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Demolizione e riqualificazione Di aree Dismesse

settembre 2014 anno vII numero 28

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Meno rifiuti, più occupazione

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uesto claim oltre ad essere un ottimo slogan preelettorale potrebbe realmente rappresentare uno scenario auspicabile entro pochi anni, vediamo il perché. Non sono rare le volte in cui l’Europa fissa degli obiettivi con chiare scadenze temporali a cui tutti i Paesi membri devono adeguarsi e sono ancora meno rare le volte in cui l’Italia si è fatta bacchettare per non aver rispettato i suddetti obiettivi. A fine 2013 le procedure di infrazione aperte a carico dell’Italia erano 104, numero non solo da podio ma addirittura da medaglia d’oro, purtroppo la classifica parte dai Paesi meno virtuosi quindi più che medaglia si dovrebbe parlare di maglia nera. A fine luglio scorso il numero delle infrazioni, suddivise in 20 settori che spaziano dall’economia, agli appalti fino ad arrivare alla pesca è rimasto pressoché invariato a 101; di queste ben il 20% si riferisce a tematiche ambientali, una percentuale non certo trascurabile. Ovviamente numeri, percentuali e classifiche non solo fanno perdere credibilità e lustro all’Italia in Europa ma si portano dietro sanzioni economiche di decine di milioni di euro, che vanno pagate con soldi pubblici; somme ingenti che troverebbero sicuramente una collocazione più utile nel tamponare gli svariati ammanchi economici del nostro Paese. Ma non tutti obiettivi fissati dell’UE devono essere visti come una spada di Damocle sulle nostre teste o come un furto dalle nostre tasche. Alcuni di questi andrebbero considerati come un incentivo per l’economia e per l’occupazione; rimanendo su tematiche attinenti a quelle che trattiamo sulla rivista ad esempio, l’UE fissa che entro il 2020 tutti gli Stati dovranno raggiungere una percentuale in peso di recupero dei rifiuti urbani pari almeno al 50%. Un recente studio condotto da Conai in collaborazione con Althesys, società specializzata nel settore della ricerca ambientale, e presentato ad un convegno tenutosi a fine agosto a Rimini “Creare occupazione. Quali garanzie?” dimostra, dati e tabelle alla mano, che riuscire a raggiungere gli obiettivi UE sulla gestione dei rifiuti determinerà consistenti ricadute in termini di occupazione e di valore aggiunto economico. Lo studio divide l’Italia in tre macro aree, Nord, Centro e Sud, e ipotizza due scenari: il primo, più ottimista, prevede il raggiungimento degli obiettivi prefissati in tutte le tre macroaree, il secondo, più realistico, ipotizza un tasso medio nazionale di riciclo dei rifiuti urbani del 50%, con punte minime del 40% al Sud e punte massime del 61% al Nord Est. Ciò che si evince dai dati raccolti, anche i più prudenti, fa ben sperare: sebbene la situazione in Italia risulti decisamente eterogenea, soprattutto per quanto riguarda il conferimento in discarica (limitato al 22% al Nord mentre al Centro e al Sud supera il 60%), si potrà arrivare all’ottenimento di ben 90mila nuovi posti di lavoro. Il volume d'affari incrementale della filiera del riciclaggio è stato valutato pari a circa 6,2 miliardi mentre gli investimenti in infrastrutture (impianti di selezione, produzione di semilavorati per il riciclo, compostaggio e termovalorizzazione), ammonterebbero a circa 1,7 miliardi, con un valore aggiunto quantificato in circa 2,3 miliardi. Numeri e prospettive ambiziose ma non surreali; nei cinque anni che ci separano dalla scadenza riusciremo a cogliere questa occasione o annovereremo nella nostra lista un’altra procedura di infrazione? Ai posteri l’ardua sentenza… Massimo Viarenghi

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settembre 2014

s o mm a r i o

ECO bonifiche rifiuti demolizioni

16 Installato in un birrificio l’innovativo sistema di depurazione delle acque di scarico che utilizza tappi di plastica riciclati per lo sviluppo della biomassa

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RUBRICHE ECONEWS VETRINA

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ECOAPPUNTAMENTI

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Libri

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STORIA DI COPERTINA il decommissioning del relitto concordia di Massimo Viarenghi

19 I dati emersi dal rapporto ispra evidenziano l’incessante crescita del consumo di suolo in Italia che avanza costante al ritmo di 70 ettari al giorno

44 Gli ottimi risultati di una bonifica di terreni e acque di falda con un intervento di bioventing e biosparging assistito con bioattivatori

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ATTUALITÀ Inaugurato il primo depuratore di acque di scarico… a tappi di plastica! di Maeva Brunero Bronzin

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Consumo di suolo in Italia: crescita e velocità ancora troppo alti di Michele Munafò

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Gestione sostenibile dei rifiuti e politiche per il cambiamento climatico di Andrea Barbabella

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Produzione, raccolta e smaltimento nel rapporto rifiuti urbani 2014 di Vanessa Sorrenti

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THE BIG EYE Il cibo invenduto illumina le giornate buie della provincia inglese di Vanessa Sorrenti

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REPORT Taglio del nastro per il termovalorizzatore di Torino di Maeva Brunero Bronzin

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SPECIALE

66 Seconda parte dell’aggiornamento normativo riguardante tutte le modifiche alla disciplina dell’AIA introdotte dal recente D.LGS. 46/2014

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Anno 7 - Numero 28

Il rischio biologico per gli addetti alla bonifica di siti contaminati di Biancamaria Pietrangeli e Domenico Davolos

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Anno 7 - Numero 28 Settembre 2014

Direttore responsabile: Massimo Viarenghi Direttore commerciale: Maria Beatrice Celino Coordinamento editoriale: Maeva Brunero Bronzin Collaboratori: Renato Baciocchi, Andrea Barbabella, Rosa Bertuzzi, Milena Bianchi, Emanuele Bobbio, Pierlorenzo Brignoli, Nicola Carboni, Daniele Carissimi, Maria Beatrice Celino, Jean Pierre Davit, Domenico Davolos, Massimo Di Martino, Gabriele Gagliardi, Gabriella Maria Sabina Losito, Matteo Masi, Michele Munafò, Federica Petrongari, Biancamaria Pietrangeli, Matteo Robiglio, Alfredo Rosace, Sonia Rosolen, Vanessa Sorrenti

PANORAMA AZIENDE Formazione, ricerca e innovazione di Maria Beatrice Celino

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L’evoluzione di un’azienda in 50 anni di storia di Alfredo Rosace

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WORK IN PROGRESS Intervento di BIOventiNG e BIOSPARGING assistito con bioattivatori

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di G. Gagliardi, P. Brignoli e M. Di Martino Spettacolo o demolizione? A voi la scelta… di Andrea Terziano Nuovo impianto di soil washing a servizio di una raffineria di Milena Bianchi

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PROGETTI E TECNOLOGIE RIQUALIFICAZIONE dei siti dismessi: scenari e approcci in tempo di crisi di E. Bobbio, J.P. Davit e M. Robiglio

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Decontaminazione elettrocinetica di sedimenti marini di M. Masi e G.M.S. Losito

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Il parco della scienza di Federica Petrongari

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NORMATIVA Novità a 360 gradi per la disciplina dell’AIA di Rosa Bertuzzi e Nicola Carboni

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La corte di cassazione sul tema dell’omessa bonifica di Sonia Rosolen

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Autorizzazione alla gestione dei rifiuti e varianti allo strumento urbanistico di Daniele Carissimi

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NOTIZIE DA ASSOCIAZIONI e reti Reconnet

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Comitato Scientifico: Maria Rosaria Boni (Sapienza Università di Roma) Daniele Cazzuffi (Cesi spa – Remtech) Laura D'Aprile (ISPRA, Roma) Luciano De Propris (Consulente ambientale) Ennio Forte (Università degli studi di Napoli) Luciano Morselli (Università di Bologna) Andrea Quaranta (Giurista ambientale – Cuneo) Gian Luigi Soldi (Provincia di Torino) Federico Vagliasindi (Università di Catania) Maria Chiara Zanetti (Politecnico di Torino) Ufficio commerciale - Vendita spazi pubblicitari: Maria Beatrice Celino Tel. 011 7497964 Cell. 335 237390 e-mail: b.celino@deaedizioni.it Grafica, disegni e impaginazione: PeVmedia - Via C. Vidua, 7G - 10144 Torino Abbonamenti: Italia annuo € 40,00 - estero annuo € 75,00 copia singola € 12,00 - arretrati € 14,00 Per abbonarsi è sufficiente fare richiesta a info@deaedizioni.it Stampa: Tipografica Derthona - s.s. per Genova, 3/I - 15057 Tortona (AL) Responsabilità: la riproduzione delle illustrazioni e articoli pubblicati dalla rivista è riservata e non può avvenire senza espressa autorizzazione della Casa Editrice. I manoscritti e le illustrazioni inviati alla redazione non saranno restituiti, anche se non pubblicati, e la Casa Editrice non si assume responsabilità per il caso che si tratti di esemplari unici. La Casa Editrice non si assume responsabilità per i casi di eventuali errori contenuti negli articoli pubblicati o di errori in cui fosse incorsa nella loro riproduzione sulla rivista. La responsabilità di quanto espresso negli articoli firmati rimane esclusivamente agli Autori. Direzione, Redazione, Abbonamenti, Amministrazione:

