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Poste Italiane Spa - Sped. in a.p. - D.L. 353/2003 conv. in L. 46/2004, art.1, c.1 - CB-NO/Torino – Anno 7 n. 27 DEA edizioni s.a.s. Corso Tassoni 79/4 - 10143 Torino
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Giugno 2014 anno vII numero 27
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giugno 2014
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Facciamo i conti… con l’ambiente
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pero non ce ne vorranno gli organizzatori dell’evento Ravenna 2014 se ci appropriamo in questo editoriale dello slogan della manifestazione ma è davvero giunto il momento di fare i conti. In questo periodo dell’anno infatti ogni settore fornisce report, i tempi sono maturi per fare il punto sull’anno precedente e per fotografare la situazione, gli andamenti, le percentuali e gli obiettivi per giungere alla consueta conclusione: siamo stati più bravi o meno bravi, stiamo peggiorando o migliorando… Se ci limitiamo agli argomenti di cui tratta la rivista le letture sono varie e tutte interessanti. Abbiamo un rapporto per ogni filiera della raccolta differenziata dalla carta alla plastica, dall’alluminio al vetro, oppure possiamo trovare dati aggiornati sull’impiego degli inerti, ma anche sul consumo di suolo e sull’uso efficiente delle risorse energetiche. Ma ovviamente non possono mancare i dati sui reati ambientali, sulle ecomafie e sugli introiti degli ecocrimini. Una mole di numeri e percentuali da cui attingere a piene mani per comprendere in che direzione sta marciando il nostro Paese e per avere ancora una volta conferma di come l’ambiente sia diventato un argomento di quotidiana attualità e allo stesso tempo un settore di fondamentale importanza per la nostra economia. Fa piacere leggere che la raccolta differenziata aumenta, che sono stati recuperati milioni di tonnellate di materiali che fino a qualche anno fa non avrebbero avuto altro destino se non quello nelle discariche, come fa piacere sapere che il 70% degli italiani ritiene che la salvaguardia ambientale debba essere assicurata soprattutto dagli stessi cittadini e dalle istituzioni. Certamente è meno edificante sapere invece che il consumo di suolo non accenna a diminuire o che, il nostro bel Paese continua ad essere disseminato di cave e che i materiali naturali vengano comunque preferiti a quelli riciclati. La situazione poi peggiora ulteriormente quando leggiamo che ogni giorno in Italia vengono commesse 80 infrazioni accertate contro l’ambiente grazie al coinvolgimento di ben 321 clan. Come sempre belle e brutte notizie ma, d’altronde, i rapporti e le statistiche servono a questo… fotografare l’andamento presente e passato per correggere o migliorare le azioni future di tutti. Massimo Viarenghi
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giugno 2014
sommario
ECO bonifiche rifiuti demolizioni
14 Caffè in capsule: dietro a un fenomeno di mercato importante nasce un progetto di riciclaggio con positivi risvolti ambientali e sociali
www.ecoera .it
RUBRICHE ECONEWS
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VETRINA
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ECOAPPUNTAMENTI
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Libri
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STORIA DI COPERTINA Trasparenza, semplificazione, qualificazione, legalità di Massimo Viarenghi
20 Una fotografia del settore delle cave in Italia, tra criticità ambientali, lacune normative e prospettive sostenibili per il territorio
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ATTUALITÀ Recycling. what else? di Maeva Brunero Bronzin
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Miracolo a Modena di Dionisio Vianello
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Scaviamo a fondo nel mondo delle cave di Bruno Vanzi
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FABBRICA DELLE IDEE PNEUMATICI FUORI USO: DA RIFIUTO PERSISTENTE A PREZIOSA RISORSA di Vanessa Sorrenti
40 Il decommissioning dell’area ex Star-Black&Decker di Civate dalla rimozione dei rifiuti, alla bonifica amianto, fino alla demolizione degli edifici
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REPORT Inaugurato a Granarolo dell’Emilia un maxi impianto intelligente di Maria Beatrice Celino
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SPECIALE BIOENERGIE IN ITALIA: LO STATO DELL’ARTE di Raffaella Urania
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PANORAMA AZIENDE
53 parco, campi di fitodepurazione, pannelli fotovoltaici, laghetti e molto altro nel progetto di riqualificazione ambientale della ex discarica di ciliverghe
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Anno 7 - Numero 27
Tecnologie ed esperienza a servizio di biomasse e biogas 36 di Marco Simone Bono
Anno 7 - Numero 27 Giugno 2014
Direttore responsabile: Massimo Viarenghi Direttore commerciale: Maria Beatrice Celino Coordinamento editoriale: Maeva Brunero Bronzin Collaboratori: Anna Artuso, Renato Baciocchi, Rosa Bertuzzi, Marco Simone Bono, Nicola Carboni, Daniele Carissimi, Maria Beatrice Celino, Elena Cossu, Alessandra De Folly, Antonio Di Molfetta, Vanessa Sorrenti, Francesco Spennati, Andrea Terziano, Enrico Tesser, Raffaella Urania, Bruno Vanzi, Dionisio Vianello, Valerio Zolla
WORK IN PROGRESS Il decommissioning dell’area ex Star-Black&Decker di Civate di Andrea Terziano
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Nasce a Ceresara la Fabbrica Verde per valorizzare la frazione secca dei rifiuti di Maria Beatrice Celino
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PRB A FERRO ZEROVALENTE E RIDUZIONE CHIMICA IN SITU di Valerio Zolla e Antonio Di Molfetta
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PROGETTI E TECNOLOGIE LA RIQUALIFICAZIONE AMBIENTALE E PAESAGGISTICA DELLA EX DISCARICA DI CILIVERGHE di Anna Artuso e Elena Cossu
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MATERIALI INNOVATIVI PER IL TRATTAMENTO DI ACQUE CONTAMINATE di Alessandra De Folly
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MONITORAGGIO E TRATTAMENTO DI DRENAGGI DI MINIERA di Enrico Tesser Soil washing per il trattamento di sedimenti marini contaminati di Francesco Spennati
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Novità a 360 gradi per la disciplina dell’AIA di Rosa Bertuzzi e Nicola Carboni
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NOTIZIE DA ASSOCIAZIONI e reti Reconnet
Ufficio commerciale - Vendita spazi pubblicitari: Maria Beatrice Celino Tel. 011 7497964 Cell. 335 237390 e-mail: b.celino@deaedizioni.it Grafica, disegni e impaginazione: PeVmedia - Via C. Vidua, 7G - 10144 Torino Abbonamenti: Italia annuo € 40,00 - estero annuo € 75,00 copia singola € 12,00 - arretrati € 14,00 Per abbonarsi è sufficiente fare richiesta a info@deaedizioni.it Stampa: Tipografica Derthona - s.s. per Genova, 3/I - 15057 Tortona (AL)
NORMATIVA Trasporto rifiuti conto terzi O trasporto merci in conto proprio? di Daniele Carissimi
Comitato Scientifico: Maria Rosaria Boni (Sapienza Università di Roma) Daniele Cazzuffi (Cesi spa – Remtech) Laura D'Aprile (ISPRA, Roma) Luciano De Propris (Consulente ambientale) Ennio Forte (Università degli studi di Napoli) Luciano Morselli (Università di Bologna) Andrea Quaranta (Giurista ambientale – Cuneo) Gian Luigi Soldi (Provincia di Torino) Federico Vagliasindi (Università di Catania) Maria Chiara Zanetti (Politecnico di Torino)
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Responsabilità: la riproduzione delle illustrazioni e articoli pubblicati dalla rivista è riservata e non può avvenire senza espressa autorizzazione della Casa Editrice. I manoscritti e le illustrazioni inviati alla redazione non saranno restituiti, anche se non pubblicati, e la Casa Editrice non si assume responsabilità per il caso che si tratti di esemplari unici. La Casa Editrice non si assume responsabilità per i casi di eventuali errori contenuti negli articoli pubblicati o di errori in cui fosse incorsa nella loro riproduzione sulla rivista. La responsabilità di quanto espresso negli articoli firmati rimane esclusivamente agli Autori. Direzione, Redazione, Abbonamenti, Amministrazione:
DEA edizioni s.a.s. Corso Tassoni 79/4 10143 Torino Tel. / Fax 011 749 79 64 e-mail: info@deaedizioni.it www.deaedizioni.it
Organo Ufficiale dell'Associazione Studi Ambientali L’abbonamento è deducibile al 100%. Per la deducibilità del costo ai fini fiscali vale la ricevuta del versamento a norma D.P.R. 22/12/86 n. 917 artt. 50 e 75. Conservare il tagliando - ricevuta, esso costituisce documento idoneo e sufficiente ad ogni effetto contabile. Non si rilasciano in ogni caso altre quietanze o fatture per i versamenti in c.c.p. Pubblicazione bimestrale Poste Italiane Spa – Sped. in a.p. D.L. 353/2003 conv. in L. 46/2004, art. 1, c. 1 – registrata presso il Tribunale di Torino il 19 ottobre 2009 al n. 56. Ai sensi del D.Lgs. 196/2003, informiamo che i dati personali vengono utilizzati esclusivamente per l’invio delle pubblicazioni edite da DEA edizioni s.a.s. Telefonando o scrivendo alla redazione è possibile esercitare tutti i diritti previsti dall’articolo 7 del D. Lgs. 196/2003.
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Portare avanti l’industria per prevenire le bonifiche
Inoltre a fronte della diminuzione del numero dei reati si riscontra parallelamente un aumento della gravità e della pericolosità degli stessi,
“Dobbiamo prevenire le bonifiche” questo il chiaro messaggio del Ministro dell’Ambiente, Gianluca Galletti, in audizione in commissione Ambiente, Lavori pubblici e Attività produttive della Camera nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla green economy. “Sono per affrontare il problema industriale non solo perché salviamo posti di lavoro, credo che noi quando affrontiamo delle crisi aziendali dobbiamo tener conto dell’occupazione che salviamo, ma anche che, quando chiudiamo un'azienda e resta quell’area dismessa per anni, abbiamo dei malefici sia dal punto di vista economico, perché spesso la bonifica ricade su di noi, ma anche di impatto sociale su vari territori” ha continuato Galletti, esortando tutti ad impegnarsi a massimo, più di quanto fatto fino ad ora, affinché il siti industriali non vengano dismessi e possano continuare a svolgere le loro attività. Non basta concentrarsi sulle bonifiche, secondo il Ministro, è necessario prevenirle evitando appunto che si creino i presupposti per la dismissione dei siti. grazie a strategie sempre più sofisticate camuffate di legalità che si espandono verso nuovi settori. Una fotografia drammatica che richiede interventi urgenti sul fronte normativo per fornire la giusta risposta dal punto di vista sanzionatorio.
La Concordia al bivio tra Genova e Piombino
I numeri del rapporto ecomafia 2014 Anche quest’anno il Rapporto di Legambiente Ecomafia 2014 ci presenta puntualmente nomi e numeri dell’illegalità ambientale in Italia: 29.274 infrazioni accertate, 321 clan censiti, 28.360 denunce, 160 arresti. Un business illegale da 15 miliardi di euro. In larga parte (25%) le infrazioni riguardano il settore agroalimentare, seguono con un 22% i reati legati alla fauna, i rifiuti sono al 15% mentre il ciclo del cemento si ferma ad un 14%. L’analisi fatta da Legambiente mostra come l’imprenditoria criminale risponda in modo vivace ai cambiamenti adattando e rinnovando le strategie con cui colpire l’ambiente traendone lauti profitti, e se è pur vero che rispetto all’anno precedente si è riscontrata una lieve flessione degli introiti derivanti dalle attività illecite (15 miliardi di euro rispetto ai 16,7 miliardi del 2013) questa diminuzione è dovuta il larga parte alla diminuzione della spesa pubblica e quindi degli investimenti a rischio.
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Anno 7 - Numero 27
Non si è ancora giunti alla decisione definitiva, la riunione decisoria per definire il porto di smaltimento del relitto della Concordia, prevista per il 16 giugno, slitta di altri 10 giorni per dare più tempo alle amministrazioni per analizzare le scelte e prendere la decisione definitiva. Nel frattempo continuano i lavori all’isola del Giglio per dare il via al rigalleggiamento della nave previsto per la seconda metà di luglio. Genova o Piombino? La domanda è sempre questa mentre le risposte sono sempre contrapposte. Costa sceglie Genova poiché sostiene che il porto toscano non è dotato di un cantiere di demolizione e non ha dimostrato il possesso di alcuna certificazione relativa al cantiere né ha potuto garantire che, una volta realizzato, questo soddisferà i requisiti
necessari, oltre al fatto che Genova rappresenta la scelta più vantaggiosa dal punto di vista economico. L’Amministrazione della Toscana, che deve rilasciare le autorizzazioni al trasporto, sceglie invece Piombino per non incrementare il rischio di inquinamento legato ad un trasporto più lungo e perché, a detta del Presidente della regione Enrico Rossi, il progetto di Costa sarebbe «carente» e «irricevibile» e la scelta di scartare Piombino è «incomprensibile e non giustificata». Nel Progetto di trasferimento e smaltimento presentato da Costa si prevede che durante il trasferimento a Genova «possano avvenire rilasci a mare di acque interne, sostanze e preparati censiti all'interno e idrocarburi» ma si evidenzia anche che l'impatto ambientale sarà «di lieve entità, temporaneo e poco significativo». In tutto questo lo stato di emergenza nell’Isola del Giglio, il cui termine era fissato per il 31 luglio, è stato prorogato fino a fine anno, con mantenimento quindi della gestione commissariale e anche dell’Osservatorio di monitoraggio per gli aspetti di natura ambientale.
mergenza rifiuti in Campania: un altro possibile salasso da oltre 150 milioni di euro.
La lunga strada verso il deposito nucleare nazionale
Multe milionarie dall’UE per le discariche italiane 75 milioni di euro a cui aggiungere altri 94 milioni all’anno. Questa la sanzione da capogiro che la Commissione Europea ha presentato per il nostro Paese per la procedura d’infrazione aperta nel 2003 siccome non siamo stati in grado di mettere in sicurezza le 218 discariche abusive individuate, di cui 16 contaminate da rifiuti pericolosi. La sentenza arriverà ad inizio settembre ma l’entità della sanzione è già stata indicata: 28.090 euro per ogni giorno di persistenza in infrazione più una penalità 256.819 euro per ogni giorno di inadempienza che, considerando la data della prima condanna, 26 aprile 2006, fanno lievitare l’importo a circa 170 milioni di euro. Nonostante il nostro Paese abbia il primato indiscusso per le infrazioni, il dato aggiornato ne conta 116, di condanne definitive ne abbiamo avuta solo una, 50 milioni di euro nel 2011 per il mancato recupero degli aiuti di stato a favore dell’occupazione erogati fra il 1995 e il 2000. Va però detto che a breve ne potrebbe arrivare un’altra legata all’e-
90 mila metri cubi di rifiuti radioattivi da smaltire e nessun deposito nucleare. Questa la situazione italiana che ha però fatto ultimamente qualche passo in avanti verso un positivo epilogo. Si tratta pur sempre di un passo sulla carta ma, grazie alla pubblicazione da parte di Ispra, l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, della Guida Tecnica contenente i Criteri per la localizzazione di un impianto di smaltimento superficiale di rifiuti radioattivi a bassa e media attività, sono stati quanto meno definiti i criteri di esclusione delle aree su cui potrà essere costruito il deposito. Si tratta di 15 criteri a cui se ne aggiungono altri 13 in modo da rendere la selezione ancora più rigida e cautelativa, nel rispetto delle raccomandazioni emanate dagli organismi internazionali. No quindi alle aree vulcaniche, a siti entro i 700 m s.l.m. oppure a distanze inferiori di 5 km dalla costa, no anche alle zone a rischio frane o inondazioni, in prossimità di centri abitati o che si trovino a meno di 1 km da autostrade, strade principali o ferrovie. Massima trasparenza è ciò che si vuole trasmettere in modo da poter giungere senza complicazioni all’individuazione e alla costruzione del deposito nazionale che rappresenta una reale esigenza per il nostro Paese per poter mettere al sicuro i rifiuti nucleari per centinaia di anni. Per la realizzazione occorrerebbero 8 anni, 4 per l’ottenimento dell’Autorizzazione unica e 4 per la progettazione e la costruzione, una tempistica nemmeno troppo lunga che non considera però le tempistiche aggiuntive derivanti da inevitabili dissensi, proteste e rallentamenti. Anche per questo motivo sarà necessario un impegno straordinario al fine di ottenere il necessario consenso affinché si possa partire in una direzione e non fare marcia indietro come accadde 10 anni fa con il sito di Scanzano Jonico.
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IL LATo VERDE DELLA SARDEGNA E’ passato alla fase operativa il progetto Renovo Bioenergy, nato dal concorso di idee 99ideas, per la riconversione del sito dismesso da Rockwool Italia a centrale cogenerativa alimentata da biomassa vegetale proveniente dalla manutenzione dei boschi del Sulcis Iglesiente e da scarti e sottoprodotti della filiera agricola. La centrale, che produrrà energia elettrica (1 MWe) e termica (4 MWt), sarà inserita all’interno del primo biodistretto in Italia, e alimenterà elettricamente l’impianto per la produzione di materiali isolanti in fibra di legno per bioedilizia ottenuti dalla lavorazione di legname vergine raccolto attraverso la manutenzione boschiva, impianto che entrerà in attività sempre all’interno del biodistretto. Risvolti positivi quindi sia dal punto di vista ambientale, poiché le attività del biodistretto porteranno a una corretta manutenzione delle aree boschive, alla gestione di terreni marginali e alla valorizzazione degli scarti agricoli, oltre alla riconversione del sito industriale dismesso, sia dal punto di vista sociale, grazie alla creazione di occupazione, con una specifica attenzione per l’inserimento di lavoratori appartenenti a categorie svantaggiate, come previsto dall’accordo quadro nazionale stipulato da Renovo. Un altro passo in avanti verso la green economy del territorio sardo che proprio in questi giorni ha visto l’inaugurazione di un’altra realtà verde che di inserisce nel piano di riconversione del petrolchimico di Porto Torres. Si tratta di Matrìca e del primo impianto per monomeri, intermedi ed esteri biobased per la sintesi di bioplastiche Mater-Bi di terza generazione. A questa prima unità ne seguiranno altre due entro fine anno, per la produzione di additivi per polimeri ed esterificazione, segni tangibili del progetto che porterà la joint venture Novamont-Versalis alla creazione del più grande polo europeo della chimica verde, con un investimento di quasi mezzo miliardo di euro. Una volta completato lo stabilimento avrà una potenzialità di 350.000 tonnellate di biochemicals.
I Mondiali 2014 fra divise eco e stadi green I Mondiali di calcio 2014, che ci stanno accompagnando in quest’inizio di stagione estiva, continuano a suscitare critiche e proteste da parte del popolo brasiliano che avrebbe voluto vedere investimenti diversi rispetto a quelli fatti per preparare il Paese ad ospitare la 20° edizione della Coppa del Mondo.
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Per quanto concerne gli aspetti ambientali il governo del Brasile sembra però motivato (almeno nelle intenzioni) a rendere il 2014 FIFA World Cup uno spettacolo il più sostenibile possibile, "Vogliamo segnare gol verdi" così si è espressa Izabella Teixeirai, Ministro dell'Ambiente del governo brasiliano. Il Brasile infatti, grazie anche all’installazione di alcuni impianti fotovoltaici negli stadi del mondiale, pare intenzionato a rendere questo evento a basso impatto di carbonio; secondo le stime saranno 1,4 milioni le tonnellate di CO2 prodotte nel mese in cui si svolgerà il torneo, dal 12 giugno al 13 luglio, mentre, secondo la Fifa, il totale delle emissioni dovrebbe raggiungere i 2,7 milioni di tonnellate, ma per contrastare queste infauste previsioni potrebbe bastare (relativamente) poco. Le emissioni verranno compensate con il mercato dei crediti di carbonio, in questo modo l'imponente mobilitazione di mezzi e macchine che hanno contribuito a organizzare l'evento sarà compensato da un'economia green. Con i crediti ottenuti dalla cooperazione insieme ad una certificazione ad hoc per gli stadi si dovrebbe riuscire a tagliare l'inquinamento prodotto. Si pensa in grande, dunque; per il Brasile si prospetta un periodo impegnato e nelle Olimpiadi che organizzerà per il 2016 terrà sicuramente conto dei progressi svolti nel campo della compensazione di emissioni di CO2, con l’obiettivo di diventare un esempio da seguire in questo settore. Oltre all’impegno del Brasile anche dieci nazionali che parteciperanno ai Mondiali hanno messo in mostra il loro impegno per l’ambiente: Francia, Grecia, Portogallo, Usa, Australia, Corea del Sud, Croazia, Inghilterra, Olanda e lo stesso Brasile si sono infatti distinte per l’impegno ambientale, realizzando le proprie divise con bottiglie di plastica riciclata. Queste nazionali lanciano così un messaggio di sensibilizzazione verso un tema importante e delicato, quello del riciclo della plastica. Le maglie, realizzate utilizzando fino a 13 bottiglie riciclate, presenteranno un materiale finale più leggero del 23%, con una struttura della maglia più resistente del 20%, senza contare le tecnologie usate per assorbire l’umidità dal corpo dei calciatori, ottimizzando così le loro prestazioni. L’innovativo processo di realizzazione, inoltre, riduce i consumi energetici fino al 30% rispetto al poliestere tradizionale: un esempio di come unire l’utile al lodevole.
a mediterranean platform for the sustainable growth
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Trasparenza, semplificazione, qualificazione, legalità Queste le parole chiave per fare il punto su risultati raggiunti e prospettive future dopo 20 anni di operatività dell’albo nazionale gestori ambientali di Massimo Viarenghi
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uest’anno ricorre il ventennale dell’istituzione dell’Albo Nazionale Gestori Ambientali un’autorità che rappresenta un punto di riferimento per imprese e società operanti nella filiera dei rifiuti. Proprio mentre siamo impegnati nella redazione di questo numero della rivista si è tenuta a Roma, il 5 e il 6 giugno, l'Assemblea generale organizzata in occasione dei 20 anni di attività dell'Albo.
Dott. Eugenio Onori, Presidente dell’Albo Nazionale Gestori Ambientali
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Ha un ruolo centrale nel sistema che regola la gestione dei rifiuti ma allo stesso tempo punta alla trasparenza come testimonia la pubblicazione online delle imprese iscritte. Per fare il punto sull’attività sin qui svolta, capire gli obiettivi futuri e approfondire qualche curiosità tecnica abbiamo intervistato il Presidente dell’Albo Nazionale Gestori Ambientali, il Dott. Eugenio Onori. Dott. Onori ci può spiegare cos’è l’Albo Nazionale Gestori Ambientali e quali sono le sue funzioni? L’Albo nazionale gestori ambientali è stato istituito dall’articolo 212 del decreto legislativo 152/06, il quale ha modificato la struttura e i compiti dell’Albo nazionale gestori rifiuti previsto dall’articolo 30 del decreto legislativo 22/97 (decreto Ronchi). L’Albo è articolato in un Comitato nazionale, con sede presso il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, e in Sezioni regionali e provinciali, con sede presso le Camere di commercio dei capoluoghi di Regione e delle province autonome di Trento e Bolzano. Il Comitato Nazionale svolge funzioni di indirizzo e coordinamento delle attività delle Sezioni, le quali hanno il compito di provvedere in materia di singole iscrizioni. All’Albo è affidata una importante funzione di selezione e qualificazione delle imprese obbligate, le quali, per ottenere l’iscrizione, devono dimostrare il possesso di requisiti rigorosi. Inoltre, con l’istituzione dell’Albo è stato conseguito l’obiettivo di razionalizzare e snellire
le procedure autorizzative in materia di trasporto di rifiuti. Per questa attività, infatti, il previgente sistema basato sulle autorizzazioni regionali era fonte di complicanze procedurali e comportava gravosi oneri per le imprese che dovevano chiedere le autorizzazioni stesse (e prestare le relative fideiussioni) alla regione di partenza, a tutte le regioni di transito ed alla regione di arrivo. Inoltre, tale sistema non garantiva parità di trattamento alla stessa categoria d’utenza. L’occasione del ventennale può anche rappresentare un momento di riflessione: ritiene che la struttura dell’Albo sia adeguata alle attuali esigenze di controllo e qualificazione delle imprese? L’Albo è operativo dal 1994. Nel corso dei venti anni di attività l’Albo si è affermato come un importante strumento di qualificazione delle imprese le quali, per essere iscritte, devono dimostrare di essere in possesso di requisiti di onorabilità, requisiti di idoneità tecnica e di capacità finanziaria. Inoltre, sono adottati gli stessi criteri da Bolzano a Palermo ed è presente un organo centrale, il Comitato nazionale, che garantisce la corretta applicazione della normativa anche con le decisioni sui ricorsi proposti dalle imprese avverso le delibere delle Sezioni regionali. Non va trascurata, inoltre, la circostanza che oggi, fatte salve specifiche difficoltà contingenti, le Sezioni regionali hanno un tempo medio di evasione delle pratiche d’iscrizione inferiore a 30 giorni.
Si può affermare dunque che, nonostante le difficoltà derivanti dalle continue modifiche normative ed i conseguenti problemi di natura organizzativa, il bilancio complessivo dell’attività dell’Albo può essere considerato più che positivo. Non solo, l’Albo è senza dubbio diventato un punto d’eccellenza nel complessivo panorama dei soggetti pubblici competenti in materia di autorizzazioni alla gestione dei rifiuti. Sul piano dei controlli l’Albo offre un eccezionale strumento: la pubblicazione on line dell'elenco nazionale delle imprese iscritte. Con la pubblicazione dell'Albo è stato messo a disposizione del complesso sistema che regola la gestione dei rifiuti un fondamentale elemento che si configura come: • strumento di trasparenza del settore; • punto di riferimento certo per le imprese che producono rifiuti (e che li debbono affidare a operatori qualificati), per le pubbliche amministrazioni e per gli organi di controllo; • importante anello del sistema di contabilità dei rifiuti. L'operazione, che non ha eguali presso le altre amministrazioni competenti in materia di autorizzazioni alle attività di gestione dei rifiuti, continua a riscuotere attenzione e consenso da parte del mondo imprenditoriale, delle pubbliche amministrazioni e di singoli cittadini. L'Albo nazionale dei gestori ambientali è disponibile sul sito www.albogestoriambientali.it e contiene, per ciascuna impresa: • dati anagrafici, • categorie e classi di iscrizione,
• tipologie dei rifiuti gestiti e relativi codici dell'Elenco europeo dei rifiuti, • numeri di targa dei veicoli autorizzati. Da cosa è nata l’esigenza di creare la categoria dell’intermediazione? Con l’iscrizione dei commercianti e degli intermediari di rifiuti che non hanno la detenzione dei rifiuti (categoria 8) è stata data piena attuazione, con molto ritardo, alla disposizione comunitaria in base alla quale questi soggetti, qualora non sottoposti ad autorizzazione, devono essere iscritti presso la competente autorità dello Stato membro. La prima disposizione comunitaria, infatti, risale al 1991 (art.12 della direttiva 91/156/CE), è stata recepita nell’ordinamento nazionale nel 1994 (D.L. 438/94) ed è stata sempre confermata dalle successive previsioni legislative,
ma non era mai stata attuata in mancanza dei previsti decreti attuativi e, in particolare, del D.M. relativo alle modalità e agli importi delle fideiussioni cui è subordinata l’iscrizione all’Albo. Va evidenziato che le figure del commerciante e dell’intermediario di rifiuti hanno assunto maggiore rilievo con la nuova direttiva sui rifiuti, la direttiva 2008/98/CE; infatti detta direttiva, per la prima volta, individua e definisce queste figure e le relative attività. Inoltre, ricomprende le attività svolte in qualità di commerciante e intermediario tra le attività che fanno parte della gestione dei rifiuti. Con l’entrata in vigore del D.Lgs. 205/10, di recepimento della direttiva 2008/98/CE, è stata sbloccata la situazione sopra descritta ed è scattato l’obbligo d’iscrizione nella categoria
L’Albo in numeri A maggio 2014 risultano iscritte 165.648 imprese, di cui 133.207 iscritte per il trasporto dei propri rifiuti ai sensi dell’art. 212, comma 8, D.Lgs. 152/06. Le iscrizioni per la raccolta e il trasporto dei rifiuti sono 29.500; per il commercio e l’intermediazione dei rifiuti 5.109; per la gestione semplificata dei RAEE 12.441 per l’attività di bonifica dei siti 1.173; per l’attività di bonifica dell’amianto 2.781. Le imprese iscritte per effettuare esclusivamente il trasporto transfrontaliero di rifiuti, nella gran parte imprese estere, sono 2.191.
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8, relativa al commercio e intermediazione dei rifiuti senza detenzione dei rifiuti stessi. Quali sono gli sviluppi futuri per l’Albo? Vi sono in progetto variazioni, modifiche a livello operativo che interessano le imprese? Attualmente, anche a seguito degli ultimi sviluppi normativi, si è aperto un processo che ha già raggiunto un interessante momento di sintesi tra l’esigenza di semplificazione amministrativa, particolarmente sentita soprattutto in questa fase di difficoltà per le imprese, e la
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necessità di garantire l’obiettivo di un elevato livello di protezione dell’ambiente che l’Albo persegue mediante la qualificazione delle imprese iscritte. Sono già stati eliminati alcuni adempimenti ritenuti un inutile carico burocratico, non funzionali ad una reale qualificazione dell’impresa e alla protezione dell’ambiente. Oggi l’impresa iscritta per il trasporto dei rifiuti pericolosi, che intende trasportare anche rifiuti non pericolosi, non ha più bisogno di conseguire un’ulteriore iscrizione, e sostenerne i relativi
costi. Inoltre va evidenziato che l’iscrizione all’Albo limitata al trasporto dei rifiuti non pericolosi non è più subordinata alla prestazione di fideiussioni per il trasporto dei rifiuti non pericolosi. Gli stessi obiettivi di semplificazione amministrativa e qualificazione hanno ispirato le recenti direttive del Comitato Nazionale e le sue proposte per il nuovo regolamento, in corso di attuazione, che disciplinerà la vita dell’Albo per i prossimi anni. Infatti, l’articolo 212, comma 15, del D.Lgs. 152/06 prevede l’emanazione del nuovo regolamento di organizzazione e funzionamento dell’Albo, che sostituirà il D.M. 406/98, da adottarsi con decreto del Ministro dell'ambiente, di concerto con i Ministri dello sviluppo economico e delle infrastrutture e dei trasporti. Il decreto risulta firmato dai competenti Ministri e in attesa della registrazione, quindi i tempi di emanazione non sono lunghi. Il decreto ministeriale in questione, oltre ad introdurre - rispetto al D.M. 406 del 1998 - le modifiche resesi necessarie in seguito alla sopravvenienza delle nuove disposizioni legislative, persegue l’obiettivo della semplificazione amministrativa con la previsione di procedure più snelle per le iscrizioni, le variazioni e i rinnovi delle iscrizioni. In particolare, è previsto: • un accorpamento delle categorie d’iscrizione; • l’acquisizione d’ufficio di documentazione che oggi gli interessati sono tenuti ad allegare alla domanda d’iscrizione (iscrizione al Registro Elettronico Nazionale degli autotrasportatori per conto di terzi, iscrizione dei veicoli al P.R.A., ecc.); • l’attestazione dell’idoneità dei mezzi di trasporto sarà redatta e sottoscritta dal responsabile tecnico dell’impresa richiedente, a differenza di quanto disposto dal D.M. 406/98, che affidava tale compito ad un professionista esterno all’organizzazione dell’impresa; • per quanto riguarda la materia delle variazioni dell’iscrizione, rispetto alla disciplina contenuta nel D.M. 406/98, vengono previste misure di semplificazione riguardanti la variazione della dotazione dei veicoli e l’acquisizione d’ufficio dal registro delle
imprese delle variazioni anagrafiche che l’impresa iscritta deve comunicare per legge a detto registro; • rispetto alla vigente disciplina, che prevede che la domanda di rinnovo sia corredata da tutta la documentazione prevista per la prima iscrizione, si prevede che l’interessato presenti un’autocertificazione resa alla sezione regionale o provinciale che attesti la permanenza dei previsti requisiti. Si stima che le misure di semplificazione previste consentano un contenimento dei costi diretti e indiretti carico delle imprese quantificabili in circa 15 milioni di euro. Un altro obiettivo del nuovo regolamento è ravvisabile nella previsione di una maggiore qualificazione delle imprese che si iscrivono all’Albo, mediante la formazione delle figure professionali previste dall’articolo 212, comma 15, D.Lgs. 152/06. In particolare, si sottolinea il nuovo profilo previsto per il responsabile tecnico, al quale vengono affidati precisi compiti e responsabilità e per il quale si prevede una formazione che l’impresa può sostenere a costo zero. La qualificazione delle imprese è basata per lo più su dichiarazioni ed autocertificazioni prodotte dalle stesse imprese. E' previsto un accertamento da parte dell’Albo sulla veridicità di quanto viene dichiarato? Ai fini dell’iscrizione all’Albo il possesso dei requisiti deve essere documentato. Come abbiamo visto, il nuovo regolamento prevede che in sede di rinnovo dell’iscrizione l’interessato presenti un’autocertificazione resa alla sezione regionale o provinciale che attesti la permanenza dei previsti requisiti. Questa è una novità che certamente presuppone un’intensificazione dei controlli previsti dalla legge, controlli che saranno facilitati dall’interconnessione con le altre pubbliche amministrazioni. L’iscrizione all’Albo Gestori Ambientali in categoria 7 - gestione di impianti mobili per l'esercizio delle operazioni di smaltimento e di recupero di cui agli allegati B) e C) del D.Lgs. 152/2006 – è stata abrogata a seguito dell’entrata in vigore del D.Lgs. 205/2010. E’ possibile ritenere tale circostanza come occasione persa per un riordino su scala
nazionale di tale settore di attività (attualmente regolato, oltre che dalla normativa nazionale, anche da provvedimenti regionali o addirittura provinciali), e per il quale sarebbe necessaria una semplificazione normativa, vista l’importanza di effettuare quando possibile il recupero on-site dei rifiuti, soprattutto in riferimento ai rifiuti inerti? Con l’abrogazione dell’obbligo d’iscrizione all’Albo nella categoria 7, peraltro mai stato operativo, è stato eliminato solo un passaggio dell’iter autorizzativo disposto dalla legge. L’art. 208 del D.Lgs. 152/06, come modificato dal D.Lgs. 205/10, infatti mantiene la previsione di un’autorizzazione definitiva da parte della Regione ove ha sede legale l’impresa e di una comunicazione alla provincia territorialmente competente almeno 60 giorni prima dell’inizio della campagna di attività. La provincia può dare ulteriori prescrizioni. Sicuramente è un procedimento non snello, appesantito ulteriormente dalle difformità applicative. Quello delle difformità delle procedure autorizzative è un problema reale, che riguarda non solo gli impianti mobili, ma anche le autorizzazioni alla gestione di impianti fissi di smaltimento e recupero dei rifiuti. Per quanto riguarda il recupero dei rifiuti, è noto che la
legge prevede che per taluni rifiuti, a determinate condizioni stabilite da decreti ministeriali, è possibile effettuare le operazioni di recupero “con procedura semplificata”, cioè a seguito di una comunicazione alla provincia territorialmente competente. Ebbene, le prassi adottate dalle province relativamente alla documentazione da presentare o a specifiche prescrizioni a volte inducono l’impresa a richiedere, sopportando maggiori costi, un’autorizzazione “ordinaria”. Risultano così vanificate le agevolazioni per il recupero dei rifiuti previste dalla disposizioni comunitarie e nazionali. Per risolvere il problema, è sicuramente auspicabile un provvedimento nazionale contente linee guida per gli enti preposti al rilascio delle autorizzazioni.
