economy: un nuovo concetto di fare impresa, di produrre beni e risorse in piena armonia con il pianeta, senza inquinamento, rifiuti e discariche. Realtà o utopia? Nessuna delle due. Come sempre in tutte le cose la verità sta nel mezzo, la corretta gestione dei rifiuti finalizzata all’ottimizzazione del riutilizzo misura la capacità di crescita sostenibile delle economie più evolute ma questo non vuol dire che tutti i rifiuti sono recuperabili e che l’obiettivo da perseguire sia per forza quello dello zero waste. La filiera del riciclaggio non si conclude con il conferimento nel cassonetto della bottiglia di plastica o dell’imballaggio in carta ma è un processo complesso che implica separazioni, trattamenti raffinazioni, attività che ovviamente hanno dei costi e degli impatti sull’ambiente ma che sovente vengono dimenticati o sapientemente omessi nelle campagne di comunicazione. Numerosi studi dimostrano che andare oltre il 60-70% di volumi riciclati sul totale implica lavorazioni su materie con frazioni eterogenee con costi elevati e filiere lunghe e complesse, che non rappresentano quindi un processo sostenibile; questo non vuol dire che non bisogna riciclare più o che la parte non riciclabile debba andare per forza in discarica. Quando parliamo di recupero dei rifiuti è opinione comune pensare solo al recupero di massa ossia “meramente materiale”, ma esiste un’altra forma di recupero, è quello “energetico” con i tanto discussi termovalorizzatori demonizzati e strumentalizzati dall’opinione pubblica come alternativa al riciclaggio. Nei Paesi nord europei, che spesso vengono portati come esempio nella corretta gestione della filiera dei rifiuti, è questo che si sta facendo, non si stanno costruendo inceneritori in modo selvaggio e incontrollato per bruciare materiali recuperabili ma come soluzione complementare alla discarica. Penso sia questo il vero obiettivo che dobbiamo perseguire, oggi le tecnologie per il recupero “energetico e materiale” dei rifiuti ci sono, sono tecnologicamente avanzate e consentono di fare le cose per bene. Queste due forme di recupero non devono essere messe come alternativa l’una all’altra, ma coesistere in un’ottica veramente green ossia quella di riciclare quanto economicamente sostenibile e di conferire agli impianti non rifiuti tal quali con lo scopo principale di produrre solo energia ma rifiuti trattati ad hoc per ridurre significativamente il conferimento nelle discariche. Massimo Viarenghi

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settembre 2013

sommario

ECO bonifiche rifiuti demolizioni

12 FESTEGGIA 25 ANNI NEL RISPETTO DELL’AMBIENTE IL PRINCIPALE IMPIANTO ITALIANO DI SMALTIMENTO DI RIFIUTI SPECIALI

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RUBRICHE ECONEWS

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VETRINA

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ECOAPPUNTAMENTI

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Libri

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STORIA DI COPERTINA ASSOCIAZIONI E GREEN ECONOMY di Massimo Viarenghi

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ATTUALITÀ

24 Dall’Olanda un esempio di riqualificazione per un ex polo chimico, tra archeologia industriale e piano di sviluppo

Quando i rifiuti aiutano l’ambiente: Barricalla compie 25 anni di Alessandro Bertin

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Il ruolo delle biomasse nella strategia energetica nazionale di Maeva Brunero Bronzin

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Oli rigenerati e oli biodegradabili a confronto di Bruno Vanzi Sesta edizione per ravenna 2013, il primo evento green italiano realizzato dal basso di Gian Maria Brega

46 Un complesso intervento di demolizione con esplosivo per l’abbassamento del corpo di una diga in valle d’aosta

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THe big eye Archeologia industriale e piano residenziale di un ex polo chimico in Olanda di Donato Lucadamo

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REPORT Il punto sullo stato di attuazione delle bonifiche in Italia di L. D’Aprile, M. Giunta e M. Salomone

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SPECIALE

60 Bioremediation: un approccio multidisciplinare per affrontare la problematica della bonifica del polo chimico di mantova

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Anno 6 - Numero 24

La valutazione della contaminazione nei sedimenti dei torrenti di Praga di Marco Race et al.

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PANORAMA AZIENDE Soluzioni per la pulizia sotto il segno dell’ecologia di Maria Beatrice Celino

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Nuovi sviluppi per il riciclaggio delle bottiglie in PET di Maria Beatrice Celino

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Anno 6 - Numero 24 Settembre 2013

Direttore responsabile: Massimo Viarenghi Direttore commerciale: Maria Beatrice Celino Coordinamento editoriale: Maeva Brunero Bronzin

WORK IN PROGRESS Valorizzazione energetica delle biomasse mediante digestione anaerobica di Alessandro Massone e Giulia Sarzana

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Riqualificazione aree dismesse e rischio sito di Paolo Massarini

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La demolizione della diga di Beauregard di Andrea Terziano

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Fatte a pezzi di Marco Martinetto

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PROGETTI E TECNOLOGIE Soil flushing per la bonifica di un sito contaminato da percloroetilene di S. Fiore, A. Godio e M.C. Zanetti

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Fanghi di depurazione: gestione e uso agricolo nei Paesi dell’Unione Europea di Camilla M. Braguglia e Giuseppe Mininni

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Bioremediation eco-mirata per l’area del polo chimico di Mantova di E. Bargiacchi et al.

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Potenzialità e vantaggi nell’impiego degli aggregati riciclati di F. Cioffi, L. Cutaia e G. Mastino

Comitato Scientifico: Maria Rosaria Boni (Sapienza Università di Roma) Daniele Cazzuffi (Cesi spa – Remtech) Laura D'Aprile (ISPRA, Roma) Luciano De Propris (Consulente ambientale) Ennio Forte (Università degli studi di Napoli) Luciano Morselli (Università di Bologna) Andrea Quaranta (Giurista ambientale – Cuneo) Gian Luigi Soldi (Provincia di Torino) Federico Vagliasindi (Università di Catania) Maria Chiara Zanetti (Politecnico di Torino) Ufficio commerciale - Vendita spazi pubblicitari: Maria Beatrice Celino Tel. 011 7802164 Cell. 335 237390 e-mail: b.celino@deaedizioni.it Grafica, disegni e impaginazione: PeVmedia - Via C. Vidua, 7G - 10144 Torino Abbonamenti: Italia annuo € 35,00 - estero annuo € 70,00 copia singola € 9,50 - arretrati € 11,50 Per abbonarsi è sufficiente fare richiesta a info@deaedizioni.it Stampa: Tipografica Derthona - s.s. per Genova, 3/I - 15057 Tortona (AL)

NORMATIVA Bonifiche e responsabilità del proprietario dell’area di Rosa Bertuzzi

Collaboratori: Renato Baciocchi, Enrica Bargiacchi, Alessandro Bertin, Rosa Bertuzzi, Camilla M. Braguglia, Gian Maria Brega, Daniele Carissimi, Maria Beatrice Celino, Flavio Cioffi, Laura Cutaia, Laura D’Aprile, Massimiliano Fabbricino, Silvia Fiore, Mariaconcetta Giunta, Alberto Godio, Alberto Grandi, Donato Lucadamo, Marco Martinetto, Paolo Massarini, Alessandro Massone, Giovanni Mastino, Sergio Miele, Giuseppe Mininni, Francesco Montefinese, Jana Nabelkova, Francesco Pirozzi, Antonio Pompeiano, Ludovico Pontoni, Marco Race, Annalisa Romani, Matteo Salomone, Giulia Sarzana, Andrea Terziano, Mario Tredici, Marco Volterrani, Maria Chiara Zanetti

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la disciplina degli scarichi nei corpi d'acqua superficiali 70 di Daniele Carissimi

Responsabilità: la riproduzione delle illustrazioni e articoli pubblicati dalla rivista è riservata e non può avvenire senza espressa autorizzazione della Casa Editrice. I manoscritti e le illustrazioni inviati alla redazione non saranno restituiti, anche se non pubblicati, e la Casa Editrice non si assume responsabilità per il caso che si tratti di esemplari unici. La Casa Editrice non si assume responsabilità per i casi di eventuali errori contenuti negli articoli pubblicati o di errori in cui fosse incorsa nella loro riproduzione sulla rivista. La responsabilità di quanto espresso negli articoli firmati rimane esclusivamente agli Autori. Direzione, Redazione, Abbonamenti, Amministrazione:

NOTIZIE DA ASSOCIAZIONI e reti Associazione Studi Ambientali

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Reconnet

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DEA edizioni s.a.s. Strada del Portone 127 10095 Grugliasco (TO) Tel. 011 7802164 Fax 011 4047946 e-mail: info@deaedizioni.it www.deaedizioni.it

Organo Ufficiale dell'Associazione Studi Ambientali L’abbonamento è deducibile al 100%. Per la deducibilità del costo ai fini fiscali vale la ricevuta del versamento a norma D.P.R. 22/12/86 n. 917 artt. 50 e 75. Conservare il tagliando - ricevuta, esso costituisce documento idoneo e sufficiente ad ogni effetto contabile. Non si rilasciano in ogni caso altre quietanze o fatture per i versamenti in c.c.p. Pubblicazione bimestrale Poste Italiane Spa – Sped. in a.p. D.L. 353/2003 conv. in L. 46/2004, art. 1, c. 1 – registrata presso il Tribunale di Torino il 19 ottobre 2009 al n. 56. Ai sensi del D.Lgs. 196/2003, informiamo che i dati personali vengono utilizzati esclusivamente per l’invio delle pubblicazioni edite da DEA edizioni s.a.s. Telefonando o scrivendo alla redazione è possibile esercitare tutti i diritti previsti dall’articolo 7 del D. Lgs. 196/2003.


e co n e w s

Da ottobre riparte, gradualmente, il Sistri Novità per il Sistri grazie alle misure in materia ambientale del D.L. n. 101 del 31 agosto 2013 contenente le disposizioni urgenti per il perseguimento degli obiettivi di razionalizzazione nelle PA. Il pacchetto normativo, che ha avuto il via libera dal Consiglio dei Ministri, prevede l’operatività del Sistri dal primo ottobre 2013 ma solo per i gestori di rifiuti pericolosi e non quindi per i produttori degli stessi. Si tratta perciò di 17 mila utenti interessati rispetto ai 70 mila previsti. Per i produttori di rifiuti pericolosi la partenza è fissata invece al 3 marzo 2014, in modo da permettere di semplificare ulteriormente il sistema. Sino all’emanazione di apposito le categorie non DF ad REV2_Layout 1 01/02/2013 14:58decreto Pageministeriale 1 coinvolte al momento proseguiranno con la tenuta dei registri cartacei. Caso a parte per la Campania dove la tracciatura sarà estesa ai rifiuti urbani e, visto il particolare regime, l'entrata in servizio del Sistri è differita al 3 marzo 2014. Il Ministero dell’Ambiente spera con questo provvedimento di aver trovato un punto di equilibrio tra la necessità di avere un sistema e

le esigenze delle imprese. Dopo tanti rinvii, in questo modo, seppur gradualmente, si avrà la partenza del sistema che prevede inoltre una semplificazione periodica che verrà fatta tenendo conto delle esigenze manifestate dagli utenti e dell’evoluzione tecnologica. Infine il pacchetto prevede, in sede di prima applicazione della disciplina, una moratoria dell'applicazione delle sanzioni per le violazioni meramente formali.

Decommissioning e trasformazione urbana: protagonisti a confronto A novembre, in occasione della manifestazione fieristica Ecomondo, si terrà a Rimini la quarta edizione di Decommissioning, il salone dedicato al mondo delle demolizioni e della riqualificazione delle aree dismesse. L’evento si terrà all’interno del padiglione C1 e conterà sulla fitta presenza espositiva riservata alle aziende del settore. Durante l’evento, come nelle passate edizioni, verrà organizzato un momento di incontro tra i tre grandi settori del decommissioning, industriale, urbano e nucleare: una tavola rotonda nella quale saranno coinvolte imprese private, enti pubblici e associazioni come protagonisti di un mercato che in tempo di crisi offre ancora delle opportunità di crescita. Come migliorare l’approccio integrato negli interventi di riqualificazione urbana? Quali opportunità offre la dismissione nucleare e industriale in Italia? In che modo migliorare la competitività tra le imprese nelle fasi di screening e di gara? Queste le domande a cui si cercherà di dare una risposta in un dibattito a 360° che affronterà le criticità e i punti di forza dei diversi processi di decommissioning.

Ambiente sconfitto alle prossime Olimpiadi invernali

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www.dfecology.it

Tanto clamore intorno all’organizzazione delle Olimpiadi invernali Russe del prossimo anno. Ora alle questioni sociali si sommano quelle ambientali poiché pare che per i territori del Sud compresi tra il Mar Nero e le montagne del Caucaso questi giochi olimpici siano una vera sciagura. L’area interessata si trova infatti a ridosso del Caucaso Occidentale, sito patrimonio dell’Unesco, ove con estrema facilità le aree naturali protette vengono trasformate in base alle necessità in terreni edificabili. Molte sono le aree naturali vessate dal disboscamento e dalla costruzione di edifici e impianti, ma ancor più preoccupante è la realizzazione del corridoio infrastrutturale Adler-Krasnaja Poljana, un’autostrada e una ferrovia che congiungeranno i due siti olimpici, quello sul mare e quello in montagna; una distanza di 48 chilometri che sarà così percorribile in 25 minuti. L’infrastruttura, oltre ad essere il cantiere più costoso delle Olimpiadi (9,4 miliardi di dollari), lambisce pericolosa-


mente il letto del fiume Mzymta, che fornisce acqua potabile a gran parte della città di Sochi, e che proprio a causa del cantiere negli ultimi anni ha subito un calo drastico del quantitativo di acqua nonché un peggioramento allarmante della qualità. Tante le situazioni critiche segnalate e pochi i riscontri positivi per un evento che dovrebbe celebrare la pratica sportiva come mezzo per realizzare l'ideale equilibrio tra corpo e spirito, come veicolo di concordia e fratellanza tra i popoli, il tutto, aggiungiamo noi, nel rispetto dell’ambiente e del territorio.

Terre e rocce da scavo: le novità del Decreto del Fare Il cosiddetto Decreto “del Fare” (D.L. 21 giugno 2013 n. 69), così come convertito dalla Legge 9 agosto 2013, n. 98, ha introdotto alcune semplificazioni in materia ambientale e, nello specifico, con gli art. 41 c. 2 e 41-bis, in relazione alle terre e rocce da scavo. Il decreto sembra fare chiarezza nella confusione creata dalla parziale sovrapposizione normativa generata con l’entrata in vigore dell’art. 41 c. 2 e dell’art. 8 bis del D.L. 23 aprile 2013, n. 43, contribuendo inoltre ad una semplificazione della disciplina in materia. L’applicazione del D.M. 161/12 nel caso di piccoli cantieri risultava antieconomica e complessa, infatti già il decreto "emergenze" (D.L.143/13 ok B DEPURACQUE 240X150.qxp:Layout 1 23-02-2010 9:13 Pagina convertito in legge n. 71/2013), ne aveva sancito l'esonero, per tutti quel-

li al di sotto dei 6mila metri cubi. Nella stessa direzione, il nuovo decreto definisce una semplificazione della normativa per tutti i cantieri fatta eccezione per le opere soggette a Valutazione di Impatto Ambientale o le attività soggette ad Autorizzazione Integrata Ambientale per le quali si continuerà ad applicare il D.M. 161/12. L’art. 41-bis al comma 1 sancisce che per la gestione delle terre e rocce da scavo come non rifiuto/sottoprodotto, il produttore dovrà dimostrare: che è certa la destinazione di riutilizzo presso uno o più siti; che i materiali rispettino le CSC previste per il sito cui sono destinati e che gli stessi non costituiscano una fonte di contaminazione per le acque sotterranee; che l'utilizzo non comporta rischi per la salute né variazioni qualitative o quantitative delle emissioni rispetto al normale utilizzo delle materie prime; che i materiali non vengano sottoposti ad alcun trattamento preventivo, fatte salve le normali pratiche industriali e di cantiere. A queste condizioni, il riutilizzo è possibile mediante autocertificazione che il proponente deve presentare all'Arpa con indicazione di: quantità di materiali destinati al riutilizzo, sito di deposito e tempi previsti per il riutilizzo.

impianti per il trattamento del percolato da discarica

L’impianto per il trattamento del percolato che si origina nelle discariche di R.S.U. è stato sviluppato sulla base del know-how e dell’esperienza che Depuracque ha acquisito nel campo degli evaporatori sotto vuoto per il trattamento di reflui altamente inquinanti in oltre dieci anni di realizzazioni applicative in area industriale. Questo impianto risolve in maniera definitiva il problema del trattamento del percolato con una soluzione tecnologicamente avanzata ed economicamente vantaggiosa in termini di costi sia di investimento sia di esercizio. L’impianto comprende normalmente una opportuna sezione di finissaggio del condensato per la rimozione dell’ammoniaca (strippaggio-assorbimento con aria in circuito chiuso) ed un eventuale trattamento di ossidazione biologica a fanghi attivati (processo S.B.R.).

In funzione di specifiche esigenze sono stati eseguiti impianti con sezioni di preconcentrazione e di finissaggio su membrane. I vantaggi sono rilevanti in quanto la tecnologia adottata coperta da brevetto Depuracque: - comporta il trattamento specifico del refluo con effettivo abbattimento degli inquinanti evitando qualsiasi diluizione; - evita i rischi connessi alla fase di trasporto; - consente l’ottimale recupero energetico del biogas; il fabbisogno termico può inoltre essere soddisfatto con il solo utilizzo di acqua calda da raffreddamento dei gruppi di cogenerazione e pertanto ad effettivo costo zero;

- costituisce applicazione della migliore tecnologia oggi praticabile per i reflui ad alto contenuto inquinante; - risolve in maniera definitiva i problemi dello smaltimento del percolato in assenza di emissioni significative in atmosfera. La gamma di normale produzione prevede modelli con capacità fino a 10 m 3/h. Ad oggi sono stati realizzati impianti presso le discariche di: Pescantina (VR), Centa Taglio (VE), Pantaeco (LO), San Miniato (PI), Chianni (PI), Fermo (AP), Rosignano Marittimo (LI), Serravalle Pistoiese (PT), Giugliano in Campania (NA), Monsummano Terme (PT), Jesolo (VE), Peccioli (PI), Malagrotta (RM), Bracciano (RM).

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s t o ria d i c op erti n a

ASSOCIAZIONI E GREEN ECONOMY Un binomio ormai imprescindibile per fornire supporto al mondo imprenditoriale che vuole fare della sostenibilità ambientale il motore della crescita economica di Massimo Viarenghi

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viluppo sostenibile, crescita e green economy sono termini entrati ormai nel parlare comune, da argomenti di nicchia sono diventati i cardini trainanti per il rilancio di un’economia stanca e affaticata da anni di crisi e difficoltà di accesso al credito. In questa complessa situazione in cui il cambiamento assume una colorazione sempre più green gli imprenditori italiani non sono soli ma possono contare sul supporto specialistico e sulle iniziative di numerose associazioni di categoria, ce ne parla il dott. Francesco Andretta, Presidente di Assoreca, Associazione tra le Società di Consulenza e di Servizi per l’Ambiente, l’Energia, la Sicurezza e la Responsabilità Sociale. Ormai è noto a tutti, il mercato e il mondo imprenditoriale si stanno muovendo sempre più verso un approccio green; come si sta sviluppando questa nuova economia? La “Green Economy”, intesa nel suo senso più ampio, e cioè quella attuata dalle imprese che propongono “prodotti” (manufatti, tecnologie e servizi) basati sulla sostenibilità ambientale ed energetica, è decisamente una realtà in crescita già da alcuni anni e anzi uno dei pochi settori che hanno risentito meno della crisi globale delle economie più avanzate. Ciò dipende dal fatto che per essere davvero “green” le imprese, anche quelle manifatturiere più tradizionali, devono essere aperte alla

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Anno 6 - Numero 24

ricerca e all’evoluzione continua, organizzativa, di processo e di prodotto, e sono queste le caratteristiche principali delle attività che riescono a stare al passo con i tempi e a crescere. Infatti il mercato in generale è sempre più sensibile a “prodotti”, intesi come sopra, che possano concretamente manifestare il loro contenuto green, perché gli acquirenti sono sempre più informati, sensibili ed attratti da questi aspetti. Per crescere in questo nuovo mercato cosa stanno organizzando le principali associazioni di categoria? Le iniziative sono molte e diversificate, un esempio molto significativo di tale tendenza è dato dal “Green Economy Network” (G.E.N.), promosso da Assolombarda, la più importante associazione territoriale di Confindustria, che associa oltre 5000 imprese di tutti i settori, in provincia di Milano, Lodi e Monza Brianza: lanciato un paio di anni fa tra le proprie associate, da un apposito Comitato Organizzatore costituito da un piccolo gruppo di imprese green, con il supporto operativo del Settore Territorio, Ambiente, Energia dell’Associazione (con cui Assoreca collabora strettamente da sempre, come con la stessa Assolombarda, avendo qui anche la propria sede operativa), comprende già circa 400 imprese (oggi non più limitate ad Assolombarda, ma allargato anche ad aziende aderenti ad altre Associazione confindustriali,

Dott. Francesco Andretta, Presidente di Assoreca

come quelle di Assoreca ad esempio, presenti in numero cospicuo), con un fatturato complessivo di circa 50 miliardi e con alcune decine di migliaia di dipendenti. La grande sensibilità in proposito mostrata da Assolombarda è sostenuta fortemente anche dal nuovissimo Presidente, Gianfelice Rocca, eletto nel giugno di quest’anno, su iniziativa del quale il 5 settembre si è tenuto un importante convegno nell’auditorium dell’Associazione, “Innovation and technology for a sustainable future”, in collaborazione con il Politecnico di Milano e con la partecipazione dell’economista e “guru” di fama mondiale, Jeremy Rifkin, Presidente della “Foundation on Economy Trends”.


Sempre in campo confindustriale è da citare il grande impegno di Confindustria che, oltre al resto, da sempre costituisce il centro motore della diffusione della cultura green nel mondo industriale. In quest’ambito ci tengo a ricordare il contributo dato alla Conferenza di RIO+20, nel giugno 2012, tramite la “Carta dei Principi di Sostenibilità Ambientale” e la relativa Guida Operativa, strumenti adottati su base volontaria da numerose imprese associate, tra cui quasi tutte quelle di Assoreca, come pure da Assoreca stessache, per tale adesione, può infatti avvalersi di un apposito logo, secondo le prescrizioni di Confindustria. Altre fondamentali testimonianze sono costituite dalla “Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile”, www.fondazionesvilupposostenibile.org, nata da pochi anni ad opera dell’ex Ministro dell’Ambiente Edo Ronchi, che oggi comprende oltre 200 soci, tra associazioni, consorzi, imprese, enti e professionisti, con il supporto dei Ministeri dell’Ambiente e dello Sviluppo Economico, delle Regioni e degli Enti locali, in rappresentanza praticamente dell’intero mondo green italiano. All’interno della Fondazione è sorto nel 2012 il “Consiglio Nazionale della Green Economy”, che ha realizzato nel novembre 2012 ad Ecomondo il primo incontro su gli “Stati generali della Green Economy”, con la partecipazione in due giorni di oltre 1000 esperti. Quest’anno ci sarà la seconda edizione con l’obiettivo del lancio di “Un Green New Deal per l’Italia” per contribuire al superamento della crisi e al rilancio dell’economia italiana proprio tramite le attività green. Presidente, ci può parlare anche della sostenibilità ambientale e delle normative che la regolano? La “sostenibilità” è ormai entrata nel linguaggio e soprattutto nel sentire comune, tuttavia sono dovute passare alcune decine di anni, diciamo dagli anni ’60 del secolo scorso, perché questo si concretizzasse e, come per tutte le attività umane, sono state necessarie indicazioni normative puntuali come riferimento, impegnativo, cui attenersi per la difesa dell’ambiente. All’inizio le singole tematiche (aria, acqua, rifiuti, terreni contaminati, ecc.) sono state normate a livello nazionale, ma ormai da diversi anni tutta la normativa vigente è completamente di origine europea, come noto, tramite Direttive,

da adottare con apposite leggi nazionali e regionali, e Regolamenti, che sono direttamente operativi nei singoli paesi della Comunità. L’applicazione delle norme, sempre più puntuali, è basata su specifiche “autorizzazioni” di competenza degli Enti Pubblici, Regioni, Province (finché ci saranno…) e Comuni, come entità amministrative, e strutture tecniche di controllo, di livello nazionale, ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale), che dipende dal MATTM (Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare), ed ARPA. Agiscono inoltre anche forze di polizia nazionale, con le loro tecniche e i loro strumenti di indagine, anche penale: il NOE (Nucleo Operativo Ecologico) dell’Arma dei Carabinieri, e il Corpo Forestale dello Stato. Tale notevole “schieramento” di forze in campo ambientale è giustificato dal fatto che purtroppo ci sono state e continuano ad esserci attività ed imprese che operano illegalmente, in buona parte sotto il controllo della malavita organizzata (la cosiddetta “ecomafia”), realizzando ingenti e illeciti guadagni, in completo spregio dei danni che arrecano all’ambiente e alla salute delle popolazioni residenti, e facendo anche sotto questo profilo (come nell’altro grande campo delinquenziale dell’evasione fiscale e contributiva), concorrenza sleale alle imprese che operano correttamente e che sono rappresentate dalle Organizzazioni di Categoria. Quindi un imprenditore di una PMI su cosa deve puntare per affermarsi in un mercato sostenibile? Sicuramente il rispetto delle leggi è di fondamentale importanza. Rispettare le leggi ed entrare a pieno titolo nel mondo degli imprenditori virtuosi richiede notevole impegno, anche di risorse e di cultura aziendale; si tratta pertanto di attività necessariamente di tipo “top-down”. Mi spiego meglio, deve essere il top management aziendale (che nel sistema imprenditoriale italiano, costituito fondamentalmente da PMI, coincide nella grande maggioranza dei casi con l’imprenditore stesso) ad adottare la convinta scelta strategica del rigoroso rispetto delle norme protezionistiche. In questo l’impresa è ormai ampiamente supportata e facilitata dal complesso di Sistemi di Gestione, norme di valenza mondiale, in primis quelle della serie

ISO (International Standard Organization) e italiane-europee, UNI EN, che, partite con quelle sulla Qualità, ISO 9001, ormai coprono praticamente tutti gli aspetti delle attività aziendali ed in particolare l’Ambiente (SGA, Sistemi di Gestione Ambientale: ISO 14001, EMAS; Produzione sostenibile: LCA, EPD, Carbon e Water, e prossima Environmental Footprint) e l’Energia (ISO 50001). L’adozione, convinta e rigorosa, di tali sistemi gestionali costituisce la base, ineludibile, non solo del rispetto delle leggi, ma, ancor prima e più, dell’organizzazione efficace ed efficiente delle aziende che vogliano operare e crescere nel mercato globale. Sotto questo profilo Assoreca ha elaborato, su delega di Confindustria Servizi Innovativi e Tecnologici cui aderisce e da cui è stata delegata allo Sviluppo Sostenibile, il “Progetto per lo Sviluppo Sostenibile: come cogliere le opportunità della Green Economy”, lanciato a RemTech 2011 e presentato in più occasioni, l’ultima a Torino il 6 giugno di quest’anno, nel Workshop di EDF-Fenice, su invito della stessa, dal titolo “Sostenibilità e gestione del rischio ambientale”. Il progetto che illustra gli strumenti gestionali prescelti, più idonei e disponibili, per attuare concretamente la green economy in qualunque tipo di azienda e le opportunità che ne derivano è integralmente pubblicato nel sito della nostra associazione. Quali sono i vantaggi per le impresa che fanno parte di associazioni di categoria? Le Associazioni imprenditoriali esercitano un ruolo fondamentale per la vita e lo sviluppo delle imprese, rappresentandole ed assistendole con grande professionalità in tutti i possibili ambiti di interesse, e la loro attività è di particolare rilievo nel panorama imprenditoriale italiano con oltre il 95% di PMI.

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s t o ria d i c op erti n a

Tali imprese, nella maggioranza dei casi gestite direttamente dall’imprenditore, con pochissimi collaboratori (quando ce ne sono…) e tempo da poter dedicare ad altro che alla produzione vera e propria, si troverebbero senz’altro in grande difficoltà se dovessero seguire per conto proprio tutte le regole, gli impegni e le scadenze che l’attività necessariamente richiede, senza un indispensabile, efficiente, efficace e affidabile supporto specialistico. Nelle Organizzazioni industriali esse trovano tutto il supporto detto e le fonti di informazioni indispensabili alla corretta gestione dell’impresa, sotto tutti i profili, compreso ovviamente quello della sostenibilità ambientale. Assoreca fa parte di Confindustria, ci può spiegare meglio la sua organizzazione? Confindustria, con sede in Roma, comprende due componenti principali: le Associazioni Territoriali e le Associazioni di Categoria. Le Associazioni Territoriali, come la citata Assolombarda, riuniscono le imprese, manifatturiere e di servizi, di ogni settore produttivo, che hanno sede sul territorio locale

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di competenza, di norma coincidente con quello della Provincia in cui risiedono. La funzione principale di questa componente è supportare le associate sotto il profilo dei rapporti con gli enti e sindacati locali, delle varie scadenze periodiche e di ogni altra necessità operativa conseguente all’attività imprenditoriale in generale. Le varie Territoriali fanno parte della Confindustria Regionale competente. Le Associazioni di Categoria invece riuniscono su base nazionale le imprese che svolgono attività settoriali dello stesso tipo che a loro volta fanno parte di Federazioni di settore; ad esempio le aziende che operano nel vasto mondo della chimica sono riunite in associazioni nazionali specifiche per il tipo di attività e queste a loro volta fanno parte di Federchimica o quelle della meccanica di Federmeccanica e così via. Il ruolo di questa componente di Confindustria consiste nell’assistenza alle associate principalmente per le tematiche che hanno a che vedere con il loro tipo di produzione, a livello nazionale (CCNL ecc.) e, tramite le Federazioni e la stessa Confindustria, a livello sovranazionale e in particolare europeo.

Assoreca, Associazione tra le Società di Consulenza e di Servizi per Ambiente, Energia, Sicurezza e Responsabilità Sociale, appartiene a questa componente dell’Organizzazione e fa parte della grande Federazione, Confindustria Servizi Innovativi e Tecnologici. Oltre al supporto originario di rappresentanza in campo sindacale, in effetti Confindustria è nata, oltre 100 anni fa, come sindacato degli imprenditori, interlocutore dei sindacati dei lavoratori, l’organizzazione e le sue componenti sono ormai un riferimento imprescindibile delle associate sotto ogni punto di vista operativo: fiscale, finanziario, legale, formativo e, più recentemente, ambientale, di sicurezza del lavoro, energetico. Queste ultime tematiche, ambiente, sicurezza ed energia, oltre ad essere le più recenti sono anche le principali connesse alla svolta verso lo “sviluppo sostenibile” delle imprese e cioè per la loro stessa sopravvivenza nel mercato globale. Da citare infine, per la sua crescente importanza, il ruolo dell’organizzazione confindustriale nello stimolo a superare il gap sempre più grande dell’industria italiana rispetto a quelle degli altri paesi più avanzati e cioè quello dimensionale, con imprese italiane piccole e generalmente piccolissime che hanno difficoltà di partecipazione al mercato globale rispetto a quelle europee, statunitensi e dei paesi in forte crescita, Cina prima di tutte. Confindustria è infatti sempre più impegnata a far crescere la dimensione delle PMI tramite aggregazione, in particolare recentemente dando vita a “Reti di Impresa”, sulla base di un apposito strumento, il Contratto


di Rete, supportato da una norma ad hoc fortemente voluta dall’Organizzazione stessa. Una delle Vice Presidenze di Confindustria è specificamente demandata a questa attività ed il Vice Presidente, Aldo Bonomi, che con passione ci si sta dedicando da anni, è anche il Presidente di un’apposita Agenzia, denominata RetImpresa, www.retimpresa.it. Il successo fin qui conseguito, ed in crescita continua, è testimoniato dalle oltre 1500 Reti costituitesi e dalla crescente accelerazione nella formazione di nuove Reti. Va detto infine che anche nel campo della green economy lo sviluppo delle “Reti Verdi” tra imprese del settore è molto stimolato: nel Progetto sopra citato di Assoreca si dà molto risalto a tale strumento ed è in corso l’avvio di una rete tra le sue associate con l’obiettivo fondamentale di poter operare all’estero, avendo a tal fine stabilito contatti in Cina. Nel citato G.E.N. di Assolombarda, infine, è stata appena costituita un’importante rete, denominata ReFIT.

Mancano pochi giorni alla manifestazione ferrarese Remtech, Assoreca parteciperà attivamente a questo importante appuntamento? Assoreca è partner di RemTech fin dalla nascita di questa eccellente iniziativa espositiva e culturale di alto livello di Ferrara Fiere. Fa parte, nella persona del suo Presidente, del Comitato di Indirizzo e contribuisce, con i numerosi altri partecipanti in rappresentanza dei vari stakeholder, alle scelte strategiche della manifestazione che sta acquisendo un ruolo sempre più importante nel settore delle remedial technologies della sostenibilità ambientale e più in generale della Green Economy, in Italia e all’estero. Ogni anno numerose aziende di Assoreca partecipano con un proprio stand alla manifestazione espositiva, siamo probabilmente l’entità associativa con il maggior numero di associati partecipanti, su stimolo dell’Associazione, trovando ampio riscontro di con-

venienza, anche per la possibilità di incontro con i propri clienti consolidati e soprattutto con possibili nuovi. Tale partecipazione ha anche acquisito una denominazione particolare, di “Isola Assorechina”, che da quest’anno verrà realizzata con la formula innovativa di un unico spazio comune, in posizione centralizzata e di buona visibilità rispetto ai padiglioni espositivi, nel quale saranno inseriti gli stand delle associate, l’uno affianco all’altro, onde sottolineare l’impegno alla comune collaborazione, sulla base dei tre “spiriti” costitutivi di Assoreca: di servizio, di gruppo e di progresso. Oltre all’attività espositiva delle singole associate, Assoreca partecipa alle iniziative scientifiche, di Convegni e Workshop, che si svolgono nel corso della manifestazione, sia tramite propria organizzazione diretta, sia tramite esponenti delle associate ai Convegni ufficiali e agli incontri organizzati da altre entità.

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ATTUALIT à

Quando i rifiuti aiutano l’ambiente: Barricalla compie 25 anni Importante tappa per il principale impianto italiano di smaltimento di rifiuti speciali che è anche un parco fotovoltaico, un laboratorio a cielo aperto e molto altro ancora… di Alessandro Bertin

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arricalla, la società che gestisce il principale impianto di smaltimento di rifiuti industriali d’Italia, festeggia quest’anno i 25 anni di vita, segnando così una tappa importante nel percorso di crescita condiviso con gli enti locali e le associazioni del territorio, sempre nel pieno rispetto dell’ambiente. L’azienda, a capitale misto pubblico e privato, fin dall'inizio della sua storia ha scelto di inserirsi nel contesto sociale e urbano "con la massima attenzione per i suoi abitanti, cercando il dialogo anche quando la sua stessa nascita, all'inizio degli anni '80, rischiava di creare forti tensioni sociali" come sottolinea Nadia Loiaconi, Presidente della Società. Inoltre, essendo stata fin dagli inizi promotrice di una proficua collaborazione con gli enti locali - in primis la Provincia di Torino - e con gli Istituti di ricerca, Barricalla ha sempre messo a disposizione i propri dati ricevendo in cambio indicazioni importanti per migliorare ulteriormente le proprie performance e per adottare le migliori tecnologie di controllo. Negli anni dunque Barricalla è diventata un vero e proprio laboratorio a cielo aperto e nel 2011 ha inaugurato il suo primo parco fotovoltaico, costruito dopo un’attenta valutazione di impatto ambientale e divenuto il fiore all’occhiello del progetto di riqualificazione dell’area.

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Quest’anno la società ha scelto di ripercorrere i 25 anni di attività attraverso una pubblicazione che racconta la sua storia grazie alle testimonianze di professionisti che, a vario titolo, ne hanno seguito le vicende. Il quadro che emerge dalle pagine del volume è quello di un’azienda che ha costruito negli anni la propria reputazione e credibilità sul profondo rigore scientifico delle procedure adottate e sul dialogo costante con il proprio territorio di riferimento, cosa che le ha consentito di superare brillantemente le tensioni derivanti dall’insediamento di una discarica in un’area che si presentava all’epoca molto degradata. Le celebrazioni per i 25 anni di Barricalla si concluderanno il prossimo 25 ottobre con un grande convegno che avrà luogo presso l’Unione Industriale di Torino sul tema dell’importanza delle sinergie fra pubblico e privato nel settore ambientale.

