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SERV IZ IO NAZ IONAL E DI ANT INQUINAM ENTO M ARINO SISTEMA DI PRONTO INTERVENTO PER IL CONTENIMENTO E RECUPERO IN CASO DI OIL SPILL

ISOLA DELLA GORGONA - EUROC ARGO VENEZ IA RICERCA E RECUPERO DI FUSTI DISPERSI IN MARE AD OLTRE 450 M DI PROFONDITA’

TERRE E ROCCE DA SCAVO TUTTE LE NOVITà INtRODOTTE DAL NUOVO DECRETO BIOCARBURANTI ALLA SCOPERTA DEL NUOVISSIMO IMPIANTO DI CRESCENTINO ISOL A DEL GIGL IO - EM ERGENZ A COSTA CO NCO RDIA

AUTORIZZAZIONE UNICA AMBIENTALE LE SEMPLIFICAZIONI DEL NUOVO PROCEDIMENTO AUTORIZZATIVO

SERVIZIO DI PREVENZIONE E ANTINQUINAMENTO

SETTORE PETROLIFERO E BONIFICHE UN PERCORSO COMPLICATO VERSO LA SEMPLIFICAZIONE

dicembre 2013


Poste Italiane Spa - Sped. in a.p. - D.L. 353/2003 conv. in L. 46/2004, art.1, c.1 - CB-NO/Torino – Anno 6 n. 25 DEA edizioni s.a.s. Strada del Portone, 127 - 10095 Grugliasco (TO)

dicembre 2013 anno VI numero 25


SERV IZ IO NAZ IONAL E DI ANT INQUINAM ENTO M ARINO SISTEMA DI PRONTO INTERVENTO PER IL CONTENIMENTO E RECUPERO IN CASO DI OIL SPILL

ISOLA DELLA GORGONA - EUROC ARGO VENEZ IA RICERCA E RECUPERO DI FUSTI DISPERSI IN MARE AD OLTRE 450 M DI PROFONDITA’

TERRE E ROCCE DA SCAVO TUTTE LE NOVITà INtRODOTTE DAL NUOVO DECRETO BIOCARBURANTI ALLA SCOPERTA DEL NUOVISSIMO IMPIANTO DI CRESCENTINO ISOL A DEL GIGL IO - EM ERGENZ A COSTA CO NCO RDIA

AUTORIZZAZIONE UNICA AMBIENTALE LE SEMPLIFICAZIONI DEL NUOVO PROCEDIMENTO AUTORIZZATIVO

SERVIZIO DI PREVENZIONE E ANTINQUINAMENTO

SETTORE PETROLIFERO E BONIFICHE UN PERCORSO COMPLICATO VERSO LA SEMPLIFICAZIONE

dicembre 2013


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La terra dei Fuochi uno scempio tutto italiano

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degno, vergogna, corruzione, ecomafia, sono queste le prime parole che vengono in mente quando si parla della Terra dei Fuochi, quel lembo di terra tra Napoli e Caserta tristemente famoso per le discariche illegali e i roghi di rifiuti tossici che avvelenano tutto un ecosistema che, per estensione e grado di contaminazione, è tra i più inquinati d’Europa. Gli scempi che avvengono nella Terra dei Fuochi, dopo un servizio delle Iene del 15 ottobre scorso, sono ritornati al centro dei dibattiti tra opinione pubblica e politica in cui tutti si adoperano per trovare una soluzione ad un vero e proprio disastro ambientale le cui radici, però, sono vecchie di oltre 25 anni. Sono questi gli anni esatti da cui si è iniziato a documentare quanto avveniva in queste terre: nuvole di fumo nero dal sapore acre e pungente, roghi appiccati infiammando pneumatici a ridosso di coltivazioni, abitazioni e allevamenti, rifiuti (provenienti dal Nord e dall’Europa) sversati illegalmente, discariche abusive e discariche non a norma. E dopo 25 anni di denunce, fascicoli, atti giudiziari, complice una politica assente e gli interessi delle ecomafie, nulla si è mosso e quei veleni sono ancora lì ad inquinare l’acqua, l’aria, la terra e il cibo che finisce sulle nostre tavole. Il problema di queste terre non riguarda solo la Campania e la salute dei suoi abitanti ma riguarda tutti noi, non per un discorso etico o ambientalista, ma concretamente, perché i veleni della terra dei fuochi non conoscono confini, entrando nella catena alimentare contaminano cibi freschi, la carne, le verdure e i prodotti lavorati che vengono poi esportati anche a migliaia di chilometri di distanza. Basta ricordare lo scandalo delle mozzarelle alla diossina vendute in tutto il mondo o la frutta al piombo e cadmio denunciata dalle Iene. Soluzioni concrete per la terra dei fuochi non se ne sono viste finora, i territori sono ancora inquinati e di bonifiche nemmeno l’ombra, tante le soluzioni prospettate, dall’istituzione di un fondo ad hoc per la bonifica utilizzando i soldi confiscati alle mafie, allo spiegamento dell’esercito, all’inasprimento delle pene per i reati ambientali. Tutto questo deve finire e subito, dalle parole si deve passare ai fatti mettendo la parola fine ai roghi e agli sversamenti abusivi. Si pensi che solo l’anno passato sono stati censiti oltre 3.500 roghi, un fenomeno ben lontano dall’essere sotto controllo. Da lì poi si dovrà pensare alla bonifica che durerà dai 30 ai 50 anni, un tempo enorme per sanare una ferita ancora aperta che catapulta l’Italia al pari di situazioni che esistono in Paesi che noi in genere definiamo “terzo mondo”. Massimo Viarenghi

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DICEMBRE 2013

sommario

ECO bonifiche rifiuti demolizioni

www.ecoera .it

RUBRICHE ECONEWS

22 La stazione di servizio diventa ecosostenibile grazie a soluzioni impiantistiche innovative che favoriscono l’ambiente e prevengono l’inquinamento

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VETRINA

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Libri

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ECOAPPUNTAMENTI

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STORIA DI COPERTINA Settore petrolifero e bonifiche, corsa a ostacoli verso la semplificazione di Massimo Viarenghi

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ATTUALITÀ

30 ENVIRONMENTAL FORENSICS: la disciplina che sfrutta le conoscenze dei processi di contaminazione al servizio dell’ambiente e della giustizia

IMBALLAGGI IN ACCIAIO: SI CONSUMA DI MENO MA SI RICICLA DI PIÙ di Maria Beatrice Celino

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Un traguardo varcato con determinazione, passione e tenacia di Maria Beatrice Celino

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APPUNTAMENTO A PARIGI CON ECO-TECNOLOGIE E SOSTENIBILITà 20 di Bruno Vanzi

FABBRICA DELLE IDEE LA STAZIONE DI SERVIZIO ECOSOSTENIBILE di Rodolfo Manzi

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REPORT

50 Un approccio integrato al risanamento ambientale di aree contaminate grazie alla PHYTOREMEDIATION E alle tecnologie di bonifica IN SITU

Terre e rocce da scavo: le novità introdotte dal “decreto del Fare” di Gian Luigi Soldi

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SPECIALE ENVIRONMENTAL FORENSICS: SCIENZA E TECNOLOGIA AL SERVIZIO DELL’AMBIENTE E DELLA GIUSTIZIA di Valerio Zolla e Antonio Di Molfetta

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PANORAMA AZIENDE Venti anni di esperienza in bonifiche e biotecnologie al servizio dell'ambiente di Maria Beatrice Celino

53 La misura del soil gas: criticità e vantaggi di uno strumento utile per la stima del rischio e la valutazione dell’andamento delle bonifiche

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Anno 6 - Numero 25

Abbattere la polvere in modo intelligente di Bruno Vanzi Rilanciamo sull'ambiente, con un solido passato e grandi obiettivi futuri di Matteo Russo

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Anno 6 - Numero 25 Dicembre 2013

Direttore responsabile: Massimo Viarenghi Direttore commerciale: Maria Beatrice Celino

In copertina è pubblicata la foto di Gabriele Al Jarrah Al Kahal, dal concorso EXAREA 2013 Concorso fotografico internazionale dedicato alle aree dismesse. Un ringraziamento particolare a Gaetano Paraggio per la sua disponibilità e professionalità

Coordinamento editoriale: Maeva Brunero Bronzin Collaboratori: Stefano Armanini, Renato Baciocchi, Rosa Bertuzzi, Paolo Caleffi, Angiolo Calì, Daniele Carissimi, Maria Beatrice Celino, Giuseppe Angelo Dalena, Stefano Danini, Antonio Di Molfetta, Sara Gallego, Beatrice Grandi, Angelo Italia, Alessandro Lenci, Alessio Malcevschi, Rodolfo Manzi, Alberto Prandi, Matteo Prandi, Matteo Russo, Antonio Scalari, Gian Luigi Soldi, Antonio Spadaro, Andrea Terziano, Valerio Zolla Comitato Scientifico: Maria Rosaria Boni (Sapienza Università di Roma) Daniele Cazzuffi (Cesi spa – Remtech) Laura D'Aprile (ISPRA, Roma) Luciano De Propris (Consulente ambientale) Ennio Forte (Università degli studi di Napoli) Luciano Morselli (Università di Bologna) Andrea Quaranta (Giurista ambientale – Cuneo) Gian Luigi Soldi (Provincia di Torino) Federico Vagliasindi (Università di Catania) Maria Chiara Zanetti (Politecnico di Torino)

WORK IN PROGRESS A Vercelli il primo impianto per biocarburanti di II generazione di Maeva Brunero Bronzin

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Si chiama octopus l’innovativo sistema di raccolta pneumatica dei rifiuti di Bruno Vanzi

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Ufficio commerciale - Vendita spazi pubblicitari: Maria Beatrice Celino Tel. 011 7802164 Cell. 335 237390 e-mail: b.celino@deaedizioni.it Grafica, disegni e impaginazione: PeVmedia - Via C. Vidua, 7G - 10144 Torino

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PHYTOREMEDIATION E BONIFICHE IN SITU di Sara Gallego et al.

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Stampa: Tipografica Derthona - s.s. per Genova, 3/I - 15057 Tortona (AL)

LA MISURA DEI SOIL GAS NEI SITI CONTAMINATI di A. Italia, A. Lenci, A. Spadaro e A. Calì

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Responsabilità: la riproduzione delle illustrazioni e articoli pubblicati dalla rivista è riservata e non può avvenire senza espressa autorizzazione della Casa Editrice. I manoscritti e le illustrazioni inviati alla redazione non saranno restituiti, anche se non pubblicati, e la Casa Editrice non si assume responsabilità per il caso che si tratti di esemplari unici. La Casa Editrice non si assume responsabilità per i casi di eventuali errori contenuti negli articoli pubblicati o di errori in cui fosse incorsa nella loro riproduzione sulla rivista. La responsabilità di quanto espresso negli articoli firmati rimane esclusivamente agli Autori.

MILANO: NUOVA VITA AL COMPLESSO DI VIA BLIGNY di Andrea Terziano

PROGETTI E TECNOLOGIE

tecnologie sostenibili per la bonifica di siti contaminati 56 di Alessio Malcevschi

NORMATIVA AUA, un acronimo per semplificare e accelerare i procedimenti autorizzativi di Rosa Bertuzzi

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Direzione, Redazione, Abbonamenti, Amministrazione:

Il recupero degli Pneumatici Fuori Uso: da rifiuto a risorsa di Giuseppe Angelo Dalena

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RACCOLTA DIFFERENZIATA SU SUOLO PRIVATO: AZIONE NOBILE O ILLEGITTIMA? di Daniele Carissimi

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DEA edizioni s.a.s. Strada del Portone 127 10095 Grugliasco (TO) Tel. 011 7802164 Fax 011 4047946 e-mail: info@deaedizioni.it www.deaedizioni.it

Organo Ufficiale dell'Associazione Studi Ambientali

NOTIZIE DA ASSOCIAZIONI e reti Reconnet

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L’abbonamento è deducibile al 100%. Per la deducibilità del costo ai fini fiscali vale la ricevuta del versamento a norma D.P.R. 22/12/86 n. 917 artt. 50 e 75. Conservare il tagliando - ricevuta, esso costituisce documento idoneo e sufficiente ad ogni effetto contabile. Non si rilasciano in ogni caso altre quietanze o fatture per i versamenti in c.c.p. Pubblicazione bimestrale Poste Italiane Spa – Sped. in a.p. D.L. 353/2003 conv. in L. 46/2004, art. 1, c. 1 – registrata presso il Tribunale di Torino il 19 ottobre 2009 al n. 56. Ai sensi del D.Lgs. 196/2003, informiamo che i dati personali vengono utilizzati esclusivamente per l’invio delle pubblicazioni edite da DEA edizioni s.a.s. Telefonando o scrivendo alla redazione è possibile esercitare tutti i diritti previsti dall’articolo 7 del D. Lgs. 196/2003.


e co n e w s

Stoppani: 3 milioni per la mise Ammonta a oltre tre milioni e più precisamente tre milioni e 291 mila euro, la somma stanziata per il superamento dello stato di emergenza del sito della Stoppani di Cogoleto e per l'adeguamento e la messa in sicurezza della discarica di Molinetto. I soldi sono stati stanziati dalla Giunta regionale su proposta dell'assessore all'ambiente, Renata 1 Briano. Le risorse,14:58 provenienti in parte DF ad REV2_Layout 01/02/2013 Page 1 dal Ministero dell'ambiente e in parte dal bilancio regionale, verranno trasferite immediatamente al commissario straordinario della Stoppani, il prefetto Giovanni Balsamo, affinché attivi la gara per l'affidamento dei lavori. Tra le opere previste la demolizione dei primi manufatti contaminati da cromo, a rischio di crollo, e la continuazione dell'opera di risanamento della falda.

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www.dfecology.it

“Con questi ultimi finanziamenti possiamo dire che verrà completata entro due anni la messa in sicurezza della discarica di Molinetto, funzionalmente collegata alla bonifica del sito Stoppani" ha detto il prefetto di Genova, "L'operazione globale di bonifica ammonta a oltre 8 milioni di euro che consentiranno la chiusura e la messa in sicurezza della discarica su cui pende una procedura di infrazione comunitaria, risolvendo così le questioni di sistemazione dell'area. In questo modo porteremo il sito ad una condizione di totale risoluzione, come previsto dalle normative nazionali ed europee". "Si tratta di un momento importante per il sito - ha spiegato l'assessore Briano - perché permette di accelerare l'azione di bonifica e di messa in sicurezza ambientale da tempo portata avanti dal territorio. A questo proposito ci auguriamo che la nostra richiesta di proroga del commissario prefettizio della Stoppani, il prefetto Balsamo, possa essere accolta dal Ministero, in considerazione delle iniziative puntuali assunte e per non creare interruzioni al processo di risanamento".

Al via tre progetti per il monitoraggio dell’Ilva di Taranto

Tra pochi giorni, non appena ottenuto il parere favorevole del Ministero della salute, partiranno a Taranto tre progetti di monitoraggio sulla situazione sanitaria provocata dalle emissioni industriali e dalle attività svolte dall’Ilva sul territorio cittadino. La notizia proviene dalla riunione dell'Osservatorio per la protezione sanitaria del territorio di Taranto svoltasi alcuni giorni fa. Dell’istituto, creato con la nuova Autorizzazione integrata ambientale (Aia) rilasciata allo stabilimento siderurgico nell'autunno dello scorso anno, fanno parte rappresentanti dell'Istituto superiore di sanità, della Regione Puglia e dell'Arpa Puglia. I progetti, secondo quanto riferito all'Ansa dal direttore generale dell'Arpa Puglia, Giorgio Assennato, sono stati già finanziati dal Centro nazionale per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ccm), organismo di coordinamento tra il Ministero della salute e le Regioni per le attività di sorveglianza, prevenzione e risposta tempestiva alle emergenze. I progetti riguarderanno la tossicità in vitro del particolato, la salute riproduttiva e le donne in gravidanza e, ultimo, la presenza di metalli pesanti ed eventuali alterazioni neo-comportamentali in età pediatrica. Nella riunione i membri dell'Osservatorio hanno anche esaminato il Piano delle misure e delle attività di tutela ambientale redatto dai tre esperti nominati dal Ministro.


Detrazioni fiscali al 65% per bonifiche amianto da gennaio 2014 Da gennaio 2014 ci sarà anche la bonifica dell'amianto tra le operazioni coperte dall'ecobonus approvato dal Governo con il decreto legge 63/2013. Il provvedimento già oggi consente agevolazioni fiscali per lavori di ristrutturazione edile, in particolare per migliorare l'efficienza energetica delle abitazioni, ma anche per l'acquisto di nuovo arredo. Dal prossimo anno il decreto permetterà di detrarre dalla dichiarazione dei redditi fino al 65% delle spese, regolarmente fatturate, sostenute per lo smaltimento dell'amianto. Un incentivo che potrebbe essere prolungato almeno fino al 2020, rendendolo in sostanza strutturale. Con la possibilità di pagare meno le bonifiche dell’amianto, il decreto introduce un indubbio vantaggio per incentivare le operazioni bonifica di questi materiali cancerogeni. Il Codacons tuttavia denuncia che nel decreto ci si è limitati ad inserire la sostituzione delle coperture di amianto negli edifici tra le misure e gli incentivi che saranno stabilizzati. Quello che serviva veramente, però, era considerare la sostituzione di una copertura di amianto come un’operazione sanitaria e non di edilizia, eliminando conseguentemente l’IVA. “E’ paradossale che lo Stato, dopo avere per decenni consentito la produzione e il commercio di un prodotto che poi si é appurato essere causa della malattia e della morte di migliaia di persone imponga a quanti vogliano rimuoverlo dalla loro casa anche il balzello del 10% di IVA” denuncia il Codacons.

A New York uno studio per la demolizione dei grattacieli spreconi Negli States una società di consulenza ambientale ha lanciato una campagna anti “grattacieli spreconi” della grande Mela. La società in questione si chiama Green Terrapin Bright e la battaglia che porta avanti è in realtà più articolata di un semplice slogan. Nel suo report, recentemente pubblicato, GTB sostiene che decine dei grattacieli in vetro costruiti negli anni Cinquanta, che oggi svettano dalle strade del centro e che per lo più ospitano uffici, sono “talmente inefficienti da un punto di vista energetico e dei consumi, che sarebbe meglio per l'ambiente demolirli e ricominciare da capo”, con nuovi edifici ad alte prestazioni. L'affermazione contenuta nel rapporto ha subito scatenato le polemiche, in particolare da parte dei “conservazionisti”, come vengono chiamati quei costruttori e progettisti che sostengono che l'energia spesa in fase di demolizione e ricostruzione sia di gran lunga superiore a quella necessaria per mantenere un edificio storico in vita.

Secondo il rapporto invece, un edificio che viene demolito può essere ricostruito con il 44% di superficie in più e un utilizzo energetico inferiore del 5%. La conclusione tratta da GTB è che l'energia necessaria per radere al suolo e ricostruire un grattacielo obsoleto potrebbe essere compensata dal risparmio energetico della nuova struttura, percepibile nell'arco di un ventennio. "La tragedia di queste torri costruite a metà del secolo è che non possono essere adattate", aggiunge Bill Browning, co-fondatore di Green Terrapin Bright. “Prima di tutto, le facciate continue in vetro - vera cifra caratteristica e segno di modernità negli anni Cinquanta - sono state spesso prodotte a basso costo e si comportano come un setaccio, con perdite termiche altissime”. Inoltre, queste strutture risultano spesso troppo fragili per sostenere, ad esempio, l'installazione di nuovi doppi o tripli vetri a basso consumo energetico.

REMTECH EXPO 2013 CHIUDE A QUOTA 3.500 VISITATORI RemTech Expo 2013, il Salone sulla bonifica dei siti contaminati e la riqualificazione del territorio organizzato da Ferrara Fiere, in collaborazione con la Regione Emilia-Romagna, si chiude con ottimi risultati di pubblico, confermandosi l’evento del settore remediation più importante in Italia. Come già nelle passate edizioni, RemTech conferma di essere particolarmente a proprio agio con le tematiche di più stringente attualità, a partire dalla Green Economy. L’appuntamento promosso da Federmanager Ferrara ha chiarito le idee sul significato e il valore di queste due parole evidenziando come la Green Economy possa e debba fare sempre più parte dell’ossatura dello sviluppo industriale del nostro Paese, se vogliamo competere ad armi pari nel mondo globalizzato. Tornando più in generale a RemTech, la manifestazione si è chiusa con un bilancio pienamente in attivo, come sottolinea Nicola Zanardi, Presidente della Fiera di Ferrara: “Siamo molto soddisfatti e tutti gli obiettivi che una manifestazione di questo tipo si pone sono stati raggiunti, a partire dalla centralizzazione delle conoscenze e delle esperienze collegate a temi di grandissima importanza, che trovano qui a Ferrara la propria sede elettiva. Il dato che mi preme evidenziare è che, nei tre giorni del Salone, si danno appuntamento nel nostro Quartiere fieristico il meglio del sapere universitario, i più alti vertici ministeriali, i maggiori player - da Eni a tutte le filiere della grande industria - , oltre trenta delegati stranieri dai Paesi emergenti e 3.500 visitatori. E quel che emerge dal loro confronto sono proposte, scambio di know how, prospettive concrete di avanzamento economico e ambientale”.

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s t o ria d i c op erti n a

Settore petrolifero e bonifiche, corsa a ostacoli verso la semplificazione Il punto di vista di Unione Petrolifera sulle misure che potrebbero essere adottate per agevolare la compatibilità con l’operatività di impianti, depositi e punti vendita di Massimo Viarenghi

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l settore della trasformazione e della distribuzione dei prodotti petroliferi è per sua natura legato a potenziali contaminazioni dei terreni e delle acque; è inoltre un settore presente storicamente nel nostro paese. Attualmente quello petrolifero, come altri settori industriali, ha la duplice esigenza di avere un quadro giuridico di riferimento certo e, allo stesso tempo, di perfezionare le norme vigenti per favorirne l’applicazione. Per comprendere meglio quali sono le criticità e quali le proposte di modifica delle attuali procedure abbiamo intervistato Donatella Giacopetti, Responsabile Ufficio Salute, Sicurezza e Ambiente di Unione Petrolifera. Il settore della raffinazione e della distribuzione carburanti sono strettamente connessi alla tematica delle bonifiche. Nell’attuale contesto normativo quali sono le maggiori criticità che le Vs aziende associate si trovano a dover affrontare? Le realtà che seguiamo come Unione Petrolifera sono molto diverse tra di loro. Per il settore raffinazione parliamo di raffinerie, siti industriali ad ampia estensione, per lo più inseriti all’interno di aree più ampie definite “Siti di Interesse Nazionale”, mentre la rete carburanti è costituita da siti di dimensioni molto più ridotte e diffusi sull’intero territorio nazionale.

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Anno 6 - Numero 25

Sono realtà molto differenti. Parlando delle stazioni di servizio, credo che una vera razionalizzazione della rete di distribuzione sia ormai una necessità. In Italia abbiamo una rete di oltre 23 mila impianti, un numero doppio rispetto a Francia e Gran Bretagna, ma ancor più alto se consideriamo che i quantitativi erogati in Italia sono circa la metà di quelli erogati

Dott.ssa Donatella Giacopetti, Responsabile Ufficio Salute, Sicurezza e Ambiente di Unione Petrolifera

in questi Paesi (1,5 milioni di litri/anno contro 3 milioni). A fronte di questi numeri è evidente che tale processo di razionalizzazione debba essere accelerato sebbene non sia semplice. Fatte salve tali considerazioni bisogna tenere conto delle potenziali attività di bonifica associate alla dismissione di un impianto per cui è assolutamente necessario rendere una bonifica efficiente. Quello che noi osserviamo come maggior discriminante per l’efficienza di una bonifica è la definizione degli obiettivi di bonifica in funzione dell’utilizzo reale del sito; infatti gli strumenti urbanistici vigenti non sempre sono adeguati o in linea con l’uso effettivo del territorio. Sulla discrepanza tra uso del territorio e strumenti urbanistici alcune Regioni hanno attivato delle iniziative interessanti. Essendo però questo tipo di bonifiche legate al territorio, spesso ci si scontra con molte realtà differenti. Si fa quindi fatica a tarare correttamente gli obiettivi di bonifica e di conseguenza gli interventi necessari se non c’è uno strumento di gestione dell’uso del territorio adeguato. Ci sono, secondo il vostro punto di vista, delle soluzioni per migliorare in modo concreto l’iter di bonifica rispondendo alle esigenze delle imprese e garantendo allo stesso modo il rispetto dell’ambiente?


UNIONE PETROLIFERA Associazione di categoria, istituita nel 1948, che riunisce le principali aziende petrolifere che operano in Italia nell’ambito della trasformazione del petrolio e della distribuzione dei prodotti petroliferi. Aderisce a Confindustria Rete impianti di distribuzione sociali:

12000 punti vendita

Raffinerie attive:

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Capacità di lavorazione:

100 milioni di tonnellate anno

Indotto:

30.000 imprese con 150.000 addetti

Le proposte concrete per migliorare l’attuale situazione ci sarebbero e metterle in atto non sarebbe neanche troppo difficile. Come UP avevamo suggerito un’ipotesi che permettesse di fissare l’obiettivo di bonifica rispetto all’uso industriale/commerciale, fatta salva la presenza di uno strumento urbanistico aggiornato e l’effettivo utilizzo con una destinazione diversa. Inoltre, si potrebbero migliorare le procedure semplificate per i siti di piccole dimensioni perfezionando ciò che prevede la normativa, anche sulla base delle esperienze che si sono acquisite dal 2006 ad oggi. Si potrebbe intervenire sulle tempistiche, sulla maggior precisione nell’indicazione delle misure di emergenza, dettagli applicativi che fanno la differenza soprattutto per le imprese per le quali la certezza dei tempi è un aspetto fondamentale. Bisogna inoltre tenere presente che la razionalizzazione della rete riguarda per lo più i punti vendita ubicati nei centri cittadini. Il processo potrebbe focalizzarsi sull’eliminazione dei distributori “insicuri” secondo il Codice della Strada, collocati, ad esempio, in prossimità di aree pedonali, al di sotto di palazzi dove intervenire con la rimozione delle strutture comporterebbe problematiche di stabilità degli edifici. Per queste ultime tipologie di impianti potrebbe essere prevista un’ipotesi residuale di inertizzazione di serbatoi e sottoservizi in alternativa alla rimozione. Una soluzione concreta per risolvere problematiche di sicurezza, di viabilità o per garantire la stabilità delle strutture limitrofe. Sintetizzando possiamo dire che le tre direttrici su cui puntiamo per incentivare e favorire

la bonifica dei punti vendita carburanti sono: definizione di obiettivi di bonifica tarati sull’utilizzo effettivo del sito, semplificazione delle procedure esistenti chiarendo gli aspetti che hanno causato anche numerose criticità interpretative, previsione di un’ipotesi residuale di inertizzazione per i siti con problematiche di sicurezza e stabilità strutturale. Qual è la vostra posizione come Associazione sulle bonifiche nei confronti delle realtà che rappresentate, molto distanti tra loro per problematiche ed esigenze? Come Associazione la nostra posizione sulle bonifiche, sia che si tratti di grossi impianti di raffinazione che di piccoli punti vendita, è che devono essere chiari gli obiettivi di tutela. Questo discorso si riallaccia in parte con

quanto detto prima rispetto all’utilizzo effettivo del terreno e riguarda le acque sotterranee. L’attuale normativa infatti non prevede l’applicazione dell’analisi di rischio per la falda, perciò la bonifica va oggi portata a limiti tabellari, mentre sarebbe importante che vi fosse una maggior coerenza con i Piani di Tutela delle Acque che le Regioni hanno emanato o che si accingono a fare. L'obiettivo della bonifica dovrebbe mirare al mantenimento dell'integrità della risorsa idrica, compatibilmente con gli utilizzi della risorsa stessa. Ciò non significa che tutte le risorse abbiano un uso idropotabile; di conseguenza obiettivi di bonifica delle acque dovrebbero tenere conto della situazione specifica del sito e del bacino idrografico. Tornando invece ai terreni, è centrale l’utiliz-

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s t o ria d i c op erti n a

zo dell’analisi di rischio in tutte le possibili applicazioni. L’art. 252bis del D.Lgs. 152/06, che disciplina i siti di preminente interesse pubblico per la riconversione industriale, è un articolo importante che unisce in qualche modo la tematica delle bonifiche a quella della riconversione e riqualificazione industriale, ma contiene ancora la bonifica secondo i limiti tabellari. Certamente questo non può essere d’aiuto in una valutazione

degli interventi in un’ottica costi/benefici. Infine un altro punto prioritario è quello della semplificazione. In un momento in cui stiamo assistendo a un importante processo di riconversione delle raffinerie in poli logistici è fondamentale che questi procedimenti siano assistiti e vengano messe in atto delle semplificazioni dal punto di vista procedurale, che accompagnino l’industria in queste fasi di trasformazione.

LA BONIFICA DEGLI IMPIANTI PETROLIFERI Raffinerie

• Tutte le raffinerie in esercizio hanno effettuato la comunicazione di contaminazione storica (ex art. 9 c. 3 entro il 31 marzo 2001). • Proseguono le attività di messa in sicurezza. • Gli iter dei progetti di bonifica dei siti di interesse nazionale sono in fasi diverse. • La maggior parte delle raffinerie rientrano nei SIN (11 su 13) per cui la procedura di approvazione del progetto segue i tempi scanditi dal Ministero dell’ambiente. • Il piano della caratterizzazione è stato approvato ed eseguito nella quasi totalità dei casi. • Per i progetti di messa in sicurezza operativa o bonifica si è al 70% delle approvazioni per i terreni e al 90% per le acque.

Rete carburanti

• Sulla rete carburanti si registra un tasso medio annuo di notifiche del 12%. La durata media di una bonifica di un punto vendita con contaminazione delle matrici acque sotterranee e terreni può variare da 2 a 5 anni a seconda della complessità.

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Parlando di decommissioning qual è la situazione degli impianti di raffinazione presenti sul nostro territorio visto anche il perdurare di questo lungo periodo di crisi e la drastica riduzione dei consumi? Negli ultimi 10 anni la situazione in Italia è molto cambiata; negli anni ‘70 le raffinerie erano 33, ora ne sono rimaste 14. Dagli 84 milioni di tonnellate del 2007 i consumi petroliferi totali sono scesi oggi a 64 milioni, rispetto a una capacità produttiva di oltre 100 milioni di tonnellate. Inoltre, sono diminuite anche le esportazioni a causa di una diversa distribuzione della domanda a livello mondiale. Il risultato, sinora, è già stata la chiusura di tre raffinerie. Dal punto di vista della riconversione, diversi sono i possibili interventi nel caso di parziale mantenimento dell’attività industriale (ad esempio la trasformazione in deposito) rispetto a quelli di siti non più operativi che prevedono lo smantellamento in toto degli impianti, come è successo nel caso della Nuova Fiera di Milano, che sorge in un’area prima occupata da una raffineria. Quali potrebbero essere secondo voi le soluzioni da mettere in campo per far sì che tali attività siano incentivate divenendo un’opportunità di sviluppo per il nostro Paese? L’incentivo principale è sicuramente la semplificazione; ad esempio riteniamo molto utili gli Accordi di Programma, tra soggetti pubblici e privati, che consentono di concordare su tempi e modalità, permettono di stabilire protocolli operativi che possono facilitare nel garantire al certezza dei tempi, aspetto fondamentale per gli investitori che devono mettere a bilancio un investimento definendo dei tempi certi di realizzazione, cosa che nei siti soggetti ad interventi di bonifica è spesso difficile. Fino a qualche anno fa si era consolidata una prassi per cui non venivano rilasciati permessi edilizi per nuovi investimenti, in assenza di un contenimento fisico delle acque di falda del sito. Giurisprudenza e recenti modifiche normative hanno chiarito la compatibilità tra attività produttive e attività di bonifica. Il futuro del mercato delle bonifiche riguarda la riqualificazione economica dei siti industriali dismessi, con altro tipo di attività commerciali.