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Organo Ufficiale dell'Associazione Studi Ambientali L’abbonamento è deducibile al 100%. Per la deducibilità del costo ai fini fiscali vale la ricevuta del versamento a norma D.P.R. 22/12/86 n. 917 artt. 50 e 75. Conservare il tagliando - ricevuta, esso costituisce documento idoneo e sufficiente ad ogni effetto contabile. Non si rilasciano in ogni caso altre quietanze o fatture per i versamenti in c.c.p. Pubblicazione trimestrale Poste Italiane Spa – Sped. in a.p. D.L. 353/2003 conv. in L. 46/2004, art. 1, c. 1 – registrata presso il Tribunale di Torino il 19 ottobre 2009 al n. 56. Ai sensi del D.Lgs. 196/2003, informiamo che i dati personali vengono utilizzati esclusivamente per l’invio delle pubblicazioni edite da DEA edizioni s.a.s. Telefonando o scrivendo alla redazione è possibile esercitare tutti i diritti previsti dall’articolo 7 del D. Lgs. 196/2003.


econe w s

IL GRATTACIELO ORGANICO CONQUISTERà LONDRA Il concorso internazionale lanciato da SuperSkyScrapers a designer, ingegneri e architetti, aveva un obiettivo ben preciso: quello di valutare i progetti dei grattacieli più originali e innovativi, senza tralasciarne l’impatto sul paesaggio metropolitano. Una proposta in particolare, però, ha vinto non solo la prima menzione speciale della competizione, ma si è anche guadagnata l’interesse da parte del grande pubblico: il grattacielo organico, ideato dagli studi Chartier-Corbasson architectes e VS-A - Design & engineering of Building Envelopes, che dovrebbe sorgere a Londra. Nel progetto trovano soluzione svariati problemi che affliggono tutte le grandi metropoli, come ad esempio l’enorme aumento della popolazione e la conseguente maggior produzione di rifiuti. Il grattacielo sarà infatti costituito da una struttura ad impalcatura solida in bambù, tipicamente asiatica, i cui tubi cavi ridurranno l’impatto del vento sull’edificio; potranno inoltre generare energia elettrica per contribuire al fabbisogno energetico dell'edificio poichè conterranno al loro interno delle piccole turbine eoliche. Ma l’innovazione maggiore riguarda i rifiuti prodotti dagli abitanti dell’avvenieristico edificio: la carta riciclata e i rifiuti plastici verranno infatti utilizzati per creare pannelli costruttivi termoisolanti che saranno impiegati per rivestire il grattacielo, facendo così proseguire la costruzione e riducendo drasticamente le spese di costruzione. Un'altra dimostrazione che pensare in maniera più green conviene.

Decreto competitività e novità per l’ambiente

È entrata in vigore il 21 agosto 2014 la legge di conversione del D.L. 91/2014, il cosiddetto decreto competitività, portando con sé numerose novità su tematiche ambientali che vanno dalla gestione dei rifiuti alla semplificazione delle procedure di bonifica fino al famigerato Sistri.

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È stata infatti inserita nel Codice Ambientale una nuova procedura semplificata per la bonifica dei suoli che prevede un iter rapido con tempistiche serrate e applicabile anche ai procedimenti in corso. In merito alle aree militari è stata invece modificata la disposizione precedente secondo la quale per la determinazione dei superamenti delle CSC si faceva genericamente riferimento alla colonna B; con l’entrata in vigore della legge è prevista invece l’applicazione delle CSC relative ai siti ad uso verde pubblico, privato e residenziale, sulla base delle attività effettivamente condotte nell’area. Tra le novità in tema di rifiuti vengono introdotte ulteriori disposizioni per le procedure di recupero dei rifiuti che cercano di agevolare e semplificare l’utilizzo dei cosiddetti “end of waste” ed è previsto inoltre che i rifiuti indicati nella lista verde del Regolamento comunitario n. 1013/2006 possano essere utilizzati negli impianti industriali muniti di AIA. Infine, per quanto riguarda il Sistri, viene confermato l’obbligo di semplificare il sistema con l’applicazione dell’interoperabilità e la sostituzione dei dispositivi token usb senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

L’ACCELERATA SULLE BONIFICHE DEL MINISTERO DELL’AMBIENTE La sicurezza ambientale significa salute per i cittadini e difesa del territorio: lo sa bene, questo, il Ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti, in carica dal febbraio del 2014. Dall’inizio dell’anno, infatti, i decreti del ministero per progetti di bonifica delle aree SIN (Siti di Interesse Nazionale) hanno subito un’accelerata: ne sono stati predisposti 62; 51 di approvazione, 8 di autorizzazione di avvio dei lavori e 3 di approvazione dei progetti di dragaggio. Oltre il doppio, dunque, rispetto all'intero anno 2013, in cui i decreti erano stati 26. Sempre in questi primi sette mesi dell’anno si sono tenute 112 Conferenze dei Servizi (65 istruttorie e 47 decisorie, quasi una al giorno) nel corso delle quali sono stati esaminati progetti di interventi di bonifica per circa 600 ettari di territorio. Il Ministro ci tiene però a precisare che si vuole agire non solo velocemente, ma anche bene: col decreto legge 91 è stata infatti introdotta una procedura accelerata e facilitata per le bonifiche, seguendo appieno il rispetto degli standard ambientali. La rinnovata azione del ministero non si ferma all’attività istruttoria sulle bonifiche; cinque delle aree SIN (Laguna di Grado e Marano, Venezia Porto Marghera, Massa e Carrara, Livorno e Napoli Bagnoli Coroglio) sono state sottoposte a riperimetrazione su richiesta delle Regioni interessate. I dati e le mappe precise dell’attività svolta sono inoltre liberamente consultabili sul sito del Ministero.


Decommissioning 2014: il top della demolizione Alla sua quinta edizione ormai il Decommissioning è diventato un appuntamento fisso per tutte le imprese e i professionisti operanti nel mondo delle demolizioni civili e industriali. Il salone dedicato al mondo delle demolizioni e della riqualificazione delle aree dismesse anche quest’anno vi aspetta nel padiglione C1 dal 5 all'8 novembre all'interno della fiera Ecomondo. Durante l’evento, come nelle passate edizioni, verrà organizzato un convegno di grande interesse tecnico, quest’anno si parlerà di “Interventi complessi di demolizione: dalla progettazione all’esecuzione”. Grazie al contributo delle realtà più importanti del settore verranno presentati interventi fuori dall’ordinario. Progetti e opere che, per complessità e difficoltà tecnica, hanno richiesto un approccio ingegneristico dedicato e attrezzature realizzate ad hoc. Gli interventi spazieranno dalla demolizione civile di grattacieli, alla demolizione industriale di impianti complessi fino a toccare il decommissioning nucleare e quello navale.

TRITURATORI E IMPIANTI PER IL RICICLAGGIO DEI RIFIUTI 7

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ROGHI DI RIFIUTI, LA NUOVA PIAGA DEI PAESI IN VIA DI SVILUPPO “L’inquinamento atmosferico in gran parte del globo è notevolmente sottostimato perché nessuno sta rintracciando la combustione a cielo aperto degli incendi di spazzatura”. Questo il grido d’allarme lanciato da Christine Wiedinmyer, autrice dello studio condotto dal National Center for Atmospheric Research. In esso si stima che circa 1,1 miliardi di tonnellate di spazzatura (oltre il 40% dei rifiuti prodotti in tutto il mondo), vengano smaltiti in roghi non regolamentati, producendo così emissioni dannose per la salute umana e colpevoli dei cambiamenti climatici. In base ai risultati emersi, infatti, dai roghi di rifiuti irregolari derivano il 29% delle emissioni umane globali di piccole particelle (meno di 2,5 micron di diametro), così come il 10% di mercurio e il 40% di idrocarburi policiclici aromatici, pericolosi inquinanti. Sarebbero i Paesi popolosi in via di sviluppo ad essere i maggiori responsabili di questo tipo di emissioni: Cina, India, Brasile, Messico, Pakistan e Turchia, dove gli incendi avvengono sia nei piccoli villaggi che nelle grandi e affollate megalopoli. Qui, il numero di impianti di smaltimento rifiuti è minore, e nella spazzatura finiscono i prodotti più disparati, fra cui legno, plastica, avanzi di cibo e apparecchi elettronici. Spesso, diversamente dalle emissioni prodotte dagli inceneritori commerciali, combustioni di questo genere non vengono denunciate agli enti ambientali, rendendone impossibile la registrazione nei documenti ufficiali e non influenzando in tal modo il processo politico decisionale.