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Recycling. what else? Dietro a un fenomeno di mercato importante come quello del caffè in cialde ecco un progetto di riciclaggio che punta a chiudere il cerchio dall’ambiente al sociale di Maeva Brunero Bronzin
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Per istintiva associazione di idee vedendo le immagini delle capsule Nespresso in molti (o molte) avranno pensato a George Clooney e siccome la rivista che state sfogliando si chiama pur sempre Eco vi starete chiedendo quale curioso pretesto abbia trovato chi ha preparato quest’articolo, in quanto donna, per tentare l’avvicinamento al bel George… Niente di più sbagliato! L’argomento è quanto mai in linea con le tematiche della rivista e riguarda l’interessante progetto Ecolaboration messo in atto da Nespresso appunto, con la collaborazione di Federambiente e del CIAL, per il riciclaggio delle capsule del caffè.
Massimiliano Marchesi, Direttore Supply Chain di Nespresso Italiana
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Per saperne di più abbiamo avuto il piacere di intervistare Massimiliano Marchesi, Direttore Supply Chain di Nespresso Italiana, che ci ha spiegato come funziona il progetto e quali sono i risultati conseguiti fino ad ora. Dott. Marchesi, ci può illustrare il vostro progetto Ecolaboration per il riciclaggio delle capsule? Attraverso il programma di riciclo delle capsule Nespresso, offriamo ai nostri Club Member, ovvero ai nostri clienti, la possibilità di riciclare le capsule usate tramite il network delle nostre boutique, cioè i negozi Nespresso che ad oggi, in Italia sono 29. Ciò vuol dire che, una volta usate le capsule, il nostro cliente ha la possibilità di riportarle in boutique presso gli appositi punti di raccolta allestiti per consentire il successivo avvio al riciclo delle capsule stesse. Il riciclo riguarda sia l’alluminio con cui è realizzata ogni singola capsula di caffè Nespresso, sia il caffè residuo che vi è contenuto. Nel nostro Paese, il programma Ecolaboration è stato sviluppato in collaborazione con Federambiente, il Consorzio Imballaggi Alluminio (CIAL), l’Unione Agricoltori di Pavia e la Fondazione Banco Alimentare. Federambiente e CIAL sono coloro che rendono possibile la raccolta e il riciclo delle capsule; poiché si tratta di rifiuti, infatti, non possiamo avere la responsabilità del loro trattamento diretto coerentemente con quanto è previsto dalla normativa in materia. Sono quindi le aziende locali, che si occupano del ritiro dei rifiuti nei vari
Comuni in cui sono presenti le boutique Nespresso, a gestire anche il recupero delle nostre capsule direttamente in negozio, per poi avviarle al riciclo. Le capsule vengono stoccate in punti di raccolta che appartengono alle varie municipalità – di fatto, le isole ecologiche – e, quando si raggiunge una quantità che ne giustifica il trasporto, vengono spedite all’impianto di separazione alluminio/caffè. L’impianto si trova in provincia di Brescia, a Gavardo, ed è gestito dalla società EffeDue facente parte del circuito CIAL, che a sua volta fa capo a CONAI. Si tratta di un sistema innovativo in grado di trattare le nostre capsule, separandone con estrema precisione l’alluminio dal caffè e da altre
eventuali frazioni esterne, come ad esempio la plastica dei sacchetti in cui sono contenute le capsule. Alla fine del trattamento, l’alluminio viene destinato alla fonderia da cui si ottengono dei lingotti dello stesso materiale, pronto per essere riutilizzato; il caffè, invece, viene venduto a una società di compostaggio dalla quale poi riacquistiamo il compost per cederlo all’Unione Agricoltori di Pavia, che lo utilizza per fertilizzare campi di riso. Alla fine del ciclo, il riso raccolto viene acquistato da Nespresso e donato alla fondazione Banco Alimentare che lo distribuisce a oltre 8.000 strutture caritative. Perché non avviare le capsule direttamente nel sistema di raccolta dell’alluminio, come gli altri imballaggi in questo materiale? Sarebbe meraviglioso poter convogliare le nostre capsule nel circuito dell’alluminio, ma non essendo la capsula considerata – ad oggi – un imballaggio, questo non è possibile. Per questo motivo abbiamo avviato il progetto Ecolaboration e, a ulteriore garanzia di tutto il sistema, ci siamo rivolti a Conai – nella fattispecie a CIAL – sia per un supporto nella gestione della raccolta delle capsule esauste tramite le aziende municipalizzate, sia per il processo di separazione alluminio/caffè. Da quando è attivo questo progetto? Ci dia qualche numero. I numeri sono molto in evoluzione, posso dirle che il progetto è attivo dal 2011, anno in cui siamo partiti nelle prime città, e a pieno regime dal 2012. Negli anni, mano a mano che abbiamo comunicato questa possibilità ai nostri Club Member, l’adesione al progetto è stata molto buona: si pensi che nel 2013 abbiamo riciclato già il 76% di capsule in più rispetto al 2012. Nel 2013, complessivamente fra tutti i punti vendita, abbiamo riciclato 300 tonnellate di capsule. Considerando che circa il 10% del peso delle capsule è dato dall’alluminio, an-
che se si tratta di un dato difficile da calcolare poiché il peso della capsula dipende molto dalla quantità di acqua contenuta, possiamo comunque stimare in circa 30 le tonnellate di alluminio recuperate. Parlando invece della filiera del caffè, nel 2013 sono stati coltivati con il compost biologico – ricavato dalla bratta residua nelle capsule Nespresso esauste – 5 ettari di campi di riso e, visto l’incremento che abbiamo riscontrato, le posso già dire che per il 2014 arriveremo a 7 ettari e mezzo; nel 2013, grazie a questi 5 ettari siamo stati in grado di donare al Banco Alimentare 150 quintali di riso bianco. Sono dei numeri incoraggianti e senz’altro destinati a crescere: non solo poiché crescono proporzionalmente alla crescita delle capsule raccolte, ma anche perché nel 2014 abbiamo scelto di coltivare un riso che ha una resa molto superiore rispetto a quello utilizzato nel 2013; quindi, pur incrementando del 50% gli ettari, la resa sarà sicuramente maggiore al 50%. La scelta di “chiudere il ciclo” con questa iniziativa ci ha permesso di coniugare la finalità ambientale a quella sociale, dando così nuova vita anche al caffè esausto per aiutare i più bisognosi. Cosa ci può dire per quanto riguarda la scelta dell’alluminio? La scelta dell’alluminio si rifà essenzialmente a dei criteri di qualità del nostro prodotto; l’alluminio, infatti, è in grado di fornire una barriera che protegge il caffè contenuto nelle capsule da qualsiasi agente esterno, come l’ossigeno, la luce o i raggi ultravioletti, e fornisce una protezione totale mantenendo intatta la fragranza del caffè. Abbiamo ritenuto che altri tipi di imballaggio non garantiscono lo stesso risultato in termini di qualità del prodotto. Chiaramente,
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anche altre strade possono essere percorribili ma l’alluminio, oltre a questi vantaggi, ha la caratteristica di essere infinitamente riciclabile al 100%, aspetto che non è certo di poco conto.
Tra le altre caratteristiche vantaggiose, l’alluminio può essere prodotto da riciclo risparmiando il 95% dell’energia rispetto a quello prodotto dalla bauxite; è inoltre un materiale molto leggero per il trasporto. I benefici che
IL RUOLO DEL CONSORZIO IMBALLAGGI ALLUMINIO Dopo aver compreso il funzionamento e le finalità del progetto Ecolaboration abbiamo deciso di approfondire l’argomento intervistando chi del recupero degli imballaggi in alluminio ha fatto al propria missione: il Direttore Generale del Cial, Dott. Gino Schiona. Dott. Schiona, ci può raccontare in che modo è nata la collaborazione con Nespresso per questo progetto di riciclaggio e quali saranno gli sviluppi futuri? Nespresso ha avviato una politica ambientale di piena responsabilità rispetto allo smaltimento finale delle capsule e ha previsto obiettivi di recupero e riciclo per ognuno dei Paesi in cui è presente. Nespresso Italia, allo scopo di avviare, anche nel nostro Paese, il recupero delle capsule realizzate interamente in alluminio, ha promosso, con il supporto tecnico e progettuale di CIAL un modello di raccolta in grado di garantire ambiziosi risultati di recupero. A questo scopo è stato definito un modello di raccolta innovativo e progettato sulla base di un sistema specifico per ognuna delle fasi di gestione: dalla raccolta, al trasporto, al trattamento delle due frazioni che compongono la capsula, alluminio e residui di caffè, e al loro riciclo. In particolare, allo scopo di rendere operativo in tempi rapidi il piano, CIAL ha previsto, con la collaborazione di Federambiente (l'Associazione Italiana Servizi Pubblici Igiene Ambientale), il coinvolgimento delle società aderenti all’associazione - la cui natura è in grado di garantire un valore aggiunto al progetto in termini di immagine e autorevolezza - per le fasi di prelievo, trasporto e stoccaggio del materiale. La collaborazione e la “garanzia” di soggetti istituzionali come CIAL e Federambiente, rappresentano una interessante opportunità in termini di certificazione dei risultati e di comunicazione. Gli operatori hanno quindi reso disponibile un servizio che comprende la fornitura delle attrezzature, del mezzo di asporto e del relativo personale per il prelievo delle capsule usate. In pratica i clienti possono restituire le capsule usate sia presso le boutique Nespresso, ove è sempre disponibile un corner con contenitori de-
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ci hanno indirizzato verso questa scelta sono davvero molti e perciò non intendiamo prendere in considerazione nessuna alternativa in termini di materiale con cui realizzare le nostre capsule.
dicati, sia presso alcune isole ecologiche. Periodicamente il materiale viene poi trasferito presso un impianto di lavorazione dotato della tecnologia necessaria al trattamento e separazione delle due frazioni per il successivo avvio a riciclo, dell’alluminio in fonderia e della polvere di caffè presso un impianto di compostaggio autorizzato. Dopo quasi tre anni dall’avvio del progetto Ecolaboration, sono più che positivi i risultati di raccolta, recupero e riciclo delle capsule da caffè Nespresso in alluminio in Italia. Attualmente, nel nostro Paese, sono 30 le boutique cui corrispondono altrettanti punti di raccolta, distribuiti in 20 città italiane: Torino, Genova, Milano, Monza, Bergamo, Brescia, Como, Varese, Padova, Verona, Treviso, Bolzano, Bologna, Modena, Parma, Firenze, Roma, Napoli, Bari, Catania. Si tratta di un sistema capillare che offre ai clienti Nespresso la possibilità di partecipare ad un grande progetto di tutela ambientale in grado di garantire il recupero di risorse importanti, altrimenti destinate allo smaltimento in discarica: da un lato l’alluminio, materiale con cui le capsule sono fatte, che può essere riciclato al 100% e infinite volte, consentendo un enorme risparmio di energia e materia; dall’altro il caffè residuo che viene avviato a compostaggio per le coltivazioni di riso, destinato da Nespresso alla onlus Banco Alimentare. Ci può spiegare la motivazione che non consente di qualificare le capsule come imballaggio permettendone quindi il recupero nella normale filiera del riciclaggio dell’alluminio? La Commissione europea ha pubblicato, in data 7 febbraio 2013, il nuovo elenco dell’allegato I della direttiva 94/62/CE del Parlamento europeo e del Consiglio sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio che presenta, nella versione italiana, rispetto a quella inglese, una traduzione poco ortodossa. Detto allegato aggiorna l’elenco dei prodotti in esame per essere ricompresi o meno nella definizione di imballaggio. Nella direttiva sono infatti considerati: • Packaging - Beverage system capsules (e.g. coffee, cacao, milk) which are left empty after use.
La vendita delle capsule Nespresso ha un grande successo anche in Paesi dove si consumano meno caffè rispetto all’Italia. Queste iniziative sono state applicate anche all’estero?
Certamente, anzi all’estero abbiamo anche altre iniziative. La raccolta in boutique è stata attivata in quasi tutti i Paesi europei e anche al di fuori dell’Europa. Ma ci sono anche altri tipi di iniziative, che in Italia non
Imballaggi - Capsule per sistemi erogatori di bevande (caffè, cioccolata e latte) che sono lasciate vuote dopo l’uso. • Non-packaging: Beverage system coffee capsules, coffee foil pouches, and filter paper coffee pods disposed together with the used coffee product. Non Imballaggi: Capsule per sistemi erogatori di caffè, sacchetti di alluminio per caffè e bustine di carta per caffè filtro che si gettano insieme al caffè usato (ndr notare traduzione impropria in Italiano). Stante le definizioni attuali quindi le capsule di caffè, in quanto non svuotabili, sono di fatto escluse dalla definizione di imballaggio. Non si tratta di un’esclusione definitiva e se, in futuro, dovessero appurare, sulla base di motivazioni tecniche e ambientali, l’opportunità di inserire le capsule nell’elenco verranno certamente ricomprese, sempre che soddisfino tutte le condizioni previste per rientrare nella definizione di imballaggio. Un elemento, in questo senso, attualmente dibattuto è quello della possibilità e facilità per l’utente di svuotare le capsule esauste prima del conferimento in raccolta differenziata. Vedremo, quindi in futuro quali saranno gli orientamenti e di conseguenza il sistema nazionale di recupero si attiverà per ricomprendere tali prodotti nel flusso di raccolta differenziata facendosi anche carico del trattamento e del successivo avvio a riciclo. Considerando la notevole e sempre maggior diffusione di questo tipo di prodotto (si è partiti con caffè e tè ma a quanto pare il mondo delle bevande fredde sta prendendo la stessa strada) sarà necessario prendere contromisure efficaci per evitare che questo cambio di abitudini dei consumatori si traduca in un incremento esponenziale della matrice indifferenziata del rifiuto. In questo senso cosa può fare il Cial o cosa state già facendo? Il rischio è evidente se le cose dovessero rimanere così ancora a lungo e, ovviamente, sarà la sensibilità, il senso di responsabilità e le scelte strategiche dei produttori di caffè e bevande a determinare modelli di raccolta e recupero in grado di garantire al meglio il fine vita dei propri prodotti e, in particolare, il riciclo di ingenti quantità di materiale altrimenti destinate allo smaltimento.
siamo ancora stati in grado di replicare per ragioni legate all’attuale quadro normativo. Ad esempio, la raccolta in altri punti vendita che non siano Nespresso, come quelli della grande distribuzione; ma anche servizi più capillari, come la raccolta porta a porta delle capsule, contestualmente alla consegna delle capsule nuove. In alcuni Paesi, il corriere espresso che arriva a consegnare le capsule Nespresso a casa del cliente è anche autorizzato a ritirare quelle usate; in Italia i corrieri espressi tradizionali non dispongono dell’autorizzazione al trasporto di rifiuti e quindi – ad oggi – non siamo stati in grado di importare questa soluzione anche qui. Stiamo comunque lavorando per cercare di ampliare l’offerta di possibilità di riciclo di capsule offerte al cliente, compatibilmente con i vincoli legislativi che vigono in Italia.
Ed è proprio su questo senso di responsabilità e di impegno, per ridurre sempre più l’impatto di processi e prodotti, che Nespresso ha basato la propria mission ambientale nell’ambito del progetto Ecolaboration richiedendo a Cial la definizione di un sistema di recupero che, indipendentemente dai modelli di gestione ordinaria dei rifiuti profondamente legati alle definizioni di carattere normativo (ndr imballaggio/non imballaggio), potesse garantire gli ambiziosi obiettivi che l’azienda si è data. Per quanto riguarda Cial e il suo impegno per il recupero di qualunque altra tipologia di rifiuto domestico in alluminio, a prescindere dalla categoria di riferimento, se imballaggio o altro, già oggi il Consorzio garantisce il ritiro e l’avvio a riciclo di frazioni merceologiche similari che, messe in raccolta differenziata possono seguire il flusso in fonderia per essere riciclate assieme agli imballaggi e senza penalizzare il Comune che, al contrario, riceve il corrispettivo economico previsto per la raccolta differenziata degli imballaggi in alluminio sulla base dell’Accordo Quadro Anci-Conai. Stesso discorso vale per le capsule di caffè usate, eventualmente conferite in raccolta differenziata previo svuotamento da parte del consumatore, che vengono regolarmente avviate a riciclo assieme alla frazione alluminio (lattine per bevande, bombolette spray, vaschette e foglio sottile per alimenti, tubetti, scatolette food, etc.) raccolta in modo differenziato da parte dei comuni italiani.
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Miracolo a Modena Segnali positivi di convergenza e volontà di fare sono i risultati del convegno nazionale Audis “Rigenerare Italia” di Dionisio Vianello*
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osse ancora vivo Zavattini (ahi, quanto ci manca) forse avrebbe titolato così l’articolo sul congresso Audis di Modena. Spieghiamo subito il perché. Venerdì 16 Maggio Audis ha celebrato a Modena il suo congresso nazionale focalizzato sul tema centrale della stagione urbanistica che stiamo vivendo, “Rigenerare Italia. Ruoli, obiettivi, strumenti per ripartire dalle città”, dove Audis, utilizzando la sua esperienza ormai ventennale, ha presentato un documento contenente le proposte per riavviare gli interventi di rigenerazione urbana, oggi desolatamente fermi a causa della crisi del settore edilizio e immobiliare. Fin qui niente di straordinario, Audis è nata per questo, la sua mission è proprio quella di confrontare esperienze, conoscere e diffondere le buone pratiche, presentare iniziative concrete per l’immediato e lanciare idee per il futuro.
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La novità è venuta invece dal parterre degli addetti ai lavori ai quali era dedicata tutta la sessione pomeridiana del convegno. Vi partecipavano enti e associazioni rappresentanti di tutti i soggetti che a vario titolo operano sul territorio, spesso collocati su sponde diverse e talora anche opposte, non sempre abituati al dialogo ma piuttosto allo scontro. Ebbene, la novità sta nel fatto che sulle proposte presentate da Audis si è registrata una significativa convergenza da parte di tutti i convenuti, tanto che alla fine si è preso l’impegno di ritrovarsi in tempi brevi per arrivare alla stesura di un documento comune sulle strategie e sugli interventi per uscire dalla crisi, imboccare linee e percorsi di lavoro che con ogni probabilità saranno molto diversi dai trend precedenti. Ma veniamo ai fatti. Nella mattinata, coordinata da Marina Dragotto, Direttrice Audis, sono
seguiti gli interventi della nuova Presidente Elisabetta Meucci, Assessore all’urbanistica del Comune di Firenze, e del Past President Roberto D’Agostino. Dopo una illuminante relazione di Lorenzo Bellicini, Direttore CRESME, che ha fatto il punto sulla situazione attuale e sulle prospettive della rigenerazione, i responsabili di Audis, Dionisio Vianello, Federico Vanetti e Matteo Tabasso hanno presentato il documento, frutto di un lungo dibattito interno, contenente le proposte per uscire dalla crisi. In sintesi questi i contenuti principali. Punto focale “ripartire dalle città”. L’agenda 2013/2020 in corso di approvazione dal Parlamento Europeo, è categorica: solo dalle città può ripartire la ripresa. Ed è solo dall’unione di tutte le forze che operano nella città che si può sperare di invertire la tendenza.
Le cose che non vanno, e sono da cambiare, sono tantissime, c’è solo l’imbarazzo della scelta. Anzitutto rimuovere le trappole e i macigni che i governi locali (regioni) hanno disseminato sul percorso dei cittadini e degli operatori, penalizzandone l’attività senza peraltro nemmeno raggiungere lo scopo di scoraggiare ribalderie e malefatte, vizio purtroppo comune e diffuso nel nostro Paese. Le prime misure non possono non riguardare il versante urbanistico della pianificazione, che troppo spesso si è trasformata in un sistema autobloccante per le iniziative dei privati ma anche per la tutela del pubblico interesse. Dai piani regolatori ai piani della rigenerazione e sostenibilità. Una revisione radicale dell’attuale sistema di pianificazione, eliminando inutili e costosi doppioni (piano regionale/piani provinciali/piani di area, piano strutturale/piano operativo) proponendo piani diversi per realtà diverse (piccoli comuni), standard qualitativi e prestazionali (social housing, mobilità leggera). Con proprietà spesso assenti o assenteiste le aree dismesse diventano terra di nessuno, “sites orphelins” come dicono i francesi. Occorre rimettere in circolazione queste aree riducendo il peso della rendita fondiaria, e aprendo la strada a operatori terzi. Gli interventi di rigenerazione considerati strategici per la città vanno classificati di interesse pubblico, e messi in gara tra i promotori privati per realizzare (e gestire) anche opere e servizi pubblici. Prevedere procedure semplificate per l’appro-
vazione dei progetti di riuso delle aree e immobili dismessi utilizzando parametri standardizzati ricavati dalle buone pratiche già realizzate, e garantendo agli operatori la certezza dei tempi e dei risultati. Tutto questo ancora non basta, è necessario ma non sufficiente. Occorre abbattere gli extra-costi che penalizzano la rigenerazione rispetto ai progetti ex novo. In primo luogo la questione delle bonifiche, dove va semplificata la normativa ma vanno anche ridotti i costi con contributi pubblici e con la riduzione degli oneri comunali, la concessione di agevolazioni e premialità. Sempre in tema di bonifiche si chiede la realizzazione dell’anagrafe dei siti contaminati integrata alla pianificazione e gerarchizzazione dei siti da riqualificare. A tale scopo - sempre nella logica delle “buone pratiche” - si prevede di avviare un meccanismo pubblico-privato per il finanziamento di un pacchetto di indagini standard sul larga scala e a costo fisso, al fine di quantificare un indice di incidenza della bonifica sull’operazione di rigenerazione e di stimare una forbice di investimento in base alle intenzioni progettuali future. Il pacchetto potrebbe essere certificato dalle istituzioni fornendo certezza della procedura anche agli operatori privati. Tali interventi vanno messi a sistema in un disegno organico della “città pubblica” (piani città), attraverso la riqualificazione delle periferie realizzando servizi a sostegno del sociale, social housing, trasporto pubblico e mobilità leggera.
Criterio trasversale deve essere la qualità e sostenibilità dei progetti, utilizzando tecniche e procedure già da tempo in uso nei paesi più avanzati. Rimane il tema ostico della fiscalità: occorrono aiuti e agevolazioni per la rigenerazione? o alla fine non sarà evitabile colpire ancora una volta il nuovo? Come Audis, speriamo ardentemente di no. Da segnalare anche l’intervento di Luca Giacomelli, AD di Serenissima SGR, che ha portato la voce degli investitori, illustrando il ruolo decisivo dei fondi immobiliari nel sostenere e gestire gli interventi di rigenerazione. Da parte nostra ci auguriamo solo che alle parole seguano i fatti. Su questi temi si è diffusa la tavola rotonda del pomeriggio. Coordinata da Guglielmo Pelliccioli, Direttore di Quotidiano Immobiliare, da sempre impegnato a costruire alleanze tra i soggetti protagonisti, si sono confrontati i rappresentanti di ANCI, Andrea Ferrazzi, ANCE, Stefano Betti, Assoimmobiliare, Luciano Manfredi, CNA, Leopoldo Freyrie, CNI-CeNSU, Maurizio Tira, INU, Silvia Viviani, e Legambiente, Andrea Poggio. Tutti hanno esposto il loro punto di vista sulle possibili soluzioni, esprimendo comunque un largo consenso alle proposte formulate da Audis, e riconfermando l’impegno di ritrovarsi a breve per concordare una piattaforma comune da presentare al governo, una volta passata questa convulsa e fuorviante fase preelettorale. In chiusura siamo in grado di portare un segnale importante e positivo. Nella nuova proposta di riforma urbanistica presentata proprio in questi giorni dal ministro Lupi al Consiglio dei ministri, all’art. 17 comma 3 si stabilisce che “l’approvazione delle operazioni di rinnovo funzionale e rigenerazione urbana comporta la dichiarazione di pubblica utilità delle opere e l’urgenza ed indifferibilità dei lavori”. Si rimuove in tal modo uno degli ostacoli più gravi all’attività degli operatori, accogliendo nel contempo una delle richieste più significative contenute nel documento Audis. Finalmente qualcosa si muove, possiamo guardare al futuro con maggiore speranza. *Audis
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Scaviamo a fondo nel mondo delle cave La presentazione del Rapporto Cave 2014 è l’occasione per fotografare la situazione del settore tra criticità ambientali e prospettive sostenibili di Bruno Vanzi
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ontrazione degli investimenti, mercato delle costruzioni che non accenna a riprendersi, lavori pubblici che non partono e di conseguenza anche il settore delle attività estrattive mostra gli effetti di questa crisi con la riduzione delle cave attive, i prelievi di sabbia che calano (-43% dal 2009) e i consumi di cemento in riduzione (-22% dal 2011). “Di sicuro però la crisi non può essere una scusa per rinviare interventi indispensabili a cancellare finalmente condizioni di illegalità, di devastazione del territorio, di speculazione ai danni di beni comuni che caratterizzano larga parte delle Regioni italiane” così si apre il “Rapporto Cave 2014” presentato a fine aprile da Legambiente. La fotografia di un settore di cui poco si parla, complice anche una legislazione nazionale vecchia di quasi 90 anni, e che dovrebbe svoltare verso l’innovazione dal punto di vista ambientale fornendo anche una risposta alla crisi che il comparto sta attraversando e ponendo le basi per un diverso rapporto con territori e comunità.
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La Direttiva Comunitaria 2009/98 andava proprio in questa direzione fissando al 70% l’obiettivo di recupero di materiali inerti per il 2020, ma la strada da percorrere è ancora parecchia poiché ad oggi l’Italia si attesta sotto il 10%. I dati parlano chiaro: 5.592 cave attive contro 16.045 cave dismesse, che potrebbero essere quasi 17.000 se si considerano le Regioni in cui non esiste un monitoraggio, e sebbene in calo a causa della contrazione della domanda, i metri cubi estratti, solo di sabbia e ghiaia, sono comunque 80 milioni, di cui circa 50 cavati in sole quattro regioni (Lazio, Lombardia, Piemonte e Puglia). A parte il Regio Decreto del 1927 che ancora governa il settore, le Regioni, a cui sono stati trasferiti i poteri in materia dal 1977, spesso dispongono di quadri normativi inadeguati o incompleti e i Piani Cava, quando ci sono, spesso risultano indietro rispetto a una gestione del settore compatibile con l’ambiente e il territorio, in particolare per quanto riguarda le aree da escludere dalle attività di cava, i ripristini ambientali e l’incentivazione del
riutilizzo degli inerti provenienti dalle demolizioni. Nel suo Rapporto Cave 2014, Legambiente ha delineato una serie di proposte che possono rappresentare l’innovazione nel comparto estrattivo, in linea con quanto accade in molti Paesi europei dove si promuove la riduzione dei quantitativi di materiali estratti, tutelando il territorio e promuovendo il riutilizzo degli inerti. Gli obiettivi prioritari di questa proposta sono riportati di seguito. • Rafforzamento della tutela del territorio e la legalità: il quadro normativo favorisce l’incertezza e la discrezionalità nella concessione di permessi e autorizzazioni, risulta perciò indispensabile un aggiornamento della norma nazionale che, tramite una nuova Legge Quadro, definisca una regolamentazione di base da applicare su tutto il territorio, individuando le aree in cui vietare l’attività di cava, quelle in cui condizionarla a pareri vincolanti degli enti preposti e definendo i criteri per il recupero delle aree nonché idonee garanzie per assicurarsi che ciò venga realmente fatto.
Dovranno inoltre essere definite con precisione le modalità di coltivazione dei siti in funzione del contesto in cui si inseriscono e del successivo ripristino. E’ necessaria infine la presenza di un coordinamento a livello nazionale che sia in grado di indirizzare e responsabilizzare le Regioni nell’esercizio delle loro funzioni. • Aumento dei canoni di concessione: la proposta di Legambiente passa poi inevitabilmente per l’aumento dei canoni di concessione affinché si allineino almeno ad un 20% del prezzo di vendita, analogamente a quanto accade ad esempio in Gran Bretagna. Tale provvedimento va visto sia in un’ottica di giustizia e di tutela dei beni comuni ma soprattutto come incentivo all’innovazione poiché aumentando i canoni di concessione e disincentivando lo smaltimento in discarica si incentiva il recupero degli inerti derivanti dalle demolizioni. • Riduzione del prelievo da cava attraverso il recupero degli inerti da demolizione: seguire la strada già intrapresa in altri Paesi europei vuol dire obbligare all’utilizzo di una quota di inerti da recupero negli appalti pubblici. Si andrebbe ad interessare quel 62,5% di materiale cavato e destinato ogni anno a infrastrutture ed edilizia. Basti pensare poi che i rifiuti da C&D prodotti nel 2012 sono oltre 45 milioni di tonnellate di cui il 90% vengono ancora smaltiti in discarica. Per poter andare nella direzione definita dalla Direttiva 2008/98/CE, che pone l’obiettivo del 70% di materiali inerti recuperati nel 2020, è necessario fare delle scelte e definire una linea d’azione che porti l’Italia a un rapido incremento della capacità di recupero che ad oggi è ferma sotto quota 10%.
La situazione italiana Come già anticipato, i numeri rilevati da Legambiente nel “Rapporto Cave 2014” sono allarmanti: 5592 cave attive e 16045 cave dismesse. Una fotografia che si differenzia in base alle regioni dove si passa dalle oltre 500 cave attive in Lombardia, Veneto e Sicilia a realtà provinciali critiche come Napoli e Caserta dove si concentrano l’80% delle 264 cave
Figura 1. Numero di cave attive e abbandonate nelle Regioni italiane (fonte: Legambiente, Rapporto Cave 2014)
Figura 2. Produzione di rifiuti da costruzione e demolizione nei paesi membri e relative percentuali di riciclaggio e conferimento in discarica (fonte: Eurostat 2009 e UEPG 2011)
attive della Regione fino ad arrivare agli ultimi posti di questa classifica dove si collocano le Regioni con minore estensione (Umbria, Liguria, Friuli Venezia Giulia, Molise, Basilicata e Valle d’Aosta). Per quanto riguarda le cave dismesse la situazione più critica è senza dubbio quella di Lombardia e Puglia dove si contano rispettivamente 2900 e 2600 aree estrattive abbandonate. Ma le cave sono diffuse in tutta la penisola, si pensi infatti che il 27,6% dei Comuni italiani ha almeno una cava attiva sul proprio territorio mentre quelli con almeno due cave sono addirittura il 13,3%.
Analizzando invece i dati relativi ai quantitativi di materiale estratto è importante evidenziare come l’Italia, nonostante il calo dovuto alla crisi economica, resta comunque il terzo produttore europeo di aggregati dopo Germania e Francia.
Uno sguardo oltre il confine Progressiva riduzione del conferimento dei rifiuti da C&D in discarica e incentivazione del riciclaggio, questi i due punti chiave delle politiche perseguite negli altri stati membri, politiche che stanno consentendo efficacemente
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ATTUALIT à
sabbia e
pietre
ghiaia
ornamentali
calcare
argilla
gesso
Abruzzo
1.605.550
16.350
1.107.130
78.270
0
Basilicata
804.100
34.000
0
375.000
0
Prov. Bolzano
942.700
562.194
61.755
0
0
1.198.000
102.000
1.055.000
420.000
0
97.500
1.015
2.224.727
140.959
0
6.304.765
19.685
504.663
1.417.024
100.930
764.251
172.198
1.539.091
68.058
0
Lazio
14.980.500
687.674
4.360.675
230.400
0
Liguria
0
29.880
1.167.410
6.207
0
Lombardia
13.898.280
482.134
3.608.425
351.278
49.890
Marche
1.143.265
28.175
1.477.468
135.206
0
Molise
414.886
1.000
1.638.870
290.976
0
Piemonte
10.989.757
868.642
1.883.743
603.567
190.220
Puglia
10.342.631
658.160
1.197.619
783.466
11.000
Sardegna
4.770.000
310.000
510.000
181.000
0
833.350
348.320
4.069.572
468.492
0
2.988.655
2.332.080
1.296.918
431.446
143.091
Prov. Trento
870.000
1.187.000
155.000
9.000
0
Umbria
612.980
271.918
1.834.200
611.046
75.000
Valle d’Aosta
208.000
23.000
0
0
0
Veneto
6.107.890
461.306
1.990.529
352.306
50.000
TOTALE
79.877.060
8.596.731
31.682.795
6.953.701
620.131
regione
Calabria Campania Emilia-Romagna Friuli Venezia Giulia
Sicilia Toscana
Tabella 1. Quantità annue estratte (m3) per tipo di materiale (fonte: Legambiente 2014)
di ridurre il prelievo dei materiali dalle cave. In Italia sono 45 milioni le tonnellate di inerti conferite in discarica, materiale che adeguatamente lavorato potrebbe diventare un’alternativa eccellente per inerti e aggregati per il cemento.