Il sito Il luogo in cui oggi sorge l’impianto ospitava una cava di ghiaia, poi abbandonata, da cui si era ricavato il materiale per la realizzazione dei rilevati della vicina autostrada. I lavori di scavo avevano degradato la zona e messo a rischio l’integrità della falda acquifera, privata del naturale manto di copertura e protezione

offerto dal terreno sovrastante. La costruzione di una discarica all’avanguardia per struttura e gestione permise di fornire un servizio di smaltimento indispensabile alla comunità, tutelando allo stesso tempo le risorse idriche e la salute della popolazione della zona. Operativa sin dal 1988, la discarica Barricalla non ha mai generato alcuna emergenza, divenendo anzi un punto di riferimento nella tutela ambientale. L’impianto ha una superficie di circa 150.000 metri quadrati, un volume complessivo di 1.237.000 metri cubi ed è suddiviso in quattro lotti. Di questi due sono esauriti e si è già avviata la procedura di riqualificazione dell’area. L’intera struttura della discarica è stata progettata per garantire la massima affidabilità, con altissimi standard di sicurezza passiva. I rifiuti, dopo un severo controllo nel laboratorio della discarica, eseguito su tutti i campioni in ingresso, vengono conferiti nell’invaso impermeabile adottando una coltivazione a strati. Raggiunta la capacità massima della vasca si procede alla sua sigillatura idraulica con l'impiego di materiali impermeabili quali argilla e teli in HPDE, riqualificando l’area con terreno agrario e vegetazione autoctona. All’interno e nelle immediate vicinanze dell’impianto è attiva una fitta rete di sensori che permettono un monitoraggio am-


L a società Barricalla S.p.A. nasce nel 1984 ed è a capitale misto pubblico e privato. Il capitale pubblico per il 30% è detenuto da Finpiemonte Partecipazioni S.p.A., il capitale privato (70%) è suddiviso in egual misura tra Sereco Piemonte S.p.A. e Ambienthesis S.p.a. Le tipologie più ricorrenti di rifiuti smaltiti sono rappresentate da: • fanghi da depurazione di acque • ceneri di abbattimento fumi • scorie dell’industria metallurgica • amianto • terreni da bonifiche • residui dell’industria chimica e metalmeccanica. L’impianto non smaltisce rifiuti radioattivi.

bientale integrato di suolo, acqua e aria per prevenire ogni forma di contaminazione imputabile alle attività della discarica.

L’impegno per l’ambiente Per la sua specifica attività di smaltimento di rifiuti pericolosi, Barricalla, oltre all’integrale rispetto della vigente normativa di settore, intende continuamente migliorare il sistema di gestione e monitoraggio ambientale in modo da sviluppare e possedere strumenti sempre più efficienti ed efficaci per pre-

venire e gestire i rischi, per la salvaguardia dell’ambiente e nell’ottica di uno sviluppo sostenibile. Barricalla è consapevole e particolarmente sensibile e attenta all’impatto che la sua specifica attività può produrre e per questo intende adottare e mantenere i più alti standard operativi e di controllo, a garanzia della sicurezza ambientale a breve, medio, e soprattutto, a lungo termine. A salvaguardia dell’ambiente e per un suo continuo miglioramento, Barricalla è costantemente impegnata a:

• promuovere tra tutto il personale un particolare senso ambientale mirato all’informazione e alla consapevolezza circa l'attività professionale svolta, sia per la protezione personale che dell’ambiente in generale, mantenendo un alto grado di conoscenza professionale degli addetti; • rivedere periodicamente le prestazioni ambientali del Sito al fine di verificarne i risultati raggiunti e di programmare gli obiettivi futuri nello spirito del continuo miglioramento; • definire obiettivi e programmi ambientali con particolare riguardo alle problematiche di riduzione di rifiuti, di salvaguardia ambientale e di aperta comunicazione delle attività del sito; • dotarsi di tutte le risorse necessarie per il raggiungimento degli obiettivi ambientali programmati in un’ottica generale volta alla minimizzazione degli impatti ambientali; • selezionare gli appaltatori ed i fornitori anche in considerazione delle prestazioni ambientali offerte al sito; • divulgare al pubblico, con particolare riguardo nei confronti delle istituzioni deputate alla formazione (ad esempio scuole) e delle associazioni con finalità ambientaliste, le notizie sullo stato ambientale del sito, sui programmi di miglioramento e sui risultati raggiunti.

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ATTUALIT à

lità dell’aria, dell’acqua e del suolo del territorio che la ospita, oltre alla registrazione dei principali fenomeni meteorologici (velocità e direzione del vento, quantità di piogge, etc). Infine Barricalla si pone come un laboratorio didattico presso il quale è possibile organizzare visite e percorsi di educazione ambientale.

Il parco fotovoltaico

Le misure di sicurezza Il conferimento dei rifiuti all’impianto Barricalla è soggetto ad una accurata procedura di controllo preventivo, finalizzato alla classificazione e all’omologazione dei rifiuti. Questa operazione garantisce che per ogni rifiuto conferito si abbia una preventiva e completa conoscenza. Oltre ai rigorosi controlli in ingresso si adottano tutti gli accorgimenti di carattere gestionale tesi a minimizzare l’impatto sull’ambiente. Ad esempio lo scarico dei rifiuti è effettuato in un’area appositamente adibita ed isolata dal corpo dei rifiuti in coltivazione: ciò garantisce che nessun mezzo di trasporto venga a contatto con i rifiuti stessi e possa imbrattarsi. I criteri di riempimento dell’invaso, ovvero la coltivazione, si attua in funzione delle caratteristiche meccaniche e chimiche dei rifiuti: si deve infatti assicurare una buona stabilità al corpo dei rifiuti, per evitare eccessivi assestamenti che potrebbero danneggiare i sistemi di impermeabilizzazione nonché gli impianti di estrazione del percolato. Inoltre si deve adempiere, per esplicito obbligo contenuto nell’autorizzazione all’esercizio, alla segregazione di alcuni tipi di rifiuti in aree appositamente attrezzate (ad esempio i rifiuti contenenti amianto). L’attenzione e la competenza con cui opera il personale sono

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garantite attraverso l’impiego di alti standard di sicurezza nonché l’adesione volontaria al sistema EMAS. Il sistema EMAS richiede al soggetto che decide di aderire una politica ambientale che rendiconti dell’impatto delle proprie attività e inoltre di valutare e migliorare di anno in anno le proprie prestazioni fornite. A tutti i soggetti interessati devono poi essere resi disponibili i risultati di queste prestazioni pubblicandole su un’apposita Dichiarazione Ambientale. Si tratta di uno strumento molto importante che coinvolge l’azienda a tutti i livelli per un miglioramento continuo.

Un laboratorio a cielo aperto Barricalla non è soltanto una discarica per lo smaltimento di rifiuti pericolosi, è anche una sorta di laboratorio ambientale. Fin dal 1995, infatti, ha aderito al progetto LIFE, che è lo strumento con cui la Comunità Europea finanzia e supporta progetti diretti a preservare e proteggere l’ambiente. Barricalla ha partecipato a questa iniziativa con due diverse attività: il sistema di monitoraggio integrato e il progetto FALL, svolto in collaborazione con l’Università Cà Foscari di Venezia. Grazie a queste attività Barricalla è in grado di fornire approfonditi dati analitici e statistici sulla qua-

4.680 metri quadri di superficie fotovoltaica, 2.925 moduli fotovoltaici di ultima generazione raggruppati in 325 stringhe, per una potenza complessiva di 936 kW, in grado di produrre a regime oltre 1,12 GWh all’anno, un quarto dei quali coprono l’intero fabbisogno di energia dell’azienda, mentre il rimanente è immesso nella rete ENEL. Questi in estrema sintesi i numeri del parco fotovoltaico inaugurato e realizzato da Barricalla nell’area compresa tra la Tangenziale Nord di Torino e Corso Regina Margherita. Il parco costituisce la fase finale di riqualificazione di un’area fino a poco tempo fa adibita a discarica. Sin dalla sua origine infatti, nel 1984, è stato previsto che i lotti giunti ad esaurimento fossero oggetto di attenti piani di recupero ambientale. “Oggi, rispetto a venticinque anni fa, i tempi mettono Barricalla di fronte a nuove ed importanti sfide” - ha dichiarato Nadia Loiaconi - “L’impegno nella sostenibilità ambientale è diventato uno degli indicatori principali per valutare il lavoro e l’impegno della politica nella tutela del territorio e della salute dei suoi abitanti. Lavorare per Barricalla offre l’opportunità di compiere finalmente azioni concrete con risultati tangibili giorno dopo giorno, nella consapevolezza di contribuire alla crescita e allo sviluppo nel rispetto della natura. Il nuovo parco fotovoltaico, nato con l’obiettivo di dare una nuova vita e un nuovo scopo a terreni che un tempo sarebbero stati condannati all’abbandono, va proprio in questa direzione e ci fa guardare al futuro con rinnovato ottimismo”.


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Salvaguardare la vita e la salute di tutti coloro che lavorano in cantiere e che vivono nelle aree circostanti, in fase di progettazione, di realizzazione degli interventi e a lavoro concluso, è per Longhi S.r.l una priorità. Alla base della filosofia aziendale c’è, infatti, la sicurezza di ambiente e persone, attestata dai più qualificati standard nazionali e internazionali, ma anche la qualità e l’efficienza del servizio proposto e la continua ricerca di soluzioni innovative.

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at t u a l i tà

IL RUOLO DELLE BIOMASSE NELLA STRATEGIA ENERGETICA NAZIONALE Corretta gestione del territorio e misure di sostegno delle filiere per consentire alle bioenergie di raggiungere e superare gli obiettivi imposti dall’Europa di Maeva Brunero Bronzin

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el mese di marzo con Decreto ministeriale è stata finalmente approvata la Strategia Energetica Nazionale, SEN, un documento essenziale per orientare la rotta verso il futuro energetico dell’Italia che fino a questo momento si è sviluppato senza una seria pianificazione e al di fuori di un quadro normativo di riferimento. L’approvazione del documento va quindi accolta positivamente, anche se le priorità definite riguardano in particolare il calo della dipendenza energetica dall’estero senza però indicazione sul fatto che tali obiettivi vadano raggiunti con un maggiore ricorso alle fonti rinnovabili. In questo contesto potrebbe essere importante il contributo della bioenergia, poiché tra le rinnovabili è l’unica in grado di produrre elettricità, calore e biocarburanti, in maniera continua e programmabile, potendo contare su un’ampia gamma di specifiche tecnologie e su risorse disponibili pressoché ovunque. Occorrerebbe in tal senso definire delle strategie volte a stimolare una corretta gestione dei boschi, delle aree agricole marginali, nonché delle zone rurali più o meno presidiate, ed è proprio con questo scopo che è stato attivato il Tavolo di Filiera delle Bioenergie presso il Ministero dell’Agricoltura, a cui partecipa attivamente Itabia, Associazione indipendente attiva nel settore della bioenergia, sede adatta per svilup-

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pare questo tipo di ragionamenti, trovando delle soluzioni concrete all’auspicato sviluppo della bioenergia nel pieno rispetto del concetto di sostenibilità in tutte le sue declinazioni.

Il ruolo fondamentale delle biomasse nella SEN

Il potenziale di risorse disponibili allo stato attuale permetterebbe agevolmente di superare tali obiettivi ma tale processo va supportato da idonee politiche di gestione del territorio e misure di sostegno delle filiere. Secondo verifiche attendibili, in considerazione delle disponibilità di biomasse e dello stato dell’arte delle realizzazioni impiantistiche, i dati di partenza considerati dal Piano d’Azione Nazionale sono decisamente contenuti rispetto al potenziale raggiungibile. Per esempio, nel caso della produzione di elettricità e calore dal biogas, abbiamo oggi circa mille impianti (molti in assetto cogenerativo) per la digestione anaerobica di substrati organici provenienti dal settore primario.

Ad oggi in Italia le fonti rinnovabili, grazie alla crescita sensibile degli ultimi anni, arrivano a soddisfare una buona parte dei consumi coprendo il 12% della domanda complessiva di energia primaria, pari a 188 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio (Mtep), a cui la bioenergia concorre per più di un terzo (circa 8 Mtep). A livello europeo la Direttiva 28/2009 ha fissato degli obiettivi che prevedono entro il 2020 una produzione di elettricità da biomasse (solide, biogas e bioliquidi) stimata in circa 18.800 GWh (il 19% di tutte le fonti rinnovabili), mentre per soddisfare i fabbisogni termici si dovrà arrivare a produrre calore per 5.670 ktep rispetto alle 10.456 attese dalle FER, Consumi finali di energia previsti per il 2020: 133,04 Mtep (Fonte: PAN – Piano di quindi più del 50%. Azione Nazionale per le Energie Rinnovabili. MiSE, 30 giugno 2010)


A questi corrisponde una potenza installata prossima a 800 MW elettrici ovvero una capacità produttiva che supera i 6 TWh annui di elettricità. Analogo ragionamento vale per la produzione di calore, per uso residenziale o industriale, ottenuto dalla conversione energetica delle biomasse legnose. Queste ed altre considerazioni devono essere adeguatamente pesate nella ridefinizione dei nuovi obiettivi ragionando su termini temporali di più ampio respiro e dando maggiori margini di sviluppo ad un settore dalle grandi potenzialità. Itabia- Italian Biomass Association, sostiene fin dalla sua nascita, nel 1985, l’assoluta necessità di un approccio di sistema al mondo complesso della bioenergia. Le biomasse infatti sono una risorsa rinnovabile, ma non inesauribile, quindi l’utilizzo che se ne fa deve assolutamente rispettare il potenziale produttivo disponibile nelle tante e variegate realtà del nostro Paese. Lo sviluppo delle diverse filiere connesse alla bioenergia, nel rispetto di precisi criteri di sostenibilità, ha inoltre ricadute positive sulla gestione del territorio. Si pensi ai benefici derivanti da una migliore gestione di aree agricole e forestali che oggi pagano gli effetti di opposte dinamiche, da un lato un eccessivo sfruttamento, dall’altro l’abbandono e l’incuria. Per fare alcuni esempi, il biogas consente di risolvere il problema del trattamento degli effluenti zootecnici in aree con alta densità di allevamenti; oppure il mercato dei biocombustibili solidi (legna, cippato e pellet) può agire da volano

nell’attivare interventi di manutenzione nei tanti boschi che stanno colonizzando, senza nessun tipo di governo, vaste aree agricole non più presidiate dall’uomo. Tutto questo, oltre ai risvolti ambientali, genera occupazione e reddito in un momento di grave crisi economica.

La disponibilità di biomasse in ambito nazionale La bioenergia deve fondarsi su filiere che possano fare affidamento sulle risorse del territorio. Questo vale, non solo per la corretta progettazione di singole iniziative, ma anche per la necessaria pianificazione strategica che andrà fatta per il sistema Paese. Secondo un recente studio, condotto nell’ambito del più ampio “Progetto Biomasse ENAMA” finanziato dal Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, il nostro Paese dispone di un imponente potenziale di biomasse residuali (www.progettobiomasse.it). L’indagine, svolta grazie al contributo di Itabia, ha stimato, con un dettaglio a livello provinciale, i quantitativi di residui ottenibili dal settore agricolo, forestale e dell’agroindustria, trattando quindi matrici molto eterogenee e distribuite sul territorio. Dai dati emerge un quantitativo di biomasse che nel complesso corrispondono, per il contenuto energetico, a 13 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio, un vero e proprio giacimento di energia verde! Di queste una quota importante (circa il 50%) è difficilmente recuperabile per alcune difficoltà tecniche ed eco-

nomiche determinate principalmente dalla polverizzazione aziendale e dall’inaccessibilità in bosco, aspetti comunque superabili (e in molti casi superati) attraverso una buona pianificazione e con il ricorso alle moderne tecnologie della meccanizzazione agricola e forestale oggi disponibili.

Sviluppo previsto delle bioenergie in Italia (Fonti: PAN - Piano di Azione Nazionale per le Energie Rinnovabili. MiSE, 30 giugno 2010. MiSE, Progress report art.22 Direttiva RES, dicembre 2011)

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at t u a l i tà

Intervista a Matteo Monni Vice presidente di ITABIA - Italian Biomass Association L’attuale momento di crisi sposta spesso l’attenzione sulla green economy e sulle potenzialità di questo mercato per risollevare l’economia. In questo contesto quale può essere l’importanza del settore delle biomasse nella strategia energetica italiana? L’approccio con cui va analizzato il settore delle biomasse deve consentire una visione chiara delle numerose e forti interazioni che questa risorsa stabilisce con l’ambiente, l’economia e la società di specifici contesti territoriali. La produzione di bioenergia è solo una componente, oggi molto importante, ma non l’unica visto che le biomasse possono essere impiegate anche in altri ambiti dell’industria nazionale come ad esempio il tessile, la bioedilizia, la chimica verde, ecc. Mi preme far presente che l’Italia, nonostante gli effetti della crisi in corso, continua ad essere il secondo Paese d’Europa (dopo la Germania) nel settore manifatturiero e quinto a livello mondiale. Questa posizione di prestigio non potrà durare a lungo se non si troveranno nel breve delle soluzioni strategiche e durature per orientare le produzioni nazionali verso i nuovi traguardi che vedono nel connubio tra la green economy e i prodotti d’eccellenza un punto di svolta per restare competitivi nel mercato globale. Biomasse e green economy costituiscono, dunque, un binomio dalle grandi potenzialità per affrontare con coraggio la sfida del terzo millennio con i tanti Paesi che da tempo si stanno attrezzando per occupare nicchie produttive storicamente nostre. In sintesi occorre agire con rapidità e concretezza per incoraggiare l’attivazione di iniziative che necessitano di un quadro di riferimento stabile che destini incentivi alla ricerca, alla formazione e al trasferimento di know how: in questo la politica avrà un ruolo di primaria importanza. Le politiche di Governo e la normativa vigente sono adeguate allo sviluppo della Strategia Energetica Nazionale? Volendo ragionare sul piano della bioenergia e delle differenti filiere che si devono strutturare a monte, il nostro Paese ha fatto dei grandi progressi sul piano delle norme giuridiche e incentivanti. Il percorso degli ultimi anni ha inteso indirizzare, quanto più possibile, lo sviluppo del settore verso l’uso di risorse e tecnologie in grado di assicurare elevati livelli di efficienza del sistema premiando le realizzazioni virtuose da un punto di vista ambientale. In tale ottica gli aiuti economici stimolano: l’impiego di specifiche tipologie di biomasse, il contenimento delle emissioni, l’efficientamento energetico, il dimensionamento degli impianti (privilegiando piccole taglie), ecc. Questo approccio, con differenti misure, è oggi abbastanza consolidato per assegnare incentivi alla produzione di energia elettrica, termica e biocarburanti. Tuttavia, per conseguire i traguardi del futuro, rimangono da sciogliere alcuni nodi tra cui il riordino e la semplificazione del quadro normativo eccessivamente complesso e disarticolato. Inoltre la risorsa biomassa, l’unica tra le rinnovabili che richiede un piano di approvvigionamento (raccolta, condizionamento, trasporto e stoccaggio), merita di essere inquadrata in modo trasversale trovando una sintesi tra le esigenze energetiche del Paese, la tutela e gestione del patrimonio forestale, la multifunzionalità delle aziende agricole e lo sviluppo industriale di macchine, tecnologie e componentistica. E a livello di tecnologie qual è la situazione nel nostro Paese? Anche in confronto a quanto accade nel resto d’Europa… L’Italia presenta un elevato grado di sviluppo delle tante e differenziate tecnologie che entrano a far parte delle articolate filiere della bioenergia. Queste vanno dalla meccanizzazione agricola e forestale per l’intera catena di produzione dei biocombustibili, fino agli impianti per la successiva conversione energetica.

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Il made in Italy vanta un livello di maturità che ci pone ai primi posti in Europa per efficienza, affidabilità e sicurezza. Il settore può comunque scalare altre posizioni rafforzando alcune linee produttive e occupando nuove nicchie, questo sarà tanto più facile quanto più verranno in futuro incoraggiati programmi di ricerca industriale finalizzati all’innovazione. L’industria nazionale sa perfettamente quanto questo sia importante per aprire nuove opportunità all’internazionalizzazione delle nostre produzioni. Lo sfruttamento energetico delle biomasse solleva spesso critiche da parte dell’opinione pubblica. Si tratta realmente di una fonte energetica sostenibile? La questione delle critiche è un tema molto spinoso che in Italia trova terreno fertile vista la diffusa sfiducia che il nostro popolo ha maturato nel tempo nei confronti della governance del Paese. L’opinione pubblica dovrebbe fornire informazioni precise tenendo conto che lo sviluppo della bioenergia non è il frutto di improvvisazioni estemporanee, ma si colloca in un disegno transnazionale con regole e procedure volte a fornire tutte le garanzie del caso. Ovviamente, come in tutti i settori - non ultimo quello dell’editoria – si possono verificare episodi negativi, ma questo non giustifica gli attacchi di alcuni giornalisti portati ad un intero comparto sulla scia della notizia. Le contestazioni più frequenti mosse alla realizzazione di impianti a biomasse riguardano il timore di un possibile conflitto tra uso del suolo agricolo per fini energetici piuttosto che alimentari. Si trascura però che in ambito nazionale negli ultimi 40 anni sono stati abbandonati, nell’assoluto silenzio della stampa, circa 5 milioni di ettari di superficie agricola e in gran parte di queste aree il vero rischio è il degrado! Un altro aspetto che genera confusione e quindi scalda gli animi è insito nella definizione stessa di biomassa che comprende “la componente biodegradabile dei rifiuti”. Molti comitati sorgono per scongiurare il rischio che una centrale di teleriscaldamento a biomasse o un impianto a biogas possano un giorno diventare delle discariche dove conferire “l’immondizia” di chissà quale provenienza. Questo non può avvenire se non per determinare il blocco tecnico degli impianti buttando al vento milioni di Euro di investimenti, inoltre si va pure in galera! Altro discorso riguarda la digestione anaerobica della FORSU (Frazione Organica dei Rifiuti Solidi Urbani) da cui si può ottenere biogas per produrre energia rinnovabile elettrica e termica oltre a compost di qualità (con standard precisi normati dalla legge). Questi impianti, ce ne sono circa 30 in Italia, trattano substrati a valle della raccolta differenziata e chiudono in modo virtuoso il ciclo dei rifiuti risolvendo molti problemi seri. Per concludere, ci sarebbero tante altre cose da dire - ma non è questa la sede – la grande trasformazione che le rinnovabili stanno attivando nel comparto energetico, oggi potrebbe prevedere a livello strategico un progressivo decalage degli incentivi al kWh verde e maggiori risorse per informare meglio cittadini, amministratori e mass media.


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ATTUALIT à

OLI RIGENERATI E OLI BIODEGRADABILI A CONFRONTO La recente firma del protocollo di intesa favorirà l’utilizzo degli oli ecologici senza distinzione tra oli rigenerati e biodegradabili di Bruno Vanzi

è

stato siglato il 19/06/2013 il protocollo d’intesa firmato da Anci, l’Associazione Nazionale Comuni Italiani, e Gail, Gruppo Aziende Industriali della Lubrificazione di Federchimica – Aispec, per favorire l'utilizzo di oli lubrificanti rigenerati e oli biodegradabili da parte dei Comuni e per divulgare nelle amministrazioni e presso l'opinione pubblica le informazioni sul loro minore impatto ambientale.

L’iniziativa nasce con lo scopo di favorire il riciclo, previsto come obbligatorio dal nostro ordinamento, e prioritario rispetto ad altre forme di recupero nella gerarchica della gestione dei rifiuti (Testo Unico Ambientale art.117, c1 e 216-bis, c1). Nell’applicazione di queste disposizioni, tuttavia, poca, anzi pochissima attenzione viene posta su alcuni aspetti relativi alla natura degli oli rigenerati, aspetti che, nell’ottica di un più generale obiettivo di sal-

vaguardia dell’ambiente, dovrebbero invece essere chiari per non dimenticare il potenziale inquinante degli oli rigenerati e, soprattutto, per non confondere i rigenerati con gli oli e lubrificanti biodegradabili. Una corretta informazione è quindi necessaria e auspicabile, per non porre sullo stesso piano prodotti che sono in realtà molto diversi per natura, soprattutto dal punto di vista dell’impatto sull’ambiente.

Il Piano d’Azione Nazionale sugli Acquisti Verdi nell a Pubblica Amministrazione (PAN GPP) Il Piano d’azione Nazionale sugli Acquisti Verdi (PAN GPP), promulgato con decreto interministeriale dell’11 aprile 2008, è il documento di riferimento per il Green Public Procurement in Italia, che definisce 11 settori prioritari di intervento nell’ambito dei quali sono stati o saranno elaborati Criteri Ambientali Minimi (CAM), ovvero indicazioni per realizzare acquisti verdi pubblici per una determinata categoria merceologica. I lubrificanti, per la loro intersettorialità, non rappresentano una specifica categoria di intervento, ma vengono citati nei Criteri Ambientali Minimi relativi ai veicoli adibiti al trasporto su strada, promulgati con D.M. Ambiente dell’8 maggio 2012. Nei CAM Veicoli i lubrificanti vengono prima citati come elementi utili per ridurre gli impatti ambientali in fase di utilizzo e manutenzione dei veicoli adibiti al trasporto pubblico; poi viene prevista una specifica clausola contrattuale relativa ai lubrificanti per contratti di noleggio di veicoli la cui manutenzione è a carico dell’aggiudicatario. Tale clausola distingue due categorie merceologiche: • oli motore - vengono richiesti a bassa viscosità perché questa caratteristica garantisce minori frizioni e di conseguenza consumi più bassi; • altri lubrificanti - vengono richiesti con certificazione Ecolabel il lubrificante per ingranaggi (olio di cambio) e il fluido idraulico; in alternativa viene richiesto l’uso di lubrificanti rigenerati, anche se, dal punto di vista dell’impatto ambientale è di gran lunga preferibile un lubrificante certificato a un semplice olio rigenerato che, se a base minerale, rimane molto inquinante. Questi criteri rappresentano solo un primo approccio al tema, un po’ limitato perché afferisce solo ai veicoli adibiti a trasporto pubblico, mentre il prodotto lubrificante riveste un ruolo significativo in molti settori merceologici e contesti d’uso, ad esempio, per rimanere nei settori merceologici prioritari individuati dal PAN GPP: • servizi urbani e al territorio; • edilizia; • gestione rifiuti. In tutti questi settori, in cui viene fatto un largo uso di macchinari, è possibile e significativo applicare criteri ambientali per l’acquisto di lubrificanti ecologici. (Fonte “I lubrificanti ecologici per il Green Public Procurement realizzato da Punto 3 con il sostegno di E.C.O. Italia s.r.l.)

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a) NON TOSSICO: non deve cioè essere

TOSSICITA'

Si tratta di prodotti di ultima generazione, frutto di ricerche speb) BIODEGRADABILE e NON OECD 201, cifiche volte a coniuOECD OECD 305, 107, BIOACCUMULATIVO: a seconda del tipo di TEST 202, 203, gare in un unico pro301 A, B, C, D, E, F 117, 123 biodegradabilità (immediata o intrinseca) la sostanza 210, 211 dotto caratteristiche deve biodegradarsi nell’ambiente (criterio 4) tecniche impeccabili c) REALIZZATO CON MATERIE PRIME RINNOVABILI: la decisione indica, categoria per categoria, le percentuali (idonee cioè ad asminime di tasso di carbonio derivante da materie prime rinnovabili che il prodotto deve contenere (criterio 5) sicurare la massima performance in tutte d) PERFORMANTE: deve cioè poter garantire il rispetto di criteri di prestazione tecnica minima stabiliti, le applicazioni richiea seconda del tipo di applicazione, da norme specificatamente indicate nella Decisione (criterio 6) ste, anche le più impegnative) e compaTabella 1. Criteri ecologici per i lubrificanti secondo quanto stabilito dalla Decisione 2011/381/UE tibilità ambientale. Al riguardo, va detto che i moderni processi L’olio rigenerato è quindi ecologico? Possia- Numerosi sono i vantaggi derivanti dall’utilizdi rigenerazione (in particolare il trattamento mo senz’altro affermare che il concetto che zo questa categoria di prodotti sintetici. Oltre di deasfaltazione termica e la distillazione in sta alla base della rigenerazione è “ecologi- alla sicurezza di usare un prodotto biodegrafilm sottile) consentono di ottenere prodotti co”: riutilizzando e dando nuova vita ad un dabile, che ha cioè superato con successo con le medesime caratteristiche chimico fisi- rifiuto, peraltro pericoloso, si evita il ricorso i test di biodegradabilità (indicati nella preche di quelli di prima raffinazione, ad un costo alle materie prime che come sappiamo si cedente tabella 1), e che quindi si presta ad complessivo molto competitivo con una resa stanno rapidamente e drasticamente ridu- essere utilizzato con la massima sicurezza notevole (circa il 72%). Il presupposto perché cendo. anche nelle applicazioni in ambienti particosi ottengano questi risultati, tuttavia, è che la Ecologico, tuttavia non sempre significa non larmente sensibili (ambiente marino/acquatiraccolta iniziale sia effettivamente differenzia- pericoloso per l’ambiente. co; perforazioni e lavorazioni nel sottosuolo, ta, perché non tutti gli oli in realtà possono Ciò detto, è spontaneo chiedersi allora quan- agricoltura e ambienti boschivi in generale, settori alimentare e farmaceutico…), i vanessere recuperati. Questo è particolarmen- do un olio/lubrificante può dirsi ecologico? te importante tanto da essere regolato da La risposta ufficiale ce la fornisce la Decisio- taggi economici complessivi sono sicuraprovvedimenti legislativi (a partire dal D.Lgs. ne 2011/381/UE che, estendendo il marchio mente un elemento decisivo a loro favore: 152/06 e dalle sue successive modifiche) e dal di qualità ecologica (European Ecolabel) an- • minori spese di approvvigionamento e registro europeo dei rifiuti pericolosi. stoccaggio grazie a maggiori intervalli tra che ai lubrificanti, specifica che, per essere In particolare: un cambio d’olio e il successivo (in alcuni ecologico, un olio/lubrificante deve rispettate • la raccolta degli oli esausti deve essere ef- contemporaneamente le quattro caratteristicasi utilizzo senza interruzione per tutta la durata in funzione della macchina); fettuata seguendo precise indicazioni di che riportate nella tabella 1. legge; gli oli esausti che possono essere re- Questa decisione, come premesso, ha esteso • riduzione delle spese di manutenzione dovute a rotture, interruzioni, cattivo funcuperati sono infatti solo quelli inseriti nella il marchio di qualità ambientale alla categoria degli oli, lubrificanti e grassi e, dal momento categoria 13 del registro europeo dei rifiuti; zionamento del sistema/macchina grazie • le specifiche merceologiche ed ambientali che l’EU Ecolabel rappresenta la massima gaalle notevoli qualità antinvecchiamento, minime perché il processo di rigenerazione ranzia di ecologia e sostenibilità di un prodotantiusura; sia economicamente conveniente, devono to, si può affermare che un prodotto certificato • minori costi amministrativi e incombenze essere tali per cui il valore di saponificazio- Ecolabel sia un prodotto ecologico nel senso burocratiche (bolli, fatture…). più completo del termine, anche dal punto di Oltre agli aspetti economici (che qui abbiane massimo non superi 18 mg di KOH/g Già in base a queste condizioni si compren- vista della sua composizione. Ci chiediamo mo riportato solo in parte), ricordiamo anche de come in realtà il recupero degli oli esausti quindi se l’olio rigenerato possa o meno con- l’importantissimo aspetto legato alla riduziodebba avvenire in modo accurato con garanzie siderarsi ecologico e se, tra gli oli rigenerati, ne delle emissioni di CO2. precise circa la differenziazione e le caratteristi- ce ne siano di certificati EU Ecolabel. In conclusione, possiamo dire che la rigeneraAd oggi, infatti, l’etichetta EU Ecolabel è zione è senza dubbio una pratica molto positiche necessarie che questi devono avere. La corretta raccolta degli oli esausti, tuttavia, stata attribuita ad alcuni lubrificanti e grassi, va, da incentivare e favorire, tuttavia riteniamo non scioglie il nodo critico della natura dei ri- tra cui anche molti sintetici, che presentano che ci debba essere maggiore trasparenza generati: non è una questione di poco conto e caratteristiche di biodegradabilità perfetta- nelle informazioni fornite affinché sia chiaro la poca attenzione ed informazione sul punto mente aderenti con quanto richiesto dalla che rigenerato non significa necessariamente innocuo per l’ambiente e per l’uomo. lascia perplessi e sospettosi. Decisione 381. dannoso per l’ambiente e per l’uomo (criterio 3)

TEST

ACQUATICA

BIODEGRADABILITà BIOACCUMULO

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ATTUALIT à

sesta edizione per Ravenna 2013, il primo evento green italiano realizzato dal basso Anche quest’anno un denso programma di iniziative e manifestazioni per fare i conti con l’ambiente di Gian Maria Brega*

F

are i conti con l’ambiente, la manifestazione di Ravenna dedicata alla sostenibilità ambientale e alle buone pratiche in tema di rifiuti/acqua/energia, giunge quest’anno alla sesta edizione. Prenderà il via il 25 settembre (con chiusura il 27) e sarà un evento a km zero (si svolge infatti interamente nel Centro Storico pedonale di Ravenna all'interno di 12 Sale attrezzate, in Piazza del Popolo e nelle principali vie del Centro Storico). La manifestazione è aperta a tutti e gli eventi saranno gratuiti. Tra le “chicche” e le novità di questa edizione segnaliamo: • la conferenza Labeinnovation Rifiuti: tecnologia, ricerca e nuovi saperi per la gestione dei rifiuti –a cui parteciperà il Dott. Maurizio Pernice (Dir. Gen. Ministero dell’Ambiente). Lo spunto di discussione e la domanda focale è: “no waste” è realmente il futuro? • il grande ritorno di Philippe Daverio, dopo i successi degli anni scorsi, con una conferenza sul tema “Fare i conti con l’ambiente: il vero capitale”; • la Conferenza Internazionale sugli indicatori ambientali e biologici come spie della qualità di un ecosistema: casi di studio dal mondo, rifiuti, acqua, energia… con la partecipazione dei maggiori esperti europei del settore; • la conferenza su Smart Manufacturing, Digital Start Up ed "effetto Sputnik",

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dove Fabrizio Cardinali, uno dei principali esperti europei nell'area delle nuove tecnologie per l'addestramento e il supporto alle performance online, fondatore di numerose start up eLearning in Europa, Australia e USA e relatore internazionale sullo "Sputnik Effect", presenta (introdotto da Umberto Torelli, giornalista del Corriere della Sera) le nuove sfide formative dello Smart Manufacturing e le nuove frontiere dell'addestramento on line; • la conferenza “I lavori verdi per i giovani”, anche qui Ravenna celebra il grande ritorno di Marco Gisotti, esperto di green jobs: quali sono le professioni del futuro e verso quali settori è più opportuno orientarsi?

Una panoramica su quelli che vengono definiti “lavori verdi” e che oggi interessano tutti i settori dell’economia, dalla produzione di energie all’agroalimentare e all’edilizia; • labecamp: non-conferenza sui temi “green”, vedrà la partecipazione di blogger, giornalisti, esperti ed appassionati di ecologia, tutti accomunati dalla voglia di praticare “conversazioni sostenibili”. Il labecamp 2013 vedrà l’importante partecipazione del network dei “Giornalisti Ambientali” (FIMA – Federazione Italiana Media Ambientali), che proprio in Ravenna ha tratto spunto e forza per nascere e che in Ravenna conferma una delle proprie

Cosa Trovi Conferenze Workshop

Costituiscono l’evento principale con il contributo del mondo delle università, dei ricercatori, dell’impresa, dei mass-media e del no-profit Incontri di approfondimento sviluppati in collaborazione con le principali reti esterne (associazioni, enti ed aziende)

LabMeeting

Formazione e aggiornamento in corsi a numero chiuso

Eventi

Ricerca, conoscenza, innovazione, arte e cultura intesi come terreno ideale dal

Culturali

quale far partire un nuovo modo di pensare, agire e comunicare

Modello organizzativo “Ravenna2013 - Fare i conti con l’ambiente” mantiene e rafforza il carattere OPEN già sperimentato nelle precedenti manifestazioni. Tutti gli eventi saranno gratuiti. Il progetto e la regia della manifestazione sono di labelab, network di professionisti del settore, mentre il contributo di partner e sponsor ne rendono possibile la fattibilità.


date “fisiche” nel 2013 dopo l’esordio ad Aprile in occasione del Festival del Giornalismo di Perugia. Ravenna2013 si conferma una delle manifestazioni “green” più originali del panorama italiano, con un format che miscela contenuti dall’alto valore tecnico-scientifico calati all’interno di un “palcoscenico” particolare come il centro storico della città. Efficace e originale è anche lo sviluppo "dal basso" dell'iniziativa, con il coinvolgimento di tutti gli attori (istituzioni, associazioni di categoria, imprese, ecc.) attraverso la regia di labelab, gruppo di professionisti operante nel settore dei rifiuti, dell’acqua, dell’energia con un team di 50 professionisti nazionali ed internazionali, con la collaborazione del Comune di Ravenna, di altri 30 enti patrocinatori e diverse aziende partner e sponsor. I numeri di questa edizione (oltre 60 iniziative) sono eccezionali e confermano l’elevato spessore contenutistico dell’evento:

• 6 Conferenze • 26 Workshop • 16 Labmeeting e Corsi • 12 Eventi Culturali Per il primo anno inoltre sarà ospitata l'Alta scuola di formazione sulla bonifica di siti contaminati (www. labelab.it/ravenna2013/bonifiche) corso residenziale rivolto a sviluppare concrete professionalità nel campo del recupero e riconversione delle aree dismesse e dei siti contaminati. Il prefisso “CO” caratterizza gli obiettivi di quest’edizione: • COndivisione conoscenza; • COstruire pensando; • COordinare i diversi interessi; • COnvivenza per la qualità dell'essere e del fare. *Labelab s.r.l.