ATTUALIT à

IMBALLAGGI IN ACCIAIO: SI CONSUMA DI MENO MA SI RICICLA DI PIÙ Migliorano nel 2012 i risultati del riciclo dei contenitori in acciaio che arrivano a quota 75,5% nonostante il calo dei consumi di Maria Beatrice Celino

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l riciclo non conosce crisi. Cresce in Italia la percentuale di acciaio recuperato dagli imballaggi: nel 2012 è stato riciclato il 75,5% dell'immesso al consumo, con un miglioramento del 2,9% rispetto all'anno precedente. Dalle scatolette per gli alimenti ai tappi corona, dalle bombolette aerosol ai grandi fusti industriali, contenitori e chiusure in acciaio si confermano ancora una volta amici dell'ambiente. Nel 2012 nel nostro Paese sono state raccolte 374.000 tonnellate di imballaggi in acciaio, pari al peso di quasi 9.000 vagoni ferroviari, e di queste sono state avviate al riciclo 332.000 tonnellate, pari ad oltre 20.000 Km di binari, ovvero l'equivalente di una ipotetica linea ferroviaria Lisbona - Pechino. Il perdurare di uno scenario generale di crisi,

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che coinvolge anche l'industria dell'imballaggio, ha determinato un calo del 9,5% rispetto all'anno precedente dell'immesso al consumo, passato da 486.000 a 440.000 tonnellate, con ripercussioni dirette sui flussi di raccolta e riciclo che tuttavia hanno mostrato riduzioni contenute. Rispetto agli imballaggi immessi al consumo, la percentuale di acciaio recuperato è stata del 75,5%, migliore di quasi tre punti percentuali rispetto al 2011, del 20% rispetto al dato di dieci anni fa (55,6% nel 2003) e del 25,5% rispetto agli obblighi di legge previsti dalla normativa in vigore. “Parlando di cifre, siamo molto soddisfatti – spiega Federico Fusari, direttore generale di RICREA –. Da 15 anni lavoriamo per favorire, promuovere e agevolare la raccolta e il riciclo degli imballaggi usati di acciaio provenienti tanto dal flusso domestico quanto da quello industriale, e gli ottimi risultati raggiunti ci spronano a intensificare i nostri sforzi per migliorare ancora”. E’ anche aumentata la copertura territoriale: +6% di Comuni coperti da convenzioni ANCI-CONAI per promuovere la raccolta

differenziata degli imballaggi e +3% di popolazione servita rispetto ai dati 2011. Per quanto riguarda gli imballaggi in acciaio avviati al riciclo, a livello territoriale cresce soprattutto il Centro Italia che registra un +16% rispetto all'anno precedente con 30.648 tonnellate, mentre il Nord consolida il primato relativo alle tonnellate riciclate: 136.914. L'acciaio è il materiale più riciclabile al mondo: può essere riciclato al 100% un numero illimitato di volte senza perdere in alcun modo le proprie qualità, con notevoli vantaggi non solo per l'ambiente ma anche per l'economia. Grazie alle 332.000 tonnellate di acciaio recuperato nel 2012 in Italia si è ottenuto un risparmio diretto di 630.800 tonnellate di minerali di ferro, di 199.200 tonnellate di carbone, oltre che di 594.200 tonnellate di CO2. In una recente intervista Federico Fusari ha confermato che “il comparto siderurgico non è lontano da tutto il resto dell’economia che sta vivendo quindi un momento di forte crisi che, per quanto ci riguarda, coincide con un forte calo dell’immesso al consumo che rappresenta la maggior fonte di reddito per il sistema Conai, quindi a livello di conto economico possiamo dirci preoccupati. Per quanto riguarda invece i nostri obiettivi istituzionali di raccolta e riciclo, il trend è ormai avviato e direi che questa è una variabile indipendente rispetto al mercato e ai prezzi del mercato”.


Comuni Ricicloni Tre le aziende municipalizzate premiate dal consorzio RICREA a Roma, nell’ambito di "Comuni Ricicloni 2013", l’iniziativa promossa da Legambiente, giunta quest’anno alla ventesima edizione. RICREA ha scelto Amiu Genova Spa, Sea Risorse Spa e il Consorzio Seari srl di Atella. Tre aziende che hanno garantito una raccolta considerevole degli imballaggi d’acciaio, sia in termini di quantità che di qualità, nei loro bacini di utenza. Nel caso di Amiu, il riconoscimento di RICREA è arrivato grazie ad “Acciaio Amico”, l’iniziativa di sensibilizzazione alla raccolta e riciclo degli imballaggi in acciaio per le scuole elementari e medie svoltasi a Genova nel corso dell’anno scolastico 2011/12 voluta proprio dal Consorzio con il patrocinio del Comune e la collaborazione, appunto, di Amiu. Grazie a questa iniziativa RICREA ha firmato con Amiu la convenzione per la raccolta degli imballaggi in acciaio. Per quanto concerne, invece, Sea Risorse Spa si tratta della società che gestisce il servizio di raccolta e gli impianti per i comuni di Viareggio e Camaiore (un bacino di circa 100.000 abitanti). La terza azienda premiata, infine, il Consorzio Seari srl di Atella (Pz), gestisce il servizio di raccolta per un bacino di 50.000 abitanti in alcuni comuni della provincia di Potenza.

L’importanza della comunicazione per promuovere il riciclo Tra le mission di RICREA c’è la comunicazione e la sensibilizzazione dei cittadini, verso la creazione di una cultura e di un’educazione

ambientale focalizzata sull’importanza della raccolta differenziata, del riciclo e del recupero degli imballaggi d’acciaio. In quest’ottica RICREA intensifica i suoi sforzi con attività che si sviluppano su tre filoni principali: Scuole, Enti locali e Aziende. “La comunicazione è fonda-

mentale, spiega Federico Fusari in una recente intervista, e noi da anni siamo in prima linea con delle iniziative destinate sia alle scuole che alle istituzioni poiché riteniamo indispensabile instradare correttamente le nuove generazioni alla cultura della sostenibilità e del riciclo”.

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Un traguardo varcato con determinazione, passione e tenacia Celebrato il 50° anniversario di Mantovanibenne con l’inaugurazione del nuovo stabilimento produttivo di Maria Beatrice Celino

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antovanibenne festeggia con un doppio evento: inaugura il nuovo stabilimento di produzione ricostruito dopo il sisma del maggio 2012 e celebra il cinquantenario di fondazione dell’azienda. Nella mattinata di sabato 28 Settembre il Presidente, Ing. Alberto Mantovani, insieme al figlio Paolo Mantovani, Direttore Commerciale e Marketing, e alla figlia Roberta Mantovani, Direttore Amministrativo, ha accolto presso la sede di Mantovani-

benne clienti, rivenditori, fornitori, autorità, amici e parenti. Una vera e propria manifestazione di affetto quella dimostrata dalle oltre 500 persone che hanno accolto l’invito della famiglia: il regalo più gradito per l’anima dell’azienda, Alberto Mantovani, che nel corso del suo intervento ha ripercorso le tappe della storia di Mantovanibenne dal 1963 ad oggi, condividendo con i presenti anche simpatici aneddoti, rendendo il suo intervento ricco di

emozioni e facendo trapelare l’innata passione per la propria attività. Non sono mancati i ricordi dei momenti difficili, personali e del mercato, che non hanno però minato l’intraprendenza e la tenacia di Alberto Mantovani e della famiglia, riuscendo ad allargare i progetti commerciali oltre confine, in Francia, Bulgaria, Cina e Germania. Non ultimo, la tragedia del terremoto che ha fortemente danneggiato l’azienda causando danni per oltre 8 milioni di euro. Solo poche settima-

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ATTUALIT à

ne di fermo, a cavallo delle due scosse del 20 e 29 maggio 2012, poi si è ripartiti nonostante le difficoltà oggettive, garantendo ai clienti il servizio di sempre. Una cesoia di 20 tonnellate progettata e realizzata nei containers, lo stabilimento di produzione interamente operativo dal luglio scorso, i locali commerciali resi agibili in pochissimo tempo: uno sforzo enorme e un’enorme soddisfazione, degno regalo per i 50 anni dell’azienda! Neanche la forza della natura ha fermato la famiglia Man-

tovani, che con molto coraggio ha ristrutturato, demolito e ricostruito pietra su pietra ciò che il sisma ha distrutto. “Abbiamo festeggiato la caparbietà e la determinazione della gente che abita queste terre - afferma Alberto Mantovani - e raccontato ai nostri ospiti cosa abbiamo fatto dopo il terremoto per tirarci su. La nostra logica del tamponamento di falla ci ha permesso di riprenderci e di onorare tutte le commesse”. “Siamo sereni – prosegue Mantovani quello che era possibile fare è stato fatto. Voglio ringraziare i miei collaboratori, la mia famiglia, ma anche Sindaco, Assessori e Regione che nei momenti di bisogno si sono dimostrati all'altezza”.

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“Mantovanibenne nonostante tutto continua a crescere, la seconda generazione è già in azienda, la terza scalpita, vuole imparare in fretta. Io sono un inguaribile ottimista e vedo un futuro positivo. La nostra casa sarà sempre di più il mondo, diventeremo cosmopoliti. Continueremo ad insistere su investimenti in ricerche innovative, corsie preferenziali per l'alta tecnologia e il design, procedure che rispettino la qualità delle attrezzature, ma soprattutto l’investimento in quello che di più sacro ha un'azienda: le persone”. Se ogni storia ha una morale da insegnare, la vicenda di Alberto Mantovani e della sua creatura, Mantovanibenne, può raccontarci solo una cosa: coraggio, impegno, professionalità, la voglia di non fermarsi mai né arrendersi di fronte a nulla, vengono sempre coronati dal successo duraturo e dall’augurio di altri 50 anni come quelli appena trascorsi.


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ATTUALIT à

APPUNTAMENTO A PARIGI CON ECO-TECNOLOGIE E SOSTENIBILITà Focus sulle città, sull’industria e sulle strutture ospedaliere: ecco tutte le novità che ci attendono nell’edizione parigina di Pollutec Horizons di Bruno Vanzi

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chiudere il denso programma di manifestazioni ed eventi che caratterizza gli ultimi mesi dell’anno ci sarà come di consueto l’appuntamento con Pollutec Horizons, che aprirà i battenti il 3 dicembre a Parigi. Il salone delle eco-tecnologie, dell’energia e dello sviluppo sostenibile presenterà una vasta offerta di soluzioni innovative, opportunità di incontri e un ampio programma di conferenze, ma per scoprire più nel dettaglio cosa aspettarci dall’edizione 2013 abbiamo intervistato Stéphanie Gay, Vice Direttore di Pollutec.

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Quali novità verranno proposte nell'edizione di quest’anno ai visitatori di Pollutec Horizons? Parallelamente ai settori rifiuti, riciclaggio, acqua, energia, qualità dell’aria, automazione, bonifica dei suoli e difesa della biodiversità, il salone presenta quest’anno tre focus dedicati alla Città, all’Industria e alle Strutture Ospedaliere, terreni fertili per la realizzazione di soluzioni concrete e motori della transizione ecologica. Dal punto di vista internazionale, la Corea sarà quest’anno il paese invitato d’onore e presen-

terà tecnologie e know-how del suo paese nel settore delle eco-filiere. Uno dei punti forti della manifestazione è da sempre legato alla ricerca e all’innovazione. Cosa dobbiamo aspettarci in questa edizione? Le tendenze dell’innovazione 2013 illustrano perfettamente le problematiche introdotte dai tre temi “Città sostenibile, Industria Sostenibile, Strutture Ospedaliere e Sviluppo Sostenibile” proposti quest’anno ai visitatori come asse di lettura dell’offerta tecnologica presentata. Le innovazioni riguardano principalmente il settore «acqua», che si tratti della gestione intelligente del trattamento o del controllo degli ambienti acquatici e della performance energetica che resta un motore dell’innovazione nell’ambito ambientale. La valorizzazione energetica soprattutto partendo dai «rifiuti» è un tema forte, così come la valorizzazione di «materia», con un nuovo processo di estrazione dei metalli rari o una soluzione completa di trattamento delle materie di scarto. Nel campo dell’eco-progettazione, una nuova soluzione di software con possibilità di valutazioni ambientali delle procedure, indicatori Reach, permetterà agli operatori della supply chain di fare scelte di progettazione più rispettose dell’ambiente.


La città sostenibile si conferma come argomento centrale anche nell’edizione parigina confermando una sempre maggior sensibilità verso questa tematica. La Francia rappresenta un terreno fertile per l’applicazione di questi nuovi sistemi di gestione? La Francia rappresenta un terreno fertile per la Città sostenibile e i numerosi cantieri aperti ne sono una testimonianza. I responsabili delle città attendono soluzioni innovative e performanti che permettano loro di proporre fin da oggi le soluzioni più adatte ai loro cittadini. Le principali caratteristiche di una città sostenibile – sobrietà, resilienza, eco-mobilità e tutela della biodiversità – costituiscono altrettante sfide di Pollutec Horizons. Il salone presenta quest’anno un programma unico su questa tematica e sarà quindi l’occasione per fare il punto sull’avanzamento delle riflessioni e sulle soluzioni operative. Oltre alla vasta area espositiva Pollutec Horizons offre anche una ricca sessione di conferenze e convegni. Quali sono gli aspetti caratterizzanti del programma di questa edizione? Penso che il programma sarà caratterizzato dai cambiamenti dei nostri mezzi di produzione con temi come l’economia circolare, la performance energetica o l’eco-progettazione che apportano soluzioni concrete a problemi economici mondiali. I convegni sull’applicazione delle soluzioni ambientali finora riservati alle collettività, alle industrie, agli ambienti ospedalieri, ai settori del commercio o agricolo, dovrebbero rivolgersi a nuovi target e aprirsi a nuove collaborazioni. Sono circa 400 le conferenze organizzate quest’anno con esperti francesi e internazionali in tutti i settori delle eco-filiere. Ogni settore dispone infatti di una piattaforma d’espressione e i grandi focus dell’anno saranno ampiamente presentati. Il Paese ospite d’onore sarà per questa edizione la Corea del Sud. Oltre a questa partecipazione speciale viene confermato lo sviluppo internazionale dell’evento? Effettivamente la Corea del Sud è il paese invitato d’onore di questa edizione 2013, il paese è presente con 2 partecipazioni collettive organizzate da KEPA (Korean Environmental Preservation Association) e KEITI (Korea Environmental Industry & Technology Institute) che raggruppano una ventina di PMI innovative. Questo evento permette inoltre di fare il punto su problematiche, progetti e opportunità d’investimento in Corea del Sud grazie a diversi eventi e spazi di animazione. Inoltre, una delegazione formata da rappresentanti del Ministero dell’Ambiente, istituzioni e aziende visiterà il salone per incontrare operatori francesi e internazionali e condividere esperienze. Oltre il 30% dell’offerta presentata sul salone è internazionale, i settori rifiuti/riciclaggio, trattamento dell’acqua ed energia accolgono i leader spagnoli, tedeschi, italiani. I paesi nordici, il Giappone, la Corea, la Cina presenteranno inoltre le loro eccellenze in questi campi. Per quanto riguarda i visitatori, aspettiamo il 20% di visitatori internazionali e per accoglierli gli espositori comunicheranno quest’anno sul loro badge le diverse lingue parlate dal personale presente presso gli stand. Proponiamo infine ai visitatori internazionali visite di siti per permettere loro di scoprire applicazioni su scala reale di soluzioni che potranno visualizzare in fiera.

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LA STAZIONE DI SERVIZIO ECO-SOSTENIBILE PREVENIRE L’INQUINAMENTO ATTRAVERSO UN’ATTENTA SCELTA DELLE SOLUZIONI IMPIANTISTICHE di Rodolfo Manzi*

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el mese di Ottobre 2012, il Parlamento Europeo ha votato la Direttiva sull’efficienza energetica, che prevede per gli Stati membri misure vincolanti sotto il profilo legale, volte ad un utilizzo più efficiente delle risorse energetiche, oltre ad un invito a definire piani e politiche di efficienza energetica. Ciò con l’obiettivo di ridurre i consumi energetici del 20% entro il 2020 e ottenere un conseguente risparmio pari a 5 miliardi di Euro. La Direttiva è stata ideata per diminuire l’importazione di energia, creando nel contempo posti di lavoro attraverso il rinnovamento di edifici pubblici, piani di risparmio e audit energetici. E’ interessante notare che in altre parti del mondo, come nel continente asiatico, molte grandi aziende abbiano scelto di redigere volontariamente rapporti sulla sostenibilità e di

Figura 1. Elaborazione grafica della parete in PRFV doppia parete

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investire nell’efficienza energetica, attirate dai risparmi sui costi e da un'immagine pubblica migliorata. Combattere il cambiamento climatico non è così facile, come non è facile gestire un’attività nell’attuale clima economico. Il cambiamento climatico ci impone di rivedere il modo in cui viviamo e gestiamo la nostra attività, ci costringe a pensare e ad agire in modo responsabile, aumenta la concentrazione sui potenziali risparmi e sull’efficienza, e questo non è necessariamente un onere ma rappresenta un vantaggio per l’attività. L’opera di sostenibilità comporta diversi vantaggi come ad esempio: • riduzione dei rischi, dei costi di gestione e degli approvvigionamenti; • miglioramento dell’immagine, della reputazione e del brand; • soddisfazione e fidelizzazione da parte di investitori e dipendenti; • rinnovato dialogo con gli opinion leader, politici e moderatori; • differenziazione del mercato e delle vendite, supporto al marketing; • valore aggiunto percepito dai Clienti, sviluppo di partnership e innovazione. Le aziende, in base anche alle loro dimensioni, esprimono una diversa sensibilità verso il concetto di sostenibilità: alcune investono stabilmente, altre lo considerano comunque un costo ed altri ancora prediligono investire sulla produzione. Lo sforzo deve essere orientato a far comprendere che l’efficienza energetica e gli aumenti di produzione vanno di pari passo.

Figura 2. Alloggiamento impianto trattamento acque reflue da lavaggio auto in vetroresina doppia parete installato presso punto vendita carburanti a Roma – zona sensibile

Ulteriormente, il fattore decisivo può essere rappresentato dalla pressione dei consumatori, che potranno preferire quelle aziende che dimostrano una maggiore consapevolezza sulle emissioni di CO2.

LE STAZIONI DI SERVIZIO CARBURANTI Nell’ambito delle stazioni di servizio è appena iniziata una presa di coscienza sui concetti sopra espressi. Il ritardo dipende in gran parte, oltre che dalla contingenza economica attuale, anche dalla mancata ristrutturazione delle stazioni, dalla mancata introduzione di


Figura 3. Installazione serbatoi doppia parete in vetroresina

rinnovati concetti nella loro realizzazione ed infine dalla diffusione quantitativa esasperata degli esercizi, contrariamente ad altri Paesi europei, che esprimono numeri di stazioni più contenuti, altre ampiezze, con estensione anche a tutte le attività non-oil possibili. A fronte di ciò, esistono spazi infiniti per operare su un comparto industriale essenziale nel settore della distribuzione, ove giunge a proposito la possibilità di introdurre concretamente il concetto della sostenibilità, che potrebbe coniugarsi con una trasformazione della rete. L’evoluzione del mercato dei carburanti vive una stagione nuova sotto il profilo dei consumi, della regolamentazione e quindi appunto dell’ingresso di nuovi competitor che introducono nuove filosofie nel servizio orientato all’utenza, soprattutto in termini di convenienza e qualità.

più opportune, funzionali e flessibili che danno identità all’investimento, e ne migliorano il riferimento nei confronti del mercato, che esige ormai un servizio compiuto, ma essenziale, sostenibile e quindi di fatto economico. L’idea della Green Concept Area è quindi una proposta originale improntata ai seguenti criteri: • sicurezza; • materiali adottati nell’esecuzione; • protezione ambientale del sottosuolo; • garanzia dei sistemi funzionali; • design innovativo e autosufficienza energetica; • risparmio e riuso idrico; • manutenzione controllata a distanza. L’obiettivo finale è la certificazione “Stazione di servizio eco-sostenibile”, che si traduce nel concetto di “Green Concept Area”. Sicurezza

Il tema della sicurezza in una stazione di servizio è molto dibattuto e in continua evoluzione, in dipendenza degli aggiornamenti legislativi anche recenti. In particolare, le pratiche di cantiere devono essere adottate con maggiore scrupolo poiché da esse dipenderà la tenuta dell’intero “sistema stazione”. Protezione ambientale del sottosuolo

Nel sottosuolo di una stazione di servizio convergono le installazioni di sistemi e strutture che costituiscono il “cuore della stazione” e IL CONCETTO DI “GREEN sono inerenti il contenimento e la distribuzione CONCEPT AREA” Avanzano in particolare i criteri della qualifi- dei carburanti, il trattamento delle acque recazione ambientale, attraverso la protezione flue domestiche ed industriali e di quelle mespiccata del sottosuolo, il risparmio energeti- teoriche. Un sistema di contenimento carbuco con l’uso di fonti rinnovabili e l’obbligo di ranti non ben concepito oppure realizzato con vendere carburanti eco-compatibili. Fattori materiali e sistemi inidonei, può generare proche inducono a ripensare i concetti più con- blematiche diffuse e nel tempo assai gravi. Se, solidati nella realizzazione di un’area e che ad esempio, anche causa le correnti vaganti, pongono tutti di fronte alla revisione di scelte i serbatoi soprattutto in acciaio, cedono strutturalmente forandosi, si interviene con il ripristino o la sostituzione. Il ripristino, che si presenta costoso e pericoloso, e altrettanto la sostituzione del serbatoio, non esimono la società dal dover intervenire spesso con costose Figura 5. Area di servizio secondo il “Green Concept Area”

Figura 4. Serbatoio con pozzetto e chiusino in PRFV

operazioni di bonifica, che determinano spesso la chiusura della stazione, e durano alcuni mesi o addirittura anni. E’ noto come i serbatoi per carburanti possono oggi realizzarsi in metallo o in vetroresina. Infatti, il D.M. del 29/11/2002 “Requisiti tecnici per la costruzione, l’installazione e l’esercizio dei serbatoi interrati destinati allo stoccaggio di carburanti liquidi per autotrazione, presso gli impianti di distribuzione” all’art. 2 comma a) prevede che i serbatoi per carburanti possano avere “…entrambe le pareti in materiale non metallico purché resistenti alle sollecitazioni meccaniche e alle corrosioni”. In tal caso per materiale non metallico, con il quale realizzare oltretutto la doppia parete, si intende l’uso della vetroresina. In Italia e in Europa l’applicazione della vetroresina è ancora in fase iniziale, mentre negli Usa e in Canada è abituale e il mercato è coperto per circa il 90% dall’installazione di serbatoi per carburanti in vetroresina. La problematica si pone anche per il trattamento delle acque reflue nelle stazioni di servizio, sia domestiche, industriali che meteoriche. In virtù della presenza di zone sensibili individuate anche dal D.Lgs. 152/06, ma anche imposte dai Regolamenti regionali, vengono richiesti manufatti realizzati in doppia parete. Si cita in particolare il Regolamento edilizio emanato dalla Regione Lombardia 1999 art. 58 comma 4) che recita “le vasche interrate adibite al trattamento delle acque di

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scarico, devono essere dotate di una intercapedine ispezionabile per accertare eventuali dispersioni dei reflui nel sottosuolo”. Come è noto, nell’ambito del trattamento delle acque reflue i materiali abitualmente adottati sono cemento, vetroresina e polietilene. Ebbene, la realizzazione di sistemi in doppia parete può realizzarsi solamente in vetroresina (PRFV – resina poliestere rinforzata con fibra di vetro) poiché in cemento si dovrebbero realizzare in opera, con costi insostenibili, mentre in polietilene sono tecnicamente irrealizzabili. Aspetto critico dal punto di vista ambientale si rileva nell’ambito dell’area del pozzetto antispandimento, ove durante gli scarichi di carburanti separati, ma anche ove sono concentrati, si rileva presenza di acqua mista a olio, che crea una miscela acqua/carburante altamente inquinante. A tale scopo vanno perseguiti sistemi costituiti da: serbatoio + pozzetto antispandimento + chiusino a perfetta tenuta, con realizzazione in doppia parete per i primi due elementi e la tenuta ineccepibile del chiusino, utilizzando altri materiali in sostituzione dei chiusini in ghisa – che oltre al peso eccessivo ed alla difficile movimentazione, pongono accertati problemi di tenuta. In questo caso le soluzioni che il mercato offre sono costituite da chiusini in vetroresina per le grandi dimensioni, mentre per le minori posso essere accolte anche chiusino in composito costituito da poliuretano. Garanzia dei sistemi funzionali

Sempre di più avanza oggi l’ipotesi di dotare le isole di distribuzione di pompe multicarburante, che eroghino oltre ai carburanti tradizionali anche gas naturale, biometano e

Figura 7. Fabbisogno idrico in stazione di servizio

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miscele di idrogeno autoprodotto. In tal modo si otterrebbe il vantaggio di eliminare la distanza che generalmente separa i punti di riferimento con carburanti non ordinari, concentrandoli nel medesimo Figura 6. Area di servizio secondo il “Green Concept Area” punto di erogazione. Peraltro, attualmente per il sopraggiungere di Sono infatti previsti vetri fotovoltaici costinuovi competitor e per praticare i prezzi più tuenti parte della copertura delle pensiline e la convenienti che il mercato richiede, anche la conformazione delle stesse genera un effetto costruzione delle stazioni di servizio è sempre “imbuto” necessario al recupero delle acque più orientata alla distribuzione self e quindi ai piovane. L’estensione dei vetri fotovoltaici è tempi dell’erogato medio. In realtà, si richiede tale da consentire una pressoché totale automiglior prezzo, erogazione veloce, pagamento sufficienza dell’intero “sistema stazione”. self-service, oppure dopo il rifornimento alla La struttura portante delle pensiline sarà princassa, garantendo così i flussi e la possibilità cipalmente realizzata in legno lamellare, così di scelta da parte dei clienti. come il totem e il portale d’ingresso, scelta Per quanto riguarda il servizio self, un sistema che richiama esplicitamente il concetto di di riconoscimento targa consentirà la veloci- ecocompatibilità e attenzione all’ambiente. tà di transito, mentre nel caso di post-paga- L’illuminazione sarà integrata nelle pensiline mento alla cassa i veicoli saranno convogliati e garantirà sicurezza e bassissimo consumo verso uscite obbligate, controllate da perso- energetico. nale addetto. Particolare attenzione va posta Quando l’estensione della stazione carburanti all’abbattimento delle barriere architettoniche, lo consente, sarà possibile integrare il sisteche devono risultare totalmente assenti, pre- ma fotovoltaico anche con un numero vavedendo un sistema al servizio delle persone riabile di pale eoliche, così da caratterizzare diversamente abili. All’ingresso di ciascuna ulteriormente sia l’efficienza energetica della area, i flussi delle auto saranno suddivisi me- stazione, sia l’immagine di eco-sostenibilità diante cartellonistica e segnaletica, utilizzan- richiesta. do anche sistemi semaforici, che indichino Risparmio e riuso idrico disponibilità per il rifornimento. Nella stazione di servizio sono notevoli le superfici di copertura, come la pensilina, il Design innovativo e autosufficienza energetica locale bar e servizi, lo store, l’autolavaggio Il “Green Concept Area” delle nuove stazio- oltre che le superfici dei piazzali, che potenni di carburanti tende in sé a privilegiare gli zialmente raccolgono acqua riutilizzabile per aspetti legati al risparmio energetico e alla le attività e i servizi di stazione. Peraltro, con sostenibilità ambientale. La combinazione riguardo alla pensilina ad esempio, si individelle tecnologie “underground” e “aboveground” genera un sistema organico di ottimizzazione e tutela delle risorse e dei flussi veicolari. L’elemento distintivo è costituito dal sistema delle pensiline modulari a servizio di ogni singola isola di distribuzione, che uniscono un design innovativo e fortemente caratterizzante ad una serie di funzioni legate alla sostenibilità energetica. Figura 8. Confronto tra utenze e fonti idriche


dua una concezione ad imbuto, che tende a raccogliere acqua meteorica pura, e quindi maggiormente utilizzabile. Esistono poi fonti recuperabili e riutilizzabili dall’utenza ed altrettanto recuperabili, ma non riutilizzabili dall’utenza (figure 7 e 8). Ciò a dimostrazione che l’acqua recuperabile dalle fonti anzidette è pari addirittura al 98% che in termini economici su un’area di medie dimensioni (circa 3000 mq) può significare un recupero di 29.000 Euro su 29.000 Euro spesi. Per questo necessita un sistema di trattamento e riutilizzo che ben si inserisce nel progetto Green Concept Area ed è un sistema denominato “Acqua Bis”. In sintesi: Fonti+Sistema Acqua Bis = Saldo ZERO Manutenzione controllata a distanza

La complessità dei sistemi e delle funzioni in una stazione di servizio impongono una manutenzione differenziata, coerente e continuativa. Per alcune funzioni è sufficiente una attività ordinaria seppure con interventi straordinari a chiamata, mentre per l’area distribuzione carburanti, il trattamento acque e il contenimento acque si vanno sempre più affermando i concetti di remotizzazione e telecontrollo. In particolare ove esistono contesti ed in caso di criticità rilevate, vengono comminate sanzioni, in qualche caso anche penali, diventa indispensabile provvedere all’installazione di sistemi che continuativamente registrino il funzionamento e quindi le eventuali anomalie, per suggerire interventi immediati e quindi interruzione delle funzioni, evitando così di incorrere appunto in sanzioni. La Customer satisfaction si realizza attraverso azioni programmate che riepiloghiamo: • assistenza telefonica; • manutenzione al guasto; • manutenzione preventiva (programmata); • manutenzione predittiva; • campionamento e analisi; • formazione gestione impianti; • consulenza ambientale; • gestione documenti.

OBIETTIVO: CERTIFICAZIONE STAZIONE DI SERVIZIO ECO-SOSTENIBILE L’obiettivo è conseguito attraverso la ricerca e l’innovazione consolidata, sulla concezione di sistemi che spesso hanno conseguito brevetti di invenzione industriale, che costruiscono il “plus” che si vuole ricercare per caratterizzare una stazione al passo con i tempi. Gran parte dei criteri che consentono un’originale iniziativa volta alla Certificazione Z.E.S.A. – Zero Emission and Social Accountability, sono contenuti nel progetto delineato Green Concept Area. La certificazione è rilasciata dall’Ente di certificazione internazionale (TUV Cert), con la concessione di un marchio da apporre sulla stazione di servizio ad evidenza dell’unicità dell’iniziativa. *Manzi Aurelio s.r.l.

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REPORT

Terre e rocce da scavo: Le novità introdotte dal “decreto del fare” Approfondimento sulla gestione dei materiali da scavo alla luce della legge di conversione 9 agosto 2013 n. 98 del D.L. n. 69/2013 di Gian Luigi Soldi*

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n fase di conversione del Decreto Legge 21 giugno 2013 n. 69 (Decreto del Fare) è stata apportata un’ulteriore e annunciata modifica al regime delle terre e rocce da scavo. La Legge 9 agosto 2013 n. 98 (pubblicata sulla G.U. n. 194 del 20 agosto 2013, Supplemento Ordinario n. 63), in vigore dal 21 agosto 2013, ha infatti introdotto gli articoli 41 e 41 bis nel contesto del suddetto D.L. n. 69/2013, che coinvolgono la gestione al di fuori del regime normativo dei rifiuti delle terre e rocce da scavo utilizzate all’interno e all’esterno del sito di produzione. L’assetto delineato dal nuovo quadro normativo “sana” finalmente la situazione di imbarazzante confusione generata dalla combinazione delle disposizioni derivanti dalla quasi contemporanea pubblicazione, nel mese di giugno 2013, del D.L. n. 69/2013 e del D.L. 43/2013, art. 8 bis, convertito con modificazioni dalla Legge 71/2013, che avevano cercato di porre argine all’applicazione del Regolamento di cui D.M. 161/2012, impugnato dalle Associazioni di categoria a seguito della sua entrata in vigore nel mese di ottobre 2012. Le principali modifiche apportate alla materia riguardano gli aspetti di seguito dettagliati.

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Limitazione dell’ambito di applicazione del D.M. 161/2012 Sulla base di quanto disposto dal comma 2 bis dell’art. 184 bis del D.Lgs. n. 152/06, introdotto dall’art. 41 comma 2, del D.L. n. 69/2013, l’ambito di applicazione del D.M. 161/2012 (Regolamento recante la disciplina dell’utilizzazione delle terre e rocce da scavo) è stato limitato esplicitamente alle terre e rocce da scavo, o “materiali da scavo”, che provengono da attività o opere soggette a Valutazione d’Impatto Ambientale (VIA) o ad Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA). Pertanto la complessa e onerosa disciplina prevista dal D.M. 161/2012 è stata ridimensionata alla gestione dei materiali da scavo che derivano principalmente da quelle comunemente definite “grandi opere” e dalle opere derivanti da attività soggette al regime autorizzativo dell’AIA che, in taluni casi, può comunque riguardare ambiti industriali di dimensioni limitate.