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I dati mostrano una situazione di palese arretratezza delle politiche nazionali che si confrontano con realtà ormai affermate e più che consolidate di Paesi come Germania, Olanda e Danimarca che arrivano a riciclare o riutilizzare fino al 95% degli inerti da demolizione
prodotti con percentuali di smaltimento che non arrivano invece al 10%. Ma significativi sono anche gli scenari del Regno Unito o di Francia e Spagna che in una decina di anni, grazie alle politiche adottate e ad interventi normativi puntuali, hanno più che raddoppiato le percentuali di recupero portando alla creazione di un’importante filiera in termini di numeri. L’esempio più emblematico arriva però da Copenaghen dove, grazie ad una legge del 1988, sono stati imposti alle imprese edili sistemi di demolizione selettivi e il riciclaggio dei materiali mentre ai Comuni l’obbligo di assicurare impianti con la potenzialità necessaria al trattamento dei materiali recuperati sul loro territorio. L’incentivazione del recupero è poi passata tramite una tassa sul conferimento in discarica ed una sull’estrazione delle materie prime. In questo modo già nel 1996 è stato raggiunto l’obiettivo del 90% di materiale riciclato che è andato a coprire il 20% del fabbisogno di aggregati.
Capitol ati Recycle: una soluzione concreta per l’utilizzo dei materiali ricicl ati nelle infrastrutture La presentazione del Rapporto Cave 2014 di Legambiente, esaminato lo scorso 29 aprile durante la conferenza stampa tenutasi alla Sala del Refettorio della Camera dei Deputati, è stata l’occasione per presentare Capitolati Recycle, le Linee Guida per rendere i capitolati green. L’obiettivo è di facilitare le stazioni appaltanti a intraprendere la strada già fissata al 2020 dalla Direttiva 2008/98 quando si dovrà raggiungere un obiettivo del 70% di recupero di materiali inerti. Lo studio, elaborato da un gruppo di lavoro composto da Edoardo Zanchini e Gabriele Nanni di Legambiente, dall’Ing. Alessio Velo di Eco.Men.®, dal prof. Giacomo Moriconi dell’Università di Ancona e dal prof. Marco Pasetto dell’Università di Padova, con la collaborazione tecnica di Atecap, vuole, da una parte fare chiarezza nell'utilizzo, nelle garanzie e nelle prestazioni degli aggregati riciclati, dall’altra superare la diffidenza dei direttori lavori legata alle responsabilità amministrative e penali derivanti da un eventuale uso improprio dei materiali. A entrare nel merito, l’ing. Alessio Velo, responsabile di Eco.Men.® del gruppo Mefin S.p.a., azienda veneta che dal 1998 produce materiali riqualificati, testandone la fattibilità con l’Università di Padova e che dal 2011 collabora con Legambiente. “Il documento – spiega Velo – definisce tutte le tipologie di materiali, naturali e non, che devono entrare nei Capitolati Speciali di Appalto (CSA) e nell’Elenco Prezzi Unitari (EPU): un contenuto minimo, da inserire in quelli esistenti e uno massimo, che comprenda tutte le tipologie di materiali”. Queste integrazioni vogliono semplificare e dare uniformità di lettura alle normative esistenti sui materiali riqualificati e impedire che questi possano essere esclusi dall’impiego nelle infrastrutture, garantendo allo stesso tempo alle direzioni lavori e agli Enti Autorizzanti il loro utilizzo, condizione necessaria per una transizione verso un settore delle costruzioni più moderno e sostenibile. Il prof. Moriconi ha poi sottolineato come, per superare il pregiudizio nell’utilizzo di questi materiali, sia necessaria una scelta progettuale responsabile e ineludibile dove i benefici ambientali, energetici ed economici che derivano dall’uso di materiali riciclabili nell’industria delle costruzioni si traducano in riduzione dei consumi per uno sviluppo sostenibile. A conferma di ciò è intervenuto in maniera incisiva il vice presidente di Legambiente, Edoardo Zanchini, tracciando la strada da seguire: “Occorre promuovere una profonda innovazione nel settore delle attività estrattive attraverso regole di tutela efficaci in tutta Italia e canoni come quelli in vigore negli altri Paesi Europei. Ridurre il prelievo di materiali e l’impatto delle cave nei confronti del paesaggio è oggi possibile. Lo dimostrano i tanti Paesi dove si sta riducendo la quantità di materiali estratti attraverso una politica incisiva di tutela del territorio, la spinta al riutilizzo dei rifiuti inerti provenienti dalle demolizioni edili”. Il documento si rivolge a stazioni appaltanti, enti pubblici e privati, aziende, direzioni lavori, produttori di materiali, università, istituti di ricerca ed enti certificatori. Nei prossimi mesi, insieme alla sua diffusione, Legambiente procederà alla richiesta alle stazioni appaltanti di modificare i capitolati per integrare, dove necessario, le definizioni. Inoltre al fine di far crescere l’utilizzo di questi materiali e di introdurre nel mercato nuovi prodotti e tecnologie, verrà costruito un osservatorio che approfondirà aspetti tecnici e normativi e farà conoscere e valorizzerà le realtà che si stanno già adoperando in questa direzione.
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PNEUMATICI FUORI USO: DA RIFIUTO PERSISTENTE A PREZIOSA RISORSA Si chiama Tygre il progetto giunto ormai alla fase pilota per il recupero e la trasformazione di pneumatici usati in polvere ceramica ad alto valore aggiunto di Vanessa Sorrenti
Q
uando uno pneumatico non ha più le caratteristiche indispensabili per lo svolgimento di una prestazione sicura ed efficiente diventa ufficialmente un rifiuto e viene inviato al processo di raccolta e recupero, di cui in Italia si occupa in larga parte Ecopneus, la società consortile per il rintracciamento, la raccolta, il trattamento
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e la destinazione finale dei Pneumatici Fuori Uso. È da molto ormai, però, che la questione dei PFU (Pneumatici Fuori Uso) è al centro dell’attenzione pubblica: si stima che ogni anno nei Paesi industrializzati venga in media generato uno pneumatico usato per persona. Un’enorme massa di rifiuti, dunque, che pone serie questioni sia ambientali che sanitarie. Gli pneumatici, infatti, sono pensati e realizzati con l’obiettivo di essere estremamente resistenti ad un elevato numero di fattori, fra cui il degrado chimico, fisico e biologico. Proprio per questo motivo dal 2003 è stato vietato il conferimento in discarica, poiché una volta smaltiti si rivelano degli inquilini persistenti: possono resistere nell’ambiente fino ad oltre un centinaio di anni, portando con sé una vasta gamma di problematiche arrivando ad occupare grandi volumi di discarica e a compromettere un possibile recupero futuro dell’area a causa della loro proprietà di deformabilità e la conseguente riduzione della portanza del terreno. Un altro rischio può provenire dall’elevato potere calorifico (ca. 34.000 kJ/kg), che permette loro di bruciare per lunghi periodi emettendo così sostanze pericolose sia per il suolo sia per l’atmosfera. Nonostante la normativa nazionale non lo permetta, in molti Paesi Europei quasi il 13% degli pneumatici
fuori uso viene ancora smaltito in discarica. Il ruolo dei PFU può però essere anche quello di una preziosa risorsa: grazie alle particolari caratteristiche chimico-fisiche è infatti possibile ricavarne materiali riutilizzabili in molti settori, fra cui quelli di pubblica utilità, con i PFU si realizzano, tra gli altri, asfalti modificati e superfici sportive, sotto forma di granulo di varie dimensioni. Il duplice percorso di recupero a cui vengono avviati i PFU (sia per il materiale sia per quanto riguarda il recupero di energia) li rende particolarmente interessanti; sono state dunque introdotte specifiche tecniche per il loro trattamento, fra cui la macinazione meccanica, la soluzione maggiormente diffusa nel campo della produzione di granulato di gomma e polverino; essa può avvenire sia a temperatura ambiente, rendendo più facile la lavorazione del materiale, sia a bassa temperatura tramite azoto liquido. È in questo contesto che si inserisce il progetto Tygre (High added value materials from waste TYre Gasification REsidues), un impianto prototipo in funzione nel centro Enea che permette di sperimentare un processo innovativo di recupero degli pneumatici fuori uso trasformandoli in risorse. L’impianto, in grado di trattare 20 chilogrammi all’ora di pneumatici a fine vita, nasce da
una ricerca sviluppata dall’Enea nell’ambito del recupero di materia ed energia dai rifiuti, e abbina il trattamento di termovalorizzazione per la produzione e il recupero di energia alla produzione di un materiale di indiscutibile valore di mercato: il cuore del progetto infatti consiste nella trasformazione dello pneumatico in polvere ceramica ad alto valore aggiunto, nella fattispecie carburo di silicio. Il pregio di questo materiale è che può essere impiegato in diversi settori industriali, fra cui
l’elettronica (dispositivi ad alta potenza, alta frequenza e alte temperature), l’aerospaziale (schermatura termica), l’automobilistico (sistemi frenanti) e il siderurgico (fabbricazione acciaio). Il processo, quindi, non solo impiega come materiale di partenza un rifiuto, riducendo così i costi per quanto concerne le materie prime, bensì lo trasforma in una vera e propria risorsa; viene consentito in questo modo il reimpiego di un prodotto al termine del proprio ciclo vita, concetto in piena armonia con i principi dello sviluppo sostenibile. Inoltre in questo scenario il prodotto solido non deve essere smaltito in discarica, e, anzi, ha un buon valore commerciale, contribuendo alla sostenibilità economica: viene superata, così, una delle maggiori limitazioni dei processi di pirolisi e gassificazione di rifiuti, ossia la destinazione finale del residuo solido di processo.
Il progetto Tygre, finanziato nell’ambito del Settimo Programma Quadro di ricerca dell'Unione Europea, è coordinato da ENEA, l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico e sostenibile, le cui iniziative sono da sempre in prima linea in quanto a sostenibilità ambientale, e il cui apporto è stato concentrato nei centri e laboratori di Portici, Trisaia, Faenza, Bologna e Casaccia. Il consorzio di gestione si avvale inoltre di importanti presenze: Università ed enti di ricerca (RheinischWestfaelische Technische Hochschule Aachen - RWTH, Scientific and Technological Research Council of Turkey - TUBITAK, Institute of Materials and Environmental Chemistry - IMEC), associazioni (European Tyre Recycling Association - ETRA) e piccole e medie imprese italiane ed europee (Liqtech, Elastrade, Febe, Sicav).
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Il recupero dei PFU in Italia Nel 2013 il sistema Ecopneus ha completato il trattamento di 238.981 tonnellate di PFU (oltre il 70% del totale Italia) con circa il 64% inviato a valorizzazione energetica e il 36% riciclato come materia prima seconda, confermando sostanzialmente il dato di ripartizione degli anni precedenti. Questi sono solo alcuni dei dati contenuti nel Report di Sostenibilità 2013 di Ecopneus, presentato il 10 giugno a Roma. Tra le varie opzioni di recupero energetico dei PFU, l’utilizzo come combustibile per la produzione di cemento risulta preferibile ad altre forme di valorizzazione energetica anche grazie all’efficienza del co-incenerimento e al contestuale recupero di materia (le ceneri di combustione, l’acciaio e gli altri ossidi metallici) nel cemento prodotto. Per questo tipo di recupero energetico Ecopneus privilegia il mercato nazionale con il conferimento dei PFU alle industrie cementiere italiane autorizzate. Per la quota di PFU esportati, gli impianti vengono scelti con criteri di prossimità e di garanzia per il rispetto dei criteri ambientali di legge; in particolare vengono privilegiate le aziende multinazionali italiane o altre strutture di impresa con una consolidata reputazione internazionale. Delle 87mila tonnellate di materia recuperata da PFU nel sistema Ecopneus nel 2013, invece, oltre 23mila tonnellate di acciaio sono state riciclate in acciaierie a forno elettrico e quasi 62mila tonnellate di gomma sono state lavorate in granuli e polverini idonei all’impiego in vari prodotti e applicazioni in sostituzione di gomma vergine. Una quota residua di ciabattati e primo taglio è stata riciclata per la posa in opera di infrastrutture e in particolare come materiale ingegneristico drenante per fondi e coperture di discariche, applicazione che permette l’assorbimento dal percolato di metalli pesanti e idrocarburi. La ripartizione dei prodotti e delle applicazioni in cui sono stati impiegati i granuli e il polverino di gomma riciclata dai PFU raccolti nel 2013 risulta sostanzialmente invariata rispetto al 2012, con la novità di un incremento dell’utilizzo in asfalti modificati. Questi asfalti offrono un beneficio rispetto a quelli tradizionali in termini di maggiore durata e miglior resistenza agli ammaloramenti dovuti al clima, nonché di una apprezzabile riduzione del rumore del traffico veicolare. Un altro ambito interessante per il riciclo della gomma da PFU riguarda le pavimentazioni sportive e antitrauma (piste da atletica, aree gioco per bambini, ecc.), nonché la posa in opera di campi da gioco in erba sintetica. Applicazioni attivamente promosse da Ecopneus, in partnership con UISP (Unione Italiana Sport per Tutti), attraverso progetti ad alta valenza sociale come quello per il Centro Sportivo Polifunzionale a Medolla, nel modenese colpito dal terremoto, o quello per un campo da gioco polivalente nei Quartieri Spagnoli di Napoli, inaugurato in occasione del lancio della campagna di informazione condotta con il Ministero dell’Ambiente contro l’abbandono dei PFU nella Terra dei Fuochi.
Sergio Galvagno, responsabile del progetto, evidenzia che: “I risultati che stiamo ottenendo con l’impianto pilota, dopo più di quattro anni di intenso lavoro, a cui hanno contributo oltre all’ENEA diversi partner europei, permettono di porre le basi per lo sfruttamento industriale del processo. Attualmente il carburo di silicio ottenuto è stato testato con ottimi risultati nella preparazione di ceramici strutturali e membrane filtranti. Stiamo già lavorando su ulteriori applicazioni e all’estensione del trattamento ad altre tipologie di rifiuti, indirizzando il processo verso la sintesi di altri materiali ceramici”.
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La sperimentazione condotta ha quindi messo in luce nuovi pregi del progetto: il trattamento, seppur sviluppato per l’impiego di pneumatici fuori uso e biomasse di scarto, sarà facilmente estendibile anche ad altre categorie di rifiuti. Inoltre, cambiando le matrici di partenza, sarà possibile ottenere polveri di ceramiche differenti dal carburo di silicio, grazie proprio all’elevata flessibilità del processo. Il progetto si pone tre obiettivi principali: • lo sviluppo di un processo di riciclaggio sostenibile per il trattamento degli pneumatici fuori uso; • la valutazione della sostenibilità, e quindi
l’analisi dell’impatto sugli aspetti economici, ecologici e sociali; • l’analisi delle esigenze del mercato e le prospettive future per quanto concerne potenziali clienti, e la diffusione dei risultati ottenuti. Tygre, dunque, propone un’opzione che guarda verso l’ecosostenibilità, seguendo le linee guida dell’Unione Europea per ciò che concerne la cosiddetta gerarchia dei rifiuti: si va quindi a minimizzare la quantità prodotta di rifiuti e massimizzare il recupero di materiali ed energie, al fine di ottenere il miglior risultato ambientale complessivo.
RE PORT
Inaugurato a Granarolo dell’Emilia un maxi impianto intelligente Un’innovativa e tecnologica piattaforma di selezione rifiuti permetterà di ottimizzare il recupero della carta e della plastica differenziate nel territorio bolognese di Maria Beatrice Celino
L
o scorso 28 marzo è stata inaugurata a Granarolo dell’Emilia, in provincia di Bologna, l’innovativa piattaforma di selezione rifiuti di Akron, società controllata da Herambiente (Gruppo Hera). L’impianto vanta una capacità autorizzata di 100.000 tonnellate/anno e rappresenta la soluzione per il trattamento della raccolta differenziata sul territorio bolognese che è de-
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stinata a un incremento sostanziale dei volumi già nella seconda metà di quest’anno grazie all’avvio di un ambizioso progetto che interesserà il centro storico della città. L’inaugurazione dell’impianto è stata anche un’occasione per conoscere le caratteristiche tecniche e impiantistiche di questa piattaforma grazie alla presentazione tenuta da Fabio Fabbri, Amministratore Delegato di Akron.
Il progetto Il nuovo impianto Akron chiude il rilevante piano di investimenti del Gruppo Hera per il potenziamento della filiera industriale a sostegno della raccolta differenziata in tutti i territori serviti dalla multiutility. Fra il 2011 e il 2014 sono state completamente rinnovate o costruite ex-novo altre 4 piattaforme di recupero del tutto simili a quella di Granarolo, si tratta di
Voltana (RA), Coriano (RN), Modena e Ferrara, e sono stati realizzati 2 innovativi biodigestori anaerobici, in grado di produrre energia elettrica e compost valorizzando la raccolta differenziata umida (a Voltana e Coriano), che si sono aggiunti a quello presente dal 2009 a San Carlo di Cesena, il primo del genere realizzato in Italia. L’obiettivo di tali interventi, inseriti anche nel Piano Industriale Hera al 2017, con un investimento complessivo di oltre 40 milioni di euro, è duplice: valorizzare al massimo l’impegno dei cittadini nella raccolta differenziata e confermare la regione Emilia-Romagna fra le più virtuose in Italia non solo per quanto riguarda le percentuali di raccolta differenziata (attualmente al 53,7%, media nei comuni gestiti da Hera), ma anche per quanto attiene il materiale effettivamente avviato a recupero. E’ questo parametro infatti, più che la percentuale di raccolta, il punto di riferimento verso cui sono orientati gli obiettivi europei. Su questo fronte, già ora, la percentuale della raccolta differenziata avviata a effettivo recupero da Hera supera il 93%, come illustrato nello studio di tracciabilità dei rifiuti annualmente effettuato dall’Azienda in collaborazione con la Regione Emilia-Romagna e certificato da un qualificato ente esterno, quale DNV Business Assurance.
L’impianto Due anni, questa la tempistica necessaria a rendere concreto un progetto a partire dall’inizio dell’iter autorizzativo: un anno per la valutazione di impatto ambientale e un anno per la costruzione. L’impianto, realizzato su un’area di 13.000 m2, nasce in modo innovativo, con due linee separate per la lavorazione della plastica con una potenzialità di oltre 8 t/ora e due presse per la riduzione volumetrica della carta che possono trattare fino a 15 t/ora. Rispetto alle 100.000 t/anno autorizzate l’impianto è decisamente sovradimensionato e adotta inoltre tecnologie sofisticate che non sono mai state utilizzate in Italia. Nella progettazione di questa piattaforma sono state messe insieme tutte le varie esperienze maturate da Akron per raggiungere un livello tecnologico unico per il nostro Paese. L’impianto vanta tre lettori ottici francesi per
Tomaso Tommasi di Vignano, Presidente gruppo Hera “Chiudere il cerchio della raccolta e della valorizzazione dei rifiuti è stato un cammino lungo e complicato, caratterizzato da aspetti positivi ma anche da qualche momento di delusione. Per questo è bello celebrare questa giornata d’inaugurazione; noi abbiamo fatto il nostro mestiere insieme a chi ci richiedeva, fin dalla nascita di Hera, la costruzione di un sistema affidabile e fonte di garanzia assoluta; abbiamo infatti costruito non solo su autorizzazione ma anche su richiesta esplicita di chi ci ha preceduto. Abbiamo portato avanti in questi ultimi 11 anni quella che era classicamente una normativa sui rifiuti molto importante e lineare, anche se in certe parti un po’ vecchiotta, prima dell’intervento dell’Unione Europea. La collocazione strategica dell’impianto di oggi rientra pienamente nella filiera del recupero e lo dico poiché nei primi anni, fino al 2010, l’impegno prioritario è stato quello di rifare gli impianti di smaltimento, ma da quegli anni non è più stato necessario né modificarli né incrementarli. Ci siamo dunque dedicati a un altro impegno che avevamo preso in partenza, quello di lavorare sulla differenziazione, ossia avere un impianto idoneo per accompagnare il materiale proveniente dalla raccolta differenziata fino al recupero. Da 4 anni ormai ci siamo impegnati per questo obiettivo, a da questo impegno sono nati vari impianti; un mestiere si è affiancato all’altro per dare corpo alla filiera così com’è. Sono state due fasi importanti, che hanno comportato un impegno economico di oltre 500 milioni di euro per queste due aree, e l’abbiamo fatto mentre, in parallelo con i singoli Comuni, è partita l’evoluzione nell’impegno per la raccolta differenziata. Abbiamo chiuso l’anno 2013 con il 54% di raccolta differenziata in sette Province considerando che quando siamo partiti eravamo al 26%: sono dati reali e verificabili, che dimostrano la credibilità dell’azienda. Sono poi cambiate anche le regole e le norme di riferimento; sono arrivate indicazioni per capire ciò che era più opportuno fare per ridurre l’impatto ambientale e noi ci siamo accodati ai Paesi più virtuosi puntando all’obiettivo zero discariche. Noi non consideriamo plausibile lo slogan “zero rifiuti” ma siamo convinti che tra diverse soluzioni si possa scegliere quella a minor impatto ambientale, ed è questo il pensiero che stiamo portando avanti. Un’ultima importante considerazione riguarda il fatto che investimenti di queste dimensioni non possono subire delle scelte che rinneghino quelle del predecessore. Si tratta di impegni caratterizzati da una lunga gestione: gli impianti come questo hanno una valenza nel tempo che supera anche i 20 anni. Non è pensabile che nella definizione delle nuove norme o dei nuovi sistemi tariffari si possano gestire tali situazioni in maniera confusa, perché in tal modo si fanno scappare gli investimenti dal nostro Paese. Se noi non diamo la sensazione di avere un traguardo, di avere delle regole, di avere una leggibilità e una solidità nel tempo, sarà sempre più difficile attrarre nuovi investimenti”.
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RE PORT
la linea della plastica, due lettori ottici austriaci per la linea della carta, vagli rotanti e vagli balistici tedeschi, mentre tutto il sistema di riduzione volumetrica e di filtrazione dell’aria è italiano.
Linea plastica Il trattamento della plastica è strutturato con macchinari significativi in testa alla linea: troviamo infatti un dosatore poiché vi è la necessità di un’alimentazione costante ed omogenea per garantire un ottimo funzionamento della linea. Importante è anche la cabina di cernita che è stata inserita poiché l’esperienza di Akron evidenziava la presenza frequente di materiali estranei all’interno della raccolta differenziata. A seguire troviamo un vaglio rotante di 12 metri che permette di dividere il materiale a seconda delle dimensioni e quindi un vaglio balistico che opera invece una suddivisione a seconda della bidimensionalità o tridimensionalità del materiale. Completata questa prima fase di separazione la plastica viene convogliata su tre nastri trasportatori e avviata ai lettori ottici, che rappresentano il cuore dell’impianto, grazie ai quali è possibile distinguere colore e tipologia dei materiali con una velocità e una precisione elevatissime.
Dopo i lettori ottici, al fine di ottimizzare la qualità del materiale in uscita, è stata realizzata una cabina di controllo qualità, dove il personale effettua un’ulteriore verifica per spingere al massimo il recupero. Infine abbiamo l’area di stoccaggio da cui, in funzione della programmazione, il materiale viene inviato a una delle due presse installate.
Linea carta La linea della carta e del cartone è una linea altamente specializzata. In testa alla linea è presente un caricatore aprisacchi, necessario poiché la raccolta rifiuti di Bologna prevede la raccolta della carta nei sacchetti di plastica, che vanno quindi separati dal flusso della carta. Il materiale passa al decartonatore, che divide automaticamente la carta dal cartone. Si passa poi per un vaglio per arrivare ai lettori ottici, una tecnologia all’avanguardia che rappresenta una prima applicazione in Italia: il lettore consente di leggere, oltre al materiale e al colore, anche l’inchiostro, permettendo così di separare i materiali stam-
Tecnologia a lettura ottica Lo spettrometro dotato di sensori NIR riconosce i materiali secondo le loro evidenti e specifiche caratteristiche spettrali della luce riflessa, il sensore basato sullo spettrometro per la luce visibile riconosce i materiali sulla base delle caratteristiche cromatiche specifiche. A seconda delle applicazioni i sensori sono combinati assieme. Il materiale da smistare è condotto ai sensori in modo omogeneo su un nastro trasportatore veloce. Il materiale è rilevato sul nastro tramite i sensori basati sullo spettrometro NIR e/o VIS. Queste informazioni sono valutate dall’impianto elettronico inserito. Nel caso i sensori riconoscano delle parti da selezionare, le singole valvole vengono aperte esattamente sulla posizione interessata e il materiale viene separato con l’ausilio dell’aria compressa. Il materiale da smistare viene così separato in due frazioni in maniera automatica. Lo smistamento avviene dunque automaticamente, a una velocità tre volte superiore rispetto alle linee con selezione classica.
Le linee di riduzione volumetrica
A servizio delle due linee per il trattamento dei rifiuti,
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pati in flessografica, ottenendo un materiale più selezionato e maggiormente richiesto ad esempio dalle cartiere tedesche.
Come per la linea della plastica anche qui, in coda alle varie selezioni troviamo la cabina di controllo, un ulteriore passaggio che permette di incrementare la qualità del materiale in uscita.
sono presenti anche due linee di riduzione volumetrica (presse imballatrici) che potranno essere utilizzate anche per la riduzione volumetrica diretta dei rifiuti che richiedono solamente un controllo qualità prima della pressatura finale. Un sistema di trattamento dell’aria di processo permetterà di trattare l’aria utilizzata per l’aspirazione delle plastiche (principalmente film) nel processo di trattamento e selezione dei rifiuti. Un sistema di produzione di aria compressa di processo, installato in un box prefabbricato, permetterà di alimentare i 5 lettori ottici e altri punti di servizio posizionati vicino alle macchine principali.
Il vaglio balistico
Presente sulla linea “plastica e multi-materiale”, è un enorme cilindro rotante dotato di fori, in grado di separare automaticamente i materiali in base alla loro densità o peso. La rotazione del cilindro impone infatti una forte accelerazione ai materiali da selezionare: i più leggeri percorrono una distanza minore, mentre quelli più pesanti percorrono traiettorie più lunghe. Ogni tipologia, attraverso i fori del cilindro, è intercettata dalle bocche di diverse tramogge, tutte poste alla base di camere chiuse in cui il rifiuto viene raccolto.
MISTRAL DUAL VISION: L’INNOVATIVA TECNOLOGIA PELLENC A SERVIZIO DELL’IMPIANTO AKRON Nell’impianto realizzato da Akron a Granarolo dell’Emilia, la ditta francese Pellenc Selective Technologies ha installato 3 macchine MISTRAL Dual Vision di ultima generazione per la selezione dei polimeri di plastica su un flusso di multimateriale proveniente dalla raccolta differenziata.
Il progetto è il frutto di una collaborazione tra Akron e Pellenc Selective Technologies nell’impianto più importante del gruppo. E’ stata decisiva la collaborazione con l’impiantista tedesca che ha unito le proprie tecnologie con quelle dell’azienda francese: un bel lavoro di gruppo a livello europeo. Grazie all’utilizzo accoppiato della tecnologia NIR (Near-Infrared) e Vision, questo impianto per la selezione ottica è equipaggiato con la tecnologia più avanzata per il settore permettendo di distinguere i materiali all’interno del range dello spettro NIR e fornendo un’ottima distinzione sia per materiale che per colore. Le macchine installate sono denominate 2G poiché dispongono dell’ultima architettura software e hardware sviluppata con brevetto Pellenc Selective Technologies. Otre al fatto di garantire una migliore affidabilità ed operatività della macchina stessa, l’innovazione 2G consente l’identificazione del materiale leggero e sottile di difficile selezione come il film. Con tale progetto, Pellenc consolida la sua presenza sul mercato italiano iniziata 13 anni fa.
FIREBOX ® L’ALIMENTAZIONE IDRICA ANTINCENDIO I criteri seguiti da Idroelettrica S.p.a. per la realizzazione della centrale pompe e della riserva idrica antincendio, che insieme costituiscono l’alimentazione idrica antincendio, sono stati: • capacità della riserva idrica pari ad almeno 72 m³ (dato di progetto); • il gruppo di pressurizzazione deve fornire almeno una portata di 144 m³/h ad una prevalenza di 47 m.c.a. (dati di progetto); • garanzia della massima affidabilità di funzionamento, anche in assenza di tensione e in caso di guasto di una delle pompe principali; • l’accessibilità ai locali tecnici in ogni condizione; • minimo volume occupato all’esterno; • rispetto delle normative tecniche UNI EN 12845/UNI 11292/UNI 10779; • rispetto del Testo Unico sulla sicurezza 81/2008. Per il raggiungimento di tutti gli obiettivi di progetto, si è scelto di installare un sistema FIREBOX® a marchio CE prodotto da Idroelettrica S.p.a. Il FIREBOX® integra all’interno di un unico locale prefabbricato da esterno, un gruppo di pressurizzazione realizzato con due pompe principali ciascuna da 144 m³/h / 47 m.c.a. del tipo immerso ad asse verticale (VTP), una con motore elettrico e l’altra con motore diesel; il sistema è completato dai quadri elettrici di comando delle pompe e da tutti gli accessori previsti dalla UNI EN 12845. Il locale pompe ha tutte le pareti laterali costituite da porte a battente ed è quindi accessibile, in sicurezza, sia in esercizio che in manutenzione; il locale realizza il minimo ingombro possibile in pianta, in quanto secondo la norma UNI 11292, per questo tipo di locale è possibile conteggiare come spazio di lavoro intorno al gruppo di pressurizzazione anche lo spazio esterno; il locale e il gruppo sono certificati secondo UNI 11292 e UNI EN 12845. La riserva idrica è realizzata con una vasca metallica interrata posta sotto il locale pompe, all’interno della vasca è stoccata la riserva idrica da 72 m³ e trovano posto le pompe principali e la pompa pilota. L’installazione del FIREBOX® ha consentito di ottenere un’alimentazione idrica certificata e inoltre: • idraulicamente sottobattente; • continua e affidabile anche in assenza di tensione elettrica e in caso di guasto di una delle due pompe principali; • con un locale pompe esterno di minimo ingombro e accessibile in sicurezza.
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BIOENERGIE IN ITALIA: LO STATO DELL’ARTE Biomasse, biocombustibili e biogas, ecco un bilancio sulle tre principali filiere del settore tra incentivi, normative e prospettive future di Raffaella Urania*
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a crescente sensibilità verso le fonti rinnovabili, la volontà di ridurre la dipendenza energetica dall’estero, le direttive europee all’insegna della promozione del settore e l’attrattiva degli incentivi, sono solo alcuni dei fattori che nell’ultimo decennio hanno portato alla ribalta un settore come quello delle bioenergie che, pur esistendo di fatto da sempre, ha visto negli ultimi anni un notevole moltiplicarsi di iniziative.
10.832 GWh. Nell’anno 2012, dalle prime stime del GSE (Gestore dei Servizi Energetici), si registra una crescita della potenza installata pari a 3.800 MW. Secondo il GSE la potenza relativa agli impianti a biomasse, bioliquidi e biogas al termine del 2013 è cresciuta del 5% rispetto ai dati rilevati a fine 2012, registrando un incremento di 200 MW installati e raggiungendo i 4.000 MW complessivi sui tre comparti.
La produzione di energia da biomasse, o bioenergia, comprende processi che sfruttano una grande varietà di materiali di natura estremamente eterogenea. Secondo il D.Lgs. 23 marzo 2011 n. 28 per biomassa si intende “la frazione biodegradabile dei prodotti, rifiuti e residui di origine biologica provenienti dall’agricoltura (comprendente sostanze vegetali ed animali), dalla silvicoltura e dalle industrie connesse, comprese la pesca e l’acquacoltura, gli sfalci e le potature provenienti dal verde pubblico e privato, nonché la parte biodegradabile dei rifiuti industriali e urbani”. Per tracciare un bilancio sintetico del settore delle bioenergie è opportuno tuttavia suddividere il mondo delle biomasse almeno in tre filiere principali: • Biomasse solide, costituite principalmente da prodotti o residui forestali ed agricoli (cippato, ramaglie, lolla di riso…) destinati generalmente a combustione per la generazione di energia termica ed elettrica. • Biocombustibili, costituiti da oli vegetali grezzi o raffinati impiegati in centrali per la produzione di energia o, in alternativa, come biocarburanti per l’autotrazione. • Biogas formato da una miscela di gas a base di metano, generata dalla fermentazione di prodotti e rifiuti organici in discariche o in appositi impianti di digestione ed utilizzabile per la produzione di energia.