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UN NUOVO PATTO TRA UOMO E AMBIENTE Un dialogo tra uomo e natura è possibile, a patto che l’uno riconosca di appartenere all’altra. Ambienthesis intende ricostruire, su basi tecnologiche e di altissima competenza, l’antico rapporto tra ambiente e società umana. L’esperienza pluri decennale acquisita nel recupero e smaltimento dei rifiuti, nella produzione di energia da fonti rinnovabili, nelle bonifiche di siti inquinati e nell’ingegneria ambientale, fanno di Ambienthesis il punto di riferimento per il settore , in Italia e all’ estero.

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th e b i g e y e

ARCHEOLOGIA INDUSTRIALE E PIANO RESIDENZIALE DI UN EX POLO CHIMICO IN OLANDA DAL 2000 AD OGGI IL PROCESSO DI BONIFICA E RIQUALIFICAZIONE DELL’ENKA, LA FABBRICA OLANDESE DELLA SETA di Donato Lucadamo*

I

l progetto qui presentato descrive i lavori di bonifica e riqualificazione che hanno interessato un ex sito industriale in Olanda. In particolare, l’area in oggetto apparteneva alla società ENKA (il cui nome deriva da Nederlandse Kunstzijdefabriek – fabbrica olandese della seta – o EN-KA, posseduta sino al 2006 da AKZO) e si trova a Ede in Olanda, a circa 40 km a est-sudest di Utrecht e circa 60 km a sud-est di Amsterdam, in prossimità del parco nazionale Veluwe (Figura 1).

ENKA produceva fibre artificiali e filati, tra cui il rayon (noto anche come seta artificiale), da cui si producevano (dopo la II guerra mondiale) anche spugne. La società ENKA fu fondata nel 1911 e il primo insediamento fu costruito ad Arnhem (una decina di km a sud-est di Ede); tuttavia, in pochi anni la richiesta crebbe al punto che lo stabilimento di Arnhem non riusciva a soddisfare tutta la domanda, per cui nel 1922 fu costruito un nuovo impianto a Ede.

A causa di problemi economico-finanziari, lo stabilimento di Ede perse progressivamente redditività, finché a metà degli anni 90 AKZO decise di trasferire la produzione in Polonia e il sito fu venduto ad una società, che da metà anni 2000 si sta occupando della bonifica del sito e del suo risviluppo.

Figura 2. Situazione pre-intervento (2005)

DESCRIZIONE DELLE PASSIVITÀ AMBIENTALI

Figura 1. Ubicazione del sito

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La consapevolezza dell’importanza dell’ambiente e della sua conservazione crebbe nel tempo, anche se già dagli anni 20 del Novecento (con la costruzione del nuovo impianto di Ede) ENKA aveva cominciato ad affrontare i problemi legati all’inquinamento delle matrici ambientali, iniziando con la gestione delle acque reflue, che furono raccolte e convogliate verso il fiume Grift.


Nel corso dei decenni furono dedicate sempre maggiori attenzioni sia alla salubrità del luogo di lavoro per i dipendenti sia alla protezione dell’ambiente. Si inserisce in quest’ottica la costruzione nel 1972 di un impianto di depurazione delle acque per rimuovere i residui della cellulosa e lo zinco. Successivamente, nei primi anni 90 del secolo scorso, fu costruito anche un impianto di evaporazione per l’abbattimento dei solfati. Malgrado le misure messe in atto per evitare la diffusione della contaminazione, i molti anni di attività del sito hanno portato ad una contaminazione sia del suolo sia delle acque sotterranee. In particolare, in seguito ad una campagna di indagine di caratterizzazione ambientale, propedeutica al progetto di risviluppo del sito, il terreno è risultato contaminato essenzialmente dai prodotti che sono stati utilizzati sul posto (zinco, oli), mentre la falda, che si trova ad una profondità media di 8 metri sotto il piano campagna, risulta contaminata, nonostante le opere di trattamento acque costruite negli anni, essenzialmente da zinco e solfati.

LE OPERE DI BONIFICA Le attività di bonifica sono iniziate nella prima metà degli anni 2000 con la preparazione del piano di bonifica, che è stato sottoposto ed approvato dall’autorità competente (provincia di Gelderland/Gheldria, che sarà poi responsabile anche della certificazione dell’avvenuta bonifica). Prima di iniziare le attività di ripristino ambientale, si è proceduto alla demolizione degli edifici ancora presenti. Tuttavia, dato il carattere storico dell’insediamento, alcuni edifici (l’ex mensa, le ciminiere e altre costruzioni minori) sono stati conservati con l’obiettivo di riutilizzarli. In totale sono stati demoliti circa 15 ettari occupati da edifici, le cui macerie saranno riutilizzate in sito come sottofondo stradale. In seguito è stata condotta una bonifica da ordigni bellici (ritenuta necessaria, a causa dell’antichità dell’insediamento e della vicinanza ad un’importante stazione ferroviaria che fu bombardata durante la II guerra mondiale), che ha consentito di eliminare i rischi correlati durante le attività di bonifica e i po-

tenziali ritardi legati alla messa in sicurezza di ordigni inesplosi. La bonifica ha interessato sia i suoli sia le acque di falda. In merito ai suoli, gli interventi sono stati differenziati in base alla tipologia di contaminante: • la porzione di suolo (circa 175.000 m3), interessata da contaminanti potenzialmente “mobili”, è stata scavata e trattata (tramite inertizzazione), in modo da prevenire l’ulteriore diffusione dei contaminanti; • la porzione di suolo (circa 200.000 m3), interessata da contaminanti “immobili”, è stata scavata e riutilizzata in sito (in particolare è stato riempito uno stagno in prossimità dell'area). Il riutilizzo in sito dei terreni interessati da contaminazione poco mobile è un processo molto utilizzato in Olanda (con il duplice scopo di ridurre per quanto possibile l’utilizzo di terreno vergine e contemporaneamente la quantità di terreno da smaltire) ed è stato eseguito secondo uno schema consolidato: il terreno più contaminato è stato posto in profondità, ricoperto poi dal terreno meno contaminato; infine, per eliminare qualunque rischio di contatto con il suolo contaminato, il terreno riutilizzato è stato ricoperto con 1 metro di sabbia pulita. Al termine delle attività di bonifica, le autorità competenti hanno provveduto alla raccolta di campioni di suolo per la verifica dell’efficacia degli interventi, e i risultati hanno confermato la conclusione delle attività anche in relazione alla destinazione d’uso prevista (residenziale). In merito alle acque di falda, esse sono interessate da una contaminazione da solfati e zinco e la bonifica, costituita da un sistema di trattamento, è tuttora in corso di esecuzione e si prevede durerà ancora diversi anni.

ASPETTI NATURALISTICI Dato che il sito è stato abbandonato per alcuni anni, l’area è stata rioccupata da flora e fauna selvatiche (come, ad esempio, lucertole, rospi – di cui sembra esista una delle più grandi popolazioni in tutti i Paesi Bassi –, pipistrelli e felci). Il progetto di riqualificazione del sito ha posto molta attenzione alla conservazione di queste specie, cercando, ove possibile, di inserire delle aree apposite per lo sviluppo

Figura 3. Un esemplare di Vanessa atalanta

di flora e fauna locali all’interno del progetto. Un esempio di questa cura per l’integrazione degli aspetti naturalistici è rappresentato dalla piantumazione di alberi, che sono andati a sostituire quelli abbattuti per la costruzione degli edifici: in tal modo è stato possibile mantenere la popolazione di pipistrelli che si era insediata sul sito e favorire il ritorno di uccelli e farfalle.

PROSPETTIVE E ACCORGIMENTI PER IL FUTURO Come detto, gli interventi di riqualificazione sul suolo sono già stati terminati, mentre le attività sulla falda dureranno ancora qualche anno. Al termine delle attività, le autorità provvederanno ad un controllo della qualità delle acque e, in caso di rispetto degli standard normativi, permetteranno una conclusione positiva del procedimento. Sebbene le opere di bonifica messe in atto garantiscano un’elevata protezione dell’ambiente e della popolazione, sono stati comunque adottati alcuni ulteriori accorgimenti per evidenziare il passaggio tra terreno pulito e terreno contaminato, in modo da ridurre il più possibile il contatto (anche involontario) dei residenti con il terreno contaminato, che si trova al di sotto di 1 m di profondità: • utilizzo di terreno pulito di riempimento di colore diverso dal sottostante; • utilizzo di un telo che demarchi chiaramente il passaggio al terreno contaminato.

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th e b i g e y e

• • • • •

linee interrate; archeologia; qualità dell’aria; aspetti di salute e sicurezza; esplosivi.

Verifica dei costi della bonifica

Al termine dell’operazione di cui al punto precedente, è stato possibile creare una “visualizzazione” dei costi, legati agli interventi di bonifica (Figura 4). Questo strumento è risultato poi fondamentale per la progettazione del piano di risviluppo dell’area. Gestione amianto e demolizioni

Figura 4. Visualizzazione schematica dei costi della bonifica (costi espressi in €/m3)

Questa situazione pone inevitabilmente dei vincoli all’utilizzo delle aree e del terreno; infatti, in queste zone non potranno essere piantati alberi con apparati radicali che penetrino oltre il metro di profondità (al fine di evitare assorbimento da parte delle piante o miscelazione di strati diversi attraverso le radici) e, nel caso in futuro fosse necessario eseguire scavi a profondità maggiori di 1 m, dovranno essere contattate le autorità locali per la corretta gestione del terreno contaminato. In ogni caso, il rispetto dei vincoli sopra esposti permetterà una piena fruizione dell’area, inclusi il mantenimento di orti o l’utilizzo di tali spazi a scopo ricreativo.

ATTIVITÀ SVOLTE Nell’ambito del progetto, MWH è stata chiamata a svolgere le seguenti attività: • studio di fattibilità; • verifica dei costi della bonifica; • gestione amianto e demolizioni; • indagini ambientali; • piano di sviluppo; • ingegneria civile. Studio di fattibilità

Obiettivo dello studio di fattibilità è stato quello di determinare i rischi e i costi, associati all’operazione immobiliare, attraverso la raccolta di informazioni sui seguenti aspetti: • terreni e acque di falda; • flora e fauna; • amianto;

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Al termine delle fasi preliminari (studio di fattibilità e determinazione dei costi della bonifica), sono iniziate le attività civili, che hanno comportato la demolizione della maggior parte degli edifici presenti (come anticipato, sono stati demoliti circa 15 ha di edifici) e la rimozione dell’amianto. Nell’ambito di questi interventi MWH si è occupata degli aspetti legati a permessi e licenze, ricerca e gestione dei fornitori e supervisione alle attività di campo.

Figura 5. Piano di risviluppo del sito

Indagini di caratterizzazione

Data la complessità della situazione del sito e gli obiettivi, posti dal progetto di risviluppo, è stato necessario condurre diverse tipologie di indagini, che hanno permesso di investigare aspetti diversi: • indagini ambientali su suoli, acque e aria per la caratterizzazione dello stato di contaminazione delle diverse matrici ambientali; • indagini ecologiche su flora e fauna, al fine di integrare nella maniera più armonica possibile, la “ricolonizzazione” da parte di piante e animali nell’ambito del progetto urbanistico; • indagini archeologiche e bonifica di ordigni bellici, al fine di evidenziare quanto prima la presenza di possibili criticità ed eliminare possibili cause di ritardi e rallentamenti nei lavori. Nell’ambito delle attività sopra descritte, MWH si è occupata degli aspetti legati a permessi e licenze, ha svolto la supervisione delle attività di campo e, attraverso i risultati delle indagini descritte, ha fornito consulenza nella progettazione della bonifica. Nell’ambito, poi, della sostenibilità dell’intervento, sono state svolte apposite indagini

Figura 6. Le prime abitazioni completate

anche in relazione agli aspetti geotermici, al fine di verificare l’applicabilità della tecnologia “Aquifer Thermal Energy Storage (ATES)”, capacità di immagazzinamento dell’energia termica da parte degli acquiferi. Piano di sviluppo

Al termine delle attività di indagine è stato possibile determinare compiutamente il piano di sviluppo del sito, che comprende diverse aree di sviluppo attorno ad un’area centrale e un’area a verde (Figura 5). Ingegneria civile

Al termine di tutte le fasi preliminari e di indagine, sono iniziati i lavori di costruzione, per i quali MWH si è occupata di: gestione delle acque, progettazione del sistema fognario, redazione delle specifiche e dei disegni costruttivi, consulenza geotecnica e supervisione delle attività. Alla fine del 2012 risultava completato il primo blocco di abitazioni (Figura 6). *MWH S.p.A.


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REPORT

il punto sullo stato di attuazione delle bonifiche in Italia Evoluzione normativa, stato di avanzamento delle attività e impegno economico: una panoramica aggiornata sugli interventi di bonifica grazie ai dati forniti dall’ISPRA di Laura D’Aprile, Mariaconcetta Giunta e Matteo Salomone*

L

a gestione dei siti contaminati rappresenta uno dei maggiori problemi ambientali per i Paesi europei. La contaminazione del suolo derivante da attività industriali, gestione di rifiuti, attività minerarie, perdite da serbatoi e linee di trasporto degli idrocarburi è uno dei principali fattori di pressione ambientale. La presenza di sostanze potenzialmente pericolose nel suolo, sottosuolo, nei sedimenti e nelle acque sotterranee può portare a effetti negativi sulla salute dell’uomo e sugli ecosistemi. La rilevanza del problema a livello europeo si è concretizzata prima nella Strategia tematica sul suolo (Soil thematic strategy) e poi in una proposta di direttiva europea sul suolo (Soil Framework Directive) che, ad oggi, non ha trovato una base di consenso tra gli Stati Membri. In Italia, la legge n. 349 del 1986 (disciplina delle aree a elevato rischio di crisi ambientale) è stata la prima disposizione a prevedere appositi strumenti amministrativi e di finanziamento per il risanamento ambientale e quindi per la bonifica. Successivamente sono stati adottati, per fronteggiare le situazioni di emergenza che si erano determinate nello smaltimento di rifiuti industriali ed urbani, due decreti legge, convertiti dalle leggi n. 441 del 29 ottobre 1987 e n. 475 dell'8 novembre 1988. In particolare, l’art. 5 della legge 441/87 e l’art. 9 ter della

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legge 475/88 disciplinavano l’individuazione e il finanziamento degli interventi di bonifica dei siti contaminati, affidando la redazione e approvazione di appositi piani regionali. Non erano però disciplinati i criteri per la redazione di tali piani. Il DM n. 121 del 16 maggio 1989 fissò per la prima volta criteri e linee guida per l’elaborazione e la predisposizione dei piani di bonifica, nonché le modalità di finanziamento degli interventi. A seguito dell’emanazione di tale DM sono state emanate anche alcune leggi regionali per la disciplina degli interventi di bonifica. La prima normativa organica nazionale in tema di siti contaminati è il DM 471/99, regolamento attuativo dell’art.17 del decreto legislativo n. 22 del 1997 (“Decreto Ronchi”). Il “decreto Ronchi” stabiliva già una prima definizione di sito contaminato come sito in cui “le concentrazioni dei contaminanti superano i valori limite”. La prima normativa italiana sui siti contaminati era quindi fondata sull’applicazione di criteri di tipo tabellare in cui la verifica dello stato di contaminazione discende dal confronto con valori limite per il suolo (per le destinazioni d’uso industriale/commerciale e verde/residenziale) e per le acque sotterranee (uso idropotabile). Con l’entrata in vigore del D.Lgs. 152/06 le procedure tecniche per la gestione dei siti contaminati sono state ulteriormente sviluppate ed è

stata introdotta l’applicazione estensiva dell’analisi di rischio sanitario-ambientale per l’individuazione di obiettivi di bonifica “sito-specifici”, secondo un approccio di tipo “fit-for-use”, largamente applicato in ambito internazionale, con l’obiettivo di incentivare l’esecuzione degli interventi di bonifica. In particolare, ai sensi del suddetto decreto legislativo, la definizione di sito contaminato e la conseguente necessità di eventuali interventi sono subordinate al superamento delle Concentrazioni Soglia di Rischio (CSR), cioè obiettivi di bonifica determinati mediante l’applicazione di un’analisi di rischio sito specifica, condotta secondo l’approccio stabilito dalla metodologia RBCA (Risk Based Corrective Action) dell’American Society for Testing and Materials. I valori tabellari definiti dal DM 471/99 sono ripresi dal D.Lgs. 152/06, con una sola modifica inerente l’innalzamento del valore limite per i PCB (PoliCloroBifenili) per l’uso del suolo residenziale, come valori di screening, Concentrazioni soglia di contaminazione (CSC), al superamento dei quali il sito può essere considerato potenzialmente contaminato. Il D.Lgs. 152/06 ha subito numerosi aggiornamenti e integrazioni. Negli ultimi dodici mesi della XVI Legislatura molti sono stati gli interventi normativi in tema di bonifiche, mirati non tanto a stravolgere l’assetto nor-


Tema

Riferimento Normativo

Ambito progettuale

Progettazione per fasi

• Legge 22 dicembre 2011 (art.40) • Legge 4 aprile 2012, n. 35 (art.24)

AdR, MISO/bonifica

Semplificazioni Manutenzione e messa in sicurezza impianti Reindustrializzazione

• Legge 22 dicembre 2011 (art.40) • Legge 4 aprile 2012, n. 35 (art.57) MISO/AdR • Legge 7 agosto 2012 n.134 (artt.27,36) • Legge 22 dicembre 2011 (art.40) • Legge 4 aprile 2012, n. 35 (art.57)

MISO/AdR

matrici di riporto

• Legge 24 marzo 2012, n. 28 (art.3) • DM 161/12

AdR

Tecnologie innovative

• Legge 4 aprile 2012, n. 35 (art.24),

Bonifica, AdR

Sedimenti

• Legge 24 marzo 2012 n.27 (art.48)

Siti Militari

• Legge 7 agosto 2012 n.134 (art.35)

Terre e rocce da scavo

• DM 161/12

Estensione MISO Estensione AdR

AdR/Bonifica in cassa di colmata Caratterizzazione, AdR Caratterizzazione, AdR, MISO/bonifica

Tabella 1. Quadro sintetico dei principali aggiornamenti normativi in tema di siti contaminati

mativo, quanto a chiarire e rendere più “flessibile” quello vigente. Nella tabella 1 viene fornito un quadro sintetico dei principali provvedimenti emanati e dell’ambito progettuale di intervento degli stessi (caratterizzazione, analisi di rischio, Messa in Sicurezza Operativa, Bonifica).

I Siti di Interesse Nazionale (SIN) Ai sensi degli Artt. 17 e 18 del D.Lgs. 5 febbraio 1997 n. 22 (“Decreto Ronchi”), il Ministero dell’Ambiente ha individuato, i Siti di Interesse Nazionale in base alla lista delle aree ad elevato rischio di crisi ambientale di cui alle Leggi 305/89 e 195/91. I criteri per l’individuazione di tali siti sono stati definiti prima dall’art.15, comma 1 del DM 471/99 “Regolamento recante criteri, procedure e modalità per la messa in sicurezza, la bonifica e il ripristino ambientale dei siti inquinati” (Art. 15, comma 1) e poi dall’art. 252 del D.Lgs. 152/06 (artt.1 e 2). L’art. 36-bis del D.L. 83/2012 ha introdotto una serie di disposizioni in materia di siti inquinati di interesse nazionale (SIN) volte, sia a chiarire i criteri di individuazione di tali siti sia a modificare l'elenco dei siti (57 alla data di emanazione del provvedimento). In particolare, tra i principi e criteri direttivi da seguire per l’individuazione dei SIN, è stato introdotto un nuovo criterio che tiene conto dell’esistenza, attualmente o in passato, di attività di raffinerie, impianti chimici integrati, acciaierie. Sono inoltre individuati quali siti di interesse nazionale, ai fini della bonifica, i siti interessati da attività produttive ed estrattive di amianto. I commi 3 e 4 prevedono rispettivamente l’emanazione di un decreto del Ministro dell'ambiente, sentite le regioni, finalizzato alla ricognizione dei siti classificati di interesse nazionale e la possibilità di ridefinizione del perimetro dei SIN. Con il DM 11 gennaio 2013, attuativo dell’art. 36bis del D.L. 83/2012, sono stati trasferiti alle competenze regionali 18 dei 57 Figura 1. Ubicazione dei siti di interesse nazionale così come aggiornata ai sensi del DM 11 gennaio 2013, con i riferimenti relativi ai decreti di perimetrazione (fonte MATTM, 2013)

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REPORT

Figura 2. Contributi alla contaminazione dei suoli suddivisi per tipologia di fonte (dato relativo ai Siti di Interesse Nazionale). Fonte ISPRA, 2012

siti classificati come SIN che, non soddisfano i requisiti previsti dallo stesso decreto (“insistenza, attuale o passata, di attività di raffinerie, di impianti chimici integrati o di acciaierie” e la “presenza di attività produttive ed estrattive di amianto”). Pertanto, ad oggi, i SIN sono complessivamente 39.

L’anagrafe dei siti oggetto di bonifica L’art. 251 del D.Lgs. 152/06 “Censimento ed anagrafe dei siti da bonificare”, (come già il DM 471/99 aveva fatto), stabilisce che le Regioni e le Province autonome, sulla base dei criteri definiti dall’APAT (oggi ISPRA), predispongano l’anagrafe dei siti oggetto di procedimento di bonifica, la quale deve contenere l’elenco dei siti sottoposti a intervento di bonifica e ripristino ambientale nonché degli interventi realizzati nei siti medesimi; l’individuazione dei soggetti cui compete la bonifica e gli enti pubblici di cui la Regione intende avvalersi, in caso di inadempienza dei soggetti obbligati. Lo stesso articolo stabilisce inoltre che “per garantire l’efficacia della raccolta e del trasferimento dei dati e delle informazioni, l’Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici (APAT) definisce, in collaborazione con le regioni e le agenzie regionali per la protezione dell’ambiente, i contenuti e la struttura dei dati essenziali dell’anagrafe, nonché le modalità della loro trasposizione in sistemi informativi collegati alla rete del Sistema informativo nazionale dell’ambiente (SINA)” (comma 3). Ne consegue che ISPRA raccoglie i dati relativi ai siti oggetto di procedimento di bonifica presenti nelle anagrafi regionali, ove istituite o nelle banche dati disponibili e pubblica, all’in-

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terno dell’Annuario dei Dati Ambientali [1], le informazioni relative a tali siti, unitamente ai dati aggregati disponibili per i 39 Siti di interesse nazionale. In merito ai procedimenti relativi ai Siti di Interesse Nazionale, è stato possibile fornire informazioni, sulle attività che originano la contaminazione e sulla tipologia di contaminanti presenti nel suolo, nelle acque sotterranee e nelle acque superficiali. Dall’elaborazione dei dati pervenuti dalle regioni, in riferimento alle attività economiche che danno origine alla contaminazione di suolo e acque sotterranee, si evince una netta prevalenza delle attività industriali/commerciali e di quelle connesse alla gestione dei rifiuti, con percentuali diverse tra il Centro-Nord (dove prevalgono le attività di carattere industriale/commerciale), rispetto al Sud (dove prevalgono le attività connesse alla gestione dei rifiuti e delle discariche in particolare). Tra le attività industriali/commerciali che possono originare la contaminazione si deve segnalare la consistente percentuale ascrivibile ai punti vendita carburante che rappresentano gran parte dei siti censiti. Per quanto riguarda invece la tipologia della contaminazione, metalli pesanti e idrocarburi (alifatici, aromatici e clorurati) costituiscono le famiglie di sostanze più frequentemente rinvenute nei suoli e nelle acque sotterranee in fase di caratterizzazione. In tal senso si può affermare che i dati aggregati relativi ai 39 SIN, rappresentati nelle Figure 2 e 3, ben rispecchiano la realtà nazionale. Il quadro dello stato di avanzamento delle attività di bonifica così come desumibile dai dati forniti dalle regioni è riportato nella tabella 2. La Tabella 2 riporta i dati, aggiornati al 2013, relativi ai siti potenzialmente contaminati inseriti/inseribili in anagrafe, ai siti potenzialmente contaminati accertati, ai siti contaminati, ai siti con interventi avviati e ai siti bonificati. Occorre sottolineare che i criteri adottati dalle Regioni per l’inserimento dei siti potenzialmente contaminati, contaminati e bonificati nelle anagrafi/banche dati istituite, sono piuttosto disomogenei (ad es: alcune regioni includono nell’anagrafe le aree ricomprese nei Siti di Interesse Nazionale, altre le escludono; alcune regioni, a differenza di altre, includo-

Figura 3. Principali classi di inquinanti riscontrati nel suolo (sopra) e nelle acque superficiali e sotterranee (sotto). Dato relativo ai Siti di Interesse Nazionale. Fonte ISPRA, 2012

no nel computo le discariche abusive e gli abbandoni di rifiuti; le superfici interessate vengono indicate solo in pochissimi casi ecc.) e pertanto sussistono dei limiti nella confrontabilità dei dati. I siti potenzialmente contaminati accertati includono tutte quelle aree nelle quali sono state effettuate indagini che hanno evidenziato i superamenti dei valori di riferimento di cui al DM 471/99 e/o delle CSC di cui al D.Lgs. 152/06. I siti contaminati includono tutte le aree per le quali è stato accertato il superamento dei limiti di riferimento di cui al DM 471/99 (se il procedimento è stato avviato secondo tale normativa) o delle CSR (per procedimenti avviati secondo il D.Lgs. 152/06 o rimodulati). I siti con interventi avviati includono le aree per le quali sono stati avviati interventi di messa in sicurezza (d’emergenza, permanente, operativa, così come definite dal D.Lgs. 152/06) e/o bonifica. I siti bonificati includono i siti per i quali la Provincia ha certificato l’avvenuta bonifica e/o per i quali il procedimento si è concluso con la comunicazione del soggetto responsabile (procedure semplificate ai sensi del D.Lgs. 152/06).


Regione

Occorre evidenziare che il dato relativo alle superfici interessate dalle tipologie di siti sopra indicate è di difficile elaborazione in quanto disponibile in forma aggregata solo in casi limitatissimi e caratterizzato da una bassa percentuale di copertura. Si osserva inoltre che il dato positivo relativo al numero di siti bonificati è attribuibile in gran parte alla regione Lombardia (1300 su 3088) e alle regioni del centro-nord.

Le spese per attività di bonifica

Anagrafe

Siti

Siti

potenzialmente

potenzialmente

Siti contaminati

contaminati

contaminati

inseriti/inseribili

accertati

Siti con interventi avviati*

Siti bonificati

Piemontea

1.685

135

343

1.048

211

Valle d'Aostaa

-

17

4

9

9

Liguria

-

40

176

160

50

4.478

1.763

853

-

1.300

-

94

52

33

188

Prov. Bolzano

§

Si

-

-

272

-

114

Veneto

-

-

562

152

55

Friuli-V.G.a 1

No

684

229

-

-

94

Emilia-Romagnaa 1

No

-

225

323

343

331

Toscana

2.826

477

1.050

324

257

Umbria

120

44

64

64

12

-

156

293

198

330

No

887

621

71

798

18

Abruzzo

Si

-

252

169

122

88

Molisea 1

Si

-

-

2

3

0

Campania

2.5921

406

176

12

12

Pugliaa

643

158

198

176

4

No

-

316

6

190

3

a

Lombardia

a

Prov. Trento a1

a

a1

a1

Marche

a

Lazio

a1 a

Basilicata

a1

La ricostruzione del Sì 646 52 18 7 Calabriaa 1 quadro finanziario a1 Sì 642 45 347 0 Sicilia degli interventi di boa1 Sì 574 403 171 100 5 Sardegna nifica dei siti contaminati in Italia è forse Italia 15.131 6.027 4.837 4.097 3.088 ancor più complessa Note: dell’accertamento a Non include SIN — 1 Dato aggiornato al 2012 — * Includono siti con interventi di messa in sicurezza e/o bonifica avviati — § solo per siti contaminati dello stato di avan- Tabella 2. Siti contaminati (2013). Fonte: Elaborazione ISPRA su dati APPA/ARPA zamento dei procedimenti di bonifica. Infatti le spese relative alla 52,5%, rispetto a quelli privati, 47,5%. vole che gira intorno all’attività di bonifica dei bonifica dei siti vengono solitamente inclu- Si deve inoltre ricordare che la delibera CIPE siti contaminati e che potrebbe essere svilupse, nei bilanci regionali e nazionali, nelle voci n. 87/2012 ha approvato l'assegnazione di pato nei prossimi anni. Occorre sottolineare di spesa relative alla tutela del territorio o alla 1.060,48 milioni di euro, a valere sulle risorse che si tratta di un mercato ad alto valore tecnodifesa del suolo e non possono quindi essere del Fondo per lo sviluppo e la coesione, per il logico, basti pensare agli studi sperimentali di isolate. Un tentativo di stima delle spese soste- finanziamento degli interventi nelle regioni Ba- tecnologie di decontaminazione di suoli e acnute dal pubblico e dal privato per la bonifica silicata, Calabria, Campania, Puglia, Sardegna que sotterranee effettuati da ricercatori italiani dei SIN è stato effettuato da Beretta [2]. In par- e Sicilia, per la manutenzione straordinaria del in ambito nazionale e riconosciuti, per valore ticolare è stato verificato che nel periodo 2001- territorio, ivi inclusi interventi nel settore delle scientifico, anche in ambito internazionale e al 2012 il Ministero dell’Ambiente ha messo a di- bonifiche. Tali dati possono essere integrati con numero di brevetti italiani nel settore. sposizione, con vari provvedimenti, circa 1.887 quelli, seppur parziali, forniti da alcune regioni *ISPRA milioni di Euro per interventi di interesse pub- (Liguria, Lombardia, Veneto) e dalla Provincia blico. Nello stesso periodo sono stati approvati circa 250 progetti di iniziativa privata per un importo equivalente di circa 1.709 milioni di euro. Si tratta quindi, seppur con le dovute approssimazioni, di circa 3.596 milioni investiti, con una leggera prevalenza degli investimenti pubblici,

Autonoma di Trento, che testimoniano consistenti spese per attività di bonifica, prevalentemente coperte con finanziamenti regionali. Le cifre riportate, proiettate, con le dovute differenze di scala, sulla realtà nazionale, indicano l’esistenza di un mercato potenziale considere-

Bibliografia [1] ISPRA (2013) Annuario dei dati ambientali [2] Beretta G. P. (2013): "Lo stato delle attività di bonifica in Italia", atti di SICON 2013

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S PECIALE

La valutazione della contaminazione nei sedimenti dei torrenti di Praga Distribuzione, mobilità e biodisponibilità dei metalli pesanti nei sedimenti di piccoli corpi idrici dell’aerea urbana di Praga di Marco Race*, Ludovico Pontoni*, Massimiliano Fabbricino*, Jana Nabelkova** e Francesco Pirozzi*

La valutazione della contaminazione dei sedimenti che caratterizzano i letti dei torrenti di Praga è stata oggetto della tesi di laurea magistrale dal titolo “Assessment of heavy metals in sediments of Prague creeks” difesa dal laureando Marco Race (relatori Prof. Francesco Pirozzi, Prof. Massimiliano Fabbricino, correlatore Mgr. Jana Nabelkova, ph.d.) presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II, Facoltà di Ingegneria. La tesi ha partecipato al premio RemTech 2012 per le migliori tesi di laurea magistrale.

N

egli ultimi decenni le tematiche ambientali hanno assunto una notevole importanza, lo sviluppo di attività antropiche e i materiali prodotti con processi tecnologici moderni hanno determinato, oltre

al miglioramento della qualità della vita, un’alterazione della composizione dell'ambiente, in particolare dell’acqua, dell’aria e del suolo. Vi è stato un aumento del flusso di alcuni metalli pesanti (Heavy Metals, HMs) nella biosfera, raggiungendo talvolta concentrazioni tra le più elevate mai rilevate. Pertanto i HMs sono divenuti un fattore rilevante del problema di inquinamento ambientale. I HMs sono classificati come “elementi in traccia”, con una densità specifica superiore a 5 g/cm3. Sadler et al. [1] hanno sostenuto che in questa definizione Figura 1. Il ruolo degli elementi essenziali e non essenziali negli organism (Sadler rientrano i metalli dei primi due gruppi della et al., 1985)

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tavola periodica. Alloway [2], specifica che dovrebbero essere inclusi in questa definizione i seguenti metalli: Cd, Cr, Co, Cu, Hg, Mn, Mo, Ni, Pb, Se e Zn. Dal punto di vista tossicologico è necessario ricorrere ad un'altra classificazione che tiene conto dei possibili effetti tossici dei singoli metalli in relazione al normale ruolo biologico (Fig. 1). Una delle classificazioni, cui spesso si fa riferimento quando si parla di metalli è: • metalli essenziali (Na, Ca, K, Mg, ecc.); • tracce di metalli essenziali (Co, Cr, Cu, Fe, Ni, Mo, Zn, ecc.); • metalli non essenziali (tossici) (As, Ag, Au, Be, Cd, Cs, Hg, Pb, Sn, Sr, ecc.). I HMs in un ecosistema acquatico possono ritrovarsi nella matrice solida attraverso i processi di adsorbimento e/o di assimilazione. L'adsorbimento avviene quando i metalli presentano una forte interazione verso il particolato o i detriti organici sospesi e tendono a legarsi ad essi [3]. L'assimilazione, invece, si verifica quando gli organismi assimilano i metalli come micronutrienti essenziali. Quando gli organismi muoiono sedimentano sul fondo, la maggior parte della frazione organica viene rapidamente trasformata durante il processo di deposizione mediante degradazione biochimica e quindi solo una piccola parte degli organismi, contenente HMs, diventa parte del sedimento [3].


In seguito a questi processi, i sedimenti possono essere caratterizzati da concentrazioni estremamente elevate di inquinanti metallici e, quindi, rappresentare un potenziale pericolo dal punto di vista tossicologico per organismi autotrofi ed eterotrofi. Studiare solo la concentrazione totale di contaminanti nei sedimenti offre un quadro integrato nel tempo, capace di indicare la variazione temporale della quantità di metallo, ma non la reale disponibilità al bioaccumulo nell’organismo e di conseguenza la potenziale tossicità del sedimento studiato. Per questo è indispensabile determinare non solo la concentrazione totale delle specie metalliche nel sedimento, ma anche la frazione biodisponibile attraverso una preliminare analisi di “speciazione chimica”. Un criterio di speciazione, spesso usato per i sedimenti consiste nell’impiego di tecniche di estrazione sequenziale. Questo strumento risulta particolarmente efficace per la valutazione della potenziale mobilità dei metalli pesanti accumulati (Campanella, 2010). L’attenzione in questo studio è stata rivolta a sedimenti di piccoli corsi d’acqua dell’area urbana di Praga (capitale della Repubblica Ceca), campionati per l’intero 2011 (Fig. 2). Conoscere la provenienza dei sedimenti è indispensabile per analizzare i problemi che possono essere causati dagli affluenti; lo studio è stato condotto su sedimenti campionati su quattro torrenti (Botic, Rokytka, Uneticky e Zatisky) tutti affluenti del fiume Moldava. I torrenti Botic e Rokytka sono i più grandi affluenti di Praga del fiume Moldava e sono gravati da scarichi fognari (Combined Sewer Overflows, CSO) e scaricatori di piena (Storm Water Drains, SWDs). Nel torrente Zatissky sversano solo SWDs, invece in Uneticky confluiscono gli scarichi dell’impianto di trattamento delle acque reflue (Waste Water Treatment Plant, WWTP) provenienti dall’aeroporto di Praga. Lo studio dei sedimenti è stato effettuato al fine di poter caratterizzare le condizioni di inquinamento e per individuarne le possibili cause; inoltre, per valutare l’effettiva pericolosità, si è determinata l’eventuale mobilità degli inquinanti.