Gestione dei materiali da scavo che non provengono da attività soggette a VIA e AIA

Per tutti i materiali da scavo gestiti al di fuori del sito di produzione, per i quali non si applica la disciplina del D.M. 161/2013, indi-

pendentemente dalla quantità di materiale da scavo prodotta (pertanto riguarda sia i “piccoli cantieri” inferiori a 6000 m3, che i cantieri più grandi) il nuovo art. 41-bis del D.L. n. 69/2013, introdotto in sede di conversione in legge, dispone che i materiali da scavo prodotti nel corso di attività e interventi autorizzati in base alle norme vigenti, sono sottoposti al regime dei sottoprodotti, di cui all’art. 184-bis del D.Lgs. n. 152/06, pertanto non a quello dei rifiuti, qualora il produttore dimostri il soddisfacimento delle seguenti 4 condizioni: A. che è certa la destinazione all’utilizzo direttamente presso uno o più siti o cicli produttivi determinati; B. che, in caso di destinazione a recuperi, ripristini, rimodellamenti, riempimenti ambientali o altri utilizzi sul suolo, non sono superati i valori delle concentrazioni soglia di contaminazione di cui alle colonne A e B della tabella 1 dell’allegato 5 alla parte IV del decreto legislativo n. 152 del 2006, con riferimento alle caratteristiche delle matrici ambientali e alla destinazione d’uso urbanistica del sito di destinazione e i materiali non costituiscono fonte di contaminazione diretta o indiretta per le acque sotterranee, fatti salvi i valori di fondo naturale; C. che, in caso di destinazione ad un successivo ciclo di produzione, l’utilizzo non determina rischi per la salute né variazioni


qualitative o quantitative delle emissioni rispetto al normale utilizzo delle materie prime; D. che ai fini di cui alle lettere b) e c) non è necessario sottoporre i materiali da scavo ad alcun preventivo trattamento, fatte salve le normali pratiche industriali e di cantiere. In base a quanto stabilito dal comma 2 dell’art. 41-bis sopra citato, il proponente o il produttore deve attestare il rispetto delle suddette condizioni tramite un’”autocertificazione” (dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà ai sensi del DPR 445/2000) da presentare all’ARPA, indicando le quantità di materiale da scavo destinate all’utilizzo, il sito di deposito ed i tempi previsti per l’utilizzo, che non possono comunque superare un anno dalla data di produzione, salvo il caso in cui l’opera nella quale il materiale è destinato ad essere utilizzato preveda un termine di esecuzione superiore.

In relazione alle disposizioni di cui sopra, alcune ARPA ed amministrazioni regionali e locali hanno tempestivamente predisposto modelli di dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà, che devono essere trasmessi al Dipartimento ARPA territorialmente competente rispetto al sito di produzione dei materiali di scavo, nonché modelli di dichiarazione di avvenuto utilizzo dei materiali di scavo. Ai sensi della nuova disciplina, qualora intervengano delle modifiche dei requisiti e delle condizioni indicate nella dichiarazione suddetta, tali variazioni devono essere comunicate, entro trenta giorni, al Comune del luogo di produzione del materiale di scavo. Le attività di scavo e di utilizzo devono, comunque, essere autorizzate in conformità alla vigente disciplina urbanistica e igienico-sanitaria. Tali autorizzazioni, individuabili genericamente nel titolo abilitativo edilizio necessario per la realizzazione delle opere di scavo ed

utilizzo, dovrebbero essere pertanto ottenute prima della trasmissione all’ARPA della dichiarazione sostitutiva di cui sopra. Sempre in base a quanto stabilito dal comma 3 dell’art. 41-bis, il produttore è tenuto a dare conferma alle autorità territorialmente competenti, con riferimento al luogo di produzione e di utilizzo, che i materiali da scavo sono stati completamente utilizzati secondo le previsioni comunicate. Le nuove disposizioni specificano inoltre, al comma 4 dell’art. 41-bis, che l’utilizzo dei materiali da scavo come sottoprodotto resta assoggettato al regime proprio dei beni e dei prodotti: “A tal fine il trasporto di tali materiali è accompagnato, qualora previsto, dal documento di trasporto o da copia del contratto di trasporto redatto in forma scritta o dalla scheda di trasporto di cui agli articoli 6 e 7-bis del decreto legislativo 21 novembre 2005, n. 286, e successive modificazioni”.

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REPORT

Si osserva che le nuove disposizioni dell’art. 41-bis non prevedono la trasmissione di tutte le comunicazioni previste ai medesimi Enti coinvolti, rappresentati dall’ARPA, dal Comune di provenienza del materiale di scavo ed eventualmente da quello di utilizzo finale, qualora diverso. In particolare, l’“autocertificazione” relativa al possesso delle condizioni per la gestione del materiale come sottoprodotto, sarebbe trasmessa solo all’ARPA, le eventuali modifiche solo al Comune e la dichiarazione di avvenuto utilizzo nuovamente solo all’ARPA. A titolo indicativo, al fine di evitare le possibili conseguenze derivanti dalla carenza di informazioni condivise, si ritiene opportuno che tutte le comunicazioni d’obbligo siano trasmesse al complesso delle amministrazioni interessate (ARPA e Comune), includendo eventualmente, anche solo per mera conoscenza, il Comune di destinazione del materiale di scavo.

I “materiali da scavo” oggetto della disciplina Ai sensi dei commi 1 e 7 dell’art. 41-bis del D.L. n. 69/201, i “materiali da scavo” oggetto della disciplina “semplificata” sopra descritta sono estesi a tutti quelli già definiti dall’art. 1, comma 1, lett. b) del D.M. 161/2012, che si richiamano di seguito: • «materiali da scavo»: il suolo o sottosuolo, con eventuali presenze di riporto, derivanti dalla realizzazione di un’opera quali, a titolo esemplificativo: • scavi in genere (sbancamento, fondazioni, trincee, ecc.); • perforazione, trivellazione, palificazione, consolidamento, ecc.; • opere infrastrutturali in generale (galleria, diga, strada, ecc.); • rimozione e livellamento di opere in terra; • materiali litoidi in genere e comunque tutte le altre plausibili frazioni granulometriche provenienti da escavazioni effettuate negli alvei, sia dei corpi idrici superficiali che del reticolo idrico scolante, in zone golenali dei corsi d’acqua, spiagge, fondali lacustri e marini;

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residui di lavorazione di materiali lapidei (marmi, graniti, pietre, ecc.) anche non connessi alla realizzazione di un’opera e non contenenti sostanze pericolose (quali ad esempio flocculanti con acrilamide o poliacrilamide). I materiali da scavo possono contenere, sempreché la composizione media dell’intera massa non presenti concentrazioni di inquinanti superiori ai limiti massimi previsti dal presente Regolamento, anche i seguenti materiali: calcestruzzo, bentonite, polivinilcloruro (PVC), vetroresina, miscele cementizie e additivi per scavo meccanizzato. Le nuove disposizioni estendono pertanto il concetto di “terre e rocce da scavo”, nonchè la relativa deroga all’applicazione della normativa in materia di rifiuti, ad un più vasto elenco di residui, definiti “materiali da scavo”, all’interno dei quali possono anche essere ammesse sostanze ed elementi di origine antropica. •

Gestione dei materiali da scavo nel luogo di produzione e novità per i materiali di riporto

La disciplina introdotta dalla legge di conversione 9 agosto 2013 n. 98 non ha modificato le disposizioni ai sensi dell’art. 185 del D.Lgs

152/06 comma 1, lettera c), che consentono di gestire al di fuori del regime dei rifiuti il suolo non contaminato e altro materiale allo stato naturale scavato nel corso di attività di costruzione, ove è certo che lo stesso verrà utilizzato ai fini di costruzione nello stesso sito in cui è stato prelevato. Sono state tuttavia introdotte delle ulteriori disposizioni in materia di gestione dei materiali di riporto, che determinano specifici obblighi nel caso in cui il materiale di scavo presente in sito o utilizzato presso il sito di produzione sia rappresentato integralmente o parzialmente da tali riporti. In particolare, all’art. 41, comma 3 è stata introdotta una modifica alla definizione di materiali di riporto, già stabilita all’art. 3 del D.L. n. 2/2012, convertito dalla Legge n. 27 del 24 marzo 2012, precisando che i materiali di riporto sono costituiti da una miscela eterogenea di materiale di origine antropica, quali residui e scarti di produzione e di consumo, e di terreno, che compone un orizzonte stratigrafico specifico rispetto alle caratteristiche geologiche e stratigrafiche naturali del terreno in un determinato sito e utilizzati per la realizzazione di riempimenti, di rilevati e di reinterri. Al fine di poter mantenere i materiali di riporto suddetti nel sito di origine, ai sensi dell’art. 185 del D.Lgs 152/06 comma 1, lettere b) e c), il D.L. n. 69/2013, modificando il comma 2 e 3 dell’art. 3 del D.L. n. 2/12, ha stabilito che questi devono essere sottoposti al test di cessione ai sensi del D.M. 5 febbraio 1998, per escludere rischi di contaminazione delle acque sotterranee, nonché debbono rispettare quanto previsto dalla legislazione vigente in materia di bonifica dei siti contaminati (cioè garantire rispetto delle CSC riferite alla destinazione d’uso del sito o comunque i valori di fondo naturale). La disposizioni contenute nell’art. 41 stabiliscono inoltre che, qualora i materiali di riporto suddetti non siano risultati conformi ai limiti del test di cessione, devono essere considerati fonti di contaminazione e pertanto devono essere rimossi o resi conformi a tali limiti mediante appositi trattamenti che rimuovano i contaminanti o essere sottoposti a messa in sicurezza permanente.


La nuova norma individuerebbe pertanto l’obbligo di eseguire specifiche verifiche analitiche sui materiali di riporto, precedentemente non richieste o comunque limitate a quelle previste per la car atterizzazione del terreno naturale, nonché la necessità di attivare una procedura “parallela” a quella prevista dall’art. 242 del D.Lgs 152/06 e s.m.i. in materia di bonifica dei siti inquinati, qualora dovesse essere rilevata la non conformità dei materiali medesimi al test di cessione ai sensi del D.M. 5 febbraio 1998, fino a questo momento applicato solo nell’ambito del regime di gestione dei rifiuti.

Conclusioni Le nuove disposizioni normative consentono, per opere e attività di qualunque dimensione che generino residui definibili come “materiali di scavo”, l’applicazione di un regime estremamente semplificato rispetto ai rigidi ed ok B DEPURACQUE 240X150.qxp:Layout 1 23-02-2010 onerosi criteri stabiliti dal Regolamento di cui

al D.M. 161/2012, la cui adozione è ora limitata alle sole opere sottoposte a VIA e AIA, superando pertanto le aspettative dell’art. 266 del D.Lgs 152/06, che riservavano tale semplificazione solo alle terre e le rocce da scavo, provenienti da cantieri di piccole dimensioni, la cui produzione non superasse i 6000 m3 di materiale. L’intero processo di gestione risulta ora sotto la completa responsabilità del “produttore” dei materiali da scavo, che attesta il rispetto dei requisiti richiesti, prevedendo valutazioni e scelte, anche complesse e di natura tecnica e strumentale, mediante un semplice regime di “autocertificazione”, pertanto in assenza di una preventiva condivisione con la Pubblica Amministrazione. Tale regime semplificato, pur limitando significativamente gli oneri gestionali, non ridurrà evidentemente il possibile insorgere di problematiche ambientali e di illeciti connessi 9:13 Paginaad1una gestione non appropriata dei materiali da scavo.

In contrapposizione all’azione di semplificazione introdotta dall’art. 41-bis per la gestione dei “materiali da scavo”, le nuove disposizioni sui materiali di riporto previste dall’art. 41, introducono inediti obblighi di caratterizzazione analitica dei materiali medesimi. In relazione a quest’ultimo aspetto saranno sicuramente necessari ulteriori approfondimenti tecnici ed amministrativi, a causa dell’abbondante presenza di orizzonti stratigrafici di origine antropica nel sottosuolo delle aree urbane del territorio nazionale ed ai conseguenti oneri che potrebbero insorgere in caso di non conformità degli stessi alle nuove disposizioni sul test di cessione, oltre che ai limiti previsti per la valutazione della qualità del terreno ai sensi della normativa in materia di bonifica dei siti inquinati. *Provincia di Torino

impianti per il trattamento del percolato da discarica

L’impianto per il trattamento del percolato che si origina nelle discariche di R.S.U. è stato sviluppato sulla base del know-how e dell’esperienza che Depuracque ha acquisito nel campo degli evaporatori sotto vuoto per il trattamento di reflui altamente inquinanti in oltre dieci anni di realizzazioni applicative in area industriale. Questo impianto risolve in maniera definitiva il problema del trattamento del percolato con una soluzione tecnologicamente avanzata ed economicamente vantaggiosa in termini di costi sia di investimento sia di esercizio. L’impianto comprende normalmente una opportuna sezione di finissaggio del condensato per la rimozione dell’ammoniaca (strippaggio-assorbimento con aria in circuito chiuso) ed un eventuale trattamento di ossidazione biologica a fanghi attivati (processo S.B.R.).

In funzione di specifiche esigenze sono stati eseguiti impianti con sezioni di preconcentrazione e di finissaggio su membrane. I vantaggi sono rilevanti in quanto la tecnologia adottata coperta da brevetto Depuracque: - comporta il trattamento specifico del refluo con effettivo abbattimento degli inquinanti evitando qualsiasi diluizione; - evita i rischi connessi alla fase di trasporto; - consente l’ottimale recupero energetico del biogas; il fabbisogno termico può inoltre essere soddisfatto con il solo utilizzo di acqua calda da raffreddamento dei gruppi di cogenerazione e pertanto ad effettivo costo zero;

- costituisce applicazione della migliore tecnologia oggi praticabile per i reflui ad alto contenuto inquinante; - risolve in maniera definitiva i problemi dello smaltimento del percolato in assenza di emissioni significative in atmosfera. La gamma di normale produzione prevede modelli con capacità fino a 10 m 3/h. Ad oggi sono stati realizzati impianti presso le discariche di: Pescantina (VR), Centa Taglio (VE), Pantaeco (LO), San Miniato (PI), Chianni (PI), Fermo (AP), Rosignano Marittimo (LI), Serravalle Pistoiese (PT), Giugliano in Campania (NA), Monsummano Terme (PT), Jesolo (VE), Peccioli (PI), Malagrotta (RM), Bracciano (RM).

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ENVIRONMENTAL FORENSICS: SCIENZA E TECNOLOGIA AL SERVIZIO DELL’AMBIENTE E DELLA GIUSTIZIA L’importanza crescente di una disciplina che sfrutta le conoscenze approfondite dei processi di contaminazione per ricostruire elementi probatori e individuare le responsabilità ambientali di Valerio Zolla e Antonio Di Molfetta*

I

l termine Environmental Forensics è stato coniato negli Stati Uniti, per definire l’insieme delle discipline scientifiche e degli strumenti metodologici utilizzati nei contenziosi legali in campo ambientale. Le tipiche domande a cui l’esperto in environmental forensics è chiamato a rispondere sono, ad esempio: • Chi ha provocato l’inquinamento? • Come e quando è avvenuta la contaminazione? • I risultati delle indagini finora condotte sono affidabili? • Ci sono persone esposte alla contaminazione? E a che livello di esposizione? • Nel caso vi siano più soggetti responsabili, come devono essere ripartiti i costi della bonifica? • A quanto ammonta il danno ambientale cagionato dall’inquinamento? Per comprendere l’importanza di questa disciplina basta pensare alle enormi conseguenze, sia sul piano economico che penale, che la risposta a ciascuna delle precedenti domande può avere su ognuna delle parti in causa. Alle inevitabili pressioni che questi casi comportano spesso si aggiungono oggettive difficoltà di carattere tecnico, quali ad esempio un’insufficiente caratterizzazione idrogeologica del sito, la presenza di più sorgenti inquinanti,

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ciascuna potenzialmente riconducibile allo stesso fenomeno di contaminazione, o la presenza di più soggetti che hanno operato sulla stessa area, contemporaneamente o in tempi diversi, ciascuno dei quali potrebbe aver contribuito alla contaminazione. La possibilità di trovare soluzioni a problemi ambientali complessi richiede un know how specifico e una conoscenza profonda dei processi che governano i fenomeni di contaminazione. Gli strumenti tecnologici oggi disponibili permettono di acquisire gli elementi probatori indispensabili per una corretta valutazione delle responsabilità ambientali. Di seguito vedremo alcuni esempi delle tecniche maggiormente utilizzate.

sentato dalle tecniche di chemical fingerprinting che, se correttamente utilizzate, possono portare a definire con precisione l’origine dell’inquinamento. Nato nel campo della geochimica e dell’industria del petrolio, in campo ambientale il chemical fingerprinting si basa essenzialmente su tecniche gascromatografiche (soprattutto GCMS e GC/FID), attraverso le quali è possibile ottenere una dettagliata caratterizzazione della miscela inquinante.

IMPRONTE DIGITALI Nei contenziosi ambientali l’equivalente del test del DNA è senza dubbio rappre-

Confronto tra il profilo cromatografico di un campione di olio surnatante e di due potenziali sorgenti di contaminazione


tipologia di prodotto e, in taluni casi, distinguere addirittura lo stesso prodotto in funzione dello stabilimento petrolchimico di provenienza. Grazie a queste informazioni, eventualmente supportate da un modello di migrazione degli inquinanti, è possibile discriminare l’origine dell’inquinamento qualora esistano più potenziali sorgenti nell’area, come Curve di miscelazione percolato/acque sotterranee espresse attraverso il due parchi serbatoi o due stazioni di servizio, rapporto trizio/cloruri (modificato da Panno et al., 2002) o quando, su una stessa Nel caso dei derivati del petrolio, è noto che area, si siano succedute diverse attività proil diverso taglio derivante dal processo di raffi- duttive. Tuttavia, è importante sottolineare nazione (benzine, gasoli, oli minerali, etc.) e la che i protocolli analitici comunemente utilizpresenza di additivi danno luogo a diversi profili zati per la caratterizzazione dei siti contamidi sostanze idrocarburiche, che rendono facil- nati in genere non consentono di raggiungere mente distinguibili questi prodotti anche ad un questo grado di approfondimento: è quindi necessario rivolgersi a laboratori specializsemplice esame del profilo cromatografico. Attraverso valutazioni più approfondite, sulla zati, in grado di operare secondo standard base della composizione chimica dell’inqui- qualitativi superiori a quanto richiesto dalle nante è possibile risalire con esattezza alla stesse metodiche ufficiali.

Le tecniche di chemical fingerprinting possono essere utilizzate anche per risalire alla datazione approssimativa di un fenomeno di contaminazione. In alcuni casi, è possibile attribuire una datazione al prodotto risalendo alla data di introduzione sul mercato di particolari additivi (es. Piombo tetraetile ed MTBE per le benzine), o di variazioni della composizione dovute a nuovi processi o normative. In altri casi, è possibile stimare la data del rilascio di un prodotto misurandone il grado di alterazione: infatti gli idrocarburi immessi nell’ambiente subiscono numerose trasformazioni, dovute a processi di evaporazione, dissoluzione, degradazione microbica e fotoossidazione. Tali processi, oltre a ridurre la concentrazione globale del prodotto, tendono a modificarne la composizione, a causa della diversa reattività dei singoli componenti. Misurando tali variazioni è talora possibile stimare da quanto tempo il prodotto è stato immesso nell’ambiente e attribuire una datazione all’evento di contaminazione. Per i combustibili diesel è stato sviluppato un modello attraverso cui stimare il tempo trascorso dal rilascio del prodotto nell’ambiente, dato dalla seguente equazione: T(anni) = 19.8 - 8.4 (n-C17 / Pr)

MODELLI DI TRASPORTO L’uso di modelli di trasporto per ricostruire o prevedere la distribuzione dei contaminanti, come strumento di supporto alla progettazione degli interventi di bonifica, è una pratica ampiamente consolidata. I software presenti oggi sul mercato consentono di trattare tutte le matrici ambientali contaminate, siano esse acque sotterranee, acque superficiali, terreni o atmosfera. In funzione della complessità del fenomeno simulato, si può ricorrere a semplici modelli analitici o a più complessi modelli numerici. Nei contenziosi ambientali, tuttavia, i modelli matematici sono utilizzati per rispondere ad altri interrogativi: qual è l’origine della contaminazione? Quando è avvenuto il rilascio? In altre parole, quelli che normalmente sono i dati di input nei modelli, per chi si occupa di Environmetal Forensics sono incognite: si parla quindi di “inverse modeling”. L’utilizzo dei modelli matematici in questo specifico ambito richiede quindi una particolare esperienza e un’approfondita conoscenza dei processi analizzati, al fine di dare risposte certe e affidabili. L’elaborazione di un modello matematico è un ottimo strumento per verificare e rafforzare le proprie conclusioni sull’origine della contaminazione. In ogni caso, è di fondamentale importanza poter disporre di dati sperimentali adeguati al grado di dettaglio richiesto: questa è una premessa imprescindibile di ogni modellazione matematica, tanto più quando si ha l’obiettivo - piuttosto ambizioso - di persuadere della validità del risultato tutte le parti coinvolte in un contenzioso milionario.

Ricostruzione di un plume di contaminazione da solventi clorurati mediante modello numerico tridimensionale

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in cui n-C17/Pr è il rapporto fra le altezze dei picchi di n-C17 alcano e pristano (2,6,10,14-tetrametilpentadecano). Infatti idrocarburi ramificati, come il pristano, degradano più lentamente rispetto a idrocarburi lineari, per i quali la degradazione microbica è più efficace. Con il passare del tempo, il rapporto n-C17/Pr diminuisce fino ad azzerarsi intorno ai 20 anni. Per le benzine, esiste invece una tecnica di stima della datazione basata sul rapporto: R = (Benzene + Toluene) / (Etilbenzene + Xileni) Poiché etilbenzene e xileni si degradano più lentamente di toluene e benzene, il rapporto R tende a diminuire nel tempo: in prossimità della sorgente, valori di R compresi tra 1.5 e 6.0 nelle acque sotterranee, e tra 0.4 e 0.8 nei terreni, indicano che con ogni probabilità il rilascio è avvenuto negli ultimi 5 anni.

ANALISI ISOTOPICHE Insieme alle tecniche di fingerprinting, un altro potente strumento per risalire alla responsabilità dell’inquinamento è costituito dalle analisi isotopiche e radioisotopiche.

I radioisotopi sono utilizzati prevalentemente nelle tecniche di datazione dei sedimenti e delle acque sotterranee. In campo ambientale ha assunto una particolare importanza il trizio (3H), un radioisotopo radioattivo dell’idrogeno caratterizzato da un tempo di dimezzamento di 12.3 anni. A seguito dei test termonucleari eseguiti negli anni ‘50 e ‘60, la concentrazione di trizio in atmosfera è aumentata fortemente fino a raggiungere il proprio picco nel 1963. Nei decenni successivi, alle nostre latitudini il livello di trizio nelle precipitazioni è tornato ai valori naturali di 3.5÷5.5 U.T. (unità trizio). Nel Nord America, invece, dove il picco raggiunto era stato notevolmente superiore, ancora oggi si registrano concentrazioni superiori al fondo naturale: ciò fa sì che attualmente, soprattutto negli Stati Uniti, il trizio sia largamente utilizzato per la datazione delle acque sotterranee e dei fenomeni di contaminazione. Il trizio viene poi utilizzato, anche in Europa, come indicatore di contaminazione da percolato di discarica nelle acque sotterranee. Infatti, mentre i contenuti naturali di trizio nelle

TECNOLOGIE EMERGENTI Con il crescente sviluppo di questa disciplina, negli ultimi anni sono state sviluppate numerose tecniche di indagine ambientale, espressamente concepite per essere applicate in ambito forense. Particolarmente promettente, come tecnica di datazione, è l’utilizzo di alcuni contaminanti atmosferici persistenti per la datazione dei fenomeni di contaminazione nelle acque sotterranee. Secondo un principio simile a quello adottato per le tecniche di datazione con radioisotopi, questo metodo utilizza come tracciante i clorofluorocarburi (CFC), una famiglia di composti prodotti per sintesi chimica a partire dagli anni ’30, con il nome commerciale di Freon, e ritenuti i principali responsabili del buco nell’ozono. Si tratta di inquinanti persistenti, non soggetti a degradazione, la cui concentrazione in atmosfera e nelle precipitazioni è stata costantemente monitorata a partire dagli anni ’50: misurandone la concentrazione nelle acque sotterranee, in corrispondenza di un plume di contaminazione, è possibile stimare approssimativamente la data del rilascio (corrispondente, in assenza di fase libera, alla data in cui l’acqua contaminata si è infiltrata nel sottosuolo). Un’altra tecnica particolarmente promettente è data dalla combinazione di analisi isotopiche con tecniche gascromatografiche (CSIA – compound specific isotope analysis). Questa tecnica permette di determinare il rapporto isotopico 13C/12C caratteristico di ogni singolo contaminante, anziché dell’intero campione: focalizzando l’analisi sui composti più persistenti, che non subiscono variazioni isotopiche a causa dei processi di biodegradazione, è possibile individuare la provenienza del prodotto (attraverso il valore caratteristico del rapporto isotopico) con un margine di errore molto basso. Recentemente, sono state sviluppate importanti applicazioni in environmental forensics anche nel campo della microscopia, della microbiologia e della dendroecologia – quest’ultima attraverso la misurazione della concentrazione di inquinanti negli anelli dei fusti arborei, per ricostruire l’andamento temporale della contaminazione. Tutto questo è un’ulteriore dimostrazione della crescente attenzione che il mondo della ricerca e della formazione universitaria sta dedicando alle scienze forensi. Anche in ambito ambientale esse hanno ormai assunto il grado di una vera e propria disciplina autonoma, come testimonia l’attivazione di numerosi corsi universitari in importanti atenei statunitensi e britannici.

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acque meteoriche e sotterranee sono mediamente inferiori a 10 U.T., nel percolato di discarica si hanno concentrazioni mediamente comprese tra 200 e 500 U.T.: ciò è dovuto alla presenza, all’interno dei rifiuti stessi, di numerosi materiali contenenti alti livelli di trizio, quali vernici luminescenti, insegne luminose, orologi fosforescenti, rifiuti ospedalieri, apparecchi o display a cristalli liquidi. Valori anomali di trizio nelle acque sotterranee permettono quindi di determinare l’effettiva presenza di contaminazione e di accertare le eventuali responsabilità della discarica, anche quando gli altri indicatori chimici normalmente utilizzati come traccianti (es. cloruri, ammoniaca, conducibilità elettrica) presentano andamenti non interpretabili. Oltre ai radioisotopi, anche la determinazione del rapporto tra isotopi stabili, quali 13C/12C, 2 H/H, 15N/14N, 18O/16O, 34S/32S e 37Cl/35Cl, può essere particolarmente utile per accertare la provenienza di un determinato prodotto chimico o l’effettiva origine antropica di una contaminazione. Attraverso i rapporti isotopici è talvolta possibile effettuare una datazione della contaminazione, sfruttando l’effetto isotopico-cinetico che caratterizza i processi di degradazione (si pensi ad esempio alle reazioni microbiologiche, che tendono a interessare maggiormente gli isotopi leggeri). *Bortolami – Di Molfetta S.r.l.

Bibliografia [1] Christensen L.B., Larsen T.H.: “Method for determining the age of diesel oil spills in the soil”, Groundwater Monit. R. (1993). [2] Murphy B. L., Morrison B.L. (a cura di): “Introduction to environmental forensics”, Environmental Press (2007). [3] Panno S.V., Hackley K.C., Hwang H.H., Greenberg S., Krapac I.G., Landsberger S. e O’Kelly D.J.: “Source identification of sodium and chloride contamination in natural waters: preliminary results”. In Proceedings of the 12th Annual Research Conference of the Illinois Groundwater Consortium. Research on Agrichemicals in Illinois (2002). [4] Robinson, H.D., Gronow, J.R.: “Tritium Levels in Leachates and Condensates from Domestic Wastes in Landfill Sites”. J. Chart. Inst. Water Environ. Manage. (1996).


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PANORAMA AZIENDE

Venti anni di esperienza in bonifiche e biotecnologie al servizio dell'ambiente GIO.ECO: ecco come l’eccellenza anticipa il futuro puntando su soluzioni ecologiche innovative e garantendo sempre serietà, affidabilità e professionalità di Maria Beatrice Celino

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n una ricorrenza importante come i vent’anni di attività è importante fermarsi per guardarsi indietro, analizzando cosa è stato fatto ma allo stesso tempo spaziare con lo sguardo in avanti per porsi nuovi obiettivi e traguardi da raggiungere. Questi sono i primi 20 anni di GIO.ECO, azienda che sin dalla sua nascita ha puntato sull’ambiente e sulle biotecnologie. Per questo, oltre ai nostri migliori auguri per un futuro di prosperità e successi, ci teniamo a chiedere direttamente al Presidente di GIO.ECO, Gr. Uff. Rag. Renzo Bozzetti, come stanno vivendo questo momento di festa che rappresenta

al tempo stesso un’occasione per fare il punto sulla propria realtà e sul settore in generale. La vostra azienda compie vent’anni. Quale contributo vi sentite di avere dato al settore? Vent’anni fa era pressoché sconosciuta un’attività di Biotecnologie per l’Ambiente – microrganismi e batteri specifici per disinquinare. Allora venivano utilizzati interventi chimici e in piccola percentuale interventi dichiarati genericamente biologici. GIO.ECO, da subito, si è posta sul mercato con prodotti, sistemi ed interventi derivati da studi scientifici afferenti alle nuove tecnologie quali appunto le Biotecnologie. In sintesi, GIO.ECO ha anticipato i tempi e fatto conoscere un nuovo modo di operare per disinquinare. In un periodo di grandi cambiamenti quali sono le previsioni per un settore che rimane importante per i risvolti ambientali occupazionali Gr. Uff. Rag. Renzo Bozzetti, Presidente di GIO.ECO (al centro), Prof. Dott. Giovanni ed Bozzetti, Consigliere delegato e Direttore Generale (a sinistra) e Dott. Davide come quello delle bonifiche? Pelenghi, Consigliere delegato e Direttore Tecnico (a destra)

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È vero, la crisi ha portato un grande cambiamento che dura ormai da troppo tempo. Ciò ha avuto come conseguenza una selezione naturale delle aziende operanti nel settore che premia i criteri di efficientismo. Ora le aziende rimaste hanno bisogno di certezze in termini lavorativi. Questo tarda ad avverarsi ed è quindi difficile fare delle previsioni a breve termine. Certamente in Italia, le bonifiche da effettuare sulla carta sono tantissime e giorno dopo giorno si aggiungono altre necessità. È ora necessario che tutto il sistema riparta, che il Governo dia il via agli investimenti e che in primis il settore edilizio riprenda, così che il settore bonifiche possa ripartire con vigore garantendo e aumentando l’occupazione e bloccando al più presto il deterioramento ambientale. La sostenibilità degli interventi e l’importanza delle tecnologie di bioremediation ricoprono sempre più un ruolo fondamentale nello scenario delle bonifiche… Certamente sì perche permettono interventi sempre più mirati, sicuri ed economicamente vantaggiosi. Riuscire a sviluppare tecnologie e modalità di bonifica a costi più ridotti nel rispetto delle normative consente di rendere sostenibili interventi di bonifica che altrimenti non potrebbero essere effettuati.