Negli ultimi dieci anni, lo sviluppo delle bioenergie è stato piuttosto costante: tra il 2000 e il 2011 l’elettricità generata dalle biomasse è cresciuta mediamente del 32% l’anno, passando da 1.505 a
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Relativamente alla produzione, sono stati stimati invece 14.000 GWh rispetto ai 12.250 GWh del 2012. Nonostante i dati del GSE rappresentino delle prime stime, la potenza installata delle bioenergie nel 2013 evidenzia un netto rallentamento nelle installazioni rispetto all’anno precedente. Il comparto infatti ha mostrato
nell’ultimo anno una crescita a velocità differenti: si è registrato infatti uno sviluppo positivo per gli impianti a biogas agricolo e a biomasse agroforestali, mentre si è avuta una crescita pari a zero per gli impianti che producono energia da bioliquidi. Occorre dire che, l’incremento registrato nel 2012, oltre 1 GW di potenza installata dal 2011, ha definito una crescita inconsueta e non rappresentativa del trend futuro, giustificata dal tentativo di molti operatori di rientrare nel sistema incentivante precedente (D.M. 18 dicembre 2008) prima che entrasse in vigore il D.M. 6 luglio 2012. Il nuovo sistema di incentivazione, infatti, ha praticamente stravolto il precedente sistema prevedendo una serie di decurtazioni alle tariffe di sostegno, l’introduzione di contingenti di potenza incentivabile, nonché nuovi meccanismi per accedere agli incentivi: registri per impianti sotto la potenza di 5 MW e aste per impianti di potenza superiore ai 5 MW. Il D.M. 6 luglio 2012 rappresenta pertanto una delle principali novità per il settore delle bioenergie: oltre ad aver subito un notevole taglio, le tariffe incentivanti vengono conferite a seguito dell’identificazione della materia prima utilizzata nell’impianto in specifiche tipologie. Il GSE identifica la tipologia della biomassa attenendosi a quanto riportato nell’autorizzazione. Le tariffe vengono assegnate sulla base della classificazione delle biomasse in prodotti di origine biologica, sottoprodotti, rifiuti la cui frazione biodegradabile è determinata
forfettariamente e rifiuti indifferenziati. Il nuovo decreto, la cui tendenza è la valorizzazione di impianti di piccola taglia e/o che utilizzano sottoprodotti, riconosce dei premi aggiuntivi agli impianti più “virtuosi” che operano in assetto cogenerativo ad alto rendimento, che prevedono una riduzione delle emissioni, che dispongono di una rete di teleriscaldamento e, per gli impianti a biogas, che sono dotati di sistemi in grado di recuperare l’azoto prodotto. Per le bioenergie gli esiti dei registri riferiti ai bandi 2012 e 2013 hanno di fatto visto, in entrambe le procedure, un esaurimento del contingente atteso in riferimento agli impianti a biomasse e biogas che impiegano prodotti di origine biologica, sottoprodotti e rifiuti non provenienti da raccolta differenziata, bioliquidi sostenibili, gas da discarica e gas da depurazione. Numerosa la partecipazione di aziende agricole, presumibilmente riconducibile al fatto che questa tipologia di operatori, con impianti a biomasse o biogas alimentati da prodotti di origine biologica o sottoprodotti con potenza al di sotto di 600 kW, gode di un criterio di priorità nella formazione delle graduatorie (art. 10 comma 3 del D.M.). Meno successo hanno riscosso invece le aste, per le quali il contingente totale riferito al primo bando è stato occupato solamente al 10%, mentre sul totale del contingente disposto per il secondo bando l’occupazione è stata del 31%. La scarsa adesione alle aste è in linea con la recente tendenza, favorita dal nuovo sistema incentivante, che mira a valorizzare maggiormente impianti di piccola/media taglia, tecnologicamente avanzati e alimentati principal-
CRESCITA BIOENERGIE
2010
2011
2012
2013
Potenza installata (MW)
2.352
2.825
3.800
4.000
Produzione (GWh)
9.440
10.832
12.250
14.000
Tabella 1. Andamento crescita bioenergie in termini di potenza installata e produzione (Fonte GSE)
mente da sottoprodotti, ma può altresì essere ricondotta alla complessità nell’accesso al sistema asta. Lo scorso 29 marzo il GSE ha pubblicato l’ultimo bando definito dal D.M. 6 luglio 2012 per il quale si prevede un andamento analogo alle procedure precedenti. Ci aspettiamo un esaurimento del contingente assegnato ai registri per gli impianti diversi da quelli che impiegano FORSU, ai quali viene attribuito un contingente a parte. Poche istanze potrebbero essere invece presentate per le aste per gli stessi motivi descritti sopra. È da considerare che, in attesa dell’aggiornamento dei contingenti, previsto all’art. 3 comma 3 del D.M., quello pubblicato lo scorso marzo rappresenta l’ultimo bando definito dal
decreto, pertanto è lecito presupporre che le istanze presentate saranno anche questa volta molto numerose, soprattutto per via dell’incertezza che aleggia sul futuro del sistema incentivante.
NOVITà E PROSPETTIVE FUTURE A differenza di biogas e biomasse agroforestali, che hanno fatto registrare numerose nuove installazioni grazie anche agli impianti di piccole dimensioni, il comparto dei bioliquidi sta vivendo, invece, una condizione diversa. Dopo la crescita repentina tra il 2008 e il 2010, in cui si è avuta l’installazione nel Paese di quasi 800 MW, ha subito una battuta d’arresto nel 2011. Le motivazioni sono da ricercare nelle numerose criticità che sta vivendo
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questa fonte, in primis l’aumentato costo della materia prima utilizzata, a cui si aggiunge l’adempimento alle complesse disposizioni della sostenibilità, ormai entrate a regime. Dopo il brusco rallentamento che il settore dei bioliquidi ha subito a partire dal 2011, a causa dell’elevato costo degli oli vegetali e della complessità delle disposizioni per la certificazione della sostenibilità, la Legge di Stabilità 2014 (Legge 147/2013) ha modificato una misura opzionale già introdotta dal Decreto del Fare (D.L. 69/2013 convertito dalla Legge 98/2013) al fine di tutelare gli impianti a bioliquidi esistenti. In alternativa al mantenimento del regime di sostegno attuale, la misura propone una rimodulazione degli incentivi per gli impianti entrati in esercizio entro il 31 dicembre 2012: per il primo anno si prevede una maggiorazione del 20% del valore della Tariffa Onnicomprensiva percepita o del coef-
ficiente k per il calcolo dei Certificati Verdi, e per l’anno successivo una maggiorazione del 10%. A seguito del biennio, qualora l’impianto proseguisse la produzione, il GSE applica una riduzione del 15% dell’incentivo spettante alla quantità di energia che ha subito l’incremento negli anni precedenti. La misura introdotta è stata concessa a fronte di una forte e reale difficoltà degli operatori, testimoniata negli scorsi mesi dalla riduzione della produzione degli impianti, quando non addirittura dallo spegnimento degli stessi. Tra le principali novità del 2013, merita infine un breve approfondimento la pubblicazione del decreto Biometano. Atteso da quasi tre anni, dopo che il D.Lgs. 28/2011 aveva tracciato le linee guida per l’attuazione del provvedimento, il D.M. 5 dicembre 2013 stabilisce le modalità di incentivazione del biometano immesso nella rete
del gas naturale. Secondo il decreto possono essere riconosciuti incentivi nel caso in cui il biometano: • venga immesso nella rete del gas naturale; • venga utilizzato negli impianti cogenerativi in assetto di cogenerazione ad alto rendimento; • venga utilizzato nei trasporti. Tuttavia, affinché il decreto possa essere applicabile, occorrono ulteriori provvedimenti tra i quali le Regole Tecniche sulle caratteristiche chimiche e fisiche del biometano e altri aspetti tecnici di competenza dell’AEEG che, ad oggi, sono in attesa di pubblicazione. Seppure crescente anche il settore del biogas agricolo ha subito dei rallentamenti nello sviluppo rispetto agli anni precedenti pertanto ci si aspetta che tali decelerazioni vengano compensate dall’affermarsi della filiera
Intervista al Dott. Andrea Zaghi, Responsabile Centro Studi di Assorinnovabili Dott. Zaghi, come nasce assoRinnovabili e come è strutturata la Vostra associazione? assoRinnovabili nasce dalla fusione di due associazioni del settore delle rinnovabili: Assosolare (Associazione nazionale dell’industria solare fotovoltaica) e APER (Associazione Produttori Energia Rinnovabile) che dal 1987 era già punto di riferimento per gli operatori del settore e interlocutore privilegiato presso le istituzioni nazionali e internazionali, con l’obiettivo di promuovere e incentivare l’uso delle fonti rinnovabili. Nel luglio 2013 l’assemblea APER ha accolto i soci di Assosolare e deliberato il cambio nome in assoRinnovabili confermandosi così la prima associazione italiana in quanto a rappresentatività dell’intera categoria e una delle maggiori a livello europeo per numero di associati e potenza installata. assoRinnovabili ha sede a Roma e Milano. La sua struttura è composta da Consiglio Direttivo, Giunta, Revisori dei Conti e Team. Attuale presidente è Agostino Re Rebaudengo. Parlando di argomenti di stretta attualità, il decreto “spalma incentivi” ha scatenato in questi mesi opposizioni e critiche da parte dell’intero comparto delle rinnovabili; quali saranno gli effetti di questo provvedimento sul settore delle bioenergie? assoRinnovabili ha espresso totale contrarietà all’ipotesi di un provvedimento retroattivo e obbligatorio quale sarebbe lo “spalma incentivi”. La misura ipotizzata dal Mise, attraverso una variazione unilaterale dei contratti in essere tra Stato e imprese, andrebbe a ridurre ulteriormente e ingiustificatamente la profittabilità degli impianti fotovoltaici. Al momento le altre fonti, bioenergie incluse, non sarebbero toccate del provvedimento; l’approvazione dello stesso tuttavia creerebbe un precedente che potrebbe portare il replicarsi di questa situazione anche sulle altre fonti. Dott. Andrea Zaghi, Responsabile ufficio studi e relazioni esterne di assoRinnovabili
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dell’upgrading del biogas a biometano. Attualmente in Italia non sono ancora presenti impianti di depurazione del biogas a biometano, se non impianti pilota, ma in Europa esistono già alcuni Paesi che hanno scommesso in maniera positiva su questa tecnologia. In linea con la tendenza dello sfruttamento dei materiali residui negli impianti di produzione energetica, assoRinnovabili ha partecipato nel 2013 al “Tavolo di lavoro Sottoprodotti”, che coinvolge tutte le associa-
zioni di categoria del settore agricolo e delle fonti rinnovabili, coordinato dal Ministero dell’Ambiente. Il tavolo è stato istituito con la finalità di porre chiarezza sulla disciplina
La misura attualmente in discussione produrrebbe molti risultati disastrosi tra cui: • il Governo avrà un pessimo ritorno d’immagine e di credibilità poiché verrebbero minati i principi dello stato di diritto e della Costituzione; • il Governo avrà un’importante battuta d’arresto nel riposizionamento dell’Italia nell’Unione Europea, che in più occasioni si è espressa sulla necessità di evitare norme simili; • gli investitori, che hanno fatto affidamento su contratti certi firmati con un’azienda dello Stato Italiano (GSE), congeleranno tutti i progetti di sviluppo in Italia e il piano infrastrutturale verrà boicottato; • il sistema del credito avrà forti sofferenze e rallenterà la ripresa economica del Paese; • la stragrande maggioranza degli operatori fallirà, con seri impatti occupazionali e gravi effetti anche sul sistema bancario; • lo Stato perderà importanti entrate fiscali per un valore pari a oltre 600 milioni di euro. Già solo l’intenzione del Governo sta provocando forti contraccolpi nel sistema creditizio che di fatto ha “congelato” i nuovi finanziamenti, paralizzando il settore con ripercussioni occupazionali ingenti per i circa 100.000 addetti del fotovoltaico, ma anche per le casse dello Stato, che potrebbero rinunciare a entrate fiscali per oltre 600 milioni di euro. A livello Paese, l’enorme impatto negativo vanificherebbe gli auspicati marginali benefici sulle Piccole e Medie Imprese (PMI). Peraltro l’obiettivo del Governo di ridurre le bollette elettriche è già stato ottenuto proprio grazie alle fonti rinnovabili, che nell’ultimo anno e mezzo hanno fatto diminuire il prezzo dell’energia elettrica all’ingrosso da 70 a 45 €/MWh per un risparmio complessivo compreso tra 7 e 8 miliardi di euro. Se le PMI e i cittadini non hanno ancora ottenuto questi benefici non è certo responsabilità delle rinnovabili. Ricordo inoltre che il settore fotovoltaico è già stato penalizzato da interventi regolatori retroattivi che avranno un impatto di oltre 1 miliardo di Euro all’anno. Per quanto riguarda i rifiuti, qual è lo stato dell’arte e quali le prospettive del settore biomasse in riferimento a questa specifica tipologia di materiale?
relativa alla natura dei residui utilizzabili per scopi energetici, da sempre soggetta a incertezze normative. L’obiettivo del “decreto sottoprodotti” è quello di dare parametri certi agli operatori su cosa deve essere considerato sottoprodotto e cosa deve essere considerato rifiuto. Esso deve partire dalle condizioni individuate dall’art. 184-bis del D.Lgs. 152/06 ed applicarle alla lista del Decreto FER elettriche. Il prodotto finale comporterà anche la modifica dell’Allegato X della Parte V del D.Lgs. 152/06, relativo alla disciplina dei combustibili. Attualmente i lavori, iniziati mediante il contributo fornito dal Tavolo di lavoro, sono in corso di finalizzazione ad oggi non si conoscono ancora le tempistiche con cui sarà pubblicato il decreto. *Assorinnovabili
La produzione di energia da impianti a biogas da rifiuti ha subito un rallentamento in parte riconducibile alla direttiva europea sulla gestione dei rifiuti, che vieta l’apertura di nuove discariche. Tuttavia lo sviluppo della filiera biometano fa pensare che nei prossimi anni ci possa essere l’avvio di un mercato per la produzione di biometano da biogas da FORSU (Frazione Organica dei Rifiuti solidi urbani) dal momento che la nuova tendenza è quella di privilegiare l’utilizzo di sottoprodotti. Volendo fare un confronto con quanto accade oltre i nostri confini, qual è la fotografia del settore bioenergie in Italia rispetto al resto dell’Europa? Malgrado le molteplici criticità che il settore si trova ad affrontare costantemente, le statistiche sulle bioenergie mostrano risultati soddisfacenti in vista degli obiettivi europei al 2020. Il dato aggregato della potenza installata e della produzione di energia ha infatti ampiamente oltrepassato il traguardo intermedio al 2013 previsto dal Piano di Azione Nazionale (4.000 MW installati a fronte dei 2.488 MW previsti dal PAN al 2013), superando addirittura anche l’obiettivo al 2020 in termini di sola potenza (3.820 MW). L’Italia, pertanto, a differenza di molti Paesi europei che non sono in linea con gli obiettivi al 2020 si può ritenere rispettosa della traiettoria tracciata dall’UE. Recentemente, parlando di un altro settore, abbiamo riscontrato come la presenza di più associazioni che si occupano delle medesime tematiche rappresenti uno svantaggio per il settore stesso in quanto una pluralità di richieste e di posizioni può vanificare i risultati ed il raggiungimento degli obiettivi prefissati. Da questo punto di vista come descriverebbe la realtà associativa del Vostro settore? Convinti che “l’unione fa la forza” come Associazione abbiamo sempre cercato di coinvolgere le altre associazioni di settore in modo da formulare posizioni comuni da proporre ai decisori. Laddove non sia stato possibile, forti dei nostri numeri (oltre 500 aziende associate con più di 1.300 impianti in tutta Italia) abbiamo portato avanti con autorevolezza le istanze avanzate dai nostri associati, diventando così punto di riferimento per il settore dell’eolico, del fotovoltaico, dell’idroelettrico, delle bioenergie e della geotermia.
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PANORAMA AZIENDE
Tecnologie ed esperienza a servizio di biomasse e biogas Ecco la risposta di Cesaro Mac Import alla crescita di un settore che punta a trasformare i rifiuti in risorse energetiche di Marco Simone Bono*
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e biomasse e il biogas stanno riscoprendo in questi ultimi anni un mercato molto fiorente. Complice la necessità di ridurre il più possibile le emissioni in atmosfera di CO2, per rallentare e magari invertire la tendenza di crescita dell’effetto serra, l’attenzione verso queste nuove fonti di energia è in continuo aumento. A giocare un ruolo strategico nella crescente attenzione che suscitano biogas e biomasse, anche se forse meno evidente, è la sempre maggiore consapevolezza che l’assunzione di comportamenti e modi di vivere compatibili con l’ambiente, possano garantirne la
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sua salvaguardia e il benessere di tutti, uomo compreso. Questo spirito “eco”, che ormai da un bel po’ di tempo sta catturando l’opinione pubblica, trova sempre più riscontro tra la popolazione di tutto il mondo. Un sempre maggior numero di persone tende a preferire le fonti di energia a basso impatto ambientale rispetto alle fonti di energia tradizionale, con la volontà di fare il proprio dovere di bravi cittadini del mondo immettendo in natura meno CO2 possibile. Sempre più famiglie ma anche città e piccoli comuni hanno deciso di ottenere l’energia di cui necessitano dalle fonti rinnovabili, come il
legno e i rifiuti. Questo sentimento ha iniziato da un po’ a riecheggiare anche tra i maggiori players del settore energetico, i quali stanno investendo tantissimo in denaro e risorse umane in queste nuove frontiere dell’energia pulita. Un po’ ovunque iniziano a comparire nuove centrali a biomasse e impianti di digestione anaerobica, andando a soppiantare gradualmente le protagoniste indiscusse del mondo dei rifiuti che conoscevamo fin qui: le discariche. Comincia a diffondersi sempre più l’idea, soprattutto nel settore del biogas, che è possibile dare nuova vita a quello che prima veniva chiamato semplicemente scarto o rifiuto. In risposta a questa nuova richiesta, è necessario mettere in campo tecnologia ed esperienza di primo livello. Servono competenze serie e affidabili e soprattutto tecnologie innovative, in grado di fare la differenza. Cesaro Mac Import è impegnata da quasi 30 anni nel difficile mondo dei rifiuti e delle tecnologie ambientali ed è sempre stata capace di affrontare nuove sfide e di rimodernarsi per assecondare le mutevoli richieste di questo settore. Grazie all’esperienza acquisita anno dopo anno, Cesaro Mac Import è sicuramente un partner affidabile su cui contare, in grado di mettere a disposizione dei suoi clienti, sia pubblici che privati, competenza, esperienza e tecnologie innovative sia nella preparazione delle biomasse che nella trasformazione dei rifiuti in energia pulita.
Da quasi 5 anni, a partire dal 2010, Cesaro Mac Import è licenziataria esclusiva per l’Italia del marchio Kompogas e della sua tecnologia impiantistica per la trasformazione del rifiuto organico e tal quale in energia (corrente elettrica e biogas). Con i suoi 60 digestori installati in tutto il Mondo, 4 dei quali costruiti e avviati in Italia dalla stessa Cesaro Mac Import, Kompogas propone una soluzione davvero versatile che si adatta senza difficoltà sia a impianti di grandi dimensioni che a quelli piccoli, grazie alla completa modularità del sistema. I reattori orizzontali Kompogas trovano spazio ovunque e grazie alla loro forma possono essere affiancati uno all’altro senza grandi difficoltà, rispondendo così perfettamente alle specifiche necessità produttive dell’impianto. Ogni modulo è in grado di processare circa 20.000 tonnellate di rifiuto all’anno. Oltre all’ormai noto modulo PF 1300 da 1300 m3 di capacità, che è andato praticamente a sostituire la versione standard GG20, Kompogas ha presentato nel 2013 la nuova versione di digestore anaerobico PF 1500. I digestori a secco Axpo Kompogas lavorano in termofilia ad una temperatura di esercizio compresa tra i 50 ed i 55°C. La modalità dry inoltre permette la riduzione dei liquidi in gioco in impianto con un netto guadagno in termini di smaltimento percolati e liquidi di processo. Grazie alla tecnologia Kompogas e a quella proprietaria del compostaggio Il Girasole Tunnel Composting, Cesaro Mac Import è riuscita ad affinare un sistema integrato di digestione anaerobica e compostaggio capace di eliminare completamente i liquidi di processo in uscita. Gli impianti in cui Cesaro Mac Import ha inserito queste due tecnologie godono di una gestione davvero semplice dei liquidi di processo. E tutto ciò grazie alle competenze tecniche e all’esperienza degli ingegneri, dei tecnici e dei collaboratori di Cesaro Mac Import, che ogni giorno offrono assistenza e professionalità ai propri clienti. Ma Cesaro Mac Import è sinonimo anche di innovazione continua. Soprattutto nel settore del biogas, dove le normative e le tecnologie sono sempre in continua evoluzione. Dallo scorso anno il decreto sul biometano del 5 dicembre 2013 offre finalmente la possibilità
di impiegare il metano prodotto nell’autotrazione o immetterlo direttamente in rete senza alcun impiego di stazioni di cogenerazione per la sua trasformazione in energia elettrica. Per poter però immettere in rete il metano è necessario purificarlo dalla CO2 (upgrading), dai mercaptani, dai silossani e dall’anidride solforosa. Queste procedure necessitano ovviamente di tecnologie specifiche molto avanzate. Essere al passo con i tempi significa rimanere sempre aggiornati e pronti ad
innovare e a cambiare. Ecco perché Cesaro Mac Import ha già iniziato a far proprie queste tecnologie per la purificazione del metano. Un cliente che sceglie Cesaro Mac Import sa che può contare su uno spirito imprenditoriale votato al continuo miglioramento e all’innovazione. Anche nel settore delle biomasse Cesaro Mac Import è uno dei protagonisti indiscussi del mercato italiano rimanendo fedele alla tecnologia e all’esperienza del marchio tedesco Doppstadt,
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PANORAMA AZIENDE
partner esclusivo che Cesaro Mac Import rappresenta in Italia ormai dal lontano 1994. La gamma prodotti Doppstadt dedicata alla preparazione delle biomasse vanta un ventaglio di macchine e soluzioni impiantistiche davvero ineguagliabile. Doppstadt è in grado di accontentare sia il piccolo cliente, che lavora il materiale da destinare poi alle centrali, che i grandi player come le centrali a biomassa stesse. E’ possibile infatti scegliere la macchina più adatta in base alla produttività necessaria e al tipo di materiale che si deve trattare, come nel caso dei cippatori. Doppstadt propone diversi modelli nella sua serie DH, ciascuno capace di prediligere un particolare tipo di materiale e una specifica produttività oraria. Inoltre i cippatori Doppstadt possono essere ordinati in versione gommata, cingolata o addirittura scarrabile, a seconda delle necessità specifiche di impiego. Un esempio su tutti è il piccolo cippatore DH 812 Q, uscito nel 2013 e già destinato a diventare un must tra i clienti più piccoli legati al territorio. La trasformazione di biomasse in cippato spesso implica l’impiego del cippatore direttamente nel sito di abbattimento dei tronchi, come all’interno di un pioppeto o di un bosco. Questa situazione, già complicata di suo per gli spazi di accesso e di manovra davvero ridotti di un bosco, può aggravarsi quando le condizioni climatiche peggiorano e il terreno
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diventa in certi casi assolutamente impraticabile ai camion e ai cippatori su carro gommato convenzionale. Ecco allora che interviene DH 812 Q, una macchina studiata proprio per queste situazioni. Senza rinunciare ad una grande produzione oraria e senza ricorrere ai costi di gestione di due pianali per trasportare un cippatore cingolato ed un caricatore cingolato, con DH 812 Q, accoppiato ad un trattore da almeno 340 cavalli, è possibile affrontare anche le situazioni più difficili. Grazie alla presa di forza che riesce a recuperare dal trattore, il DH 812 Q può lavorare direttamente nel bosco, con tutte le facilitazioni che questa pratica comporta. Chi invece ha bisogno di una macchina più performante e in grado di cippare tronchi di diametro fino a 650 mm, troverà sicuramente il partner ideale nel DH 810, sia nelle classiche versioni mobile, cingolata e scarrabile e da oggi anche in versione su camion, montato su ralla e dotato di gru di alimentazione con cabina elevabile. Motorizzazione MercedesBenz e tamburo di cippatura a 4 lame sfalsate da 850 mm di diametro, DH 810 è da sempre il giusto equilibrio tra produttività e costi di esercizio. Chi invece richiede il massimo della produttività oraria non resisterà al fascino del DH 910, capace di generare fino a 350 m3/h di cippato di alta qualità. Il perfetto connubio tra
versatilità e prestazioni. Una macchina da 612 cavalli di potenza in grado di cippare tronchi di diametro fino ad un metro. Doppstadt propone anche il modello 910 in versione cingolata, gommata e scarrabile. Per chi vuole Doppstadt offre anche la versione con nastro di scarico al posto del classico soffiante. La versione SA scarrabile è omologata per il trasporto su strada fino a 80 km/h. Tutti i cippatori della serie DH sono equipaggiati con una griglia di post-cippatura che garantisce in uscita un materiale di pezzatura regolare e omogenea con assenza di elementi fuori soglia. Tutte le griglie sono in hardox con spessore generoso, facilmente intercambiabili per avere sempre la dimensione che più si adatta alle richieste delle centrali a biomassa. Ma non esiste solo il cippatore nel variegato mondo delle biomasse: Doppstadt propone anche le sue ormai collaudate e versatili serie AK e DW per la triturazione del legno, mentre rimanda alla serie SM la vagliatura dello stesso. Grazie all’ampia varietà di modelli che queste serie offrono, Cesaro Mac Import e Doppstadt sono sempre in grado di garantire ai clienti la soluzione più adatta alle loro necessità. Per radici e ciocchi difficili da trattare, la serie DW prevede anche l’allestimento specifico Bio-Power, dotato di un motore più prestante da ben 360 kW e da un rotore di triturazione a doppia elica con il doppio dei denti rispetto alla versione standard. L’energica rotazione del rotore bio-power imprime una forza senza paragoni contro il pettine frantumatore, spezzando così anche le radici e i fusti degli alberi più grossi. La doppia fila di denti invece colpisce il doppio delle volte la stessa parte di materiale, riuscendo a penetrare e a rompere anche le fibre di legno più spesse. Sul sito ufficiale www.cesaromacimport.com è possibile conoscere più nel dettaglio tutte le macchine e l’impiantistica che Cesaro Mac Import è in grado di offrire sia per il settore delle biomasse che per quello del biogas. Senza dimenticare l’esperienza e il know-how che Cesaro Mac Import è in grado di mettere in campo, un valore aggiunto che in pochi riescono a vantare e a offrire ai propri clienti. *Cesaro Mac Import
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Il decommissioning dell’area ex Star-Black&Decker di Civate Rimozione rifiuti, bonifica amianto, demolizione edifici e messa in sicurezza finale: ecco tutte le fasi di un complesso intervento in corso in pieno centro città in provincia di Lecco di Andrea Terziano
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i sta svolgendo proprio in queste settimane l’attività di decommissioning dell’area ex Star-Black&Decker di Civate (LC), un insieme di fabbricati in disuso da diversi anni, in pieno centro città. A guidare il cantiere, che ha aperto a dicembre dello scorso anno, è l’azienda vicentina Safond-Martini, da oltre 30 anni impegnata nel settore delle bonifiche ambientali, nel trattamento e smaltimento dei rifiuti industriali e nella riqualificazione di aree dismesse, il cui punto di forza
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consiste nell’operatività diretta delle diverse fasi (progettazione/cantieristica/smaltimento rifiuti) che compongono la totalità degli interventi di riqualificazione ambientale, chiudendo così la filiera delle attività e delle responsabilità collegate a questo tipo di lavori. Quest’area ha subìto, dopo la chiusura della Black&Decker, diverse vicissitudini, senza arrivare ad una soluzione che le permettesse di rimanere operativa e dal 2001 è inattiva e abbandonata. Onde renderla nuovamente uti-
lizzabile, la Curatela Fallimentare ha ritenuto importante effettuare un intervento di decommissioning e bonifica, rispondendo così positivamente alle istanze dell’Amministrazione comunale di Civate. La definizione sulla destinazione d’uso del luogo, infatti, dopo un lungo periodo di discussioni e riflessioni, non è ancora stata operativamente definita ma il Piano di Governo del Territorio già adottato dall’Amministrazione comunale considera tale area come strategica per la ricomposi-
zione dell’assetto urbano del paese, in quanto rappresenta una cerniera a ridosso del centro storico e su assi di collegamento, sia veicolare che pedonale, importanti. L’intervento di decommissioning si svolge in stretto coordinamento con il Comune di Civate e la società di ingegneria Tecno Habitat alla Direzione Lavori, particolarmente competente in tali interventi su tutto il territorio nazionale e in particolare nella Provincia di Lecco. “Siamo lieti di poter contribuire alla prima fase del processo di riqualificazione di questo sito, consistente nella bonifica ambientale e nella demolizione di tutte le strutture fuori terra” ha affermato Guido Zappa, Direttore Generale di Safond-Martini. “Nel merito dei lavori, possiamo senz’altro garantire il massimo livello di qualità sotto il profilo della sicurezza e della buona esecuzione, così come avviene da oltre 20 anni nei nostri cantieri.”
Il recupero di aree dismesse Il decommissioning e la riqualificazione dell’area dell’ex Star-Black&Decker sono un esempio di come realtà fortemente inserite in contesti urbani ma ormai abbandonate e degradate possano, con l’intervento sinergico di pubblico e privato, trasformarsi e diventare, o tornare, realtà fruibili dalla cittadinanza. Privilegiando il recupero di aree dismesse si evita il consumo di ulteriore suolo e si pone l’atten-
zione su porzioni di territorio che altrimenti sarebbero inutilizzabili e in degrado. Questa tipologia di recupero ambientale, applicata in grandi realtà urbane come Milano e hinterland, dove la presenza di aree dismesse è elevata, permetterebbe la rivalutazione di ampi spazi nell’interesse della collettività con la realizzazione, ad esempio, di strutture di edilizia abitativa per la terza età, strutture di housing sociale o spazi pubblici.
L’intervento di bonifica e demolizione Safond-Martini, utilizzando il know how acquisito nel corso degli anni in interventi similari, ha effettuato uno studio dell’area per individuare la migliore metodologia di bonifica e di demolizione degli edifici, in modo da rendere l’intervento meno invasivo possibile per il tessuto urbano circostante e per la mobilità del Comune di Civate. Il complesso degli edifici occupa una superficie rilevante di circa 6.500 mq e il cantiere, della durata di circa 7 mesi, prevede diverse fasi di intervento: una prima rimozione dei rifiuti vari presenti all’interno dei locali, la bonifica da lane minerali e amianto, per poi passare alla demolizione degli edifici e alla messa in sicurezza finale. Sono interventi particolarmente delicati, proprio per la contiguità con aree urbane edificate, che devono, quindi, essere svolti con idonee tecnologie atte a garantire
la salvaguardia della popolazione e dell’ambiente. Le prime fasi: rimozione dei rifiuti e bonifica
Dopo una prima fase, che si è concretizzata con i lavori di messa in sicurezza delle aree, strip out di elementi non strutturali (come pareti mobili, infissi e arredi), suddivisione dei rifiuti prodotti e smaltimento degli stessi, il cantiere è stato oggetto dei lavori di bonifica industriale che precedono la demolizione. Nello specifico, le attività hanno riguardato la bonifica da amianto in matrice friabile, presente sia sotto forma di elementi in componenti impiantistiche (locali tecnici come centrale termica, ascensore, forni di lavorazione), sia in diversi ambienti dell’edificio come materiale da costruzione (colle bituminose e pavimentazioni viniliche in amianto), e la bonifica da amianto in matrice compatta (tipo Eternit) che costituiva tutta la superficie a copertura dell’area. Come imposto dalla normativa vigente in materia di dismissione dei materiali contenenti amianto, e sicurezza e salute sui luoghi di lavoro, particolare attenzione e accuratezza sono state poste nell’allestimento di sei aree confinate, sia staticamente, mediante la sigillatura dei volumi con strati di polietilene, sia dinamicamente mediante l’installazione di estrattori d’aria atti a mantenere i volumi confinati in costante depressione rispetto agli
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ambienti esterni, all’interno delle quali è stata effettuata la bonifica dell’amianto in matrice friabile. Le aree sono state soggette a collaudo da parte dell’ASL di Lecco, territorialmente competente, e solo con il parere di idoneità delle stesse, si è proceduto ad avviare i lavori di rimozione amianto. Al termine della bonifica, l’ASL ha effettuato un secondo sopralluogo e, a seguito di monitoraggi ambientali con metodica di rilievo ed analisi che prevedono l’utilizzo di microscopi elettronici a scansione, ha restituito gli ambienti bonificati dando così il benestare a procedere con i lavori di demolizione. La demolizione
La fase di demolizione, in avvio in queste settimane, interesserà l’insieme di tutti i fabbricati emergenti fino a piano campagna (piano terreno o basamento), così come autorizzato dalla competente Soprintendenza Regionale ai Beni Architettonici e al Paesaggio.
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La demolizione verrà effettuata con escavatori meccanici cingolati di grande dimensione (360-450 q.li), dotati di martello e pinza idraulica. Si stima un volume di demolizione calcolato vuoto per pieno di circa 65.000 mc, corrispondenti ad un volume pieno di circa 6.500 mc da smaltire. Le demolizioni del camino e della torre adibita a cabina elettrica/trasformatori, saranno eseguite invece da un escavatore a braccio lungo in grado di raggiungere un’altezza di 22-24 metri. Le attività di decommissioning, con un piano della durata di circa 2 mesi, si compongono di due fasi: durante la prima fase, nel primo mese, verranno demoliti gli edifici limitrofi al cortile interno dell’area, mentre nella seconda parte delle attività, si demoliranno gli edifici prospicenti il fronte strada. La sequenza operativa prevista consentirà, nella prima parte di attività, di procedere alla demolizione posizionando gli escavatori sem-
pre all’interno del perimetro dello stabilimento, evitando in questo modo interferenze con la viabilità esistente e con gli edifici pubblici/ privati adiacenti, mantenendo sicuro l’affaccio principale sulla città. Nella seconda parte delle attività, invece, durante la demolizione dell’intera porzione direttamente sul fronte strada, sarà necessario modificare la viabilità ordinaria di Via del Crotto, la via adiacente il cantiere, con la creazione di un senso unico alternato sulla corsia più esterna rispetto allo stabilimento e in alcune giornate, che saranno comunicate in anticipo alla cittadinanza, sarà necessario disporne la completa chiusura. “Siamo inoltre ben consapevoli che questo sito è inserito in un contesto molto delicato. Saranno adottati questi particolari provvedimenti per la sicurezza nelle lavorazioni in quota, in particolare per la demolizione del camino, e fronte strada, in modo da garantire la massima tranquillità alla cittadinanza e il mi-
nor disagio possibile sulla viabilità di Civate” ha affermato Guido Zappa. Le attività di demolizione verranno eseguite in accordo con il Comune e con il Coman-
do di Polizia Municipale, onde creare il minor disagio possibile alla popolazione di Civate. La restituzione dell’area con conseguente messa in sicurezza verrà fatta secondo
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il progetto presentato all’Amministrazione Comunale di Civate, sezione Paesaggio, approvato dalla competente Soprintendenza Regionale.