Materiali e metodi

sione modificata della procedura di BCR-tre In questo studio non è stato possibile effet- step [5]. Tale analisi è costituita da una serie tuare campionamenti profondi, poiché nei tor- di trattamenti chimici successivi, ognuno dei renti studiati lo strato di sedimento è presente quali ha una specifica capacità estrattiva riper pochi centimetri, a tal uopo il campiona- spetto al precedente, in modo tale da estrarre mento è stato effettuato manualmente, sullo dal suolo i metalli in funzione alla loro mobilistrato esistente dei sedimenti. tà. Si ottengono così le seguenti frazioni: fraPer conservare i campioni, essi sono stati zione scambiabile e acido solubile (legata ai sottoposti a congelamento a una temperatu- carbonati), frazione riducibile (legata agli osra inferiore a -20°C. Successivamente, prima sidi di ferro e manganese), frazione ossidabile delle analisi, i campioni sono stati essiccati (legata alla componente organica) e frazione in condizioni di vuoto attraverso liofilizzatore residua. Cristo Alpha. Al fine di minimizzare gli errori sistematici I campioni, in seguito, sono stati sottoposti sono state eseguite due analisi indipendenti ad analisi granulometrica. Questo, poiché, la per ciascun campione e per il bianco. concentrazione di inquinanti varia a seconda Il contenuto di umidità è stato determinato della granulometria. I sedimenti o le impuri- con essiccamento del campione in un forno tà (es. foglie), con un diametro maggiore di (105±2°C) fino a massa costante. Da questo, 0,609 millimetri sono state rimosse, così si è stata ottenuta una correzione di peso secco sono ottenute tre classi granulometriche: che è stato applicato a tutte le concentrazioni sabbia media (0,6 mm-0,2 mm), sabbia fine analitiche riportate (Pueyo M. et al. 2008). (0,2 mm-0,06 mm) e argilla-limo (<0,06 mm). I campioni sono stati trasferiti in contenitori di La stima del contenuto di sostanza organica polietilene al fine di conservarli per le analisi è stata ottenuta mediante termo-gravimetria con spettrometria ad assorbimento atomico (misurando la perdita di peso in funzione della (AAS). In questo lavoro è stato utilizzato uno temperatura), meglio conosciuto come “Loss strumento UNICAM Solaar S. E’ stato possion Ignition “(LOI) (metodologie: APHA, 1985, bile quindi effettuare atomizzazione in fiamma US-EPA, 1979). (FAAS) e elettrotermica (fornetto di grafite, Per la mineralizzazione dei sedimenti è stato GFAAS). Sono state analizzate le concentrazioapplicato il metodo EPA 3051: la temperatura ni di Cu, Cr, Ni, Pb, Mn, Zn con FAAS, invece di ciascun campione è stata innalzata a 175°C per le analisi del Cd è stato utilizzato GFAAS. in meno di 5,5 minuti ed è stata mantenuta a 175±5°C per almeno 10 minuti. Come reagenti di estrazione sono stati utilizzati 10 ml di acido nitrico (HNO3 al 67% v/v) e 1 ml perossido di idrogeno (H2O2 al 30% v/v). Il campione di sedimento mineralizzato è stato pari a 2 g. Dopo il raffreddamento la soluzione estratta è stata filtrata e diluita a 50 ml con acqua distillata. Le analisi di estrazione sequenziale sui sedimenti sono state Figura 2. Idrografia di Praga effettuate con la ver-

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S PECIALE

Per interpretare l'influenza della diversità dei sedimenti rispetto la distribuzione dei HMs nei sedimenti, è stato valutato l'indice di Pearson tra le concentrazioni dei HMs e di distribuzione granulometrica e il contenuto di sostanza organica. I valori delle concentrazioni sono stati confrontati con i limiti normativi della Repubblica Ceca, che richiede di effettuare le analisi sui sedimenti di dimensioni <20μm (Legge 23/2011) e con due parametri di riferimento americani, definiti, rispettivamente PEC (Probable Effects Concentrations) e TEC (Threshold Effects Concentrations). Le PEC indicano le concentrazioni di ogni sostanza al di sopra delle quali effetti biologici nocivi sono frequentemente o sempre attesi, invece le TEC rappresentano le concentrazioni di uno specifico contaminante al di sotto delle quali effetti negativi sugli organismi sono raramente attesi. Successivamente è stata effettuata una stima della biodisponibilità e della pericolosità dei HMs nei sedimenti con la valutazione del coefficiente di distribuzione (Kd), ottenuto dal rapporto tra la concentrazione di inquinanti nei sedimenti e quella in acqua (US EPA 402-R99-004A, 1999). Con la determinazione del Kd sono state ricavate informazioni riguardo la tendenza dei HMs a legarsi con la fase solida piuttosto che a migrare da essa [7].

Risultati e commenti Dalle analisi granulometriche si è evinto come la frazione di sabbia media prevalga sulle altre due frazioni (Fig. 3). Vi è nella quasi totalità dei sedimenti una ridotta quantità di sostanza organica (<5%). La variazione nel tempo della sostanza organica è maggiore rispetto a quella della granulometria. I risultati ottenuti dalle analisi della granulometria evidenziano una percentuale ridottissima di sedimenti con diametri <20 μm, come richiesto dalla normativa ceca. La presenza di inquinanti varia in funzione di quello che viene riversato nel corpo idrico. Nei torrenti Botic e Rokytka sversano le acque provenienti da CSOs e da SWDs, in funzione dello scarico a monte e dal punto di campionamento è stato possibile osservare che per quanto concerne la sostanza organica e per tutti HMs, ad eccezione del Pb, che l'SWD causa un aumento di carico inquinante maggiore del CSO.

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Figura 3. Caratterizzazione granulometrica

Nel torrente Uneticky l'impianto delle acque reflue dell'aeroporto (WWTP) ha un impatto significativo sulle concentrazioni di Cd. Dai risultati ottenuti dalle analisi dei HMs e della sostanza organica confrontandole con le frazioni granulometriche, il contenuto di HMs aumenta al decrescere della granulometria. Questi risultati concordano con altri studi in cui è stato dimostrato che le caratteristiche dei sedimenti mutano con la dimensione delle particelle; infatti, quando la dimensione delle particelle diminuisce, aumenta l'area superficiale specifica e di conseguenza aumenta la capacità di adsorbimento e di scambio cationico. Questo effetto è dovuto principalmente alla porosità e alla superficie delle specifiche

frazioni granulometriche dei sedimenti. Le frazioni dei grani di piccola dimensione hanno una superficie più ampia, di conseguenza, essi contengono una maggiore quantità di HMs. Le correlazioni di Paerson, per il torrente Botic, fanno registrare forti correlazioni positive tra Cr, Zn, Ni, Cd e sostanza organica, mentre Pb e Cu hanno correlazioni deboli con tutti gli elementi, ma positiva tra loro, questo potrebbe essere un elemento per poter ritenere che il Pb e il Cu abbiano una stessa origine inquinante (Fig. 4). Considerata la limitata presenza di frazione <20 μm, i valori delle concentrazioni di HMs sono stati confrontati, come detto, rispetto ai criteri americani TEC e PEC (Fig. 5).

Figura 4. Correlazioni di Pearson sugli inquinanti del fiume Botic


arrecare alcun danno al fiume Moldava dove confluiscono tutti i torrenti oggetti di questo studio. In ogni caso, al fine di garantire la veridicità di tali dati, le condizioni ambientali devono essere monitorate per un periodo di tempo più lungo e devono essere eseguite nuove ed approfondite indagini, anche in seguito alla recente alluvione di giugno 2013 che può aver alterato gli interi equilibri dei corpi idrici. Figura 5. Concentrazioni medie e confronto con Standard di Qualità Ambientale

Nel torrente Botic si registra il superamento del TEC sia per la concentrazione di Pb che per quella di Cd. Nel torrente Rokytka il superamento si verifica anche per lo Zn. Infine nel torrente Uneticky si registrano valori della concentrazione di Cd superiori al valore soglia solo a valle dell’impianto di depurazione, mentre nel torrente Zatissky le concentrazioni dei metalli analizzati risultano sempre inferiori ai valori limite. La valutazione dei rischi, effettuata utilizzando l'indice Kd, ha mostrato risultati interessanti. Secondo il coefficiente di distribuzione Kd, il Cd è il metallo più disponibile ad essere rilasciato in acqua, tuttavia anche per altri metalli l'indice Kd indica una possibilità di facile rilascio dal sedimento alla fase liquida, questo può accadere durante eventi critici (pioggia o eventi accidentali). Secondo il valore di Kd, in tutti i corpi idrici Cr e Ni mostrano una discreta disponibilità, invece Zn e Cu sono quelli che tendono a non essere rilasciati dal sedimento. Il Pb tende ad essere sempre rilasciato, tranne in Uneticky.

Per i sedimenti che registrano valori delle concentrazioni considerati pericolosi per la salute umana e l'ambiente, per studiare la biodisponibilità dei HMs sono state condotte prove di estrazione sequenziale. I risultati sul Cd rilevano dati preoccupanti, perché nella prima frazione (frazione scambiabile) ne viene rilasciata una grande quantità (Fig. 6). Per gli altri HMs è stato osservato che la maggior parte viene rilasciato in frazione ossidabile (cioè seconda frazione), come esso si riflette anche nella letteratura. [8].

Conclusioni Questo studio ha messo in evidenza la presenza di una reale possibilità di rilascio dal sedimento all'acqua dei HMs e quindi una minaccia di un effetto tossico sul biota. Dei metalli studiati il Cd è quello più disponibile, tuttavia anche per gli altri HMs, dai risultati del coefficiente Kd, si può ritenere che vi è una possibilità di facile rilascio dal sedimento alla fase liquida. Ad oggi non è stata intrapresa alcuna azione di salvaguardia, perché questa quantità di HMs (a volte in grandi concentrazioni), non sembra

*Scuola Politecnica e delle scienze di base, Università degli Studi di Napoli Federico II **Facoltà di Ingegneria Civile, Università Tecnica Ceca di Praga

Bibliografia [1] Sadler, P.J., Higham, D.P. and Nickolson, J.K. 1985. The environmental chemistry of metals with examples from studies of the speciation of cadmium. In: Irgolic, K.J. and Martel, A.E. (Eds.) Environmental Inorganic Chemistry, VCH Publishers Inc., Florida, pp. 239-271. [2] Alloway, B.J. 1995. Soil processes and the behaviour of metals. In: Alloway, B.J. (Ed.) Heavy Metals in Soils. Blackie Academic and Professional, London, pp. 38-57. [3] Alloway, B.J. (Ed.), (1990) “Heavy Metals in Soils” Blackie, Glasgow and London. [4] L. Campanella, LAB&Ambiente. LAB. Il mondo del laboratorio, Marzo 2010 [5] Rauret, G., Lopez-Sanchez, J.F., Sahuquillo, A., Rubio, R., Davidson, C.M., Ure, A.M., Quevauviller, Ph., 1999. Improvement of the BCR three step sequential extraction procedure prior to certification of new sediment and soil reference materials. Journal of Environmental Monitoring 1, 57e61. [6] Pueyo, M., Rauret, G., Luck, D., Yli-Halla, M., Muntau, H., Quevauviller, Ph., Lopez, Sanchez, J.F., 2001. Certification of the extractable contents of Cd, Cr, Cu, Ni, Pb and Zn in a freshwater sediment following a collaboratively tested and optimized three-step sequential extraction procedure. Journal of Environmental Monitoring 3, 243e250. [7] Kominkova, D. (2001). Pollution of Aquatic Ecosystems by Heavy Metals – the Kocaba and the Tocnicky Stream. PhD. thesis. Charles University, Prague [8] M. Pueyo, J. Mateu, A. Rigol, M. Vidal, J.F. Lopez-Sanchez, G. Rauret, 2007. Use of the modified BCR three-step sequential extraction procedure for the study of trace element dynamics in contaminated soils, Journal of Environmental Monitoring

Figura 6. Classificazione del contenuto di Cadmio secondo estrazione sequenziale - metodo BCR-tre step Rauret 1999

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PANORAMA AZIEN D E

Soluzioni per la pulizia sotto il segno dell’ecologia Meno rifiuti, consumi idrici ridotti e diminuzione dei costi con Reaqua, l’innovativo sistema RCM per il trattamento dei reflui delle macchine lavasciuga di Maria Beatrice Celino

L

e origini delle aziende della famiglia Raimondi risalgono alla fine dell'Ottocento quando Ippolito, bisnonno paterno degli attuali proprietari della RCM, produceva e commercializzava a Parma una gamma completa di "moderne biciclette" chiamate Cypselus. E’ proprio a partire dal 1899 infatti che la famiglia Raimondi ha iniziato a contribuire con idee e progetti alla realizzazione di macchinari e mezzi innovativi.

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RCM S.p.A., Raimondi Costruzioni Meccaniche, dal 1967, abbandona progressivamente la costruzione di motori navali e trattori, che Romeo Raimondi aveva iniziato a costruire nei primi anni venti del 900, e sviluppa l’idea di costruire macchine per spazzare bene e rapidamente vaste superfici. Partendo dalla ricerca sulle macchine proposte allora dal mercato, si concretizzò l'idea di produrre una spazzatrice economica, piccola e molto performante. Nacque così, dai figli di Romeo, Renzo, Roberto e Romolo Raimondi, la prima motoscopa RCM: il modello R 700, mutuata da esempi di fabbricazione tedesca. Molti anni sono trascorsi dalla realizzazione di quel primo modello e oggi RCM si presenta con il “marchio” cleaning solutions a cappello di tutte le sue attività a testimonianza di una visione di pulito che sia una sommatoria di azioni che rispondano realmente a criteri di sostenibilità ambientale. Per conoscere meglio questa realtà ci siamo recati presso

lo stabilimento di Casinalbo, nel modenese, dove abbiamo parlato con Raimondo, quarta generazione Raimondi e direttore Marketing, il quale ci ha raccontato come da tempo l’attività non sia più solo legata alla costruzione di macchine ma come, negli anni, si sia allargata anche a tutto ciò che sta intorno alla macchina stessa, perché prima e dopo la macchina sono molte le cose interessanti da analizzare e da studiare per poter fornire qualcosa in più di una semplice attrezzatura da lavoro. Nel campo delle lavasciuga ad esempio, Raimondo Raimondi ci racconta che “costruire buone macchine non ci bastava più e ci siamo resi conto che avremmo potuto trovare delle idee interessanti da sviluppare nel prima e nel dopo del lavoro svolto dalla macchina. Prima della macchina troviamo il detergente che viene utilizzato dalla lavasciuga: le prestazioni della macchina sono infatti fortemente dipendenti dal fatto che si utilizzi o meno la soluzione detergente giusta, inoltre tra le soluzioni detergenti ci sono quelle che hanno la capacità di essere riassorbite dall’ambiente e quindi biodegradabili e quelle che non lo sono, quindi ci siamo resi conto che c’è un mondo da scoprire” continua Raimondi. “Allo stesso modo a valle della lavasciuga si aprono altrettanti scenari interessanti, soprattutto se si guarda ai rifiuti che vengono prodotti da queste macchine e che


vengono per lo più smaltiti in modo improprio, per non dire illegale; ciò accade spesso non per dolo ma più che altro per abitudine e per analogia a come ci si comporterebbe in caso di pulizie domestiche. Le cose sono però molto diverse in questo caso perché ciò che si produce è un rifiuto speciale che va quindi smaltito secondo le modalità previste dalla normativa e con i costi che ne derivano". Partendo quindi da queste considerazioni RCM ha pensato di realizzare un sistema piccolo, semplice e poco costoso di trattamento e riciclo dell’acqua che possa essere utilizzato anche per piccole attività. “Il sistema che abbiamo ideato, ci spiega Raimondi, si chiama Reaqua, e ha come primo obiettivo quello di separare l’acqua dai fanghi permettendone il riutilizzo ad esempio nello stesso ciclo di pulizia, il secondo obiettivo invece che stiamo sviluppando è quello di arrivare ad un trattamento dell’acqua tale da permetterne lo scarico in fognatura; il perseguimento di questi obiettivi consente in ogni caso di ridurre la parte di rifiuto da smaltire, rappresentata dai fanghi”. Il sistema ideato porta dei benefici economici notevoli anche se non sempre risulta possibile ottenere tutti i vantaggi descritti, poiché è evidente che arrivare al rispetto dei limiti per lo scarico in fognatura è la soluzione più ambiziosa ma non sempre raggiungibile. Il funzionamento del sistema Reaqua è molto semplice: il refluo viene scaricato dalla lavasciuga direttamente all’interno di un contenitore dove vengono isolati materiali grossolani e oli. Il refluo passa poi in un reattore ove viene agitato e additivato con del flocculante in modo da separare le particelle solide scaricando da una parte l’acqua pulita e dall’altra i fanghi. Un ulteriore filtraggio consente di ridurre al minimo il volume dei fanghi. Reaqua, proposto in versione sia fissa che mobile per adattarsi alle diverse esigenze di lavoro, non può essere identificato come un sistema di depurazione ma piuttosto di separazione. RCM sta infatti mettendo a punto un secondo stadio, chimico o biologico, che permetta di abbattere facilmente le concentrazioni di inquinanti portandole al di sotto dei limiti per lo scarico in fognatura. Parlando della potenzialità del sistema, Raimondo Raimondi ci fa notare che Reaqua permette di trattare 250 litri di acqua in 40 minuti, vale a dire che il volume di liquido impiegato in un ciclo di pulizia dopo 40 minuti è pronto per essere riutilizzato dalla stessa macchina per continuare il lavaggio. “Questo progetto, come i tanti prototipi sviluppati negli anni dalla nostra azienda, dimostra come la ricerca e lo sviluppo siano applicabili in modo proficuo anche su macchine e attrezzature di utilizzo tanto comune da considerarle non più perfettibili. A noi Reaqua sembra una soluzione ragionevole ad un problema molto attuale ma, - conclude Raimondi - e può sembrare presuntuoso confessarlo, abbiamo soltanto il dubbio di giocare troppo d’anticipo arrivando sul mercato con delle soluzioni innovative ed efficienti quando nel settore non c’è ancora la cultura necessaria a comprendere la nostra visione delle cose”.

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PANORAMA AZIEN D E

Nuovi sviluppi per il riciclaggio delle bottiglie in PET Grazie ad un impianto innovativo Amut risolve il problema della rimozione delle etichette termoretraibili dalle bottiglie di PET di Maria Beatrice Celino

I

l riciclaggio di bottiglie di PET diventa un’opportunità economica anche quando i prezzi della materia prima sono bassi, solo se l’impianto è realizzato in base ad uno studio accurato e col fine di contenere al massimo i costi di gestione ed ottenere scaglie di PET di ottima qualità. L’esperienza maturata grazie alla realizzazione di innumerevoli impianti, ha permesso ad Amut S.p.A., società che da oltre 50 anni opera nella realizzazione di macchine ed impianti per il riciclo e la lavorazione di materie termoplastiche, di consolidare le soluzioni tecniche e tecnologiche per assicurare alla clientela non solo portata e qualità del prodotto, ma anche bassi costi di gestione dell’impianto. La qualità delle scaglie di PET prodotte con la tecnologia di riciclaggio

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AMUT è vicina al PET vergine infatti i residui di colla sono quasi assenti, il PVC e il materiale flottante sono ridotti al minimo, i residui organici sono compresi tra 0 e 70 ppm e il residuo di soda è irrilevante, come confermato dalla misurazione del pH. Tutte queste performance permettono di ottenere un materiale privo di punti neri, con un Colour b ed un Δ Colour b che lo rendono idoneo non solo per le fibre, ma per applicazioni più impegnative quali il bottle to packaging, il Bottle to Bottle e lo strapping dove il prodotto finito necessita di successiva rigradazione. Nel corso degli ultimi anni si sono verificati però numerosi cambiamenti nella qualità delle balle delle bottiglie in PET. In precedenza la presenza di materiale estraneo nel PET proveniente da raccolta differenziata si attestava intorno al 20-25% ed era rappresentato essenzialmente da tappi, etichette di carta e materiali plastici, umidità, sporco superficiale, metalli e plastiche diverse. Attualmente la percentuale di “contaminazione” nel PET destinato al riciclaggio è aumentata sino al 30-38% e questo peggioramento è dovuto all’introduzione di nuovi materiali ed accorgimenti nell’industria del packaging. Prime tra tutte troviamo le sleeve termoretraibili, le etichette tubolari in PET, OPS, PVC e OPP che vengono stampate e posizionate sul prodotto grazie al

passaggio in forni ad aria calda, a vapore o a infrarossi, rivestendo completamente il contenitore termoretraendosi sullo stesso e conferendo agli occhi del consumatore, un'immagine accattivante e di sicuro impatto visivo. Oltre alle sleeve sono sempre più numerosi i contenitori che presentano sul tappo il sigillo di garanzia realizzato anche in questo caso con sleeve termoretraibili. Un'altra fonte di contaminazione è rappresentata dagli imballaggi secondari, film plastici o cartoni con i quali vengono imballati i contenitori in PET, e dalle bottiglie di oli e sostanze tossiche. Le motivazioni che hanno portato al peggioramento della qualità del PET sono quindi da ricondurre alle seguenti motivazioni: • l’incremento nell’impiego di contenitori in PET nell’industria non alimentare; • la massiccia introduzione di sleeve, parziali o full-body, per rendere più attraenti i prodotti di consumo; • lo sviluppo tecnologico di packaging multistrato e materiali barriera; • la ridotta efficienza degli impianti di selezione e separazione dei materiali. Focalizzando il problema rappresentato dalle sleeve termoretraibili è importante notare come la presenza di tali materiali nel PET destinato a riciclaggio a livello mondiale sia mediamente del 5% ma che in alcune aree, come


Giappone, Cina e Estremo Oriente, si arrivi a percentuali anche superiori al 70%. Per questo motivo, riconosciuta la criticità rappresentata dall’impiego di queste nuove forme di packaging, Amut S.p.A. ha ideato Amut De-Labeller, l’impianto con tecnologia brevettata che permette la rimozione delle etichette termoretraibili dalle bottiglie in PET. Il funzionamento della macchina si basa sui seguenti concetti operativi: • elevata velocità di taglio; • trattamento non distruttivo che consente di mantenere integri i contenitori; • processo continuo con lunghi tempi di

residenza, caratteristica che consente appunto un’elevata efficienza nel distacco dell’etichetta garantendo altresì che non si verifichi la rottura dei colli delle bottiglie con conseguente perdita di materiale. I vantaggi nell’impiego di tale macchina sono numerosi: • alta efficienza di rimozione delle etichette (80-90%); • elevato grado di purezza delle scaglie di PET; • trattamento che non prevede il danneggiamento del collo delle bottiglie; • separazione a secco;

• possibile recupero e valorizzazione del materiale derivante dal distacco delle etichette termoretraibili; • ridotta usura delle parti meccaniche. Le tipologie di De-Labeller attualmente prodotti da AMUT sono tre: • DLB 10 (portata 1 t/h); • DLB 30 (portata 3 t/h); • DLB 60 (portata 6 t/h); la prima idonea ad essere impiegata a valle della selezione dei polimeri NIR in modo da trattare unicamente le bottiglie scartate in questa fase; DLB 30 e 60 sono invece utilizzabili per trattare tutto il flusso in ingresso all’impianto di trattamento.

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Un tetto ovunque39


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valorizzazione energetica delle biomasse mediante digestione anaerobica L’esperienza dell’impianto realizzato a Ospedaletto Lodigiano per la produzione di biogas utilizzando gli scarti di macellazione di Alessandro Massone e Giulia Sarzana*

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a situazione attuale, che vede le istituzioni convergere sulla necessità di sviluppare le attività produttive e del territorio, costituisce terreno fertile per diverse iniziative volte alla realizzazione di impianti di valorizzazione energetica di biomasse mediante digestione anaerobica. Uno dei settori che ha risposto positivamente a questa situazione è certamente quello agrozootecnico, caratterizzato dalla produzione di una notevole quantità di biomasse di diversa natura da avviare alla digestione anaerobica. Fra queste, gli scarti di produzione rappresentano una matrice di partenza particolarmente interessante con notevoli vantaggi:

Figura 1. Bio-Pulper®

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• costo di approvvigionamento delle matrici nullo; • valorizzazione e recupero energetico delle matrici prima dello smaltimento; • riduzione dei costi di smaltimento; • nessun impiego di superficie per la coltivazione di biomasse agricole; • nessun acquisto aggiuntivo di biomasse dal mercato; • applicazione concreta del concetto di sostenibilità alla produzione di energia. Le matrici di scarto utilizzabili per alimentare un impianto di produzione del biogas sono numerose; quelle più facilmente reperibili sono ad esempio le deiezioni bovine e suine, i sottoprodotti della lavorazione della carne, le deiezioni avicole, la sansa e le acque di vegetazione e i sottoprodotti dell’industria agroalimentare. Alcune di queste matrici, come le deiezioni bovine, suine e i sottoprodotti della catena di lavorazione della carne, sono ad oggi già utilizzate per la produzione di biogas, mentre le altre sono in fase di studio e hanno già fornito risultati positivi.

L’ESPERIENZA AUSTEP: INALCA S.P.A. Austep ha sviluppato, in collaborazione con INALCA S.p.a., leader italiano nel settore della lavorazione e della trasformazione delle carni, un progetto per la realizzazione di un impianto di digestione anaerobica di biomasse completo di trattamento del digestato, con l’obiettivo di ridurre in maniera decisiva i costi di smaltimento degli scarti e produrre energia elettrica e termica da utilizzarsi all’interno dello stesso stabilimento produttivo. Austep ha direttamente investito nella realizzazione chiavi in mano dell’impianto di digestione anaerobica e rimozione dell’azoto. L’impianto di proprietà Austep viene poi gestito attraverso la vendita del gas ad Inalca S.p.a. Austep ha eseguito, coordinato e gestito l’intera progettazione dell’impianto, incluse le fasi di disidratazione ed essiccamento del digestato. Descrizione generale

L’impianto realizzato viene alimentato con sottoprodotti del processo produttivo: • fanghi, • rumine, • stallatico, • sangue, • grasso. Progettato e dimensionato sulla base dei dati rilevati presso l’azienda, l’impianto è in grado di produrre 999 kW elettrici.


L’impianto è suddiviso in diverse sezioni dotate di sistema di comando, controllo e sistema di supervisione del processo: • ricezione matrici e pretrattamenti; • digestione anaerobica; • linea biogas; • separazione frazione solida e liquida del digestato; • cogenerazione; • impianto SBR per il trattamento della frazione liquida del digestato; • essiccamento della frazione solida del digestato. Le principali sezioni di trattamento

Le matrici, dopo la ricezione e i pretrattamenti dedicati, vengono inviate all’interno del BioPulper® (Figura 1), un sistema completamente automatizzato che provvede in modo automatico al dosaggio delle matrici per la creazione della ricetta ottimale. All’interno di questo trattamento le matrici subiscono un processo di macerazione ed omogeneizzazione per ottenere il mix alimentato al processo di digestione anaerobica. Il mix derivante dal BioPulper® è alimentato all’interno di due digestori anaerobici aventi volume pari a 3.000 m3 ciascuno, per la degradazione della sostanza organica e la produzione di biogas. Le caratteristiche e i dati di progetto sono riportati nella Tabella 1. Il digestore è ad alto carico, opera in continuo, ed è a singolo stadio e completamente miscelato, riscaldato per operare in mesofilia alla temperatura di 35÷38°C. Il digestato estratto dai digestori viene inviato all’interno di un digestore a freddo per il recupero di un’ulteriore aliquota di biogas ed in seguito inviato alla fase di separazione solido/liquido. Il digestore a freddo funziona anche come stoccaggio e snodo idraulico ai fini di massimizzare la flessibilità di funzionamento dell’impianto. Prima di essere inviato al motore di cogenerazione, il biogas viene purificato all’interno di una specifica sezione di trattamento costituita da uno scrubber di lavaggio bi-stadio. La presenza della torre di abbattimento garantisce la desolforazione del biogas affinché quest’ultimo possa essere avviato a combustione senza causare il deterioramento del motore cogenerativo.

Figura 2. Digestore Anaerobico e dettaglio della soletta in cemento

tà del 75-80% che viene inviata ad un silos esistente di deposito temporaneo e da qui all’impianto di essiccamento; ed una frazione liquida che viene inviata all’impianto SBR per la rimozione dell’azoto. Dalla sezione di disidratazione si ottiene una portata di digestato solido pari a circa 19 t/ giorno e una portata del digestato liquido pari a circa 75 m3/giorno. Le acque derivanti dalle operazioni di centrifuga vengono indirizzate alla vasca di equalizzazione e alla vasca SBR. Il processo SBR consente il trattamento di reflui industriali con elevata flessibilità gestionale e ridotto ingombro: l’influente viene alimentato dalla vasca di equalizzazione nella vasca di ossidazione durante il periodo programmato di carico. Entrambe le funzioni di aerazione e miscelazione o di sola miscelazione, consentono di effettuare le fasi di nitrificazione e denitrificazione per la rimozione dell’azoto eventualmente presente nelle acque alimentate; al termine del trattamento si interrompe l’aerazione e la miscelazione e avviene la sedimentazione.

Le acque esauste dello scrubber sono inviate, tramite rete fognaria, all’impianto di depurazione esistente. Prima della cogenerazione, il biogas viene inviato ad una batteria di essiccazione per raffreddamento, composta da uno scambiatore di calore e da un gruppo di raffreddamento a ciclo frigorifero (chiller). Tale sistema consente di eliminare le condense (circa 200 l/d), oltre ad ottenere un ulteriore abbattimento dell’idrogeno solforato. L’eventuale eccesso di biogas che, per diversi motivi, non potesse essere avviato alla sezione di cogenerazione sarà bruciato in un’apposita torcia di sicurezza. Il digestato in uscita dal digestore a freddo viene inviato ad una vasca di deposito temporaneo e da questa ai sistemi di separazione solido/liquido: • filtropressa esistente riposizionata nelle immediate vicinanze del locale nel quale avviene il deposito temporaneo del digestato disidratato; • centrifuga di nuova installazione. Dalla sezione di disidratazione si ottiene: una frazione solida con un contenuto di umidiDati di progetto

u.m.

Digestore 1

Digestore 2

Portata giornaliera

(t/giorno)

90

90

Volume

(m )

3.000

3.000

(giorni)

33

33

(kgST/m3 per giorno)

2,6

2,6

3 Mixer orizzontali

3 Mixer orizzontali

+ Mixer rompicrosta

+ Mixer rompicrosta

verticale

verticale

Tempo ritenzione idraulico HRT Carico volumetrico solidi totali CST

3

Sistema di miscelazione Sistema

Scambiatori esterni

Scambiatori esterni

di termostatazione

a fascio tubiero

a fascio tubiero

Realizzazione

Calcestruzzo

Calcestruzzo

Tabella 1. Caratteristiche dei digestori

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Figura 3. Torre di lavaggio

Lo scarico dell’effluente avviene con l’impiego di un sedimentatore galleggiante. Gli impianti SBR necessitano di un sistema di agitazione ed aerazione efficiente ed anti intasamento, vista la compresenza del processo di sedimentazione nel medesimo bacino. Nell’impianto vengono utilizzati i sistemi di aerazione e miscelazione di tecnologia Invent. Il sistema è composto da motore esterno, albero verticale e girante iperboloidale, la miscelazione e l’aerazione avvengono a basso numero di giri e a basso consumo energetico. L’aria viene insufflata tramite una soffiante regolata da inverter al di sotto della girante attraverso un toro di distribuzione con fori non intasabili. Le alette poste al di sotto della girante disperdono l’aria in micro bolle all’interno del reattore e trasferiscono l’ossigeno alla biomassa.

I fanghi precedentemente disidratati verranno sottoposti ad essiccamento sino all’ottenimento di un secco medio dell'80%. L’impianto prevede l’utilizzo dei fumi provenienti dal gruppo di cogenerazione precedentemente descritto mediante l’impiego di scambiatori fumi/olio che riscalderanno l'olio diatermico necessario al circuito di essiccamento. Nel caso in cui le calorie fornite dai fumi non fossero sufficienti a garantire l'essiccamento si ricorrerà alla necessaria integrazione con una caldaia a doppia rampa metano/ biogas. Tale scelta impiantistica consentirà di sfruttare al meglio il biogas prodotto dalla digestione anaerobica anche nei periodi in cui il motore dovrà essere fermato per interventi di manutenzione e l’essiccatore sarà in marcia. *Austep S.p.A.

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Riqualificazione aree dismesse e rischio sito Due interventi di recupero di ex aree industriali in un positivo confronto tra passato e futuro di Paolo Massarini*

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l recupero delle aree dismesse e la bonifica dei siti contaminati sono tematiche di crescente rilevanza e sulle quali da diversi anni si confrontano soggetti pubblici e privati. La fine dell’era industriale in Europa ha determinato l’abbandono di grandi aree produttive e delle infrastrutture a esse connesse. Negli ultimi anni però, è cresciuta anche la consapevolezza che il recupero delle aree abbandonate o degradate può rappresentare un’opportunità di sviluppo e di rinnovamento per il territorio. Di conseguenza, questi spazi sono sempre più spesso oggetto di interventi di recupero e riconversione a uso residenziale, produttivo o quali spazi culturali. Fra gli interventi più significativi a livello europeo, ricordiamo ad esempio il recupero della Gare d’Orsay a Parigi, su progetto dell’architetto Gae Aulenti - recentemente scomparsa il recupero dei Docks londinesi e la Potsdamer Platz a Berlino. Progetti di successo, che si sono potuti realizzare grazie alla capacità di generare processi virtuosi, basati sul rispetto rigoroso della normativa ambientale, su tempistiche autorizzative certe, sulla capacità di coinvolgere attivamente gli enti locali nella fase progettuale e sull’esistenza di un’imprenditoria matura e lungimirante, che ha saputo coniugare l’esigenza del profitto con la qualità della proposta urbanistico/architettonica.

Il recupero delle aree dismesse in Italia In Italia, purtroppo, i tre fattori soprarichiamati sono spesso parzialmente o totalmente

assenti. Infatti, i procedimenti amministrativi autorizzativi dei progetti non hanno tempi certi; gli enti locali raramente sono coinvolti nelle scelte progettuali e si limitano ad approvare o meno quanto proposto da altri; l’imprenditoria italiana non sempre riesce e focalizzare la propria attenzione sulla qualità del progetto presentato all’approvazione. Questo rende spesso difficile il processo di riqualificazione delle aree dismesse: un’opportunità non colta che potrebbe invece portare notevoli benefici al Paese, anche dal punto di vista occupazionale. Vediamo ora qualche numero per inquadrare meglio la portata del fenomeno. Il recupero delle aree dismesse è strettamente legato alla soluzione delle problematiche relative all’inquinamento dei siti stessi. Secondo i dati Ispra, in Italia i siti potenzialmente inquinati sono oltre 15.000, i siti contaminati oltre 4.000 e i siti già bonificati circa 3.000. Un problema peraltro destinato a crescere nei prossimi anni, dato che - a causa del perdurare della crisi economica - sono sempre di più le zone industriali e artigianali che si avviano alla chiusura. La dimensione del fenomeno fa comprendere come il problema sia particolarmente rilevante, ma c’è un altro elemento da considerare: tra i siti inquinati o potenzialmente inquinati, ben cinquantasette sono considerati siti di interesse nazionale, una cifra pari circa al 3% del territorio nazionale italiano. Il tema della riqualificazione delle aree dismesse pone tre ordini di problemi: innanzi tutto è necessario implementare anche nel nostro

Paese azioni pro-attive negli interventi di recupero (quali ad esempio caratterizzazione del sito, monitoraggio ex-post e monitoraggio dell’ambiente naturale rispetto a possibili sorgenti e bersagli di inquinamento). In secondo luogo, bisogna prendere consapevolezza della necessità di un’efficace politica di prevenzione che - articolandosi in piani territoriali, VAS e VIA - possa dare finalmente delle regole certe al settore. Infine, è necessario avviare piani di reindustrializzazione e/o riutilizzo delle aree in parallelo con i piani di bonifica in modo da avere una visione integrata del progetto sia dal punto di vista tecnico che economico e poter valutare in dettaglio le passività ambientali che un sito sottende quantificando quindi il principale elemento di criticità nello sviluppo di un piano industriale.

Due interventi di riqualificazione del gruppo Acea L’Acea è la società controllata dal Comune di Roma, che da oltre cento anni produce, distribuisce e vende energia elettrica, gestisce il ciclo integrato delle acque in molte città italiane, gestisce reti di illuminazione pubblica e da qualche anno è presente nel settore del waste to energy, del compostaggio e della produzione anaerobica di energia. L’azienda si è occupata negli anni anche di vari progetti di riqualificazione ambientale in aree ex-industriali: quelli che presentiamo qui di seguito sono proprio due esempi di questo tipo.