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GIO.ECO ha dimostrato di essere in questo in prima linea e siamo orgogliosi di aver contribuito a bonificare aree degradate e dismesse recuperandole e rendendole nuovamente disponibili per i cittadini migliorando l’ambiente e il tessuto urbanistico delle nostre città. Ci può parlare dei prodotti e delle tecnologie che avete sviluppato per il settore ambientale? Per la nostra Divisione “Prodotti Biotecnologici” abbiamo sviluppato la gamma di prodotti “ECOR” che è davvero efficace per trattamenti di depurazione acque, deodorizzazione rifiuti, sanificazione cassonetti e bonifica suoli. La nostra Divisione “Bonifiche Ambientali” si occupa invece di bonifica di terreni, acque, sedimenti marini, piani di caratterizzazione, progetti di bonifica, due diligence ambientali, impianti mobili di trattamento on site. In modo particolare abbiamo sviluppato un procedimento, coperto da specifico brevetto, per la bonifica di terreni contaminati da idrocarburi e derivati petroliferi con tecnologie di natura biologica. Che ruolo ha in GIO.ECO il settore ricerca e sviluppo? Da anni consideriamo indispensabile la ricerca e lo sviluppo alle cui lavorano i nostri tecnici in collaborazione con i ricercatori dell’Università Bicocca – Biotecnologie Ambientali. Attualmente abbiamo in corso lo studio avanzato per la riduzione dell’inquinamento da mercurio per il quale abbiamo acquisito un brevetto internazionale. Come la vostra azienda guarda ai giovani? I giovani sono una grande risorsa ai quali la nostra azienda guarda con grande interesse. In GIO.ECO infatti l’età media è inferiore ai 40 anni. GIO.ECO è presente anche all’estero? GIO.ECO è presente negli Emirati Arabi e nei paesi del Golfo tramite una Società consortile costituita con altre aziende italiane del settore ambientale allo scopo di presentare un’offerta variegata di servizi e tecnologie ambientali. Come vi posizionate nel panorama italiano del settore rispetto ai competitors? Siamo sicuramente ritenuti tra i primi per serietà, affidabilità, professionalità, capacità e attenzione alle regole e alle esigenze dei Committenti, interpretando il nostro ruolo quali non semplici esecutori di un lavoro, ma veri e propri partner dei nostri clienti, in un’ottica di contenimento delle spese nel pieno rispetto delle normative. A tal proposito, sono orgoglioso che la nostra società abbia ottenuto delle prestigiose certificazioni e che, quale ulteriore dimostrazione della serietà imprenditoriale e dell’attenzione al rispetto delle regole e delle normative, pur non avendo obblighi legislativi, abbia approvato il modello di Organizzazione, gestione e controllo ex D.Lgs. 8 giugno 2001 n. 231, che consente a tutti i dipendenti di essere costantemente informati sulle evoluzioni giuridiche e di essere assoggettati al rispetto di un rigoroso Codice Etico. Tutto questo è una dimostrazione del nostro intendere oggi “fare impresa” e rappresenta un’ulteriore garanzia per i nostri clienti. Da qui, nella ricorrenza dei nostri 20 anni di attività possiamo dire: “GIO. ECO, l’eccellenza che anticipa il futuro”.

Dal progetto

alla realizzazione

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PANORAMA AZIENDE

Abbattere la polvere in modo intelligente DF ecology è in grado di fornire nebulizzatori adatti a cantieri di qualsiasi dimensione e per qualsiasi tipo di utilizzo di Bruno Vanzi

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l problema delle polveri è una criticità che accomuna un po’ tutte le tipologie di cantiere, che siano di grandi o di piccole dimensioni, di demolizione o di costruzione. Per scoprire la gamma di prodotti che DF Ecology progetta e produce per l’abbattimento delle polveri abbiamo incontrato Simone Dalu, Product Manager presso la sede di Villanova d'Ardenghi. La linea di abbattitori Dust Fighter comprende una vasta gamma di prodotti in grado di garantire la copertura con acqua nebulizzata di aree di diverse dimensioni con una portata orizzontale che va dai 10 metri agli 80 metri delle macchine più potenti.

Parlando dei modelli più piccoli, Simone Dalu ci ha spiegato le caratteristiche e le particolarità di DF Smart, un nebulizzatore studiato appositamente per la copertura di superfici poco estese e quindi per piccole demolizioni, riciclaggio di inerti, abbattimento o taglio di mura e altri piccoli lavori in esterno. Le dimensioni ridotte di questo nebulizzatore, unite ad un peso altrettanto ridotto (80 kg), lo rendono pratico e versatile per essere utilizzato in qualunque cantiere, anche laddove non si disponga di particolari dotazioni. Il DF Smart può essere collegato infatti ad una normale presa di corrente monofase e non necessita di

DF Smart • Spina monofase 16 A per alimentazione • Ruote e maniglie per la movimentazione • Corona con 12 ugelli • Allacciamento idrico con attacco rapido express 1/2 • Filtro acqua • Pulsante arresto emergenza Il modello DF Smart è studiato per le aree esterne, quindi per piccole demolizioni, riciclaggio di inerti, abbattimento o taglio di mura e altri piccoli lavori in esterno. Il prodotto è particolarmente indicato per il settore noleggio. Grazie alle dimensioni ridotte, può essere utilizzato in modo pratico e veloce: passa attraverso le porte, pesa poco e ha consumi molto ridotti. Anche l’alimentazione è molto semplice, essendo collegabile direttamente alla rete elettrica domestica. Queste caratteristiche rendono perfetto DF Smart anche per la rimozione di amianto sia in ambienti chiusi che in aree all’aperto.

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particolari allacciamenti per l’alimentazione dell’acqua. Queste caratteristiche hanno contribuito all’affermazione del DF Smart sul mercato; partendo dall’estero, in Francia, Olanda e Germania, tramite le società di noleggio si è poi diffuso anche in Italia in una fascia di mercato che ancora non conosceva questo tipo di tecnologia. Dalu ci ha poi spiegato come in alcuni Paesi dell’Unione la diffusione del prodotto sia facilitata anche dalla presenza di linee guida specifiche che prescrivono l’impiego di sistemi di abbattimento delle polveri con nebulizzazione in determinate tipologie di cantieri.


“DF Smart – continua Dalu – si adatta benissimo ai piccoli cantieri che, collocati in aree critiche come i centri delle città, generano polveri mal tollerate da chi abita nelle vicinanze e quindi sempre più spesso segnalati alle autorità che intervengono fermando le lavorazioni”. I vantaggi nell’impiego di queste macchine sono molti: innanzitutto la sicurezza garantita agli operatori che possono operare con completa visibilità sull’area di intervento; non meno importante l’abbattimento delle polveri permette di respirare aria pulita con beneficio quindi per la salute degli addetti ai lavori ma anche di chi si trova in prossimità dei cantieri; inoltre si hanno anche dei vantaggi economici poiché l’assenza di polveri rappresenta un beneficio anche per le macchine che necessitano di minori interventi di manutenzione. Spostandoci su nebulizzatori più potenti, un altro settore in cui sono molto diffusi i

Dust Fighter è quello delle cave, dove si generano molte polveri, e quello dei depositi di rottami ferrosi. Vi sono molti mercati in espansione, ci spiega Dalu, ad esempio in Sud America, dove i nostri prodotti sono molto diffusi nelle miniere, o in Cina dove ci vengono richiesti nebulizzatori con portate orizzontali che arrivino fino a 100 metri. Un altro settore interessante è quello delle discariche dove i nebulizzatori vengono utilizzati per garantire un tasso di umidità nel corpo rifiuti tale

da favorire i meccanismi degradativi incrementando quindi la formazione di biogas che viene poi sfruttato per la produzione di energia.

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rilanciamo sull'ambiente, con un solido passato e grandi obiettivi futuri Quali prospettive e investimenti per Ambienthesis, che con un nuovo brand punta a rafforzare la sua presenza nel settore delle bonifiche e del trattamento dei rifiuti di Matteo Russo*

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l Gruppo Ambienthesis, ex Sadi Servizi Industriali, è uno dei principali operatori italiani nel settore ambientale, in particolare nelle bonifiche ambientali, nel recupero, trattamento e smaltimento rifiuti industriali, ma anche nell’ingegneria ambientale e nella produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili. Da sempre persegue l’obiettivo di coniugare la costante ricerca dello sviluppo tecnologico con la tutela dell’ambiente.

Ing. Piergiorgio Cominetta, Amministratore Delegato di Ambienthesis

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In questo senso, la nuova denominazione societaria, Ambienthesis, rafforza ancor di più il concetto di simbiosi tra ambiente e attività umane, affinché siano compatibili e non in antitesi. Come dimostrano gli impianti altamente tecnologici di cui Ambienthesis dispone, tra cui la più grande piattaforma in Italia per il trattamento dei rifiuti speciali pericolosi e non (capacità autorizzativa oltre 500.000 t/anno) ad Orbassano (TO). Il Gruppo, quotato in Borsa al mercato MTA, è presente con un proprio stand a Ecomondo 2013, dove si presenta forte di una grande storia alle spalle, ma con la volontà di crescere ulteriormente, soprattutto all’estero, e aumentare la propria leadership di operatore integrato nel settore ambientale. L’occasione, quindi, per parlare con l’Amministratore Delegato di Ambienthesis, Ingegner Piergiorgio Cominetta, e fare un punto della situazione sul settore ambientale. Da qualche mese il Gruppo ha cambiato la propria denominazione in Ambienthesis, puntando tutto sul settore ambientale, fin dal nome. Quali obiettivi si pone per il 2014? Il nostro Gruppo sta investendo notevoli risorse nello sviluppo di nuove tecnologie finalizzate al recupero sia dei materiali valorizzabili reperibili nelle attività di de-

contaminazione, sia con l’affinamento dei processi di trattamento presenti nei nostri stabilimenti. L’attività coinvolge particolarmente i nostri laboratori interni con la collaborazione di istituti Universitari in Italia e all’estero. I dati gestionali raccolti sui nostri impianti sperimentali hanno dato ottimi risultati. Prevediamo nel 2014 di avere in attività impianti dimostrativi, sia nel settore della produzione di biocombustibili derivati da attività di recupero di frazioni organiche, sia nell’utilizzo di combustibili “low-grade” derivati da frazioni inorganiche di residui provenienti da lavorazioni industriali e di bonifica. Con la fine del 2014 avremo a disposizione tutti i dati che ci permetteranno di passare alla fase realizzativa nel 2015. I nuovi impianti di recupero saranno realizzati utilizzando le nostre competenze interne produttive ed ingegneristiche. Lo scopo non è solo di realizzare le nostre nuove linee di recupero, ma anche di vendere know-how a operatori attivi nei mercati esteri in via di sviluppo. L’Italia è ancora un mercato interessante per le bonifiche o è plausibile che l’estero rappresenti sempre più il futuro per chi opera nel vostro settore? Il mercato nazionale è in stallo in tutte le at-


tività connesse agli sviluppi immobiliari, la maggior parte delle bonifiche è strettamente connessa al settore, per cui a breve è difficilmente prevedibile un contributo dell’economia nazionale a questa attività. Lo sviluppo all’estero è prevalentemente legato ad attività di decontaminazione su terreni lavorati in progetti di recupero di zone fortemente deteriorate da attività industriali dismesse o ad interventi di emergenza. La presenza di organismi sovranazionali nel finanziamento di questi ultimi interventi rappresenta un aspetto di garanzia nel loro sviluppo. E’ ovvio che per essere competitivi, data la presenza di un’agguerrita concorrenza internazionale, si richiede la disponibilità di tecnologie innovative. In questa prospettiva si inquadra lo sforzo notevole messo in campo dal nostro gruppo, finalizzato alla ricerca di processi sempre più aggiornati ed in grado di trattare matrici sempre più variegate. Siamo fiduciosi che il nostro know-how sia la chiave del successo. Il 2013 non è stato un anno positivo per il settore delle bonifiche. Secondo Lei quali sono le soluzioni più concrete che potrebbero dare rilancio al settore? Prima di tutto è necessaria una maggior chiarezza ed unitarietà di intenti in relazione all’interpretazione delle normative ambientali nelle varie fasi autorizzative ed attuative. L’esperienza maturata negli ultimi anni ha messo in evidenza come le indeterminazioni interpretative, sia per quanto concerne la fase di indagine sia anche in relazione alle fasi progettuali e realizzative, siano state fonti di conflitti, ritardi ed alla fine foriere di oneri imprevisti, a volte, rendendo economicamente non sostenibili numerosi progetti. Un maggior pragmatismo e un miglior coordinamento dei vari attori potrebbero rimuovere molti degli ostacoli che rendono oggi antieconomici la maggior parte dei processi utilizzabili negli interventi. Questo non solo sarebbe di beneficio per gli operatori del settore, ma permetterebbe di ottenere un consistente miglioramento delle caratteristiche dei terreni coinvolti, oggi abbandonati ed inutilizzati. La ricerca della perfezione è da sempre un alibi per l’immobilismo.

Un altro tema importante in Italia riguarda lo smaltimento e trattamento dei rifiuti, sia urbani che industriali. E’ evidente che smaltire tutto solo in discarica non è possibile. Il Waste to Energy può essere una soluzione efficace e replicabile? Ambienthesis, con i suoi impianti all’avanguardia, è già attiva in questo ambito? Le normative europee da tempo impediscono l’afflusso diretto dei rifiuti in discarica. Da decenni il nostro gruppo utilizza gli spazi disponibili in discarica solo come l’ultimo ineluttabile anello della catena del processo di trattamento, e tali spazi sono utilizzati rigorosamente per il confino di quelle componenti che nella filiera non hanno più alcuna frazione economicamente riutilizzabile. Statisticamente questi quantitativi non rappresentano più del 10% dei rifiuti da noi trattati. Il nostro gruppo dispone, in base a impianti consolidati e in funzione da anni, di un know-how che ha permesso di raggiungere efficienze nella fase di recupero ai più alti standard europei. Le attività sono state gestite con impatti ambientali a livelli di eccellenza anche quando contestualizzati in un confronto internazionale. Il nostro know-how impiantistico non copre solo l’attività di “waste to energy”, ma da lungo tempo si è consolidato nelle attività di separazione delle varie frazioni, nel trattamento di stabilizzazione biologica di frazioni ad alto contenuto organico, nel recupero delle masse biodegradabili con la produzione di metano e nelle attività di stabilizzazione e inertizzazione di rifiuti anche pericolosi, nonché nel recupero dei sottoprodotti degli impianti waste-to-energy. Da ultimo abbiamo anche operato con successo, utilizzando impianti trasferibili direttamente sui siti di bonifica, nel realizzare il frazionamento gravimetrico di materiali a prevalente componente inorganica, nonché nel conseguire significativi recuperi di frazioni metalliche. Recentemente si sono celebrati i 25 anni di Barricalla, controllata in parte dal Gruppo Ambienthesis, che da semplice discarica è diventato uno degli impianti migliori per eccellenza tecnologica e modello virtuoso di tutela dell'ambiente e produzione di energia pulita. Nel 2011 addirittura nel sito è stato inaugurato un parco fotovol-

taico da 936 KW. Un bell’esempio anche di collaborazione pubblico e privato, visto che il 30% è controllato da Finpiemonte. Pensa che unire pubblico e privato possa essere una soluzione vincente in alcuni casi? Diversi esempi di collaborazione PubblicoPrivato si sono sviluppati in Italia già dagli anni 80 nel settore ambientale. Importanti investimenti nei sistemi di raccolta e trattamento dei reflui, effettuati da Società a partecipazione mista, hanno portato a significativi sviluppi. Per il nostro Gruppo il partenariato col pubblico è stato oggetto di una lunga esperienza. Anche se la storia passata ci ricorda molti casi di insuccesso, sono assolutamente convinto che possa essere una soluzione vincente, sempre che si riesca coniugare la complementarietà dei due attori. In pratica è necessario che entrambi ne abbiano un vantaggio nell’operatività e che non si assista alla prevaricazione dell’uno rispetto all’altro. Le attività nel settore ambientale hanno come presupposto fondamentale la necessità di implementare in armonia alcuni fattori chiave: • un’ingegneria del consenso ben strutturata e capillare; • un’affidabilità consolidata dei sistemi di controllo; • una capacità progettuale pluridisciplinare; • un know-how tecnologico all’avanguardia; • un’efficace capacità realizzativa e gestionale che dia certezze anche alle strutture di finanziamento in particolare per l’efficacia della gestione operativa. In genere i primi due aspetti dovrebbero rappresentare il prevalente contributo della Parte Pubblica, mentre i rimanenti dovrebbero costituire il patrimonio messo a disposizione da parte del Privato. In tutti i casi in cui si è verificato un rapporto sinergico come sopra delineato, non è mai venuto meno il successo delle iniziative di partenariato Pubblico Privato. Oggi ancor più, in relazione alle crescenti difficoltà del Pubblico a dotarsi di risorse, sono convinto che questa strada debba essere sempre più sperimentata, soprattutto in presenza di un’auspicabile migliore definizione delle procedure amministrative atte a definire le modalità di avvio ed implementazione di queste partnership. *Spriano Communication

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w o rk i n p r og r ess

A Vercelli il primo impianto per biocarburanti di II generazione La bioraffineria di Crescentino produrrà a regime 75 milioni di litri annui di bioetanolo, sfruttando prodotti agricoli residuali di Maeva Brunero Bronzin

È

stata inaugurata il 9 di Ottobre scorso la bioraffineria di Crescentino, in provincia di Vercelli. L’importanza dell’evento è stata testimoniata dalla presenza del Ministro dello Sviluppo Economico Flavio Zanonato e delle autorità locali, il Presidente della Regione Roberto Cota, il Sindaco di Crescentino Marinella Venegoni, il Presidente della Provincia di Vercelli, Carlo Riva Vercellotti. Si tratta infatti del primo impianto al mondo per la produzione di bioetanolo da biomasse non alimentari, di proprietà di Beta Renewables, joint venture tra Biochemtex, società di ingegneria del gruppo Mossi Ghisolfi, il fondo americano TPG (Texas Pacific Group) e il leader mondiale

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della bio-innovazione, la danese Novozymes. L’impianto di Crescentino è frutto di un investimento da 150 milioni di euro, che ha puntato sulla chimica sostenibile e ha portato l’Italia a conquistare una posizione di avanguardia tecnologica a livello mondiale, in un settore industriale strategico. Il progetto è stato sostenuto dalla Commissione Europea nell’ambito del Settimo Programma Quadro per la ricerca e lo sviluppo. La bioraffineria sorge su un’area di circa 15 ettari che in precedenza ospitava la fonderia Teksid del Gruppo Fiat. L’area è stata scelta perché si trova al centro di un territorio a vocazione agricola, dispone di un collegamento ferroviario interno ed è relativamente vicino ai laboratori BioChemtex Italia di Rivalta Scrivia, dove è stata sviluppata la tecnologia Proesa®. Inoltre, una parte della vecchia fonderia è stata riutilizzata trasformandola nel magazzino per la conservazione delle biomasse. Il progetto è stato avviato nel 2010, l’anno succes-

sivo sono cominciati i lavori e nell’autunno del 2012 la caldaia ha iniziato a produrre energia. Nel gennaio 2013 è stata avviata la produzione di bioetanolo di seconda generazione che a regime avrà una capacità produttiva di 75 milioni di litri all’anno destinati al mercato europeo. Lo stabilimento è totalmente autosufficiente per quanto riguarda i consumi energetici (13MW di energia elettrica prodotti utilizzando la lignina) e non produce reflui derivanti dal ciclo industriale, assicurando un riciclo dell’acqua pari al 100%. Per realizzarlo sono state necessarie 1.500 tonnellate di acciaio, 1.400 tonnellate di tubazioni e valvole e 18 km di tubature sotterranee e sono stati impiegati ben 370 mezzi operativi. L’aspetto “rivoluzionario” della bioraffineria è rappresentato dalla piattaforma tecnologica impiegata per ottenere il bioetanolo. L’innovativa tecnologia Proesa® (PROduzione di Etanolo da biomasSA), combinata con gli enzimi Cellic® prodotti da Novozymes, utilizza infatti gli zuccheri presenti nelle biomasse lignocellulosiche per ottenere alcol, carburanti e altri prodotti chimici, con minori emissioni di gas climalteranti e a costi competitivi rispetto alle fonti fossili. Inoltre, Proesa® produce biocarburanti che assicurano una riduzione delle emissioni di gas serra vicina al 90% rispetto all’uso di combustibili di origine fossile, notevolmente superiore alla riduzione raggiunta


IL PROGETTO IN CIFRE Valore investimento:

150 milioni di Euro

Produzione:

60.000 tonnellate di bioetanolo/anno

Superficie:

150.000 metri quadri

Biomassa utilizzata:

270.000 t/a (alla massima potenzialità)

Capacità magazzino biomasse:

27.000 tonnellate

Produzione energia elettrica:

13MW, interamente prodotti utilizzando la lignina

Riciclo dell’acqua:

100% (lo stabilimento non produce reflui)

Addetti:

circa 100

Per realizzarlo sono stati necessari:

370 mezzi operativi 1.500 tonnellate di acciaio 1.400 tonnellate di tubazioni e valvole 30.000 tonnellate di cemento 18 chilometri di tubature sotterranee

dai biocarburanti di prima generazione. La bioraffineria di Crescentino sorge su un territorio a forte vocazione agricola che permette di sfruttare un’ampia varietà di biomasse disponibili a basso costo in un raggio di 70 km dallo stabilimento: principalmente paglia di riso, di cui l’area è ricca, ma l’azienda sta sviluppando anche una filiera dedicata per avere disponibile la canna gentile (Arundo Donax), che può essere coltivata su terreni marginali, senza sottrarre spazio alla produzione agricola ad uso alimentare.

“Aperta la strada ad una rivoluzione verde nel settore della chimica. Sostenibilità ambientale e innovazione industriale sono fattori fondamentali per la ripresa economica del Paese” queste le parole di Guido Ghisolfi, amministratore delegato di Beta Renewables, che afferma che “quello dei biocarburanti di seconda generazione rappresenta un mercato ad elevato potenziale economico e occupazionale, considerando il know how delle nostre imprese e le direttive emanate dalla Commissione Europea in materia.

Continueremo ad investire in ricerca perché crediamo che la chimica sostenibile rappresenti uno dei settori chiave per la ripresa economica del Paese. Stiamo facendo una serie di valutazioni preliminari su alcune aree in Italia che potrebbero rivelarsi strategiche per costruire nuovi impianti. Apriremo a Modugno, vicino a Bari, un nuovo Centro Ricerche e un impianto dimostrativo per produrre intermedi chimici a partire da lignina, un co-prodotto della produzione di etanolo. Parallelamente continueremo ad esportare

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w o rk i n p r og r ess

tabile in contesti geografici diversi. Già da qualche anno Beta Renewables sta esportando nel mondo questa tecnologia all’avanguardia tutta italiana. Diversi sono gli accordi già sottoscritti con società internazionali per l’utilizzo di Proesa® che porteranno alla realizzazione della prima raffineria di bioetanolo di seconda generazione del Brasile, con una capacità produttiva di 82 milioni di litri/anno, e alla costruzione di un impianto da 25 milioni di galloni negli Stati Uniti.

IL PROCESSO la nostra tecnologia nel mondo attraverso accordi commerciali, perché la richiesta di biocarburanti di nuova generazione è in continua espansione”. Secondo Peder Holk Nielsen, amministratore delegato di Novozymes “la politica ora deve mandare chiari segnali che incoraggino gli investimenti necessari nel settore dei biocarburanti di nuova generazione. Norme sulla miscelazione stabili e prevedibili, incentivi per la raccolta dei residui agricoli e supporto negli investimenti per i primi impianti di produzione su larga scala aiuterebbero in maniera sostanziale a ridurre i gas serra, a stimolare l’economia e ad assicurare il fabbisogno energetico. Non è più pensabile continuare a fare affidamento sui combustibili fossili”. “La produzione su larga scala di zuccheri a basso costo da biomassa non alimentare è un fattore fondamentale per accelerare la crescita di sostanze biochimiche e biocarburanti” ha dichiarato infine Geoffrey Duyk, Amministratore delegato e partner di TPG. “Siamo molto contenti di vedere questa tecnologia implementata in tutto il mondo, sfruttando la fonte più conveniente di biomassa specifica per ogni regione, comprese le colture dedicate e gli scarti agricoli”.

LA TECNOLOGIA La tecnologia Proesa®, risultato di un investimento di 150 milioni di euro e di 5 anni di ricerca, è stata sviluppata da Biochemtex, società d’ingegneria del Gruppo Mossi Ghisolfi, nel Centro Ricerche di Rivalta Scrivia

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(AL) interamente dedicato alle fonti rinnovabili, dove a partire dal 2009 è entrato in funzione un impianto pilota per produrre biocarburanti. I risultati ottenuti nell’impianto pilota hanno portato il Gruppo ad entrare nella fase di produzione su scala industriale con la costruzione dell’impianto di Crescentino. Si tratta di una tecnologia di “seconda generazione”, che utilizza gli zuccheri presenti nelle biomasse lignocellulosiche per ottenere alcool, carburanti e altri prodotti chimici con ridotte emissioni di gas climalteranti e a costi competitivi rispetto alle fonti fossili (petrolio e gas naturale). Le tecnologie di prima generazione, invece, sono in grado di ottenere etanolo e altre sostanze solo dalla parte commestibile delle piante (mais, canna da zucchero, grano, soia, etc.). Proesa® è stata progettata per utilizzare biomasse non a uso alimentare, come la paglia di riso e di frumento, la comune canna dei fossi (Arundo Donax), il tutolo e lo stocco del mais, la bagassa della canna da zucchero e l’eucalipto e, grazie all’efficienza del processo, consente di ottenere zuccheri a costi competitivi e senza forme di incentivazione, permettendo così una rapida diffusione e utilizzo di bio-prodotti da fonti rinnovabili. Può inoltre utilizzare una grande varietà di biomasse e per questo motivo è adat-

L’alcool, come l’etanolo, è ottenuto dalla fermentazione di zuccheri e amidi con l’utilizzo di lieviti. Questo è il normale processo di prima generazione, basato su biomasse quali il mais, la canna da zucchero e similari. Queste materie prime agricole hanno molecole relativamente corte e tali da essere “digerite” dai lieviti. Ma gli zuccheri contenuti negli scarti agricoli o nelle varietà non alimentari sono composti da molecole lunghe, che i lieviti non riescono facilmente a digerire. Non solo, la cellulosa e l’emicellulosa sono intrappolate in una matrice di lignina che impedisce l’accesso ai lieviti. Quindi, i problemi da risolvere sono due: separare la lignina dalla cellulosa ed emicellulosa, e tagliare le lunghe molecole degli zuccheri. Nella prima fase, la biomassa è sottoposta a una cottura a pressione di vapore e a una successiva rapida decompressione. Questo processo consente di separare la cellulosa dalla lignina. In seguito, la cellulosa è trattata con enzimi che la riducono in zuccheri semplici che, in presenza di lieviti per fermentazione, vengono trasformati in etanolo. La lignina viene recuperata insieme al biogas derivato dai processi per essere utilizzata nella caldaia che genera energia e calore.


Si chiama octopus l’innovativo sistema di raccolta pneumatica dei rifiuti Testata con successo in uno degli edifici più alti del mondo, la speciale valvola permette la raccolta di quattro frazioni differenziate separandole all’origine di Bruno Vanzi

L

a lunga esperienza di Envac nella raccolta pneumatica dei rifiuti solidi urbani ha portato la società a sviluppare sistemi particolari per adattarsi alle esigenze più critiche. La necessità di raccogliere e trasportare i rifiuti da un unico edificio, evitando metodi tradizionali manuali o per mezzo di carrelli usando montacarichi, è nata negli anni ’90 del secolo scorso con lo sviluppo verticale degli edifici residenziali nel Far East, in particolar modo a Singapore e a Hong Kong. In quegli anni la coscienza sostenibile nella gestione dei rifiuti doveva ancora nascere e i rifiuti venivano raccolti in un’unica frazione e poi portati alla loro destinazione finale. Erano anni di crescita economica a doppia cifra e il petrolio si era lasciato alle spalle la crisi degli anni ’70. Le necessità di raccolta dei rifiuti in questi edifici si limitavano a garantire la funzionalità e l’igiene. Envac introdusse allora nel suo prodotto base, oramai testato in varie parti del mondo, la possibilità di poter conferire i rifiuti ai diversi piani degli edifici grazie ad un tubo che saliva all’interno dell’edificio stesso. Due gli aspetti che Envac dovette risolvere in questi primi impianti con servizio verticale: la vita utile dell’impianto stesso e la sua “tenuta” igienica. Il rifiuto è un prodotto estremamente eterogeneo, da un foglio di giornale ad sac-

co pieno di elenchi telefonici, considerando ad esempio la sola frazione carta. Il problema riscontrato era il forte impatto dei rifiuti sulla valvola di stoccaggio, causato dalla loro elevata velocità di caduta. Per questo motivo, con il crescere delle altezze degli edifici e il conseguente aumento della lunghezza del tubo verticale di raccolta, Envac si trovò obbligata a rallentare i rifiuti con deviazioni verticali: ogni dieci piani il tubo verticale devia di 50 cm per altrettanti piani per poi, se necessario, deviare di nuovo tonando nella posizione originale. Dal punto di vista igienico, Envac garantisce la completa tenuta del sistema per sua intrinseca necessità di funzionamento: gli impianti Envac di raccolta pneumatica dei rifiuti sono, infatti, a tenuta stagna eliminando la possibile presenza di insetti ed odori. Inoltre con il conferimento al piano si è anche risolto il problema dell’abbandono dei rifiuti all’interno degli edifici stessi. L’esempio più rilevante di un impianto pneumatico di raccolta ai piani è stato realizzato da Envac per la TORRE 101 di Taipei, che è stata per alcuni anni l’edificio più alto del mondo. Con l’affermarsi della coscienza sostenibile in questo secolo, i paesi più avanzati hanno deciso di raccogliere i rifiuti separandoli all’origine per poterli poi riciclare. I costruttori che volevano offrire un servizio

di qualità ai loro futuri residenti si trovarono di fronte all’onere di dover portare lungo tutta la parte verticale degli edifici di nuova costruzione non uno, ma due, tre o addirittura quattro tubi diversi per raccogliere i rifiuti, il tutto con un costo poco sostenibile e con un ingombro rilevante. Negli stessi anni nasceva la necessità per alcuni settori, come quello ospedaliero, di poter eliminare i rifiuti solidi assimilabili agli urbani spostandoli il meno possibile all'interno degli edifici. Da queste due necessità nacque l’idea del Sortera o Octopus Envac.

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VALVOLA SORTERA O OCTOPUS La valvola Sortera permette all’utente di selezionare la tipologia di rifiuto che vuole conferire garantendone la separazione all’interno dell’impianto dalle altre tipologie di rifiuto. Questo avviene tramite un tubo verticale di caduta unico, che si collega a quattro condotti di stoccaggio attraverso un braccio elettropneumatico brevettato. La valvola entra in funzione quando a un qualunque piano si seleziona una tipologia di rifiuto tramite la pulsantiera installata sopra i portellini di conferimento. La valvola si posiziona così correttamente per ricevere quella specifica tipologia di rifiuto, lo sportello si può aprire e l’utente conferisce il proprio rifiuto. La valvola impiega meno di un secondo per posizionarsi correttamente. Per questioni si sicurezza tutti gli altri chiusini posti su quel tubo non si possono aprire fintanto che il rifiuto non ha raggiunto la valvola. Anche con gli edifici più alti si tratta di un tempo medio di attesa di alcuni secondi. L’innovazione di questa valvola è che permette di avere un solo tubo verticale che sale a tutti i piani, ma riesce a gestire sino a quattro frazioni. Una volta che i rifiuti sono stoccati all’interno della valvola Sortera non rimane che trasportarli alla centrale di raccolta Envac. Quattro valvole di sezionamento sono posizionate all’uscita dei quattro condotti di stoc-

caggio e si aprono in sequenza per alcuni secondi durante la fase di raccolta, permettendo l’aspirazione dei rifiuti. Anche questa valvola è collegata e gestita dal sistema di controllo dell’impianto sito in centrale, quindi dalla valvola l’impianto si comporta esattamente come un impianto con valvole normali ed è integrabile con impianti che abbiano anche valvole in strada o in altri edifici solo ai piani inferiori. Dopo l’utilizzo e prima di mettersi in posizione di stand-by, il braccio rotante sulla sommità della Sortera Mera collega il tubo verticale con il ramo di stoccaggio temporaneo destinato alla frazione residuale, la più importante in termini di produzione giornaliera e quindi anche la più conferita. Il tubo che sale ai vari piani delle due torri è in acciaio spesso 3 mm e con un diametro di 500 mm. In ogni piano è posto un chiusino di conferimento che permette agli utenti di inserire i rifiuti all’interno dell’impianto. Tale chiusino ove necessario può essere EI 120. Ogni dieci piani è prevista una deviazione del tubo verticale per ridurre la velocità di caduta dei rifiuti. Il tubo verticale viene installato su supporti antivibranti collegati al corpo dell’edificio: in questo modo l’impianto è isolato dalla struttura delle solette attraversate, evitando la trasmissione di eventuali vibrazioni al fabbricato.