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Nasce a Ceresara la Fabbrica Verde per valorizzare la frazione secca dei rifiuti Un innovativo impianto di trattamento meccanico biologico dei rifiuti con la vocazione di produrre un combustibile di qualità senza l’etichetta di rifiuto di Maria Beatrice Celino
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abbrica Verde, è questo il nome quanto mai evocativo dell’impianto inaugurato lo scorso marzo nel mezzo della campagna di Villa Cappella, nel Comune di Ceresara (MN). Mantova Ambiente, società del gruppo Tea, ha infatti realizzato un revamping quasi totale di un impianto preesistente, simile per tipologia ma che utilizzava tecnologie e sistemi ormai troppo datati, creando un’innovativa piattaforma per la valorizzazione della frazione secca della raccolta differenziata. Per scoprire qualcosa in più di questa Fabbrica Verde abbiamo visitato l’impianto e parlato con l’ing. Anzio Negrini, direttore di Mantova Ambiente, che ci ha presentato il processo e soprattutto il principio e la filosofia che hanno portato alla realizzazione della Fabbrica Verde.
L’impianto La Fabbrica Verde è un impianto di trattamento meccanico-biologico di rifiuti solidi urbani e speciali non pericolosi. In buona sostanza si propone come un processo di preparazione allo sfruttamento energetico della frazione combustibile contenuta nei rifiuti trattati, rifiuti che sono via via più selezionati, poiché la provincia di Mantova ha spinto fortemente sulla raccolta differenziata, realizzando dei risultati unici in Italia (oltre il 65% su base provinciale - dati al 31/12/12). Tutto questo ha portato ad una sensibile riduzione della frazione sec-
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ca, il cosiddetto “resto”, che viene trattato in quest’impianto, e che di fatto si presta a diventare in una percentuale pari a circa il 60%, una frazione di materiale combustibile. La proprietà si è molto concentrata sul fatto di conferire una qualità eccellente a questi materiali con lo scopo di migliorare l’accettabilità degli stessi presso gli impianti che li utilizzano a fini energetici, con conseguente riduzione dei costi di smaltimento poiché tali materiali diventano molto appetibili. La frazione umida, separata meccanicamente dai rifiuti in ingresso, viene stabilizzata all’interno di biocelle in atmosfera controllata con processo aerobico e viene utilizzata per recuperi ambientali di discariche, sia come copertura finale, sia come copertura definitiva nella fase precedente al recupero ambientale. In questo modo abbiamo ulteriormente ridotto la già modesta porzione di rifiuti portati a scarto che rappresenta circa un 25% rispetto alla totalità dei rifiuti raccolti, e il processo di stabilizzazione della frazione organica, l’umido, con l’eliminazione di gran parte dell’umidità contenuta e della CO2 riduce ulteriormente le quantità destinate alla discarica. L’impianto è progettato per trattare sino a 110.000 tonnellate all’anno su due turni da sei ore l’uno, è dimensionato per poter avere un’autonomia di stoccaggio delle quantità accettabili in ingresso di nove giorni, senza avere materiale
in uscita; in questo momento l’impianto risulta essere decisamente sotto utilizzato, poiché la riduzione dei rifiuti attuata con l’impulso dato alla raccolta differenziata fa sì che si abbia una disponibilità importante da mettere a disposizione anche di altri territori, ampliando il bacino di utenza del servizio offerto. Sul fronte degli smaltimenti nella provincia, Mantova Ambiente è piuttosto attrezzata, poiché dispone di una discarica con una disponibilità di circa 2,5 milioni di metri cubi, quindi un futuro piuttosto tranquillo sul fronte degli smaltimenti finali accoppiato ad un impianto con un’elevata potenzialità residua. La grande attenzione dedicata alla costruzione dell’impianto, fin dalla fase di progettazione curata internamente in azienda, è stata rivolta a tre aspetti prioritari. Il primo aspetto riguarda l’attenzione ambientale ed il rispetto per il territorio in cui andava ad inserirsi l’impianto. Come già detto nell’area era già presente un impianto e l’intervento effettuato rappresenta più che un revamping un completo rifacimento. L’impianto preesistente lavorava con un processo simile in via di principio, ma con una tecnologia basata su componenti vecchi di trentacinque anni. Quindi, la prima attenzione è stata rivolta a minimizzare l’impatto sull’ambiente rispettando il territorio e con riguardo alle condizioni di lavoro del personale addetto all’impianto stesso.
Il secondo aspetto è stato quello di cercare di limitare al minimo la movimentazione dei rifiuti con mezzi meccanici all’interno del processo, cercando quindi di automatizzare quanto più possibile il trasporto di materia. Il terzo infine è stato la ricerca di un processo che, con un occhio di attenzione al contenimento dei costi di trattamento, perseguisse l’obiettivo primario di mettere a disposizione degli utilizzatori un materiale facilmente e utilmente impiegabile nei processi di produzione dell’energia; spingendo questo tipo di scelta, si è cercato di arrivare a svincolarsi dall’etichetta “rifiuto” andando verso la produzione di un CSS “prodotto”. Da questo punto di vista ci sono ancora alcuni intoppi di tipo legislativo e normativo da superare ma la Fabbrica Verde è già pronta con un materiale che, nel momento in cui si potrà cambiargli l’etichetta, ha già le caratteristiche per poter essere trattato come un prodotto. Questa è la filosofia che Mantova Ambiente sta perseguendo da quando, cinque anni fa, ha costruito in un’altra sede un impianto di compostaggio che produce non più un rifiuto, bensì un prodotto. Risulta infatti iscritta all’albo dei produttori di fertilizzanti, e ciò che esce dall’impianto è un prodotto certificato dal Consorzio Italiano Compostatori, che viene venduto con soddisfazione ad una platea, per lo più agricoltori, non certo semplice da avvicinare soprattutto a causa di trascorsi avuti in
dipendenza dell’utilizzo di materiali non proprio ortodossi. “Noi riteniamo che questa tipologia di impianti sia la modalità giusta per dare prossimità fra il luogo di produzione e il luogo di pretrattamento del rifiuto e che più impianti di questa natura possano quindi risultare i fornitori del combustibile per impianti che saranno evidentemente superiori per taglia ma inferiori per quantità” ci ha spiegato Anzio Negrini. “Ci aspettiamo e ci auguriamo che i costi di smaltimento vadano via via diminuendo grazie al fatto che il materiale che forniamo in uscita risulta molto adatto all’utilizzo energetico, infatti numerose sono le manifestazioni di interesse da parte di operatori stranieri, sempre della UE, che ci offrono condizioni di smaltimento particolarmente vantaggiose” continua Negrini. “La convenienza può anche essere rappresentata dal fatto che, fra le alternative possibili, crediamo di poterci candidare fra quelli più economicamente interessanti oltre che ambientalmente più corretti. – conclude Anzio Negrini - Abbiamo puntato molto sulla qualità e in cuor nostro continuiamo ancora a credere che chi opera in questo settore così delicato abbia anche a cuore la correttezza ambientale dei propri interlocutori; da quel punto di vista noi dedichiamo molta attenzione e confidiamo che ciò possa risultare apprezzato anche da chi è del mestiere”.
Il processo Il rinnovato impianto di trattamento di Villa Cappella valorizza la frazione di residuo secco indifferenziato proveniente dalla raccolta differenziata dei rifiuti mantovani. Si tratta di una componente quantitativamente limitata, grazie all’efficacia della raccolta differenziata diffusa con modalità "domiciliare" in quasi tutto il territorio mantovano, da cui si possono però ottenere ancora prodotti utili: principalmente una frazione combustibile ed una residua frazione organica stabilizzata. La frazione combustibile (cosiddetto CSS, cioè combustibile di qualità) è la frazione più secca e leggera del rifiuto in ingresso. Tale materiale può essere impiegato in impianti produttivi (ad esempio nei cementifici), al posto dei tradizionali combustibili fossili. È stoccato in sei silos dal cui fondo viene insufflata aria calda (recuperata dagli impianti di raffreddamento delle macchine in funzione sull’impianto) che permette di conservarlo mantenendo costante la qualità del prodotto indipendentemente dalle diverse condizioni atmosferiche. Il biostabilizzato è la frazione più umida e pesante del rifiuto separata tramite vagliatura, destinata al trattamento di igienizzazione; viene stoccato in dieci biocelle all’interno delle quali vi è un sistema di insufflaggio a pavimento dell’aria recuperata da altre sezioni dell’impianto. Il tempo di permanenza in biocella è di due settimane, durante le quali il materiale
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raggiunge la temperatura di 54-56°C, che garantisce l’igienizzazione distruggendo gli agenti patogeni. Quando il processo è terminato il rifiuto è pronto per essere conferito in discarica, dove può essere valorizzato come copertura giornaliera limitando il consumo di terreno. Le caratteristiche dell’impianto sono sintetizzabili in: • linea principale di trattamento dei rifiuti; • sistema di recupero, ricircolo e depurazione dell’aria; • sistema di trattamento delle acque; • impianto elettrico ad alta efficienza energetica; • sistema di controllo ambientale costantemente attivo e monitorato 24 ore su 24.
TOSO, AFFIDABILITà ED EFFICIENZA NELLA REALIZZAZIONE DI MACCHINE E SISTEMI DI TRASPORTO, SMALTIMENTO E RICICLAGGIO Toso s.r.l., azienda nata nel lontano 1877 è impegnata dai primi anni ’90, con la collaborazione di partner d’avanguardia, nello sviluppo e realizzazione di macchine e sistemi di trasporto, di smaltimento e riciclaggio nei settori: ecologia, fonderia, meccanica, alimentare, tessile, chimica e laterizi. Nel corso degli ultimi 25 anni, l’azienda ha raggiunto risultati di affidabilità ed efficienza acquisendo una modularità costruttiva che ha come obiettivo la realizzazione ottimale in tempi brevi di macchine costruite su misura. Toso è in grado di fornire sia trasportatori singoli che sistemi completi di trasporto, separazione e vagliatura per il riciclaggio. L’azienda realizza anche elevatori a
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tazze e sistemi di trasporto a coclea ed assicura un’assistenza tecnica professionale sul modello Global Service oltre alla completa ricambistica. Lo staff tecnico e commerciale di cui si avvale nasce con l’intento di migliorare i vari processi, già disponibili sul mercato, di trasporto e movimentazione dei diversi materiali cercando di ridurre al minimo i costi di manutenzione e di gestione nelle varie linee di utilizzo. La forte applicazione nella ricerca e nello sviluppo, fanno dei nostri prodotti la scelta ideale per ogni cliente; ogni macchina costruita da Toso è esattamente il risultato di moduli rispondenti alle richieste specifiche del committente. Le attività si svolgono su un’area complessiva di circa 13.000 m² di proprietà.
Aria Nei punti delle linee produttive dove, con la lavorazione meccanica, è più probabile che si disperda della polvere, ad esempio nei salti di nastro, o sopra le tramogge delle macchine, è previsto un sistema di captazione e trattamento dedicato. L’aria polverosa viene collettata ed inviata ad un filtro a maniche che elimina le particelle sospese. Per recuperare e sfruttare al massimo l’energia termica resa disponibile dai sistemi di raffreddamento delle macchine, l’aria così trattata viene riscaldata in scambiatori ariafluido ed insufflata nei silos di stoccaggio della frazione combustibile per conservarne la qualità. Prima dell’emissione in atmosfera l’aria attraversa un biofiltro, composto da una vasca coperta riempita con materiale vegetale. L’aria attraversa lo strato legnoso e con l’attività dei micro-organismi, che in determinate condizioni di umidità colonizzano naturalmente il materiale biofiltrante, le sostanze odorigene vengono metabolizzate garantendo la depurazione completa dell’aria.
Acqua L’impianto è dotato di quattro linee di trattamento delle acque: meteoriche dai tetti, di dilavamento dei piazzali, percolati da processo, reflue da servizi al personale. Le acque meteoriche che cadono sui tetti, e quindi non contaminate, vengono scaricate direttamente nel prospiciente canale Osone; quelle di dilavamento piazzali invece, potenzialmente contaminate, vengono separate e convogliate in vasche di “prima pioggia” e “seconda pioggia”. La “prima pioggia” viene temporaneamente stoccata in attesa di analisi e sulla base delle evidenze analitiche, segue il percorso previsto per le acque di “seconda pioggia” o del percolato. La “seconda pioggia” viene inviata ad una vasca di laminazione e sedimentazione, per poi essere pompata ad un disoleatore e dissabbiatore prima di essere scaricata in corpo d’acqua superficiale. Il percolato, invece, costituito dalle acque derivanti dal trattamento e dalla movimentazione del rifiuto, tramite un’autonoma rete di raccolta, viene inviato ai serbatoi di stoccaggio posizionati, a garanzia della massima sicurezza ambientale, all’interno di un bacino di contenimento. Il percolato viene successivamente caricato su autobotti ed inviato a specifici impianti per il trattamento finale. Infine le acque reflue degli spogliatoi, in tutto assimilabili a quelle domestiche, vengono smaltite in loco tramite un metodo naturale e sicuro: la "subirrigazione".
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TEUMAN, LA RISPOSTA AI PROBLEMI DELLA RACCOLTA , TRASPORTO, STOCCAGGIO E SELEZIONE RIFIUTI Teuman Snc ha progettato e realizzato per Unieco (Mantova Ambiente) un sistema innovativo di alimentazione a pianale mobile che permette di muovere masse pesanti di rifiuto e di poterle dosare in modo uniforme. In questo caso specifico si trattava di alimentare un trituratore a doppio albero che provvedeva alla triturazione del materiale stesso, per poi essere trasferito all’impianto di trattamento. Teuman Snc ha progettato e realizzato per sistema, Uniecooltre (Mantova un sistema innovativo di alimentazione a pianale mobile Questo ad avere Ambiente) un che permette di muovere masse pesanti di rifiuto e di poterle dosare in modo uniforme. In questo caso specifico si trattava di buon risultato come impianto dosaalimentare un trituratore a doppio albero che provvedeva alla triturazione del materiale stesso, per poi essere trasferito all’impianto tore, è ottimale anche per lo stoccagdi trattamento. gio del materiale. Con un sistema di Questo sistema, oltre ad avere un buon risultato come impianto dosatore, è ottimale anche per lo stoccaggio del materiale. Con un sensori è possibile tenere il cassone sistema di sensori è possibile tenere il cassone a livello in modo tale da gestire in automatico sia il riempimento che il dosaggio in a livello in modo tale da gestire in uscita. Tutto questo è azionato da un gruppo idraulico movimentato da una centralina che può essere progettata e dimensionata automatico sia il riempimento che il per diverse tipologie di impianto. dosaggio in uscita. Tutto questo è azionato da un gruppo idraulico movimentato da una Teuman Snc possiede un’esperienza decennale nella costruzione di sistemi e tecnologie destinati a risolvere il problema della centralina che può essere progettata e dimensionata per diverse tipologie di impianto. raccolta, trasporto, stoccaggio e selezione rifiuti ed è in grado d'intervenire in assistenza con la massima professionalità e Teuman possiede un’esperienza decennale nella costruzione di sistemi e tecnolocompetenza. gie destinati a risolvere il problema della raccolta, trasporto, stoccaggio e selezione rifiuti ed è in grado d'intervenire in assistenza con la massima professionalità e competenza.
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PRB A FERRO ZEROVALENTE E RIDUZIONE CHIMICA IN SITU Applicazione congiunta di tecniche di bonifica in-situ per il contenimento del plume e la rimozione della sorgente in un sito contaminato da solventi clorurati di Valerio Zolla e Antonio Di Molfetta*
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e fino ad alcuni anni fa le barriere permeabili reattive (PRB) erano considerate ancora allo stato sperimentale, oggi sono ormai una tecnologia consolidata e largamente diffusa. Il principio di funzionamento
Figura 1. Lavori di esecuzione della PBR funnel & gate
è relativamente semplice: del materiale reattivo e permeabile viene posto all’interno del sistema acquifero, in modo da essere attraversato dall’acqua contaminata che si muove per effetto del gradiente naturale; nella fase
di attraversamento della barriera, i contaminanti vengono degradati dal mezzo reattivo. Il materiale più comunemente utilizzato è il ferro metallico granulare, comunemente detto ferro zerovalente (ZVI), che grazie alle sue proprietà riducenti permette di trattare numerose tipologie di solventi clorurati. La tecnologia si configura quindi come un intervento completamente di tipo passivo, integralmente realizzato in situ e dai costi di gestione pressoché nulli, limitati alle sole attività di monitoraggio. Ad oggi, secondo l’ultimo rapporto dell’Interstate Technology & Regulatory Council americano, nel mondo esistono circa 200 installazioni full-scale di barriere permeabili reattive. In Italia, la prima PRB a ferro zero valente è stata realizzata nel 2004, in Provincia di Torino, e per molti anni è stato l’unico intervento di questo tipo eseguito nel nostro Paese. Recentemente però la tecnologia sembra aver ricevuto un nuovo impulso, che tra il 2012 e il 2013 ha portato alla realizzazione di altri due interventi analoghi e all’approvazione di un terzo, attualmente in fase di realizzazione. Un potenziale limite della tecnologia è dato dalla longevità del mezzo reattivo. Infatti, come è noto, i solventi clorurati sono contaminanti particolarmente persistenti, in grado di alimentare l’inquinamento della falda per tempi lunghissimi; per contro, nel corso degli
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anni la reattività del ferro zero-valente tende a diminuire. Se nel frattempo non si interviene in modo da ridurre l’apporto di inquinanti dalla sorgente, in futuro potrebbe essere necessario rigenerare o sostituire il materiale reattivo. Una soluzione al problema è stata data dai recenti sviluppi della tecnologia, che consistono nell’impiego di particelle di ferro di dimensioni micro e nanometrica (MZVI e NZVI). Il diametro estremamente ridotto delle particelle (da 10 a 100 nm per il NZVI e da 100 nm a 100 μm per il MZVI) rende possibile l’iniezione del materiale reattivo nel sistema acquifero senza necessità di scavo. In tal modo viene generata una zona reattiva che permette il trattamento diretto della sorgente, e non solo del plume, riducendo pertanto i tempi di bonifica. Poiché anche in questo caso si sfrutta il potere riducente del ferro zero-valente, l’intervento si configura come una riduzione chimica in situ (ISCR). L’impiego combinato delle due tecnologie (PRB e ISCR) si presta particolarmente bene all’esecuzione di interventi integrati di bonifica, in grado di rispondere alla duplice esigenza di arrestare, nell’immediato, la propagazione verso valle dei contaminanti e, nel frattempo, di trattare la sorgente al fine di ridurne i rilasci. Il caso applicativo presentato in questo articolo rappresenta un ottimo esempio di integrazione fra le due tecnologie: esso si riferisce ad un intervento di messa in sicurezza operativa recentemente realizzato in Italia su progetto degli scriventi.
Figura 2. Schema realizzativo dei gate reattivi
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CARATTERISTICHE DEL SITO L'intervento è stato realizzato in un sito industriale con attività produttive in corso, ubicato in provincia di Ferrara. Dal punto di vista idrogeologico, nel sito si possono individuare due corpi acquiferi distinti, separati da uno strato di argille consolidate, impermeabili, aventi una potenza media di circa 7 m. I depositi che ospitano le acque della falda superficiale sono caratterizzati da una notevole eterogeneità: in alcuni sondaggi sono stati osservati spessori di materiali sabbiosi, mentre in altri prevalgono le frazioni limoso-argillose. In funzione della frazione granulometrica prevalente, la conducibilità idraulica di tali depositi risulta variabile tra 10-8 e 10-5 m/s: la circolazione idrica sotterranea risulta quindi piuttosto debole e avviene preferenzialmente all’interno delle intercalazioni più sabbiose. La superficie freatica è stata rinvenuta alla profondità di circa 1 m dal piano campagna. A seguito delle indagini di caratterizzazione, la falda superficiale è risultata contaminata da solventi clorurati, in concentrazioni tali da non determinare superamenti dei valori limite di esposizione professionale, ma comunque superiori alle CSR individuate dall'analisi di rischio. In particolare, l’area di sorgente risultava caratterizzata da elevate concentrazioni di cloruro di vinile, con valori prossimi a 1000 μg/l. In corrispondenza del settore settentrionale dello stabilimento, il plume di contaminazione è risultato esteso fino al limite di proprietà del sito. Prendendo atto di tali risultati, l’azienda ha stabilito di effettuare un duplice intervento, finalizzato da un lato a confinare il plume di contaminazione entro il perimetro del sito e, dall’altro, ad individuare tramite test pilota la migliore tecnologia di bonifica applicabile per ridurre la concentrazione alla sorgente.
CONTENIMENTO DEL PLUME - PRB La progettazione della PRB è stata supportata da una serie di approfondimenti, finalizzati a completare l’acquisizione dei dati progettuali. Questi hanno compreso numerose prove di falda (slug-test) per ricostruire la distribuzione della permeabilità nell’acquifero e l’esecuzione di una prova in colonna, a cura dell’Università La Sapienza di Roma, per determinare le cinetiche di degradazione dei solventi clorurati da parte del ferro zero-valente. Sulla base dei risultati ottenuti è stato elaborato un modello numerico di flusso, con il quale è stato possibile simulare l’influenza della PRB sulla piezometria dell’acquifero e verificarne l’area di cattura, tenendo conto dell’eterogeneità del complesso litologico e della variazione dei parametri idrodinamici. La migliore soluzione di intervento è stata individuata in una PRB di tipo Funnel&Gate, in cui una barriera impermeabile (Funnel) viene utilizzata per indirizzare il flusso dell’acqua dalla zona contaminata verso una zona di trattamento permeabile (Gate). Il Funnel impermeabile si estende per circa 220 m di lunghezza, al fine di intercettare completamente il plume di solventi clorurati, ed è posto in posizione tale da intercettare l’intero plume inquinante. Esso è formato da una paratia di palancole metalliche infisse nel terreno: per garantire la tenuta idraulica della paratia, sui giunti tra le palancole è stato applicato un sigillante atossico, a base di gomma sintetica idroespansiva. All’interno della PRB sono stati realizzati tre gate permeabili reattivi, a ferro zerovalente, ciascuno avente un’ampiezza di 3 m e una profondità di 5,5 m, in modo da penetrare per almeno 60 cm nella base impermeabile dell’acquifero. I primi monitoraggi eseguiti al termine dell’intervento hanno già evidenziato una degradazione degli inquinanti da parte dei gate reattivi. L’effettiva efficacia dell’intervento dovrà poi essere verificata nel medio-lungo periodo, anche in ragione della bassa velocità di flusso che caratterizza la falda.
TRATTAMENTO DELLA SORGENTE - ISCR Sulla sorgente di contaminazione è stato eseguito un intervento pilota di riduzione chimica
Figura 3. Intervento pilota di riduzione chimica in situ
in situ, mediante l’iniezione in falda di una miscela reagente a formulazione brevettata. Tale prodotto è composto da ferro zerovalente e da materiale organico a lento rilascio di car-
bonio, che permette di degradare direttamente i solventi organoclorurati per via abiotica e, al contempo, di favorire i processi, spesso già in atto, di biodegradazione anaerobica.
Figura 4. Risultati dei controlli analitici successivi all’intervento pilota
Ai fini del test pilota sono state realizzate 6 postazioni di iniezione multilivello, ciascuna dotata di 8 valvole di iniezione poste ad intervalli di 0,5 m tra 1,0 a 4,5 m di profondità dal piano campagna. Il reagente è stato iniettato sotto forma di sospensione acquosa, preparata in campo miscelando il prodotto al 25% con acqua potabile. La sospensione così ottenuta è stata iniettata in falda mediante una pompa a pistone, in grado di erogare una portata di 30 l/min e di raggiungere una pressione di circa 70 bar. Complessivamente sono stati iniettati 600 kg di prodotto secco, equamente distribuito tra le diverse postazioni di iniezione e lungo la profondità. Come accennato in precedenza, l’area di intervento risultava caratterizzata da tenori molto elevati di cloruro di vinile, prossimi a 1000 μg/l. Tale composto in realtà non è mai stato utilizzato nel ciclo produttivo dello stabilimento: la sua presenza in falda è integralmente dovuta al processo di declorazione anaerobica riduttiva, operato dalla popolazione microbica indigena, che genera cloruro di vinile quale prodotto intermedio di reazione. Concentrazioni così elevate indicano generalmente che, sebbene i processi di biodegradazione siano già in atto, la popolazione microbica indigena non è in grado di completare la trasformazione degli idrocarburi clorurati ad idrocarburi non clorurati. In tali situazioni, può essere opportuno migliorare l’efficacia del processo di dealogenazione mediante l’inoculo di specifiche colture batteriche. Al dosaggio di reagenti è stato quindi accoppiato un intervento di bioaugmentation, mediante l'inoculo di batteri dealococcoidi, in grado di degradare completamente un vasto numero di composti organo-alogenati. Nei dodici mesi successivi all’intervento sono state regolarmente monitorate le concentrazioni dei solventi clorurati, insieme ad altri parametri indicatori. Tali controlli hanno evidenziato un abbattimento di circa il 90% della massa inquinante, che ha consentito di portare la concentrazione di inquinanti a livelli ampiamente inferiori alle CSR calcolate dall’analisi di rischio. * Bortolami – Di Molfetta s.r.l.
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organizzato da IWWG . International Waste Working Group sede Isola di San Servolo . Venezia 17-20 Novembre 2014
quINto SImpoSIo INtERNAZIoNALE Su ENERgIA DA BIomASSE E RIfIutI
VENICE 2014
COMITATO SCIENTIFICO
William P. CLARKE, University of Queensland (AU) • Raffaello COSSU, Università di Padova (IT) • Luis F. DIAZ, CalRecovery Inc., Concord, CA (US) • Toshihiko MATSUTO, University of Hokkaido (JP) • Michael NELLES, University of Rostock (DE) • Rainer STEGMANN, Hamburg University of Technology (DE)
segretario scientifico: Roberto RAGA, Università di Padova (IT)
PRESENTAZIONE
La produzione di energia da fonti alternative e il suo impatto sui cambiamenti climatici sono tra i principali strumenti strategici implicati nello sviluppo sostenibile della nostra società. Lo scopo del Simposio Venice 2014 - Quinto Simposio Internazionale su Energia da biomasse e rifiuti è quello di focalizzare l’attenzione sugli sviluppi delle tecnologie di produzione di energia da rifiuti e biomasse, evidenziare ed analizzare i progressi compiuti nell’applicazione di tali tecnologie e promuovere la discussione su argomenti quali l’affidabilità dei processi, la loro applicazione su larga scala, i potenziali impatti ambientali ed effetti sulla salute, l’informazione ed il consenso dei cittadini. La quarta edizione del Simposio, tenutasi nel 2012, ha visto la partecipazione di circa 580 scienziati ed operatori provenienti da oltre 60 diversi paesi del mondo. Il Simposio avrà una durata di quattro giorni e comprenderà sessioni orali, sessioni poster, un’esposizione commerciale di aziende ed enti che operano nel settore e visite tecniche. L’evento è organizzato da International Waste Working Group (IWWG), con il supporto scientifico delle Università di Hokkaido, Queensland, Padova, Rostock, Trento e l’Università Tecnica di Amburgo.
TEMI
Caratterizzazione di biomasse e rifiuti come potenziale fonte energetica • Carburanti da fonte rinnovabile (biodiesel, bioetanolo, liquefazione di gas, idrogeno) • Digestione anaerobica • Combustibile Derivato dai Rifiuti (CDR) • Trattamenti termici (combustione, pirolisi, gassificazione e altri) • Aspetti economici • Strumenti decisionali • Politiche ed aspetti legali • Cambiamenti climatici e Carbon Sink • Aspetti ecotossicologici e problematiche sanitarie • Consenso pubblico • Esperienze e nuovi sviluppi • Paesi in via di sviluppo
SEDE DEL SIMPOSIO
L’isola di San Servolo è situata nella laguna di Venezia, tra l’isola del Lido e il centro di Venezia, a dieci minuti di traghetto da Piazza San Marco. Dopo la chiusura dell’ospedale psichiatrico, avvenuta nel 1978, l’isola di San Servolo è stata acquistata, unica tra le isole della laguna, dalla Provincia di Venezia che ne ha ricavato una struttura d’eccellenza per convegni, seminari di formazione ed eventi culturali. L’isola ospita inoltre la International University of Venice. L’intero complesso monumentale dell’isola, patrimonio storico, architettonico e culturale di indiscusso valore, è immerso in uno splendido parco di alberi centenari. Con le sue numerose sale congressi e l’annessa struttura ricettiva di oltre 300 posti letto il Centro Congressi San Servolo è oggi uno tra i principali centri congressuali e di formazione della città di Venezia e rappresenta il luogo ideale per lo svolgimento del Venice 2014.
INFO
Per maggiori dettagli o chiarimenti sull’iscrizione al Simposio e sul suo svolgimento, si prega di contattare la Segreteria Organizzativa EUROWASTE srl • via B. Pellegrino, 23 • 35137 Padova (IT) tel. +39.049.8726986 • e-mail: info@eurowaste.it o visitare il sito: www.venicesymposium.it
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LA RIQUALIFICAZIONE AMBIENTALE E PAESAGGISTICA DELLA EX DISCARICA DI CILIVERGHE UN GRANDE PARCO SU UNA DISCARICA CHIUSA CON COLTIVAZIONI DI GIRASOLE, CAMPI DI FITODEPURAZIONE DEL PERCOLATO, PANNELLI FOTOVOLTAICI, LAGHETTI, AREE PER LA SOSTA E ITINERARI TEMATICI di Anna Artuso e Elena Cossu*
L
a riqualificazione di una discarica rappresenta l’occasione per una ricomposizione qualificata del territorio, dove le modalità di gestione dell’impianto e le attività di ripristino ambientale possono costituire un importante strumento per costruire una destinazione d’uso. Le opzioni che portano ad una nuova funzionalità dello spazio devono passare attraverso un processo decisionale che valuti la miglior scelta finale in termini di recupero del territorio, impatto sul paesag-
Figura 1. Vista generale della discarica
gio, sostenibilità ambientale e consenso collettivo. I casi realizzati di riqualificazione di aree di discarica tengono conto di questi aspetti solo marginalmente. La tendenza generale, nel nostro Paese, è quella di intervenire con progetti che prevedono semplici rinverdimenti delle aree in esame e che raramente tengono conto di un effettivo riutilizzo funzionale delle stesse. In altri paesi, grazie anche ad un approccio culturale profondamente diverso, c’è
una maggior attenzione a questo aspetto e le vecchie discariche vengono spesso utilizzate per realizzare parchi urbani con funzioni ricreative e sportive. In questo contesto si pone, con un approccio virtuoso e piuttosto raro per una realtà italiana, l’attuale Amministrazione di Mazzano, un Comune in Provincia di Brescia che ha sostenuto un ambizioso progetto di riqualificazione territoriale per risolvere le problematiche ambientali della discarica e al contempo realizzare una trasformazione sul territorio di valore paesaggistico e funzionale. Il progetto, realizzato dallo Studio Arcoplan in collaborazione con le Università di Padova e Brescia, prevede la riqualificazione della ex discarica di Ciliverghe attraverso una pluralità di interventi di carattere innovativo. In particolare, il progetto propone di integrare aspetti paesaggistici, ambientali ed energetici restituendo al territorio un grande parco fortemente connotato dal tema delle energie rinnovabili. Da zona periferica di degrado a luogo della socializzazione e ricreazione: la trasformazione dell’area in un parco amplierà le possibilità per le popolazioni locali di usufruire di nuovi spazi verdi in grado di ospitare attività di socializzazione, didattiche e di ricreazione, contribuendo così anche ad un miglioramento della qualità della vita.
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CARATTERISTICHE DEL SITO E OBIETTIVI DEL PROGETTO La ex discarica di Ciliverghe sorge in prossimità del centro abitato di Mazzano, si estende su una superficie di 10 ettari, raggiunge un’altezza massima di circa 15 metri dal piano campagna e i rifiuti smaltiti superano il milione di tonnellate. La discarica, chiusa ai conferimenti nel 1992, si trova in fase di post-gestione, ed è caratterizzata da una produzione di percolato pressoché costante e dalla presenza di una minima quantità di biogas. I numerosi ristagni d’acqua in corrispondenza delle aree depresse dovute agli assestamenti del terreno e l’inadeguatezza delle reti di drenaggio delle acque piovane determinano una continua infiltrazione di acqua nel corpo discarica, con una conseguente abbondante produzione di percolato. Attualmente l’area occupata dalla discarica si presenta come una collina a verde, scarsamente alberata, recintata e ben mantenuta, ma senza alcun utilizzo funzionale (Figura 1). Il progetto pertanto è stato sviluppato alla luce dei seguenti obiettivi: • controllare la quantità e la qualità del percolato prodotto. Si realizza una copertura in terra e argilla per limitare le infiltrazioni di acqua e la conseguente produzione di percolato, e si associa un intervento di aerazione della massa dei rifiuti per migliorare la stabilità biologica e abbattere il potenziale inquinante del materiale accumulato;
• garantire la sostenibilità ambientale della discariche, raggiungendo, attraverso l’innovativo sistema dell’aerazione in situ, una qualità finale in equilibrio con l’ambiente; • produrre energia rinnovabile e rendere il sito autosufficiente dal punto di vista energetico. Sulla discarica si installano pannelli fotovoltaici e si coltivano piante con semi oleosi per la produzione di biodiesel; • ridurre la produzione di gas serra. L’aerazione in situ ossida la sostanza organica e previene la produzione di biogas (60% CH4, 40% di CO2); l’uso di energia solare riduce la produzione di CO2; • trattare il percolato di nuova generazione in situ con bassi consumi di energia. Si realizza un trattamento di fitodepurazione con le essenze oleose coltivate; • creare nuove funzionalità sulla discarica chiusa che arricchiscano il valore del territorio. Si realizza un Parco con messa a verde impiegando le stesse piante oleose e piante strutturanti per i declivi, percorsi pedonali e ciclistici, laghetti a funzione ricreativa; • controllare i consumi idrici per l’irrigazione delle aree a verde e per l’umidificazione del deposito dei rifiuti, mediante ricircolo di acqua piovana e accumulo nel laghetto.