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L’area industriale Snia Viscosa

Situata a sud di Roma, l’area industriale di Colleferro/Paliano si sviluppa storicamente a cavallo della prima guerra mondiale, diventando a tutti gli effetti il primo polo industriale nelle immediate vicinanze della capitale. Lo sviluppo di quest’area è stato favorito dalla presenza della linea ferroviaria Roma/Napoli, dalla vicinanza di un fiume che garantiva la necessaria provvista d’acqua per le industrie e dalla favorevole situazione orografica. A partire dagli anni ’20, nell’area di Colleferro/ Paliano si sviluppa un fiorente polo chimico che - passando attraverso varie ristrutturazioni - sarà attivo sino agli anni ‘90. Parallelamente, a partire dagli anni ‘60 fiorisce l’industria degli esplosivi, della meccanica e dei cementi. All’interno dell’area industriale, nel toponimo di Castellaccio, è stato realizzato negli anni ’50 lo stabilimento della Snia Viscosa, che produceva fibre e chimica tessile. Tutta la zona, nei secondi anni ‘90, ha subito un processo di progressivo abbandono ed ora gli scheletri delle fabbriche preesistenti disegnano uno skyline desolante. All’interno di questa zona, il gruppo Acea è proprietario di un’area di circa sei ettari, dove ha realizzato nel 2008 un impianto di trattamento dei rifiuti con produzione di CDR (Combustibile Derivato da Rifiuti). L’impianto nel corso del 2008 ha ottenuto l’autorizzazione ordinaria a produrre CDR partendo da frazione secca e/o CDR grossolano addizionando una quota pari a circa il 50% di rifiuti speciali. L’impianto di Paliano è attualmente autorizzato a trattare 120.000 t/anno di rifiuti in ingres-

so, per una portata massima giornaliera di 480 t/giorno. La frazione secca viene conferita dalla società AMA e proviene dagli impianti di Rocca Cencia e Salario. I rifiuti speciali sono conferiti dal Consorzio Corepla (Consorzio Recupero PLAstica). Acea ha in programma un revamping dell’impianto per ampliarlo in modo da arrivare a trattare 180.000 t/anno di rifiuti urbani, con una produzione annua di circa 90.000 t di CSS, che sarà inviato all’impianto di termovalorizzazione di proprietà Acea sito nel comune di San Vittore del Lazio. Il processo produttivo avverrà tramite una selezione meccanica a flussi separati e un trattamento biologico aerobico in biocelle. Il progetto di revamping dell’impianto ha come obiettivo quello di aumentare la capacità di recupero e valorizzazione dell’RSU in ingresso e la valorizzazione energetica del CSS. Inoltre, questo intervento consentirà di riqualificare dal punto di vista urbanistico e architettonico l’area industriale di Castellaccio, tenendo in considerazione le caratteristiche peculiari e i vincoli esistenti su questo territorio. L’area di intervento in ampliamento rientra infatti in quota parte nella fascia di ri-

spetto del corso d’acqua denominato "fosso del Castellaccio", tutelata ai sensi dell’art. 142 del D.Lgs. 42/04. L’intervento proposto da ACEA è strutturato al fine di conseguire la conservazione dello stato dei luoghi, nell’ambito delle fasce di rispetto del corso d’acqua. Dal punto di vista paesaggistico ed ambientale, il progetto è stato studiato in moda da garantire il massimo grado di sostenibilità e valorizzazione del territorio. La Centrale Montemartini

A partire del 1870, la città di Roma vive un periodo di importante sviluppo urbanistico ed edilizio. All’interno del quartiere Ostiense – in un’area favorita anche dalla vicinanza del fiume Tevere - nasce il primo polo industriale del centro urbano, con la costruzione di industrie, magazzini, del nuovo macello pubblico e di vari altri insediamenti.

Figura 1. Assetto impiantistico

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In questo contesto, l'allora Azienda Elettrica Municipale, (ora Acea) realizza nel 1912 la Centrale Montemartini: un impianto della potenza di 7000 kW, che serve per produrre energia elettrica per alimentare la rete di illuminazione pubblica della città.

Nel 1924 la centrale viene potenziata con una turbina a vapore da 16.000 kW e nel dopoguerra vengono installati due motori diesel per una potenza totale di 23.000 kW. La centrale cessa la propria attività alla fine degli anni ‘60 e fino alla fine del secolo non viene utilizzata.

Alla fine degli anni ‘90, il Comune di Roma inizia i lavori di ristrutturazione dei Musei Capitolini, intervento che comporta la necessità di chiudere parte delle strutture. Per ovviare a questo problema, da un’intuizione congiunta di Acea e del Comune di Roma, nasce l’idea di recuperare il sito industriale della Centrale Montemartini per farne una sede provvisoria dei Musei. La fase di bonifica dell’area, propedeutica ai lavori di restauro, è stata particolarmente impegnativa, poiché durante l’analisi ambientale è emersa la presenza di vari tipi di contaminanti: ceneri pesanti, amianto, residui di caldaia, residui di coke, refrattari, olii e combustibili esausti. Successivamente alla bonifica, è stata attuata un’azione di recupero degli spazi e il vero e proprio allestimento museale. Il progetto ha saputo unire soluzioni tecnologicamente avanzate con gli elementi originali della centrale, consentendo la conservazione e il restauro delle strutture murarie e di alcuni dei macchinari, che sono stati ricollocati in situ. Accanto ai vecchi macchinari vengono oggi esposti capolavori romani risalenti all’età repubblicana, alla tarda età imperiale e dal 2005 l’ex Centrale Montemartini è diventata sede museale permanente. *Direttore Aria s.r.l. – Gruppo Acea

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La demolizione della diga di Beauregard Volate con esplosivo progettate ed eseguite ad hoc per i lavori abbassamento del corpo di una diga in Valle d’Aosta di Andrea Terziano

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l nome della diga dice già tutto: Bellavista, vallate incontaminate, natura selvaggia e panorami mozzafiato, questo è il contesto lavorativo che si presenta quando si giunge in prossimità dell’imponente diga di Beauregard, ad oggi interessata da un complesso intervento di adeguamento che prevede anche l’utilizzo di esplosivo. La diga si trova in Valgrisenche, precisamente in località Bonne, il territorio meno antropizzato e più nevoso dell'intera Valle d'Aosta, percorso dalla Dora di Valgrisenche, affluente di destra della Dora Baltea. Lo sbarramento artificiale è stato realizzato tra la fine degli anni Quaranta e i primi anni Sessanta, anche se l’interesse per

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il sito era stato dimostrato dalla SIP (Società Idroelettrica Piemonte) fin dagli anni Trenta del XX secolo. I lavori di costruzione iniziati negli anni ’50 procedono rapidamente e nel 1969 viene eseguito il collaudo, dopo aver evacuato in via definitiva cinque villaggi abitati tutto l'anno, le cui case sono state successivamente sommerse dalle acque, e due frazioni più alte, che si troveranno ad affacciarsi sulle sponde del lago: Beauregard (da cui prenderà il nome la diga). La diga per dimensioni è la seconda della Valle d’Aosta, come dimostrano i seguenti numeri che rendono giustizia a questo colosso dell’ingegneria idraulica:

• invaso di 70.000.000 mc; • quota di massimo invaso 1.770 m s.l.m.; • struttura ad arco gravità, simmetrica, doppia curvatura; • fondazioni 40 m al di sotto dell’alveo originale del torrente; • spessore massimo alla base di 45,6 m; • spessore al coronamento di 5 m, completato da una strada percorribile per tutta la lunghezza pari a 394 m. A seguito del collaudo, tuttavia, si decreta che l’invaso non dovrà mai superare la quota di 1.710 m s.l.m., riducendone la capacità a soli 6.800.000 mc. Tale scelta è dettata dalla presenza sul versante sinistro di una Deformazione Gravitativa Profonda di Versante (DGPV) che si estende fino alla quota di 3.000 m s.l.m. circa e che si muove ad una velocità compresa tra 0,2 e 1 cm/anno. Nonostante la realizzazione di importanti interventi sul versante, compreso il drenaggio, tale fenomeno non può essere in alcun modo contrastato, pertanto si possono solo prendere le contromisure per garantire l’esercizio della diga in totale sicurezza. La scelta ottimale, quindi, è stata quella di ridurre il volume di acqua nell’invaso e di conseguenza l’altezza complessiva della diga di ben 52 metri, da 1.772 m s.l.m. a 1.720 m s.l.m. I lavori di abbassamento consistono in complessi lavori di demolizione che sono iniziati il 20 ottobre del 2011 e che si prevede termineranno nel dicembre 2015. Committente dei lavori, nonché Concessionario della diga è CVA,


Compagnia Valdostana delle Acque, mentre il progetto è stato redatto dallo Studio Marcello (Ing. Claudio Marcello s.r.l.) di Milano, che sta anche eseguendo la Direzione dei Lavori. In seguito alla gara d'appalto, che prevedeva anche la valutazione del curriculum del consulente esplosivista, tenutasi nel periodo maggio-giugno 2011, l'affidamento dei lavori è avvenuto ad agosto 2011 al Consorzio Barrage Beauregard, costituito da 4 imprese: Cogeis S.p.a., Costruzioni stradali Bgf s.r.l., Ivies S.p.a. e F.lli Clusaz s.r.l. La “tabella di marcia” da seguire prevede oltre alle demolizioni molte lavorazioni che vanno dalle sistemazioni agli adeguamenti strutturali e che per ora proseguono senza intoppi. Durante i lavori l'impianto rimarrà sempre in esercizio alla quota 1.702 m s.l.m., tranne nei due mesi di realizzazione della tura e della sua rimozione. Tra le varie fasi di adeguamento della diga, quelle sicuramente più spettacolari sono le demolizioni del corpo diga mediante cariche esplosive. Tale intervento è realizzato da personale specializzato dell’Impresa COGEIS S.p.a. che si avvale della consulenza ed assitenza tecnica della Società Tecnomine, esperta in demolizioni controllate con esplosivo. In accordo con CVA e lo Studio Marcello, sono state eseguite tra dicembre 2012 e maggio 2013 delle volate di prova che hanno avuto lo scopo di verificare sul campo gli esiti degli studi effettuati in merito agli impatti che le demolizioni potevano avere sulla diga, sulle nuove strutture e sul contorno (abitazioni, inquinamento acustico, inquinamento ambientale, ecc.). Le caratteristiche di ogni singola volata sono state progettate e studiate, ci spiega Beppe Zandonella titolare della Tecnomine, “tenendo conto da una parte dell’efficienza della volata in termini di frantumazione e consumo specifico di esplosivo e dall’altra il contenimento degli effetti indesiderati delle esplosioni ossia delle vibrazioni causate dalle microcariche, dei rumori, delle sovrappressioni in aria e della proiezione dei detriti derivanti dall’esplosione”. In base agli studi condotti è stato possibile accertare che le vibrazioni causate dalle microcariche sono di molto inferiori ai limiti im-

posti per la salvaguardia dei fabbricati dalle varie normative e in particolare dalle recenti e moderne norme svizzere. In ogni caso il Capitolato Tecnico e il Foglio di Condizioni per la Costruzione, redatti rispettivamente dallo Studio Marcello e dalla Direzione Generale per le Dighe del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, impongono valori limite di tutta sicurezza alle velocità di vibrazione che dovranno essere rispettati per il corpo diga e per i versanti. Fin dalle prime volate di prova, le vibrazioni sono state misurate con otto sismografi triassiali, ubicati nella diga, sui versanti e nell’abitato di Bonne. Per quanto riguarda il rumore, ribadisce Zandonella, “non sussiste alcuna preoccupazione, in quanto è noto come sia il rumore inatteso a provocare fastidio nelle persone, cosa da escludersi nel nostro caso in quanto la popolazione presente nei dintorni viene sempre adeguatamente avvertita tramite una sirena che suona ad intervalli prefissati a partire da mezz’ora prima dello sparo. “Riguardo invece all’aumento di pressione causato dall’esplosione - continua Zandonella - i valori calcolati sono sempre stati notevolmente inferiori a qualsiasi limite riportato in bibliografia tecnica; basti pensare che ad una distanza di 10 m dal punto di esplosione siamo stati in grado di contenere i valori di sovrappressione al di sotto di quelli di rottura dei vetri, sicuramente un bel risultato”. In merito alla distanza di proiezione dei frammenti prodotti dalla volata, nella zona a ridosso dalla casa di guardia distante pochi metri si è riusciti, grazie ad un orientamento microritardato verso monte della volata, a non proiettare nessun detrito sul sottostante tetto della suddetta casa di guardia. “Le registrazioni e le osservazioni degli effetti delle volate di prova, eseguite con carica dapprima ridotta e poi progressivamente crescente, hanno confermato l’efficacia del piano di tiro e il contenimento dei disturbi quindi abbiano deciso di proseguire sulla stessa linea con le successive volate di produzione” conclude Zandonella.

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w o rk i n p r og r ess

Periodo settembre 2011-2012 ottobre-novembre 2011

Tipo lavoro sistemazione strade e accessi, opere provvisionali realizzazione della tura di monte per permettere esecuzione lavori

novembre 2011

svuotamento e svaso del bacino

Anno 2012

disgaggi e consolidamento zone instabili esecuzione opere in calcestruzzo

Anno 2012

a valle per lasciare l'accesso ai cunicoli diga anche dopo l'accumulo del materiale di demolizione

Le volate di produzione, ossia quelle di demolizione del corpo diga, sono iniziate a maggio e termineranno a novembre con cadenza settimanale per riprendere nel 2014 e proseguire fino al raggiungimento della quota di progetto. Per garantire la pubblica incolumità nelle date in cui sono previste le operazioni di sparo, oltre alla definizione di un’area interdetta al traffico pedonale e veicolare durante le volate, si è provveduto sempre ad avvertire con congruo anticipo la popolazione attraverso ordinanze del Sindaco di Valgrisenche, mentre il personale dell’Impresa esecutrice sorvegliava il transito lungo le strade e le mulattiere comunali. Riccardo Trisoldi, presidente di CVA, precisa inoltre che le volate di prova sono state propedeutiche anche per valutare i potenziali impatti delle polveri prodotte dalle esplosioni sia in aria, sia nel corpo idrico e per studiare gli eventuali accorgimenti atti a minimizzare l’impatto sull’ambiente circostante. Al fine di tutelare i proprietari dei fabbricati in prossimità della diga, CVA in accordo con il Comune di Valgrisenche, ha incaricato un professionista esterno di effettuare, nel mese di novembre 2012, delle verifiche sullo stato di consistenza di tutti i fabbricati nella frazione Bonne, sia ante volate sia post volate, anche mediante l’installazione di fessurimetri tridimensionali che consentono di monitorare nel tempo gli eventuali effetti causati dalla demolizione del corpo diga. Il materiale prodotto dall’abbassamento della diga, circa 150.000 m3 di calcestruzzo, verrà riutilizzato direttamente in cantiere, e posizionato appena a monte e a valle del-

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Anno 6 - Numero 24

la diga, andando a riempire due zone lasciate vuote dopo l’esecuzione degli scavi di imposta della diga, in modo da ricostituire il livello naturale del deposito quaternario d'alveo a parziale contrasto fra i due versanti. Il progetto completo, i cui aspetti principali sono consultabili sul sito www.beauregard.cvaspa.it, risulta molto più complesso ed articolato di quanto esposto, e prevede inoltre molte opere propedeutiche alla demolizione, già realizzate, che garantiscano gli accessi per l’ispezione e la manutenzione del corpo diga, oltre ad un canale scolmatore che consenta il controllo del livello d'invaso in automatico. Non ci resta quindi che augurare a tutti buon lavoro e seguire con attenzione questo interessantissimo e unico cantiere.

Anno 2013-2014

demolizione del corpo della diga con uso di esplosivo e sistemazione materiale di risulta sistemazione ambientale delle spalle

Anno 2015

e dei depositi di materiale, rimozione della tura e sistemazione accessi

Zoom su una vol ata tipo La volata tipo di produzione prevede una predefinita maglia di perforazioni ubicate e dirette secondo uno studio specialistico che permette il contenimento e l'orientamento del materiale prodotto dall'esplosione in modo ridurre al minimo gli effetti indesiderati. Il piano di tiro assicura che la pezzatura media del materiale di risulta sarà inferiore a 50 cm. Nella diga in testa è presente un cunicolo che ha creato non pochi problemi in fase di perforazione della prima passata da 6 metri. Per evitare di dover intubare i fori che avrebbero dovuto attraversarlo, si è studiato uno schema di perforazione con inclinazione sempre diversa fila per fila e concio per concio. Ciascuna volata “a regime” prevede: • Diametro del foro = 51 mm • Altezza ripresa = 6,0 m • Lunghezza del foro = 5,6 m • Distanza tra i fori = 1,5 m • Spalla = 2,0 m • Cubatura per foro = 18 m3 • Tipo esplosivo = Ergodyn • Tipo detonatori = Nonel • Dimensione cartuccia = 38 x 400 mm • Peso cartuccia = 0,625 kg • N. cartucce per foro = 10,5 • Quantità di esplosivo per foro = 5,563 kg • Lunghezza carica = 4,2 m • Carica istantanea = 6,563 kg • Borraggio con sabbia = 1,40 m • N. fori per volata = 84 • Quantità di esplosivo per volata = 551,25 kg • Cubatura per volata = 1.512 m3 • Consumo specifico di esplosivo = 0,365 kg/m3


IN CO

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Sicurezza sul luogo di lavoro: conoscenza e responsabilità

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2013

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Bologna 16•18 ottobre 2013

Quartiere Fieristico

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w o rk i n p r og r ess

FATTE A PEZZI L’intervento di bonifica e smontaggio di due caldaie postcombustione eseguito all’interno di un impianto in marcia, presso la centrale nord di teleriscaldamento di Brescia di Marco Martinetto

P

resso la Centrale Nord di Brescia di proprietà della A2A si sono appena conclusi i lavori di smontaggio di due caldaie eseguiti da Corbat S.p.a. L’azienda Bresciana non ha solo “giocato in casa” in questo intervento ma ha soprattutto dimostrato grande capacità operativa e tecnica nell’esecuzione di un lavoro di smontaggio all’interno di un impianto di teleriscaldamento in marcia mantenendo sempre i più elevati standard di sicurezza. Oggetto dei lavori era lo smantellamento di due caldaie di postcombustione dei fumi nominate CPC1 e CPC2 posizionate all’interno di un locale chiuso sul lato est dell’edificio della Centrale Nord. L’edificio entro cui erano ubicate le due caldaie e che doveva essere preservato durante tutti i lavori di demolizione, è costituito da una parete in cemento armato spessa 35 cm sul lato ovest e da pannelli precompressi da 10 cm di spessore sulle pareti nord, sud ed est, per una larghezza di 8,1 m e una lunghezza di 29,25 m. Il locale si eleva dalla quota inferiore di –2,5 m alla quota di +8,5 m della copertura. Ognuna delle due caldaie aveva una tipica configurazione ad U ed era interamente costituita da mattoni in refrattario rivestiti all’interno da un intonaco in cemento antiacido, resistente alle alte temperature e all’esterno da robuste lamiere di rivestimento in acciaio al carbonio. Tutta la caldaia risultava coibentata con lana di roccia protetta esternamente da lamierino zincato.

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Anno 6 - Numero 24

Per procedere allo smontaggio di questi impianti è stato eseguito dai tecnici di Corbat un rilievo di dettaglio sullo stato di consistenza per determinare le caratteristiche geometriche e costruttive dei principali elementi delle caldaie in modo da individuare la migliore sequenza di smontaggio. Le parti principali che costituiscono la caldaia sono le seguenti: • una camera di combustione verticale; • un tunnel di collegamento e di trasferimento dei fumi fra la camera di combustione e la colonna di scambio termico posizionato nel piano interrato a quota -2,5 m; • una colonna di scambio termico percorsa dai fumi dal basso verso l’alto ove al suo interno sono collocati due banchi vaporizzatori costituiti da tubi lisci e da un banco economizzatore costituito da 72 tubi alettati. L’esame della documentazione fornita dal cliente ha evidenziato che le pareti interne della camera di combustione, del tunnel di collegamento e della camera di scambio termico erano rivestite con materiale refrattario costituito da uno strato di mattoni ricoperto da un intonaco di pigiata cementizia ad alta resistenza termica. Facevano parte dell’impianto da demolire anche tutti gli impianti elettrici e meccanici a corredo delle caldaie: quadri, valvole controlli, una coppia di bruciatori verticali posizionati a quota +8,00 m, due stazioni di riduzione e regolazione del metano su entrambi

i bruciatori, un corpo cilindrico collocato sul piano superiore a quota +7,0 m, due pompe di circolazione poste nel piano interrato a quota -2,5 m, un ventilatore aria di sbarramento per gli oblò di osservazione e per la tenuta dei soffiatori e soffiatori retrattili a vapore posizionati all’esterno della colonna di scambio termico. Entrambe le caldaie erano sorrette da un telaio formato da pilastri in profilato HEA 220-240 e da travi IPE; l’accesso ai piani era consentito da una scala a gradini centrale a 3 rampe mentre 2 scale alla marinara permettevano la discesa di emergenza sui lati nord e sud.


Complessivamente la quantità di materiale da smantellare era di 550 ton. La scelta tecnica di Corbat è stata quella di procedere ad uno smontaggio integrale eseguito con mezzo di sollevamento posto all’esterno del locale di contenimento delle Caldaie, integrato da uno smontaggio selettivo interno per le parti accessibili da terra. Questa scelta metodologica garantiva un lavoro pulito e preciso compatibilmente con gli spazi a disposizione ed era l’unica in grado di consentire l’esecuzione dell’intervento preservando durante i lavori la struttura portante dell’edificio che alloggia le caldaie di postcombustione e i relativi pannelli perimetrali di tamponamento. I lavori di smontaggio hanno seguito una procedura standard consolidata da Corbat in lavori analoghi che prevede le seguenti fasi: 1. passivazione degli impianti da demolire; 2. bonifica degli impianti; 3. rimozione delle coibentazioni interne ed esterne; 4. smontaggio degli impianti in settori mediante tagli a caldo e rimozione dei settori per mezzo di autogrù. Le analisi eseguite sulle fibre ceramiche presenti hanno evidenziato un diametro inferiore a 6 micron e quindi sono state classificate cancerogene di categoria 2, mentre le lane

minerali hanno diametri sia inferiori che superiori a 6 micron e quindi sono state classificate irritanti o cancerogene di categoria 3; preliminarmente ai lavori di smontaggio, per le attività di scoibentazione, è stata predisposta una capannina di decontaminazione, realizzata con teli di polietilene sigillati ermeticamente, tale da ottenere un confinamento statico e dinamico per impedire il propagarsi nell’ambiente di materiale cancerogeno. Quanto sopra è stato effettuato nel rispetto della normativa vigente e delle più restrittive direttive regionali in materia di smaltimento di lane minerali. Gli spazi limitati attorno al locale di contenimento delle caldaie non hanno permesso di installare grossi mezzi di sollevamento pertanto il peso dei singoli settori è stato limitato a circa 2 tonnellate, questo ha significato più sollevamenti e più tagli da eseguire rispetto ad interventi effettuati su impianti completamente da dismettere.

Gli elementi della caldaia sono stati in parte evacuati usando le aperture sulla copertura che alloggiavano i camini di evacuazione fumi e in parte utilizzando due grosse aperture preesistenti sulla parete est del locale, alte 5 m e larghe 3 m, chiuse da un portellone in lamiera. Una volta sollevato e messo a terra ogni settore si procedeva alla riduzione volumetrica fino ad ottenere geometrie della carpenteria idonee al trasporto e smaltimento presso impianti autorizzati. Durante tutti i lavori è stata data priorità alla sicurezza per gli operatori, verificando sempre i camminamenti esistenti e le protezioni contro le cadute dall’alto, integrando a seconda dei casi con opere provvisionali quali parapetti, ponteggi, ecc. Corbat si è anche occupata della gestione e dello smaltimento a norma di legge di tutti i materiali di risulta prodotti dall’intervento (acciaio al carbonio, corten, lane, refrattari, pompe e motori, cavi e quadri) confermando la capacità di gestione chiavi in mano di interventi di demolizione delicati che contraddistingue l’azienda bresciana.

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pro g e t t i e t ec nol og i e

Soil flushing per la bonifica di un sito contaminato da percloroetilene Positivi i risultati della sperimentazione per la bonifica dei terreni e delle acque di falda mediante iniezione di additivi in fase acquosa che aumentano la solubilità del PCE di S. Fiore, A. Godio e M.C. Zanetti*

I

l soil flushing è una tecnologia di bonifica basata sull’estrazione di contaminanti dal terreno mediante una fase acquosa, di solito contenente additivi in grado di aumentare la solubilità dei contaminanti. Poiché la solubilità in acqua dei contaminanti determina l’efficacia dell’intervento, tali additivi sono tipicamente surfattanti, solventi organici, acidi, basi, composti ossidanti o riducenti. In questo lavoro è stata sperimentata, mediante prove in colonna svolte secondo modalità differenti, la bonifica di un sito contaminato da percloroetilene (PCE) mediante Hydrogen Release Compound (HRC, Regenesis). L’HRC è un estere polimerico biodegradabile che a contatto con l’acqua rilascia molecole di acido lattico, a sua volta metabolizzato dai microorganismi naturalmente presenti nel sito con produzione di idrogeno e sottoprodotti organici (acido piruvico e acetico) (Figura 1). L’idrogeno è l’agente riducente che attua la declorurazione riduttiva del PCE a tricloroetilene, dicloroetilene, vinilcloruro ed etene. L’HRC è pertanto un prodotto che si degrada biologicamente generando l’agente riducente che è in grado di supportare la degradazione abiotica del PCE. In genere la fase acquosa contenente i contaminanti generata nei processi di soil flushing è estratta dal sito

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Anno 6 - Numero 24

in esame e sottoposta a trattamento depura- tà pari a circa 20 m dal p.c., corrispondente tivo, pertanto l’utilizzo di un reattivo in grado al livello medio della falda, che a quella prodi trasformare i contaminanti in composti non fondità ha una direzione Ovest-Est (Figura tossici presenta indubbi vantaggi economici e 2). Pertanto le prove in colonna finalizzate ambientali. alla bonifica del sito hanno riguardato il suolo Il sito in esame, situato in Italia settentrionale (mediante soil flushing con HRC), prendendo e avente estensione pari a circa 14.000 m2, in esame sia la zona vadosa che l’acquifero, appartiene a un’azienda che produce guar- e contestualmente anche l’acqua di falda. Alnizioni in gomma/metallo per il settore auto- cune caratteristiche idrogeologiche del sito e mobilistico e si trova in un centro abitato. Il i valori di concentrazione del PCE nella falda PCE è stato utilizzato tra il 1975 e il 1985 nelle e nel suolo sono schematizzati in Tabella 1. operazioni di sgrassaggio; nonostante fosse previsto un sistema di recupero del solvente, il contaminante residuo nelle acque industriali si è accumulato in una vasca di raccolta delle stesse (Figura 2). La caratterizzazione idrogeologica e fisico-chimica, realizzata mediante la perforazione di 9 piezometri, ha evidenziato una contaminazione del suolo e della falda originata da una regione di sottosuolo sottostante la vasca di raccolta delle acque industriali, avente estensione Figura 1. Schema dell’interazione tra la degradazione dell’HRC e la pari a circa 20 m2 e profondi- declorurazione riduttiva del PCE (fonte: Regenesis)


Figura 2. Vista schematica del sito contaminato e direzione della falda

Le prove di laboratorio Le prove di laboratorio sono state eseguite utilizzando due colonne in plexiglass (lunghezza 1 m, diametro interno 4 cm), dotate di 15 porte di campionamento. La fase sperimentale della ricerca è iniziata con prove batch (dati non mostrati), finalizzate alla conferma della degradazione dell’HRC a potenziali redox pari a 400-500 mV, tipici della zona vadosa nel sito in esame. Le prove in colonna hanno riguardato tre differenti condizioni fluidodinamiche, utilizzando suolo proveniente dalle zone vadosa e satura del sito in esame e ipotizzando un intervento di bonifica mediante l’iniezione di una soluzione acquosa di HRC alla base della vasca di raccolta delle acque industriali. La concentrazione dell’HRC è stata variata da 3,3 g/l (dose suggerita dal produttore per prove di laboratorio) a valori inferiori. test 1: bonifica della zona vadosa in condizioni di saturazione

All’interno della colonna, tra due strati di sabbia di altezza pari a 5 cm e a 65 cm, è stata posta una quantità di terreno contaminato (4959 mg/kg PCE) proveniente dalla zona vadosa inquinata, tale da riempire un’altezza di colonna pari a 30 cm, (corri-

spondente a 377 cm3). Una soluzione 3,3 g/l di HRC, contenuta in un serbatoio in HDPE da 70 l, è stata alimentata dal basso verso l’alto mediante una pompa peristaltica ISMATEC ISM 827 con portata pari a 0,167·10-7 m3·s-1, al fine di simulare il flusso della falda nel sito considerato. Il test ha avuto durata pari a 53 giorni, ed è stato verificato il raggiungimento della stazionarietà dopo circa 20 ore dall’inizio della prova. I risultati del test di bonifica della zona vadosa in condizioni di saturazione (Tabella 2), mostrano un ottimo abbattimento del PCE nel terreno, da 5 ppm a 3 ppb. La concentrazione di PCE nella fase acquosa, dovuta a trasferimento di massa dal terreno contaminato, è stata abbattuta al di sotto di 0,5 μg/l in circa 30 giorni. Il terreno non ha potuto esercitare alcuna azione tampone e l’andamento della concentrazione dei cloruri prova la degradazione del contaminante. test 2: bonifica della zona vadosa in condizioni di insaturazione

All’interno della colonna, tra due strati di sabbia di altezza pari a 5 cm e 23 cm, è stata posta una quantità di terreno contaminato (7458 mg/kg PCE) tale da riempire un’altezza pari a 30 cm. Una soluzione 2,5 g/l di HRC, tale da permettere un rapporto solido/liquido pari a 1:4, è stata alimentata dall’alto verso il basso, sotto l’azione della gravità, con un battente pari a 0,1 m fino a completa saturazione. Il test ha avuto durata pari a 30 giorni e si è interrotto al termine della percolazione della fase acquosa. I risultati ottenuti mostrano l’azione tampone del terreno nei confronti della fase acquosa, la generazione dei prodotti di degradazione dell’HRC, ed un parziale abbattimento del PCE, in particolare nella porzione superiore della colonna a causa della volatilizzazione del contaminante, tuttavia non sufficiente per il raggiungimento di concentrazioni inferiori ai limiti di legge per i suoli (Tabella 3). test 3: bonifica della falda

All’interno della colonna, tra due strati di sabbia di altezza pari a 15 e 5 cm, è stata posta una quantità di terreno non contaminato tale da riempire un’altezza pari a 75 cm. Al momento del riempimento, a 22,5 cm di altezza dalla base della colonna (corrispondenti a 7,5 cm di altezza della colonna di terreno),

sono stati introdotti 80 g di HRC puro. La fase acquosa alimentata, contenuta in una sacca Tedlar da 60 l e alimentata mediante una pompa peristaltica ISMATEC ISM 827 con portata pari a 0,167·10-7 m3·s-1, ha caratteristiche fisico-chimiche analoghe rispetto al sito contaminato (Tabella 4). Caratteristiche dell’acquifero acquifero freatico (profondità dalla superficie: 20 m, spessore: 4-5 m) produttività: Q = 740 m3/giorno gradiente idraulico: i = 0,006 direzione OE conducibilità idraulica: kh,s=7,6 10-4 m/s kv,s/ kh,s = 0,1 trasmissività: T=0,004 m2/s porosità effettiva: Se=0,3 dispersività longitudinale: Dx= 7,0 m dispersività laterale: Dy= 1,4 m coeff. Van Genuchten ≤2,32 1/m; n=1,52; l=0,5 Suolo

PCE (mg/kg)

4-5 m

1,00

8-9 m

4863

10-11 m

33990

11-12 m

7744

13-14 m

4959

15-16 m

1571

20,5-21,5 m

0,026

24-25 m

0,316

26-27 m

0,352

Limiti D.Lgs. 152/06 (siti

0,5/20

residenziali/industriali) Falda

PCE (µg/l)

pH = 6,90, Eh = 337 mV, CE = 317 µS/cm (in prossimità della vasca di raccolta) in prossimità della vasca di raccolta

5391

nel sito contaminato

11-60

Limiti D.Lgs. 152/06

1,1

Tabella 1. Caratteristiche idrogeologiche del sito in esame e concentrazione di PCE in acqua e nel suolo a differenti profondità

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pro g e t t i e t ec nol og i e

concentrazione iniziale PCE nel terreno: 4959 mg/kg µg/l di PCE giorni

in fase

Eh (mV)

pH

Cl- (mg/l)

644

2,70

0,44

acquosa 0

21,3

0,4

19,2

3

9,6

4

9,0

5

6,2

6

4,5

7

3,4

547

68,29

prova, previa verifica del raggiungimento della stazionarietà. I risultati, schematizzati in Tabella 4, mostrano un rilevante abbattimento del contaminante (da circa 6,5 mg/l a 18 µg/l), tuttavia non sufficiente per il raggiungimento di una concentrazione inferiore ai limiti italiani per le acque di falda.

La modellizzazione dei risultati sperimentali

La modellizzazione numerica dei risultati sperimentali è stata 10 2,8 542 12,27 eseguita al fine di un corretto di12 1,9 562 0,43 mensionamento dell’intervento di 14 2,2 554 1,08 bonifica. La modellizzazione della boni17 1,1 556 0,43 fica della zona vadosa è stata 20 0,6 562 0,65 finalizzata alla definizione del 26 0,5 557 0,46 battente idraulico ottimale da 32 <0,5 566 2,83 adottare per l’iniezione dell’HRC. In particolare, è stato 39 <0,5 570 ipotizzato un battente costante 46 <0,5 562 pari a 0,1 m e 0,7 m, facendo ri52 <0,5 560 ferimento al contenuto di acqua misurato in profondità mediante concentrazione finale PCE nel terreno (dopo 53 gg): 3 µg/kg tecnologia georadar cross-hole Tabella 2. Risultati del test 1 - bonifica della zona vadosa in condizioni (dati non mostrati) e alle infordi saturazione mazioni schematizzate in TabelLa concentrazione di PCE è stata misurata la 1. La modellizzazione della bonifica della nella fase acquosa in uscita dalla colonna zona vadosa ha previsto l’uso del modello a partire da 10 giorni rispetto all’inizio della di Van Genuchten interfacciato al software VS2DI 1.2 (U.S. Geconcentrazione iniziale di PCE nel suolo: 7458 mg/kg ological Survey) (Figura 3): ipotizzando fase acquosa: 2,5 g/l HRC, pH 3,80, Eh 565 mV l’iniezione di 50-60 acido acido m3 di soluzione di giorni Eh (mV) HRC (g/l) piruvico acetico pH HRC in più punti di(g/l) (g/l) sposti lungo un asse 1 6,30 334 pari ad 1m, sono ne0,66 <0,006 0,02 cessari circa 4 giorni 3 6,38 174 perché il fronte di in6 6,80 331 filtrazione raggiunga 7 6,89 508 0,36 <0,004 0,09 la falda (profondità ipotizzata pari a 17 9 7,44 516 m dal p.c.) con un concentrazione finale di PCE nel terreno (dopo 30 giorni): battente idraulico 616 mg/kg testa colonna, 3483 mg/kg coda colonna pari a 0,1 m, e 35 Tabella 3. Risultati del test 2: bonifica della zona vadosa in condizioni di insaturazione ore con un battente

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Figura 3. Risultati della simulazione dell’infiltrazione dell’HRC nella zona vadosa

idraulico pari a 0,7 m. Tuttavia, l’infiltrazione con un battente pari a 0,1 m garantisce una maggiore area di influenza, rispetto a quello pari a 0,7 m, nella direzione perpendicolare alla lunghezza della vasca, un migliore contatto tra il terreno e la fase acquosa, e il non raggiungimento della saturazione nella zona vadosa al di sotto della vasca. fase acquosa contaminata: PCE 6527 µg/l, pH 7, CE 345 µS/cm, Eh 525 mV giorni

PCE (µg/l)

Eh (mV)

10

692

599

18

849

517

25

357

458

26

199

453

32

98

463

35

49

455

49

18

436

Tabella 4. Risultati del test 3: bonifica della falda


atti dei convegni di remtech 2013

A)

B)

Dal 18 al 20 settembre si terrà a Ferrara la 7a edizione di RemTech Expo, il Salone sulle Bonifiche dei Siti Contaminati e sulla Riqualificazione del Territorio. Come sempre ad un'area espositiva altamente qualificata anche quest’anno si affiancherà una sessione congressuale di elevato profilo tecnico-scientifico con la partecipazione di relatori nazionali ed internazionali di comprovata esperienza. Come già fatto nelle edizioni precedenti, gli atti dei convegni di RemTech, curati da Daniele Cazzuffi e Ilaria Pietrini, sono stati raccolti in un CD pubblicato e distribuito da DEA edizioni, da cui è stato tratto il presente articolo. Il CD contiene gli atti dei convegni che si succederanno durante i tre giorni della manifestazione e che saranno dedicati alle seguenti tematiche: • Bonifica dei terreni contaminati • Gestione e bonifica dei sedimenti • Bonifica delle acque contaminate • Impianti pilota • Analisi di rischio e monitoraggio • Pubblica amministrazione e piani di bonifica • SuRF Italy Day - La sostenibilità delle bonifiche • Focus industriale • Bonifica dei siti di distribuzione carburante • Piano Nazionale Amianto: problematiche e prospettive • Materiali da scavo • Decommissioning nucleare Durante la fiera sarà possibile acquistare il CD presso lo stand di DEA edizioni – Rivista ECO oppure scrivendo all’indirizzo info@deaedizioni.it.

del sito in esame ed ipotizzando un acquifero sabbioso non confinato di C) spessore pari a 5 m, e una cinetica di ordine zero per quanto riguarda la degradazione del PCE. La calibrazione del moFigura 4. Risultati della simulazione della bonifica della falda: A) calibrazione; B) dello è stata condotconcentrazione di PCE (mg/l) ad 1 anno dall’iniezione di HRC; C) concentrazione di ta secondo il metodo HRC (mg/l) ad 1 anno dall’iniezione di HRC trial and error, facenIn tal modo le perturbazioni indotte alla pie- do riferimento ai dati mostrati in Tabella 1. zometrica dall’intervento di bonifica posso- I medesimi parametri e il medesimo codice numerico sono stati utilizzati per simulare no essere considerate trascurabili. La modellizzazione dell’effetto dell’iniezione la dinamica dell’iniezione dell’HRC in faldell’HRC sulla concentrazione del PCE nella da: considerando i risultati riferiti ad 1 anno falda è stata eseguita utilizzando il softwa- dall’iniezione, tutta la porzione contaminata re FEFLOW (WASY, Germany), calibrato sui di acquifero risulta interessata dal reattivo dati registrati durante la caratterizzazione (Figura 4B).