DATI TECNICI Caratteristiche principali della valvola di selezione rifiuti • Materiale: Acciaio al carbonio • Peso: 1,80 ton • Lunghezza: 3,29 m • Larghezza: 1,95 m • Altezza: 3,82 m • Capacità di stoccaggio temporaneo: 500 litri/cad (tratto più lungo, 2 rami) 250 litri/cad (tratto più corto, 2 rami)

Simulazione dei tempi di attesa (Torre 26 piani circa 90 metri) Tempo medio di attesa per uso dell’impianto durante il giorno: 3 secondi Tempo medio di attesa per uso dell’impianto nelle ore di picco: 6 secondi Il caso peggiore che si può verificare è calcolato di seguito: 22 secondi di attesa al primo piano; 52 sec all’ultimo piano (possibilità che questo caso si verifichi: 10%) Tali valori sono stati stimati considerando due intervalli di picco conferimento rifiuti durante la giornata: dalle 8:30 alle 10:00 e dalle 20:30 alle 22:00, tipici delle abitudini del Nord Italia. Queste analisi provengono da un algoritmo che prevede l’utilizzo di sacchetti da 25 litri e una velocità di caduta dei rifiuti dentro la condotta verticale pari a 3 m/s e sono dati estremamente prudenziali.

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All’estremità superiore, è previsto un torrino di esalazione di diametro 16 cm che collega il condotto verticale con l’esterno, ove è installato un estrattore in grado di cambiare l’aria interna alla colonna. Anche questa parte di impianto pneumatico, come tutti gli impianti pneumatici al mondo non gestisce la raccolta del vetro. Per quanto riguarda le torri residenziali sono previsti portellini domestici aventi diametro di 300 mm, a cui sarà integrata la pulsantiera per la selezione del rifiuto conferito. Tale pulsantiera oltre a riportare se l’impianto è libero oppure in uso da un altro utente, ha incorporato un allarme sonoro che scatta nel momento in cui il chiusino non viene richiuso dopo l’uso, allarme che viene anche trasmesso al gestore dell’impianto. La valvola Sortera Mera di selezione dei rifiuti viene posta normalmente nei livelli interrati dell’edificio.



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MILANO: NUOVA VITA AL COMPLESSO DI VIA BLIGNY Una demolizione meccanica nel cuore di Milano, eseguita in modo “chirurgico” per fare spazio al futuro campus Universitario della Bocconi di Andrea Terziano

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’intervento di demolizione eseguito da Vitali S.p.A. ha riguardato un edificio che versava in condizioni di degrado ormai da anni ubicato nel centro di Milano, adiacente all’edificio dell’Università Bocconi. L’edificio demolito sito in via Bligny, 22 risale ai primi del ‘900 e non era di rilevante pregio architettonico, precedentemente destinato a laboratori e abitazioni civili, faceva parte del patrimonio immobiliare abbandonato e decadente a carico del Comune di Milano. Benché la demolizione in sé non fosse particolarmente complessa, il contesto urbano antropizzato in cui esso era ubicato, poneva tra gli obiettivi primari dell’intervento sia la rapidità di esecuzione, sia la scelta di una metodologia demolitiva “chirurgica” con la predisposizione di taluni accorgimenti tecnici che consentissero di ridurre al minimo gli impatti

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dell’intervento sul quartiere e sulla viabilità delle aree circostanti. Gli obiettivi si possono così sintetizzare: • contenere il più possibile i disturbi prodotti dall’intervento di demolizione (rumore, vibrazioni e polveri); • garantire la sicurezza e la tutela degli operatori e di tutti i soggetti e beni esterni all’area di cantiere; • minimizzare i tempi di esecuzione dell’intervento. Per effettuare l’intervento nella maniera meno invasiva possibile la società incaricata doveva avere un know-how di primo livello ed un parco mezzi all’avanguardia. Vitali S.p.A., con i sui 350 mezzi e grazie all’esperienza acquisita in numerosi interventi già effettuati in passato all’interno di centri urbanizzati, aveva tutte le caratteristiche per essere il partner ideale per

questo importante progetto di cambiamento della Città di Milano. Il gruppo di edifici oggetto di demolizione aveva una volumetria totale di 20.000 metri cubi ed era composto da 8 edifici che nelle fasi di demolizione sono stati suddivisi in due lotti totali: il primo riguardava tutti gli edifici interni (corpo posteriore) mentre il secondo gli edifici che si affacciavano su via Bligny. L’edificio del secondo lotto, identificato con la lettera B, era il più critico per la demolizione poiché oltre ad essere il più alto presentava un fronte confinante direttamente con Via Bligny e con un edificio di altra proprietà da preservare. La struttura era in muratura mentre la copertura era realizzata in legno con coppi. I solai a tutti i piani, escluso quello al piano campagna, erano costituiti da voltini aventi luce di 70 cm


con travi IPE 180 in carpenteria e volte in muratura forata. Il muro di confine con l’edificio da preservare era realizzato in muratura piena con spessore di 50 cm; tra il muro di confine dell’edificio B e i muri del’edificio vicino da preservare era presente un'intercapedine di soli 10 cm. La demolizione del secondo lotto di edifici ed in particolare delle porzioni in aderenza ad altre proprietà è avvenuta rispettando diverse prescrizioni operative utilizzate da Vitali S.p.A. per ridurre al minimo l’impatto della demolizione: • la demolizione delle murature e dei solai è avvenuta per disgregazione con serraggio delle ganasce dell’utensile da demolizione e non mediante sollecitazione congiunta di tiro o flessione; • le porzioni di struttura rimosse durante ogni ciclo di serraggio dell’utensile sono state di piccole dimensioni rispetto a quelle comunemente ottenute durante una demolizione top down, per limitare temporalmente i cicli di sollecitazione della struttura; • l’ordine di esecuzione delle demolizioni è stato previsto in modo da evitare ogni tipo

I numeri dell a demolizione Anno di costruzione dell’edificio primi del ‘900 Metri Cubi dell’intervento

20.000

Mezzi utilizzati *

• 1 mezzo da demolizione cingolato da 500 quintali con braccio da 26 metri attrezzato con pinza idraulica da 20 quintali • 1 mezzo da demolizione da 200 quintali attrezzato con pinza/frantumatore da 25 quintali • 1 autobotte per il rilancio dell’acqua a quota di demolizione

Tempi dell’intervento

2 mesi

* Tutti gli escavatori e le macchine da demolizione del gruppo Vitali sono predisposte per montare griglie e protezioni FOPS corrispondenti la normativa in sicurezza e possono quindi ottenere la massima protezione nei cantieri di demolizione difficili e rischiosi come questo. Alcuni di essi, però, sono dedicati esclusivamente a questi lavori. Oltre alla macchina da demolizione Doosan DX 465 con braccio PMI da 24 m, qui protagonista, è operativo un CAT demolition 330 con braccio da 22 m, un Case CX800 con braccio da 47 m e un Daewoo DX 500 con braccio che arriva a 27 m.

di crollo o cedimento, ad esclusione della porzione di materiale aggredita dall’utensile da demolizione; • le porzioni di solaio a voltini sono state demolite per settori singoli in modo da ridurre al minimo le sollecitazioni sui solai stessi nelle fasi transitorie della demolizione. Il lavoro sul corpo posteriore e anteriore è avvenuto mediante demolizione controllata

con un mezzo da demolizione da 500 quintali con braccio da 26 metri attrezzato con pinza idraulica da 20 quintali, un mezzo da demolizione da 200 quintali attrezzato con pinza/ frantumatore da 25 quintali utilizzando un’autobotte per il rilancio dell’acqua a quota di demolizione. Gli interventi sono stati effettuati dall’alto verso il basso, su edifici con un’altezza variabile dai 7 ai 22 metri che hanno permesso

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l’utilizzo di questa tecnica demolitiva. Il secondo lotto, essendo posto fronte strada, ha richiesto, inoltre, l’installazione di un ponteggio per proteggere e schermare gli edifici circostanti dai detriti prodotti dalla demolizione; essendo inoltre l’edificio da demolire contiguo ad altri, per evitare di danneggiare la struttura di questi

ultimi la demolizione della parte di edificio limitrofa si è svolta manualmente. Il recupero delle aree dismesse ricopre una notevole importanza soprattutto nell'ottica di una sempre più necessaria attività di riqualificazione di molte aree che per troppo tempo sono state lasciate in balia di se stesse. L’intervento

L a Modell azione FEM delle fasi transitorie Per garantire la corretta esecuzione dell’intervento di demolizione e in particolare l’assenza di sollecitazioni trasmesse all’edificio di confine i tecnici di Vitali hanno eseguito una modellazione agli elementi finiti della porzione in aderenza dell’edificio B; il modello creato è servito per garantire al Cliente le condizioni di stabilità della porzione di edificio sotto l’azione di carichi accidentali e per verificare che gli spostamenti orizzontali della porzione di edificio fossero compatibili con le dimensioni geometriche dell’intercapedine che c’era a separazione tra l’edificio da demolire e quello in aderenza da preservare. La simulazione è stata eseguita procedendo in modo iterativo, in condizioni di stati limite ultimo (SLU) sotto l’azione di spinte accidentali di 2,5 t e applicate nel modello secondo schemi di carico il più possibile rispondenti con la realtà, i livelli tensionali raggiunti dalle pareti murarie sono risultati sempre inferiori a quelli massimi consentiti confermando la fattibilità tecnica dell’intervento.

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di demolizione è stato svolto da Vitali S.p.A. secondo i tempi previsti e senza particolari problemi. Sono stati recentemente avviati i lavori di costruzione del nuovo Campus Universitario della Bocconi che avrà 176 posti letto, 66 appartamenti, spazi comuni per gli studenti e 30 posti auto in autorimessa interrata.



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PHYTOREMEDIATION E BONIFICHE IN SITU Un approccio integrato e sostenibile al risanamento ambientale di aree contaminate di S. Gallego, A. Scalari, B. Grandi, S. Danini, S. Armanini, P. Caleffi, M. Prandi e A. Prandi*

I

n Italia esistono più di 15000 siti potenzialmente contaminati, ovvero aree nelle quali, per le attività che si svolgono o che sono state svolte in passato, è possibile che siano presenti inquinanti ad una concentrazione superiore ai limiti di legge, la cosiddetta CSC - Concentrazione Soglia di Contaminazione. I siti contaminati accertati, ovvero le aree dove è stato verificato un rischio associato alla presenza di contaminanti, sono più di 4800. All’interno di questi rientrano i Siti di Interesse Nazionale, classificati tali per le loro dimensioni, per l’importanza e l’estensione della contaminazione e la prossimità a contesti urbani, al mare e/o ad aree naturali protette. Queste aree del Paese, che coprono circa il 3% del territorio nazionale, pur costituendo un problema per la salute pubblica e l’Ambiente, nella quasi totalità dei casi non sono ancora state oggetto di interventi di bonifica risolutivi. Riguardo alle bonifiche, si osserva come ancora oggi in Italia la tendenza sia forte nel preferire ed eseguire interventi di bonifica off-site, con rimozione e smaltimento del terreno contaminato: il suolo, perciò, viene visto più come un rifiuto di cui disfarsi, che come un bene da valorizzare e riqualificare. Senza contare che le attività di ripristino necessarie dopo tali operazioni comportano inevitabilmente il ricollocamento di terreno non contaminato che potrebbe essere costituito da materiale di cava. Ciò comporta, fra l’altro, un consumo di materia prima e il conseguente evitabile sfruttamento del nostro territorio. La situazione in cui ci troviamo, dunque, vede il nostro paese in ritardo nell’applicazione delle

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tecnologie di bonifica in situ che, al contrario, presentano svariati vantaggi, soprattutto sotto il profilo dell’impatto sulle matrici ambientali da trattare. Vengono, infatti, ridotti al minimo gli interventi di mobilitazione e rimozione del terreno, del quale vengono preservate tutte le caratteristiche pedologiche e biologiche (dalla struttura fisica alla biodiversità presente), con conseguenti benefici anche dal punto di vista economico. Water & Soil Remediation, azienda leader nel campo delle bonifiche in situ, ha maturato una lunga esperienza nell’utilizzo di queste tecniche di risanamento dei terreni e delle acque sotterranee, permettendo il recupero di un centinaio di siti contaminati, di varie tipologie e dimensioni, in aree industriali, urbane e agricole, senza ricorrere alla rimozione del terreno contaminato.

LA PHYTOREMEDIATION PER LA BONIFICA IN SITU DI aree CONTAMINATe Una delle tipologie di trattamento ambientale che, pur se poco utilizzata soprattutto in Italia, può essere ricompresa tra le tecniche di bonifica in situ, è la Phytoremediation. La tecnica sfrutta la capacità di alcune tipologie di piante o altre specie vegetali di contenere, degradare e/o eliminare diverse tipologie di contaminanti, quali ad esempio metalli, pesticidi, solventi, composti idrocarburici, dalle matrici ambientali (terreno, acqua, aria) che li possono eventualmente contenere. L’utilizzo delle piante per la bonifica di siti contaminati è una pratica relativamente recente ma già consolidata; essa si può applicare in molteplici contesti e

per diverse tipologie di contaminanti, compresi quelli più refrattari alla biodegradazione come ad esempio i metalli. La riduzione dei livelli di inquinanti operata dalle piante può essere realizzata in vari modi. Uno dei principali avviene mediante stimolazione dell’attività metabolica dei microorganismi che si trovano in prossimità dell’apparato radicale, fenomeno noto come rizodegradazione. Nella pratica i microorganismi si sviluppano utilizzando come nutrienti le sostanze che vengono essudate dalle radici, come zuccheri (principalmente glucosio e fruttosio), acidi organici ed enzimi. Alcune di queste mo-


lecole (zuccheri e aminoacidi) hanno anche un effetto chemotattico nei confronti dei batteri, sono capaci, cioè, di attirarli verso il punto in cui vengono rilasciate. La composizione degli essudati radicali non è ancora completamente conosciuta, tuttavia è noto che essi contengono diverse molecole intermediarie di alcune vie metaboliche di biodegradazione dei contaminanti, in grado anche di funzionare da cosubstrati in reazioni cometaboliche o come induttori di vie di biodegradazione. L’azione di richiamo di acqua e il rilascio di ossigeno operata dall’apparato radicale consente inoltre di mantenere condizioni ottimali di crescita per le popolazioni microbiche presenti. Non da ultimo, lo sviluppo e la crescita dell’apparato radicale funge da vettore per i microrganismi che lo popolano facilitando la loro diffusione in zone del terreno difficilmente o per nulla raggiungibili. In altri casi le piante riescono ad abbattere le concentrazioni di contaminanti nelle matrici ambientali coinvolte nel trattamento mediante fitoestrazione o fitoaccumulazione, cioè assorbendoli e accumulandoli al proprio interno dove, in alcuni casi, vengono successivamente metabolizzati. Alcuni esempi di progetti di fitobonifica su grande scala completati in Europa sono la bonifica dell’area di Trecate (inquinamento da idrocarburi) e quella nel Parco Naturale di Doñana in Spagna (inquinamento da metalli).

Un’estesa superficie di adsorbimento delle radici, una sviluppata e capillare massa di apici radicali, una elevata attività enzimatica legata all’essudato, sono alcuni fra i fattori critici per un impiego efficace delle fitobonifiche. Inoltre, allorché si tratta di intervenire in aree particolari quali zone umide, diventa cruciale sfruttare al meglio i complessi meccanismi fisici, chimici e biologici in gioco ed i ruoli rispettivi delle specie vegetali utilizzate e dei microorganismi della rizosfera. Si è potuto appurare, ad esempio, che certe piante acquatiche quali la “cannuccia di palude” (Phragmites australis) contengono gli enzimi adatti a detossificare un certo numero di sostanze xenobiotiche. Fra i fattori limitanti della Phytoremediation vi sono, il fatto che questa tecnica necessita di tempi medio-lunghi connessi alla crescita e allo sviluppo dei vegetali utilizzati, che non si può applicare in ambiti in cui la contaminazione riscontrata è posta ad elevate profondità, in quanto non raggiungibili dall’apparato radicale, e l’impossibilità di essere applicata contestualmente allo svolgimento di attività antropiche.

UN APPROCCIO INTEGRATO PER IL RISANAMENTO AMBIENTALE Tenuto conto dei vantaggi e dei limiti connessi con l’utilizzo della Phytoremediation per il

trattamento di siti inquinati, appare subito evidente come questa tecnica ben si presti ad un approccio applicativo integrato, in sinergia con altre tecnologie di bonifica in situ, con conseguente massimizzazione dei benefici delle varie metodologie utilizzate. L’approccio integrato può prevedere l’applicazione contemporanea delle varie tecnologie di risanamento, fra cui la Phytoremediation, o quella sequenziale, adottando la Phytoremediation successivamente ad altri trattamenti di bonifica in situ. Quest’ultima fattispecie potrebbe configurarsi ad esempio quando il livello iniziale dei contaminanti presenti nelle matrici da trattare è tale da impedire o rendere difficoltosa la crescita e la produzione dei vegetali. L’integrazione della Phytoremediation con altre tecnologie di bonifica in situ può essere applicata nel trattamento di contaminazioni che si estendono dal suolo superficiale fino a qualche metro di profondità che in alcuni casi permette il contatto con le acque sotterranee di prima falda. A questo scopo si possono impiegare sia specie erbacee, con radici superficiali, sia specie arboree, con sistemi radicali in grado di spingersi fino alla falda, tanto da essere impiegate, in alcune situazioni, alla stregua di una barriera idraulica naturale. In tutti i casi, si può constatare l’esistenza di mutui benefici derivanti dall’azione congiunta della Phytoremediation con una o più tecnologie di bonifica. Se da un lato le piante possono svolgere un’azione stimolante nei confronti della crescita e dello sviluppo dei microrganismi deputati all’abbattimento degli inquinanti, attraverso la secrezione di sostanze nutritive e il richiamo di acqua e minerali, dall’altro la ventilazione e quindi ossigenazione del sottosuolo operata da classici sistemi in situ quali il Bioventing e l’Air Sparging, consente sia la mobilizzazione dei contaminanti, resi così più disponibili ai microorganismi, sia la creazione di un flusso d’aria sotterranea che ha l’effetto di migliorare la respirazione delle cellule radicali e stimolare la crescita della pianta. La Phytoremediation associata ad altre tecniche di trattamento in situ inoltre può consentire il ripristino ambientale di siti in cui possono essere presenti inquinanti con caratteristiche

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pro g e t t i e t ec nol og i e

UNA SOLUZIONE SOSTENIBILE PER LE AREE PROTETTE Effettuare interventi di risanamento ambientale e nel contempo preservare l’area di intervento privilegiando approcci poco invasivi ed impattanti risulta auspicabile in modo particolare in siti contaminati caratterizzati dalla presenza di complessi quadri di inquinamento, che coinvolgono aree di pregio e di interesse paesaggistico e naturalistico. Un esempio di particolare rilevanza, in questo senso, è fornito dal SIN Laghi di Mantova e Polo Chimico che, come gli altri SIN, esibisce un quadro di criticità ambientale molto complesso, ma in aggiunta a questo vede la presenza al suo interno di un ambiente naturale protetto (Riserva Naturale del Mincio e Riserva Naturale Vallazza, entrambi classificati Siti di Importanza Comunitaria) e di parte dei laghi che fiancheggiano la città. Per quest’area sono attualmente in fase di studio progetti e prove pilota che vedono il coinvolgimento e la collaborazione di Water & Soil Remediation s.r.l. e dei suoi consulenti, della Pubblica amministrazione, dell’Università e di altre Società interessate, che consentiranno di valutare in modo diretto gli effetti del trattamento sinergico su queste aree complesse.

diverse, soprattutto in termini di maggiore o minore biodegradabilità, che diversamente, utilizzando le tecniche singolarmente, non potrebbero essere abbattuti. In situazioni ottimali l’azione integrata delle diverse tecnologie porta ad un’ottimizzazione dei costi, al raggiungimento del risultato

finale in tempi più brevi ed eventualmente con margini superiori rispetto a quelli che si otterrebbero impiegando le suddette metodologie singolarmente. L’approccio integrato non è pensato solo per raggiungere, in modo più efficiente ed efficace, gli obiettivi di bonifica prefissati, ma

anche per rispondere, nella pratica, a criteri e principi di sostenibilità ambientale, sociale ed economica che devono far parte sempre di più del nostro operato, specie in settori come quello delle bonifiche ambientali. *Water & Soil Remediation s.r.l.

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Facciamo squadra! Voi progettate. Noi vi aiutiamo a raggiungere il traguardo. Soddisfare i sempre più complessi e improrogabili requisiti normativi su ambiente, lavoro e sicurezza non è affatto semplice. Per tracciare al meglio le vostre linee guida, dovete avere piena coscienza del quadro legislativo vigente. Gli strumenti non vi mancano, questo è fuor di dubbio, ma sappiamo quanto sia difficile scegliere le modalità più opportune per evitare spiacevoli errori e bruschi cambi di rotta. Proprio per questo ci siamo noi di Ecol Studio, entusiasti di accompagnarvi dritti verso il successo. • Analisi di laboratorio nei settori chimico, fisico, ambientale, microbiologico, materiali a contatto con alimenti (Laboratorio Accreditato Accredia n. 0130) • Specializzazioni multisettoriali: acque; alimenti; emissioni in atmosfera; carta & cartone; amianto; rifiuti e fanghi; rischi industriali; rumore, vibrazione e campi magnetici; bonifica siti inquinati; Integrated Pollution Prevention Control • Monitoraggio dei processi di produzione • Supporto tecnico per la pianificazione e gestione degli impianti • Consulenza e formazione nei settori Certificazioni & Sistemi di Gestione, Salute & Sicurezza sui luoghi di lavoro; Ambiente & Energia • Medicina del lavoro e Laboratorio di analisi cliniche • Aggiornamento normativo in materia di tutela ambientale Anno 6 - Numero 25 www.ecolstudio.com 52

Limitatamente al sito di Lucca Per l’elenco delle prove accreditate ACCREDIA consultare il sito www.ecolstudio.com

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LA MISURA DEI SOIL GAS NEI SITI CONTAMINATI APPLICAZIONI, VANTAGGI E CRITICITà DI UNO STRUMENTO UTILE PER LA STIMA DEL RISCHIO E PER LA VALUTAZIONE DELL’ANDAMENTO DELLE BONIFICHE AMBIENTALI di A. Italia, A. Lenci, A. Spadaro e A. Calì*

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ello studio di siti inquinati da composti volatili e semivolatili, la caratterizzazione e il monitoraggio dei gas interstiziali (“soil gas”), cioè la misura delle concentrazioni dei gas presenti negli spazi intergranulari del sottosuolo, ha assunto negli ultimi anni un ruolo da protagonista. Infatti, la misura dei soil gas costituisce una procedura avanzata per la formulazione del modello concettuale di un sito, per la stima dei rischi igienico-sanitari correlati e per la valutazione dell’andamento delle attività di bonifica condotte. Tale misura si dimostra fortemente influenzata da una molteplicità di variabili e di condizioni al contorno da cui dipendono sia la rappresentatività dei dati sia il loro utilizzo. Particolarmente importanti ai fini della qualità delle misure, sono le caratteristiche litostratigrafiche e idrologiche del sottosuolo, le proprietà chimico-fisiche dei composti di interesse nonché le modalità di campionamento e le metodiche analitiche utilizzate. Le difficoltà tecnico-operative delle misure di soil gas, sono inoltre acuite dall’assenza di linee guida nazionali che ne esplichino le modalità di esecuzione e di analisi, appianando le divergenze ad oggi in essere.

Obiettivi della misura di soil gas Il ricorso alla misura dei soil gas trova spazio in ciascuna delle diverse fasi previste dal procedimento ambientale [1] per i siti potenzial-

mente contaminati o interessati da intervento di bonifica. Quantificare con misure dirette le concentrazioni dei soil gas, può fornire in primo luogo un “metodo mirato” di caratterizzazione ambientale [2]. Disporre di informazioni sulla composizione analitica dei soil gas può rivelarsi un utile strumento decisionale nell’ubicazione di sondaggi geognostici, nella scelta delle profondità di prelievo dei campioni di terreno nonché nella definizione del set analitico di interesse, migliorando la definizione del modello concettuale definitivo del sito. Il monitoraggio dei soil gas trova altresì impiego anche nelle fasi successive all’indagine ambientale, con particolare riferimento alla procedura di analisi di rischio sito-specifica per la determinazione degli obiettivi di bonifica [3]. Dall’esame di esperienze maturate nel settore sia nazionale che internazionale, è emerso infatti che la procedura di analisi di rischio fornisce risultati estremamente conservativi, soprattutto per quanto riguarda l’esposizione indoor [4]. Il monitoraggio dei soil gas consente pertanto una valutazione diretta dell’effettiva entità dei fenomeni di volatilizzazione sito-specifici a carico della contaminazione riscontrata nel sottosuolo di un sito inquinato. Le misure eseguite potranno quindi essere impiegate nell’elaborazione di un’analisi di rischio più rappresentativa dei rischi igienico-sanitari correlati ai potenziali meccanismi di intrusione in ambienti chiusi (“vapor intrusion”) e di dispersione nell’aria atmosferica.

Il ricorso alle misure di soil gas può infine trovare applicazione nei piani di controllo in corso d’opera della bonifica, per valutare l’efficienza degli interventi di bonifica, fornendo una valutazione diretta della variabilità spaziale e temporale della concentrazione nei gas interstiziali dei composti di interesse. La misura dei soil gas presenti nel sottosuolo di un sito inquinato, mostra quindi significativi vantaggi, tra cui: • il dato fornito è strettamente correlato alle matrici ambientali terreno e acque sotterranee normate ai sensi del D.Lgs. 152/06; • le misure sono rappresentative dell’eterogeneità del sottosuolo e delle diverse sorgenti di contaminazione potenzialmente attive; • i piani di monitoraggio periodico consentono di valutare sia la variabilità temporale dei soil gas con continuo aggiornamento del modello concettuale del sito, sia di avere utili informazioni sui meccanismi di attenuazione e di migrazione. Per contro, possono essere individuate anche diverse criticità, in particolare: • le concentrazioni nei soil gas risentono delle condizioni atmosferiche come piovosità e temperatura, per cui è fondamentale minimizzare le interferenze con l’ambiente esterno; • è necessaria una buona conoscenza dell’assetto geologico ed idrogeologico del sito di interesse.

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L’uso dei soil gas nell’analisi di rischio Le misure di soil gas possono trovare applicazione nella procedura di analisi di rischio sito-specifica di un sito contaminato [7]. Al riguardo la comunità scientifica sta valutando un approccio [8] mirato a favorire il superamento di uno scoglio normativo nell’applicazione dei soil gas in ambito dell'analisi di rischio sito-specifica, derivante dal fatto che le matrici ambientali contemplate dal D.Lgs. 152/06 non comprendono i gas interstiziali. Il ricorso alle misure di soil gas come strumento di valutazione concreta dell’effettiva entità dei fenomeni di volatilizzazione della contaminazione presente del sottosuolo di un sito inquinato, ha portato ben presto a scontrarsi con la necessità di esplicitare l’inevitabile legame che esiste tra la “matrice soil gas” e le matrici terreno ed acque sotterranee previste dalla normativa ambientale. Gli orientamenti più recenti prevedono il ricorso a una procedura di analisi di rischio il più possibile sito-specifica e sempre meno affetta dagli eccessi di conservatività tipici dei modelli analitici di simulazione dei meccanismi di volatilizzazione indoor e outdoor. Tale approccio, più rappresentativo, è incentrato sulla definizione sito-specifica di un fattore di correlazione tra la contaminazione presente nelle matrici suolo e acque sotterranee e quella presente nel soil gas. A tale scopo si definisce un fattore β, indicativo dell’attenuazione sito-specifica che la concentrazione dei composti d’interesse nei soil gas, subisce durante la migrazione dalla zona insatura e dalle acque sotterranee soggiacenti un sito inquinato. L’approccio, da recenti applicazioni su 12 casi reali omogenei sia per tipologia di inquinamento (composti idrocarburici) sia per estensione della contaminazione nella zona insatura, si è rivelato efficace soprattutto nello stabilire una correlazione tra le concentrazioni nel terreno e quelle nel soil gas. Invece, nel caso di falde inquinate, tale correlazione è di più difficile valutazione.

Al fine pertanto di ottenere misure qualitativamente rappresentative, è opportuna un’accurata pianificazione delle attività di esecuzione da condursi sovente di concerto con le Pubbliche Autorità competenti.

Modalità operative La misura dei soil gas può essere eseguita mediante la realizzazione nella zona vadosa del sottosuolo, di punti di campionamento temporaneo o permanente. In particolare, i punti permanenti di campionamento costituiti da pozzi appositamente attrezzati, consentono di programmare piani di monitoraggio tali da garantire una valutazione dell’andamento tem-

Figura 1. Installazione dei punti di campionamento

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Anno 6 - Numero 25

Il fattore di attenuazione βsg, espresso in [(mg/m3)/(mg/kg)], ha valori inferiori a 0,1 nel caso degli idrocarburi pesanti

Il fattore di attenuazione βsg, può assumere valori più elevati, fino a 100, nel caso di idrocarburi leggeri o BTEX

porale delle concentrazioni, fondamentale ad esempio nella valutazione dell’efficacia di una bonifica. E’ possibile inoltre prevedere installazioni multilivello, con la finalità di quantificare la variabilità della composizione dei soil gas in funzione della profondità da piano campagna, soprattutto in caso di misure da impiegare nella procedura di analisi di rischio sito-specifica. Di seguito si riportano i principali aspetti su cui si ritiene fondamentale porre una particolare attenzione in fase di pianificazione delle attività, sulla scorta della nostra esperienza e delle principali linee guida regionali [5] ad oggi disponibili, stante comunque la necessità di regolamentarne e unificarne l’e-

secuzione con linee guida a livello nazionale: • numero e ubicazione dei punti di campionamento; • esecuzione e installazione dei punti di monitoraggio; • campionamento e analisi. Il numero e l’ubicazione dei punti di campionamento soil gas, devono essere stabiliti sulla base sia delle informazioni disponibili in merito alle attività eseguite sul sito in funzione della sua destinazione d’uso, che di quelle ricavate dalle indagini ambientali eseguite. Disporre dei dettagli progettuali e della mappatura di strutture e infrastrutture, risulta un valido supporto per la definizione del numero e del posiziona-

Figura 2. Prove di tenuta


mento dei soil gas soprattutto se finalizzati alle successive fasi di indagine ambientale. Il numero di punti di misura varia da un minimo di tre, per aree di piccole dimensioni come i punti vendita carburanti [6] a valori maggiori per aree di medie e grandi dimensioni soprattutto se caratterizzate da attività produttive e fasi lavorative spazialmente diversificate. La procedura adottata sulla base della nostra esperienza, prevede che l’ubicazione dei pozzi di soil gas venga stabilita in base ai seguenti criteri: • individuazione delle aree di interesse in relazione alle attività produttive sito-specifiche; • individuazione dei punti maggiormente rappresentativi della contaminazione riscontrata nelle matrici terreno e acque sotterranee come risultanza delle indagini ambientali eseguite; • individuazione delle sorgenti secondarie nella matrice terreno e acque sotterranee secondo il modello concettuale proposto; • individuazione dei recettori che potrebbero inalare i vapori prodotti dalla volatilizzazione della contaminazione rilevata. L’esecuzione e l’installazione dei pozzi di soil gas, deve essere stabilita in primo luogo in funzione del modello geologico e idrogeologico con particolare attenzione alla sequenza stratigrafica ricostruita e alle oscillazioni dei livelli di falda, al fine di non compromettere l’affidabilità del dato. Vanno altresì considerati anche aspetti tecnico-operativi come l’accessibilità delle aree d’interesse e gli spazi disponibili all’esecuzione delle attività nel principio universale della sicurezza. L’installazione dei punti di campionamento può avvenire pertan-

to mediante l’utilizzo di macchine perforatrici, escavatori a risucchio o trivella a mano (Fig. 1). Si suggerisce di sottoporre i punti di misura a prove di tenuta con l’utilizzo di un gas inerte come tracciante (ad esempio elio), per verificare l'assenza di richiamo di aria esterna dagli strati superficiali del suolo durante i campionamenti e quindi l'assenza del fenomeno dello short-circuiting (Fig. 2). La prova può essere articolata nelle seguenti fasi: • incapsulazione al di sotto di un recipiente in plexiglas a tenuta dell’intero punto di campionamento e delle relative tubazioni; • immissione al di sotto del plexiglas di elio ultra puro e con basso contenuto di umidità fino a raggiungere concentrazione del gas tracciante non inferiore al 60%; • aspirazione contemporanea di aria dal punto di campionamento, monitorando in continuo la concentrazione dell’elio nel soil gas pompato per valutare l’eventuale presenza di elio. Il campionamento può essere condotto sia in modalità indiretta tramite ad esempio fiale assorbenti a carbone attivo, che in modalità diretta tramite canister (Fig. 3). Tra i criteri che guidano la scelta della modalità di campionamento più idonea, ci sono le proprietà chimico-fisiche dei composti volatili e semivolatili di interesse, la sensibilità delle misure di cui si necessita nonché valutazioni tecnico-economiche. In molti casi risulta preferibile il campionamento indiretto rispetto a quello diretto, soprattutto in termini di economicità dell’intervento e di praticità di conservazione del campione pur fornendo quest’ultimo in genere una maggiore accuratezza del dato.