HAPAG-LLOYD, MAESTRA NELLE DEMOLIZIONI NAVALI La compagnia navale tedesca Hapag-Lloyd, con oltre 40 anni di esperienza nel settore, si è aggiudicata, secondo l’associazione ambientalista Shipbreaking Platform (coalizione non governativa che

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da sempre si schiera contro le pratiche di demolizione pericolose e inquinanti di tutto il mondo), il merito di promuovere i processi di smantellamento in assoluto più virtuosi. Il portavoce della compagnia spiega come all’interno della stessa vigano modelli ben precisi per ciò che concerne la sicurezza dei lavoratori e la tutela dell’ambiente. Per questo motivo il riciclaggio professionale delle unità verrà supervisionato in stabilimenti certificati secondo i requisiti della Convenzione di Hong Kong. Il direttore esecutivo della Shipbreaking Platform, Patrizia Heidegger, nota come un numero sempre maggiore di armatori si stia rendendo conto che vendere le proprie vecchie navi in un mercato di seconda mano privo di regole significhi abbandonarle ad uno smantellamento dannoso sia per l’uomo che per l’ecosistema, e si augura che sempre più operatori mondiali seguano questo esempio per una soluzione corretta, praticabile e finanziariamente sostenibile.

In Sud America le acque reflue producono energia Una sola tazza di caffè richiede circa 140 litri d’acqua per essere prodotta e l’America Latina può vantare il 70% della produzione mondiale; qui la preparazione del caffè produce dunque una grande quantità di acque reflue, le quali vengono regolarmente rilasciate nei corsi d’acqua, senza alcun tipo di trattamento, insieme a tonnellate di rifiuti organici altamente tossici che inquinano il suolo e generano inoltre un’elevata quantità di gas serra, contribuendo così pesantemente al cambiamento climatico. UTZ Certified, programma di sostenibilità per la coltivazione e la produzione di caffè, cacao e tè che lavora in collaborazione con alcuni marchi presenti in commercio, ha recentemente dimostrato la possibilità di generare energia, affrontare il cambiamento climatico e proteggere le risorse idriche proprio grazie all’energia derivante dalle acque reflue del caffè. Specifici sistemi di trattamento dei reflui e dei rifiuti solidi sono stati installati in otto piantagioni in Nicaragua, dieci in Honduras e uno in Guatemala, ottenendo ottimi risultati: la riduzione del 50% dell’acqua utilizzata nella lavorazione del caffè e il suo pressoché totale trattamento, la produzione di biogas utilizzato per generare elettricità al servizio delle abitazioni e dei macchinari, e la prevenzione del rilascio di emissioni di gas serra in atmosfera. L'impatto ambientale ed economico fortemente positivo del progetto su più di 5.000 persone nella regione ha ispirato UTZ Certified a replicare l'iniziativa in altri Paesi, introducendo la tecnologia anche in Perù e Brasile con l’obiettivo di trovare supporto e fondi per portare lo stesso progetto anche in Africa e Asia.


Ambiente Lavoro: tre giorni di sensibilizzazione su sicurezza e salute nei luoghi di lavoro Ambiente Lavoro, il Salone dedicato alla sicurezza e alla salute nei luoghi di lavoro, si terrà dal 22 al 24 ottobre in collaborazione con SAIE, il Salone dell’Innovazione Edilizia, che quest’anno festeggia la cinquantesima edizione.

Nata con l’obiettivo di sensibilizzare le imprese sui temi della sicurezza e salute nei luoghi di lavoro, Ambiente Lavoro è un’occasione, per tutti gli operatori, di formazione e1aggiornamento fronte delle normative, ok B DEPURACQUE 240X150.qxp:Layout 23-02-2010sul9:13 Pagina 1 delle attrezzature e dei servizi più innovativi. Tra i temi cardine dell’edi-

zione 2014 la prevenzione delle malattie professionali, una problematica che diventa sempre più pressante dato che, come confermano i dati elaborati da Ambiente Lavoro, a partire dalla Banca dati Statistica Inail, in Italia nel 2012 sono state 46.111 le malattie professionali denunciate con un aumento rispetto al 2008 pari al 53%. “L’emergere delle malattie professionali – commenta Marilena Pavarelli, Project Manager di Ambiente Lavoro – deriva da una maggior consapevolezza dei lavoratori e dei professionisti preposti a rilevarle e controllarle. Il tema sarà al centro delle attività della manifestazione che torna a Bologna dopo l’esperienza positiva della collaborazione con SAIE nel 2013”. Grazie alla sinergia tra le due manifestazioni sarà dato ampio spazio al mondo dell’edilizia e della cantieristica con il focus Cantiere Sicuro, che, oltre a presentare una panoramica di prodotti, tecnologie e servizi per la sicurezza, ospiterà numerosi convegni dedicati a questo argomento. All’interno della manifestazione troveranno spazio anche la valutazione del rischio incendio, a cui verrà dedicata No Fire, un’area ad hoc dove si troveranno prodotti e sistemi per la sicurezza dal fuoco e Strade Sicure, altro progetto che intende presentare attraverso alcune esperienze i casi di incidenti in itinere e i rischi di chi lavora sulla strada.

impianti per il trattamento del percolato da discarica

L’impianto per il trattamento del percolato che si origina nelle discariche di R.S.U. è stato sviluppato sulla base del know-how e dell’esperienza che Depuracque ha acquisito nel campo degli evaporatori sotto vuoto per il trattamento di reflui altamente inquinanti in oltre dieci anni di realizzazioni applicative in area industriale. Questo impianto risolve in maniera definitiva il problema del trattamento del percolato con una soluzione tecnologicamente avanzata ed economicamente vantaggiosa in termini di costi sia di investimento sia di esercizio. L’impianto comprende normalmente una opportuna sezione di finissaggio del condensato per la rimozione dell’ammoniaca (strippaggio-assorbimento con aria in circuito chiuso) ed un eventuale trattamento di ossidazione biologica a fanghi attivati (processo S.B.R.).

In funzione di specifiche esigenze sono stati eseguiti impianti con sezioni di preconcentrazione e di finissaggio su membrane. I vantaggi sono rilevanti in quanto la tecnologia adottata coperta da brevetto Depuracque: - comporta il trattamento specifico del refluo con effettivo abbattimento degli inquinanti evitando qualsiasi diluizione; - evita i rischi connessi alla fase di trasporto; - consente l’ottimale recupero energetico del biogas; il fabbisogno termico può inoltre essere soddisfatto con il solo utilizzo di acqua calda da raffreddamento dei gruppi di cogenerazione e pertanto ad effettivo costo zero;

- costituisce applicazione della migliore tecnologia oggi praticabile per i reflui ad alto contenuto inquinante; - risolve in maniera definitiva i problemi dello smaltimento del percolato in assenza di emissioni significative in atmosfera. La gamma di normale produzione prevede modelli con capacità fino a 10 m 3/h. Ad oggi sono stati realizzati impianti presso le discariche di: Pescantina (VR), Centa Taglio (VE), Pantaeco (LO), San Miniato (PI), Chianni (PI), Fermo (AP), Rosignano Marittimo (LI), Serravalle Pistoiese (PT), Giugliano in Campania (NA), Monsummano Terme (PT), Jesolo (VE), Peccioli (PI), Malagrotta (RM), Bracciano (RM).

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storia di co p ertina

IL DECOMMISSIONING DEL RELITTO CONCORDIA un complesso e articolato progetto made in italy realizzato da Saipem e San Giorgio del Porto porterà in 22 mesi alla completa demolizione della nave naufragata al Giglio di Massimo Viarenghi

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a Concordia non ha certo bisogno di presentazioni e la sua storia da gennaio del 2012 ha riempito pagine e pagine di giornali. Il relitto di fama mondiale da alcune settimane si trova al porto di Genova, dove sono iniziate le delicate operazioni di alleggerimento e smantellamento che metteranno fine ad un triste capitolo della storia d’Italia. Si chiama Ship Recycling il consorzio italiano formato da due importanti realtà, Saipem e San Giorgio del Porto, che in 22 mesi dovrà completare il decommissioning del relitto giunto dal Giglio. A Genova abbiamo incontrato l’ing. Valerio Mulas, Saipem, Project Ma-

nager del consorzio Ship Recycling, e il dott. Manolo Cavaliere, responsabile commerciale della San Giorgio del Porto, che ci hanno spiegato le fasi e le peculiarità di un intervento di demolizione che sicuramente farà scuola nel settore del decommissioning navale aprendo la strada ad un mercato in via di sviluppo. Ship Recycling: il nome del consorzio identifica in modo univoco l’attività svolta. Però oltre al nome sono ampie le competenze e le qualità che vi hanno portato all’aggiudicazione della gara di smantellamento della Concordia, ci può descrivere quali?