Conclusioni Sulla base dei risultati del presente studio, per la bonifica della zona vadosa del sito in esame si suggerisce un’iniezione di HRC in più punti disposti sulla direzione longitudinale della ex-vasca di accumulo delle acque industriali (lunghezza 6 m, volume 50 m3), che preveda un battente pari a circa 0,1 m, mantenuto per almeno 4 giorni, con conseguente necessità di circa 300 m3 di soluzione di HRC. Tale intervento potrebbe avere un costo complessivo pa ri a circa 100.000 €. Le prove eseguite hanno confermato l’efficienza dell’HRC nella bonifica del PCE, pertanto l’intervento di soil flushing appare possibile. Tuttavia altre prove sono necessarie per ottimizzare la bonifica della falda del sito considerato. *DIATI, Politecnico di Torino

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pro g e t t i e t ec nol og i e

Fanghi di depurazione: gestione e uso agricolo nei Paesi dell’Unione Europea Una panoramica sui diversi approcci adottati nei vari paesi europei per il recupero e lo smaltimento dei fanghi derivanti dal trattamento delle acque reflue di Camilla M. Braguglia e Giuseppe Mininni*

La Direttiva 86/278 ha regolamentato l’uso in agricoltura dei fanghi dal trattamento di acque reflue civili, urbane e industriali a condizioni che la componente industriale dello scarico fosse sostanzialmente assimilabile a quella civile. La Direttiva ha fissato i limiti di concentrazione dei metalli pesanti (Cd, Cu, Ni, Pb, Zn e Hg) sia nel terreno sia nel fango, e i quantitativi massimi di immissione annua di metalli su suolo agricolo. Non sono stati previsti limiti per il cromo e per i microinquinanti organici. Questa direttiva è stata trasposta nelle diverse legislazioni degli Stati Membri dove sono riscontrabili approcci diversi. In alcuni Paesi sono stati fissati limiti più restrittivi per i metalli, nuovi limiti per i microinquinanti organici e standard di qualità su agenti patogeni e loro indicatori. Ciò è attribuibile a molti fattori socio economici, tra cui la dotazione impiantistica della linea fanghi, che in molti paesi del centro e nord Europa è più avanzata di quella del Sud Europa, e la diversa attitudine legata alla protezione di talune produzioni agricole giudicate strategiche.

L

e attuali problematiche di gestione dei fanghi di depurazione dipendono principalmente dalle restrizioni nei confronti di opzioni come il recupero e lo smaltimento convenzionale dovute a: • riduzione progressiva dello smaltimento in discarica (rifiuti biodegradabili); • opposizione all’uso in agricoltura da parte di alcuni portatori d’interesse; • nuovi e restrittivi standard di metalli, microinquinanti organici, parametrici igienico-sanitari per l’uso dei fanghi in agricoltura; • incremento dei costi di smaltimento per soluzioni non autonome ricorrendo a impianti off-site. Molti impianti di trattamento di acque urbane in Italia ma anche in altri paesi della UE non sono adeguati a produrre fanghi di depurazio-

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ne idonei alle soluzioni finali o di smaltimento o di recupero (uso diretto o indiretto, previo compostaggio, in agricoltura o produzione di combustibile solido secondario). Tale tendenza è attribuibile principalmente all’inadeguatezza delle vecchie infrastrutture (di 30 anni o più), generalmente progettate prima dell’attuale assetto della disciplina ambientale su discariche (D.Lgs. 36/03) e incenerimento e coincenerimento (D.Lgs. 133/05). Per questo motivo lo scopo principale dei gestori degli impianti è di minimizzare la produzione dei fanghi riducendo nel contempo i costi di smaltimento. Il fango di depurazione può essere tuttavia trattato per il riutilizzo in agricoltura con processi innovativi al fine di produrre fango ben stabilizzato e igienizzato per ridurre i problemi di odori e patogeni. È possibile controllare la presenza di microinquinanti organici

e inorganici impedendo lo scarico in pubblica fognatura di scarichi non assimilabili a quelli civili con conseguente apporto d’inquinanti di origine industriale. È anche possibile separare i fanghi primari da quelli secondari (biomassa) più idonei al recupero agricolo per maggiore presenza di nutrienti (N e P2O5) e ridotta presenza di microinquinanti apolari rispetto al fango misto (primario+secondario).

PRODUZIONE DEI FANGHI In Figura 1 è mostrato un tipico schema di impianto di trattamento di reflui civili con trattamento primario e secondario. Considerando una dotazione idrica di 273 l/(A.E.x d), e apporti pro capite di COD di 125 g/(A.E.x d) e di solidi sospesi SS di 55 g/(A.E.x d) è possibile stimare una produzione di 46,7 g/(A.E.x d) di fango primario [2,34 l/(A.E.x d) al 2% di SS] e 37,1 g/(A.E.x d) di fango secondario [3,71 l/ (A.E.x d) all’1% di SS]. La produzione totale di fango risulta quindi pari a 83,8 g/(A.E.x d) con un volume totale di 6,05 l/(A.E.x d), che rappresenta il 2,2% del flusso entrante. In Figura 2 è mostrato uno schema tipico di trattamento dei fanghi che comprende ispessimento a gravità del fango primario (GT), ispessimento dinamico del fango secondario (DT), digestione anaerobica mesofila (MAD) e disidratazione meccanica (DEW), spesso condotta con centrifughe. Sulla base di que-


Figura 1. Schema tipico di un impianto di trattamento di acque di scarico con trattamento primario e secondario

mostrato in Figura 2 sulla base del bilancio di massa. La produzione totale di fanghi di depurazione nei 28 Stati Membri dell’Europa più la Svizzera è di circa 10×106 tSS/ anno. Considerando che di questi circa 2,34×106 tSS/anno sono sottoposte a incenerimento on-site, la quantità netta di fanghi di depurazione da trasportare off-site per il recupero o lo smaltimento in discarica è di circa 7,77×106 tSS/anno, cioè 38,8×106 t di umido/anno alla concentrazione tipica di SS del 20%.

sto bilancio di massa, il trattamento dei fanghi purazione è aumentata significativamente da comporta una riduzione dei solidi totali ST da 1,53×106 tSS nel 2000 a 1,82×106 tSS nel 2007. 84 a 52,5 g/(A.E.x d) a causa della riduzione Una leggera riduzione è stata invece osserva- GESTIONE DEI FANGHI dei solidi volatili SV nel processo di digestione ta nei due anni successivi. Al contrario in Ger- DI DEPURAZIONE NEGLI anaerobica mesofila e di alcune inefficienze mania, la produzione è diminuita da 2,43×106 STATI MEMBRI EUROPEI nella separazione solido-liquido, sia nell’i- tSS nel 2000 a 2,05×106 tSS nel 2006. Nelle Figure 5 e 6 è riportata, rispettivamenspessimento sia nella disidratazione meccani- La Figura 4 riporta la produzione di fango te, la percentuale di fango (SS) recuperato nei ca con un conseguente riciclo in testa all’im- pro-capite che dipende strettamente dall’ar- diversi Stati Membri dell’Europa, direttamente pianto del 7% del COD in ingresso. ticolazione della linea acque e di quella fan- in agricoltura o previo compostaggio. La perIl trattamento e la gestione finale dei fanghi, ghi, dalla presenza o meno di reflui industriali centuale di fango smaltito per incenerimento nonostante il volume ridotto, comportano e dalla legislazione vigente sugli effluenti (la o in discarica è riportata nelle Figure 7 e 8, costi di gestione e ammortamento che pos- rimozione di azoto e quella di fosforo compor- rispettivamente. sono giungere fino al 50% dei costi totali tano rispettivamente una riduzione e un incre- In diversi Paesi (Cipro, Danimarca, Francia, dell’impianto, stimati in 30-40 €/(P.E.x anno) mento di produzione). Questo, tuttavia, non Germania, Irlanda, Italia, Lettonia, Lituania, (Campbell, 2000, Kroiss and Zessner, 2005). può spiegare valori di produzione pro-capite Lussemburgo, Portogallo, Regno Unito, ReLa strategia di gestione finale dei fanghi deve così ampiamente distribuiti passando da 0,5 pubblica Ceca, Romania, Spagna, Slovacchia essere oggetto di attenta valutazione soprat- (Malta) a 97 gSS/(P.E.x d) (Austria), con valori e Ungheria) l’uso dei fanghi in agricoltura è tutto in fase di progettazione di un nuovo im- tipici variabili nell’intervallo 40-60 gSS/(P.E.x pratica comune, mentre in altri Paesi (Austria, pianto o di adeguamento di uno esistente in d), confermando il valore di 52,5 gSS/(P.E.x d) Belgio, Estonia, Grecia, Finlandia, Paesi Bassi, quanto da essa dipendono in cascata le soluzioni impiantistiche che possono consentire di produrre fanghi conformi sotto il profilo ambientale, secondo la soluzione adottata, a costi sostenibili. La produzione annua di fanghi in Europa nel periodo 2000-2009 è riportata in Figura 3 (Eurostat, 2012). Nel Regno Unito la Figure 2. Schema tipico per il trattamento dei fanghi di depurazione (DT Ispessimento dinamico; GT Ispessimento a gravità; MAD produzione di fanghi di de- digestione anaerobica mesofila; DEW disidratazione meccanica con centrifuga)

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pro g e t t i e t ec nol og i e

Figura 3. Produzione di fanghi di depurazione (103 tonnellate secco annue) in alcuni Stati Membri dell’Europa

Figura 5. Percentuale di fango di depurazione usato direttamente in agricoltura in alcuni Stati Membri dell’Europa

Figura 7. Frazione di fango di depurazione smaltito per incenerimento in alcuni Stati Membri dell’Europa

Figura 4. Produzione di fango pro-capite [g/(P.E.×d)] negli Stati Membri europei

Figura 6. Frazione di fango di depurazione inviato al compostaggio in alcuni Stati Membri dell’Europa

Figura 8. Frazione percentuale di fango di depurazione smaltito in discarica in alcuni Stati Membri dell’Europa

Slovenia e Svizzera) è irrilevante (<10% della produzione totale di secco) o chiaramente in diminuzione come per le Fiandre, e la Svizzera. Il compostaggio è praticato in Austria (2030%), Repubblica Ceca (fino al 50%), Estonia (fino all’80%), Finlandia (fino all’80%), Francia (fino al 25%), Germania (oltre il 20%), Italia (20%), Lussemburgo (20-30%), Slovacchia (fino al 50%), Svezia (30% in alcuni anni) e Ungheria (fino al 40%). L’incenerimento è ampiamente utilizzato in Austria, Belgio, Danimarca, Germania, Olanda, Slovenia e Svizzera. In Spagna, Francia, Lussemburgo e Regno Unito circa il 10-20% di fango prodotto è smaltito con l’incenerimento. La discarica rimane l’opzione impiegata maggiormente in Bulgaria, Grecia, Islanda, Malta e Romania, con valori in diminuzione dal 2005, mentre per quando concerne la Slovenia in diminuzione dal 2000.

LIMITI DI LEGGE E UTILIZZO IN AGRICOLTURA Tutti gli Stati membri della UE hanno trasposto la Direttiva Europea 86/278 per l’uso dei fanghi in agricoltura nelle discipline naziona-

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li, stabilendo in alcuni casi limiti più restrittivi per i metalli pesanti (Austria, Belgio, Danimarca limitatamente allo Zn, Finlandia, Germania, Paesi Bassi, Repubblica Ceca, Slovenia e Svezia) in altri limiti prossimi a quelli della direttiva (Cipro, Estonia, Francia, Grecia, Lussemburgo, Irlanda, Italia, Lettonia, Spagna e Ungheria). La presenza di agenti patogeni è stata regolata da Danimarca, Francia, Finlandia, Italia, Lussemburgo, e Polonia (Alabaster e Le Blanc, 2008, Millieu et al., 2010, Sede and Arthur Andersen, 2002).

CONCLUSIONI I Paesi UE hanno mostrato approcci diversificati nella gestione dei fanghi di depurazione. La produzione pro-capite in g/(P.E.× d) varia da 0,5 (Malta) a 97 (Austria) a causa di diversi fattori quali la dotazione idrica, la diffusione del collettamento e del trattamento delle acque reflue civili anche per piccole comunità, il contributo di reflui industriali, la tipologia di trattamento, la gestione conforme dei fanghi prodotti. Il valore medio in Europa è 55 g/(P.E.× d), molto vicino al valore teorico per un impianto di tratta-

mento tipico comprendente trattamenti primario e secondario, stimato in base ai bilanci di massa (52,5 g/P.E.× d). Approcci diversificati nella gestione dei fanghi di depurazione possono essere evidenziati analizzando la disciplina nazionale sull’utilizzo in agricoltura dei paesi Membri. Infatti, i Paesi con prevalente uso dei fanghi in agricoltura hanno fissato limiti prossimi a quelli della direttiva 86/278. L’unica eccezione sembrerebbe essere la Repubblica Ceca che pur avendo fissato limiti piuttosto severi fa un discreto ricorso all’uso agricolo (47% nel 2008). Altri Paesi che hanno privilegiato processi termici distruttivi (Bassa Austria, Fiandre e Paesi Bassi) hanno fissato limiti con concentrazioni molto basse per l’utilizzo di fango in agricoltura (Cd 1.25-6, Cr 50250, Cu 75-375, Hg 0.75-5 mg/kg). *CNR – Istituto di Ricerca Sulle Acque

Ringraziamenti Il presente studio rientra nelle attività del progetto FP7 ROUTES finanziato dalla Commissione Europea.


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LA EL

NOI CI SIAMO

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Il Gruppo Galgano presenta

25ª CAMPAGNA NAZIONALE QUALITÀ E INNOVAZIONE “NOI CI SIAMO” nell’ambito della Diciannovesima Settimana Europea della Qualità novembre 2013 e invita Aziende Pubbliche e Private ad aderire alla Campagna Nazionale per testimoniare il ruolo strategico di Qualità e Innovazione a beneficio del Sistema Paese

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pro g e t t i e t ec nol og i e

Bioremediation eco-mirata per l’area del Polo Chimico di Mantova Un intervento multidisciplinare che ha unito ricercatori con competenze diverse e complementari, per affrontare una complessa problematica di bonifica ambientale di E. Bargiacchi, A. Pompeiano, A. Romani, M. Tredici, M. Volterrani e S. Miele*

I

l 18 aprile scorso la Provincia di Mantova ha organizzato un workshop per la presentazione di approcci progettuali innovativi, in risposta al bando Life+ Environment Policy and Governance - Call Proposal 2013. Il concorso d’idee per il pro-

Una

getto di bonifica dell’area del Polo Chimico di Mantova ha rappresentato un'occasione per intervenire con una proposta di biorimediazione articolata su vari aspetti che vanno dalla gestione agro-ambientale (suoli, acque, biomasse spontanee), all’inserimento

strategia innovativa per riqualificare aree contaminate periurbane

Provincia Europea LIFE+

in un progetto della dell’Unione

di

Mantova

candidato al programma

L’area del Polo Chimico e dei laghi di Mantova è un Sito d’Interesse Nazionale (SIN) dal 2003. Si tratta di un’area molto estesa, di circa 1000 ettari di superficie, che comprende, oltre all’area del polo chimico, le acque dei laghi, le zone umide circostanti la città e porzioni di aree agricole . Al suo interno sono presenti diversi insediamenti produttivi in attività tra cui spiccano quelli appartenenti al gruppo ENI (Polimeri Europa, Syndial, EniPower) e ad aziende multinazionali come la

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in coltivazione di alghe, tappeti erbosi e di altre colture non food ad alta efficienza biorimediativa (in particolare Arundo donax L.), fino alla valorizzazione delle biomasse prodotte o raccolte in cicli bioenergetici e come fabbriche metaboliche.

Raffineria IES (gruppo MOL) e Belleli Energy CPE (gruppo Exterran); inoltre sono presenti alcune realtà industriali medio-piccole come ITAS, SOL, Industria Colori Freddi San Giorgio, F.lli Posio, Az. Agricola Cascina delle Betulle, Sogefi e Claipa. Il sito presenta situazioni ambientali e caratteristiche di inquinamento molto diversificate. Senza entrare nel dettaglio, basterà qui ricordare che il SIN comprende aree che rivestono una notevole importanza ambientale - naturalistica riconosciuta ai vari livelli dalla normativa vigente (Siti natura 2000 e Parco regionale del Mincio) ed un’intensa fruizione pubblica. Ovviamente questa particolare condizione rappresenta un forte vincolo sia per le ordinarie attività delle imprese, che si aggiunge alle già numerose limitazioni derivanti dall’essere all’interno di un SIN, sia per la progettazione e l’eventuale realizzazione dei piani di bonifica. In questo contesto, la storia recente del polo chimico di Mantova è una storia fatta di difficoltà crescenti per le imprese insediate, aggravando il trend negativo di tutta la chimica italiana, di diffidenza reciproca tra istituzioni e imprese stesse e con un’opinione pubblica sempre più sensibile e attenta alle tematiche ambientali, anche in conseguenza di evidenze empiriche che dimostrano l’impatto di queste attività sull’ambiente circostante. In questi dieci anni si sono susseguiti progetti ministeriali di bonifica e di messa in sicurezza dell’intera area sempre più pesanti e sempre meno sostenibili dal punto di vista economico e ambientale. Con la logica conseguenza di non aver avviato alcun intervento sostanziale, se non quelli attuati dalle singole imprese e volti a sanare specifiche emergenze molto localizzate.


D’altra parte, l’ambiente a cui la proposta tecnica si doveva adattare, l’area di Mantova e dei suoi laghi, costituiva un problema peculiare per la coesistenza di tipologie d’inquinamento diverse (organico e metalli pesanti) e la necessità di tutelare l’attività industriale, agricola e, soprattutto, la fruizione pubblica di contesti naturali e periurbani di particolare valore.

Gli inquinanti e le piante L’inquinamento da metalli pesanti e contaminanti organici è causato prevalentemente dall’attività dell’uomo, e quindi da fonti industriali e domestiche, anche se non mancano numerosi esempi di ambienti naturalmente interessati da fenomeni di accumulo di metalli pesanti per anomalie geochimiche. Le conseguenze dell’inquinamento sono diverse e possono andare da un adattamento degli organismi alla nuova condizione fino ad una loro progressiva selezione a favore di quelli più tolleranti, con perdita della biodiversità negli ecosistemi acquatici e terrestri. Nel caso dei metalli pesanti si può verificare bioaccumulo e danni degli inquinanti nella catena alimentare, anche se in proposito occorre ricordare che la maggior parte delle piante

superiori tende a limitare il trasferimento dei metalli alle parti aeree e, soprattutto, ai frutti (anche se con importanti differenze legate al genotipo). In alcuni casi, poi, quelli che noi consideriamo inquinanti, come nitrati, fosfati, solfati e CO2, rappresentano per le piante sostanze basilari per la crescita. Un esempio tipico del differente approccio che hanno le piante rispetto agli “umani” per i contaminanti organici è, ad esempio, quello che riguarda un inquinante gassoso, tracciante del traffico veicolare, come la formaldeide. Sia nel regno animale che vegetale è rapidamente detossificata dal sistema glutatione-formaldeidedeidrogenasi, ma nelle piante, in particolare, quasi il 90% del carbonio derivato dalla formaldeide rimane nella pianta stessa che lo utilizza per produrre acidi organici, amminoacidi, zuccheri, grassi e componenti della parete cellulare, mentre la restante formaldeide viene utilizzata come fonte di energia (=respirazione cellulare) producendo acqua e CO2. Le piante possono quindi rappresentare un potente ed economico mezzo di bonifica, sia operando in situ che ex situ in ambienti confinati ad alta capacità detossificante, come i biobed e le vasche di raccolta di acque contaminate, a cui faremo cenno più avanti.

La soluzione totalizzante, se così si può dire, basata sull’asportazione meccanica dei terreni inquinati e il loro trattamento o il loro recapito in discarica, è parsa sempre più insostenibile economicamente e soprattutto non applicabile in quelle aree di alto valore naturalistico, che verrebbero completamente distrutte o stravolte da questo tipo di intervento. Da qui, si è fatta strada l’idea di tentare approcci differenti che non si sostituiscano ai modelli di bonifica classici, ma che si integrino e si sommino a questi. L’ideazione del progetto si fonda sulla necessità di sviluppare iniziative progettuali per affrontare, in termini innovativi e dimostrativi, la riqualificazione delle aree naturali, agricole e a verde pubblico diffusamente degradate da contaminanti nelle aree dei lungolaghi di Mantova parzialmente incluse nel Sito inquinato di interesse nazionale “Laghi di Mantova e Polo chimico”, che costituisce una delle principali emergenze ambientali del territorio provinciale. Tra questi approcci alternativi, la bio-fitorimediazione è apparsa subito come un’opzione percorribile in questo particolare contesto socio-ambientale, in quanto può consentire di coniugare il recupero dei terreni con la salvaguardia e la gestione attiva degli ambienti naturali, con gli usi sociali delle aree a verde pubblico site sulle sponde dei laghi e con il mantenimento della loro fruibilità anche durante la bonifica ed infine con il mantenimento di unità produttive agricole economicamente sostenibili grazie alle attività di filiera non food che è possibile realizzare in loco. Ci sarebbe un altro elemento che rende questo progetto particolarmente interessante per il nostro territorio. Da troppo tempo la chimica italiana è in sofferenza

In genere, si parla di fitorimediazione quando s’impiegano piante superiori e biorimediazione quando, invece, si fa riferimento a microrganismi, quali batteri, cianobatteri, lieviti ed alghe. A carico degli inquinanti le piante possono attuare processi di assorbimento, concentrazione nella biomassa e rimozione (ad esempio per alcuni metalli pesanti e radionuclidi), oppure di stabilizzazione in complessi organici a livello della rizosfera, mentre per i composti organici (solventi, idrocarburi, ecc.) la presenza delle piante può innescare favorevoli processi di biodegradazione. Quest’ultima applicazione viene definita, più propriamente, rizorimediazione ed è collegata all’attività della rizosfera, ovvero quel complesso formato da suolo, radici delle piante e dai microrganismi che vi convivono. Le radici liberano, infatti, una varietà di sostanze chimiche che possono agire da biosurfattanti e che stimolano l’induzione di enzimi catabolici da parte dei microrganismi, promuovendo il cosiddetto co-metabolismo. Il co-metabolismo avviene quando un enzima prodotto per attuare il metabolismo di un substrato (ad es. le sostanze chimiche emesse dalle radici) è in grado di degradare anche un secondo substrato (ad es. il contaminante) senza alcun ulteriore dispendio energetico o fabbisogno nutritivo specifico.

e il timore che un settore così importante per l’economia locale possa entrare in una crisi irreversibile è molto sentito. L’idea quindi di poter sperimentare in questo contesto sistemi di utilizzo delle biomasse che verranno create, anche attraverso la produzione di biocarburanti, potrebbe rappresentare una prospettiva interessante per le imprese del settore petrolchimico presenti nel Mantovano. Uno dei punti di partenza del programma dell’Amministrazione provinciale di Mantova era proprio la convinzione che i temi ambientali non dovessero essere affrontati solo come problemi, ma anche come opportunità. Credo che il progetto che qui viene presentato vada in questa direzione. Le sfide che ci attendono nei prossimi anni saranno sempre più complesse, all’interno delle quali problematiche ambientali e emergenze economiche potrebbero dare l’impressione di spingere in direzioni opposte. A Mantova la Provincia ha coordinato un ampio partenariato che include il Comune capoluogo, Regione Lombardia, Parco del Mincio, alcune imprese locali (Syndial spa, WSR srl, Azienda Agricola Lucia Manenti), supportati scientificamente da Università degli Studi di Parma, Dipartimento di Bioscienze, Consorzio Interuniversitario Nazionale per la Scienza e la Tecnologia dei Materiali e agenzia AGIRE srl, si sono messi insieme per provare un percorso nuovo; perché l’errore più grave che potremmo commettere sarebbe proprio quello di accontentarci di soluzioni già sperimentate. L’assessore alla sostenibilità ambientale della Provincia di Mantova Alberto Grandi

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METALLI

RIMOZIONE %

In un sistema acquatico le cellule di come nitrati, solfati e cloruri, è particolarmente microalghe/cianobatteri possono es- attiva in tutte le specie da tappeto erboso, ma sere raccolte e gli ioni metallici essere in particolare nelle macroterme, soprattutto Cu 31,7±3,4 desorbiti, consentendo il riuso delle in riferimento alle zone di transizione. Queste Cd 24,1±3,1 cellule stesse ed il riciclo dei metalli. specie di origine tropicale, che nei nostri amQuesti organismi trovano impiego an- bienti hanno prevalente sviluppo primaverileCr 52,7±2,0 che nei sistemi suolo. Qui le cellule non estivo, un apparato radicale particolarmente Cu+Cd 25,6±4,0 59,9±0,3 possono essere raccolte, tuttavia con- esteso e da fusti orizzontali (stoloni e rizomi). Cu+Cr 43,9±2,2 58,1+1,9 tribuiscono a ridurre la concentrazione Molte specie da tappeto erboso, e tra queste Cd+Cr 65,7±1,3 78,2±0,9 di metalli favorendo quindi la crescita, alcune selezioni di Agrostis tenuis, Paspalum distichum e Cynodon dactylon, hanno sviin sequenza, di piante superiori. Cu+Cd+Cr 40,7±1,1 34,5±1,6 39,6±4,8 Un settore particolarmente adatto luppato nel corso dell’evoluzione un’elevata Abiotico (EDTA) 9,0 9,3 9,2 all’impiego delle microalghe è la boni- tolleranza ai metalli, tanto da trovare impiego nella rinaturalizzazione delle code di estrazioTabella 1. L’attività biorimediativa della microalga Scenedesmus fica da metalli pesanti. Possono infatti ne e delle miniere esaurite di piombo e zinco. incrassatulus è particolarmente efficiente in presenza di miscele arrivare a concentrare fino a 15 mg di metalli per grammo di biomassa, con Al riguardo, la tolleranza a piombo, zinco e di metalli pesanti (Peña-Castro et al. 2004) un’efficienza di rimozione del 99%. Un rame presenti nel suolo è massima in PaspaL’efficienza di rimozione, tipica dell’inquina- esempio interessante è fornito da Scenede- lum, seguito da Cynodon, mentre è minore in mento da metalli, dipende da alcuni principi smus incrassatulus (Tab. 1), in grado di rimuo- Festuca spp. e nelle graminacee acquatiche fondamentali: 1) la strategia di concentrazione vere più di quanto previsto in base all’attività Typha e Phragmites. Scirpus grossus, a sua del contaminante nella biomassa; 2) la quan- degli ioni liberi e con vari meccanismi di seque- volta, trova selettivamente impiego come ipetità di biomassa prodotta dalla pianta; 3) l’e- stro che rendono l’alga competitiva rispetto ad raccumulatrice di piombo. In ambiti urbani ed industriali le specie da stensione e l’attività assorbente dell’apparato un chelante chimico come l’EDTA. radicale. In merito alla prima, vengono defi- Altri settori d’impiego delle microalghe sono tappeto erboso vengono utilizzate per la finite piante iperaccumulatrici quelle in grado rappresentati dalla valorizzazione di acque sa- torimediazione di ambienti contaminati da di concentrare i tossici nella biomassa anche line, reflui, calore e CO2 di risulta di processi metalli pesanti e inquinanti organici, e nella quando questi sono presenti a relativamente industriali, agro-industriali ed agricoli. Le tec- stabilizzazione a lungo termine delle superfici. bassa concentrazione nel suolo o nel mezzo nologie produttive sono in evoluzione e nuovi L’attività fitorimediativa a carico degli inquidi coltura, secondo il cosiddetto fattore di settori di utilizzo si aprono in continuazione nanti organici è elevata, soprattutto in caso di bioaccumulo Bf, dove Bf = [Me]pianta/[Me]suolo. grazie alla selezione di ceppi sempre più re- fuoriuscite di oli combustibili e conseguente Tuttavia, i parametri che più influenzano l’effi- sistenti a condizioni di stress. Per quanto so- inquinamento da idrocarburi totali di petrolio cienza di rimozione sono la biomassa prodot- pra, le microalghe possono costituire ta dalla pianta e lo sviluppo del suo apparato un campo applicativo particolarmente CONCENTRAZIONE RIDUZIONE % MODALITà radicale, che costituiscono, rispettivamente, versatile, con ricadute di sviluppo e di INIZIALE mg/kg OGNI 30 gg. “il magazzino di accumulo” e lo strumento di occupazione senz’altro importanti. 100 17 Vaso captazione degli inquinanti. Cu

Cd

Microrganismi fotosintetici in fitodepurazione Trovano impiego prevalentemente nel trattamento di acque inquinate, dove manifestano in maggior misura la loro efficienza. I microrganismi fotosintetici sono in grado di rimuovere i metalli pesanti e gli inquinanti in genere mediante: assorbimento attivo; assorbimento passivo sull’involucro o sulla parete cellulare (es. tramite macromolecole come polisaccaridi), strategia più comune nei cianobatteri; chelazione per rilascio di polimeri esocellulari.

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Anno 6 - Numero 24

Cr

I tappeti erbosi nella bonifica ambientale

Oltre a rendere bello l’ambiente, migliorandone anche la fruizione, consentono, come è noto, un’elevata captazione di polveri sottili. I tappeti erbosi, poi, espletano altre numerose funzioni a livello di prevenzione e bonifica ambientale. L’uso di buffer strips (strisce tampone) limita l’erosione superficiale ed il trasporto d’inquinanti, ad esempio dalle strade o dai campi ai corpi idrici. La captazione di elementi solubili e soggetti a possibile allontanamento dai suoli per lisciviazione,

IPA

TPH

753

8

Vaso

758

4

Vaso

7,5

2

Pieno campo

72.000

17

Vaso

10.000

13

Vaso

15.600

4

Vaso

48.000

1

Vaso

12.000

8

Pieno campo

1.500

5

Pieno campo

Tabella 2. Efficacia relativa di graminacee usate in rizorimediazione di idrocarburi totali di petrolio (TPHs) e IPA. Ogni riga è relativa ad una prova condotta da Autori diversi (mod. Cook et al, 2013)


Impiego di Arundo donax in fitodepurazione

Figura 1. Schema di biobed in attività dal 2008 presso l’Az. Agricola Banfi di Montalcino (SI). Viene usato per la decontaminazione delle acque di lavaggio esterne delle macchine agricole ed è del tipo off-set (lavaggio su piazzola con recupero dell’effluente). Presenta due pozzetti di raccolta: il primo per le acque in ingresso al biobed e il secondo per quelle eccedenti, transitate attraverso il biobed stesso

(TPHs) che contengono sia composti monoaromatici volatili, come benzene, toluene, etil-benzene e xilene (BTEX), sia idrocarburi policiclici aromatici (IPA). In questi casi trovano frequente impiego due microterme, cioè specie a prevalente sviluppo in climi temperati freschi, come Festuca arundinacea e Lolium perenne (Tab. 2). Nel settore dell’agroindustria, in particolare della bonifica degli effluenti caseari (pH 3,5; EC 16.800 μS/cm; B.O.D 10.000 mg/l; C.O.D. 18.800 mg/l; cloruri 3.197 mg/l; grassi/oli 310 mg/l), è stato utilizzato con interesse Paspalum vaginatum allevato in float system. E’ questo un semplice sistema di idrocoltura, nel quale le piante sono allevate su vassoi galleggianti in polistirene e “pescano” con gli apparati radicali in una vasca a profilo ribassato, contenente l’effluente. A livello agricolo, per la decontaminazione delle acque di lavaggio esterno delle macchine per l’applicazione degli agrochimici, trovano infine impiego i biobed, che presentano in molti casi un’efficacia di abbattimento dei residui inquinanti fino al 99% (Fig. 1). I tappeti erbosi costituiscono quindi un’attività di grande interesse, anche per i riflessi occupazionali a cui possono dar luogo, ed in grado d’interagire positivamente sul livello di fruibilità e sulla qualità dell’ambiente.

E’ una pianta tipica dei nostri ambienti, con una nobile tradizione italiana di coltura per la produzione di cellulosa ed energia, da cui si è sviluppata l’industria chimica di Torviscosa, in Friuli V.G., nel periodo 1930-1960. Oggi è considerata una specie invasiva in molti Paesi, tra cui gli Stati Uniti, e questo atteggiamento – in molti casi pregiudiziale – tende a renderne difficile la riscoperta come coltura energetica. E’ una graminacea poliennale (ciclo di almeno 10 anni), che non richiede quindi lavorazioni annuali, concimi, agrofarmaci e ha un modesto fabbisogno irriguo, limitato al primo anno d’impianto e solo se coltivata su terreni asciutti. Ha un’elevata azione sequestrante del carbonio e un Life Cycle Assessment generalmente favorevole. E’, soprattutto, la migliore coltura energetica per l’etanolo lignocellulosico (tecnologia PRO.E.SA del gruppo M&G), in termini di produzione agricola, resa industriale, gestione del processo e bassi input (Fig. 2), ed è utilizzabile anche in co-digestione con il mais negli impianti a biogas. A causa del suo contenuto in silice, è meno indicata di altre piante per i cicli bioenergetici di combustione e la produzione di biomateriali (es. pannelli truciolari). Le sue qualità di pianta produttiva, dotata di un robusto ed esteso apparato radicale rizomatoso, resistente alla salinità e a condizioni di suolo asfittico, la rendono particolarmente adatta alla fitorimediazione e rizorimediazione, nonché alla gestione delle cosiddette Zone Vulnerabili ai Nitrati. Inserita in ambienti lievemente contaminati di zinco e rame, tende a concentrarli nei rizomi e nelle foglie. Piante, anche giovani, sono in grado di rimuovere arsenico, mercurio e cadmio. Per il mercurio, il fattore di bioconcentrazione è compreso tra 1,9 e 2,1, ovvero piante allevate su terreni contenenti circa 100 mg di Hg per kg di suolo producono biomassa (soprattutto apparato radicale) con concentrazioni di 200±20 mg/kg di sostanza secca. Per il cadmio lo stesso fattore è 1,5 per le foglie e 0,3 per lo stocco. Molte aree adiacenti a poli chimici e industriali, a strade e ferrovie sono caratterizza-

Figura 2. Schema della produzione di etanolo lignocellulosico secondo il processo PROESA messo a punto dal Gruppo Mossi e Ghisolfi. Il primo impianto è in attività a Crescentino (VC)

te da terreni di modesto valore agronomico, talvolta inquinati, che non consentono l’inserimento di colture food. La coltivazione di Arundo può, in tal caso, consentire una riqualificazione e ripristino dell’ambiente, favorendo al tempo stesso lo sviluppo di una chimica avanzata, legata a materie prime provenienti dallo stesso territorio. Non c’è competizione con i terreni vocati alla produzione alimentare, ma solo una migliore valorizzazione delle potenzialità ambientali, con creazione di nuove opportunità occupazionali e di sviluppo economico.