Figura 2. Profilo di progetto del terreno. Sezione trasversale della discarica
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GLI INTERVENTI DI PROGETTO Il progetto per la ex discarica di Ciliverghe propone la riqualificazione dell’area attraverso la risagomatura del corpo discarica, la predisposizione di prati di fitodepurazione del percolato, un intervento di aereazione in situ per accelerare e completare la stabilizzazione dei rifiuti alimentato da un impianto fotovoltaico, e si completa con la realizzazione di un grande Parco. Il progetto prevede di realizzare gli interventi di seguito illustrati. Aerazione in situ
Tra i possibili trattamenti per il controllo dei processi di degradazione biologica dei rifiuti, l’aerazione in situ è una tecnologia applicata e consolidata a livello internazionale. Il sistema prevede l’insufflazione di aria a bassa pressione, la contemporanea aspirazione del gas di processo e l’eventuale emungimento del percolato presente in discarica. La circolazione di aria all’interno della discarica permette lo sviluppo di processi aerobici di biodegradazione della sostanza organica, accelerando la stabilizzazione e l’assestamento dei rifiuti, riducendo drasticamente la produzione di metano e sostanze odorigene e migliorando la qualità del percolato prodotto, con una consistente riduzione dell’impatto ambientale e dei costi di post gestione della discarica. Tale tipologia di intervento agisce direttamente sulla fonte delle emissioni incontrollate di
biogas e percolato e garantisce un risanamento definitivo del sito, evitando che problemi ambientali possano comparire nel futuro, a distanza di anni dall’intervento. L’impianto funzionerà grazie all’energia prodotta dai pannelli fotovoltaici presenti sulla superficie della discarica stessa. Risagomatura della discarica e intervento sul paesaggio
Si prevede la risagomatura della discarica con la predisposizione di una nuova copertura, realizzata tramite la stesura di uno strato di 30 cm di argilla e 50 cm di terreno su tutta l’area. Con la copertura si raggiunge l’obiettivo di limitare le quantità di percolato, consentendo un’infiltrazione controllata di acqua necessaria per garantire la degradazione dei rifiuti, evitandone, al contempo, la mummificazione come si ha con le normali coperture sigillanti. La rimodellazione del paesaggio si consegue grazie ad un sistema di terrazze, coltivate e alberate, intercalate da un percorso a zig-zag. Il terrazzamento, segno antropico evidente e riconoscibile, si configura come l’elemento chiave per integrare funzionalmente e visivamente l’area con il suo intorno e per consentire la piantumazione delle colture in piano (Figura 2). Il progetto del verde è complementare alla sistemazione morfologica dell’area e tiene conto delle inquadrature prospettiche maggiormente visibili dall’esterno, valorizzando principalmente la vista sulla discarica che si offre al passante dalla viabilità principale. Le scarpate dei terrazzamenti saranno piantumate prevalentemente con specie autoctone e colture ligno-cellulosiche disposte in filari. Le parti in piano invece saranno coltivate con colture oleoginose quali colza, girasole e soia (Figura 3).
L’intervento sul paesaggio risulterà di particolare impatto proprio percorrendo la tangenziale, grazie alla scelta delle piante sul versante Sud Ovest che, con abbondanti fioriture, offriranno visuali di grande effetto per tutta la stagione primaverile ed estiva. In autunno e in inverno lo scenario sarà quello dei campi coltivati in riposo vegetativo e che quindi bene si inserisce nel contesto paesaggistico di riferimento. Coltivazioni di energy crops e prati di fitodepurazione
La riqualificazione energetica della ex discarica di Ciliverghe prevede più linee di intervento e tra queste l'utilizzo di colture energetiche (energy crops) sulla discarica. Parte di tali colture verranno irrigate con il percolato della discarica stessa, attuando così un trattamento in situ di fitodepurazione. Grazie alla presenza delle piante, il percolato subirà inoltre una notevole riduzione in termini quantitativi per effetto dell'evapotraspirazione. Un impianto pilota di fitodepurazione consentirà di testare l’irrigazione con percolato delle colture energetiche, prima di intervenire in piena scala. Il sistema di irrigazione con percolato verrà attivato dopo l'avvio dell'aerazione in situ. Il percolato, prodotto a valle del trattamento di aerazione in situ che ne abbatte notevolmente i carichi inquinanti, rimane comunque un refluo ricco di elementi nutritivi (azoto, fosforo, ecc.) utili per la crescita delle piante, elementi che lo rendono appetibile come fertilizzante, ma contiene ancora una certa quantità di sostanze critiche e deve essere adeguatamente somministrato alle colture. La quantità di percolato da irrigare così come il livello piezometrico all'interno delle vasche, saranno quindi valutati, insieme alle condizioni meteoclimatiche, attraverso i risultati ottenuti dall'impian-
to pilota di fitodepurazione, che fornirà gli elementi necessari per determinare i modi e i tempi dell'irrigazione, monitorando la resistenza delle piante a percentuali sempre crescenti di percolato in alimentazione. Le colture energetiche che ci si propone di utilizzare sono piante che possono essere sfruttate per la produzione di energia attraverso l'utilizzo dei loro semi per ottenere biodiesel oppure per la produzione di energia termica attraverso lo sfruttamento della parte legnosa. La coltivazione di tali piante su un terreno non agricolo, ma anzi in parte già compromesso, offre la duplice opportunità di riqualificare un sito che ha perso valore economico e sociale e di produrre energia senza l'occupazione di prezioso suolo agricolo. Nel rispetto del progetto di risagomatura della discarica e della copertura, le aree che verranno dedicate alla coltivazione delle colture energetiche per la produzione di biodiesel saranno inserite nel versante sud-ovest all'interno dell'area verde e sulla sommità della discarica. Le zone di fitodepurazione ricavate dai terrazzamenti sono vasche impermeabilizzate, con argilla dallo spessore di 30 cm sulla base e sui lati, e riempite rispettivamente con uno strato di tessuto non tessuto, uno strato di ghiaia e uno strato di terreno vegetale (Figura 4). Impianto pilota di fitodepurazione
Il percolato è un refluo che subisce nel tempo notevoli variazioni quantitative e qualitative anche all'interno della stessa discarica. Prima di intervenire con l'irrigazione a pieno campo è necessario definire quindi i tempi e i modi dell'irrigazione, in funzione anche della capacità fitodepurante degli energy crops scelti.
Figura 3. Colza, Girasole e Soia: colture energetiche oleaginose coltivate sulle parti in piano dei terrazzamenti
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Campo fotovoltaico sulla discarica
LA FITODEPURAZIONE DEL PERCOLATO CON ENERGY CROPS Il problema della difficile trattabilità del percolato risiede nel fatto che le sue caratteristiche quantitative e qualitative variano notevolmente nel tempo, e i processi di depurazione, che possono garantire un’efficiente e continua rimozione delle sostanze inquinanti, sono normalmente molto complessi e gravosi energeticamente. In tale contesto la fitodepurazione del percolato è una valida alternativa rispetto agli altri processi, che consumano maggiori quantità di energia e sono di più difficile gestione. La fitodepurazione del percolato è stata già efficacemente utilizzata a valle di pretrattamenti di tipo chimico/fisico sia con percolati giovani che vecchi. Attualmente è inoltre possibile combinare un’efficiente rimozione degli inquinanti con la produzione di una potenziale sorgente di energia, quale la produzione di legno da coltivazioni a corta rotazione o di biodiesel da colture energetiche. Mentre la prima possibilità è già stata ampiamente sfruttata, l'utilizzo delle piante oleoginose sia per il fitotrattamento che per il recupero di energia è un aspetto innovativo nel settore del rispristino ambientale (prof. Maria Cristina Lavagnolo). Le precedenti applicazioni hanno utilizzato in forma di scala pilota colture energetiche quali girasole, colza e soia con risultati che hanno comportato fino al 90% di rendimento di rimozione del carico inquinante, sia in termini di sostanza organica che di nutrienti, con produzioni di biomassa vegetale simili a quelle in campo irrigate ad acqua.
Questi elementi saranno oggetto di calibra- in calcestruzzo, riempiti con diversi materiazione attraverso l'utilizzo di un impianto pilota li sciolti per un'altezza di circa 50 cm e da di fitodepurazione. uno strato di terreno vegetale di 50 cm, in L’impianto sarà costituito da 4 vasche in modo da verificare la miglior combinazione cls, impermeabilizzate e riempite di mate- in termini di attecchimento delle piante e di riale inerte per un’altezza di 50 cm (ghiaie) rendimenti depurativi. e da uno strato di terreno vegetale di h. 50 L'impianto verrà alimentato in fase iniziale cm, in cui si sviluppano le radici di macrofite con una definita percentuale di percolato in emergenti. Occuperà una superficie di 100 miscela ad acqua; tale percentuale sarà aum2 e verrà inserito nell’area dedicata agli im- mentata nel tempo, in relazione alla risposta pianti. L'impianto sarà costituito da diversi delle piante e ai rendimenti ottenuti. moduli di fitodepurazione, in verticale per l'ossidazione dell'ammoniaca e in orizzontale per il finissaggio, che potranno essere fatti funzionare in serie o in parallelo secondo la modalità di gestione, che si riterrà opportuno valutare durante la fase di simulazione del trattamento. I singoli moduli saranno costruiti Figura 4. Sezione e stratigrafia del terrazzamento
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Il progetto prevede la realizzazione di un impianto fotovoltaico integrato con le caratteristiche morfologiche, funzionali e ambientali del sito. Il principale obiettivo è quello di rendere il più possibile autonomo dal punto di vista energetico il complesso di impianti previsti nell’ambito del progetto di riqualificazione ambientale dell’area. A tale scopo è stata valutata la soluzione di impianto più conveniente, compatibilmente con il profilo di carico delle utenze e con le disposizioni di legge relative all’utilizzo e incentivazione dell’energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili. L’impianto, con potenza nominale di 200 kWp, opererà in regime di scambio sul posto per i primi 7 anni e, successivamente, in regime di ritiro dedicato da parte del GSE; sarà in grado di rendere il parco autonomo dal punto di vista energetico, con la possibilità di asservire anche altre utenze del Comune e assicurando energia elettrica per almeno 20 anni. Verrà dotato di un metodo di posa innovativo, tramite tensostrutture metalliche, per assecondare gli eventuali assestamenti e cedimenti del terreno a seguito dell’intervento di aerazione in situ.
RIUTILIZZO FUNZIONALE DELL’AREA: IL PARCO Le attività e le funzioni previste all’interno dell’area sono state concepite in maniera sinergica al progetto del verde e sono state distribuite come mostrato nella planimetria
Figura 5. Planimetria generale del progetto di riqualificazione (1. Coltivazioni di girasole, 2. Terrazzamenti e prati di fitodepurazione coltivati con soia, colza e girasole, 3. Filari di colture energetiche ligno-cellulosiche, 4. Impianto pilota di fitodepurazione, 5. Impianto fotovoltaico, 6. Laghetto interno alla discarica per l’accumulo delle acque piovane, 7. Area parco attrezzata con percorsi ciclopedonali, itinerari tematici, punti di sosta, percorso vita, 8. Lago artificiale a funzione ricreativa collettiva)
generale di Progetto (Figura 5) per una completa accessibilità dell’area. La fruibilità del Parco è stata pensata per consentire sia l’accesso da parte di visitatori (anche nell’ambito di visite tecniche guidate) sia l’accesso degli addetti ai lavori e dei veicoli per le varie manutenzioni. All’interno del Parco saranno predisposti percorsi ciclopedonali, itinerari tematici con punti di sosta e osservazione, se-
dute in legno e un percorso vita. Si prevede un’ulteriore piantumazione del lato nord dell’area, a integrazione del disegno del verde, con specie arboree in associazione boschiva integrate con specie arbustive autoctone, con caratteristiche tali da garantire un rapido attecchimento e un veloce inserimento ambientale del sito nel territorio circostante. A tal proposito sono state selezionate le seguenti specie: Carpino bianco, Frassino, Tiglio, Pioppo bianco, Olmo, Acero campestre, Ciliegio selvatico, Sambuco, Biancospino, Rosa canina, Ligustro, Salice. Lungo il percorso pedonale di congiungimento tra i due laghetti si riprenderà la piantumazione con colture ligno-cellulosiche: si prevede di utilizzare il miscanto e filari di salici e robinia. *ARCOplan, Studio Associato di Ingegneria e Architettura - Padova
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MATERIALI INNOVATIVI PER IL TRATTAMENTO DI ACQUE CONTAMINATE trattamento di differenti tipologie di contaminanti grazie all’accoppiamento in serie di diversi materiali adsorbenti con azione selettiva di Alessandra De Folly* Il Comitato Scientifico ed il Comitato di Indirizzo di RemTech 2013, con il contributo di ANDIS (Ass. Naz. Ingegneria Sanitaria e Ambientale), Unione Petrolifera, Consiglio Nazionale dei Chimici, ANIDA, Assoreca, Federambiente e Fise-Assoambiente, hanno bandito i Premi RemTech 2013 che sono stati attribuiti agli estensori delle migliori tesi di dottorato e di laurea magistrale relative ad un tema correlato alla bonifica di siti contaminati. In questo articolo è stato sintetizzato il lavoro svolto da Alessandra De Folly, una delle vincitrici dei premi RemTech 2013 per le migliori tesi di dottorato (conferito dal Unione Petrolifera), dove viene studiato l’accoppiamento di diversi materiali adsorbenti per il trattamento in serie di acque contaminate da contaminanti di varia tipologia. Nell’articolo seguente riportiamo invece la sintesi del lavoro svolto da Enrico Tesser, un altro vincitore dei premi RemTech 2013 per le migliori tesi di dottorato, premiato da ANDIS, in cui viene studiato il trattamento integrato dei drenaggi di miniera e la bonifica delle acque di falda contaminate mediante l’impiego dei fanghi derivanti dal trattamento degli stessi drenaggi. Infine, le indagini sperimentali e i risultati ottenuti nell’ambito del trattamento mediante soil washing di sedimenti contaminati, sono stati oggetto della tesi di laurea magistrale presentata da Francesco Spennati presso la Facoltà di Ingegneria dell'Università degli Studi di Firenze. La tesi ha ricevuto un Riconoscimento speciale da parte della manifestazione “Fare i conti con l’ ambiente” di Ravenna nell’ambito dei premi RemTech 2013 per le migliori tesi di laurea magistrale. Daniele Cazzuffi, CESI SpA, Milano Coordinatore Comitato Scientifico e Comitato di Indirizzo di RemTech
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l trattamento di acque caratterizzate da una contaminazione complessa (quali ad esempio acque di produzione, acque di falda soggiacenti raffinerie, depositi o distributori di carburante) risulta spesso complicato; un unico approccio di trattamento, quindi, non è sempre possibile. Infatti in tali situazioni le acque risultano caratterizzate dalla presenza di contaminanti di natura diversa e a diversa concentrazione, e spesso dalla presenza di fasi separate. Questo può portare alla necessità di complesse linee di trattamento acque, con conseguenti problematiche relative sia ai costi sia alla gestione degli stessi. In questa ricerca, l’attenzione è stata rivolta verso materiali in grado di trattare acque contaminate da olio emulsionato e disciolto, alte
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concentrazioni di contaminanti organici (>100 ppm) e cationi inorganici, quali Cd, Pb e Mn. Un altro aspetto fondamentale è dato dalla presenza di sali in soluzione, in quanto i siti di interesse sono spesso ubicati in zone costiere con conseguenti rilevanti fenomeni di intrusione salina. Partendo dalla suddetta tipologia di contaminazione, si è ipotizzata una strategia di intervento basata sull’accoppiamento in serie di diversi materiali adsorbenti agenti selettivamente sulle varie tipologie di contaminanti. In particolare, sono state studiate le prestazioni di materiali “zeolite like” commerciali e/o di nuova sintesi, al fine di selezionare quelli più idonei al trattamento di acque contaminate con l’utilizzo di una sola tecnologia quale il
“Pump&Treat” (P&T) e/o le Barriere Permeabili Reattive (PRB) (Figura 1). I parametri fondamentali, secondo cui i materiali sono esaminati, riguardano la capacità, la selettività, la cinetica di adsorbimento e la permeabilità. Il P&T è un trattamento on site nel quale colonne fuori terra sono riempite di materiale adsorbente in cui è pompata l’acqua che viene filtrata e re-immessa in falda, per cui in tale processo è richiesta una cinetica di adsorbimento particolarmente rapida. Il principio di funzionamento delle PRB è invece basato sullo scavo di una trincea a valle del terreno da bonificare, che viene riempita con un materiale reattivo attraverso il quale i moti di falda portano l'acqua inquinata a transitare con rimozione o trasformazione dei contami-
nanti in prodotti meno tossici. Di conseguenza i riempimenti utilizzati devono essere caratterizzati da elevata penetrabilità e da una cinetica definita dal moto della falda ma comunque più lenta rispetto ai processi in reattori fuori terra. Per entrambe le tecnologie, i riempimenti possono essere realizzati con diversi materiali, quali ad esempio metalli, principalmente ferro, materiali assorbenti quali carbone attivo e zeoliti naturali, e supporti inerti adatti alla crescita in forma adesa di microrganismi con specifiche capacità degradative. Le zeoliti sono alluminosilicati cristallini caratterizzati da un framework tridimensionale costituito da tetraedri [TO4] (T=Si, Al) legati tra loro mediante atomi di ossigeno. Da sempre utilizzate in campo catalitico, le zeoliti trovano oggi impiego anche in campo ambientale, attraverso, ad esempio, l’applicazione del processo En-Z-Lite [1,2]. Tale processo utilizza zeoliti microporose come la ZSM-5, la mordenite e la zeolite Y (figura 2), ed è risultato efficace nella rimozione da acque di falda di BTEX, idrocarburi lineari e ramificati e contaminanti difficili da rimuovere come l’MTBE. Tali materiali non sono però in grado di risolvere le problematiche di inquinamento messe al centro di questa attività. Infatti, avendo canali strutturali nell’ordine di pochi Å, presentano un adsorbimento limitato al monostrato con conseguente saturazione a valori di poche decine di ppm.
Figura 1. Rappresentazione di una PRB
Per la risoluzione di situazioni così complesse di contaminazione si è ipotizzata una strategia di intervento basata sull’accoppiamento in serie di diversi processi di adsorbimento, agenti selettivamente sulle diverse frazioni di contaminanti e basati sull’impiego di diversi materiali adsorbenti (figura 3). Nel dettaglio il processo prevede in un primo stadio l’utilizzo di materiali mesoporosi amorfi quali MCM41(Sigma Aldrich) [3] ed MSA [4-5-6] (sintetizzato presso ENI S.p.A.) per la rimozione di olio disperso ed emulsionato e per la riduzione di elevate concentrazioni di contaminanti organici. Questi sono analoghi alle zeoliti per prerogative strutturali, ma hanno pori molto più larghi e consentono quindi di accogliere molecole di grandi dimensioni e grosse quantità di contaminanti grazie al passaggio dal monolayer al multilayer e l’impacchettamento all’interno dei canali. Tali materiali però non riescono ad abbattere le concentrazioni di contaminanti organici disciolti al di sotto dei limiti di legge per le rispettive destinazioni d’uso. Di conseguenza, il secondo stadio prevede il passaggio dell’acqua attraverso una zeolite microporosa per riportare i valori di contaminazione sotto quelli imposti dalla normativa vigente. La rimozione dei metalli pesanti è affidata, nell’ultimo stadio, a materiali noti in letteratura Figura 2. Rappresentazione del framework di A) Mordenite B) zeolite Y C) ZSM-5 quali scambiatori cationici; in particolare, due titano-silicati commerciali ETS-10 e ETS-4 [7] della Enghelard e una zeolite naturale, la Clinoptilolite [8-9-10-11]. Con riferimento ai Figura 3. Rappresentazione schematica del treno di materiali adsorbenti ipotizzato contaminanti da riper il trattamento delle acque interessate da una contaminazione complessa muovere ed ai diversi
materiali presi in considerazione, è possibile riassumere i risultati della ricerca nel modo seguente: 1. Olio emulsionato e disciolto. Materiali mesoporosi, con opportune aperture dei canali, sono risultati efficaci nella rimozione di olio emulsionato e disciolto, risultato reso evidente da analisi GC-MS e GC, previa di un’acqua reale trattata: si osserva (figura 4) una netta diminuzione dell’opalescenza data dalla presenza di olio emulsionato e la scomparsa/ riduzione dei picchi relativi a trimetilbenzeni, naftaleni e alla frazione idrocarburica fino al C-33 [12]. Per tali materiali si può quindi ipotizzare un utilizzo in impianti tipo P&T. 2. Elevate concentrazioni di contaminanti organici (target: benzene, toluene). MCM41 ed MSA sono stati testati e confrontati in condizioni di equilibrio e dinamiche. Le isoterme hanno evidenziato che l’MSA ha capacità di scambio maggiore (250 mg/g) rispetto all’MCM-41 (100 mg/g). Tali curve hanno un andamento sigmoidale, tipico dei materiali mesoporosi, che ben si adatta al modello di Langmuir-Sips, il quale descrive un meccanismo di adsorbimento che prevede la formazione del monostrato (interazioni molecola-substrato) seguita dall’impacchettamento del contaminante all’interno dei canali (interazioni molecola-molecola). Lo studio della dinamica in colonna, sempre in fase acquosa, non ha dato risultati soddisfacenti. Sono quindi state effettuate prove, sempre in colonna, ma in fase vapore; queste indicano che tali materiali sono una possibile alternativa al carbone attivo, nell’adsorbimento di vapori di toluene e/o benzene, in quanto presentano capacità di adsorbimento superiori a quest’ultimo. Dati di letteratura per i carboni attivi riportano una capacità di adsorbimento del toluene in fase vapore circa del 40% in peso [13]. La capacità dell’MSA è risultata invece pari al 66,6% in peso. Potenzialmente sarebbe quindi ipotizzabile un loro utilizzo in tecnologie quali l’In Well Air Stripping (figura
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p ro g e t t i e t ec nol og i e
Figura 4. Foto e analisi GC di un’acqua reale prima e dopo trattamento per 24 ore con MSA
Figura 5. Schema di un impianto di trattamento di In Well Air Stripping
Figura 6. Curve di breakthrough di confronto tra adsorbimento di manganese e piombo su ETS-4
5), utilizzata per la bonifica di acque di falda contenenti contaminati derivati dal petrolio quali i BTEX.
3. Metalli pesanti. Dalla caratterizzazione all’equilibrio, si sono ottenute isoterme tipo Langmuir e l’ETS-4 è risultato il materiale più
Bibliografia [1] Vignola Rodolfo, Cova Umberto, Della Penna Gino, Sisto Raffaello. United States Patent 7341665 Process for the treatment of contaminated water based on the use of apolar zeolites having different characteristics. Publication Date: 03/11/2008. [2] R.Vignola et al. Zeolites in a permeable reactive barrier (PRB): One year of field experience in a refinery groundwater—Part 1: The performances. Chemical Engineering Journal 178 (2011) 204– 209. [3] Beck J.S. et al. A new family of Mesoporous Molecular Sieves Prepared with Liquid Crystal Templates. J. Am. Chem. Society 114. pp.10834. 1992. [4] Bellussi G., Clerici M.G., Carati A.,Cavani F. US Patent 5 049 536, 1991. [5] Carati A. et al. Preparation and characterisation of mesoporous silica-alumina and silica-titania with a narrow pore size distribution. Catalysis Today 77 315-323, 2003. [6] Pavel C.C. et al. Synthesis and characterization of the microporous titanosilicates ETS-4 and ETS-10. Microporous and Mesoporous Materials 56 p.227-239. 2002. [7] Inglezakis J. et al. Effect of Pore Clogging on Kinetics of Lead Uptake by
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promettente. E’ stato inoltre possibile determinare, attraverso la costruzione di isoterme in miscela ternaria, il seguente ordine di affinità per i cationi considerati: Pb2+>Cd2+> Mn2+. Ordine che è risultato essere in stretta correlazione con il raggio dello ione idratato. Questo andamento è stato confermato dalle curve di breakthrough (figura 6). Importante poi la valutazione dell’effetto della presenza in soluzione di una concentrazione salina (NaNO3): la capacità di scambio della clinoptilolite diminuisce nettamente all’aumentare dell’NaNO3 in soluzione, l’ETS-4 e l’ETS-10 non ne sono invece influenzati. I risultati ottenuti consentono di affermare che per questi materiali è ragionevole prevedere un utilizzo sia in impianti tipo P&T sia in PRB. *Eni S.p.a.
Clinoptilolite. Journal of Colloidal and Interface Science 215 (1999), 54-57. [8] Inglezakis J. et al. Removal of Pb(II) from aqueous solutions by using clinoptilolite and bentonite as adsorbents. Desalination 210 (2007), 248-256. [9] Choi J. H. et al. Adsorption behaviors of ETS-10 and its variant, ETAS-10 on the removal of heavy metals, Cu2+, Co2+, Mn2+ and Zn2+ from a waste water. Microporous and Mesoporous Materials 96 (2006) 157-167. [10] Choi J. H. et al. Adsorption behaviors of nano sized ETS-10 and Al-substitutedETAS-10 in the removingof heavy metals ions, Pb2+ and Cd2+. Microporous and Mesoporous Materials 87 (2005).163-169. [11] Vit Z.et al. Synthesis and properties of mesoporous silica-alumina with narrow pore size distribution obtained without use of pore-regulating agents. Microporous and Mesoporous Materials 96, 197-204, 2006. [12] Carati A.; de Folly d’Auris A.; Fusco R.; Tuffi R.; Vignola R. Procedimento per il trattamento di acqua contaminata comprendente composti organici disciolti ed olio disperso o in emulsione. Brevetto italiano n° 0001402866. [13] M.Nabatilan, William M. Moe. Effects of water vapor on activated carbon load equalization of gas phase toluene. Water Research 44 (2010), 3924-3934.
MONITORAGGIO E TRATTAMENTO DI DRENAGGI DI MINIERA Studio sul trattamento integrato di drenaggi di miniera e acque di falda contaminate: i fanghi di scarto si trasformano da rifiuto in risorsa per la bonifica dell'acquifero di Enrico Tesser*
U
no dei principali problemi connessi all’attività mineraria è quello di favorire la produzione di drenaggi di miniera esponendo solfuri metallici all’azione di acqua ed ossigeno in maniera più massiccia rispetto a quanto avverrebbe naturalmente. Discariche e depositi di sterili, scarti di lavorazione, minerali, materiali lisciviabili, e soprattutto cave e miniere sotterranee (fig. 1), rappresentano le principali fonti di generazione di drenaggi caratterizzati da elevate concentrazioni di ioni solfato, ferro, manga-
nese e altri metalli pesanti (alluminio, arsenico, rame, cadmio, stronzio, zinco, ecc.). Tali drenaggi possono avere un impatto negativo sui corpi idrici recettori (fig. 2), sulla falda acquifera e sul suolo, sia se presentano un pH acido letale per flora e fauna, sia nel caso in cui presentino un pH da neutrale a basico. In tal caso sono definiti drenaggi neutrali o salini sulla base del chimismo delle acque e delle specie metalliche presenti. Tali drenaggi sono caratterizzati da una forte torbidità dovuta alla precipitazione di
Figura 1. Deposito di resti della lavorazione del rame lungo il fiume Merse
composti metallici (principalmente ossidi ed idrossidi), che ostacolano l’attività fotosintetica della flora e ricoprono i fondali dei corpi idrici recettori privando la fauna di fonti di nutrimento. Per il trattamento dei drenaggi di miniera esistono due tipologie d’intervento riconosciute a livello mondiale: i trattamenti "attivi" e i trattamenti "passivi". I primi prevedono la realizzazione di impianti di tipo chimico-fisico, dove i drenaggi vengono trattati con reagenti chimici, mentre i
Figura 2. Torrente Carsia in seguito a sversamento del drenaggio della miniera di Niccioleta
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p ro g e t t i e t ec nol og i e
Attività e risultati
Figura 3. Fango ocra accumulato su geotessile non tessuto a seguito della filtrazione di drenaggio di miniera
secondi consistono di ambienti confinati realizzati con lo specifico scopo di favorire lo sviluppo di processi chimico-biologici naturali.
Obiettivi dello studio Gli obiettivi della presente attività di ricerca sono stati il monitoraggio della qualità dei drenaggi provenienti dalle ex-miniere di pirite di Niccioleta, Boccheggiano/Ballarino e Gavorrano all’interno del parco delle Colline Metallifere nella Toscana meridionale e l’individuazione di un trattamento in grado di ridurre il loro impatto sui corpi idrici recettori. In secondo luogo è stata valutata l’opportunità di utilizzare i “fanghi” di colore ocra (fi. 3), derivanti dal trattamento del drenaggio di Gavorrano, per la bonifica delle acque di falda della piana di Scarlino (una cittadina a 10 km da Gavorrano), le quali presentano un'elevata concentrazione di arsenico a causa del dilavamento di scarti di lavorazione della pirite depositati sul suolo senza la realizzazione di un’opportuna discarica in grado di prevenire l'infiltrazione del percolato nel sottosuolo. L’obiettivo finale era quello di definire un ciclo combinato di trattamento in grado di ridurre l’impatto complessivo dell’attività mineraria, cessata da circa 20 anni, nell’area delle Colline Metallifere.
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L’attività di ricerca ha previsto, in primo luogo, la caratterizzazione delle acque di miniera e di falda, che presentavano un pH da acido a circum-neutrale e principalmente contenuti elevati di alluminio, arsenico, ferro, manganese, zinco e ioni solfato. Successivamente sono state valutate alcune soluzioni di trattamento sia di tipo "attivo" che di tipo "passivo". Le performance del trattamento "passivo" di filtrazione lenta dei drenaggi di miniera (fig. 4) sono state valutate sia con supporti filtranti tradizionali, come la sabbia quarzifera, che con mezzi filtranti innovativi, quali geotessili non tessuti. Nello specifico sono stati utilizzati cinque differenti geotessili non tessuti caratterizzati da dimensioni dei pori variabili da un minimo di 10 ad un massimo di 80 micron, alcuni di tipo spun-melt (composti da due strati termosaldati) ed altri di tipo needlepunched (agugliato). I test di filtrazione lenta sono stati svolti sia in laboratorio che in situ al fine di valutare l’efficacia del processo in condizioni differenti, cioè con i metalli disciolti in soluzione o sotto forma particolata di (ossi-)idrossidi. In entrambi i casi i supporti filtranti sono stati ricoperti da un
Figura 4. Test di filtrazione lenta
cake ocra (fig. 3) composto principalmente da (ossi-)idrossidi di ferro, quali: ferridrite amorfa, goethite ed ematite, e caratterizzato da un’elevata superficie specifica (compresa tra 238 e 317 m2/g). Considerando la composizione ricca in ferro (noto per le sue proprietà adsorbenti nei confronti dell'arsenico) del cake ocra, i due geotessili ricoperti dal “fango” ocra che avevano dimostrato le migliori prestazioni al termine dei test di filtrazione lenta dei drenaggi sono stati riutilizzati in prove di filtrazione lenta delle acque di falda contaminate da arsenico. Le medesime acque sono state sottoposte ad un trattamento di adsorbimento in colonna con due resine commerciali al fine di valutare e confrontare i ratei di rimozione delle resine e del fango ocra. Parallelamente, nell’ambito dei trattamenti "attivi", sono state valutate le performance di un impianto pilota di ossidazione-filtrazione su geotessile non tessuto (fig. 5) e di un impianto pilota di neutralizzazione-flocculazione-sedimentazione (fig. 6) dimensionato sulla base dei risultati ottenuti nelle seguenti prove di laboratorio: • prove di sedimentabilità in becher; • jar test con il dosaggio di diversi tipi di
agenti alcalini (CaO, Ca(OH)2, CaCO3, NaOH) e di flocculanti (polielettrolita a carattere anionico e cationico); • prove di sedimentabilità statica in colonna; • prove di sedimentabilità dinamica in colonna con carico idraulico imposto. Tali prove hanno permesso di individuare i reagenti, i dosaggi ed i tempi (volumi) di trattamento più opportuni. Inoltre, a completamento dello studio, sono state effettuate alcune ipotesi di trattamento per le acque delle aree minerarie indagate e sono stati stimati i relativi costi capitali e di gestione sulla base di dati relativi ad impianti effettivamente realizzati e di letteratura. In generale è possibile affermare che, nel caso in cui si debba trattare un drenaggio (nettamente) acido e/o caratterizzato da una portata elevata, risulta più conveniente l'utilizzo di un trattamento "attivo" di tipo chimico-fisico (fig. 6), nonostante la gestione sia più onerosa e gli interventi manutentivi, nonché i costi che ne derivano, siano più elevati rispetto a quelli di un trattamento "passivo". Mentre, nel caso di drenaggi circum-neutrali (nettamente alcalini), la filtrazione lenta (passiva) permette di produrre degli effluenti con ottime e stabili caratteristiche chimico-fisiche (contenuto di metalli pesanti basso o trascurabile, torbidità ridotta, pH da neutrale a basico, Eh positivo, ecc.). Andando più nello specifico della presente ricerca, è risultato che il processo di filtrazione lenta su geotessile non tessuto e su sabbia si è dimostrato efficace nella riduzione del contenuto di metalli (fino a 112 mgAs m-2 d-1, 35 gFe m-2 d-1, 3,9 gMn m-2 d-1, 0,31 gZn m-2 d-1) dei drenaggi di miniera grazie a fenomeni di catalisi abiotica/biotica e di adsorbimento. Inoltre è stato stimato che l'utilizzo di un geotessile non tessuto come mezzo filtrante in luogo della sabbia permette di ridurre fino al 45% i costi di trattamento, sia per il minore costo che per la possibilità di rigenerare il geotessile. Nell'ambito della bonifica delle acque di falda, il "fango" ocra generato dal trattamento dei drenaggi ha presentato delle ottime ca-
Figura 5. Schema e fotografia dell'impianto pilota di ossidazione-filtrazione su TNT
Figura 6. Schema dell'impianto pilota di neutralizzazione-flocculazione-sedimentazione
pacità adsorbenti nei confronti dell’arsenico (6,1 mgAsV gFeIII-1), paragonabili a quelle di resine commerciali in termini di Bed Volumes (volume filtrato/volume del letto filtrante), con valori superiori a 5000 BVs in corrispondenza del punto di foratura (50 µg/l di arsenico nell'effluente). Ne consegue che l'utilizzo di tale fango permette di effettuare il trattamento delle acque contaminate senza dover acquistare costosi prodotti commerciali e portando ad una riduzione dei
costi operativi della bonifica fino al 90%. Concludendo, l’utilizzo di geotessili non tessuti permette di realizzare un ciclo di trattamento integrato di drenaggi di miniera ed acque di falda contaminate da arsenico, riducendo notevolmente i costi di trattamento e l’impatto dell'attività mineraria nell'area delle Colline Metallifere. *Hydrogeo Ingegneria per l'Ambiente e il Territorio
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soil washing per il trattamento di sedimenti marini contaminati Indagini sperimentali per la caratterizzazione e trattamento di sedimenti marini contaminati per la valutazione dell'applicabilità del soil washing di Francesco Spennati*
L
a bonifica dei sedimenti marini contaminati è oggetto di numerosi progetti di ricerca in conseguenza degli ingenti volumi da gestire; la tendenza è quella di ricercare soluzioni alternative al costoso smaltimento finale. A questo proposito è stato condotto un progetto di ricerca con l'obiettivo di studiare la possibile applicazione di un trattamento ex situ di soil washing. L'applicazione del soil washing per la bonifica dei siti contaminati potrebbe evitare lo smaltimento in discarica di parte dei sedimenti contaminati. Il soil washing è un trattamento ex situ basato sul trasferimento di fase dell'inquinante. Il trasferimento di fase di un contaminate, dal com-
Figura 1. Filiera del soil washing
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parto ambientale in cui è legato ad un altro, ha il doppio scopo di ripristinare l'area contaminata e concentrare l'inquinante (metalli pesanti, composti organici o combustibili) in una matrice per sottoporlo a trattamenti successivi o portarlo a smaltimento. La tecnica si suddivide in due sottocategorie: il lavaggio fisico, che utilizza tecniche di classificazione a secco o a umido per isolare la contaminazione in una frazione granulometrica e recuperare il materiale grossolano non contaminato, e il lavaggio chimico, il cui scopo è utilizzare speciali soluzioni di lavaggio in grado di catturare gli inquinati intrappolati nel terreno. La prima fase del soil washing è un pretrattamento in grado di rimuovere la parte grossolana per mezzo di griglie, vagli e separatori magnetici. Nella fase successiva si suddivide il solido nelle sue frazioni granulometriche attraverso vagli, coclee, idrocicloni e altre apparecchiature. Quest'operazione si basa sul fondamento empirico-teorico che i contaminati si-
ano per la maggior parte legati alla frazione granulometrica più fine, a causa dell'elevata superficie specifica e l'alta concentrazione di carbonio organico. Questa ipotesi fondamentale deve essere sempre verificata sperimentalmente. In uscita dal processo solitamente si ottiene una frazione grossolana poco contaminata, che rappresenta una significativa parte in peso sul totale, un liquido di processo da trattare e una frazione fine che racchiude in sé la maggior parte dei contaminanti. In questo studio, dopo una preliminare caratterizzazione dei sedimenti provenienti da un fondale contaminato di un porto italiano, è stata progettata una filiera di trattamento a terra basata sul soil washing. Tale filiera è stata simulata in laboratorio attraverso prove sperimentali. I laboratori dove sono state svolte le analisi sono quelli dell'Università di Firenze e in particolare quelli afferenti ai dipartimenti di Ingegneria civile e ambientale, di Chimica e il Centro Interdipartimentale di Spettrometria di Massa (CISM).