Figura 3. Campionamento con fiale (a sinistra) e con con canister (a destra)

Particolare attenzione deve essere posta alla durata del campionamento avendo questa un’influenza diretta sulla sensibilità della misura. La durata del campionamento viene stabilita sulla base della portata di pompaggio, al fine di garantire l’aspirazione almeno del volume minimo necessario a raggiungere il limite di rilevabilità di interesse, dipendente sia dalla tipologia di campionatore che dalle metodiche analitiche scelte. *Golder Associates s.r.l.

NOTE [1] D.Lgs. 152/06 “Norme in materia ambientale” e successive modifiche e integrazioni. [2] Allegato 3 al Titolo V della Parte Quarta del DLgs 152/2006 “Criteri generali per la selezione e l’esecuzione degli interventi di bonifica e ripristino ambientale, di messa in sicurezza (d’urgenza, operativa o permanente), nonché per l’individuazione delle migliori tecnologie d’intervento a costi sopportabili”. [3] Allegato 1 al Titolo V della Parte Quarta del DLgs 152/2006 “Criteri generali per l’analisi di rischio sanitario ambientale sito-specifica.”, come modificato dal Decreto Legislativo n. 4 del 29 gennaio 2008 “Ulteriori disposizioni correttive ed integrative del DLgs 152/06, recante norme in materia ambientale”. [4] California Environmental Protection Agency “Guidance for the evaluation and mitigation of subsurface vapour intrusion to indoor air, Department of Toxic Substances Control” (2005). [5] ARPA Veneto “Linee guida per il monitoraggio attivo dei gas interstiziali del terreno (soil gas)” ARPA Liguria “Criteri per campionamento e analisi di gas interstiziali” ARPA Piemonte “Campionamento dei gas interstiziali e rilievo delle emissioni di vapori dal terreno in corrispondenza dei siti contaminati” ARPA Lombardia “Indicazioni tecniche per il campionamento attivo e analisi dei soil gas”. [6] ISPRA “Criteri metodologici per l’applicazione dell’analisi assoluta di rischio ai siti contaminati”, revisione 2 di marzo 2008 e sua Appendice V “Applicazione dell’Analisi di Rischio ai punti vendita carburante. [7] Bozza di “Protocollo ISPRA-INAIL (exISPESL) per la valutazione del rischio associato all’inalazione di vapori e polveri, in ambienti aperti e confinati nei siti di bonifica” (ottobre 2010). [8] SiCOn 2013 - Laura D’Aprile (ISPRA) “applicazione dell’analisi di rischio alla bonifica dei siti contaminati: sviluppi tecnici e normativi”.

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pro g e t t i e t ec nol og i e

tecnologie sostenibili per la bonifica di siti contaminati Utilizzo dell’attenuazione naturale potenziata per il trattamento del SIN Laghi di Mantova e Polo Chimico di Alessio Malcevschi*

S

econdo il rapporto Ispra 2012 sui dati ambientali in Italia presentato il 17 luglio di quest’anno alla Camera dei Deputati, basato sulle informazioni fornite dalle diverse regioni, si stima che in Italia vi siano a tutt’oggi 4.837 aree ancora contaminate in conseguenza sia di attività industriali e commerciali che connesse alla gestione dei rifiuti, di cui le prime sono concentrate prevalentemente al CentroNord mentre le seconde sono più numerose al Sud. Attualmente le procedure di bonifica dei siti contaminati sono disciplinate dal D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 – Parte IV – Titolo V e successive modificazioni (ultimo dei quali è l’art 41. del decreto “Del Fare” 21 giugno 2013) che prevedono, in relazione alla destinazione d’uso attuale e futura del sito da bonificare, interventi atti ad eliminare le fonti di inquinamento e le sostanze inquinanti o ridurre le concentrazio-

ni delle sostanze inquinanti presenti nel suolo, nelle acque superficiali o nelle acque sotterranee ad un livello uguale o inferiore ai valori di concentrazione soglia di contaminazione CSC o alle concentrazione soglia di rischio CSR. In tale contesto a partire dal 1998 il Ministero dell’Ambiente ha identificato una serie di siti d’interesse nazionale (SIN) la cui la messa in sicurezza e la bonifica è stata presa in carico direttamente dallo Stato stesso a seguito della gravità dell’impatto, ambientale, sanitario e socio-economico derivante l’inquinamento del suolo, delle acque superficiali e sotterranee (Fig. 1). Tra il 2001 ed il 2012, secondo il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, sono stati investiti per la bonifica dei SIN circa 3.596 milioni di euro ripartiti quasi in parti uguali tra investimenti pubblici (52,5%) e privati (47,5%) [1]. Sino al 2012 esistevano 57 siti riconosciuti di interesse nazionale corrispondenti per estensione a circa il 2% dell’intero territorio nazionale, identificati e perimetrati dal governo italiano a partire dal 1998 in poi. Con il D.M. 11 gennaio 2013, attuativo dell’art. 36bis del D.L. 83/2012, sono stati trasferiti alle competenze regionali 18 dei 57 siti precedentemente classificati come SIN che non soddisfacevano i requisiti previsti dallo stesso decreto. Pertanto, ad oggi, il numero complessivo dei SIN è di 39 (Fig. 2) e solitamente corrisponFigura 1. Tipologie di contaminanti nei siti SIN (Rapporto ISPRA 2012) dono ad aree industriali dismes-

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se o in attività, poli siderurgici, cave, discariche abusive e non, porti ed ex miniere. I contaminanti principalmente diffusi in queste zone, tossici per inalazione, ingestione e contatto, comprendono diossine, idrocarburi policiclici aromatici (IPA), metalli pesanti, solventi organo clorurati e policlorobifenili (PCB). Tra i SIN che devono essere bonificati vi è il sito "Laghi di Mantova e Polo Chimico" che include l'area del Polo industriale, lago di Mezzo e lago Inferiore, il sito della Vallazza, alcuni tratti del fiume Mincio e le relative sponde, per un’estensione di circa 1027 ettari, in gran parte compresi all'interno del Parco del Mincio (Fig. 3). Le analisi ambientali condotte negli ultimi trenta anni hanno dimostrato la presenza in quest’area di elevate concentrazioni di inquinanti (la cui concentrazione raggiunge sino alle 10 volte il limite consentito di legge) quali metalli pesanti, principalmente mercurio, nelle aree lacustri e fluviali, IPA e PCB nei sedimenti, idrocarburi leggeri e pesanti, BTEX, cloroformio e dicloroetano nelle zone industriali, le acque di falda risultano infine contaminate da metalli pesanti, idrocarburi, solventi aromatici e IPA. L’importanza ambientale e naturalistica di tali aree è stata riconosciuta, oltre che dall’UNESCO a Mantova quale patrimonio mondiale dell’umanità, anche dalla normativa vigente, in particolare dalla delibera della Regione Lombardia del 28 febbraio 2007 numero 8/4197 che ha individuato l’area dei laghi di Mantova come area da designare come ZPS (Zona a Protezione Speciale) in accordo con la normativa europea 79/409/EC. Pertanto anche a seguito della sottoscrizione dell’Accordo di programma


Processo Solubilizzazione Diluizione

Descrizione

Tipo

Passaggio del composto

Conservativo

da fase libera a fase disciolta Miscelazione dei contaminanti con l’acqua di falda al di sotto dell’area sorgente

Conservativo

Trasporto dei contaminanti dalle zone Dispersione

a maggiore concentrazione verso

Conservativo

quelle a minore concentrazione Processo reversibile di adesione Adsorbimento

del contaminante sulla matrice

Conservativo

solida del mezzo poroso Volatilizzazione Degradazione

Processo (reversibile) di passaggio del

Conservativo (distruttivo

contaminante dalla fase libera alla fase vapore dal punto di vista della falda) Trasformazione chimica dei contaminanti in composti più semplici

Distruttivo

Trasformazione chimica dei Biodegradazione

contaminanti in composti più semplici,

Distruttivo

mediata da organismi biologici Tabella 1. Principali processi chimici, fisici e biologici di attenuazione naturale

“per la definizione degli interventi di messa in sicurezza d’emergenza e successiva bonifica del Sito di Interesse Nazionale di Laghi di Mantova e Polo Chimico”, sottoscritto in data 31 maggio 2007, sono stati avviati dal Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare piani di indagine e di progettazione per la messa in sicurezza della falda sottostante l’area del petrolchimico e per lo studio sulla fattibilità di un intervento nelle aree lacustri e fluviali. Il completamento della caratterizzazione del sito permetterà di effettuare a questo punto la scelta del tipo di intervento di bonifica più opportuno che tenga conto della sua applicabilità a contesti naturali e aree periurbane intensamente fruite come quelle presenti nell’area in questione. E’ importante infatti tenere presente che in un ambiente naturale come quello che interessa il SIN di Mantova risulta difficoltoso intervenire con tecniche classiche di bonifica ex situ ed in situ a causa sia della fragilità ed il valore naturalistico dei siti interessati, sia per gli elevati costi, sia infine perché in gran parte delle aree non è possibile attuare la pratica transattiva che prevede di attribuire la responsabilità dell’inquinamento ed applicare il principio "chi inquina paga". Si tratta infatti in gran

parte di aree demaniali ad uso pubblico la cui contaminazione ha fonti diffuse e il cui assetto attuale è dovuto a dragaggi e riporti di fondali lacustri, realizzati nel passato in assenza di normative ambientali. Al fine di minimizzare i costi e gli impatti ambientali negativi derivanti da un uso inappropriato di tecniche di bonifica convenzionali in siti come quello di Mantova si stanno sviluppando in questi ultimi anni nuovi approcci e tecnologie “knowledge-intensive”, basate sullo sfruttamento della conoscenza dei fenomeni naturali presenti nei siti contaminati, “multi task”, cioè sufficientemente flessibili per poter affrontare anche casi di contaminazione multipla, ed in linea con lo sviluppo di migliori tecniche di intervento a costi sostenibili (B.A.T.N.E.E.C. - Best Available Technology Not Entailing Excessive Costs) analogamente ad altri progetti europei quali HOMBRE, Holistic Management of Brownfield Regeneration [2] e GREENLAND [3] incentrati sull’utilizzo di tecnologie “soft” per il ripristino e gestione di suoli contaminati. Una delle tecniche di risanamento tecnicamente ed economicamente innovativa applicabile soprattutto in casi complessi come quello dei laghi di Mantova è l’Attenuazione Naturale Monitorata (MNA, Mo-

nitored Natural Attenuation) potenziata tramite un approccio bio/fitorimediativo. In generale per MNA si intende un procedimento di bonifica in cui il risanamento del sito contaminato si basa sullo sfruttamento e controllo delle capacità potenziali che i processi naturali hanno di trasformare e degradare i composti organici e inorganici presenti nei terreni e nelle acque sotterranee, direttiva Oswer 9200:4-17 dell’EPA [4]. I processi di attenuazione naturale coinvolti sono sia di natura fisica che chimica e biologica e includono advezione, dispersione, solubilizzazione, adsorbimento, volatilizzazione, ricarica, degradazione biotica e abiotica delle sostanze inquinanti (Tabella 1). Alcuni di questi processi, che avvengono sia nella zona vadosa che in falda, sono distruttivi in quanto tendono ad eliminare le sostanze contaminanti mentre altri semplicemente ne riducono la concentrazione o la mobilità, infine altri le trasformano in composti meno tossici. Talvolta l’MNA è associata erroneamente all’approccio del «non fare nulla», la realtà è che l’MNA è un procedimento attivo che si concentra sulla verifica e il monitoraggio di

Figura 2. Siti rimasti di competenza del Ministero dell’Ambiente (in blu) e siti divenuti di competenza regionale nel 2013 (in arancione)

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processi naturali di rimediazione come è stato dimostrato con successo per il trattamento di siti contaminati da idrocarburi e solventi clorurati [5]. In ogni caso è essenziale, prima di poter proporre l’MNA come trattamento di bonifica, raccogliere una significativa mole di informazioni sulla natura pedologica e della falda del sito contaminato al fine di valutare la fattibilità di tale processo e la sua possibilità di successo. Infatti, affinché l’MNA sia contemplabile come intervento di risanamento devono sussistere tre requisiti: 1. la velocità di espansione del plume degli inquinanti non deve essere elevata; 2. deve essere garantita la protezione della salute umana e degli ecosistemi sensibili (quindi si devono raggiungere concentrazioni dei contaminanti inferiori ai valori soglia senza la produzione di sottoprodotti pericolosi); 3. il processo deve compiersi in tempi ragionevoli cioè non eccessivamente superiori a quelli richiesti da interventi convenzionali. I vantaggi di tale tecnica includono la possibilità di eseguire trattamenti in situ, di abbinarla ad altre tecniche di decontaminazione, il basso costo, la sua efficacia anche per il trattamento di sostanze altamente tossiche. Gli svantaggi invece includono la necessità di un attento e costante monitoraggio che può prolungarsi nel tempo e di un approfondito piano di caratterizzazione per poter prevedere l’interazione e l’evoluzione dei complessi fenomeni chimico/ fisici e biologici in gioco. Una tecnologia emergente che cerca di migliorare questi limiti dell’MNA è l’attenuazione naturale potenziata (o accelerata) che, a partire da un’approfondita

conoscenza di base relativa all’interazione tra i processi chimico/ fisici tipici dell’MNA e le naturali capacità metaboliche/cataboliche delle piante e dei microrganismi, ha lo scopo di accelerare i processi naturali di degradazione e quindi i tempi di bonifica. In generale si può definire attenuazione naturale accelerata Figura 3. Contesto territoriale del Sito di Interesse Nazionale ''Laghi di Mantova e tutto quell’insieme di Polo Chimico'' pratiche “verdi” che, a partire da un approccio interdisciplinare, eco- sono in grado di modificare la granulometria e logico e olistico, mirano ad accelerare i pro- la porosità del terreno creando vie preferenziali cessi spontanei intervenendo sul numero e il per il deflusso dell’acqua e dei nutrienti o, atbenessere degli organismi che “eseguono” il traverso l’azione di scavo di vermi o altri micro biorisanamento, mediante interventi di aggiun- e macroinvertebrati, rendere il suolo più areato ta mirata, e monitorata nel tempo, nel suolo e quindi disponibile all’azione biodegradatrice contaminato di ossigeno, nutrienti, microorga- di batteri aerobi. Inoltre i batteri possono osnismi esogeni (bioaugmentazione con batte- sidare o ridurre i metalli rendendoli più o meno ri non autoctoni e funghi) e piantumazione di disponibili a legarsi con le matrici biotiche e piante fitorimediatrici. L’effetto del biota sul de- abiotiche del suolo, complessarli con leganti stino ambientale dei contaminanti è sia diretto organici intra ed extra cellulari, metilarli e renche indiretto: da un lato l’attività biologica nel derli volatili. Alcune specie di piante, come suolo è condizionata dalle proprietà chimico/ la Typha latifolia, Phragmites australis, Arunfisiche del suolo quali il pH, il potenziale ossi- do donax, Helianthus annuus, Lemna nigra, doriduttivo, la disponibilità di nutrienti e la po- Alyssum wulfenianum, Populus nigra hanno la rosità del terreno, dall’altra l’attività biologica capacità di rimuovere, immobilizzare o trasforpuò cambiare la struttura sia fisica che chimica mare composti organici e inorganici (Tabella 2) dell’ambiente influenzando di conseguenza la e come tali possono essere selezionate per la distribuzione e mobilità dei contaminanti. Le loro capacità di estrarre dal suolo metalli pepiante e la macrofauna del suolo, ad esempio, santi ed accumularli nei loro tessuti, di modifi-

Meccanismo

Contaminanti

Matrice ambientale

Coltura

Stato

Degradazione

Atrazina, nitrati

Acqua superficiale

Pioppo

Applicato

Degradazione

Percolato

Falda

Pioppo

Applicato

Degradazione

TCE (tricloroetilene)

Falda

Pioppo, Cassinia leptophilla

Prove di campo

Degradazione

TNT (tritolo)

Palude

Diverse

Prove di campo

Degradazione

TPH

Suolo

Erba da pascolo

Prove di campo

Estrazione-concentrazione nei germogli

Piombo

Suolo

Senape indiana

Prove di campo

Estrazione-concentrazione nelle radici

Uranio

Acqua superficiale

Girasole

Prove di campo

Estrazione-volatilizzazione

Selenio

Suolo e acqua superficiale

Diverse

Applicato

Tabella 2. Esempi di specie vegetali utilizzabili per interventi di fitorimediazione

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cracking termico come la pirolisi. Infine il sottoprodotto di questi processi di conversione energetica, il biochar [9], può essere da una parte ulteriormente usato come ammendante del suolo per migliorarne la qualità agronomica, promuovendo così ulteriori processi di bio/ fitorimediazione, dall’altra permette anche il sequestro del carbonio su scala globale (Fig. 4) in un circolo virtuoso complessivo facendo sì che questa nuova interdisciplinare e sostenibile tecnologia di risanamento presenti per il futuro una serie di promettenti vantaggi non solo tecnici ed ambientali ma anche economici e sociali. *Dipartimento di Bioscienze, Università degli Studi di Parma Figura 4. Schema concettuale dell’interconnessione ambientale, economica, sociale derivante dall’uso di “Designer Plants”

care le caratteristiche del suolo o dei metalli riducendo la mobilità degli inquinanti, estrarre dal suolo e decomporre chimicamente selezionati composti, creare nella rizosfera un ambiente favorevole alla biodegradazione dei contaminanti. Recentemente sono stati sviluppati esperimenti di ingegneria metabolica mediante “designer plants”, simili concettualmente a quelle sviluppate per le spedizioni spaziali dalla NASA, che combinano le proprietà degradatrici di piante e microrganismi del suolo [6]. Queste piante [7-8] in genere sono delle salicacee, selezionate ad hoc, che vivono in simbiosi con funghi e batteri dell’apparato radicale e che sono in grado di crescere in condizioni ambientali estreme. Questo approccio non solo porta alla rimozione si-

multanea di miscele complesse di inquinanti organici ed inorganici ma migliora anche la qualità del suolo e delle acque sotterranee più velocemente delle tecniche convenzionali di biorimediazione. In questi esperimenti si è dimostrato come sia possibile utilizzare batteri della rizosfera per la mineralizzazione di inquinanti, mediante processi cometabolici o sinergici, e favorire nel contempo l’assorbimento di queste sostanze da parte dall’apparato radicale. All’interno delle piante opportuni batteri endofitici degradano ulteriormente, insieme ai processi normali di fitotrasformazione, i rimanenti contaminanti organici. La crescita vegetale infine può essere usata come biomassa per produrre energia termica ed elettrica tramite processi di

Bibliografia [1] ISPRA (2013) Annuario dei dati ambientali [2] http://www.zerobrownfields.eu/ [3] http://cordis.europa.eu/projects/266124 [4] http://www.epa.gov/superfund/health/conme dia/gwdocs/pdfs/proto1.pdf [5] http://toxics.sgs.gov/definitions/natural_atte nuation.html [6] http://www.nasa.gov/audience/foreducators/ plantgrowth/home/ [7] P.C. Abhilash, J.R. Powell, H. B. Singh, B. K. Singh (2012), "Trends in Biotechnology", 30, 416–420 [8] S.Rayu, D.G.Karpounzas, B.K.Singh (2012), “Biodegradation”, 23, 917-926 [9] L.Beesley, E. Moreno-Jimenez, J.L. Gomez_ Eyles, E.Harris, B.Robinson, T.Sizmur (2011) “Environmental Pollution”, 159, 3269-3282

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AUA, un acronimo per semplificare e accelerare i procedimenti autorizzativi Come funziona e quando si applica l’Autorizzazione Unica Ambientale introdotta dal D.P.R. n. 59 del 13/03/13 di Rosa Bertuzzi*

L

e Province si stanno spogliando di competenze. In materia ambientale importanti competenze sono state trasferite ai Comuni, con tutti i problemi che ne sorgeranno. Nello specifico è stato finalmente pubblicato sulla G.U. del 30 maggio 2013 il regolamento relativo alla disciplina dell'Autorizzazione Unica Ambientale (AUA) e semplificazione di adempimenti amministrativi in materia ambientale gravanti sulle micro, piccole e medie imprese (PMI) e sugli impianti non soggetti ad Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA). Il DPR 13 marzo 2013, n. 59 “Regolamento recante la disciplina dell'autorizzazione unica ambientale e la semplificazione di adempimenti amministrativi in materia ambientale gravanti sulle piccole e medie imprese e sugli impianti non soggetti ad autorizzazione integrata ambientale, a norma dell'articolo 23 del decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 aprile 2012, n. 35” è entrato in vigore lo scorso 13 giugno, ma le prime scadenze (90 giorni) coincidevano con la fine di settembre. In tutto sono 10 pagine di norme e 369 pagine di allegati. Una disciplina che fra l'altro introduce anche delle novità al cosiddetto Codice ambientale (nello specifico alla parte V del D.Lgs. 152/06) in tema di emissioni in atmosfera. Le nuove regole attuano quanto previsto dal decreto legge 5/2012 poi convertito in

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legge 35/2012. In particolare attuano quanto disposto dall'articolo 23 che in realtà prevedeva l'emanazione dell'apposito regolamento sulla semplificazione delle procedure e degli adempimenti amministrativi a carico delle PMI (Piccole e medio imprese) in materia di AUA entro sei mesi dall'entrata in vigore del decreto legge (10 agosto 2012). Così come espresso dal decreto legge, l'AUA è l'autorizzazione che sostituisce ogni atto di comunicazione, notifica e autorizzazione previsto dalla legislazione vigente in materia ambientale; è rilasciata da un unico ente attraverso un procedimento improntato al principio di proporzionalità degli adempimenti amministrativi in relazione alla dimensione dell'impresa e al settore di attività, nonché all'esigenza di tutela degli interessi pubblici e non dovrà comportare l'introduzione di maggiori oneri a carico delle imprese. La nuova disciplina - che si compone di 5 capi, 12 articoli e un allegato tecnico - definisce l'ambito di applicazione, introduce una serie di definizioni, come quella di sportello unico delle attività ambientali (Suap) al quale è attribuita la funzione del rilascio dell'AUA, elenca i titoli abilitativi per la presentazione della domanda - un elenco che non ha carattere di tassatività essendo comunque riconosciuta la possibilità per le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano di individuare gli ulteriori atti di comunicazione - illustra la pro-

cedura per il rilascio e il rinnovo dell'AUA (che ha una durata pari a 15 anni). L'AUA, dunque può sostituire fino a sette procedure diverse (ad esempio: l'autorizzazione allo scarico di acque reflue, l'autorizzazione alle emissioni in atmosfera, la documentazione previsionale di impatto acustico, l'autorizzazione all'uso dei fanghi di depurazione e la comunicazione sullo smaltimento e il recupero dei rifiuti). Comunque a discrezione delle Regioni, l'AUA può ricomprendere anche altre autorizzazioni. Dunque, con l'AUA le imprese non devono più rivolgersi ad amministrazioni diverse (Regioni, Province, Comuni, Arpa, Autorità di bacino, ecc.) per ottenere le autorizzazioni ambientali necessarie all'attività produttiva, autorizzazioni di validità temporale differenti. Con l'AUA le PMI possono risparmiare tempo, ma anche denaro. Il Governo stima, infatti, un risparmio di 160 milioni di euro all'anno. Saranno inoltre rese effettive le disposizioni, già esistenti, in materia di presentazione on-line delle domande e della documentazione con un risparmio stimato in circa 540 milioni di euro all'anno. La piena applicazione dell'AUA dovrebbe comportare, quindi, un risparmio stimato a regime in circa 700 milioni di euro all'anno per le PMI. Con l'AUA, dunque, basterà un'unica domanda da presentare per via telematica Suap per richiedere l'unica autorizzazione necessaria. Sarà il Suap a inoltrare le


richieste agli altri enti competenti. In genere, il rilascio dell'AUA avviene entro 90 giorni, ma sono ammessi tempi più lunghi nel caso in cui sia necessaria la convocazione della Conferenza dei Servizi. Se, infatti, l'AUA sostituisce i titoli abilitativi per i quali la conclusione del procedimento è fissata in un termine inferiore o pari a 90 giorni, l'autorità competente adotta il provvedimento nel termine di 90 giorni dalla presentazione della domanda e lo trasmette immediatamente al Suap. Al contrario, quando l’AUA sostituisce i titoli abilitativi per i quali almeno uno dei termini di conclusione del procedimento è superiore a 90 giorni, il Suap indice entro 30 giorni la conferenza di servizi; l'autorità competente adotta l'AUA entro 120 giorni dal ricevimento della domanda e, nel caso in cui vengano richiesti dei documenti integrativi, l'AUA è rilasciata entro 150 giorni. E' prevista poi una modalità semplificata quando l'oggetto dell'AUA sia l'acquisizione esclusiva di pareri, nulla osta e atti di assenso comunque denominati. Procedura semplificata che è prevista pure in caso di rinnovo dell'AUA quando siano rimaste immutate le condizioni di esercizio. In questi casi la procedura si attiva attraverso la presentazione di un’istanza corredata di dichiarazione sostitutiva. Negli altri casi è invece previsto che il rinnovo avvenga mediante la procedura ordinaria ovvero attraverso l'indizione e convocazione della conferenza dei servizi. Al fine di accelerare e semplificare le procedure è stato previsto che nelle more dell'adozione del provvedimento di rinnovo, l'esercizio dell'attività o dell'impianto possa proseguire sulla base della precedente autorizzazione. Al fine di consentire un continuo monitoraggio sulle condizioni delle risorse ambientali interessate è stato invece previsto il potere dell'autorità competente di imporre comunque il rinnovo dell'autorizzazione, o la revisione delle prescrizioni in essa contenute, prima della scadenza al ricorrere di determinate condizioni. In caso di modifiche delle attività o degli impianti per i quali è già stata rilasciata l'AUA l'impresa o il gestore che intenda effettuare una modifica non sostanziale ha l'obbligo di comunicare la modifica all'autorità competente. Mentre ha l'obbligo di presentare una domanda di autorizzazione in caso di modifica sostanziale.

Ai fini di accelerazione è stato fissato all'autorità competente un termine per esprimersi sulla comunicazione fatta dal proponente, nelle cui more il gestore può comunque procedere alla modifica non sostanziale salvo successivo aggiornamento dell'autorizzazione da parte della medesima autorità. L'attuazione delle disposizioni introdotte dal regolamento dovrà essere sottoposta a un’attività di monitoraggio almeno annuale, nelle forme predisposte dal Ministero dell'ambiente, della tutela del territorio e del mare, dello sviluppo economico, e della pubblica amministrazione e semplificazione, in collaborazione con la Conferenza unificata e sentite le organizzazioni imprenditoriali. Il monitoraggio è finalizzato in particolare a verificare l'impatto concreto dell'intervento normativo, con riferimento al numero delle domande presentate al Suap, ai tempi impiegati per l'istruttoria delle stesse, per l'invio telematico della documentazione agli enti competenti e per il rilascio dell'autorizzazione, nonché per verificare il rispetto dei tempi previsti per lo svolgimento delle confe-

renze di servizi. E ciò dovrebbe servire anche per "testare" l'efficacia delle norme di semplificazione e di accelerazione introdotte al fine di operare le eventuali modifiche necessarie migliorative in tal senso. Del resto l'intervento normativo del regolamento mira ad aumentare la competitività dell'economia nazionale riducendo gli adempimenti amministrativi richiesti per l'esercizio dell'attività d'impresa. In questo modo il Governo intende contribuire al miglioramento della competitività e della capacità di attrazione degli investimenti da parte dell'Italia rispetto agli altri Stati membri e sciogliere i nodi connessi al "fare impresa", che inchiodano il nostro paese all'87° posto nella classifica del Doing Business e al 77° nello specifico ambito di "Starting a business". Le piccole e medie imprese e i gestori degli impianti (non soggetti ad AIA e a VIA) presentano domanda di AUA nel caso in cui debbano richiedere, ai sensi della normativa vigente, il rilascio, alla formazione, al rinnovo o all’aggiornamento di almeno uno dei seguenti titoli abilitativi:

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NORMATIVA

Autorizzazione unica ambientale in sintesi QUANDO CHIEDERLA E’ obbligatoria per coloro che hanno bisogno di più autorizzazioni previste dal Regolamento. Per coloro che sono già in possesso delle autorizzazioni previste dallo stesso, in caso di richiesta di rinnovo o aggiornamento, anche di un solo atto, si potrà (ma non è obbligatorio) richiedere e quindi passare all'Autorizzazione Unica Ambientale. La stessa facoltà è rimessa a coloro che hanno bisogno (primo rilascio) di una sola delle autorizzazioni previste dal Regolamento. Inoltre i gestori degli impianti hanno facoltà di non avvalersi dell'AUA nel caso di attività soggette solo a comunicazione, o ad autorizzazione di carattere generale, ferma restando la presentazione della comunicazione o dell'istanza di autorizzazione generale tramite il Suap.

TEMPI

I tempi previsti sono di 90 giorni dalla presentazione della domanda al Suap di competenza, 120 giorni nel caso sia prevista, per l'autorizzazione richiesta, una conferenza dei servizi, da indire entro 30 giorni dal ricevimento della domanda. La certezza dei tempi è garantita. In caso di mancato rispetto dei termini è previsto il ricorso ai poteri sostitutivi: l'impresa potrà rivolgersi al dirigente appositamente nominato, che dovrà chiudere il procedimento nella metà del tempo originariamente previsto. La mancata o tardiva emanazione del provvedimento amministrativo nei termini costituirà elemento di valutazione della performance individuale, nonché di responsabilità disciplinare e contabile del dirigente e del funzionario inadempiente.

DURATA

Durata di 15 anni dalla data di rilascio. Il rinnovo va chiesto 6 mesi prima della scadenza. Per gli scarichi contenenti sostanze pericolose (ex art. 108, D.Lgs. 152/06) i gestori degli impianti devono presentare una dichiarazione di autocontrollo almeno ogni 4 anni.

A QUALI IMPRESE SI APPLICA

A tutte le micro, piccole e medie imprese come definite dal D.M. 18 aprile 2005. • Una media impresa è definita come un'impresa il cui organico sia inferiore a 250 persone e il cui fatturato non superi 50 milioni di euro o il cui totale di bilancio annuale non sia superiore a 43 milioni di euro. • Una piccola impresa è definita come un'impresa il cui organico sia inferiore a 50 persone e il cui fatturato o il totale del bilancio annuale non superi 10 milioni di euro. • Una microimpresa è definita come un'impresa il cui organico sia inferiore a 10 persone e il cui fatturato o il totale di bilancio annuale non superi 2 milioni di euro. L'AUA non si applica: A. agli impianti soggetti alla "autorizzazione unica per gli impianti di smaltimento e recupero dei rifiuti" di cui all'articolo 208 del D.Lgs. 152/06; B. a tutti gli impianti soggetti alle disposizioni in materia di AIA; C. se il progetto è sottoposto a valutazione di impatto ambientale (VIA).

ISTRUTTORIA

Presentazione domanda al Suap, lo stesso ufficio verifica la completezza formale della domanda e la trasmette all'Ente individuato dalle normative regionali competente ai fini del rilascio (rinnovo o aggiornamento). Le domande vanno presentate allegando tutti gli atti e i documenti ad oggi previsti dalle norme di settore in relazione ai provvedimenti ambientali di cui si chiede il rilascio/rinnovo; è previsto un modello semplificato e unificato di domanda di Autorizzazione Unica Ambientale da definire con decreto ministeriale. Entro 30 giorni, qualora non vi fossero richieste di integrazione, la domanda si intende correttamente presentata. Conferenza dei Servizi non obbligatoria L'Autorità competente adotta il provvedimento entro 90 giorni e lo trasmette al Suap che rilascia il titolo al soggetto richiedente. Il Suap, se lo ritiene opportuno, può convocare la conferenza dei servizi per raccogliere tutti gli assensi, questo anche qualora la stessa conferenza non sia obbligatoria. I tempi rimangono gli stessi. Conferenza dei Servizi obbligatoria Il Suap indice la conferenza dei servizi entro 30 giorni dalla presentazione della domanda. A questa devono partecipare tutte le Amministrazioni coinvolte. Il provvedimento finale è obbligatoriamente emesso entro 120 giorni, o 150 in caso di richiesta di integrazioni. Le Amministrazioni che esprimono parere positivo possono anche trasmettere gli atti di assenso senza partecipare materialmente alla conferenza dei servizi.