Impiego di fitoestratti Le piante possono fornire ulteriori mezzi per la bonifica ambientale e la protezione della salute umana. Ad esempio, i tannini estratti dal castagno possono trovare impiego nella complessazione dei metalli a livello del suolo, in alternativa ai chelanti chimici, per favorire la loro mobilizzazione o rimozione attraverso tecniche di bioremediation. Inoltre, supplementi ricchi di antocianosidi e flavonoidi da piccoli frutti e Vitis possono essere assunti nell’alimentazione, a scopo preventivo, come chelanti nell'abbattimento di metalli pesanti e isotopi radioattivi (Sr90 e Cs), tossici alla salute umana. *Consorzio Interuniversitario Nazionale per la Scienza e Tecnologia dei Materiali (INSTM)

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NORMATIVA

Bonifiche e responsabilità del proprietario dell’area L’identificazione del soggetto responsabile della contaminazione tra normativa vigente e numerose pronunce giurisprudenziali di Rosa Bertuzzi*

L

’art. 245 del D.Lgs. 152/06 disciplina gli obblighi di intervento da parte dei soggetti obbligati, in particolare gli obblighi a carico del responsabile della potenziale contaminazione, del proprietario o gestore dell’area, della Provincia circa l’identificazione del soggetto responsabile, al fine di dar corso agli interventi di bonifica. La norma è stata oggetto di tante pronunce giurisprudenziali, in sede amministrativa, Tribunali Amministrativi Regionali e Consiglio di Stato, oggetto di ricorsi avverso le ordinanze dei Comuni, delle Province, delle Regioni e del Ministero. Tutte quante le pronunce statuiscono, in merito alla questione richiesta allo studio, che l’obbligo di adottare le misure idonee a fronteggiare la situazione di inquinamento è a carico unicamente di colui che di tale situazione sia responsabile, e che tale obbligo non può essere addossato al proprietario incolpevole, ove manchi ogni sua responsabilità. In merito, invece, alle “misure di messa in sicurezza d’emergenza”, l’art. 240, comma 1, lett. m) del D.Lgs. 152/06 stabilisce che per messa in sicurezza deve intendersi “ogni intervento immediato o a breve termine, da mettere in opera nelle condizioni di emergenza… atto a contenere la diffusione delle sorgenti primarie di contaminazione, impedirne il contatto con altre matrici presenti nel sito e a rimuoverle, in attesa di ulteriori interventi di bonifica o di messa in sicurezza operativa o permanente”. Il successivo art. 245 individua i soggetti le-

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gittimati/obbligati ad effettuare gli interventi di comunicazione, messa in sicurezza e bonifica. In merito agli obblighi a carico del proprietario, non assoggettabile alla responsabilità quale autore della contaminazione, egli ha il solo obbligo della comunicazione all’Autorità competente (Regione, Provincia, ecc.) del superamento o pericolo concreto e attuale del superamento delle concentrazioni di soglia di contaminazione (CSC) e la mera facoltà di attivarsi per gli interventi di messa in sicurezza e bonifica. La norma si ispira al principio secondo cui l’obbligo di adottare le misure, sia urgenti che definitive, idonee a fronteggiare la situazione di inquinamento, è a carico unicamente di colui che di tale situazione sia responsabile, per avervi dato causa a titolo di dolo o colpa. Ne discende che l’obbligo di messa in sicurezza non può essere addossato al proprietario incolpevole, ove manchi ogni sua responsabilità (T.A.R. Toscana n. 1664 del 19 ottobre 2012, T.A.R. Toscana n. 1491 del 28 agosto 2012). La norma statuisce espressamente: art. 245 – Obblighi di intervento e di notifica da parte dei soggetti non responsabili della potenziale contaminazione. 1. Le procedure per gli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale disciplinate dal presente titolo possono essere comunque attivate su iniziativa degli interessati non responsabili. 2. Fatti salvi gli obblighi del responsabile della potenziale contaminazione di cui all'arti-

colo 242, il proprietario o il gestore dell'area che rilevi il superamento o il pericolo concreto e attuale del superamento della concentrazione soglia di contaminazione (CSC) deve darne comunicazione alla regione, alla provincia ed al comune territorialmente competenti e attuare le misure di prevenzione secondo la procedura di cui all'articolo 242. La provincia, una volta ricevute le comunicazioni di cui sopra, si attiva, sentito il comune, per l'identificazione del soggetto responsabile al fine di dar corso agli interventi di bonifica. È comunque riconosciuta al proprietario o ad altro soggetto interessato la facoltà di intervenire in qualunque momento volontariamente per la realizzazione degli interventi di bonifica necessari nell'ambito del sito in proprietà o disponibilità. 3. Qualora i soggetti interessati procedano ai sensi dei commi 1 e 2 entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della parte quarta del presente decreto, ovvero abbiano già provveduto in tal senso in precedenza, la decorrenza dell'obbligo di bonifica di siti per eventi anteriori all'entrata in vigore della parte quarta del presente decreto verrà definita dalla regione territorialmente competente in base alla pericolosità del sito, determinata in generale dal piano regionale delle bonifiche o da suoi eventuali stralci, salva in ogni caso la facoltà degli interessati di procedere agli interventi prima del suddetto termine.


competente la quale potrà rivalersi sul soggetto responsabile anche esercitando, nel caso in cui la rivalsa non vada a buon fine, le garanzie gravanti sul terreno oggetto dei suddetti interventi. Il proprietario, ove non sia responsabile della violazione, non ha quindi l’obbligo di provvedere direttamente alla bonifica, ma solo l’onere di farlo se intende evitare le conseguenze derivanti dai vincoli che gravano sull’area sub specie di onere reale e di privilegio speciale immobiliare. Pres. Arosio, Est. Dongiovanni - I. s.p.a. (avv.ti Bucello, Viola e Bassi) c. Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e altri (Avv. Stato), Regione Lombardia (avv. Forloni) e altri (n.c.). TAR Toscana, sez. II, sentenza n. 1664 del 19 ottobre 2012 Il principio “chi inquina, paga” vale, altresì, per le misure di messa in sicurezza d’emergenza, secondo la definizione che delle misure stesse è fornita dall’art. 240, comma 1, lett. m), del d.lgs. n. 152 cit. (ogni intervento immediato od a breve termine, da mettere in opera nelle condizioni di emergenza di cui alla lett. t) in caso di eventi di contaminazione repentini di qualsiasi natura, atto a contenere la diffusione delle sorgenti primarie di contaminazione, impedirne il contatto con altre matrici presenti nel sito ed a rimuoverle, in attesa di eventuali ulteriori interventi di bonifica o di messa in sicurezza operativa o permanente). Infatti, anche l’adozione delle misure di messa in sicurezza d’emergenza è addossata dalla normativa in discorso al soggetto responsabile dell’inquinamento. Si deve sottolineare che a carico del proprietario dell’area inquinata, che non sia altresì qualificabile come responsabile dell’inquinamento, non incombe alcun obbligo di porre in essere gli interventi in parola, ma solo la facoltà di eseguirli per mantenere l’area interessata libera da pesi.

TAR Toscana, sez. II, sentenza n. 1397 dell’11 maggio 2010 TAR Toscana, sez. II, sentenza n. 1398 dell’11 maggio 2010 … questa Sezione ha più volte avuto modo di affermare (cfr., ex multis, T.A.R. Toscana, Sez. II, 17 aprile 2009, n. 665; id., 6 maggio 2009, n. 762), tanto la disciplina di cui al d.lgs. n. 22/1997 (in particolare, l’art. 17, comma 2), quanto quella introdotta dal d.lgs. n. 152/2006 (ed in particolare, gli artt. 240 e segg.), si ispirano al principio secondo cui l’obbligo di adottare le misure, sia

urgenti che definitive, idonee a fronteggiare la situazione di inquinamento, è a carico unicamente di colui che di tale situazione sia responsabile, per avervi dato causa a titolo di dolo o colpa: l’obbligo di bonifica o di messa in sicurezza non può essere invece addossato al proprietario incolpevole, ove manchi ogni sua responsabilità.

TAR Lombardia, Milano, sez. II, sentenza n. 5355 del 10 luglio 2007 Inquinamento - Bonifica - Art. 17 D.Lgs. n. 22/1997 - Artt. 240 e ss. D.Lgs. n. 152/2006 Interventi di recupero ambientale - Proprietario o gestore dell’aera interessata non responsabile dell’inquinamento - Obbligo di procedere agli interventi di bonifica - Esclusione. L’art. 17 del D.lgs n. 22/1997, la cui impostazione sul punto è stata ora confermata e specificata dagli artt. 240 e ss. del D.lgs n. 152/2006, impone l’esecuzione di interventi di recupero ambientale anche di natura emergenziale al responsabile dell’inquinamento che può non coincidere con il proprietario ovvero con il gestore dell’area interessata. A carico di quest’ultimo (proprietario dell’area inquinata non responsabile della contaminazione), invero, non incombe alcun obbligo di porre in essere gli interventi ambientali in argomento ma solo la facoltà di eseguirli al fine di evitare l’espropriazione del terreno interessato gravato da onere reale, al pari delle spese sostenute per gli interventi di recupero ambientale assistite anche da privilegio speciale immobiliare. La normativa citata prevede infatti che, in caso di mancata esecuzione degli interventi in argomento da parte del responsabile dell’inquinamento ovvero in caso di mancata individuazione del predetto, le opere di recupero ambientale vanno eseguite dall’amministrazione

TAR Toscana, sez. II, sentenza n.1491 del 28 agosto 2012 Dal D.lgs. n. 22/1997 e gli artt. 240 e segg. del D.lgs. n. 152/2006 (cd. Codice Ambiente) si desume l’addossamento dell’obbligo di effettuare gli interventi di recupero ambientale, anche di carattere emergenziale, al responsabile dell’inquinamento, che potrebbe benissimo non coincidere con il proprietario ovvero il gestore dell’area interessata.

TAR Lazio, Roma, sez. I, sentenza n. 2263 del 14 marzo 2011 Inquinamento - Bonifica - Proprietario del sito inquinato - Diversità rispetto al responsabile dell’inquinamento - Coinvolgimento nella procedura di bonifica - Artt. 242, 244, 245, 250 e 253 d.lgs. n. 152/2006. Alla luce degli artt. 242, 244, 245, 250 e 253 del d.lgs. n. 152/2006, appare evidente che, nel sistema

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NORMATIVA

sanzionatorio ambientale, il proprietario del sito inquinato è senza dubbio soggetto diverso dal responsabile dell’inquinamento (pur potendo, ovviamente, i due soggetti coincidere); su quest’ultimo gravano, oltre altri tipi di responsabilità da illecito, tutti gli obblighi di intervento, di bonifica e lato sensu ripristinatori, previsti dal Codice dell’ambiente (in particolare, dagli artt. 242 ss.). Tuttavia, il proprietario dell’immobile, pur incolpevole, non è immune da ogni coinvolgimento nella procedura relativa ai siti contaminati e dalle conseguenze della constatata contaminazione. Ed infatti, in primo luogo, il proprietario è comunque tenuto ad attuare le misure di prevenzione di cui all’art. 242 (art. 245); in secondo luogo, il proprietario, ancorchè non responsabile, può sempre attivare volontariamente gli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale (art. 245); infine, il proprietario è il soggetto sul quale l’ordinamento, in ultima istanza, fa gravare - in mancanza di individuazione del responsabile o in caso di sua infruttuosa escussione - le conseguenze dell’inquinamento e dei successivi interventi (art. 253). In sostanza, se gli obblighi di bonifica, ripristino ambientale e quant’altro occorrente a seguito della constatata contaminazione, ovvero gli obblighi di riparazione per equivalente gravano sul responsabile dell’inquinamento, è altrettanto vero che, in subordine, qualora il responsabile non venga individuato, ovvero risulti che non sia in grado di far fronte alle proprie obbligazioni risarcitorie, le obbligazioni risarcitorie per equivalente sono dall’ordinamento posti a carico del proprietario, ancorchè “incolpevole dell’inquinamento”, attesa proprio la natura di onere reale degli interventi effettuati (art. 253). Pres. Giovannini, Est. Forlenza - S. s.p.a. (avv.ti Lo Pinto, Cintioli e Rotelli) c. Ministero dell'Ambiente e Tutela del Territorio e del Mare (Avv. Stato), Regione Abruzzo e altri (n.c.) La disciplina di cui al d.lgs. n. 22/1997 (in particolare, l’art. 17, comma 2), e quella del d.lgs. n. 152/2006 (ed in particolare, gli artt. 240 e segg.), si ispirano al principio secondo cui l’obbligo di adottare le misure, sia urgenti che definitive, idonee a fronteggiare la situazione di inquinamento, è a carico unicamente di colui che di tale situazione sia responsabile, per avervi dato causa a titolo di dolo o colpa: l’obbligo di bonifica o di messa in sicurezza non può essere invece addossato al proprietario incolpevole, ove manchi ogni sua responsabilità.

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L’Amministrazione non può, perciò, imporre ai privati che non abbiano alcuna responsabilità diretta sull’origine del fenomeno contestato, ma che vengano individuati solo quali proprietari del bene, lo svolgimento delle attività di recupero e di risanamento. L’enunciato è conforme al principio “chi inquina, paga”, cui si ispira la normativa comunitaria (cfr. art. 174, ex art. 130/R, del Trattato CE), la quale impone al soggetto che fa correre un rischio di inquinamento di sostenere i costi della prevenzione o della riparazione. Va precisato, in argomento, che il principio “chi inquina, paga” vale, altresì, per le misure di messa in sicurezza d’emergenza, secondo la definizione che delle misure stesse è fornita dall’art. 240, comma 1, lett. m), del D.Lgs. n. 152 cit. (ogni intervento immediato o a breve termine, da mettere in opera nelle condizioni di emergenza di cui alla lett. t) in caso di eventi di contaminazione repentini di qualsiasi natura, atte a contenere la diffusione delle sorgenti primarie di contaminazione, impedirne il contatto con altre matrici presenti nel sito ed a rimuoverle, in attesa di eventuali ulteriori interventi di bonifica o di messa in sicurezza operativa o permanen-

te). Infatti, anche l’adozione delle misure di messa in sicurezza d’emergenza è addossata dalla normativa in discorso al soggetto responsabile dell’inquinamento (cfr. art. 242 del D.Lgs. n. 152 cit.). Si deve sottolineare che a carico del proprietario dell’area inquinata, che non sia altresì qualificabile come responsabile dell’inquinamento, non incombe alcun obbligo di porre in essere gli interventi in parola, ma solo la facoltà di eseguirli per mantenere l’area interessata libera da pesi. Dal combinato disposto degli artt. 244, 250 e 253 del Codice ambiente si ricava infatti che, nell’ipotesi di mancata esecuzione degli interventi ambientali in esame da parte del responsabile dell’inquinamento, ovvero di mancata individuazione dello stesso – e sempreché non provvedano né il proprietario del sito, né altri soggetti interessati – le opere di recupero ambientale sono eseguite dalla P.A. competente, che potrà rivalersi sul soggetto responsabile nei limiti del valore dell’area bonificata, anche esercitando, ove la rivalsa non vada a buon fine, le garanzie gravanti sul terreno oggetto dei medesimi interventi. *Ambienterosa, Consulenze legali ambientali


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NORMATIVA

Potenzialità e vantaggi nell’impiego degli aggregati riciclati Quali novità introduce la normativa in fase di elaborazione a livello europeo nel riciclaggio dei materiali da costruzione di Flavio Cioffi*, Laura Cutaia** e Giovanni Mastino***

D

al 1 luglio 2013, la Direttiva Prodotti da Costruzione (CPD 89/106), che aveva introdotto la marcatura CE per la commercializzazione dei prodotti da costruzione, è stata abrogata e sostituita dal Regolamento Prodotti da Costruzione (Regolamento UE n. 305/2011 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 9 marzo 2011 - CPR). Questo regolamento ha introdotto importanti e rilevanti novità per i vari operatori del settore (fabbricanti, mandatari, distributori, importatori) che operano nel mercato dei Prodotti da Costruzione, intendendo con questo termine qualsiasi prodotto o fabbricato immesso sul mercato per essere incorporato in modo permanente in opere di costruzione o in parti di

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esse e la cui prestazione incide sulle opere di costruzione rispetto ai requisiti di base delle opere stesse. Tra le novità introdotte dal Regolamento 305/2011 particolare rilievo ha l’introduzione del concetto che “il requisito di base delle opere di costruzione relativo all'«uso sostenibile delle risorse naturali» deve in particolare tener conto: • della possibilità di riciclo delle opere di costruzione, dei loro materiali e delle loro parti dopo la demolizione; • della durabilità delle opere di costruzione e dell'uso di materie prime e secondarie ecologicamente compatibili nelle opere di costruzione”.

In particolare l’allegato 1 (Requisiti di base delle opere di costruzione) punto 7 (Uso sostenibile delle risorse naturali ) riporta: “Le opere di costruzione devono essere concepite, realizzate e demolite in modo che l'uso delle risorse naturali sia sostenibile e garantisca in particolare quanto segue: A. il riutilizzo o la riciclabilità delle opere di costruzione, dei loro materiali e delle loro parti dopo la demolizione; B. la durabilità delle opere di costruzione; C. l'uso, nelle opere di costruzione, di materie prime e secondarie ecologicamente compatibili. Inoltre, “ai fini della valutazione dell'uso sostenibile delle risorse e dell'impatto delle opere di costruzione sull'ambiente si deve fare uso delle dichiarazioni ambientali di prodotto, ove disponibili”. In altre parole il regolamento apre, tra le altre cose, all’utilizzo di materie secondarie e alla valutazione della sostenibilità delle risorse e delle opere di costruzione con esse realizzate utilizzando lo strumento della dichiarazione ambientale di prodotto (DAP), ossia adottando l’approccio di valutazione del ciclo di vita (LCA). Secondo il nuovo regolamento, inoltre, i prodotti da costruzione devono essere accompagnati da una Dichiarazione di Prestazione (DoP), conservata dal produttore per 10 anni dall’immissione del prodotto sul mercato, e


redatta da questo ultimo secondo lo schema previsto nell’allegato III del regolamento stesso. Tra le altre cose richieste dalla Dichiarazione di Prestazione c’è il riferimento ad eventuali norme armonizzate che specificano le caratteristiche prestazionali di determinati prodotti da costruzione. In questo ambito rileva riportare l’attività del CEN (European Committee for standardisation), nell’ambito del TC (Technical Committee) 154 che sta lavorando alla standardizzazione nel settore degli aggregati naturali, riciclati e industriali, specificando i requisiti di prestazione degli aggregati ed i metodi di campionamento e prova. Gli aggregati sono utilizzati principalmente per l'edilizia residenziale, commerciale e industriale, nelle opere pubbliche come ad esempio aeroporti, ponti, dighe, centrali elettriche, gallerie, strade e nelle massicciate ferroviarie e per protezione idraulica. Gli aggregati, inoltre, sono un componente di base per la produzione di calcestruzzo, malte e conglomerati bituminosi. Gli aggregati trovano anche applicazioni “non legate”, come ad es. per il drenaggio. Il pietrisco è uno dei principali tipi di aggregati naturali in uso e tale aggregato è

comunemente prodotto dalle stesse imprese che estraggono sabbia e ghiaia o che estraggono i materiali da cave naturali e poi sottopongono il materiale estratto a frantumazione fino ad ottenere la distribuzione granulometrica desiderata. In molti paesi europei, a causa dei vincoli ambientali e di tutela del territorio, la quota di mercato degli aggregati naturali rappresenta circa il 50% del totale della produzione complessiva di aggregati. La restante quota è rappresentata dai cosiddetti “aggregati leggeri”, che sono di prevalente origine artificiale e che trovano un’ampia fetta di mercato nella realizzazione, ad es, di blocchi per tramezzi, da “aggregati riciclati” che derivano da attività di costruzione e demolizione e da “aggregati industriali” che possono derivare dalla raccolta e dal trattamento di materie prime e rifiuti di vario genere. Il CEN TC 154 ha istituito un apposito gruppo di lavoro per verificare la compatibilità tecnica e ambientale del loro utilizzo (ad es. i residui di inceneritori). Sono attualmente in fase di pubblicazione la nuova versione della norma UNI EN 12620 e la nuova norma UNI EN 16236 che regoleranno

gli aggregati per calcestruzzo e la valutazione di conformità degli aggregati. Il campo di applicazione della norma UNI EN 12620 riguarda gli aggregati ed i filler, di origine naturale, industriale o di riciclo e le miscele di questi, destinati alla produzione di tutti i calcestruzzi, inclusi quelli che soddisfano i requisisti della EN 206-1 ed i calcestruzzi destinati alle pavimentazioni stradali e alla produzione di prefabbricati. La UNI EN 12620 individua come comparti industriali di provenienza dei sottoprodotti utilizzati per la produzione di aggregati industriali un’ampia gamma di settori tra cui le demolizioni e costruzioni, gli inceneritori di rifiuti solidi urbani, le centrali elettriche a carbone, le acciaierie, le industrie di metalli non ferrosi, le fonderie, le miniere e le cave e le attività di dragaggio. Le origini delle varie tipologie di aggregati industriali cui è applicabile la norma sono riportate in una specifica sezione: se una tipologia di aggregato industriale non è inclusa in questa sezione l’aggregato non può essere marcato CE e il produttore deve avviare una procedura per includere la tipologia nella lista. Molte delle procedure semplificate di recupero di rifiuti non pericolosi previste dal D.M. 5/2/98 conducono alla produzione di aggregati che non saranno marcabili CE dal momento della pubblicazione della norma. Per dare un’idea dell’importanza del settore della produzione di aggregati riciclati ricavabili, ad esempio, dal trattamento e recupero di rifiuti da costruzione e demolizione, basti pensare che in Italia questi costituiscono con più di 57 Mt (dati 2010) più del 41% del totale dei rifiuti speciali complessivamente prodotti (137 Mt). Mentre parallelamente vengono estratte circa 370 Mt di sabbia e ghiaia (media anni 2000-2007) che potrebbero essere in quota parte sostituite da aggregati riciclati provenienti dal recupero dei rifiuti da C&D e non solo e la cui produzione è attualmente modesta, essendo pari solo a circa 5,5 Mt. Si stima che in Italia la percentuale di riciclaggio dei rifiuti da C&D sia ancora piuttosto bassa (intorno al 10%). *Contento Trade s.r.l. **ENEA – Unità Tecnica Tecnologie Ambientali ***Amici della Terra

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NORMATIVA

la disciplina degli scarichi nei corpi d'acqua superficiali Il rispetto dei valori limite previsti dall’allegato 5, tabella 3, del D.Lgs. 152/06 di Daniele Carissimi*

G

li scarichi su acque superficiali vengono distinti dall’allegato 5 (punto 1), sulla base della tipologia delle acque che vengono scaricate, e vale a dire in: • acque reflue urbane; • acque reflue industriali. Tale distinzione sembrerebbe preludere ad un regime di alterità. La collocazione della Tabella 1 sotto il capitolo “Acque reflue urbane” lascia intendere che la stessa sia, infatti, esclusivamente relativa agli scarichi in corpi d’acqua nei limiti delle acque reflue urbane e sembrerebbe non essere applicabile la Tabella 3. Quanto al punto 1.1. (acque reflue urbane), il D.Lgs. 152/06 prevede che: “Gli scarichi provenienti da impianti di trattamento delle acque reflue urbane devono conformarsi, secondo le cadenze temporali indicate, ai valori limiti definiti dalle Regioni in funzione degli obiettivi di qualità e, nelle more della suddetta disciplina, alle leggi regionali vigenti alla data di entrata in vigore del presente decreto”.

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Anno 6 - Numero 24

La norma fa, pertanto, un espresso rinvio alle norme regionali, che risultano indispensabili, e ai valori limite che tali enti territoriali impongono anche dal punto di vista temporale. Il predetto punto 1.1. continua nello stabilire che: “Gli scarichi provenienti da impianti di trattamento delle acque reflue urbane: • se esistenti devono conformarsi secondo le cadenze temporali indicate al medesimo articolo alle norme di emissione riportate nella tabella 1; • se nuovi devono essere conformi alle medesime disposizioni dalla loro entrata in esercizio. Gli scarichi provenienti da impianti di trattamento di acque reflue urbane devono essere conformi alle norme di emissione riportate nella tabella 1 e 2”. Per gli scarichi di acque reflue urbane, pertanto - ferma restando la contestuale applicazione obbligatoria della normativa regionale - è previsto dalla norma nazionale l’obbligatorio rispetto dei parametri di cui alla tabella 1 al medesimo allegato 5 alla parte III del TUA, che riporta, per l’appunto i “Limiti di emissione per gli impianti di acque reflue urbane”. La stessa norma (tabella 1), inoltre, stabilisce che la verifica dei valori limite riguardi esclusivamente tre parametri e vale a dire: • BOD5; • COD; • Solidi Sospesi. In riferimento alla tab. 1 non può però ritenersi esaustiva qualora tali impianti risultino collegati a fognature ove siano conferiti anche reflui industriali.

Deve ritenersi esistere, infatti, un rapporto di specialità ma anche di integrazione tra la tab. 1 e la tab. 3, in cui la prima è specifica ma anche integrativa rispetto alla seconda più generale. La tab. 1 gode di autonomia rispetto alla tab. 3, infatti, solo qualora gli impianti di acque reflue urbane scarichino in corpi d’acqua superficiali senza che alla fognatura collegata all’impianto di depurazione siano allacciate utenze autorizzate a scarichi di acque industriali. È previsto infatti che si applichi la tab. 3, a tutti gli scarichi (recapitanti sia in acque superficiali che in fognatura), nella misura in cui vi siano allacci fognari di scarichi c.d. industriali. Quest’ultima tabella è, infatti, completa ed esaustiva di tutti i parametri, tra cui anche i tre di cui alla tab. 1, che ne risulta, pertanto, come detto, una specificazione dovuta alla particolare tipologia dell’impianto rappresentato dal trattamento delle acque reflue urbane. Considerato quanto esposto, è quindi lecito ritenere che, qualora lo scarico dell’impianto di depurazione contenga acque rientranti nella definizione di acque reflue industriali debba inevitabilmente applicarsi ad esso la tabella 3. Anche la nota n. 2 alla tabella 3 richiamata proprio in corrispondenza di tali tre parametri ne conferma l’applicabilità anche agli scarichi di acque reflue urbane [1]. Proprio su tale nota n. 2 (che era la medesima di cui alla Tabella 3 del D.Lgs. 152 del 1999) si era pronunciata la giurisprudenza secondo la quale “in presenza di acque scaricate da un depuratore comunale, per stabilire la tipologia


del refluo - e, quindi, dello scarico - occorre fare riferimento alla natura e alla composizione delle acque di fatto scaricate: se in esso convoglino anche "acque industriali", come è sicuramente nel caso di specie, tale dovrà essere ritenuta anche la natura del refluo. Non bisogna dimenticare, infatti, che la normativa di cui al D.lgs. n. 152/1999 [il decreto al tempo applicabile alla fattispecie decisa con tale sentenza], per adeguarsi alle direttive europee, ha dettato una disciplina degli scarichi chiaramente ispirata dall'intento di privilegiare la tipologia delle acque reflue immesse nel corpo idrico recettore rispetto alla provenienza dello scarico tant'è che - sotto il profilo del trattamento sanzionatorio - si è abbandonato qualsiasi riferimento alla dicotomia "scarico derivante da insediamento civile-scarico derivante da insediamento produttivo" per assumere il diverso criterio di differenziazione fondato sulla qualità delle acque, ora, non più presunta in relazione alla sua provenienza ma espressamente definita. Nel sistema introdotto dal D.lgs. n. 152/1999, la distinzione degli scarichi è, in definitiva, fondata sulla natura delle acque reflue in essi contenute” [2]. Conferma tale assunto un altro passaggio dello stesso punto 1.1, ultimo capoverso prima della tab. 1, ove è previsto che “Devono inoltre essere rispettati nel caso di fognature che convogliano anche scarichi di acque reflue industriali i valori limite di tabella 3 ovvero quelli stabiliti dalle Regioni.” Tale circostanza è, peraltro, ribadita e confermata nel prosieguo dell’allegato 5, punto 1.1, allorquando prevede che “I gestori degli impianti devono inoltre assicurare un sufficiente numero di autocontrolli… sugli scarichi dell’impianto di trattamento e sulle acque in entrata. L’autorità competente per il controllo deve altresì verificare… il rispetto dei limiti indicati nella tabella 3. I parametri di tabella 3 che devono essere controllati sono solo quelli che le attività presenti sul territorio possono scaricare in fognatura”. Si badi che le regioni possono modificare i parametri della tabella 3, ma possono indicare limiti meno restrittivi solo per i parametri della tabella 3 non previsti dalla tabella 5 (per questi ultimi possono infatti inserire solo limiti più restrittivi) [3].

Ciò invero è confermato dal titolo della tabella 5 “Sostanze per le quali non possono essere adottati limiti meno restrittivi di quelli indicati in tabella 3, per lo scarico in acque superficiali (1) e per lo scarico in rete fognaria (2), o la tabella 4 per lo scarico del suolo” [4]. A sostegno della doverosità del congiunto rispetto di entrambe le tabelle si segnala una recente sentenza del Tar Lazio, sez. II° quater n. 1819 del 2013. Con tale sentenza, un gestore del servizio idrico integrato impugnava il rinnovo dell’autorizzazione per lo scarico delle acque reflue urbane provenienti dal depuratore biologico lamentando - inter alia - l’illegittimità della prescrizione che imponeva allo stesso gestore il rispetto dei limiti della Tab. 3 di cui all’All. 5, parte III, del D.Lgs. 152/06. Il Tribunale Amministrativo ha ritenuto giustificato tale limite dalla tabella 3 affermando che “… è lo stesso Legislatore (cfr. All. 5, parte III del D.Lgs. 152/06, punto 1.1.) ad aver previsto nel caso di reflui urbani - che per loro stessa natura possono contenere anche reflui industriali, essendo misti - l’assoggettamento al rispetto della tab. 3 nel caso in cui vi siano scarichi di acque reflue industriali. La ratio della disposizione è chiara: si vuole evitare che vengano immessi nei corpi idrici superficiali reflui non adeguatamente trattati e dunque potenzialmente pericolosi per la salubrità dell’ambiente; pertanto, quando sia accertata la presenza all’interno dei reflui urbani di acque reflue industriali, devono essere rispettati i più stringenti parametri di sicurezza previsti dalla tab. 3.” [5] Alla luce delle considerazioni svolte, per gli impianti di trattamento di acque reflue urbane nei quali confluiscono anche acque reflue industriali dovranno quindi essere rispettati: • tutti i parametri della tabella 3, così come integrata, per i parametri BOD5, COD, Solidi Sospesi, dai valori limite di cui alla tabella 1; • per i parametri della tabella 3 presenti anche nella tabella 5, i valori limite disposti dalle Regioni - se stabiliti - purché non si-

ano meno restrittivi di quelli previsti dalla tabella 3; • per i restanti parametri di cui alla tabella 3, (ovvero quelli che non rientrano nella tabella 5), che potranno essere previsti anche in maniera meno restrittiva dalla norma regionale. *Ambiente Legale s.r.l.

NOTE [1] Nota n. 2 alla tabella 3: “Per quanto riguarda gli scarichi di acque reflue urbane valgono i limiti indicati in tabella 1 e, per le zone sensibili anche quelli di tabella 2. [2] Corte di Cassazione Civile, Sez. I, 16/05/2006 (Ud. 03/03/2006), Sentenza n. 11479. [3] cfr. art. 101 co. 2. [4] La nota n. 2 della tabella 5 prevede che: “Per quanto riguarda gli scarichi in fognatura, purché sia garantito lo scarico finale della fognatura rispetti i limiti di tabella 3, o quelli stabiliti dalle regioni, l'ente gestore può stabilire per i parametri della tabella 5, ad eccezione di quelli indicati sotto i numeri 2, 4, 5, 7, 14, 15, 16 e 17, limiti di accettabilità i cui valori di concentrazione superano quello indicato in tabella 3”. [5] Nel caso di specie, nella quale il gestore dell’impianto non ha comunicato quale sia la natura dei reflui, legittimamente la Provincia - applicando il principio di precauzione -, ha imposto i limiti più stringenti, non potendo escludere la presenza di immissioni di acque reflue industriali. In altre parole, in presenza di una normativa che assoggetta al rispetto dei limiti di tab. 3 in caso di reflui urbani contenenti anche reflui industriali, è onere del gestore fornire alla Provincia i dati dai quali risulta se siano stati o meno autorizzati scarichi industriali in fognatura nella zona di riferimento, acquisendo - se del caso - le relative informazioni dall’Amministrazione comunale che li ha autorizzati.

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N oti z i e da a s s o c i a zioni e ret i

L’avviso 2013 per la realizzazione della “Filiera RI-inerte ® ” - Lazio E’ stato pubblicato e diffuso nei giorni scorsi l’avviso pubblico per esprimere manifestazioni di interesse da parte di imprese e/o soggetti operanti nella regione Lazio nel settore edilestradale e/o movimento terra per la partecipazione al completamento della “Filiera RI-inerte®”. La possibilità viene inoltre offerta ad imprese che esercitano un’attività economica integrata e funzionale all’oggetto dell’avviso. In attuazione di quanto previsto e a copertura dell’investimento per la realizzazione dell’iniziativa, sarà possibile utilizzare uno specifico finanziamento. L’iniziativa della “Filiera RI-inerte®”, prevista dalla normativa in materia ambientale (D.Lgs. 152/06) è in linea con le disposizioni contenute nei Regolamenti Regionali per la gestione dei materiali

edili, rientra tra le attività previste dall’Accordo di Programma sottoscritto con il C.N.G. (Consiglio Nazionale dei Geometri e Geometri Laureati) e UNITEL (Unione Nazionale Italiana Tecnici Enti Locali) e prevede la realizzazione di Centri di Raccolta e Recupero di rifiuti inerti da C&D e macerie edilizie su tutto il territorio regionale mediante l’attuazione, per il completamento, di Piani Territoriali provinciali per la produzione di aggregati certificati “RI-inerte®”. Non si tratta di un'operazione isolata, destinata, come spesso accade, a estinguersi perché non strutturata e senza definizione di ruoli e settori coinvolti, bensì del progetto di un'unica filiera regionale che, una volta a regime, sarà in grado di gestire l'intero processo: dalla raccolta alla trasformazione, dal recupero al riutilizzo di aggregato riciclato conforme agli standard richiesti dalla Circolare MinAmbiente n. 5205 nel settore edile strada-

le per la realizzazione di opere edili pubbliche e private, che gli Enti hanno l’obbligo di impiegare nella misura non inferiore al 30% del fabbisogno (D.M. 8/5/2003 n. 203). Tale iniziativa è ritenuta utile e conforme alle indicazioni contenute nella D.G.R. 26 gennaio 2012, n. 34 (Linee guida per la gestione dei rifiuti inerti nella Regione Lazio). Oltre a una notevolissima rilevanza economica e occupazionale sul piano locale, l’iniziativa tende a risolvere l’annoso problema dell’abbandono dei rifiuti edili e crea notevoli prospettive di investimento per gli operatori, mettendo in condizione gli Enti di rispettare gli obblighi imposti dall’art. 181 del D.Lgs. 152/06 sul raggiungimento degli obiettivi di recupero dei rifiuti inerti entro il 2020 pari ad almeno il 70%. Il testo integrale dell’avviso è disponibile sui siti: www.studiambientali.org – www.recinert.it

Per i prodotti da costruzione arriva la “nuova” marcatura CE Dal 1° luglio 2013 il Regolamento UE n. 305/2011 del 9/3/2011 manda definitivamente in pensione la vecchia Direttiva Europea n. 89/106/CEE sulla marcatura CE dei prodotti da costruzione. Il provvedimento fissa, ai fini dell’utilizzo, le condizioni armonizzate per la commercializzazione e la marcatura dei prodotti edili garantendo che il fabbricante abbia eseguito i controlli standard, sia durante le fasi di progettazione che di fabbricazione, sulle materie prime, sui macchinari e sui requisiti del prodotto finito. Il Regolamento n. 305/2011 (composto da 68 articoli e 5 allegati) non ha bisogno di essere recepito in quanto legge comunitaria e pertanto, una volta pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Europea (4/4/2011), è entrato in vigore dal 24 aprile del 2011 in tutti gli stati membri. Tuttavia è stata prevista un’entrata in vigore parziale per consentire agli operatori un adeguamento graduale: gli articoli 1, 2, 29-35, 39-55, 64, 67, 68 e l’Allegato IV sono operativi, appunto, dal 24 aprile 2011, mentre i rimanenti articoli 3-28, 36-38, 56-63 e gli articoli 65 e 66, nonché gli Allegati I, II, III e V, sono vigenti solo dal 1° luglio 2013. In base alla nuova normativa, la dichiarazione di conformità viene sostituita dalla dichiarazione di prestazione (Dop), che deve essere redatta dal fabbricante secondo uno schema tipologico e deve contenere informazioni su sostanze pericolose ai sensi del Regolamento Reach (articoli 31 e 33 del regolamento). Inoltre, i requisiti di base delle opere civili e d’ingegneria passano da 6 a 7 e viene introdotto il re-

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quisito che riguarda l’uso sostenibile delle risorse naturali (tutela dell’ambiente) secondo cui le opere di costruzione devono essere concepite, realizzate e demolite in modo che l’uso delle risorse naturali sia sostenibile e garantisca in particolare quanto segue: a. il riutilizzo o la riciclabilità delle opere di costruzione, dei loro materiali e delle loro parti dopo la demolizione; b. la durabilità delle opere di costruzione; c. l’uso, nelle opere di costruzione, di “materie prime e secondarie ecologicamente compatibili”.

La Dichiarazione di prestazione (art. 4)

Quando un prodotto da costruzione rientra nell’ambito di applicazione di una norma armonizzata o è conforme a una valutazione tecnica europea rilasciata per il prodotto in questione, “il fabbricante redige una dichiarazione di prestazione (Dop) all’atto dell’immissione di tale prodotto sul mercato”. Nella Direttiva n. 89/106/CEE il fabbricante era tenuto alla redazione della dichiarazione di conformità CE.