MATERIALI E METODI: SIMULAZIONE DELLA FILIERA IN LABORATORIO Le indagini sono state effettuate su campioni del sedimento superficiale (spessore compreso 0-50 cm al di sotto del fondale). La filiera inizialmente ipotizzata prevede dopo il dra-
gaggio e una fase di stoccaggio, una tavola vibrante con ugelli spruzzatori di solvente (acqua di mare) per facilitare la separazione, un idrociclone e una fase finale di sedimentazione. Lo schema della filiera è rappresentato in figura 1. I flussi finali ottenuti da questa filiera sono i seguenti: • frazione grossolana e ghiaiosa >2 mm; • frazione sabbiosa compresa tra 2 mm e 0,063 mm; • frazione limosa <0,063 mm; • acqua di processo esausta. Come accennato precedentemente è stata sviluppata in laboratorio una procedura in grado di simulare il comportamento in cantiere e sono stati analizzati tutti i flussi in uscita per valutare la bontà della filiera proposta. Sono stati analizzati sei campioni equamente distribuiti nella zona da dragare. La fase iniziale di vibrovagliatura è stata simulata utilizzando uno scuotitore meccanico su cui è stato posto un setaccio circolare a maglia quadrata di 2 mm e uno spruzzatore commerciale (figura 2). Poiché in cantiere verrà utilizzata acqua di mare come acqua di processo per simulare questo è stata ricreata in laboratorio acqua di mare sintetica. Per la separazione dell'idrociclone è stato utilizzato un setaccio simile a quello utilizzato precedentemente ma con una maglia di 0,063 mm, la separazione della fase sabbiosa è stata ottenuta attraverso un setacciamento manuale ed effettuando la verifica dell'efficienza di separazione del processo. Per valutare il tempo di sedimentazione necessario, e anche il dimensionamento delle vasche di sedimentazione, sono state effettuate prove di sedimentabilità. La figura 3 mostra la frazione sabbiosa e quella fine.
MATERIALI E METODI: ANALISI STRUMENTALE Per le analisi chimiche quantitative sui campioni solidi e liquidi (derivanti dai test di disponibilità a lisciviazione) degli inquinanti è stata usata la seguente strumentazione: • gascromatografo con rivelatore a ionizzazione di fiamma (GS-FID), Agilent 7890A con triplo quadrupolo, utilizzato seguendo le procedure (modificate) EPA 3550c e 8015d;
• gascromatografo con rivelatore a spettrometria di massa (GS-MS), Agilent 7890A con triplo quadrupolo, utilizzato seguendo le procedure (modificate) EPA 3550c e 8270d; • spettrofotometro sequenziale a plasma di argon induttivamente accoppiato, Optima 2000 Perkin Elmer, utilizzato seguendo le procedure IRSA 3010; IRSA A-3020. Le indagini che verranno ora descritte sono state eseguite sul sedimento tal quale e sui flussi in uscita dalla filiera simulata in laboratorio. Per l'analisi degli idrocarburi C≥12 sui campioni solidi secchi, questi ultimi sono stati miscelati con un ugual peso di sodio anidro e successivamente messi a contatto con esano (liquido di estrazione) e sottoposti a sonicazione. Le sospensioni ottenute sono state quindi centrifugate, con successivo prelievo del liquido surnatante. Tale procedura è stata ripetuta per tre volte. Infine l’eluato è stato filtrato su Florisil ed analizzato mediante GS-FID. Per l'analisi degli IPA nei sedimenti è stata seguita una procedura analoga alla precedente, ma utilizzando una miscela (1:1) di acetone ed esano come liquido di estrazione, ed aggiungendo sedici IPA deuterati come standard interni. L'analisi dell'eluato è stata effettuata con GSMS. Sono stati effettuati sui campioni i test di cessione seguendo le indicazioni della norma tecnica UNI EN 12457-2 "Lisciviazione - Prova di conformità per la lisciviazione di rifiuti granulari e di fanghi". Per valutare la disponibilità alla lisciviazione in ambiente marino (sul sedimento tal quale) è stata seguita la norma tecnica precedente ma utilizzando dell'acqua di mare di sintesi al posto dell'acqua distillata per analisi. Parte dell’eluato ottenuto è stato poi filtrato sotto vuoto mediante filtri in acetato di cellulosa con porosità uguale a 0,45 μm ed acidificato con acido nitrico concentrato fino a pH<2 per l’analisi dei metalli pesanti; la restante parte è stata utilizzata tal quale per la determinazione dei contaminanti organici. Il contenuto di idrocarburi nel lisciviato è stato determinato mettendo a contatto in un imbuto separatore l’eluato ed il liquido di estrazione (esano). La miscela è stata agitata vigorosamente per tre minuti e successivamente lasciata riposare. Tale procedura è stata ripetuta per tre volte, prima di procedere alla separazione
Figura 2. Simulazione fase iniziale di vibrovagliatura
Figura 3. Frazione sabbiosa e frazione fine inferiore a 0,063 mm
del liquido di estrazione dall’eluato ed all’analisi mediante GS-FID. L’analisi degli IPA negli eluati è stata effettuata in modo analogo a quanto sopra descritto, ma utilizzando diclorometano come liquido di estrazione ed aggiungendo 16 IPA deuterati come standard interni. L'analisi dell'eluato è stata effettuata con GS-MS. L'acqua di processo esausta è stata analizzata come gli eluati. Tutte le prove sono state effettuate in doppio. Per la determinazione del contenuto in metalli pesanti (Hg, Cu, Zn, As e Pb) si è proceduto alla mineralizzazione acida dei campioni secondo quanto previsto dalla procedura IRSA 3010 parte 1, ed alla successiva determinazione delle concentrazioni mediante spettrofotometro sequenziale a plasma di argon induttivamente accoppiato, con possibilità di lettura radiale e assiale (seguendo la IRSA A-3020).
RISULTATI E COMMENTI Grazie alle indagini X-ray scattering techniques (Xrd) e X-ray fluorescence (Xrf) si è osservato
65
p ro g e t t i e t ec nol og i e Media dei campioni delle
IPA Totali
Idrocarburi C≥12
Cu
Zn
Pb
As
Hg
[mg/kg]
[mg/kg]
[mg/kg]
[mg/kg]
[mg/kg]
[mg/kg]
[mg/kg]
≥2mm
0,6
293,3
26,8
80,3
44,7
12,0
28,7
0,063≤mm<2
8,6
384,7
140,5
370,5
195,2
23,8
38,5
<0,063 mm
2,7
725,3
221,8
675,8
467,7
50,3
81,0
Limiti 152/06 Col. A
10
50
120
150
100
20
1
Limiti 152/06 Col. B
100
750
600
1500
1000
50
5
Cu
Zn
Pb
As
Hg
delle frazioni granulometriche ottenute dalla filiera
[mg/kg]
[mg/kg]
[mg/kg]
[mg/kg]
[mg/kg]
≥2mm
<0,005
<0,005
<0,1
<0,005
0,034
0,063 ≤ mm <2
<0,005
<0,005
<0,1
<0,005
0,035
<0,063 mm
<0,005
<0,005
<0,1
<0,005
0,030
0,05
3
0,05
0,05
0,001
5
5
1
0,2
0,02
frazioni granulometriche ottenute dalla filiera
Tabella 1. Concentrazione su base secca dei contaminanti nelle tre frazioni granulometriche
Media dei campioni
Limiti recupero (D.M. 5/2/98) Limiti discarica non pericolosi (D.M. 27/9/10)
Tabella 2. Concentrazione dei metalli pesanti nell'eluato (UNI EN 12457-2) delle tre frazioni
che nei campioni i principali elementi sono quelli riportati nella lista seguente: calcio, silicio, ferro, alluminio, zolfo, cloro, potassio, magnesio e sodio. I principali minerali sono aragonite, quarzo, ossidi di ferro e potassio, silicato di ferro, carbonato di calcio, ortoclasio, feldspati e solfuro di rame. Tramite setacciatura e sedimentazione è stata ricostruita la curva granulometrica, che descrive la distribuzione granulometrica dei sedimenti in esame, i quali sono risultati perlopiù sabbie leggermente limose. In generale i sedimenti risultano contaminati da metalli pesanti come: Zn, Cu, Pb, As, Hg e idrocarburi pesanti (C>12 e IPA) come mostrato in figura 4. Analizzando le tre frazioni
Figura 4. Concentrazioni su base secca metalli
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granulometriche (ovvero i flussi in uscita dalla filiera) si osserva che la concentrazione sul secco del mercurio è un parametro critico, come mostrato in Tabella 1, se confrontato con i valori della colonna B dell’Allegato 5 al Titolo V alla Parte IV del D.Lgs. 152/06. In tabella 2 si mostrano le concentrazioni dei metalli pesanti negli eluati, le concentrazioni del mercurio sono elevate sia se confrontate con i limiti tabellari fissati dal D.M. del 5/2/98 e s.m.i. al fine di consentire la valutazione del possibile reimpiego a terra dei sedimenti (in particolare per le sabbie), così come previsto dall’art. 48 della Legge n. 27 del 24 marzo 2012, sia con i limiti per lo smaltimento in discarica per inerti e per rifiuti non pericolosi (D.M. 27 Settembre 2010). I valori di COD ottenuti per le frazioni granulometriche superiori a 0,063 mm risultano inferiori a 50 mgO2/l mentre per le frazioni inferiori a 0,063 mm oscillano mediamente tra 100 e 400 mgO2/l. Da un’analisi più approfondita (anche casi simili
di letteratura sul soil washing) è risultata una presenza non trascurabile della frazione fine, più inquinata, all'interno delle altre due frazioni grossolane. In una fase successiva sono state effettuate prove di separazione massimizzando l'efficienza. In parte delle prove si è utilizzato anche un lavaggio acido per valutarne l'efficacia. Si osserva come la concentrazione dei contaminanti (in termini di mg/kg di s.s.) sia sensibilmente inferiore per tutti gli elementi eccetto che per l’arsenico. Si evince chiaramente come le concentrazioni dei metalli negli eluati siano notevolmente ridotte rispetto al precedente trattamento, in particolare per quanto riguarda il mercurio. Non si osservano differenze significative dall'utilizzo di acqua di mare acidificata piuttosto che a pH naturale. I risultati di questa parte delle indagini sperimentali, come mostrato in figura 5, hanno indicato la necessità di prevedere sistemi di lavaggio delle sabbie ad elevata efficienza. Tali sistemi dovranno essere in grado sia di effettuare un’efficace separazione dimensionale delle frazioni (con particolare riferimento alla separazione sabbie/peliti) oltre che di esercitare un’intensa azione meccanica, capace di rompere i granuli di pelite, che altrimenti rimarrebbero nel flusso delle sabbie.
CONCLUSIONI Questo studio evidenzia la necessità di incrementare l'efficienza di separazione, nella filiera inizialmente ipotizzata, a causa dell'elevata concentrazione del mercurio. Tale azione combinata può essere prodotta prevedendo nel ciclo di selezione delle sabbie, a valle di un gruppo idrociclone, la presenza di una cella di attrizione, seguita da un sistema di separazione dimensionale e da un ulteriore vibrovaglio per il risciacquo e l’asciugatura delle sabbie. Le sabbie così separate dovranno essere stoccate e caratterizzate per lotti e dovrà essere prevista la possibilità di un eventuale doppio lavaggio di lotti di sabbia che dovessero risultare ancora contaminati. In alternativa, compatibilmente con le aree di cantiere disponibili, si potranno tenere stoccati i lotti di sabbia che dovessero risultare contaminati al termine del primo ciclo di lavaggio e procedere ad ulteriore lavaggio degli stessi al termine dei
lavori della linea di trattamento principale. La frazione fine è classificabile come rifiuto pericoloso e in assenza di ulteriori trattamenti, può essere avviata a smaltimento. Per quanto riguarda l'acqua di processo Figura 5. Prove di separazione delle sabbie ad alta efficienza risulta necessario un trattamento a causa della concentrazio- n.1 del 01/2012) rispetto allo smaltimento ne elevata di contaminanti. Concludendo si in discarica. evince che la filiera di trattamento propo*Polo Universitario Città di Prato sta è adatta al sito studiato e permette di recuperare in peso (secco) più della metà del totale del sedimento dragato. Lo scopo RINGRAZIAMENTI della sperimentazione della filiera è stato Si ringraziano i Professori Piero Sirini, raggiunto e le sabbie e le ghiaie possono Riccardo Gori, Luca Calamai e l'Ing. Manuela seguire differenti destinazioni (Legge n.28 Gori ph.d. del 01/1994 modificata dall’art. 48 D.Lgs.
TRITURATORI E IMPIANTI PER IL RICICLAGGIO DEI RIFIUTI
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Trasporto rifiuti conto terzi o trasporto merci in conto proprio? Tra normativa e circolari alla ricerca del rapporto esistente tra l’autorizzazione al trasporto dei rifiuti conto terzi e la licenza al trasporto in conto proprio delle merci di Daniele Carissimi*
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on il presente contributo si intende verificare se sia corretto trasportare rifiuti prodotti da terzi avendo ottenuto l’iscrizione all’Albo al trasporto degli stessi conto terzi, ma sulla sola base della licenza al trasporto merci in conto proprio. A tal fine, occorre, in primo luogo, chiarire la disciplina relativa alla licenza del trasporto delle merci in conto proprio delle cose. Ai sensi e per gli effetti dell’art. 31 della legge 298/74 che disciplina il trasporto di merci in conto proprio viene previsto che: a. il trasporto avvenga con mezzi di proprietà o in usufrutto delle persone fisiche o giuridiche, enti privati o pubblici, che lo esercitano o da loro acquistati con patto di riservato dominio o presi in locazione con la facoltà di compera ed i preposti alla guida ed alla scorta dei veicoli, se non esercitate personalmente dal titolare della licenza, risultino lavoratori dipendenti; b. il trasporto non costituisca attività economicamente prevalente e rappresenti solo un'attività complementare o accessoria nel quadro dell'attività principale delle persone, enti privati o pubblici predetti […]; c. le merci trasportate appartengano alle stesse persone, enti privati o pubblici o siano dai medesimi prodotte e vendute,
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prese in comodato, prese in locazione o debbano essere da loro elaborate, trasformate, riparate, migliorate e simili o tenute in deposito in relazione ad un contratto di deposito o ad un contratto di mandato ad acquistare o a vendere. L’art. 6 del D.P.R. n. 783 del 1977 ha specificato inoltre che “L'attività di trasporto di cose in conto proprio è da considerare complementare o accessoria dell'attività principale dell'impresa richiedente la licenza quando si verificano le seguenti condizioni: a. le cose da trasportare per le loro caratteristiche merceologiche abbiano stretta attinenza con l'attività principale dell'impresa; b. l'insieme dei veicoli da adibire al trasporto di cui trattasi abbia una portata utile complessiva non superiore a quella necessaria per soddisfare le esigenze dell'attività principale dell'impresa; c. i costi dell'attività di trasporto non costituiscano la parte preponderante dei costi totali dell'attività dell'impresa (tale condizione non è richiesta nei soli casi in cui, per la natura stessa delle merci da trasportare e per il loro tenue valore intrinseco, il costo dell'attività di trasporto debba risultare necessariamente preponderante).
Attesa tale ultima disposizione la normativa richiede che le licenze per il trasporto in conto proprio riportino il codice dell’attività economica dell’impresa nonché i codici delle cose o classi di cose che possono essere trasportate, secondo la codifica ISTAT il cui elenco è tassativo.
Rammentata tale necessaria premessa è compito del presente lavoro comprendere quale sia il rapporto tra la licenza in conto proprio per il trasporto delle merci e l’autorizzazione conto terzi per il trasporto dei rifiuti rilasciata dall’Albo Gestori Ambientali per il trasporto dei rifiuti prodotti dai terzi nello specifico caso in cui vi sia un mezzo autorizzato: • al trasporto in conto proprio di cose, in virtù della licenza rilasciata ai sensi e per gli effetti dell’art. 31 sopra citato;
Circol are 16 ottobre 1995, n. 8595 Comitato Nazionale Albo Nazionale Gestori Ambientali Iscrizione all’albo delle imprese in possesso di veicoli muniti di licenza al trasporto di cose in conto proprio
Come è noto, l’articolo 31 della legge 298/1974 stabilisce le condizioni che debbono verificarsi per l’esecuzione del trasporto di cose in conto proprio. È, altresì, noto che presso ogni ufficio provinciale della M.C.T.C. è istituita un’apposita commissione che verifica la sussistenza delle condizioni previste dal succitato articolo 31. Resta, pertanto, chiaro che qualora la codifica delle attività economiche e la codifica delle cose o elenchi di cose riportate nelle licenze in questione coincidono esattamente con le attività di trasporto che l’interessato intende svolgere e che sono soggette al disciplinamento dell’iscrizione all’Albo nazionale delle imprese esercenti servizi di smaltimento dei rifiuti, le licenze in conto proprio sopra specificate sono del tutto idonee per lo svolgimento dell’attività richiesta. È appena il caso di rammentare, qui, quanto stabilito dalla circolare n. 3687/ALBO/PRES. del 1 agosto 1994 con la quale è stato chiarito che la impropria formulazione contenuta nell’articolo 2, comma 1, punto 3) del Dm 324/1991 “raccolta e trasporto per conto terzi di rifiuti speciali non tossici e nocivi” deve essere ricondotta nella più generale dizione riportata all’articolo 6, lettera d) del Dpr 915/1982 che chiaramente inserisce l’attività in questione nell’ambito delle attività relative allo “smaltimento di rifiuti speciali prodotti da terzi”. Resta ovviamente fermo che le imprese iscritte all’Albo debbono rispettare tutta la vigente normativa in materia di autotrasporto di cose.
• al trasporto in conto terzi dei rifiuti, rilasciata ai sensi dell’art. 212, co. 5 D.Lgs. 152/06 dall’Albo Nazionale Gestori Ambientali.
Ebbene, tale circostanza è stata affrontata dal Comitato Nazionale dell’Albo con circolare n. 8595 del 1995. Lo stesso ha riferito che, qualora la codifica delle attività economiche e la
codifica delle cose o elenchi di cose riportate nelle licenze in questione coincidano esattamente con le attività di trasporto che l’interessato intende svolgere e che sono soggette alla disciplina dell’iscrizione all’Albo Nazionale Gestori Ambientali, le licenze in conto proprio sono del tutto idonee per lo svolgimento dell’attività richiesta. Da ciò ne consegue che, nei casi di imprese che dispongano di veicoli muniti di licenze in conto proprio, l’iscrizione all’Albo nazionale gestori ambientali viene rilasciata tenendo conto dei limiti e delle condizioni previste dall’art. 31 e, quindi, limitata alle tipologie di rifiuti corrispondenti ai codici delle cose o classi di cose riportati nelle licenze, senza che ciò possa delimitare l’ambito di operatività dell’autorizzazione al trasporto dei rifiuti. Si ritiene infatti che, nel caso in esame, l’Albo Nazionale Gestori Ambientali, al momento del rilascio dell’autorizzazione, abbia ritenuto compatibili le tipologie di rifiuti autorizzate al trasporto con le classi di cose autorizzate con la licenza in conto proprio di cose. Ai fini dei limiti al trasporto, quanto esposto comporta che un soggetto che sia in possesso dei sopra esposti titoli abilitativi, potrà: • trasportare le cose nei soli limiti della licenza e di quanto previsto dall’art. 31 della legge 298/74 (cfr. ns quesito n. 11 del 2014); • trasportare i rifiuti per conto di terzi secondo quanto previsto dall’autorizzazione rilasciata dall’Albo Nazionale Gestori Ambientali. Ciò determina, che con esclusivo riferimento ai rifiuti, non dovranno essere rispettati i limiti del conto proprio. *Ambiente Legale
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Novità a 360 gradi per la disciplina dell’AIA LE MODIFICHE INTRODOTTE ALLA DISCIPLINA DELL'AUTORIZZAZIONE INTEGRATA AMBIENTALE DAL D.Lgs. n. 46 DEL 4 MARZO 2014 di Rosa Bertuzzi e Nicola Carboni*
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on la Direttiva 24.11.2010 n. 2010/75/ UE Relativa alle emissioni industriali (prevenzione e riduzione integrate dell'inquinamento), il Parlamento Europeo ha introdotto numerose modifiche sostanziali alle precedenti Direttive in materia di prevenzione dell'inquinamento dovuto alle attività industriali. Tra i diversi obiettivi della direttiva del 2010 c'è quello di assicurare che le norme interne degli stati membri garantiscano una più incisiva applicazione dei principi cardine della normativa ambientale comunitaria, in particolare del principio di “Chi inquina paga” e della “Prevenzione dell'inquinamento attraverso interventi alla fonte”. Tali principi sono diretti a garantire una gestione accorta delle risorse naturali, tenendo presente, se del caso, la situazione socioeconomica e le specifiche caratteristiche locali del sito in cui si svolge l'attività (Cfr. punto 2. Premesse Dir. 210/75/UE). La normativa comunitaria interviene armonizzando il sistema di gestione integrata delle emissioni in atmosfera, nelle acque e nel suolo, al fine di evitare che approcci distinti nella disciplina delle emissioni impattanti favoriscano il trasferimento dell'inquinamento da una matrice ambientale all'altra. In sintesi gli strumenti utilizzati per raggiungere gli obiettivi prefissati sono: il rafforzamento dell'istituto dell'autorizzazione unica; il rafforzamento dell'applicazione delle migliori tecniche disponibili per la realizzazione degli impianti, anche al fine di limitare le difformità tecniche di realizzazione degli impianti nei di-
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versi paesi dell'Unione; una implementazione dei sistemi di monitoraggio e controllo sulle installazioni in esercizio. La Direttiva avrebbe dovuto trovare recepimento entro il 7 gennaio 2013. La scadenza non è stata rispettata, in quanto i principi e i criteri direttivi specifici per il recepimento della Direttiva 2010/75/UE sono stati forniti al Governo con l'art. 3 della Legge n. 96 del 06.08.2013, Legge di delegazione europea 2013. La funzione legislativa delegata è stata assolta con il D.Lgs. 46/2014 che ha apportato numerose e significative modifiche al D.Lgs. 152/06. La novella del 2014 è composta da 34 articoli con i quali: a. si riscrive sostanzialmente il Titolo III bis della Parte II che disciplina l'autorizzazione integrata ambientale; b. si introduce il Titolo III bis “Incenerimento e coincenerimento dei rifiuti” alla Parte IV; c. si apportano modifiche alle norme contenute nella Parte V in materia di tutela dell'aria e riduzione delle emissioni in atmosfera. Occupandoci delle modifiche apportate alla disciplina dell'AIA, occorre premettere che ancora una volta si è persa l'occasione di fornire una disciplina armonica di questo istituto, quasi che il necessario aggiornamento del suo impianto dispositivo debba inevitabilmente tradursi con un sostanziale aumento del volume delle norme, spesso a discapito del loro coordinamento.