Il Team di Ship Recycling, da sinistra, Manolo Cavaliere, Roberto Fossa, Domenico Bartolini, Alberto Pongiglione, Benedetta Ammendola, Valerio Mulas, Giacomo Girelli e Ferdinando Garrè

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La collaborazione tra Saipem e San Giorgio del Porto – ci spiega Manolo Cavaliere – nasce molti anni prima della Concordia, ed è legata ad operazioni di revamping di alcuni mezzi navali di proprietà Saipem affidate ai cantieri della San Giorgio. Nel settembre 2012 le nostre società hanno siglato un accordo con l’obiettivo di essere presenti anche nel settore della demolizione navale controllata o “Green ship dismantling”, un mercato fortemente strategico nei prossimi anni. Mi piace ricordare che la San Giorgio del Porto ha acquisito la ISO 30000, che certifica i sistemi di gestione per le attività di demolizione navale, è la prima società iscritta all’Albo Speciale delle Imprese di Demolizione Navale del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, ed inoltre ha ottenuto l’Autorizzazione Integrata Ambientale per la gestione di un impianto per il riciclaggio navale. Quando è stata indetta la gara per la demolizione della Concordia, è iniziata una corsa serrata per accaparrarsi il relitto. Come ben saprete erano diverse le compagini, sia italiane che straniere, che hanno presentato l’offerta tecnica, imprese e città che fino all’ultimo hanno cercato di portare la nave nel proprio porto. Saipem e San Giorgio del Porto hanno costituito un team di lavoro e hanno presentato una proposta tecnica ed economica che è risultata vincente rispetto alle altre. Ciò che ci riempie di orgoglio prima di tutto è che il grup-


po è completamente made in Italy, senza contare la solidità tecnico-finanziaria del binomio Saipem – San Giorgio del Porto che rappresenta un’importante garanzia per il progetto. Le competenze tecnico-gestionali di Saipem sono state le carte vincenti per la cura della componente ambientale del progetto di smantellamento che comprende i monitoraggi ambientali, le misure di tutela ambientale, il servizio di oil spill response, la bonifica di aree ed impianti oltre allo smaltimento e recupero dei rifiuti. San Giorgio del Porto dispone, oltre che di competenze specialistiche di cantieristica navale, anche di importanti asset portuali in concessione a Genova e Marsiglia che potevano essere utilizzati per eseguire tutte le attività di demolizione e recupero della nave. Quante persone sono coinvolte nel gruppo di lavoro? Dal 27 luglio 2014 siamo ufficialmente diventati proprietari del relitto, ci spiega Valerio Mulas, Project Manager dell’intervento. In quella data, la proprietà della Concordia è stata trasferita alle nostre due società con l’obiettivo specifico di eseguirne la demolizione; questo nel rispetto degli impegni contrattuali e delle prescrizioni ricevute da tutti gli Enti Pubblici, in particolare in sede di Conferenza dei Servizi Nazionale nel giugno 2014. Come sapete il processo di demolizione della Concordia è l’atto finale di un complesso intervento che ormai dura da 3 anni e che ha visto impegnate a vario titolo migliaia di persone tra tecnici, autorità ed enti di controllo. L’atto finale, che vede protagonista il Consorzio Ship Recycling, avrà una durata di 22 mesi circa e vedrà impegnate, a seconda delle varie fasi delle operazioni, un numero variabile tra le 50 e le 250 persone.

Il team del Consorzio è composto da diverse figure tecniche, gestionali, operative e di controllo suddivise in due grosse strutture operative: quella di gestione ed ingegneria, a cui spetta l’organizzazione della commessa e l’ingegnerizzazione delle diverse fasi operative, e quella di dismantling vera e propria. Le squadre hanno competenze diversificate, oltre al team delle demolizioni vi sono team dedicati alla gestione rifiuti, ai monitoraggi ambientali, alla sicurezza, fino ad arrivare ai tecnici che si occupano del sistema di galleggiamento della nave e alle squadre di pronto intervento ambientale. Questa eterogeneità di competenze è legata a filo diretto con l’unicità di questa nave; la Concordia è un relitto veramente unico nel suo genere: il galleggiamento non è garantito dallo scafo bensì da un complesso sistema di casse di zavorra che va costantemente monitorato e tarato. Il relitto, ovviamente, a differenza di una normale nave destinata a demolizione, non è stata svuotata e portata “al grezzo” per usare un termine caro all’edilizia, ma risulta in gran parte piena del suo contenuto originario: parliamo di tonnellate di arredi, di vettovaglie, di cibo, di impianti ed apparecchiature che sono stati abbandonati al momento del naufragio e con l’immersione in mare hanno subito per tre anni un processo di degrado tale da renderli completamente inutilizzabili e da inviare a smaltimento come rifiuti. In attesa che la normativa nazionale che disciplina i processi di riciclaggio navale trovi piena applicazione, la stessa gestione amministrativa del relitto è risultata abbastanza complessa. La Concordia è stata equiparata ad un rifiuto e, in quanto tale, le è stato attribuito un codice CER, il 16.04.01* (veicoli fuori uso). Pensate che l’intera nave è stata presa

in carico nel registro di carico/scarico dei rifiuti con le sue 65.558 tonnellate stimate, mentre l’impianto di riciclaggio, nelle fasi autorizzative, è stato a tutti gli effetti “pensato” come un impianto di autodemolizione in cui accede il veicolo e da cui escono rifiuti a smaltimento, rifiuti a recupero e parti di ricambio. Ing. Mulas, entrando più nel dettaglio, ci può spiegare il progetto che dovrà essere realizzato? Il progetto di demolizione della Concordia è stato articolato in quattro fasi distinte, di cui 3 eseguite con la nave ancora in galleggiamento. Tutte le attività sono precedute da una fase di preparazione volta a mettere in sicurezza le aree di lavoro e le vie di fuga. Considerate che i ponti dal 3 al 6 sono rimasti sommersi sino al momento del rigalleggiamento al Giglio, dopo il quale è iniziato il trasferimento a Genova. In tal senso, oltre alla riverifica delle condizioni

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ambientali e di sicurezza dei ponti superiori, sono iniziate le ispezioni dei ponti emersi inferiori da parte del personale HSE assistito da un team di chimici. Man mano che le operazioni porteranno alla riemersione di ponti attualmente sotto il livello del mare, si proseguirà con l’esecuzione delle suddette ispezioni. Contestualmente, sono stati finalizzati con gli Enti Pubblici i piani di monitoraggio ambientale e di prevenzione dell’inquinamento. Le attività della prima fase consistono essenzialmente nelle operazioni di alleggerimento della nave mediante messa in sicurezza e rimozione di tutti materiali e rifiuti presenti nei ponti emersi. Questa fase sarà condotta nella “Diga Foranea” del porto di Prà Voltri, dove si trova attualmente ormeggiato il relitto. Nella prima fase tutte le attività saranno organizzate in maniera tale da minimizzare la movimentazione di materiali e rifiuti, utilizzando per quanto possibile il relitto come zona di lavoro. Tutti i materiali rimossi verranno trasferiti con dei pontoni dalla “Diga Foranea” alla “Banchina di Voltri” dove saranno gestiti idoneamente secondo quanto previsto dall’AIA. Conclusa la fase 1 dei lavori, il relitto, il cui pescaggio è previsto che passi da 18 metri a circa 15 metri, sarà trasferito al “Molo ex Superbacino”, situato all’interno del Porto di Genova, dove si si procederà allo smantellamento dei ponti dal 14 al 2.

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Nella fase 3 vengono eseguite tutte le attività propedeutiche al trasferimento del relitto nel bacino di carenaggio n. 4 per la demolizione finale e il riciclaggio. In pratica, si dovrà procedere alla completa rimozione dei trenta cassoni, gli sponsons, che oggi permettono alla Concordia di rimanere in galleggiamento. Infatti la larghezza originaria della nave è pari a 35,5 metri, mentre con i cassoni raggiunge circa 60 metri, quando il bacino di carenaggio è largo circa 40 metri. Si garantirà il rigalleggiamento dello scafo realizzando dei volumi di spinta aggiuntivi ed inserendo appositi airbag. Solo successivamente potranno essere rimossi i cassoni. Come misura di prevenzione integrativa, durante questa fase saranno inoltre applicati dei teli magnetici per la tamponatura delle falle nella chiglia. Il relitto sarà infine rimorchiato nel Bacino n.4 (distante circa mezzo miglio dal Molo Ex-Superbacino, sempre in acque portuali) al fine di completare lo smontaggio in area segregata e a secco. Un secondo bacino di carenaggio (il numero 5), adiacente a quello che ospiterà la nave, sarà utilizzato per la gestione delle acque contenute all’interno del bacino 4. Questo passaggio garantirà la verifica analitica delle acque che potrebbero subire una possibile contaminazione dalle acque contenute nel relitto.