Procedure semplificate (art. 37)

Il Regolamento prevede inoltre l’uso di procedure semplificate da parte delle microimprese, ma solo per prodotti da costruzione rientranti in alcuni dei Sistemi di Attestazione da esso regolamentati al fine di salvaguardare il livello di sicurezza e sorveglianza sul mercato.

Sostanze pericolose (artt. 31 e 33)

La dichiarazione di prestazione dovrà riportare informazioni relative al contenuto di sostanze pericolose

nel prodotto da costruzione, al fine di migliorare la possibilità di realizzare costruzioni ecosostenibili e lo sviluppo di prodotti rispettosi dell'ambiente.

Marcatura CE

Il marchio CE sarà seguito dall'anno in cui è stata apposta per la prima volta. Il nome e l'indirizzo del produttore dovranno essere indicati in maniera chiara e certa.

Norme armonizzate

Dovrà essere elaborato un metodo uniforme europeo per l'attestazione di conformità ai requisiti fondamentali.

Documento europeo di valutazione

Il documento deve contenere una descrizione generale del prodotto da costruzione, la lista delle caratteristiche legate all'utilizzo previsto e concordate fra il produttore e gli organismi di valutazione tecnica (TAB), i metodi e i criteri per valutare le qualità del prodotto in relazione a caratteristiche essenziali.

Product Contact Point

Gli Stati membri devono inoltre designare Product Contact Point per fornire informazioni sui prodotti da costruzione e il loro uso a titolo gratuito e dovranno mostrarsi imparziali per quanto riguarda il processo di ottenimento della marcatura CE.

Fabbricazione tradizionale

I prodotti da costruzione fabbricati in modo tradizionale o in modo adeguato alla conservazione del patrimonio, in un processo non industriale possono essere esentati dalla regola della dichiarazione di prestazione.


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N oti z i e da a sso c i a z ioni e ret i

RECONnet: la rete nazionale sulla gestione e la bonifica dei siti contaminati

La Rete Italiana sulla gestione e Bonifica dei Siti Contaminati (RECONnet) è stata costituita nel 2010 a seguito di un accordo di collaborazione stilato tra il Dipartimento di Ingegneria Civile e Ingegneria Informatica dell’Università di Roma “Tor Vergata”, in qualità di soggetto promotore, e il Dipartimento Installazioni di Produzione ed Insediamenti Antropici (DIPIA) - Settore Ricerca, Certificazione e Verifica dell’Istituto Nazionale Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro (INAIL), il Dipartimento di Scienze della Vita dell’Università del Piemonte Orientale “Amedeo Avogadro”, il Dipartimento di Idraulica, Trasporti e Strade dell’Università di Roma “La Sapienza”, l’Istituto Superiore per la Ricerca Ambientale (ISPRA), e l’Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale del Lazio, in qualità di aderenti. Il principale scopo della rete è quello di costituire un luogo di discussione e confronto tra gli stakeholder coinvolti a vario titolo nelle attività di gestione e bonifica dei siti contaminati, incoraggiando la collaborazione e promuovendo scambi di informazioni e contatti tra istituti scientifici, enti di ricerca, università, enti di controllo, imprese e società di consulenza. Instaurando una proficua collaborazione tra gli stakeholder, la rete si auspica di contribuire alla soluzione delle principali criticità di carattere tecnico ed amministrativo che attualmente rallentano l’evoluzione dei procedimenti di bonifica. La rete non si propone come mero luogo di discussione, ma punta a fornire prodotti, quali documenti tecnici o strumenti operativi innovativi, che possano essere utilizzati a livello nazionale nell’ambito dei procedimenti di bonifica. I prodotti della rete sono già stati e saranno oggetto di adeguata diffusione tramite il sito web della rete (www.reconnet. net) e mediante l’organizzazione di convegni, seminari e workshop. Come illustrato in Figura 1, nel suo primo triennio di attività, la rete ha subito una forte espansione, che ha portato il numero di membri a 38 tra Università, Istituti, Agenzie Ambientali, Imprese e Società di consulenza.

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Figura 1. I membri della rete Reconnet

A conclusione dei suoi primi tre anni di attività, il 4 luglio 2013 il DIPIA dell’INAIL e l’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, in collaborazione con il Dipartimento Centrale Prevenzione dell’INAIL, hanno organizzato, presso l’Auditorium di Piazzale Giulio Pastore, un workshop dal titolo “La bonifica dei siti contaminati: aggiornamento tecnico su tematiche di rilievo nazionale”. Al workshop hanno partecipato più di 240 persone, appartenenti per circa il 30% ad istituzioni pubbliche centrali o locali, per il 15% ad università, per il 15% a enti di ricerca, per il 35% ad aziende di settore e per il restante 5% a liberi professionisti. Il workshop ha rappresentato un’occasione per la presentazione e discussione delle attività svolte dai diversi gruppi di lavoro della rete, i cui obiettivi e risultati sono brevemente descritti nel seguito del presente articolo.

I gruppi di lavoro di RECONnet

Analisi di rischio sanitario-ambientale Coordinamento del GdL: Simona Berardi (INAIL) - Componenti del gruppo di lavoro: Igor Villani, (Provincia di Ferrara), Andrea Sconocchia (ARPA Umbria), Antonio Traversa (ARPA Lazio), Andrea Forni e Iason Verginelli (Univ. Tor Vergata), Pamela Marescalco (Politecnico di Torino) Il gruppo di lavoro ha innanzitutto completato la validazione del software di analisi di rischio sanitario-ambientale (per popolazione e lavoratori) “RISK-NET ver. 1.0” e ha predisposto il relativo documento, scaricabile dal sito della rete. L'analisi di rischio sanitario-ambientale viene attualmente utilizzata come strumento di supporto per la gestione dei siti contaminati, mediante una stima quantitativa del rischio per la salute umana (residenti e/o lavoratori) connesso alla presenza di inquinanti nelle


diverse matrici ambientali. Come noto, l'applicazione dell'analisi di rischio (AdR), in modalità diretta, per il calcolo del rischio e/o in modalità inversa, per il calcolo di obiettivi di bonifica sito-specifici, è prevista da numerosi strumenti normativi vigenti (D.Lgs. 152/06 e s.m.i., D.M. 7/11/2008 e s.m.i., Circolare MATTM 30/06/2009). A livello nazionale, il documento di riferimento per l'applicazione dell'AdR è “Criteri metodologici per l’applicazione dell’analisi di rischio ai siti contaminati”, elaborato da APAT (ora ISPRA) nel 2008. Il software “RISK-NET” rappresenta il primo prodotto della rete RECONnet ed è stato predisposto dall’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”. Anche se per l’applicazione della procedura di AdR sono disponibili diversi software applicativi, RISK-NET rappresenta il primo software gratuito in grado di applicare la procedura di analisi di rischio in completo accordo con i criteri metodologici ISPRA. Successivamente, il gruppo di lavoro ha elaborato uno studio comparativo dei software di analisi di rischio sanitario (per popolazione e lavoratori) più comunemente utilizzati a livello nazionale, anch’esso scaricabile dal sito della rete, che include, oltre ai software commerciali più utilizzati e al software RISK-NET, anche il software RACHEL, sviluppato dal Politecnico di Torino. Analisi di rischio ecologico Coordinamento del GdL: Renato Baciocchi (Università di Roma “Tor Vergata”) e Guia Agostini (Università di Roma “Tor Vergata”) - Componenti del gruppo di lavoro: Silvana Bifulco (ARPA Sicilia), Rossana Cintoli (ARPA Lazio), Lucina Lucchetti (ARTA Abruzzo), Antonio Diligenti (ARTA Abruzzo), Adele Lo Monaco (ARTA Abruzzo), Biancamaria Pietrangeli (INAIL), Antonio Scalari (Water&Soil), Andrea Sconocchia e Paolo Sconocchia (ARPA Umbria), Francesco Ioppolo (Arcadis), Valentina Pizzato (Arcadis), Giovanni Torchia (Golder Associates), Stefania Verdelocco (AECOM), Iason Verginelli (Università di Roma “Tor Vergata”), Aldo Viarengo (Università del Piemonte Orientale), Maria Chiara Zanetti (Politecnico di Torino) Sebbene la normativa in tema di bonifiche non preveda esplicitamente l’applicazione di questo strumento, la rete RECONnet ha comunque valutato l’opportunità di costituire un gruppo di lavoro per attivare una discussione

sul possibile ruolo e sulle modalità di applicazione dell’analisi di rischio ecologico. Da un primo esame delle altre normative europee e internazionali è infatti emerso che l’analisi di rischio ecologico (ERA) è invece frequentemente prevista come strumento di stima del rischio in siti contaminati per i recettori ecologici - intesi come popolazione, comunità o ecosistema - in alternativa o in combinazione all’analisi di rischio per la salute umana. D’altra parte, pur in assenza di riferimenti procedurali, l’analisi di rischio ecologico è stata già proposta anche nel nostro Paese in alcuni siti contaminati in cui il modello concettuale elaborato evidenziava criticità nell’esposizione di recettori ecologici piuttosto che umani, ovvero in procedimenti per la valutazione del danno ambientale. Tale sarebbe anche il caso di molti siti oggetto di smaltimento abusivo di rifiuti, spesso collocati lontano dai centri abitati e, quindi, non frequentati da recettori umani per i quali la sola analisi di rischio sanitaria porterebbe ad una sottostima del rischio effettivo per l’ecosistema. Il gruppo di lavoro ha iniziato a elaborare un documento sulle modalità di applicazione dell’analisi di rischio ecologico, prendendo a riferimento le esperienze già consolidate in altri Paesi, sulla base delle seguenti attività: • analisi degli standard internazionali di procedure per l’applicazione di ERA; • analisi degli standard internazionali per la definizione di valori soglia ecologici, basati su analisi di rischio ecologico “sito generico”; • definizione di test ecotossicologici e tecniche di biomonitoraggio per la conduzione di ERA “sito specifica”; • criteri di interpretazione dei risultati e caratterizzazione del rischio; • analisi dei tools disponibili a supporto dell’ERA. Interazione tra gestione delle discariche e normativa bonifiche Coordinamento del GdL: Andrea Forni (Univ. Tor Vergata) e Igor Villani (Provincia di Ferrara) - Componenti del gruppo di lavoro: Elisabetta Bemporad (INAIL), Lucina Lucchetti e Adele Lo Monaco (ARTA Abruzzo), Elisabetta Perrotta (FISE-Assoambiente), Roberto Riberti e Manuela Aloisi (ARPA Emilia Romagna), Andrea Sconocchia e Paolo Sconocchia

(ARPA Umbria), Domenico Sole Greco (Provincia Regionale di Siracusa), Maria Chiara Zanetti (Politecnico di Torino) Il gruppo di lavoro sta elaborando un documento nel quale saranno proposti dei criteri per gestire situazioni di inquinamento della falda in corrispondenza di discariche di rifiuti, utilizzando gli strumenti disponibili nell’ambito normativo di settore (autorizzazione ai sensi del D.Lgs. n. 36/2003 o Autorizzazione Integrata Ambientale), prevenendo ove possibile l’attivazione di onerose procedure di messa in sicurezza e/o bonifica; ovviamente ciò consente anche di contenere un eventuale aggravio di esposizione dei lavoratori della discarica, oltre che dei recettori esterni. Il documento, elaborato in bozza e attualmente sottoposto alla valutazione da parte dei membri della rete, è così strutturato: • inquadramento di sintesi “Normativa Discariche” e “Normativa Siti Contaminati”; • esempi di interprocedure AIA per la gestione dei superamenti dei limiti in acque sotterranee; • metodologia tecnica per stabilire i limiti di guardia nelle acque sotterranee; • ottimizzazione del software Leach8 (elaborato dal Dipartimento di Ingegneria Civile dell’Università di Roma “Tor Vergata”) per la concessione di deroghe e sottocategorie (ex DM 27/09/2010 e procedura ISPRA 2011); • definizione dei livelli di guardia e monitoraggio delle emissioni in atmosfera nelle discariche di rifiuti.

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N oti z i e da a sso c i a z ioni e ret i

Intrusione di vapori Coordinamento del GdL: Laura D’Aprile (ISPRA) e Simona Berardi (INAIL) - Componenti del gruppo di lavoro: Elisabetta Bemporad (INAIL), Franceso Ippolo (Arcadis), Renato Baciocchi e Iason Verginelli (Univ. di Roma Tor Vergata), Igor Villani (Provincia di Ferrara), Angiolo Calì (Golder), Elisa Paganelli (ARPA ER), Roberto Riberti (ARPA ER), Antonio Traversa (ARPA Lazio), Andrea Forni (Univ. di Roma Tor Vergata), Davide Manucra (ARPA ER), Alessandro Girelli (Industria Ambiente), Elisa Rainaldi (Mares), Marialuisa Cremonesi e Alessandro Monteverdi (CH2M HILL), Donatella Giacopetti (Unione Petrolifera), Walter Tomazolli, Monica De Rossi, Alessandro Moltrer; Giancarlo Anderle (APPA Trento), Lucina Lucchetti (ARTA Abruzzo), Alessandro Gargini (Università di Bologna) Il gruppo di lavoro, di recente costituzione, si occupa di una tematica che è diventata fondamentale a livello nazionale ed internazionale, in considerazione del fatto che i modelli di trasporto ed i parametri di input utilizzati per il percorso di intrusione di vapori in ambienti confinati conducono tipicamente a risultati estremamente conservativi. Le attività del gruppo di lavoro saranno finalizzate all’individuazione dei principali elementi critici che determinano l’eccessiva conservatività degli attuali approcci modellistici utilizzati nell’ambito dell’analisi di rischio e alla proposta di approcci alternativi che consentano di descrivere in maniera più realistica questa via di esposizione. La combinazione tra misure sperimentali e approcci modellistici innovativi, che tengano conto di fenomeni di attenuazione naturale, sarà uno degli aspetti oggetto di particolare attenzione.

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POPs (Persistent Organic Pollutants) Coordinamento del GdL: Elisabetta Bemporad (INAIL) - Componenti del gruppo di lavoro: Simona Berardi (INAIL), Laura D’Aprile (ISPRA), Alessandro Ledda (INAIL), Igor Villani (Provincia di Ferrara), Davide Manucra (ARPA ER) Il gruppo di lavoro, di recente costituzione, affronta la tematica dei POPs (Persistent Organic Pollutants), con particolare riferimento a quelli di nuova determinazione nell'ambito della Convenzione di Stoccolma (es. Polibromodifenileteri o PBDE e gli Acidi perfluoroottanoico - PFOA, e perfluoroottansulfonico-PFOS e i corrispondenti sali). Questi sono stati recentemente introdotti anche nel Regolamento CE/850/2004 e s.m.i., che disciplina i POPs ai fini della limitazione della loro diffusione nell’ambiente, ovvero di tutela dell’uomo dall’esposizione agli stessi. Il D.Lgs. 152/06 e s.m.i. non prevede alcuno di questi POPs. Le attività del gruppo di lavoro prevedono: la proposta di valori soglia per il comparto ambientale suolo, per siti a destinazione d’uso sia industriale/commerciale sia residenziale ed il confronto con analoghi valori soglia definiti da altri Paesi; l’identificazione di potenziali sorgenti (storiche) e dei livelli antropici di fondo; l’individuazione delle possibili tecnologie di bonifica. Bonifica sostenibile (SuRF Italy) Coordinamento del GdL: Claudio Albano (CH2M HILL) - Componenti del gruppo di lavoro: Alessandro Battaglia (ERM), Francesco Ioppolo (Arcadis), Camilla Guzman (Golder), Silvia Paparella (Enecor), Mario Sunseri (SGM Ingegneria), Andrea del Frate (Studio Geotecnico Italiano), Sabrina Saponaro (Politecnico di Milano), Tina Corleto (Rivista ECO), Altri componenti in corso di iscrizione alla rete Reconnet Il gruppo di lavoro, anch’esso di recente costituzione, si pone come obiettivo la definizione e applicazione di pratiche e approcci condivisi di sostenibilità degli interventi di bonifica, promuovendo lo sviluppo di iter progettuali improntati ai criteri di sostenibilità ambientale, sociale ed economica, e che tengano conto delle priorità dei diversi stakeholders. Tale obiettivo sarà perseguito tramite le seguenti attività: • portare gradualmente alla modifica del concetto corrente di “bonifica” verso

quello di “bonifica sostenibile”, anche tramite la diffusione di quanto di positivo è stato sviluppato in Italia; • promuovere lo sviluppo di iter progettuali improntati ai criteri di sostenibilità ambientale, sociale ed economica, e che tengano conto delle priorità dei diversi stakeholders; • confrontarsi con le realtà Europee ed internazionali stabilendo circoli virtuosi di scambio di informazioni di buone pratiche e risultati raggiunti. Conclusioni e prospettive

In soli tre anni di vita, la rete RECONnet è diventata un importante riferimento a livello nazionale nell’ambito della gestione e bonifica di siti contaminati. Da un accordo siglato nel 2010 tra tre università e due istituti scientifici, si è infatti sviluppata una rete che include ad oggi quasi 40 membri, con ancora ottime possibilità di ulteriore espansione. Nel breve periodo di operatività, la rete ha contribuito allo sviluppo e alla validazione del software RISKNET, che ad oggi risulta essere stato scaricato da più di 1000 utenti; ha prodotto inoltre un documento di validazione dei software di analisi di rischio disponibili sul mercato e ha elaborato documenti tecnici su importanti aspetti delle bonifiche di siti contaminati, che sono attualmente in fase di emissione e saranno presto resi disponibili sul sito della rete. Nello stesso periodo sono stati inoltre organizzati diversi eventi di diffusione dei risultati della rete, sia nell’ambito dell’ormai tradizionale evento annuale presso la sede INAIL, che nell’ambito dell’evento REMTECH, partner della rete. A Settembre 2013 è stata inoltre organizzata una scuola di formazione sulle bonifiche, in occasione dell’evento "RAVENNA 2013-Fare i conti con l’ambiente"; nello stesso mese, è stata organizzata insieme al centro di competenza australiano sulle bonifiche CRC-CARE una sessione del convegno CLEANUP 2013 (Melbourne - Australia), avente come oggetto le criticità e prospettive di evoluzione dell’analisi di rischio. L’ulteriore strutturazione della rete, prevista nel prossimo triennio, consentirà auspicabilmente a RECONnet di consolidarsi come luogo di discussione di riferimento nella gestione e bonifica dei siti contaminati.


VETRINA

Prove pilota di MPE: testato un nuovo sistema mobile progettato da Golder Golder ha testato un nuovo sistema mobile per l’esecuzione di prove pilota per il sistema di estrazione multifase, Multi-Phase Extraction (MPE), una tecnologia di bonifica ampiamente utilizzata per l’estrazione di vapori, del prodotto in fase separata e acqua da pozzi. L’installazione di sistemi tradizionali può avere importanti vincoli di tipo contrattuale (noleggio di impianti), logistico (predisposizione di allacciamenti utilities, movimentazione in sito) e autorizzativo (accesso al sito, emissioni in atmosfera, ecc.). In considerazione di questi vincoli, Golder ha progettato un sistema mobile da utilizzare con il supporto di comuni mezzi d’opera già autorizzati a operare in sito (autospurgo). Le prove hanno l’obiettivo di definire le concentrazioni dei contaminanti in fase vapore e in fase liquida, definire le portate di aria e acqua, studiare il flusso multifase (aria+acqua+prodotto), definire le prestazioni nel sollevamento di acqua e prodotto da pozzi profondi. L’impianto mobile presenta le seguenti caratteristiche: • Portate di aria: comprese tra 50–500 m3/h (in funzione della pompa dell'autospurgo) • Depressione (max): circa 800 mbar • Portata di acqua (max): 1-3 m3/h • Peso: <500 kg Le prove hanno permesso di definire tutti i parametri di processo, di valutare differenti configurazioni di slurper (parte terminale della tubazione di estrazione all’interno del pozzo) al fine di ottimizzare l’estrazione di una fase mista al variare delle condizioni freatimetriche nel tempo e di studiare il rapporto tra velocità di trascinamento del fluido all’interno della tubazione e possibile profondità di estrazione. È stato inoltre implementato un sistema di campionamento pneumatico per il prelievo di campioni da tubazioni in depressione. Nello specifico il sistema presenta i seguenti vantaggi: • è semplice e può essere usato ovunque, con grande facilità di movimentazione; • non necessita di utenze (come ad esempio l’allacciamento elettrico); • consente la determinazione di tutti i parametri necessari alla progettazione dell’impianto di bonifica; • sistema pneumatico e componenti ATEX; • disponibilità di pompa a vuoto di grandi dimensioni (autospurgo); • risulta quindi economico rispetto ad impianti pilota tradizionali.

ECOMEDIT: CONTROLLI DI TENUTA SU VASCHE E SERBATOI INTERRATI L’utilizzo di tecnologie non distruttive certificate EPA a livello internazionale e riconosciute UNICHIM, permette in modo certo e sicuro ai tecnici qualificati EcoMedit s.r.l. di effettuare prove di tipo “strumentale” per la verifica della tenuta su vasche e serbatoi adibiti allo stoccaggio di prodotti liquidi inquinanti come acque di processo, emulsioni, composti chimici e idrocarburi in genere. Iscritta all’Albo Nazionale delle imprese che effettuano la Gestione dei rifiuti cat. 5, 8, 9, certificata ISO 9001:2008 per la qualità, ISO 140001:2004 per l’ambiente, qualificata ad operare in ambienti sospetti di inquinamento o confinati D.P.R. 177/11 per la pluriennale esperienza nel settore petrolchimico, offre servizi quali: controlli spessimetrici delle lamiere norme UNI473 e ISO 9712, elaborazione di tabelle metriche di taratura norma API 255 e ISO 7507, bonifica gas-free, risanamento lamiere interne e dismissione serbatoi con una severa applicazione dei protocolli di sicurezza e formazione definiti dal Sistema di Gestione interno, in ottemperanza al D.Lgs. 81/08 e smi.

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V E T RIN A

Trasmettitori di pressione OEM digitali incapsulati non più grandi di un’ape Keller S.p.A., società per le tecnologie manometriche, recentemente ha lanciato il più piccolo trasmettitore digitale combinato di pressione e temperatura, con piena funzionalità, attualmente disponibile sul mercato. Nella gamma LD di Keller, tutte le componenti elettroniche sono alloggiate in una scocca in acciaio inossidabile saldata al laser e riempita di olio siliconico. Con un diametro di appena 11 mm (la stessa lunghezza di un’ape operaia europea), la scocca di alloggio contiene la tecnologia dei sensori, i coefficienti (matematici) di compensazione, l’elaborazione digitale del segnale e, infine, l’interfaccia I2C per un’integrazione semplice e completa in sistemi di livello superiore. Realizzata in acciaio inossidabile o in lega Hastelloy, la scocca di alloggio non solo funge da gabbia di Faraday ma offre anche un’adeguata protezione contro le radiazioni elettromagnetiche e tutti i potenziali influssi ambientali. Grazie alla tecnologia Chipin-Oil (microcircuito immerso in olio) sviluppata da Keller, si possono realizzare percorsi del segnale estremamente brevi e con una resistenza agli urti e alle vibrazioni eccezionalmente elevata. Sei campi di misurazione standard si estendono da 1 a 200 bar assoluti con un campo di temperatura compensata di -10°C…+80°C (sono in corso di sviluppo anche versioni per pressioni elevate fino a 1000 bar). La precisione è migliore di ±0,15%FS, e tra 0…50°C si ottiene una fascia di errore totale minore di ±0,5%FS. La precisione di misurazione della temperatura e di ±2K. I trasmettitori della gamma LD sono ottimizzati per le applicazioni con alimentazione a batteria: ad esempio, durante la conversione da analogico a digitale, il consumo di corrente e di ~ 1,5 mA, che scende a ~ 0,1 μA in modalità “inattivo”. Il campo della tensione di alimentazione di 1,8…3,6 VDC corrisponde a normali condizioni ambientali del microprocessore. Con un diametro di soli 11 mm, la Serie 4 LD è la più piccola di quattro versioni. Per le misurazioni di pressione relative sono disponibili anche modelli più grandi con diametri da 15 mm, 17 mm e 19 mm: offrono un campo di temperatura supplementare (-40°C…+110°C) senza modifiche delle proprietà elettriche.

Tecnoecology: pelacavi dal 1989 Tecnoecology s.r.l., in collaborazione con la Ditta Grimo s.r.l., progetta e realizza macchine e sistemi per il recupero del rame e dell’alluminio contenuto nei cavi elettrici di varie dimensioni. Il prodotto di punta dell’azienda, che da anni è consolidato sul mercato, è la pelacavi modello maxi 100 che da quest’anno è stata rinnovata e aggiornata in tutte le sue parti grazie a un accurato restyling della carpenteria, l’inserimento delle protezioni di sicurezza per una maggiore tranquillità dell’operatore e l’aggiunta di pedaliera di comando. La macchina, progettata per separare il rame o l’alluminio nel cavo elettrico dall’involucro, di plastica, di piombo o altro materiale di diverso spessore, ha un consumo elettrico di 380 volt/2,2 kW e una velocità di lavorazione di 22 metri al minuto. È costruita con doppia motorizzazione e doppia lama per incidere e tagliare la guaina isolante dei cavi, il tutto in piena sicurezza. Evoluta nel tempo, rimane un elemento insostituibile nel mondo del riciclaggio insieme al resto dei prodotti che Tecnoecology s.r.l. offre per coprire le principali esigenze nell’ambito del recupero dei metalli. Per visualizzare tutta la gamma di macchine (pelacavi, cesoie, premacinatori e impianti) che Tecnoecology offre, è possibile visitare il sito www.tecnoecology.com. Tecnoecology s.r.l. sarà presente alla Fiera Ecomondo di Rimini dal 6 al 9 Novembre 2013 padiglione C3 stand numero 048.

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E COAP P U N TA ME N TI FORLENER

Vercelli, dal 27 al 29 settembre

Forlener è la principale fiera italiana dedicata alla filiera foresta–legno–energia, l’unica manifestazione che mette in mostra prodotti, servizi e tecnologie secondo una logica di filiera. L’edizione 2013 si presenta con forti aspettative e un rinnovato programma di iniziative: visite guidate con percorsi di filiera, Premio Innovazione Forlener, Pellet Days, tour agli impianti, dimostrazioni tecnico pratiche e formazione professionale. Forlener è l’appuntamento per le imprese agricole e forestali che vogliono aggiornarsi o rinnovare il proprio parco macchine; per installatori e progettisti che vogliono conoscere i vantaggi dell’energia rinnovabile; per il privato che intende riscaldare la propria casa in modo naturale; per quanti vogliono crearsi un’opportunità di lavoro nella green economy. www.forlener.it

SARDINIA

Santa Margherita di Pula, dal 30 settembre al 4 ottobre

Istituiti nel 1987 con lo scopo di rendere facilmente disponibili e condivisibili le conoscenze e le esperienze nel campo della gestione dei rifiuti e dello scarico controllato, i Simposi Sardinia sono diventati uno dei principali forum di riferimento a livello mondiale per gli esperti del settore che ogni due anni si ritrovano in una delle vetrine più prestigiose per la ricerca nazionale e internazionale. Il programma si articolerà in otto sessioni parallele dedicate alla presentazione di contributi orali, svariati workshop e una sessione poster. Sulla base delle positive esperienze delle edizioni del 2009 e 2011, anche quest'anno verrà organizzata una sessione interamente dedicata a lavori presentati in lingua italiana. www.sardiniasymposium.it

MADE expo

Milano, dal 2 al 5 ottobre

Made expo, Milano Architettura Design Edilizia, in occasione dell’edizione 2013, passa alla cadenza biennale allineandosi ai più importanti appuntamenti europei del settore e si rinnova puntando tutto sulla specializzazione e su un ampio respiro internazionale. La nuova strategia espositiva prevede una Federazione di Saloni, MADE expo sarà infatti articolata in 6 Saloni verticali, costituiti da settori merceologici omogenei, caratterizzati da una forte individualità ed una specifica comunicazione: Costruzioni/Cantiere, Involucro/Serramenti, Interni/Finiture, Energia/Impianti, Software/Hardware, Città/Paesaggio. Rilanciare il settore costruzioni significa far ripartire il Paese, questo l’obiettivo di MADE expo, evento che si conferma come punto di incontro privilegiato tra aziende, progettisti, imprese di costruzione, serramentisti, rivenditori e operatori del settore. www.madeexpo.it

AMBIENTE LAVORO

Bologna, dal 16 al 18 ottobre

Si rinnova l'appuntamento con Ambiente Lavoro, il Salone dedicato alla sicurezza e alla salute nei luoghi di lavoro organizzato da BolognaFiere e Senaf per la prima volta a ottobre dal 16 al 18 in concomitanza con SAIE, il Salone dell'Innovazione Edilizia. Giunto alla 14a edizione, Ambiente Lavoro è l'unico evento fieristico all'interno del panorama italiano che propone un momento qualificato di formazione e sensibilizzazione per le figure preposte alla tutela del benessere dei lavoratori. La manifestazione si caratterizza per la capacità di saper integrare alla parte espositiva con un calendario di iniziative speciali e convegni realizzati in collaborazione con gli enti e le più autorevoli associazioni di categoria. Per l'edizione 2013 tra i principali focus si segnalano: No Fire, Cantiere Sicuro e Strade Sicure. www.ambientelavoro.it

ECOMONDO

Rimini, dal 6 al 9 novembre

17a edizione per la Fiera Internazionale del recupero di materia ed energia e dello sviluppo sostenibile. Ecomondo si conferma come la più accreditata piattaforma per il bacino del Sud Europa e del Mediterraneo per la valorizzazione e il riuso dei materiali e per la grande industria del futuro: la Green Economy. Aree di sicuro interesse per l'edizione 2013 sono Waste, per caratterizzazione, gestione, riciclo e valorizzazione di rifiuti, Oro Blu per monitoraggio, gestione e trattamento/valorizzazione delle acque reflue industriali e civili, Biobased Industry, per l´industria chimica da biomasse, bioraffinerie da biomasse non-food dedicate e residui, Reclaim Expo, per monitoraggio e bonifica di siti, suoli e sedimenti contaminati, Air, per monitoraggio e trattamento dell’inquinamento dell’aria e Città Sostenibile, per Smart cities and communities. Si conferma anche Decommissioning, l’evento dedicato alla demolizione e riqualificazione delle aree dismesse che in questa 5° edizione metterà a confronto i protagonisti del decommissioning industriale, urbano e nucleare in una tavola rotonda di sicuro interesse per gli operatori del settore. www.ecomondo.com

POLLUTEC HORIZONS

Parigi, dal 3 al 6 dicembre

Pollutec Horizons, il salone delle eco-tecnologie, dell'energia e dello sviluppo sostenibile, presenterà quest’anno a Parigi un'offerta unica di soluzioni innovative, numerose opportunità di incontri e un ampio programma di conferenze, momenti di confronto e dibattiti per fare il punto sulle sfide ambientali ed energetiche presenti e future tra cui la tutela ambientale, la lotta contro il cambiamento climatico, le Cleantech e il green business. Obiettivi: rispondere alle sfide degli industriali, dei responsabili degli enti locali, degli operatori del settore edilizio, della grande distribuzione e dell'agricoltura. I settori espositivi saranno: Rifiuti & riciclaggio, Acqua, Energia, Analisi – Misura – Controllo, Aria, Siti e suoli, Rischi e normativa, Prodotti e sviluppo sostenibile, Istituzioni, Ingegneria, Ricerca, Finanziamento, Partecipazioni collettive regionali e internazionali. www.pollutec.com

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libri RAPPORTO 2012-2013 CICLO DEI RIFIUTI: GOVERNARE INSIEME AMBIENTE, ECONOMIA E TERRITORIO A cura di Italiadecide

Società editrice il Mulino (pagine 403 - € 30,00) Ciclo dei rifiuti è il quarto Rapporto elaborato da italiadecide, l’associazione per la qualità delle politiche pubbliche nata con l’intento di promuovere analisi condivise e realistiche dei problemi del nostro Paese, e rappresenta un segno di continuità con le precedenti ricerche incentrate sul sistema di governo e sulle politiche con particolare riferimento a infrastrutture e territorio. In ambito europeo la politica di gestione dei rifiuti si basa essenzialmente sulla prevenzione, sull’efficienza nell’utilizzo delle risorse, riduzione dei costi e degli impatti sull’ambiente e sulla riqualificazione dei processi produttivi. Complice anche la crisi economica e finanziaria, in Italia si registra però una situazione di arretratezza nell’attuazione delle direttive comunitarie, enfatizzata anche dalle forti differenze territoriali e dal peso delle attività illecite che gravano sul settore dei rifiuti. Il Rapporto fotografa infatti l’esasperazione del dualismo e della contrapposizione di andamenti divergenti tra le diverse parti del Paese che favoriscono l’espandersi dell’area dell’illegalità e della mafia. A peggiorare la situazione troviamo il caos e l’instabilità della normativa che oscilla tra il rigido ambientalismo e la reazione deregolatoria ricorrendo sempre con maggior frequenza alle procedure d’emergenza, alla legislazione straordinaria e ai commissariamenti. In questo contesto il Rapporto 2012-2013 avanza proposte concrete per riaffermare in modo strategico la politica nazionale dei rifiuti, armonizzando la programmazione e la regolamentazione dei vari Enti di controllo.

ACQUE REFLUE PROGETTAZIONE E GESTIONE DI IMPIANTI PER IL TRATTAMENTO E LO SMALTIMENTO

A cura di Giovanni De Feo, Sabino De Gisi e Maurizio Galasso

Dario Flaccovio Editore (pagine 1118 - € 98,00) Quali sono le informazioni necessarie per progettare in modo appropriato un impianto di depurazione di acque reflue? Come impostare gli schemi di processo? E ancora quali sono le unità di depurazione più adeguate in determinate condizioni di carico? Con un approccio pratico e basato sulla competenza ed esperienza nello specifico settore, gli autori di questo manuale cercano di fornire una risposta esaustiva a queste domande basilari. L’importanza acquisita negli ultimi anni dalle problematiche relative al trattamento e smaltimento delle acque reflue fa di questo volume un supporto indispensabile per chiunque si trovi ad occuparsi di tale settore, siano essi progettisti, gestori, consulenti, enti di controllo o studenti. Articolato in 17 capitoli il volume affronta l’argomento acque reflue con riferimento alle seguenti tematiche: caratteristiche quali-quantitative, schemi di processo, trattamenti preliminari, primari, secondari e terziari a biomassa sospesa e adesa, trattamenti chimico-fisici, trattamenti biologici alternativi, trattamenti di affinamento, disinfezione, caratterizzazione e trattamento dei fanghi, depurazione di acque in piccole comunità, aspetti economici e gestionali dei sistemi di depurazione. Da sottolineare il continuo confronto con le imprese costruttrici che ha permesso agli autori di approfondire, in termini di dimensionamento e di efficienza le tecnologie disponibili, consolidate o innovative, di maggiore applicazione su scala reale.

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Edizioni Ambiente (pagine 210 - € 40,00) Un’interessante pubblicazione per la Collana Manuali di progettazione sostenibile che risponde alle esigenze di un settore in crescita all’interno delle fonti di energia rinnovabili. Il volume nasce con lo scopo di razionalizzare e condensare gli argomenti indispensabili sotto il profilo tecnico, giuridico e fiscale fornendo al lettore uno strumento di conoscenza allo stesso tempo facile da consultare ma completo nei contenuti. Grazie alle esperienze maturate nel campo da operatori e professionisti questo manuale fornisce un approccio multisciplinare alla tematica risultando di utile lettura per tutti coloro i quali si trovano a dover valutare le migliori soluzioni tecnologiche a disposizione ma anche a per chi voglia investire o finanziare tali attività. Gli autori hanno pensato il volume in modo da permettere una lettura di approfondimento dei singoli temi oppure, in maniera più rapida, di acquisire tutte le informazioni di base per poi approfondire in un secondo momento. Strutturato in macro capitoli si parte dalle matrici organiche utilizzabili, passando per i processi e le tecnologie di digestione anaerobica, fino ad analizzare gli impieghi del biogas e le potenzialità del mercato. Una trattazione completa e approfondita che permetterà al lettore affrontare con maggior competenza e consapevolezza l’ultimo capitolo dedicato alla questione fondamentale della finanziabilità dei progetti.

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settembre 2013 anno vI numero 24

GREEN ECONOMY IL SUPPORTO DELLE ASSOCIAZIONI PER IL RILANCIO DI UN’ECONOMIA VERDE

BIOENERGIE E TERRITORIO la strategia energetica nazionale e il ruolo delle biomasse REPORT BONIFICHE LO STATO DI AVANZAMENTO DEGLI INTERVENTI NEL NOSTRO PAESE AGGREGATI RICICLATI POTENZIALITà E VANTAGGI DEL RICICLAGGIO DEI MATERIALI DA C&d

settembre 2013


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