MODIFICHE SOSTANZIALI E NON SOSTANZIALI

Per le modifiche non sostanziali è sufficiente una comunicazione all'Autorità competente che si esprime in merito entro 60 giorni. Qualora non si esprima il gestore può procedere con la modifica. In caso di modifica sostanziale sarà necessario presentare una nuova domanda di Autorizzazione Unica Ambientale. Per definire la sostanzialità delle modifiche bisognerà far riferimento alle norme nazionali e locali laddove queste ne abbiano definito i criteri.

• autorizzazione agli scarichi di cui al capo II del titolo IV della sezione II della Parte terza del D.Lgs.152/06 e s.m.i.; • comunicazione preventiva di cui all’articolo 112 del D.Lgs. 152/06 e s.m.i. per l’utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento, delle acque di vegetazione dei frantoi oleari e delle acque reflue

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provenienti dalle aziende ivi previste; • autorizzazione alle emissioni in atmosfera per gli stabilimenti di cui all’articolo 269 del D.Lgs. 152/06 e s.m.i.; • autorizzazione generale di cui all’articolo 272 del D.Lgs. 152/06 e s.m.i.; • nulla osta di cui all’articolo 8, commi 4 e 6 della legge 26 ottobre 1995, n. 447;

• autorizzazione all’utilizzo dei fanghi derivanti dal processo di depurazione in agricoltura di cui all’articolo 9 del D.Lgs. 27 gennaio 1992, n. 99; • comunicazioni in materia di rifiuti di cui agli articoli 215 e 216 del del D.Lgs. 152/06 e s.m.i. *Ambienterosa, Consulenze Legali Ambientali


Il recupero degli Pneumatici Fuori Uso: da rifiuto a risorsa L’evoluzione normativa sul recupero energetico dei PFU dal CDR al CSS alla luce del D.M. 82/2011 di Giuseppe Angelo Dalena*

I

n origine tutti gli pneumatici usati erano inseriti in un unico “calderone”: il Decreto Ronchi (D.Lgs. 22/97), infatti, in maniera indiscriminata attribuiva il codice CER 160103 agli pneumatici usati, prescindendo dal fatto che fossero ricostruibili o fuori uso. Un errore perpetuato nel successivo D.M. del 05/02/98 recante Individuazione dei rifiuti non pericolosi sottoposti alle procedure semplificate di recupero. Ai punti 10.2 e 10.3 dell’All. 1-1 relativi, rispettivamente, alle attività di recupero di pneumatici non ricostruibili e ricostruibili (identificati dallo stesso CER 160103) si descrivono provenienza, caratteristiche del rifiuto, attività di recupero finalizzata all’ottenimento di prodotti e/o materie prime con specifiche caratteristiche. Al punto 14.1 si annovera il codice 160103 fra i codici di provenienza da RSU e rifiuti speciali non pericolosi finalizzati alla produzione di CDR (combustibile derivato da rifiuti), con la specifica limitazione che concorrano nella produzione del CDR per una percentuale in peso massima del 50%. In questo modo si pone il vincolo per gli PFU di poter essere avviati a recupero energetico in procedura semplificata solo se compongono il CDR e non con flusso singolo. Tale limitazione decade nel caso di procedura ordinaria. Nell’All. 2-1 vengono precisate le tecniche per l’utilizzazione dei rifiuti non pericolosi come combustibile o come altro mezzo per produrre energia e le caratteristiche fisico-chimiche del CDR diventate la base degli standard tecnici

del settore nel 2004 (norme UNI 9903-1:2004) [1]. Si concretizza, dunque, l’incontro fra gli pneumatici usati e i combustibili da rifiuti destinati solo a talune categorie di impianti debitamente individuati dal D.M. del 05/02/98. Una prima regolamentazione relativa all’utilizzo dei PFU ai fini del recupero energetico era già presente nel D.M. del 16/01/95, All.1- Norme tecniche per il riutilizzo in un ciclo di combustione per la produzione di energia dei residui derivanti da cicli di produzione o di consumo- punto 9. Il paragrafo precisa la derivazione degli PFU ne definisce le caratteristiche e specifica la modalità di recupero energetico. Sebbene il D.M. del 05/02/98 rappresentasse un valido strumento di semplificazione ed un ottimo proposito di promozione del recupero di rifiuti, la “svista” di non aver introdotto una discriminante fra gli pneumatici ricostruibili e non, pesò criticamente sui risultati effettivamente raggiunti favorendo un ulteriore incentivo al ricorso alla discarica piuttosto che una ricostruzione, quando fattibile. La risoluzione della questione venne solo a seguito della

Decisione 2000/532/CE relativa all’aggiornamento dell’elenco dei codici CER, recepita con legge n. 179 del 31/7/2002, che formalizzò definitivamente l’uscita degli pneumatici

ricostruibili dalla disciplina dei rifiuti in quanto “beni”. Con D.M. del 09/01/2003 “Esclusione degli pneumatici ricostruibili dall’elenco dei rifiuti non pericolosi” fu abrogata la voce 10.3 dell’All.1-1 al D.M. del 05/02/98 relativa al recupero degli pneumatici ricostruibili. Ulteriori correzioni furono apportate nel 2006 con Decreto n.186 del 05/04/06: in particolare, al succitato punto 14.1, fu soppressa la limitazione relativa alla percentuale massima del 50% nella composizione del CDR lasciando il posto alla specificazione delle quantità annue massime ammissibili per ciascuna tipologia

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NORMATIVA

di rifiuti relativamente alla particolare attività di recupero in procedura semplificata. Nel 2003 il Legislatore si prodigò, parallelamente, anche su altri fronti critici: la riduzione del ricorso alla discarica (non ammissibilità degli PFU interi e dei rifiuti con PCI> 13.000 kJ/kg -D.Lgs n. 36 del 13 gennaio 2003-Attuazione della direttiva 1999/31/CE relativa alle discariche di rifiuti) e la riduzione dell’impatto dei veicoli fuori uso sull’ambiente coinvolgendo le autorità competenti nella promozione delle attività di riutilizzo, riciclaggio e recupero dei relativi rifiuti al fine di operare una corretta gestione degli stessi oltre che un controllo delle emissioni atmosferiche e di rumore (D.Lgs. n. 209 24/06/2003-Attuazione della direttiva 2000/53/CE). Fra le forme di recupero annoverate è esplicito il riferimento al recupero energetico. Lo sviluppo normativo è quasi sempre andato di pari passo ad una crescente complessità della disciplina, traducibile anche nell’evoluzione lessicale dei sostantivi più diffusi in materia di rifiuti. Si pensi alla definizione di Recupero, il Decreto Ronchi lo definisce banalmente come “le operazioni previste nell’all. C” –art.6, lett. h). Poco cambia nella prima formulazione del D.Lgs. 152/06 (Testo Unico Ambientale), “antologia” della normativa nazionale di base in materia

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di tutela ambientale dalle primarie forme di inquinamento. La parte IV del TUA abroga e sostituisce definitivamente il Decreto Ronchi apportando correttivi ed assimilando le integrazioni succedutesi nel settore, ivi compresi gli adeguamenti agli indirizzi comunitari sulla gestione dei rifiuti. Il D.Lgs. n. 4/2008 integra e modifica il TUA, intervenendo anche sulla definizione di Recupero (Art. 183-Definizioni): “le operazioni che utilizzano rifiuti per generare MPS, combustibili o prodotti attraverso trattamenti meccanici, termici, chimici o biologici, incluse la cernita e la selezione e previste nell’All. C. alla parte IV del TUA”. Rivisitata anche la definizione di CDR, sulla base delle norme tecniche di settore UNI 9903-1 e ss.mm.ii e introdotta la distinzione fra CDR e CDR-Q. L’Art. 228 del TUA sancisce l’obbligo da parte di produttori ed importatori di pneumatici di provvedere, con cadenza annuale, alla gestione dei quantitativi di PFU in quantità almeno pari a quelle immesse sul mercato dagli stessi e destinati al mercato nazionale. Dunque, la gestione del fine vita dello pneumatico è affidata ai soli soggetti che detengono l’autorizzazione ad esercitare l’attività che svolgono, pena l’incorrere nel reato di cui all’art. 256 del TUA “Attività di gestione di rifiuti non autorizzata”.

Il recepimento della Direttiva rifiuti 2008/98/ CE tramite D.Lgs. 205/2010, ha rappresentato una grande svolta nella percezione e gestione dei rifiuti. La tendenza comunitaria volge verso l’analogia rifiuto-risorsa calcando fortemente sulla necessità di valorizzare il non trascurabile valore intrinseco residuo di ciò di cui ci si disfa. La piramide, grandiosa manifestazione dell’ingegno degli antichi Egizi, diventa emblema delle opzioni prioritarie di gestione dei rifiuti cui gli Stati Membri devono ottemperare lasciando solo in ultima ratio il ricorso alla discarica. La gerarchia delineata persegue obiettivi di prevenzione, riutilizzo, recupero di materia e recupero energetico con la precisa finalità di assottigliare drasticamente la frazione irrecuperabile dei rifiuti (art. 179 del TUA). Se ci si riferisce alla filiera degli pneumatici, la gerarchia si risolve con: • riutilizzo degli pneumatici usati anche con ricostruzione degli pneumatici non divenuti rifiuto (prevenzione); • ricostruzione di pneumatici divenuti rifiuti (preparazione per il riutilizzo); • recupero di materia da PFU (riciclaggio); • recupero di energia da PFU (recupero di altro tipo); • smaltimento in discarica di PFU di largo diametro (>1400 mm).


L’art. 183 del TUA subisce integrazioni importanti, specchio dell’impellente necessità di adottare un approccio al rifiuto totalmente differente. Alla lettera t) il recupero viene definito come "qualsiasi operazione il cui principale risultato sia di permettere ai rifiuti di svolgere un ruolo utile, sostituendo altri materiali che sarebbero stati altrimenti utilizzati per assolvere una particolare funzione o di prepararli ad assolvere tale funzione, all'interno dell'impianto o nell'economia in generale". Ai rifiuti si conferisce un potenziale “ruolo utile” da far emergere attraverso una delle operazioni di recupero elencate nell’All. C Parte IV del TUA (indicative e non esaustive!!!). Per gli PFU, in particolare, il recupero può prevedere una delle operazioni seguenti: • R1 - Utilizzazione principalmente come combustibile o come altro mezzo per produrre energia; • R3 - Riciclaggio/Recupero delle sostanze organiche non utilizzate come solventi; • R13 - Messa in riserva di rifiuti per sottoporli a una delle operazioni indicate. Alla lett. cc) dell’art. 183 viene introdotta la definizione di CSS (combustibile solido secondario): combustibile prodotto da rifiuti che rispetta le caratteristiche di classificazione e di specificazione individuate delle norme tecniche UNI CEN/TS 15359 e successive modifiche ed integrazioni; fatta salva l'applicazione dell'articolo 184-ter relativo alla cessazione

della qualifica di rifiuto, il CSS è classificato come rifiuto speciale. Almeno formalmente, l’orientamento del Legislatore volge verso l’epurazione della filosofia del disfarsi delle vergogne sotto la coltre delle discariche e l’adozione, seppur tardiva, di un “rinfrescato” approccio culturale oltre che operativo: e qui cominciano i guai… La situazione è la seguente: l’inviluppo normativo evolve a velocità troppo spedita rispetto al lento aggiornamento del nostro “costume”. L’art. 184 del D.Lgs 152/06 viene modificato ed integrato: in particolare, viene introdotto l’art. 184-ter relativo alla cessazione dello stato dei rifiuti “quando è stato sottoposto a un’operazione di recupero secondo criteri specifici” (utilizzo per scopi specifici della sostanza o l’oggetto; esistenza di un mercato o una domanda per tale sostanza od oggetto; rispetto da parte della sostanza o l’oggetto dei requisiti tecnici per gli scopi per i quali ne è previsto l’utilizzo e della normativa e standard esistenti ed ad essi applicabili; che la sostanza o l’oggetto non abbiano impatti complessivi negativi sull’ambiente o sulla salute umana). La definizione, propriamente detta, dello Pneumatico Fuori Uso è arrivata solo tramite D.M. n. 82 del 11/4/2011- "Regolamento per la gestione degli pneumatici fuori uso":“gli pneumatici dei quali il detentore si disfi, abbia deciso o abbia l'obbligo di disfarsi e che non sono fatti oggetto di ricostruzione o di successivo riutilizzo“. Nove articoli e cinque allegati con l’obiettivo di introdurre un sistema organico di gestione della filiera degli pneumatici ai fini di: A. rafforzare i principi della precauzione e prevenzione nella gestione dei rifiuti attraverso: • selezione di pneumatici usati ma ricostruibili;

evoluzione tecnologica delle modalità di progettazione e produzione degli pneumatici in modo da ridurne il grado di usura ed aumentarne il periodo di vita utile; B. garantire che tutte le operazioni di gestione dei rifiuti, a partire dalla raccolta, avvengano nel rispetto di rigorosi standard ambientali; C. ottimizzare il recupero degli PFU (materia ed energia) al termine del loro ciclo di vita; D. ridurre il danno ambientale ed economico dovuto all’illegalità. Ad oggi, tranne nel caso in cui risulti palesemente evidente che uno pneumatico usato sia fuori uso, in tutti gli altri casi, è necessaria la valutazione tecnica del ricostruttore, per definirne lo status di rifiuto o bene ricostruibile e, quindi, commercializzabile. Uno PFU non può più essere riutilizzato come pneumatico: qualcuno se ne è disfatto conferendogli lo stato di rifiuto (CER 160103), ma è possibile recuperarlo in termini di materia (granulato in gomma e polverino) o, in alternativa, essere avviato a recupero di energia in impianti energivori (cementifici, cartiere, centrali termoelettriche, ecc.). Uno pneumatico usato può non essere un rifiuto: sotto certe condizioni può essere ricostruito e/o adibito a scopi di ricopertura. Nonostante ci siano tutti i presupposti per promuovere e realizzare quanto scritto nero su bianco dal Legislatore, ancora oggi, si lotta con elementi di disturbo ritardanti che fra pregiudizio, difficoltà derivanti dalla farraginosità burocratica, informazione e cultura ambientale sommarie, rappresentano un costo sociale e ambientale pro capite non indifferente. Numerosi studi internazionali hanno provato che la sostituzione calorica di una percentuale dei combustibili fossili tradizionali con PFU presenta considerevoli vantaggi di natura impiantistica, economica di impatto ambientale. I PFU, difatti, hanno un PCI comparabile con quello del pet-coke tradizionale usato nelle camere di combustione, ma con ripercussioni ambientali meno invasive grazie alla presenza di gomma naturale e derivati da cellulosa che riducono la quantità di CO2 immessa in atmosfera durante il processo di combustione. •

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NORMATIVA

A ciò si deve aggiungere il ridotto tenore di metalli pesanti e zolfo nei fumi di combustione rispetto a quello derivante dall’impiego dei combustibili fossili tradizionali. Non trascurabile nella valutazione è l’incidenza sul depauperamento di combustibili fossili naturali non rinnovabili (per altro, di difficile reperimento e a costo elevato data la loro circoscritta localizzazione). In applicazione dell’art. 184-ter il 14/02/13 è stato emanato il regolamento recante la disciplina della cessazione della qualifica di rifiuto per talune tipologie di CSS. Il decreto è manifesta volontà del Legislatore di allinearsi agli obiettivi della politica energetica e ambientale della UE, in particolare, per quanto attiene all'incremento della quota di fonti rinnovabili, alla gestione dei rifiuti e alla limitazione delle emissioni di gas serra. È anche bene ricordare che l’utilizzo del CSS, quindi dei rifiuti, da parte dei cementifici costituisce una Best Available Technique come illustrato dai Reference Document.

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Del resto non si fatica a comprendere che il recupero energetico favorisce (e non interferisce!!!) la RD e, contemporaneamente, intercetta una considerevole fetta di rifiuti destinati alla discarica. Pur essendo l’Italia tra i maggiori produttori di cemento in Europa, la sostituzione calorica dei combustibili fossili con quelli alternativi non supera l’8% (percentuale attendibile sia per i rifiuti in generale che per i PFU) contro la media del continente del 19% e picchi ben superiori al 40% in Germania, Olanda e Austria. A quei picchi di valorizzazione energetica probabilmente partecipano anche i nostri rifiuti visto che la prassi dell’esportazione, sebbene non sostenibile economicamente oltre che ambientalmente (si pensi anche alle emissioni associate all’operazione), è piuttosto ricorrente. Questo perché noi ci definiamo ambientalisti… La cultura rende liberi ed attori del pro-

prio destino; la demagogia può trascinare un intero popolo verso la deriva. *Gruppo Dalena

NOTE [1] La norma UNI 9903-1:2004 - Specifiche e Classificazione - stabilisce la classificazione, le caratteristiche chimico-fisiche dei combustibili solidi ricavati da rifiuti (RDF refuse derived fuels), nonché le prescrizioni generali per stoccaggio, movimentazione e trasporto. Essa differenzia il CDR di qualità normale da quello di qualità elevata (CDR e CDR-Q) a seconda dei valori di taluni parametri “critici” dal punto vista dell’impatto ambientale e delle performances degli impianti utilizzatori. [2] Subentra, dunque, una nozione nuova fra i combustibili: in realtà, non viene soppiantato il CDR dal CSS; il CDR è un sottosistema del ben più ampio insieme dei combustibili solidi secondari e deriva dalla traduzione del termine internazionale SRF (Solid Recovered Fuel), introdotto dal panorama comunitario (2010).


RACCOLTA DIFFERENZIATA SU SUOLO PRIVATO: AZIONE NOBILE O ILLEGITTIMA? Facciamo chiarezza sulla sempre più diffusa pratica di raccogliere i rifiuti in cassonetti privati al di fuori dei circuiti del servizio pubblico di Daniele Carissimi*

A

ndando per supermercati e centri commerciali si rileva come abbia iniziato a diffondersi la pratica di posizionare, in aree private, dei cassonetti in cui vengono conferiti dei rifiuti differenziati (es: indumenti usati) da parte dei singoli cittadini. Tale prassi, che sembrerebbe pregevole e nobile, tuttavia nasconde diverse illegittimità. Vero è, infatti, che i rifiuti in questione, che risulterebbero essere urbani, tuttavia non verrebbero gestiti attraverso il servizio pubblico di raccolta bensì verrebbero avviati al recupero/smaltimento attraverso la raccolta ed il trasporto eseguiti tramite soggetti privati, con conseguente estromissione di tali rifiuti dal servizio pubblico di raccolta. Ci si deve pertanto chiedere se tale circostanza comporti un mutamento della qualificazione del rifiuto da urbano a speciale. Alla luce di tale circostanza si ritiene quindi doveroso procedere: 1. ad una corretta classificazione del rifiuto come urbano, o speciale, e successivamente, 2. verificare la legittimità dell’operazione descritta alla luce della normativa che regola la tipologia di rifiuti (urbani o speciali, per l’appunto) all’interno della quale i medesimi, sulla base della conclusione del punto 1, dovranno essere annoverati.

SULLA CLASSIFICAZIONE DEI RIFIUTI Come noto, ai sensi e per gli effetti dell’art. 184 del TUA. “2. Sono rifiuti urbani: a. i rifiuti domestici, anche ingombranti, provenienti da locali e luoghi adibiti ad uso di civile abitazione; b. i rifiuti non pericolosi provenienti da locali e luoghi adibiti ad usi diversi da quelli di cui alla lettera a), assimilati ai rifiuti urbani per qualità e quantità, ai sensi dell'articolo 198, comma 2, lettera g); c. i rifiuti provenienti dallo spazzamento delle strade; d. i rifiuti di qualunque natura o provenienza, giacenti sulle strade ed aree pubbliche o sulle strade ed aree private comunque soggette ad uso pubblico o sulle spiagge marittime e lacuali e sulle rive dei corsi d'acqua; e. i rifiuti vegetali provenienti da aree verdi, quali giardini, parchi e aree cimiteriali; f. i rifiuti provenienti da esumazioni ed estumulazioni, nonché gli altri rifiuti provenienti da attività cimiteriale diversi da quelli di cui alle lettere b), e) ed e). 3. Sono rifiuti speciali: a. i rifiuti da attività agricole e agro-industriali, ai sensi e per gli effetti dell’art. 2135 c.c.;

b. i rifiuti derivanti dalle attività di demolizione, costruzione, nonché i rifiuti che derivano dalle attività di scavo, fermo restando quanto disposto dall'articolo 184-bis; c. i rifiuti da lavorazioni industriali; d. i rifiuti da lavorazioni artigianali; e. i rifiuti da attività commerciali; f. i rifiuti da attività di servizio; g. i rifiuti derivanti dalla attività di recupero e smaltimento di rifiuti, i fanghi prodotti dalla potabilizzazione e da altri trattamenti delle acque e dalla depurazione delle acque reflue e da abbattimento di fumi; h. i rifiuti derivanti da attività sanitarie; […]”

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NORMATIVA

Alla luce della normativa sopra riportata risulta che i rifiuti vengono classificati in base all’origine degli stessi, e vale a dire in base a quale attività, ovvero in quale occasione, vengono prodotti. Ciò determina che risulta indifferente a tale operazione di classificazione, il circuito di conferimento degli stessi (al gestore del servizio pubblico ovvero ad un soggetto privato), non dipendendo da questa circostanza la natura del rifiuto. Specificatamente, in ordine ai rifiuti urbani, si rileva che gli stessi vengono classificati come tali se provengono da utenze domestiche ovvero assimilate alle domestiche. Sulla base di tale discrimine, si deve, o meno, ricondurre i rifiuti nel novero di quelli urbani, risultando gli stessi, rientrare in quelli che provengono prevalentemente dalle utenze domestiche. Ciò posto è pertanto necessario comprendere se tale operazione, all’esterno del circuito del servizio pubblico di igiene urbana, e senza una previa autorizzazione utile a tal fine, possa essere legittimata alla luce delle norme che regolano l’affidamento di tale servizio.

SULL’AFFIDAMENTO DEL SERVIZIO PUBBLICO L’art. 200 del Testo Unico Ambientale “Organizzazione territoriale del servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani” prevede, al comma 1, che: “1. La gestione dei rifiuti urbani è organizzata sulla base di ambiti territoriali ottimali, di seguito anche denominati ATO, delimitati dal piano regionale di cui all'articolo 199, nel rispetto delle linee guida di cui all'articolo 195, comma 1, lettere m), n) ed o), e secondo i seguenti criteri: a. superamento della frammentazione delle gestioni attraverso un servizio di gestione integrata dei rifiuti; b. conseguimento di adeguate dimensioni gestionali, definite sulla base di parametri fisici, demografici, tecnici e sulla base delle ripartizioni politico-amministrative; c. adeguata valutazione del sistema stradale e ferroviario di comunicazione al fine di ottimizzare i trasporti all'interno dell'ATO; d. valorizzazione di esigenze comuni e affinità nella produzione e gestione dei rifiuti;

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e. ricognizione di impianti di gestione di rifiuti già realizzati e funzionanti; f. considerazione delle precedenti delimitazioni affinché i nuovi ATO si discostino dai precedenti solo sulla base di motivate esigenze di efficacia, efficienza ed economicità”. Al successivo comma 7, viene inoltre previsto che: “7. Le regioni possono adottare modelli alternativi o in deroga al modello degli Ambiti Territoriali Ottimali laddove predispongano un piano regionale dei rifiuti che dimostri la propria adeguatezza rispetto agli obiettivi strategici previsti dalla normativa vigente, con particolare riferimento ai criteri generali e alle linee guida riservati, in materia, allo Stato ai sensi dell'articolo 195”. La disciplina relativa all'affidamento del servizio di gestione integrata del ciclo dei rifiuti, è disciplinata, poi nello specifico dall'art. 202 [1], del D.Lgs. 152/06. Tale disciplina, tuttavia, ha subito numerose modifiche a seguito delle vicende normative che negli ultimi anni hanno interessato direttamente il codice ambientale, e, più in generale, la disciplina dell'affidamento dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, influendo sulla portata di tale norma. Vero è infatti che la normativa citata prevede-

va originariamente che fosse l'Autorità d'Ambito, che rappresentava gli Enti Locali ricadenti in ciascun ambito territoriale, ad affidare il predetto servizio mediante gara ad evidenza pubblica, ai sensi dell'art. 113, comma 7 [2], del D.Lgs. 267 del 2000, sulla base del principio di unicità della gestione affermato dall'art. 200, comma 1, lett. a), sopra richiamato, del medesimo Codice dell'Ambiente. Ad oggi, tuttavia, una serie di interventi sia normativi che giurisprudenziali hanno portato a rivisitare gli istituti relativi all'affidamento di tale servizio. Ad ogni buon conto, quanto alla complessa evoluzione delle norme circa l'affidamento dei servizi pubblici locali, basti rammentare, ai fini della presente indagine, che in ogni caso i servizi relativi alla gestione dei rifiuti urbani devono essere affidati mediante procedure di carattere pubblico così come disciplinate e previste dalle norme comunitarie e nazionali. Ciò posto, a tal riguardo, si deve segnalare altresì una competenza concorrente in merito dei Comuni, prevedendo l'art. 198 che: “1. I comuni concorrono, nell'ambito delle attività svolte a livello degli ambiti territoriali ottimali di cui all'articolo 200 e con le modalità ivi previste, alla gestione dei rifiuti urbani ed assimilati. Sino all'inizio delle attività del soggetto


lo fare solo all’esito ad apposito affidamento avvenuto da parte dell’Autorità d’ambito nel rispetto del D.Lgs 152/06, articolo 202, e della disciplina italiana e comunitaria sull’evidenza pubblica (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture adottato con D.Lgs. 163/06 in attuazione delle direttive 2004/17/ Ce e 2004/18/Ce).

CONCLUSIONI

aggiudicatario della gara ad evidenza pubblica indetta dall'Autorità d'ambito ai sensi dell'articolo 202, i comuni continuano la gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati avviati allo smaltimento in regime di privativa nelle forme di cui all'articolo 113, comma 5, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267”. Da un’attenta lettura di tale norma, sembrerebbe, pertanto, che in attesa dell'affidamento di cui all'art. 200 i comuni continuano la gestione dei rifiuti urbani “avviati allo smaltimento” con riguardo alle fasi di raccolta, trasporto e smaltimento esclusa, quindi, quella del recupero. Sembrerebbe quindi potersi conseguire della possibilità di sottrarsi alle norme che prevedono l’unicità della gestione del servizio pubblico, e quindi quelle dei servizi pubblici, allorquando tali rifiuti vengano avviati al recupero. Si ritiene invero che tale esclusione sia un retaggio del Decreto Ronchi, sulla base del quale la privativa comunale per il servizio di igiene urbana, non riguardava le attività di recupero. Si ricorda all’uopo che l'art. 21, comma 7, del D.Lgs. 22 del 1997, prevedeva che: “7. La privativa ... non si applica alle attività di recupero dei rifiuti che rientrino nell'accordo di programma di cui all'articolo 22, comma 11, ed alle attività di recupero dei rifiuti assimilati”. Tale comma è stato poi sostituito dall'articolo 23 della l. 31 luglio 2002, n. 179, il quale riformulava il comma 7 come segue: “7. La privativa di cui al comma 1 non si applica alle attività

di recupero dei rifiuti urbani e assimilati, a far data dal 1° gennaio 2003”. Legittimamente, pertanto, si potrebbe interpretare la norma in questione ritenendo possibili delle eccezioni per determinate tipologie di rifiuti urbani avviati al recupero pur tuttavia ritenendo indispensabile un previo affidamento nelle forme dell’evidenza pubblica, da parte dei committenti competenti. Ebbene, con un recente intervento legislativo in materia di affidamento e gestione dei servizi pubblici locali avvenuto con l’art. 25 della L. 24 marzo 2012, n. 27, di conversione del D.L. 1/2012 “Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività”, c.d. “Liberalizzazioni” è stato stabilito, al comma 4, che per la gestione e l’erogazione dei servizi di gestione integrata dei rifiuti urbani le autorità d’ambito affidano, ai sensi dell’articolo 202 D.Lgs. 152/06 e nel rispetto della normativa europea e nazionale sull’evidenza pubblica, una serie di attività, tra cui anche “la raccolta, la raccolta differenziata, la commercializzazione e l’avvio a smaltimento e recupero…”. Alla luce di tale novità, pertanto, se ne deduce che per tutte le operazioni connesse alla gestione dei rifiuti urbani devono essere rispettate le norme comunitarie e nazionali sull'evidenza pubblica. Ciò determina che qualsiasi soggetto privato che intende operare con i rifiuti urbani, anche in caso di avviamento a recupero, deve poter-

Alla luce di quanto esposto, si può concludere quindi che: • i rifiuti conferiti presso cassonetti privati sono classificabili come urbani, poiché provenienti dalle utenze domestiche o assimilate alle stesse; • in quanto tali, devono essere gestiti all’interno del circuito di gestione dei rifiuti urbani. Ciò determina che qualsivoglia operazione che si intenda svolgere sugli stessi, quale quella di ricevimento/messa in riserva in appositi cassonetti, deve essere oggetto di idoneo affidamento nel rispetto del codice dell’ambiente e del codice dei contratti pubblici, non potendo pertanto svolgersi legittimamente in assenza di tale titolo giustificativo. *Ambiente Legale s.r.l.

NOTE [1] Art. 202, D.Lgs. 152 del 2006: “Affidamento del servizio” [di gestione integrata di rifiuti urbani]. [2] Art. 113, comma 7, comma abrogato dall'art. 12, comma 1, del D.P.R. n. 168 del 2010: “7. La gara di cui al comma 5 è indetta nel rispetto degli standard qualitativi, quantitativi, ambientali, di equa distribuzione sul territorio e di sicurezza definiti dalla competente Autorità di settore o, in mancanza di essa, dagli enti locali. La gara è aggiudicata sulla base del migliore livello di qualità e sicurezza e delle condizioni economiche e di prestazione del servizio, dei piani di investimento per lo sviluppo e il potenziamento delle reti e degli impianti, per il loro rinnovo e manutenzione, nonché dei contenuti di innovazione tecnologica e gestionale. Tali elementi fanno parte integrante del contratto di servizio. Le previsioni di cui al presente comma devono considerarsi integrative delle discipline di settore.”

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N oti z i e da a sso c i a z ioni e ret i

Dalla collaborazione tra Reconnet e Labelab nasce l’Alta Scuola di Formazione sulle Bonifiche

Il trasferimento delle conoscenze scientifiche e tecnologiche disponibili a livello nazionale ed internazionale rappresenta uno strumento necessario per incrementare il livello culturale dei tecnici coinvolti a vario titolo nel settore delle bonifiche. La condivisione della conoscenza è un pre-requisito fondamentale per rendere possibile una fattiva collaborazione tra soggetti proponenti ed enti di controllo, consentendo di rendere più fluido e auspicabilmente rapido il percorso dei procedimenti di bonifica. Questa visione è certamente alla base della rete Reconnet, che vede coinvolti istituti scientifici, agenzie ambientali regionali, università ed enti di ricerca, operanti a vario titolo nella gestione e bonifica di siti contaminati con l’obiettivo di attivare la collaborazione tra gli stakeholders. Con questo spirito, la rete Reconnet ha recentemente avviato una proficua collaborazione con Labelab, società costituta da un team di professionisti indipendenti nelle attività di consulenza e di progettazione nei settori del ciclo dei rifiuti, dell’acqua e dell’energia, che nel settembre 2001 ha lanciato il portale

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www.rifiutilab.it, diventato il sito di riferimento nazionale sulla gestione dei rifiuti. Il primo risultato di questa collaborazione è consistito nell’attivazione dell’Alta Scuola di Formazione sulle Bonifiche nell’ambito dell’evento “Fare i conti con l’ambiente”, organizzato da Labelab a partire dal 2008 e dedicato alle tematiche tecnico-economiche dei settori rifiuti, acqua ed energia. L’Alta Scuola di Formazione sulle Bonifiche, tenuta dal 25 al 27 settembre 2013, è stata strutturata in tre giornate tematiche: la prima, dedicata ad aspetti normativi, alla caratterizzazione del sito e all’analisi di rischio; la seconda, centrata sullo sviluppo di tecnologie innovative di bonifica e la terza, mirata alle azioni di messa in sicurezza e all’introduzione del concetto di sostenibilità delle bonifiche. Le lezioni sono state svolte da docenti scelti dal comitato scientifico (Prof. Renato Baciocchi, Ing. Laura D’Aprile e Dott.ssa Simonetta Tunesi) tra i maggiori esperti nel settore delle bonifiche provenienti da università, istituti scientifici ed organismi pubblici e privati. L’organizzazione della scuola è stata portata avanti dal team Labelab, con il coinvolgimento diretto dell’Ing. Mario Sunseri. La scuola ha registrato un

numero complessivo di 45 iscrizioni, con la seguente composizione: 10 neolaureati e dottorandi/specializzandi; 17 dipendenti di enti pubblici (agenzie ambientali, amministrazioni locali, istituti scientifici) e 18 liberi professionisti o dipendenti di società di consulenza e studi professionali.