In funzione delle loro caratteristiche, verificate tramite indagini analitiche, le acque potranno essere scaricate in mare, inviate all’impianto di trattamento presente all’interno del Porto oppure, avviate a smaltimento presso impianti esterni autorizzati. Tutte le sequenze di taglio di parti strutturali nelle varie fasi del progetto verranno pianificate tramite l’ausilio di calcoli e simulate con l’applicazione di modelli numerici al fine di garantire la stabilità del relitto. Nel relitto sono presenti ancora moltissimi rifiuti che andranno smaltiti… Esattamente, spiega ancora Mulas, come vi dicevo prima, tutto il relitto è considerato un rifiuto e al suo interno, dopo tre anni dal naufragio, è difficile trovare frazioni riutilizzabili. Le attività di smontaggio saranno organizzate al fine di massimizzare la separazione dei diversi materiali di risulta minimizzandone le movimentazioni, grazie anche all’impiego di personale tecnico con un’esperienza consolidata, sia nella gestione dei rifiuti sia in progetti di ingegneria navale e di demolizione. In ogni caso, stimiamo di recuperare oltre l’80% in peso dei materiali del relitto, inclusi ovviamente i materiali metallici. Viste le quantità considerevoli di materiali da movimentare, gli impianti di destino dei rifiuti saranno selezionati nei luoghi più vicini al Porto di Genova, limitando gli impatti sul territorio. La rimozione dei materiali pericolosi, identificati nell’Inventory of Hazardous Materials (IHM), e lo svuotamento dei ponti emersi saranno le prime azioni da eseguire nel processo di alleggerimento. Su ciascun ponte del relitto sono presenti sostanze di varia natura che devono essere classificate e successivamente rimosse durante le attività di smantellamento. Le attività da eseguirsi su tutti i ponti sono molteplici e partono dalla messa in sicurezza delle aree di lavoro e degli accessi, alla predisposizione degli impianti ed attrezzature di cantiere (elevatori, gru, impianto aria, impianto antincendio, impianto illuminazione, etc.). Solo dopo si potrà procedere con la rimozione dei materiali ossia con le operazioni di alleggerimento. Particolare attenzione sarà dedicata alle attività di pulizia dei magazzini alimentari e delle celle frigo contenenti cibo. Questi depositi


sono distribuiti sui diversi ponti, con concentrazione maggiore nella parte più bassa del relitto (ponte 0). Probabilmente la maggior parte del cibo potrebbe trovarsi in uno stato di decomposizione avanzato, favorito peraltro dalla presenza delle acque di mare. In alcuni ambienti dei ponti emersi invece, si ipotizza la presenza di gas potenzialmente pericolosi pertanto tutte le attività di pulizia e svuotamento saranno eseguite successivamente alla verifica delle condizioni di non pericolosità dell’atmosfera che caratterizza tali aree. La gestione ambientale del relitto è un aspetto fondamentale del progetto, ci può spiegare quali sono le problematiche da tenere in conto? La priorità del progetto di Saipem e San Giorgio del Porto è la sicurezza e la minimizzazione degli impatti tramite avanzate misure di tutela dell’ambiente. Il controllo e le eventuali azioni di mitigazione sono garantite dalla realizzazione del progetto di monitoraggio ambientale che coinvolge le matrici interessate dalle attività: aria, rumore, acque marine e sedimenti. Prima dell’arrivo del relitto sono state eseguite tutte le campagne di monitoraggio volte alla verifica dello stato dei luoghi e quindi, sin dall’ormeggio della nave, si è dato corso ad analisi approfondite di tutte le matrici ambientali. Considerando la vicinanza alla città, seppur in un’area ampiamente industrializzata, il progetto di monitoraggio è stato articolato in modo da adottare la massima cautela in campo di protezione dell’ambiente concordando con le Autorità competenti i parametri, le frequenze, l’ubicazione delle stazioni di monitoraggio nonché le metodiche di campionamento e analisi. Per il monitoraggio della qualità dell’aria sono state installate alcune centraline all’interno dell’area di cantiere e in prossimità di ricettori sensibili. Il monitoraggio dell’aria sarà particolarmente importante durante le lavorazioni meccaniche di demolizione per cui è previsto un ampliamento dei parametri da monitorare rispetto a quelli già analizzati durante le altre attività. Per la componente rumore, prima dell’attracco della nave, è stato caratterizzato il clima acustico, sia in prossimità delle aree di lavoro

che presso le aree urbane adiacenti al cantiere ritenute particolarmente sensibili. Durante le lavorazioni verranno effettuati i rilievi acustici sulle stesse stazioni di misura in modo da individuare il loro contributo alla rumorosità dell’area. Per tutto il periodo di presenza del relitto in banchina e durante i trasferimenti, al fine di verificare l’eventuale presenza di sostanze contaminanti, il progetto prevede sia il monitoraggio dell’acqua in prossimità dello scafo, che dei sedimenti marini nei dintorni delle aree di ormeggio. Prima dell’inizio delle operazioni è stata installata attorno al relitto una barriera di contenimento, che verrà mantenuta anche quando la nave si troverà presso il Molo Ex Superbacino. Questo tipo di barriera è progettata per isolare parte del bacino e contenere rilasci accidentali durante le lavorazioni limitando l’eventuale dispersione di contaminanti. Per rispondere prontamente a tali eventualità sono a disposizione, 24 ore su 24, apposite unità di intervento multidisciplinari specializzate in attività antincendio e pronto intervento ambientale. Sia presso la diga di Prà Voltri che presso il Molo Ex Superbacino, è inoltre previsto un servizio di sommozzatori, sempre presenti per garantire l’efficienza delle strutture e dei sistemi di salvaguardia ambientale.

Questo intervento è un importante banco di lavoro che potrà aprire nuove prospettive? Ovviamente mi auguro che non vi saranno altre navi come la Concordia da smantellare a seguito di un naufragio, commenta Cavaliere, ma è indubbio che il riciclaggio delle navi diventerà un tema di forte interesse internazionale con l’adozione in sede IMO (International Maritime Organization) della Convenzione internazionale di Hong Kong del 2009, sul riciclaggio sicuro ed ecologico delle navi. Spero che la convenzione riesca ad arginare la migrazione delle navi a fine vita presso alcune nazioni del Sud-est asiatico, in siti privi delle più elementari norme di sicurezza e di salvaguardia della salute umana ed ambientale. La Convenzione entrerà in vigore dopo la ratifica da parte di almeno quindici Stati la cui flotta mercantile rappresenti almeno il 40% della stazza lorda della flotta mercantile mondiale. Per il progetto di dismissione e riciclaggio della Concordia, con largo anticipo sul recepimento del corpo normativo, è stato predisposto lo “Ship Recycling Plan” redatto proprio sulla base della convenzione. L’Italia è una delle prime cinque nazioni ad avere già firmato la Convenzione ed il Consorzio Ship Recycling è pronto ad affrontare questa nuova sfida.

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IL PROGETTO IN 4 FASI Il "Progetto di riciclaggio del relitto di Costa Concordia nel porto di Genova" (questo il titolo del piano di smantellamento che San Giorgio e Saipem hanno messo a punto per Costa) prevede complessivamente 4 fasi distinte.

FASE 1

Consiste nelle operazioni necessarie a ricevere il relitto nel “Porto di Genova Prà-Voltri” e nell’alleggerimento dello stesso che avverrà dopo il passaggio di consegne tecnico fra Titan Micoperi – il consorzio di imprese che ha lavorato alla rimozione della Concordia dall’Isola del Giglio – e i tecnici di Saipem/San Giorgio del Porto. Le attività previste includono la rimozione degli arredi interni e degli allestimenti dei ponti emersi, al fine di ottenere un pescaggio tale da raggiungere l’area delle riparazioni navali nel “Molo Ex Superbacino” senza eseguire operazioni di dragaggio. Il sito nel “Porto di Prà-Voltri” è composto da due aree di lavoro: il molo della “Diga Foranea”, identificato per l’ormeggio del relitto e le operazioni di alleggerimento e il molo in testata alla “Banchina di Voltri”, dove sarà allestita un’area di lavoro per le attività logistiche e la gestione dei rifiuti rimossi dalla nave. Le operazioni di alleggerimento saranno eseguite iniziando dal ponte più alto (n. 14), procedendo progressivamente un ponte per volta. Queste si concluderanno quando il relitto avrà un pescaggio di circa 15 metri, necessario per entrare nella banchina “Molo Ex Superbacino” (pescaggio attuale circa 17,5 metri, 18,5 se si considera lo spessore delle catene che attraversano lo scafo per il collegamento dei cassoni). Si stima che questa prima fase possa durare circa 5 mesi.