L'AIA è stata introdotta nel nostro ordinamento con il D.Lgs. 372 del 04/08/1999 Attuazione della Direttiva 96/61/CE relativa alla prevenzione e riduzione integrate dell'inquinamento, decreto legislativo poi superato dal D.Lgs. n. 59 del 18.02.2005, quale atto di recepimento integrale della stessa direttiva del 1996. L'autorizzazione integrata ambientale è stata infine ricondotta dal D.Lgs. 128/2010 nell'alveo del Testo Unico dell'Ambiente con l'introduzione del Titolo III bis che ne prevede l'integrale disciplina. Come detto, la novella del 2014 introduce numerose novità nella disciplina dell'istituto. L'occasione era propizia al fine di correggere alcune disarmonie della previgente disciplina che si sono palesate nell'applicazione pratica dell'istituto. Si forniscono alcuni cenni sulle modifiche più significative. Il D.Lgs. 46/2014 interviene innanzitutto sulle definizioni pertinenti alla disciplina dell'AIA contenute nell'art. 5 del D.Lgs. 152/2006, al fine di renderle coerenti con le integrazioni e modifiche sostanziali introdotte nel successivo Titolo III bis. L'approccio sempre più integrato della disciplina degli impatti, che costituisce l'essenza dell'AIA, ha richiesto la modifica della sua definizione contenuta nell'art. 5 lett. o-bis, a mente della quale: l'AIA è il provvedimento che autorizza l'esercizio di una installazione rientrante fra quelle di cui all'art. 4 comma 4 lett. c) o di parte di essa a determinate condi-
zioni che devono garantire che l'installazione sia conforme ai requisiti di cui al titolo II bis ai fini dell'individuazione delle soluzioni più idonee al perseguimento degli obiettivi di cui all'art. 4, comma 4, lett. c). Tale provvedimento può valere per una o più installazioni gestite dal medesimo gestore, se localizzate nello stesso sito. La definizione viene poi ulteriormente ampliata rispetto a quella previgente. Viene infatti stabilito che, nel caso in cui diverse parti di un’installazione fossero gestite da impianti (visti come singole aziende) differenti, le relative autorizzazioni siano opportunamente coordinate a livello istruttorio. L'autorizzazione ha quale punto di riferimento l'installazione localizzata nello stesso sito ed è sul complesso dell'installazione che deve essere coordinata la disciplina dei diversi impatti. Si vuole evitare che la pluralità delle singole autorizzazioni, rilasciate in un unico sito, sommino i loro valori di emissione determinando impatti non accettabili. Alla stessa logica corrisponde la sostituzione, in tutta la disciplina dell'AIA, del termine “impianto” con quello più opportuno ed esteso di “installazione”. La definizione di in-
stallazione è contenuta alla lett. i-quater dello stesso articolo 5 e sostituisce quella previgente di impianto. Per installazione si intende l'unità tecnica permanente in cui sono svolte una o più attività elencate all'allegato VIII alla Parte Seconda e qualsiasi altra attività accessoria che sia tecnicamente connessa con le attività svolte nel suddetto luogo e possa influire sulle emissioni e sull'inquinamento. La novità rispetto alla precedente definizione di impianto sta nella specificazione successiva del concetto di attività accessoria, per la quale deve intendersi l'attività tecnicamente connessa anche quando condotta da un diverso gestore. L'autorizzazione integrata ambientale pertanto deve essere rilasciata tenendo conto del complesso delle installazioni presenti sul sito e tecnicamente connesse. Qualora le installazioni siano in capo a diversi gestori, le autorizzazioni, ancorché formalmente distinte, devono essere coordinate a livello istruttorio, il che significa che occorre svolgere una valutazione complessiva degli impatti, che tenga conto dei singoli valori emissivi e della loro incidenza nell'ambito del sito interessato. Proprio la tutela complessiva del sito in cui è
autorizzata un'installazione ha determinato il legislatore ad apportare una rilevante modifica all'art. 29 ter del TUA, nel quale sono elencate le informazioni che il gestore deve produrre al momento della presentazione della domanda di autorizzazione, sulle quali l'Autorità competente svolge la propria attività istruttoria al fine del rilascio dell'autorizzazione. Al comma 1 dell'art. 29 ter è stata aggiunta la lett. m) che prevede la presentazione della Relazione di riferimento qualora l'attività comporti l'utilizzo, la produzione o lo scarico di sostanze pericolose. Il contenuto di tale nuovo documento è specificato alla lett. vbis) inserita nell'ambito delle definizioni di cui all'art. 5 TUA, così come novellato dal D.Lgs. 46/2014. La Relazione di riferimento contiene informazioni sullo stato di qualità del suolo e delle acque sotterranee, con riferimento alla presenza di sostanze pericolose pertinenti, necessarie al fine di effettuare un raffronto in termini quantitativi con lo stato al momento della cessazione definitiva dell'attività. Tali informazioni riguardano almeno: l'uso attuale e, se possibile, gli usi passati del sito, nonché, se disponibili, le misurazioni effettuate sul suolo e sulle acque sotterranee che ne
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illustrino lo stato al momento dell'elaborazione della relazione. L'obiettivo del legislatore è la verifica periodica in fase di esercizio e al momento della cessazione definitiva dell'attività dello stato delle matrici ambientali rispetto a quello in essere al momento della messa in esercizio dell'installazione. Infatti all'art. 29 sexies, che disciplina il contenuto prescrittivo dell'AIA, sono state aggiunte ulteriori disposizioni, in particolare il comma 9-quinques che alla lett. a) impone al gestore di trasmettere all'Autorità competente, per la sua validazione, la relazione di riferimento prima della messa in servizio della nuova installazione o prima dell'aggiornamento dell'autorizzazione rilasciata per l'installazione esistente, quando l'attività comporta l'utilizzo, la produzione o lo scarico di sostanze pericolose. Cosi come a mente della successiva lett. b) l'autorità competente al momento della cessazione dell'attività deve valutare lo stato di contaminazione del suolo e delle acque sotterranee da parte di sostanze pericolose pertinenti usate, prodotte o rilasciate dall'installazione. Se da questa valutazione risulta che l'installazione ha provocato un inquinamento significativo del suolo e delle acque sotterranee con sostanze pericolose pertinenti, rispetto allo stato constatato nella relazione di riferimento, il gestore dovrà adottare le misure necessarie per rimediare a tale inquinamento, tenendo conto della fattibilità tecnica di dette misure. A garanzia dei suddetti obblighi il gestore deve prestare
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adeguata garanzia fidejussoria, entro dodici mesi dal rilascio dell'autorizzazione a favore della regione o della provincia autonoma territorialmente competente. La prestazione della garanzia fidejussoria non era prevista nella previgente disciplina. In realtà, la giurisprudenza amministrativa aveva già da tempo obliterato il principio che l'autorità competente potesse prevederla, nell'ambito del quadro prescrizionale dell'autorizzazione. Si tratta di una regola di buon senso, atteso che gran parte degli impianti soggetti ad AIA possono costituire, in caso di malfunzionamenti dovuti o meno a colpa del gestore, causa di significativi pericoli di contaminazione dei siti in cui sono installati. Gli oneri di bonifica sono spesso molto rilevanti ed è opportuno fornire un'idonea garanzia per il loro assolvimento. Dal tenore letterale del comma 9 septies dell'art. 29 sexies sembrerebbe che la polizza fidejussoria sia obbligatoria solo quale garanzia degli eventi di contaminazione rilevati a fine esercizio, di cui alla lett. c) del comma 9 quinques dello stesso articolo. Si tratta di una disposizione quanto meno incoerente. Si osserva che a mente della successiva lett. e) il gestore, ancorché non tenuto ad elaborare la relazione di riferimento, al momento della cessazione definitiva dell'attività ha comunque l'obbligo di eseguire gli interventi necessari ad eliminare, controllare, contenere e ridurre le sostanze pericolose pertinenti, in modo che il sito, tenuto conto dell'uso attuale o dell'uso futuro
approvato, non comporti un rischio significativo per la salute umana o per l'ambiente a causa della contaminazione del suolo o delle acque sotterranee in conseguenza dell'esercizio delle attività autorizzate. Tale attività di controllo ed eventuale bonifica è imposta al primo aggiornamento dell'autorizzazione per l'installazione esistente così come alla cessazione dell'esercizio, a prescindere dal fatto che il gestore sia obbligato in fase di presentazione dell'istanza di autorizzazione alla presentazione della relazione di riferimento. La limitazione della garanzia solo per le attività di bonifica di cui alla lett. c) non appare giustificata. Gli elevati costi a carico del gestore anche delle altre ipotesi di bonifica, renderebbero opportuna la previsione dell'obbligo di fornire idonea garanzia, ai fini della loro corretta realizzazione. Gli articoli 13 e 15 della Direttiva 2010/75/UE aggiornano la disciplina delle BAT; ciò si riverbera inevitabilmente sullo stesso contenuto dell'autorizzazione integrata ambientale. In recepimento alla disciplina comunitaria, l'art. 29 bis stabilisce che l'AIA è rilasciata tenendo conto di quanto indicato nell'Allegato XI alla Parte II e le relative condizioni sono definite avendo a riferimento le Conclusioni sulle BAT […]. Le “Conclusioni sulle BAT” è un documento adottato secondo quanto specificato all'art. 13 della Direttiva 2010/75/CE ed è pubblicato in italiano nella GUCE, che contiene le parti di una BREF riguardanti le conclusioni sulle migliori tecniche disponibili,
la loro descrizione, le informazioni per valutarne l'applicabilità, i livelli di emissione associati alle migliori tecniche disponibili, il monitoraggio associato, i livelli di consumo associati e, se del caso, le pertinenti misure di bonifica del sito. Le conclusioni sulle BAT sono adottate dalla Commissione secondo la procedura di cui al Regolamento (CE) 16.02.2011 n. 182/2011 Regolamento del parlamento europeo e del consiglio che stabilisce le regole e i principi generali relativi all'esercizio delle competenze di esecuzione attribuite alla Commissione. Nelle more dell'emanazione delle conclusioni sulle BAT, l'autorità competente dovrà utilizzare quale riferimento per determinare le condizioni dell'autorizzazione le pertinenti conclusioni sulle migliori tecniche disponibili, tratte dai documenti già pubblicati dalla Commissione europea in attuazione della Direttiva 96/61/CE e della Direttiva 2008/01/CE. Relativamente ai limiti di emissione che l'autorità competente dovrà fissare nel quadro prescrittivo dell'AIA, il comma 4-bis dell'art. 29 sexiex stabilisce che questi, in condizioni normali, non devono superare i limiti fissati dalle BAT-AEL. Le BAT-AEL sono i livelli di emissione associati alle migliori tecniche disponibili e trovano la loro definizione alla lett. l-ter.4) dell'art. 5 del TUA. Si tratta di intervalli di livelli di emissione ottenuti in condizioni di esercizio normali utilizzando una migliore tecnica disponibile o una combinazione di mi-
gliori tecniche disponibili, come indicato nelle conclusioni sulle BAT, espressi come media in un determinato arco di tempo e nell'ambito di condizioni di riferimento specifiche. Nei casi tassativamente previsti dalla norma, l'autorità competente può fissare limiti più rigorosi o meno rigorosi rispetto a quelli fissati nelle BAT-AEL, dandone espressa motivazione nell'ambito del procedimento di rilascio, di revisione o di rinnovo dell'AIA. Il comma 4 ter dell'art. 29 sexies consente la prescrizione di limiti più rigorosi nei seguenti casi: a) nel caso previsto dall'art. 29 septies, quando uno strumento di pianificazione o di programmazione ambientale, considerate tutte le sorgenti emissive coinvolte, al fine di assicurare in una determinata area il rispetto delle norme di qualità ambientale riconosca la necessità di applicare ad impianti localizzati misure più rigorose rispetto a quelle desumibili dalle BAT-AEL; b) quando lo richiede il rispetto della normativa vigente nel territorio in cui è ubicata l'installazione o il rispetto di provvedimenti relativi all'installazione non sostituiti dall'autorizzazione integrata ambientale. In questi casi l'Autorità competente dovrà esplicitare, nella prima conferenza dei servizi indetta per il rilascio dell'autorizzazione, l'esistenza di tali limiti più rigorosi e quindi la necessità della loro applicazione alla singola installazione. L'autorità competente può in un solo caso
prescrivere limiti emissivi meno rigorosi rispetto a quelli previsti nel precedente comma 4 bis. L'ipotesi è prevista al comma 9 bis dell'art. 29 sexies, quando sia dimostrato che l'applicazione delle BAT AEL comporterebbe una maggiorazione sproporzionata dei costi rispetto ai benefici ambientali ottenibili, in ragione dell'ubicazione geografica, delle condizioni ambientali locali dell'installazione interessata e delle caratteristiche tecniche della stessa installazione. Tali ragioni devono tuttavia essere documentate dall'amministrazione competente in un apposito allegato all'autorizzazione ambientale. Resta l'obbligo per l'amministrazione, in sede di ogni pertinente riesame dell'autorizzazione, di verificare e quindi ricertificare la permanenza delle ragioni e condizioni che hanno determinato la fissazione di limiti meno rigorosi in sede di rilascio dell'AIA. Come è evidente si tratta di ipotesi piuttosto particolari e comunque marginali, che impongono all'autorità competente una costante verifica dell'attualità della scelta operata. Al venir meno delle condizioni che hanno determinato la scelta dell'autorità competente si impone la revisione del quadro prescrittivo dell'Autorizzazione, con conseguente fissazione dei limiti più rigorosi di emissione secondo quanto disposto dal comma 4 bis dell'art. 29 sexies. *Ambienterosa, Consulenze Legali Ambientali
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Seconda edizione dell’Alta Scuola di Formazione sulle Bonifiche A conferma della sinergia tra Reconnet e Labelab, si è tenuta a Ravenna la seconda edizione dell’Alta Scuola di Formazione sulle Bonifiche, sempre in occasione dell’evento “Fare i conti con l’ambiente”. L’Alta Scuola di Formazione sulle Bonifiche nasce nel 2013 dalla collaborazione tra la rete Reconnet e Labelab, società costituta da un team di professionisti indipendenti nelle attività di consulenza e di progettazione nei settori del ciclo dei rifiuti, dell’acqua e dell’energia, che nel settembre 2001 ha lanciato il portale www. rifiutilab.it, diventato il sito di riferimento nazionale sulla gestione dei rifiuti. La prima edizione, tenuta nel corso dell’edizione 2013 dell’evento “Fare i conti con l’ambiente”, era stata finalizzata a fornire una panoramica dell’intero percorso di bonifica, dalla caratterizzazione e analisi di rischio alle tecnologie di messa in sicurezza e di bonifica, con il contributo di alcuni tra i maggiori esperti nel settore delle bonifiche provenienti da università, istituti scientifici ed organismi pubblici e privati. Nel progettare
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l’edizione 2014, che si è tenuta tra il 21 e 23 maggio 2014, in occasione dell’ottava edizione dell’evento “Fare i conti con l’ambiente”, si è puntato all’organizzazione di un vero e proprio secondo modulo della scuola, che fornisse un approfondimento di alcuni specifici argomenti. In particolare, la nuova edizione è stata incentrata sui temi della caratterizzazione, analisi di rischio e monitoraggio degli interventi. Nella scelta dei docenti, si è puntato al coinvolgimento di professionalità in grado di fornire alla classe non solo nozioni su aspetti di carattere teorico, ma anche di trasferire le proprie esperienze applicative. Inoltre, si è puntato all’internazionalizzazione della scuola, coinvolgendo docenti provenienti da istituti o agenzie internazionali. Infine, la scuola si è aperta anche agli altri partecipanti all’evento “Fare i conti con l’ambiente”, tramite una tavola rotonda organizzata sul tema delle bonifiche. La scuola, nata sotto il coordinamento scientifico del Prof. Renato Baciocchi (Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”), del Dott. Igor Villani (Provincia di Ferrara), dell’Ing. Mario Sunseri (SGM e Labelab) e della Dott.ssa Simonetta Tunesi (consulente ambientale)
ha registrato un numero complessivo di 39 iscrizioni, con la seguente composizione: 6 neolaureati e dottorandi/specializzandi; 12 dipendenti di enti pubblici (agenzie ambientali, amministrazioni locali, istituti scientifici) e 21 liberi professionisti o dipendenti di società di consulenza e studi professionali. La partecipazione è risultata sostanzialmente in linea con quella della prima edizione, nonostante la distanza temporale di soli 7 mesi e la non certo favorevole congiuntura economica. I contenuti della scuola
Poiché l’evoluzione del settore delle bonifiche passa senz’altro attraverso il confronto con le altre realtà internazionali, la prima giornata è stata dedicata ad un’illustrazione di alcune esperienze europee. La prima presentazione è stata svolta dal Dott. Gernot Döberl dell’agenzia ambientale austriaca, che ha illustrato l’evoluzione dell’approccio alle bonifiche in Austria, mettendo in evidenza come si sia passati gradualmente dall’obiettivo di garantire l’idoneità del sito a destinazioni d’uso multiple, al concetto di sito “fit for use”, consentendo di completare le bonifiche a costi maggiormente sostenibili.
Successivamente, il Dott. Frank Swartijes del RIVM (Istituto nazionale olandese per la tutela della salute umana e dell’ambiente) ha, in primo luogo, fornito una serie di informazioni sui diversi approcci alla bonifica adottati dai diversi paesi dell’unione europea, mettendo in evidenza alcune difformità nei criteri utilizzati per definire valori di screening ed obiettivi di bonifica. Si è poi soffermato su metodi e strumenti per la valutazione dei rischio sanitario da siti contaminati, discutendo le assunzioni alla base di alcune vie di esposizione, con particolare riferimento all’ingestione ed alla possibilità di inserire aspetti come la bioaccessibilità. Infine, si è soffermato su alcuni aspetti critici dell’analisi di rischio sanitaria, legati all’intrusione di vapori e all’uptake di contaminanti tramite la catena alimentare. La mattinata è stata chiusa dall’intervento dell’Ing. Laura D’Aprile della Direzione per la Difesa del Suolo e la Tutela della Acque del Ministero dell’Ambiente e per la Tutela del Territorio e del Mare, che ha illustrato lo stato di attuazione delle bonifiche nei siti di interesse nazionale (SIN), comunicando che tali informazioni sono adesso rese disponibili e continuamente aggiornate sul sito del ministero. Sono state poi evidenziate le principali modifiche normative apportate nell’ultimo triennio alla normativa ambientale, con riflessi sui procedimenti di bonifica, e sono state date anche alcune anticipazioni su interventi relativi ai siti agricoli e a quelli oggetto di riqualificazione industriale, nonché sull’introduzione di un percorso semplificato per i soggetti che decidano di effettuare la bonifica a CSC. Il pomeriggio della prima giornata della scuola è stato invece completamente dedicato ad una esercitazione applicativa del software Risk-net, coordinata dal prof. Renato Baciocchi e dal Dott. Igor Villani. E’ stata innanzitutto l’occasione per presentare in anteprima assoluta la versione 2.0 del software Risk-net, elaborato dall’Ing. Iason Verginelli dell’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, di cui è prevista a breve l’uscita in versione beta. La nuova versione del software include il nuovo database ISS-ISPESL delle proprietà chimicofisiche e tossicologiche dei contaminanti, ivi inclusa la speciazione degli idrocarburi anche secondo la classificazione TPHCWG, prevede
l’utilizzo dei dati provenienti dal monitoraggio dei gas interstiziali per la stima dei rischio e delle CSR, consente di includere l’eventuale fase separata nella stima dell’equazione del fattore di volatilizzazione basata sul bilancio di materia e considera anche il percorso di trasporto off-site in atmosfera di contaminanti volatilizzati dalla falda. Successivamente, la classe è stata suddivisa in due gruppi (beginners e advanced), ai quali è stata data l’opportunità di applicare il software ad un caso studio, utilizzando i computer resi disponibili in una sala informatica attrezzata. La tavola rotonda serale è stata invece un’occasione di confronto tra le modalità di gestione dei siti contaminati in Italia, Olanda e Austria. Oltre ai relatori stranieri, hanno partecipato alla tavola rotonda l’Ing. Daniele Cazzuffi del CESI nonchè coordinatore scientifico del programma di Remtech, la Dott.ssa Donatella Giacopetti di Unione Petrolifera, la Dott.ssa Simonetta Tunesi, tra i
redattori della prima normativa nazionale sulla bonifica (D.M. 471/99), che sono stati coordinati dal Prof. Renato Baciocchi, in qualità di Direttore Scientifico dell’Alta Scuola. La sessione mattutina della seconda giornata della scuola è stata dedicata ad approfondimenti relativi alla caratterizzazione idrogeologica dei siti contaminati. Il primo intervento è stato tenuto dal Prof. Alessandro Gargini
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dell’Università Alma Mater Studiorum di Bologna, che ha discusso in maniera molto approfondita il ruolo della caratterizzazione idrogeologica multilivello e dell’analisi isotopica delle acque sotterranee, facendo riferimento a siti contaminati di notevole rilevanza, quali il Petrolchimico di Ferrara e il sito di Bussi sul Tirino. Successivamente, il prof. Vincenzo Piscopo dell’Università della Tuscia si è invece soffermato sull’interpretazione delle prove idrogeologiche di campo in diverse tipologie di acquiferi. La mattinata è stata conclusa dall’intervento del Dott. Fabio Pascarella di ISPRA, che ha presentato i principali elementi del protocollo di monitoraggio delle barriere idrauliche, la cui applicazione dovrebbe consentire una verifica della tenuta di questi sistemi di messa in sicurezza sia da un punto di vista idraulico che idrochimico. Il pomeriggio è stato invece l’occasione per presentare le esperienze di bonifica nell’ambito dei siti versalis. L’Ing. Roberto Pecoraro,
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della Direzione Qualità, Sicurezza e Ambiente - QHSE, ha coordinato una serie di interventi da parte dei responsabili dei presidi ambientali di alcuni stabilimenti versalis e di alcuni docenti, che forniscono da anni a versalis supporto tecnico-scientifico nella gestione dei siti contaminati. Dopo una breve presentazione delle peculiarità della chimica italiana, ed in particolare di versalis, e una discussione dell’approccio della società alle bonifiche, svolta dal coordinatore della sessione, si è passati agli interventi del Dott. Francesco Giudice dello stabilimento di Mantova e dell’Ing. Elenia Loche dello stabilimento di Sarroch (Cagliari), che hanno illustrato le principali attività di bonifica e messa in sicurezza in corso negli stabilimenti, con particolare riferimento alla gestione della barriera idraulica, presente in entrambi i siti. Proprio quest’ultimo argomento è stato oggetto della presentazione del Prof. Marco Petitta, che ha discusso come attraverso l’elaborazione di un modello idrogeologico su scala di sito, sia stato possibile evidenziare le principali criticità gestionali della barriera idraulica e individuare le soluzioni gestionali più appropriate, consentendo un notevole miglioramento delle sue prestazioni. La sessione versalis è quindi continuata con l’intervento del Prof. Eros Bacci, già ordinario di ecotossicologia presso l’Università di Siena, che attraverso una serie di esperienze e casi studio ha messo in evidenza come le problematiche legate ad un sito contaminato siano ogni volta diverse e necessitino di un approccio multidisciplinare, che in qualche
modo è reso oggi sempre più difficile dalla crescente ed eccessiva specializzazione delle competenze. E’ seguito l’intervento del Prof. Mario Manassero del Politecnico di Torino, che ha presentato un esempio di verifica della tenuta di un sistema di isolamento fisico di una sorgente di contaminazione, illustrando con chiarezza i presupposti teorici e le modalità di calcolo adottate. Infine, è stata la volta della Dott.ssa Silvia Romagnoli, responsabile QHSE dello stabilimento versalis di Ravenna, che ha illustrato lo stato di avanzamento delle bonifiche nel sito e descritto nel dettaglio la bonifica dell’Isola 28, finalizzata alla sua immediata riqualificazione con realizzazione di un nuovo impianto. L’ultima giornata del corso è stata dedicata, per l’intera mattinata, alla discussione di misure e modelli per la stima del percorso di volatilizzazione e inalazione di vapori in ambienti outdoor e indoor. La prima presentazione è stata svolta dal Dott. Alessandro Girelli di IndustriaeAmbiente (Genova), che ha discusso le principali caratteristiche dei modelli utilizzati nell’analisi di rischio per la stima dell'intrusione di vapori, con particolare riferimento al ruolo giocato dall'assunzione fatta sulla frazione di fratture delle fondazioni. Sempre sulla vapor intrusion si è soffermato anche il Prof. Renato Baciocchi, che ha in particolar modo discusso come superare le limitazioni degli attuali approcci dell’analisi di rischio, sia mediante l’elaborazione di modelli più accurati, che tengano conto di fenomeni di attenuazione naturale, che mediante l’utilizzo di dati provenienti dal monitoraggio dei gas interstiziali. Successivamente, l’Ing. Simona Berardi di INAIL ha presentato una proposta di valutazione dei rischi per i lavoratori presenti nei siti di bonifica, affrontando una tematica molto delicata, dove la legislazione ambientale (D.Lgs. 152/06) si sovrappone con quella della sicurezza dei lavoratori (D.Lgs. 81/09). Infine, la sessione è stata conclusa dall’intervento della Dott.ssa Elena Sezenna del Politecnico di Milano, che ha illustrato principi e applicazioni del monitoraggio del gas interstiziale, mediante l’utilizzo di sonde e di camere di flusso. L’ultimo pomeriggio della scuola è stato infine principalmente dedicato alle tecniche in-
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novative di monitoraggio, con la presentazione delle esperienze nei siti syndial. L’Ing. Luciano Zaninetta, responsabile della ricerca della società, ha evidenziato come spesso nei procedimenti di bonifica gli attuali metodi di caratterizzazione non consentano di cogliere alcuni aspetti della contaminazione, sia in termini di distribuzione che di mobilità, con il risultato che spesso in fase di collaudo si riscontrano condizioni tali da rendere necessaria la ripetizione di parte della caratterizzazione, rinviando in questo modo la conclusione dell’iter di bonifica. Per questo motivo, syndial ha sviluppato approcci innovativi alla caratterizzazione, basati sull’impiego di campionatori passivi in polietilene, che sono stati applicati a sedimenti contaminati da DDT con l’obiettivo di valutare l’effettiva frazione biodisponibile dei contaminanti. La sessione centrata sui siti syndial è quindi proseguita con la presentazione di metodi innovativi di caratterizzazione idrogeologica, basati sulla tomografia idraulica. Infine, l’accento è caduto sul concetto di sostenibilità delle bonifiche, facendo riferimento ad un nuovo tool che syndial sta utilizzando per la valutazione degli impatti economici, sociali ed ambientali delle bonifiche, in fase di comparazione delle diverse opzioni tecnologiche. Infine, come esempio di bonifiche sostenibili, il Dott. Carlo Montella ha presentato un caso applicativo di applicazione del fitorimedio ad un sito contaminato. Conclusioni e prospettive
Se la prima edizione dell’Alta Scuola di Formazione sulle Bonifiche era stata una sorta di scommessa vinta, la conferma avuta con la seconda edizione configura ormai questa iniziativa come uno dei punti fermi dell’evento Ravenna “Fare i conti con l’Ambiente”. Il tema dei siti contaminati è infatti decisamente trasversale rispetto ai temi caratteristici dell’evento (acqua, rifiuti ed energia) e quindi è giusto e naturale che debba trovare uno spazio significativo nell’ambito di questa manifestazione ravennate. Anche quest’anno l’ampia partecipazione ed i riscontri ancora una volta positivi, hanno confermato la bontà dell’idea originale, ma anche premiato la volontà di innovare i contenuti della scuola rispetto alla prima edizione, rivoluzionando completamente il programma. I temi caratterizzanti della seconda edizione sono stati: l’internazionalizzazione, con il coinvolgimento di relatori stranieri che hanno portato l’esperienza acquisita a livello europeo sulle bonifiche; l’apertura verso il mondo industriale, con il coinvolgimento di versalis, che necessita di bonificare per liberare aree di impianto per realizzare nuovi investimenti, e di syndial, che ha invece come mandato societario proprio quello di bonificare i siti di proprietà eni; la presentazione della versione 2.0 del software di analisi di rischio “Risk-net”; la presentazione di approcci innovativi alla caratterizzazione idrogeologica e chimica dei siti contaminati. Anche quest’anno l’intenzione è pertanto di replicare nel 2015, con una nuova iniziativa di formazione residenziale, che la rete Reconnet e Labelab inizieranno presto ad immaginare. Invitiamo pertanto i lettori di Eco a fornire sollecitazioni alla redazione, suggerendo tematiche e argomenti che vorrebbero veder trattati nella prossima edizione.
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V E T RIN A
ECOMEDIT: CONTROLLI SU SERBATOI E VASCHE INTERRATI CONTENENTI LIQUIDI INQUINANTI I costi di ripristino ambientale legati alla bonifica di un’area per una micro perdita di prodotto inquinante stoccato in contenitori interrati aumentano in base all’estensione della contaminazione. Tolti i casi di fuoriuscite evidenti, subito identificabili e poco gestibili se non a posteriori, per tutte le altre situazioni è fondamentale ridurre il tempo del fenomeno identificando tempestivamente eventuali situazioni di rischio per intervenire e limitare il danno. Le prove di tenuta periodiche proposte da EcoMedit s.r.l. consentono, con impianti in esercizio e senza interrompere le normali attività produttive, di tenere costantemente monitorati, norma ISO 14000, serbatoi e vasche contenenti acque di processo, emulsioni, composti chimici e idrocarburi in genere. Le tecnologie “non distruttive” certificate EPA e riconosciute UNICHIM, concesse in uso esclusivo sul territorio italiano a EcoMedit, permettono in modo certo e sicuro a tecnici appositamente preparati di verificare l’assenza di perdite e la tenuta di serbatoi e vasche interrate con qualsiasi grado di riempimento. Iscritta all’Albo Nazionale delle imprese che effettuano la Gestione dei rifiuti cat. 5, 8, 9, certificata ISO 9001/2008 per la qualità, ISO 14000 per l’ambiente, in attesa della ISO 18000 per la sicurezza, qualificata ad operare in ambenti sospetti di inquinamento o confinati DPR 177/11 per la pluriennale esperienza nel settore petrolchimico, offre servizi quali: controlli spessimetrici delle lamiere norma ISO 9712, elaborazione di tabelle metriche di taratura norma API 255 e ISO 7507, bonifica gas-free, risanamento lamiere interne e dismissione serbatoi con una severa applicazione dei protocolli di sicurezza, in ottemperanza al D.Lgs. 81/08 e smi.
LA LINEA DI PRODOTTI EUROVIX PER LA BONIFICA DI SITI CONTAMINATI Per la bonifica dei siti contaminati Eurovix produce una linea dedicata di specifici bioattivatori a base enzimatico-microbica in abbinamento a speciali nutrienti-sinergizzanti, in grado di favorire l’immediata disponibilità dell’inquinante (idrocarburi, IPA, organoclorurati, residui organici) all’attacco biologico e velocizzare i tempi di degradazione. I microrganismi utilizzati, opportunamente selezionati (non OGM), sono biofissati su supporti minerali allo scopo di proteggere i microrganismi stessi contro i rischi di natura fisica e chimica, aumentarne il tempo di contatto col substrato da demolire e favorire la loro crescita. I microrganismi utilizzati sono assolutamente naturali, selettivamente specifici per le varie sostanze da degradare e sono utilizzabili direttamente sul terreno, in falda o nelle discariche esaurite al fine di accelerare le reazioni degradative. Trovano applicazione nelle seguenti tipologie di interventi: • bioventing, • biosparging, • biopile, • landfarming, • bonifica di discariche esaurite. I vantaggi principali associati all’impiego dei prodotti Eurovix sono: • rapida riduzione degli inquinanti rispetto alla degradazione naturale; • costi inferiori rispetto ad altri metodi; • possibilità di agire in situ, on site ed off site.
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E COAP P U N TA ME N TI EIRE
Milano, dal 24 al 26 giugno
La rassegna di riferimento del settore immobiliare, giunta alla sua decima edizione, si svolgerà nel quartiere di FieraMilanoCity e sarà incentrata sul tema della valorizzazione del patrimonio immobiliare pubblico. “Rigenerazione” sarà la parola chiave dell’evento poiché il patrimonio immobiliare, diffuso su tutto il territorio italiano, rappresenta una straordinaria opportunità per far ripartire l’economia del nostro Paese. EIRE rappresenta la vetrina ideale per la presentazione di progetti di sviluppo e valorizzazione destinati a inaugurare, nel Paese, nuovi poli di attrazione nelle aree commerciali, industriali e logistiche. In questo senso questa decima edizione rappresenterà un momento di condivisione tra tutti gli attori della filiera immobiliare per indicare uno scenario nuovo per un settore strategico e decisivo per il Paese. www.italiarealestate.it
MC TER
MILANO, 25 Giugno
Gli eventi mcTER sono appuntamenti verticali che uniscono una parte espositiva a una componente formativa. Il 25 giugno si terranno in concomitanza a Milano mcTER Cogenerazione, mcTER Forest, mcTER Bio-Gas e mcTER Pompe di Calore: una sola location per massimizzare l’offerta di prodotti, tecnologie, soluzioni nell’ambito del mondo dell’energia. Il format dell’evento, oltre ai convegni, può contare su una ricca area espositiva e una serie di workshop tecnico-applicativi, svolti nel pomeriggio, a cura delle stesse aziende partecipanti. Un appuntamento irrinunciabile, la cornice ideale per i professionisti della Cogenerazione, del mondo dell’Energia e del Riscaldamento, per conoscere gli sviluppi tecnologici e le prospettive future del settore, oltre che importante momento di incontro tra aziende e operatori nell'ottica di sviluppare nuove sinergie e business. www.mcter.com
REMTECH
FERRARa, dal 17 al 19 Settembre
RemTech Expo, l’evento più specializzato in Italia sulle bonifiche dei siti contaminati e la riqualificazione del territorio, sarà dal 17 al 19 Settembre punto di incontro per aziende, amministrazioni, associazioni, istituzioni, professionisti, università, industria, comparto petrolifero e settore immobiliare. La II edizione di RemTech Training School sulle tecnologie innovative di bonifica, inaugurata con ottimi riscontri nel 2013, propone anche quest’anno temi e casi di grande interesse e attualità. Oltre alle sezioni speciali riproposte anche quest’anno, Coast Esonda Expo e Inertia, questa ottava edizione sarà caratterizzata dalla presenza di due importanti eventi di carattere internazionale: The Sustainable Remediation Conference 2014 e The 4th International Symposium on Sediment Management I2SM. www.remtechexpo.com
GEOFLUID
piacenza, dal 1° al 4 ottobre
La ventesima edizione della mostra internazionale delle tecnologie ed attrezzature per la ricerca, estrazione e trasporto dei fluidi sotterranei si terrà a Piacenza dal 1° al 4 ottobre ed è riconosciuta quale la più importante ed affermata manifestazione specializzata nei comparti della perforazione e dei lavori nel sottosuolo. Le aree tematiche sono 4, Geofluid, Geotech, Geotunnel e Geocontrol, e grazie alla presenza di importanti aziende e forte dell’alta qualificazione professionale dei visitatori questo evento diviene il luogo d’elezione per stabilire contatti mirati e per confrontarsi con potenziali clienti. www.geofluid.it
ACCADUEO
bologna, dal 22 al 24 ottobre
Nuova sede e nuove date per Accadueo, la mostra internazionale delle tecnologie per il trattamento e la distribuzione dell'acqua potabile e il trattamento delle acque reflue giunta quest’anno alla dodicesima edizione. Lo spostamento dalla precedente sede di Ferrara e lo svolgimento in concomitanza con le fiere della piattaforma espositiva di BolognaFiere, SAIE e Smart City Exhibition, contribuiranno ad accrescere l’importanza dell’evento, sia a livello nazionale che internazionale. Da oltre 20 anni luogo di incontro per tutto il settore dei servizi idrici, produttori di materiali, tecnologie e attrezzature, aziende pubbliche e private di gestione integrata dei servizi idrici, municipalità e imprese di esecuzione lavori, Accadueo offre anche momenti di aggiornamento grazie ad un fitto calendario di convegni e seminari tecnici dedicati all’approfondimento delle tematiche di maggior interesse. www.accadueo.com
AMBIENTE LAVORO
bologna, dal 22 al 24 ottobre
Si terrà in concomitanza con il SAIE la prossima edizione di Ambiente Lavoro, Salone della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, all’interno del quartiere fieristico di Bologna, avvalendosi di una collaborazione che già lo scorso anno ha rappresentato un’occasione di arricchimento sia in termini di tematiche che di professionalità coinvolte. Ambiente Lavoro 2014 si ripropone al pubblico dei professionisti della sicurezza sul lavoro come unica manifestazione dedicata a 360 gradi alla prevenzione degli incidenti lavorativi e delle malattie professionali. Tematiche verso le quali si riscontra una progressiva attenzione, come dimostra la contrazione degli infortuni e la parallela emersione delle malattie professionali, attenzione che Ambiente Lavoro contribuisce a rafforzare attraverso la presentazione delle novità di prodotto e servizio e alle iniziative culturali che ne arricchiscono i contenuti. www.ambientelavoro.it
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libri MANUALE TECNICO-GIURIDICO DI URBANISTICA AMBIENTe E TERRITORIO A cura di Alessandro Monaco
Gruppo Editoriale Simone (pagine 912 - € 70,00) Il manuale, arrivato ormai alla quarta edizione per via delle costanti innovazioni normative del settore a livello sia regionale che nazionale, si propone di affrontare il vasto tema dei principi fondamentali in materia edilizia e urbanistica in un’ottica estremamente professionale. Ponendosi come un utile strumento per tutti gli addetti ai lavori, i professionisti e gli amministratori, il testo contribuisce a fornire una chiave di lettura chiara e comprensibile del quadro legislativo vigente, e aiuta ad affrontare e superare le piccole incongruenze e contraddizioni, spesso presenti, causate dalla contrapposizione di una legislazione non sempre sufficientemente elastica e una realtà territoriale e urbanistica multiforme e in costante trasformazione. Lo scopo dell’autore è quello di elevare la qualità globale dell’ambiente naturale ed antropico, e ciò si evince chiaramente fin dal primo capitolo, in cui viene introdotto l’argomento urbanistico ponendo come basilari le definizioni di città ideale secondo Platone e Aristotele. Il manuale si snoda in tre parti principali, che riguardano la legislazione urbanistica, la pianificazione territoriale e urbanistica e infine la trattazione delle norme regolatrici dell’attività edilizia; qualsiasi modifica normativa futura sarà accessibile inoltre negli aggiornamenti online attraverso il QR Code di cui è provvisto il libro.
LA VALORIZZAZIONE DEGLI SCARTI AGROINDUSTRIALI
A cura di Lucia Tonucci, Angela Alessia Giuliani e Nicola d’Alessandro
Aracne Editrice (pagine 100 - € 12,00) Il volume prende come punto di partenza il Quinto Progetto sui Cambiamenti Climatici, redatto dal Panel Intergovernativo (IPCC) dell’ONU, che mostra per la fine del nostro secolo un drammatico innalzamento della temperatura di circa 1,5°C rispetto all’era industriale, e si pone di conseguenza l’obiettivo di divulgare tecniche e consigli per controllare la quantità di CO2 emessa in atmosfera. Si va a indagare, dunque, sulle trasformazioni chimiche, chimico-fisiche e biochimiche più interessanti e attuabili in territorio italiano sui rifiuti delle lavorazioni agricole e alimentari soffermandosi in particolare sull’ambiente abruzzese, con lo scopo di acquisire energia, nutrienti per l’alimentazione, building block e altri prodotti richiesti nell’industria chimica e farmaceutica. Dopo una breve introduzione, il testo dedica ogni capitolo a un argomento ben circoscritto: inizialmente si sofferma su diverse colture agricole, per concentrarsi infine sulla biomassa vegetale, sul biodisel e sui prodotti ittici, con dati precisi e riferimenti bibliografici per approfondire ogni sezione. Il libro riesce dunque a suscitare un forte interesse in chi lavora nel campo agroindustriale per ciò che concerne l’opportunità di trasformare i rifiuti in risorse per le nuove produzioni.
LA NUOVA IUC DALLA TARES ALL’IMPOSTA UNICA COMUNALE: COSA CAMBIA DAL 2014 A cura di Claudio Bentivegna e Antonio Cantalupo
Maggioli Editore (pagine 288 - € 44,00) Quest’opera si rivolge principalmente agli operatori del settore tributario e agli studenti in materie economiche e giuridiche, e contribuisce a fare chiarezza su un argomento non ancora chiaro per tutti, ossia il passaggio dalla TARES, la tassa sui rifiuti e servizi, alla IUC, la nuova imposta unica comunale in vigore a decorrere dal 1° gennaio 2014, e su tutte le conseguenti implicazioni. Il libro si apre con un’utile introduzione generale sulle origini e sull’evoluzione del tributo per poi dispiegarsi su sette capitoli in un’ampia trattazione del fitto sottobosco legislativo riguardante il tema “rifiuti” e soffermarsi sulle due componenti TARI (tassa sui rifiuti) e TASI (tributo sui servizi indivisibili), senza tralasciare un capitolo unicamente dedicato alla politica europea sull’argomento. La seconda metà del libro è poi occupata da un’appendice che comprende tabelle riassuntive e focus sui decreti legislativi. Il testo è inoltre corredato da un CD-Rom (aggiornato online sul sito dell’editore) contenente lo schema di regolamento comunale IUC e alcuni modelli, come la Dichiarazione e denuncia del contribuente ai fini IUC e il Ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale, che permettono una compilazione personalizzata e la stampa.
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5,8NOVEMBRE2014RIMINIFIERA DEMOLIZIONE E RIQUALIFICAZIONE DI AREE DISMESSE
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