I contenuti della scuola La scuola è stata introdotta dalla Dott.ssa Simonetta Tunesi, tra le redattrici della prima normativa nazionale sulla bonifica (D.M. 471/99), che ha fornito una visione d’insieme dell’intero percorso di bonifica fornendo molteplici spunti utili a comprendere le ragioni dietro le attuali difficoltà nell’avanzamento dei procedimenti di bonifica. A seguire, la Dott.ssa Donatella Giacopetti di Unione Petrolifera ha discusso, in una lezione preparata con l’Ing. Laura D’Aprile di ISPRA, le molteplici novità normative sulle bonifiche prodotte negli ultimi due anni, che hanno contribuito a risolvere alcune delle principali criticità applicative. Dopo questa sezione introduttiva, le parte tecnica relativa alla caratterizzazione e analisi di rischio è stata introdotta dal Prof. Vincenzo Piscopo dell’Università della Tu-


scia, che ha fornito una panoramica sulle metodologie sperimentali e modellistiche utili alla ricostruzione del quadro geologico ed idrogeologico di un sito contaminato. Il primo pomeriggio della scuola è stato invece monotematico e dedicato integralmente all’analisi di rischio. La lezione del Prof. Sergio Teggi dell’Università di Modena-Reggio Emilia ha affrontato il tema fondamentale della scelta dei parametri di input, con particolare riferimento ai criteri per il calcolo della concentrazione rappresentativa della sorgente. I criteri alla base dell’analisi di rischio sanitario-ambientale, previsti dai criteri metodologici ISPRA, sono stati oggetto della lezione del Prof. Renato Baciocchi dell’Università di Roma Tor Vergata, mentre il Prof. Aldo Viarengo, dell’Università del Piemonte Orientale Amedeo Avogadro, ha fornito una panoramica di alcune applicazioni dell’analisi di rischio ecologico ai siti contaminati, citando in particolare i lavori del proprio gruppo sui criteri di integrazione del rischio chimico, ecologico e tossicologico. La giornata è stata conclusa da due lezioni di carattere applicativo nuovamente relative all’analisi di rischio sanitario-ambientale: nella prima, tenuta dall’Ing. Simona Berardi di INAIL, è stato presentato un benchmarking dei principali software di analisi di rischio comunemente utilizzati a livello nazionale (RBCA, RISK, Risk-net, Rachel, Giuditta) sviluppato dalla rete Reconnet; il secondo e ultimo intervento della giornata, tenuto dall’Ing. Iason Verginelli dell’università di Roma Tor Vergata è stato incentrato sull’applicazione dell’analisi di rischio sanitario-ambientale mediante il software Risk-net, da lui sviluppato e successivamente validato e fatto proprio dalla rete Reconnet. Nella seconda giornata della scuola si è passati dalle tematiche di carattere normativo e gestionale agli aspetti più propriamente tecnologici delle bonifiche. La mattinata è stata sostanzialmente monotematica e dedicata in gran parte alla bonifica dei solventi clorurati. Nelle prime due ore il Dott. Valter Tandoi dell’IRSA-CNR ha svolto una lezione dapprima di carattere fondamentale sui meccanismi di biodegradazione di questa diffusa classe di inquinanti,

seguita da una serie di applicazioni in scala di laboratorio ed in campo, illustrando tecniche avanzate di caratterizzazione microbiologica utilizzabili nel suolo e sottosuolo. Nel resto della mattinata, gli interventi si sono focalizzati sul trattamento abiotico dei solventi clorurati. In particolare il Dott. Massimiliano Baric dell’Università di Roma La Sapienza ha discusso i principi operativi delle barriere permeabili reattive (PRB), presentando i risultati di due studi di fattibilità portati avanti dal gruppo di ricerca del Prof. Marco Petrangeli Papini, sfociati in altrettanti interventi di bonifica full-scale attualmente in corso in Emilia Romagna. Successivamente, la Dott.ssa Tiziana Tosco del Politecnico di Torino ha concluso la mattinata discutendo le potenzialità di applicazione di ferro zero-valente in microscala e nanoscala, evidenziando il notevole impegno di ricerca del gruppo del Prof. Rajandrea Sethi nel simulare il trasporto del ferro nel sottosuolo allo scopo di superare gli attuali limiti della tecnologia. La giornata dedicata alle tecnologie in-situ è continuata nel pomeriggio con l’intervento della Prof.ssa Mariachiara Zanetti del Politecnico di Torino, che ha discusso le problematiche legate all’iniezione di reagenti a lento rilascio di ossigeno e del Prof. Gianni Andreottola che ha invece discusso aspetti teorici e applicativi dell’elettro-ossidazione in-situ applicata a suoli contaminati da IPA, evidenziando prospettive e limiti della tecnologia. Rimanendo su tecnologie elettrochimiche, il possibile impiego dell’elettrocinesi per la mobilizzazione e successiva rimozione di metalli presenti in suoli a bassa permeabilità è stata oggetto della lezione del Prof. Aldo Muntoni dell’Università di Cagliari. La giornata si è conclusa con un’interessante panoramica di carattere teorico e applicativo sulle tecnologie di fitorimedio applicate essenzialmente a sedimenti contaminati, da parte del Prof. Renato Iannelli dell’Università di Pisa. La scuola è proseguita passando dalle tecniche in-situ di bonifica a quelle di messa in sicurezza, oggetto di parte della terza ed ultima giornata del corso. Partendo dall’intervento del Prof. Vincenzo Belgiorno dell’Università di Salerno, che ha fornito

una lezione di carattere introduttivo sulla tecnologia di stabilizzazione/solidificazione di suoli contaminati, all’intervento del Prof. Quintilio Napoleoni dell’Università di Roma La Sapienza, che in un’ora di lezione ha condensato la sua esperienza accademica e professionale nel settore, fornendo una panoramica sulle principali tecniche di confinamento orizzontale (capping) e verticale (barriere fisiche), evidenziandone potenzialità e limiti mediante diversi esempi applicativi. Ha concluso la mattinata il Prof. Federico Vagliasindi dell’Università di Catania, con una lezione a due facce: la prima, dedicata all’illustrazione delle attività di ricerca in scala di laboratorio per lo sviluppo di tecnologie di trattamento termico a microonde di suoli contaminati da idrocarburi; la seconda, ispirata dalle esperienze professionali nel settore delle bonifiche. Il pomeriggio conclusivo della scuola, che vedeva ancora gran parte dei discenti presenti e attenti,

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veniva dedicato all’aspetto della sostenibilità delle bonifiche, il tutto partendo da un esempio non del tutto positivo, presentato dal Prof. Francesco Lombardi dell’Università di Roma Tor Vergata, che dedicava il suo intervento alla presentazione del caso studio della bonifica del sito di Lunghezza nel Comune di Roma, purtroppo caratterizzato da numerose modifiche degli scenari di progetto, indotte da ondivaghe decisioni amministrative e interventi esterni della magistratura. Le criticità delle bonifiche nelle aree dismesse e più in generale l’attuale difficoltà, se non quasi impossibilità, di integrare bonifiche e pianificazione territoriale è stato oggetto dell’intervento svolto dalla Dott.ssa Marina Dragotto di AUDIS e dal Dott. Igor Villani della Provincia di Ferrara. Chiudeva la Dott.ssa Silvia Paparella, project manager dell’evento RemTechExpo della Fiera di Ferrara, che dedicava il suo intervento al concetto di bonifica sostenibi-

le da un punto di vista economico, sociale e ambientale, portato avanti in Italia dalla rete Reconnet tramite il suo gruppo di lavoro SuRF-Italia.

Conclusioni e prospettive L’idea di organizzare una scuola residenziale sulle bonifiche, che potesse coinvolgere docenti di diverse discipline (geologia, biologia, chimica, ingegneria, scienze ambientali) e attrarre in questo modo tecnici di diversa età, estrazione culturale e occupazione, coinvolti a vario titolo nel mondo delle bonifiche, si è rivelata un successo. Successo, testimoniato non solo dalla partecipazione di ben 45 iscritti nell’arco dei tre giorni della scuola, ma anche dall’alto livello di soddisfazione percepito tra gli studenti, d’altra parte motivato dall’elevato livello scientifico di tutte le presentazioni. La cornice fornita dall’evento “Fare i conti con l’ambiente”, con il suo corollario di momenti culturali

(in primis l’intervento di Philippe Daverio), e l’ambientazione ideale di Ravenna, trasformata in città-congresso, hanno senz’altro contribuito al buon esito dell’iniziativa. Molto positiva è stata anche la sinergia con RemTech, con l’assegnazione di due borse di studio per la partecipazione alla scuola, conferite da Labelab nell’ambito dei premi RemTech per le migliori tesi di laurea nel settore delle bonifiche e con la distribuzione degli atti dei convegni di RemTech agli studenti della scuola. L’intenzione è pertanto di replicare, con una nuova iniziativa di formazione residenziale, che la rete Reconnet e Labelab hanno già iniziato a progettare. Invitiamo pertanto i lettori di Eco a seguire questa rubrica perché forse già dal prossimo numero potremo dare qualche anticipazione sulle tematiche oggetto della prossima edizione e sulle date previste, sempre ovviamente nell’ambito dell’evento di Ravenna.

Siamo presenti ad Ecomondo Pad C3 stand 112

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VETRINA

EDAM: pronto Intervento Emergenze, qualità e sicurezza al servizio delle aziende Uno scrupoloso approccio tecnico e l’assoluto rispetto delle regole: su questi due principi si è sviluppata, e continuerà a svilupparsi, EDAM. Decenni di interventi al servizio dei grandi impianti dell’industria chimica, farmaceutica e petrolchimica hanno fatto guadagnare alla società la stima da parte dell’intero settore industriale. Alla divisione di bonifica, risanamento, manutenzioni, dal 2009 EDAM ha affiancato la divisione Emergenze e Sinistri. Quest’ultima unisce l’esperienza tecnica accumulata nella manipolazione delle merci pericolose a quella derivata dalla gestione delle problematiche complesse, consentendo a EDAM di proporsi alle aziende come partner sicuro e affidabile nella gestione dei sinistri. La dislocazione delle piattaforme operative consente al Nucleo Intervento Emergenze (N.I.E.), squadre specializzate nell’intervento a seguito di contaminazione delle matrici ambientali, di raggiungere il luogo del sinistro e iniziare le operazioni di Messa in Sicurezza d’Emergenza sull’intero territorio nazionale entro le quattro ore dall’attivazione. Completano l’offerta le attività di ripristino post incendio, allagamento ed eventi catastrofali, mirati alla messa in sicurezza, bonifica e ripristino funzionale di strutture e macchinari. Fedeli alla filosofia aziendale, tutti gli interventi effettuati sono finalizzati alla riduzione del danno e alla rapida ripresa dell’attività produttiva del sinistrato.

GEOMEMBRANA SOTRAFA TIPO ALVATECH 5002 FIX La SOTRAFA S.A., azienda del Gruppo Armando Alvarez è la prima società di trasformazione del polietilene in Spagna che ha iniziato la sua attività nel 1976, cominciando a produrre geomembrane nel 2005. Dal 2010 è iniziata la produzione su larga scala della geomembrana ALVATECH FIX, una geomembrana in polietilene ad alta densità ad aderenza migliorata. Una geomembrana strutturata, su un lato o su entrambi, attraverso una fitta distribuzione omogenea di punte (57.000/m2 per ogni lato) con un’altezza di circa un millimetro, in grado di assicurare una perfetta aderenza all’interfaccia sia agli strati naturali che ad altri geosintetici. La geomembrana SOTRAFA è stata utilizzata per l’adeguamento tecnico del 1° lotto della discarica per rifiuti non pericolosi di Pontey, località Valloille (Aosta) della Valeco spa, su progetto dello studio Zimatec di Torino. Si tratta di un intervento effettuato dopo l’abrogazione del D.M. 03/08/05 e nel rispetto del D.M. Ambiente 27/09/10 che ha introdotto nuovi criteri di ammissibilità dei rifiuti in discarica che hanno stabilito dei vincoli per gli interventi di adeguamento della discarica in oggetto. Un adeguamento tecnico finalizzato alla riclassificazione della discarica che prevedeva il potenziamento del sistema barriera già autorizzato in precedenza e conseguentemente del grado di sicurezza della discarica; in dettaglio è stato previsto l’inserimento di una terza geomembrana sintetica omogenea in HDPE oltre ad altri accorgimenti, tra cui la realizzazione di un nuovo sistema di raccolta del percolato per consentire l’ampliamento della volumetria disponibile e di un canale di guardia a monte della discarica in grado di contenere possibili tracimazioni. Il progetto è stato redatto in conformità ai criteri di costruzione degli impianti di smaltimento per rifiuti pericolosi, (allegato 1 del D.Lgs. 13 gennaio 2003 n. 36, attuazione direttiva 1991/31/CE relativa alle discariche per rifiuti), nel completo rispetto dei termini di equivalenza di difesa delle matrici ambientali. Nel progetto citato sono stati posati oltre 100.000 metri quadri di geomembrana ALVATECH FIX 2F. ALVATECH serie FIX è l’unica geomembrana strutturata in HDPE di larghezza non inferiore a 7,5 metri attualmente in commercio, con evidenti vantaggi quali minori saldature e minore controllo delle stesse; si sottolinea che ALVATECH FIX 2F é in grado di assicurare la perfetta corrispondenza alle prescrizioni europee CPR (EN 13492 ed EN 13493) e alla più recente UNI 11498, “Geosintetici con funzione barriera, Geosintetici Polimerici ad aderenza migliorata a base di polietilene a media e alta densità”, norma nazionale pubblicata il 18 luglio 2013 dall’organo di unificazione nazionale UNI.

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V E T RIN A

Ecol Studio, competenze distintive per analisi su rifiuti e impianti di discariche Ecol Studio S.p.A. nasce come ditta individuale nel 1982 in Provincia di Lucca, grazie allo spirito imprenditoriale del Perito Industriale Guido Fornari, e si è successivamente sviluppata intorno alle tematiche ambientali e di prevenzione dei rischi sui luoghi di lavoro. La società è suddivisa in quattro settori: laboratorio di analisi, consulenza, formazione e medicina del lavoro. L’attività di Ecol Studio comincia proprio nell’anno di pubblicazione del DPR 915/82 relativo alla regolamentazione dello smaltimento dei rifiuti; nel tempo si è occupata sia dell’interpretazione normativa sia della caratterizzazione dei rifiuti operando, anno dopo anno, investimenti strumentali adeguati al fine di eseguire corrette indagini sulle varie matrici di rifiuti. Attualmente il settore Analisi Rifiuti, Fanghi e Terreni si occupa dell’esecuzione di test chimici su matrici solide per verificare il rispetto delle prescrizioni normative, operando anche in sinergia con il settore di Consulenza Ambientale. Le matrici per le quali il Laboratorio effettua campionamento e analisi sono terreni, fanghi, rifiuti di inceneritori, CDR, scarto pulper cartiere, compost, carboni attivi, rifiuti provenienti da attività di costruzione e demolizione, terre e rocce da scavo, fanghi di cartiera, fanghi di dragaggio, ecc.

TRITURATORE MOBILE TQ1300: PRATICO E VERSATILE Forrec, azienda specializzata nella progettazione e nella costruzione di macchine e impianti industriali in grado di rispondere alle piú diverse richieste provenienti dal mondo del riciclaggio e dello smaltimento dei rifiuti solidi, ha recentemente realizzato un innovativo impianto scarrabile per la triturazione di imballaggi pericolosi. I trituratori scarrabili rappresentano la soluzione ideale per quelle aziende di trattamento che si trovano nella necessità di operare in più siti. Grazie alla sua facile trasportabilità questo tipo di impianto è in grado di adattarsi perfettamente ai più diversi tipi di utilizzo. Composto da un trituratore quadrialbero TQ1300 con motorizzazione idraulica da 134 kW, il sistema è integrato da nastri mobili per il carico e l’estrazione del materiale. L’alimentazione è fornita da un generatore da 250 kW che assicura la piena autonomia di funzionamento. L’impianto inoltre è completato da un sofisticato sistema antincendio studiato per garantire la massima sicurezza nel trattamento di rifiuti pericolosi in loco. Questa realizzazione sta destando molto interesse in alcuni mercati esteri dove la possibilità di poter movimentare l’impianto rappresenta un indiscutibile vantaggio. Forrec, con una gamma completa di trituratori e granulatori, assicura un'elevata flessibilità e, grazie alla notevole esperienza progettuale, offre soluzioni chiavi in mano e su misura. L’azienda è presente a Ecomondo Pad. A3 stand 164.

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V E T RIN A

EOS AMBIENTE DIVENTA “MULTINOSE” EOS Ambiente, la soluzione Made in Sacmi che ha profondamente innovato le possibilità di indagine nell’ambito della misurazione degli odori, diventa MULTINOSE. Applicato al modello EOS 507 F e presentato in anteprima assoluta alla prossima edizione di Ecomondo – Rimini, 6-9 novembre 2013 – il nuovo accessorio consente infatti di misurare, con un singolo “naso elettronico”, ben 8 differenti sorgenti odorigene, con notevole incremento di efficienza e riduzione dei costi. Unica nel suo genere, la soluzione sarà esposta in fiera allo stand Sacmi (hall D3, stand 193). Progettato per lo scansionamento in sequenza di odori provenienti dai diversi punti di prelievo posti in prossimità delle diverse sorgenti da monitorare, MULTINOSE è infatti dotato di una centralina pneumatica capace di gestire da 2 a 8 ingressi di odore. Punto di forza della soluzione è anche il software altamente personalizzabile, che consente all’operatore di gestire l’ordine e la frequenza di scansionamento delle varie sorgenti per ottimizzare il processo in funzione delle differenti esigenze di monitoraggio. Un’ulteriore proposta Sacmi per un settore come quello della misurazione degli odori – basato sui principi dell’olfattometria dinamica – che riveste un ruolo sempre più importante per molte attività industriali. Grazie al sistema sviluppato da Sacmi, infatti, è possibile monitorare le emissioni odorigene dell’intero impianto in modo continuo, rappresentando così una base “oggettiva” per valutare l’effettivo inquinamento olfattivo di un’area industriale. Come le soluzioni precedenti, anche il nuovo EOS 507 F Ambiente, da oggi proposto con modulo MULTINOSE, può operare in qualsiasi condizione meteo-climatica – a prescindere dalle condizioni esterne di temperatura, umidità, direzione del vento, ecc. – riconoscendo l’impronta olfattiva di un determinato odore e memorizzando le differenti concentrazioni a cui si presenta. Robusto e affidabile – grazie alla cabina per esterno con grado di protezione IP44 – EOS 507 F con MULTINOSE può riconoscere in parallelo anche odori molto diluiti, al di sotto del livello di percezione umana, e può essere installato sul campo per il monitoraggio dell’intero impianto in modo efficiente e con un grande risparmio di costo.

TREVI BENNE FOR AFRICA A Luglio 2013 è stata completata la fornitura di attrezzature Trevi Benne, commissionate dalla Dem-Group, dealer Hitachi per l'Algeria, e venduta nella stessa nazione algerina presso una grande società di recupero e trattamento di materiali ferrosi. Il pacchetto prevedeva la consegna di 6 cesoie idrauliche Marylin CS 12RS, 6 polipi per movimentazione rottame PE 600-5, 6 attacchi rapidi autobloccanti 3V 20 t e 6 elettromagneti circolari idraulici (forniti da una ditta esterna). Le attrezzature verranno installate su quattro escavatori gommati Hitachi ZX 250W e 2 Hitachi ZX360W. Pur essendo macchine di peso operativo diverso (25 e 36 t), ma avendo la prima un braccio lungo 12 m e la seconda un braccio di 16 m, si trovavano nella stessa condizione di capacità di carico in movimentazione e quindi le attrezzature fornite risultano perfettamente intercambiabili tra i due modelli. Fondamentale la fornitura degli attacchi rapidi idraulici per semplificare e ridurre i tempi di sostituzione cesoia-polipo nel cantiere e per la possibilità di utilizzare le attrezzature su entrambi gli escavatori. Gli elettromagneti invece verranno movimentati con catene e sollevati tramite un gancio omologato, saldato sull'attacco rapido.

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I N D U S T R I A L E


libri TERRE E ROCCE DA SCAVO NORME TEORICO-OPERATIVE E AMMINISTRATIVE PER LA GESTIONE DEI MATERIALI DA SCAVO A cura di Gian Paolo Sommaruga

Dario Flaccovio Editore (pagine 163 - € 20,00) Sono tante le norme che si sono susseguite negli ultimi decenni in relazione alla bonifica dei siti contaminati e alla gestione dei materiali da scavo. E oltre ad essere numerose spesso risultano contraddittorie o di difficile interpretazione tanto da renderne complicata l’applicazione da parte degli operatori. E’ in questo contesto che si inserisce Terre e Rocce da scavo, un libro che è prima di tutto uno strumento che guida il lettore attraverso la normativa, a partire dalle origini sino ad arrivare agli ultimi aggiornamenti contenuti nel cosiddetto Decreto del Fare convertito in legge lo scorso agosto. Oltre ad essere un’utile guida, grazie all’esperienza maturata dall’autore nello specifico settore, questo manuale fornisce anche un grado di conoscenza dell’argomento che consente di far fronte agli adempimenti e alle procedure tecnico-normative con maggior consapevolezza della materia, permettendo inoltre di acquisire un livello di dimestichezza con la tematica che potrà tornare utile anche qualora si verificassero delle modifiche a livello normativo. Articolato in otto capitoli il testo è corredato da immagini e soprattutto da utili schemi e diagrammi di flusso che esemplificano e facilitano nella comprensione degli argomenti trattati.

L’EDIFICIO ENERGetiCAMENTE SOSTENIBILE MATERIALI CONTEMPORANEI PER IL RISPARMIO ENERGETICO A cura di Carlo Ponzini

Maggioli Editore (pagine 330 - € 54,00) Ecosostenibilità, un termine ormai entrato nell’uso comune, che quando viene associato all’edilizia apre una gamma infinita di materiali costruttivi che rispondono a esigenze di risparmio energetico offrendo soluzioni tecnologiche che permettono di ottimizzare i consumi e la generazione di energia all’interno degli edifici. In questo libro troviamo una parte iniziale dedicata all’architettura ambientale ed energetica, completa di rassegna sulle normative e certificazioni applicabili, seguita poi dalle basi per il calcolo della trasmittanza degli edifici indispensabile per valutare i fenomeni di dispersione del calore. Ampio spazio viene poi dedicato ai materiali contemporanei che vengono proposti per garantire prestazioni energeticamente sostenibili, completi di descrizione, applicazioni, proprietà e dati tecnici. La seconda parte del volume è invece dedicata ai cosiddetti “Progetti esemplari”, una rassegna interessante delle opere architettoniche nelle quali gli aspetti ambientali ed energetici sono stati affrontati unendo materiali e tecnologie innovativi e restituendo delle opere che possono essere un esempio per il lettore delle trasformazioni dell’architettura del paesaggio. In questa seconda edizione l’autore ha voluto, non solo fornire le nozioni sulle nuove tecniche progettuali e sulle innovazioni tecnologiche applicabili, dalle nuove costruzioni alle ristrutturazioni, ma approfondire la conoscenza dei materiali, sia contemporanei che classici, entrambi fondamentali per il lavoro dei progettisti.

USO DELL’ESCAVATORE IN DEMOLIZIONE FARE E NON FARE. IL BUON ESITO DEL TUO LAVORO A cura di Ivan Poroli

NAD Associazione Nazionale Demolitori Italiani (pagine 34 - € 10,00) Questo volume nasce a supporto dell’attività formativa dell’Associazione Nazionale Demolitori Italiani. La pubblicazione contiene un elenco di situazioni, azioni, attività, da fare e da non fare relativamente all’uso degli escavatori in tutte le fasi del cantiere, a partire dallo scarico della macchina dal trailer, passando all’allestimento, all’operatività, alla manutenzione fino allo smontaggio e alla preparazione per il trasporto. Si è cercato di esprimere i concetti in forma semplice e immediata, attraverso l’uso di un simpatico personaggio, Gigi La Pinza, inserito in vignette a colori che accompagna il lettore con le sue avventure nel mondo del lavoro con macchine movimento terra e soprattutto nella demolizione. La scelta di utilizzare un personaggio a fumetti con le relative contestualizzazioni ed enfatizzazioni, ha lo scopo di rendere più immediata la comprensione dei messaggi, rendendo al tempo stesso più piacevole e accattivante la lettura dell’opuscolo. I contenuti e la grafica sono volutamente indirizzati verso macchine da demolizione, poiché la volontà principale di NAD è quella di fornire le nozioni di sicurezza aggiuntive oltre a quelle standard per l’uso di escavatori da demolizione che purtroppo oggi non sono facilmente reperibili a causa della scarsa divulgazione delle tecniche e delle tecnologie di demolizione.

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Anno 6 - Numero 25


E COAP P U N TA ME N TI

REBUILD

Riva del Garda, dal 26 al 27 novembre

Secondo appuntamento per REbuild, convention nazionale sulla riqualificazione e gestione sostenibile dei patrimoni immobiliari che si terrà nella splendida cornice di Riva del Garda il 26 e 27 Novembre. Dopo il successo dello scorso anno il tema dell'edizione 2013 è il “Fare REbuild”, spostando ancora di più l'accento sull'operatività del mercato, con tavoli di lavoro, incontri B2B, seminari specializzati divisi per temi, momenti conviviali di networking, tutto nell'ottica di un mercato della riqualificazione e gestione sostenibile. REbuild punta su una formula ad “accesso limitato”, con solo 500 posti disponibili per permettere agli operatori interessati al tema della riqualificazione e gestione sostenibile di poter lavorare concretamente, condividendo esperienze, confrontando case studies, progetti e strategie di finanziamento innovativi, creando modalità di interazione variabili, dal focus group alle plenarie. www.rebuilditalia.it

mcT Tecnologie per il Petrolchimico

Milano, 28 novembre

Si rinnova anche quest’anno l’appuntamento con mcT Tecnologie per il Petrolchimico, giunto alla quinta edizione, giornata verticale e vera iniziativa di riferimento per i professionisti impegnati nel settore del Petrolchimico e dell’industria di Processo. Forte del successo dello scorso anno, con oltre 850 visitatori specializzati, la nuova edizione non può che essere all’insegna del rafforzamento di un successo che da sempre accompagna la manifestazione. La giornata si svilupperà partendo dal convegno mattutino “Tecnologie per il Petrolchimico e per il settore energetico”, una sessione che si annuncia ricca di contenuti e importanti protagonisti e vedrà il coinvolgimento diretto di aziende di assoluto spicco del settore, come Eni, Saipem ed Enel, che affronteranno tematiche di primaria attualità e contribuiranno con case studies di grandissimo interesse. www.eiomfiere.it/mctpetrolchimico_milano

POLLUTEC HORIZONS

Parigi, dal 3 al 6 dicembre

Pollutec Horizons, il salone delle eco-tecnologie, dell'energia e dello sviluppo sostenibile, presenterà quest’anno a Parigi un'offerta unica di soluzioni innovative, numerose opportunità di incontri e un ampio programma di conferenze, momenti di confronto e dibattiti per fare il punto sulle sfide ambientali ed energetiche presenti e future tra cui la tutela ambientale, la lotta contro il cambiamento climatico, le Cleantech e il green business. Obiettivi: rispondere alle sfide degli industriali, dei responsabili degli enti locali, degli operatori del settore edilizio, della grande distribuzione e dell'agricoltura. I settori espositivi saranno: Rifiuti & riciclaggio, Acqua, Energia, Analisi – Misura – Controllo, Aria, Siti e suoli, Rischi e normativa, Prodotti e sviluppo sostenibile, Istituzioni, Ingegneria, Ricerca, Finanziamento, Partecipazioni collettive regionali e internazionali. Vedi approfondimento a pag. 20. www.pollutec.com

SICON

Brescia, dal 6 all’8 febbraio

Si terrà nel 2014 a Brescia il consueto appuntamento con il workshop SiCon - Siti contaminati. Esperienze negli interventi di risanamento. Il programma preliminare prevede sessioni dedicate alla bonifica dei siti contaminati, all’analisi di rischio, alla messa in sicurezza e bonifica di terreni contaminati, alla messa in sicurezza e bonifica di acquiferi contaminati, al recupero funzionale dei siti contaminati, alla bonifica di sedimenti contaminati e, infine, alla ricerca scientifica. Una sessione speciale sarà inoltre dedicata alla bonifica e messa in sicurezza del SIN «Brescia - Caffaro». Il SiCon metterà a disposizione dei partecipanti un ampio quadro di quanto è stato ad oggi realizzato nel campo delle bonifiche, mediante l’illustrazione di casi studio a scala industriale ed uno specifico risalto agli aspetti tecnico-operativi.

Fiera Agricol a

Verona, dal 6 al 9 febbraio

Fieragricola è da oltre un secolo il punto di riferimento nel panorama agricolo, l'unica manifestazione internazionale in Italia che affronta tutte le tematiche legate al mondo dell’agricoltura grazie ad un'offerta completa delle tecnologie e dei prodotti nel settore della meccanica agricola, dell'allevamento, delle agroforniture, delle energie rinnovabili e dei servizi per l'agricoltura. Per l’edizione 2014 Fieragricola si rivolge con particolare attenzione alla nuova politica agricola comunitaria e agli sviluppi futuri del settore anche attraverso argomenti legati a biodiversità e genetica vegetale. Tra le 5 macroaree tematiche di approfondimento troviamo le Energie rinnovabili da biogas e da produzioni vegetali, uno spazio dedicato alle energie rinnovabili in agricoltura concepito per offrire nuove opportunità di reddito e di risparmio agli imprenditori agricoli e per presentare agli operatori del settore energetico informazioni e opportunità riguardanti la produzione di energia da fonti agricole. www.fieragricola.it

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aggiornamenti e news dalle aziende del settore

fiere, convegni e workshop tutti gli eventi a portata di mano

notizie e novità dal mondo delle bonifiche, dei rifiuti e delle demolizioni

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A M BIEN TE RIF I UTI DEMOL I Z IONI

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SERV IZ IO NAZ IONAL E DI ANT INQUINAM ENTO M ARINO SISTEMA DI PRONTO INTERVENTO PER IL CONTENIMENTO E RECUPERO IN CASO DI OIL SPILL

ISOLA DELLA GORGONA - EUROC ARGO VENEZ IA RICERCA E RECUPERO DI FUSTI DISPERSI IN MARE AD OLTRE 450 M DI PROFONDITA’

TERRE E ROCCE DA SCAVO TUTTE LE NOVITà INtRODOTTE DAL NUOVO DECRETO BIOCARBURANTI ALLA SCOPERTA DEL NUOVISSIMO IMPIANTO DI CRESCENTINO ISOL A DEL GIGL IO - EM ERGENZ A COSTA CO NCO RDIA

AUTORIZZAZIONE UNICA AMBIENTALE LE SEMPLIFICAZIONI DEL NUOVO PROCEDIMENTO AUTORIZZATIVO

SERVIZIO DI PREVENZIONE E ANTINQUINAMENTO

SETTORE PETROLIFERO E BONIFICHE UN PERCORSO COMPLICATO VERSO LA SEMPLIFICAZIONE

dicembre 2013


Poste Italiane Spa - Sped. in a.p. - D.L. 353/2003 conv. in L. 46/2004, art.1, c.1 - CB-NO/Torino – Anno 6 n. 25 DEA edizioni s.a.s. Strada del Portone, 127 - 10095 Grugliasco (TO)

dicembre 2013 anno VI numero 25


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