FASE 2

In questa fase il relitto sarà trasferito dalla “Diga Foranea” di Prà-Voltri al “Molo Ex Superbacino” dove verrà eseguito lo smantellamento delle strutture dei ponti dal n.14 al n.2, incluse le operazioni di rimozione degli arredi interni e degli allestimenti dei ponti che emergeranno con l’avanzamento dei lavori. Il trasferimento del relitto e le manovre di attracco saranno condotte secondo un piano appositamente predisposto insieme agli organi competenti tenendo conto anche dell’esperienza maturata durante le attività di rimorchio tra il Giglio e Genova e di ormeggio al molo diga di Voltri. Lo smontaggio delle strutture dei ponti avverrà in modo da non compromettere la stabilità e la resistenza longitudinale del relitto. A tal proposito, il relitto sarà diviso in tre sub-aree operative (prua, poppa e centro nave). Durante l’intera Fase 1 e il successivo rimorchio da Voltri al “Molo ex Superbacino” il sistema di zavorra, il sistema di monitoraggio delle tensioni ed il sistema di controllo degli strand jacks utilizzati per il traino dal Giglio a Voltri saranno mantenuti operativi.

FASE 3

Consisterà nell’esecuzione delle attività propedeutiche al trasferimento del relitto nel Bacino di Carenaggio n.4. Le operazioni principali che saranno effettuate in questa fase comprenderanno la creazione di volumi di spinta nel relitto mediante l’installazione di opportuni air-bag e la resa stagna di alcuni compartimenti, in modo da permettere la successiva rimozione dei 30 cassoni, i cosiddetti sponsons, che avverrà seguendo opportune procedure di scollegamento degli stessi. Sarà prevista, inoltre, l’attività di pulizia delle cambuse e delle celle frigo presenti al ponte n.0. Completate le operazioni elencate sopra, si procederà al rimorchio del relitto nel Bacino di Carenaggio n.4.

FASE 4

Saranno eseguite tutte le operazioni da effettuare in ambiente segregato e asciutto all’interno del Bacino di Carenaggio n.4, fino allo smantellamento completo del relitto. Per garantire la corretta gestione delle acque, verrà utilizzato il Bacino di Carenaggio n.5 per la caratterizzazione ed eventuale trattamento dei reflui. Nel Bacino n.4 sono previste le operazioni di rimozione degli allestimenti interni, la pulizia delle aree e la demolizione finale di tutte le strutture. La fase 4 si concluderà con le attività di gestione dei materiali, trasporto e smaltimento/recupero dei materiali di risulta.

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AT T U A L I Tà

Inaugurato il primo depuratore di acque di scarico… a tappi di plastica! Installato a servizio di un birrificio l’innovativo sistema di depurazione utilizza tappi di plastica riciclati come sede per lo sviluppo della biomassa di Maeva Brunero Bronzin

è

stato inaugurato a giugno a Novara il birrificio agricolo che sfrutterà un particolare sistema di depurazione per i reflui derivanti dalla produzione della birra. Il birrificio si chiama Hordeum e il sistema di depurazione è il frutto di un progetto condotto dalla start-up Eco-Sistemi, una delle aziende nate all’interno del Progetto Manifattura di Rovereto. Si tratta di un sistema di trattamento delle acque autonomo a biomassa adesa, nitrificante e denitrificante: una macchina di piccole dimensioni, disponibile sul mercato, che rimuove la sostanza organica dai reflui contenentei

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sia carbonio che azoto, uno dei principali elementi inquinanti delle falde acquifere. L’idea geniale, economica ed ecologica è che il sistema sfrutta banalissimi tappi di plastica riciclati! La macchina si chiama RCBR, acronimo di “Rotating Cell Biofilm Reactor”. Le quattro tipologie di birre (bionda, ambrata, weiss e strong ale) che sforna il birrificio ogni giorno, producono 5,5 metri cubi di refluo di produzione il cui carico inquinante è assimilabile a quello di una piccola comunità (circa 300 abitanti). «Invece di costosi dispositivi prestampati ove possa vivere e crescere lo spesso film di colo-

nie batteriche responsabili della depurazione, ovvero di organismi che si mangiano “lo sporco”, abbiamo impiegato banali tappi di plastica riciclati che per forma e materiale sono perfetti come “case” – carrier in termini tecnici – per i batteri. Poi intorno ci abbiamo adattato un contenitore efficiente per massimizzare la resa», spiega Dario Savini, amministratore delegato di Eco-Sistemi. «Spesso non serve l’hi-tech per fare innovazione verde ma analizzare in maniera integrata il problema e valutare tecnologie esistenti e il loro LCA. Un tocco di ingegneria e il gioco è fatto». I tappi riciclati inoltre fanno del bene per il sociale. «Sono raccolti dalle tante onlus che organizzano campagne di raccolta e riciclo, come Trentinosolidale Onlus che ha un magazzino raccolta tappi a Rovereto e la Onlus di Enzo Gambardella, di Milano. Noi li acquisiamo elargendo donazioni che aiutano persone disagiate ed anziani, aiutando l’ambiente e il mondo sociale». Per il sistema del birrificio sono stati impiegati 430 kg di tappi, il cui costo è stato utilizzato per opere benefiche in Trentino. «Noi crediamo che la nostra birra debba nascere in un contesto aziendale di grande qualità rispettoso dell'ambiente. Per questo ci siamo avvalsi di questa nuova tecnologia realizzata da Eco-Sistemi, low tech e di grande inventiva, come la nostra birra», spiega il


mastro birraio di Hordeum, Paolo Carbone Il mini impianto ha consumi limitatissimi, con un consumo reale misurato in funzionamento di 1,2-1,5 kW/ora equivalente a circa un decimo dei consumi di un impianto tradizionale. «Con altre tecnologie che svolgono lo stesso lavoro i consumi sono generalmente superiori a 10kW complessivo. Noi limitiamo i costi con due moduli che vengono azionati da un solo motore elettrico e con l’uso dei tappi, dato che il biofilm batterico ottiene ossigeno per svolgere il proprio lavoro dalla rotazione del sistema in atmosfera e non mediante compressori dedicati». Anche l’impatto sul territorio è limitato. Mentre i depuratori regolari possono misurare anche 20-25 metri quadrati il sistema di Eco-Sistemi misura 3,30 metri di lunghezza e 1,30 in larghezza.

«Molte imprese alimentari e zootecniche producono quantità di reflui importanti, che richiedono impianti in larga scala, spesso difficili da installare per le grandi dimensioni e che hanno un impatto rilevante», continua Savini. «Con questo tipo di impianto birrifici, ma anche allevamenti, aziende del comparto alimentare e piccoli aggregati urbani possono avere un impianto ecologico, a basso consumo e a basso ingombro».

PROGETTO MANIFATTURA: CINQUE ANNI DI SVILUPPO SOSTENIBILE La Manifattura Tabacchi di Borgo Sacco è prima di tutto un simbolo che rappresenta la prima grande fabbrica moderna del Trentino e racchiude in sé 150 anni di storia produttiva. Da qui si è partiti cinque anni fa con un progetto di rigenerazione di quelle strutture storiche, Progetto Manifattura – Green Innovation Factory, per farle rinascere sotto forma di incubatore tematico, un luogo di innovazione all’interno del quale si sono sviluppate sino ad oggi 40 aziende per un totale di 140 addetti. Sono passati 5 anni dalla sua creazione ed ora il Progetto Manifattura termina il suo percorso come società autonoma. Per festeggiare questo momento e tracciare un bilancio di questi primi anni di vita è stata presentata una pubblicazione, liberamente scaricabile sul sito del progetto, che in forma di sintesi racchiude la genesi del progetto, la sua visione, le principali tappe e i risultati conseguiti. L’iniziativa promossa dalla Provincia autonoma di Trento ha portato alla trasformazione della Manifattura Tabacchi in un centro di innovazione industriale nei settori dell’edilizia ecosostenibile, delle energie rinnovabili, delle tecnologie per l’ambiente e della gestione

delle risorse naturali. Non si tratta quindi di uno spazio indifferenziato e aperto ad ogni tipo di progetto imprenditoriale ma di un’area specializzata nata dalla convinzione che il sostegno all’avvio di nuove imprese abbia bisogno di aggregazione, di condivisione di know-how e interessi imprenditoriali, approccio al mercato e cultura organizzativa. I nove ettari del sito sono destinati ad ospitare, su una superficie coperta di circa 70.000 mq, un cluster composto da startup, imprese, centri di ricerca, strutture di formazione e servizi della Pubblica Amministrazione. Il progetto si differenzia dalla maggior parte dei progetti italiani di parchi tecnologici, business incubation center e iniziative simili, poiché la nuova Manifattura è nata da una realtà già viva e dinamica di imprese, centri di ricerca e istituzioni che hanno condiviso la costituzione di un sistema distrettuale. Il nuovo contenitore è stato quindi costituito per ospitare attività e progetti che alle spalle hanno una storia consolidata, rendendo possibile un avvio sicuro e rapido. Durante la prima fase sono stati recuperati circa 7000 mq dedicati alle nuove imprese e al percorso di incubazione che porta alla trasformazione di un’idea in un’impresa solida. Si passa quindi da un prima fase di avviamento (Greenhouse) ad una successiva di consolidamento e crescita (Innovation Factory), mentre parallelamente la società Progetto Manifattura si dedica alla progettazione delle opere di ristrutturazione e ricostruzione degli immobili con lo scopo di recuperare il patrimonio immobiliare pubblico altrimenti destinato al degrado e all’abbandono. A partire dall’agosto del 2011, momento in cui sono stati assegnati i primi spazi alle imprese, sono state valutate 66 richiesti di insediamento, 56 per il programma Greenhouse e 10 per il programma Innovation Factory. Dalla partenza del progetto il numero di richieste è sempre cresciuto e nel triennio 2011-2013 il numero complessivo di addetti impiegati è passato da 31 a 140 unità, con una quota di donne pari al 48%, una quota di laureati pari al 79% e un’età media di circa 35 anni. Le candidature all’insediamento vengono vagliate con criteri di selezione specifici al fine di assicurare un’elevata qualità e innovatività delle idee imprenditoriali.

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AT T U A L I Tà

La valutazione viene fatta innanzitutto sulla coerenza con le aree di azione del Progetto, e poi su una griglia di valutazione basata sui seguenti criteri: 1. innovatività 2. strategia di sostenibilità finanziaria 3. fattibilità tecnica/concretezza operativa 4. propensione al network 5. complementarietà del team 6. conoscenza del mercato e contatti con potenziali clienti 7. relazioni con altri soggetti imprenditoriali 8. eventuali risultati in contest/competizioni Infine, per l’accesso al programma Innovation Factory, le imprese devono superare una due diligence basata sul piano industriale presentato, coordinata da due team indipendenti della società Progetto Manifattura e di Trentino Sviluppo. La storia di questi 5 anni del progetto può essere sintetizzata nelle seguenti tappe.

Costituzione di Progetto Manifattura s.r.l.

Il 24 aprile 2009 Manifattura Domani s.r.l. (poi rinominata Progetto Manifattura s.r.l. a partire dal 22 marzo 2012) è stata costituita su indicazione della Giunta della Provincia autonoma di Trento.

Master Plan

Dall’autunno 2009 alla primavera 2010 viene elaborato un Master Plan della riconversione del compendio ex Manifattura Tabacchi grazie al lavoro di un team di progettisti di rilievo internazionale scelti a seguito di una procedura di selezione ad invito cui è stato affidato il compito di dare corpo ad una visione generale, finalizzata a disegnare uno spazio destinato ad attività produttive orientate al tema della “green economy” e incardinata su due elementi principali: sostenibilità e innovazione.

Prime autorizzazioni

Nel primo anno di attività sono state ridefinite le condizioni urbanistiche per la ristrutturazione e ricostruzione del sito, apportando le varianti necessarie a rendere velocemente attuabili i primi interventi di ristrutturazione. Nel 2010 è stato infatti portato a termine l’allestimento ad uso ufficio di 3.000 mq nell’edificio principale del compendio delle “Zigherane”, in cui si è trasferita nel mese di dicembre la società Manifattura Domani e dove, nei primi mesi del 2011, si sono insediati i primi soggetti, quali il Distretto Tecnologico Trentino Scarl, l’Associazione GBC Italia ed il centro di ricerca COSBI, rappresentativi dell’indirizzo tematico che guida il progetto.

Concessione comodato all’Università di Trento

Il 20 gennaio 2010, come previsto dagli accordi tra Provincia autonoma di Trento, Trentino Sviluppo e Università degli studi, è stato concesso in comodato all’Ateneo una parte del compendio, pari a circa 15.000 mq. con lo scopo di ospitare la sede del Centro interdipartimentale Mente e Cervello.

Progetto preliminare edificio “Zigherane”

Sempre nel 2010 è stato elaborato il progetto preliminare della ristrutturazione dell’edificio principale dell’ambito storico del compendio, l’edificio delle “Zigherane”, con l’aggiunta di un auditorium interrato da 400 posti coerentemente con le previsioni del Master Plan. Nel 2011 dopo l’emissione del bando di gara europeo è stata avviata l’attività di progettazione definitiva nel frattempo estesa al risanamento conservativo dell’edificio dell’“Essiccatoio” in luogo del previsto auditorium interrato. Nel corso del 2014 si sono quindi avviate le procedure au-

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torizzative per il recupero conservativo dei due edifici al fine di procedere alla progettazione esecutiva. L’espletamento della relativa gara è subordinato al finanziamento dell’opera, stimato in circa 22 milioni di euro.

Primi insediamenti di nuove imprese

Nel 2011 Progetto Manifattura si è dedicata alla sistemazione di uno spazio di circa 300 mq all’interno dell’edificio delle Zigherane per accogliere idee imprenditoriali in fase di avviamento. L’allestimento è stato completato nel mese di agosto 2011 e le prime imprese sono state accolte a partire dal mese di settembre.

Progetto “ambito B” e gara d’appalto

Nel mese di maggio 2011 è stato affidato l’incarico di progettazione preliminare dell’Ambito B secondo le linee guida previste dal Master Plan approvato. All’interno dei 5 ettari di questo ambito si prevede di accogliere le attività a carattere manifatturiero, oltre ad alcuni spazi pubblici e commerciali. Il progetto definitivo, sviluppato secondo i principi della progettazione integrata, è stato completato nell’agosto 2013 ed ha ottenuto parere favorevole in sede di Conferenza dei servizi decisoria il 2 ottobre. Successivamente, il 25 ottobre 2013, è stato pubblicato il bando di gara per la progettazione esecutiva ed esecuzione dei lavori di realizzazione del 1° lotto dell'Ambito B per complessivi 26.000 mq e oltre 43 milioni euro di lavori. Le 9 offerte presentate sono ora in attesa della valutazione da parte della commissione di gara.

Ampliamento spazi per insediamento di aziende

Viste le crescenti richieste di insediamento nel corso del 2012 è stato progettato l’allestimento di un’area di circa 4.000 mq all’interno dell’edificio “dell’Orologio”, per permettere l’inserimento di 20-25 imprese. Tale ampliamento ha consentito il raggiungimento di una superficie complessiva di circa 7.000 mq. Attualmente i nuovi spazi sono utilizzati già al 60 per cento.

Apprestamenti per apertura cantiere “ambito B”

Per la realizzazione dell’ambito B a prevalente destinazione produttiva, è stato necessario demolire i 130.000 metri cubi di volumi edificati rappresentati dai fabbricati industriali costruiti negli anni ’60 per la produzione delle sigarette, inadatti ad ospitare le nuove attività previste ed ormai obsoleti da un punto di vista strutturale ed impiantistico. Completata la fase progettuale, le opere di demolizione appaltate sono state completate nell’estate 2013.

Progettazione e realizzazione di ulteriori spazi per imprese e relativi servizi

A seguito di ulteriori richieste di insediamento nel mese di maggio 2014 si è proceduto a programmare la ristrutturazione del piano terra delle “Zigherane”. Contestualmente si è predisposto un progetto per rendere disponibile, sempre al piano terra dell’edificio delle “Zigherane” un’area destinata alla ristorazione e all’ospitalità (Green Table) per fare fronte alla crescente richiesta di servizi di ristorazione. Inoltre, a seguito di una razionalizzazione nell’uso degli spazi, un’area di circa 450 mq del primo piano dell’edificio “Zigherane” è stata riconvertita per accogliere imprese con fabbisogno di piccoli laboratori.

Scioglimento della società e sua incorporazione in Trentino Sviluppo

Il 28 maggio 2014 il socio unico Trentino Sviluppo ha comunicato la decisione della Giunta provinciale di procedere all’incorporazione di Progetto Manifattura srl in Trentino Sviluppo.


Consumo di suolo in Italia: crescita e velocità ancora troppo alte Una preoccupante fotografia derivante dal rapporto dell’Ispra evidenzia in tre anni il consumo di suolo per una superficie pari a 5 capoluoghi di regione di Michele Munafò*

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ono bastati 3 anni per compromettere definitivamente altri 720 km2 di suolo: dal 2009 al 2012 l’Italia ha definitivamente perso un’area pari alla superficie di 5 capoluoghi di regione, quasi come se avessimo costruito dal niente Milano, Firenze, Bologna, Napoli e Palermo tutte insieme. L’andamento del consumo di suolo in Italia, dal secondo dopoguerra ad oggi, evidenzia una crescita giornaliera del fenomeno che non sembra risentire dell’attuale congiuntura economica e continua a mantenersi intorno ai 70 ettari al giorno, con oscillazioni marginali intorno a questo valore nel corso degli ultimi venti anni. Parliamo di un consumo di suolo che, procedendo al ritmo impressionante di 8 metri quadrati al secondo, continua a coprire, ininterrottamente notte e giorno, il nostro territorio con asfalto e cemento, edifici e capannoni, servizi e strade. Tutto questo a causa dell’espansione delle aree urbane, spesso a bassa densità, di infrastrutture, di insediamenti commerciali produttivi e di servizio, che comporta la conseguente perdita di aree aperte naturali o agricole. Il tasso impressionante di cementificazione in Italia non si può spiegare solo con la crescita demografica: se negli anni ’50 erano irreversibilmente persi 178 metri quadrati per ogni ita-

liano, nel 2012 il valore raddoppia, passando a quasi 370 metri quadrati. Ma il processo ha cambiato radicalmente forma dal secondo dopoguerra ai giorni nostri. Infatti, se nel periodo tra gli anni ’50 e la fine degli anni ’80 il rapporto tra nuovo consumo di suolo e nuovi abitanti era pari a meno di 1.000 metri quadrati per ogni nuovo abitante (considerando le variazioni demo-

grafiche nello stesso periodo), negli anni ’90, a fronte di una crescita demografica quasi nulla, la perdita di aree naturali e agricole è continuata con tassi di crescita simili a quelli del periodo precedente, portando il rapporto tra nuovo consumo di suolo e nuovi abitanti a valori nettamente superiori, intorno agli 8.000 metri quadrati per nuovo abitante. Nell’ultimo decennio, grazie a una crescita

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demografica decisamente più pronunciata, causata prevalentemente dalla componente migratoria, si assiste a valori dell’indicatore più bassi, al di sotto dei 2.000 metri quadrati per nuovo abitante. E non è solo colpa dell’edilizia. I principali responsabili dell’avanzata del cemento sembrano essere le infrastrutture di trasporto (strade asfaltate e ferrovie 28% - strade sterrate e infrastrutture di trasporto secondarie 19%), che insieme agli edifici ricoprono quasi l’80% del territorio artificiale. Seguono poi edifici e capannoni (30%) ed infine piazzali ed aree estrattive e di cantiere (14%). A livello regionale, Lombardia e Veneto, con oltre il 10%, mantengono il “primato nazionale” della copertura artificiale, mentre Emilia Romagna, Lazio, Campania, Puglia e Sicilia si collocano tutte tra l’8 e il 10%. I comuni più cementificati d’Italia rimangono Napoli (62,1%), Milano (61,7%), Torino (54,8%), Pescara (53,4%), Monza (48,6%), Bergamo (46,4%) e Brescia (44,5%). Le conseguenze della perdita di suolo sono davvero importanti sia in termini di cambiamenti climatici, la cementificazione galoppante ha comportato (nel periodo di riferimento) l’immissione in atmosfera di 21 milioni di tonnellate di CO2 – un valore pari all’introduzione nella rete viaria di 4 milioni di utilitarie in più (l’11% dei veicoli circolanti solo nel 2012) – sia sull’acqua e sulla capacità di produzione agricola: sempre dal 2009 al 2012, tenendo presente che un suolo pienamente funzionante immagazzina acqua fino a 3.750 tonnellate per ettaro – cir-

ca 400 mm di precipitazioni Rapporto Ispra – per via della conseguente Il consumo di suolo in Italia impermeabilizzazione abIl primo Rapporto dell’ISPRA sul consumo di suolo, pubblicato a biamo perso una capacità di marzo del 2014, sancisce la fondamentale importanza di una riritenzione pari a 270 milioni sorsa che non è solo necessaria per la produzione alimentare ma di tonnellate d’acqua che, rappresenta il naturale supporto per le attività umane, per la chiunon potendo infiltrarsi nel sura dei cicli degli elementi nutritivi e per l’equilibrio della biosfera. terreno, deve essere gestiAnche a livello europeo la riduzione del consumo di suolo è un obietta. In base ad uno studio del tivo condiviso oggetto di un disegno di legge del Governo al vaglio Central Europe Programme, del Parlamento lo stesso Ministro dell’Ambiente, nella prefazione del secondo il quale 1 ettaro di Rapporto, auspica che la discussione parlamentare possa essere suolo consumato comporconclusa sollecitamente, dotando così il nostro Paese di una norta una spesa di 6.500 euro mativa adeguata. (solo per la parte relativa al mantenimento e la pulizia di canali e fognature), il costo della gestione mo messo a punto una nuova applicazione, dell’acqua non infiltrata in Italia nei 3 anni proprio per integrare e aggiornare in tempo presi in considerazione, è stato stimato in- reale la cartografia dell’Istituto con zone consumate che ancora non si conoscono. È torno ai 500 milioni di Euro. Il primo Rapporto dell’Ispra sul consumo di stata presentata insieme all’ultimo rapporsuolo rappresenta, da questo punto di vista, to Ispra, nell’Aula dei gruppi Parlamentari a un tassello fondamentale perché assicura gli Roma, ed è facilissima da usare: da qualsiasi elementi informativi necessari alla tutela di un dispositivo mobile, basterà inviare le coordibene comune e si configura come uno stru- nate e, a scelta, anche una foto per vedere mento che rende il patrimonio di conoscenze la propria segnalazione subito on line sulla e di dati raccolti sull’argomento, non appan- nostra cartografia. naggio dei soli addetti ai lavori, bensì un ser- La nuova App, scaricabile dal sito dell’Ispra ci permetterà di aggiornare la cartografia in vizio pubblico per il sistema Paese. Ma se le attività di Ispra e del Sistema Nazio- tempo reale con nuove segnalazioni, di comnale per la Protezione dell’Ambiente (Arpa e prendere meglio l’entità del fenomeno e, di Appa) sono oggi in grado di attuare un mo- conseguenza, di fornire un supporto sempre nitoraggio accurato del consumo del suolo, più efficace ai decisori politici. il fenomeno investe sempre nuove aree, con Con riferimento alle misure necessarie per una velocità troppo alta. Una velocità che limitare e ridurre il consumo di suolo nella rende difficile avere un quadro costantemen- nostra nazione, anche in considerazione dete aggiornato. È anche per questo che abbia- gli orientamenti comunitari che prevedono di arrivare a un azzeramento dell’occupazione netta di terreno entro il 2050, è attualmente in discussione in Parlamento un disegno di legge specifico finalizzato alla definizione e all’attuazione di misure di contenimento dello sviluppo urbano su aree non edificate. Speriamo anche noi, così come ha dichiarato il Ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio Gian Luca Galletti durante la presentazione del Rapporto Ispra, che si arrivi all'approvazione del DDL sul consumo di suolo prima della conclusione del semestre europeo a guida italiana. *ISPRA

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Gestione sostenibile dei rifiuti e politiche per il cambiamento climatico Creazione di benessere equamente esteso e tutela ambientale: quali sinergie per la Green economy di Andrea Barbabella*

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econdo il Programma Ambientale delle Nazioni Unite [1] (UNEP), per essere considerata green una economia deve essere capace di produrre benessere di migliore qualità e più equamente esteso, migliorando al tempo stesso la qualità dell'ambiente e salvaguardando il capitale naturale. In una green economy, la crescita di benessere e occupazione è trainata da investimenti - pubblici e privati - che puntano a “ridurre le emissioni di carbonio e degli inquinanti, a rafforzare l'efficienza energetica e dell'uso delle risorse, a

prevenire la perdita di biodiversità e il degrado dei servizi ecosistemici”. Con la green economy il paradigma tradizionale secondo cui le politiche ambientali rappresentano un freno allo sviluppo economico viene completamente ribaltato: alla base della green economy sta un'economia prospera e in grado di crescere proprio in quanto orientata a elevati standard di tutela ambientale. Non si tratta solo del frutto di un processo di internalizzazione dei costi generati dalle attività produttive tradizionali e scaricati sull’ambien-

te e sulla società. Secondo l’analisi dell’UNEP, attività economiche orientate in senso green sono spesso più efficienti, innovative e competitive rispetto a quelle tradizionali. Inoltre, considerando l’aggravarsi della crisi climatica ed ecologica e l’evoluzione del quadro normativo, le imprese che puntano sull’eco-innovazione avranno maggiori possibilità di competere sul mercato anche negli anni a venire. Quella messa in campo con la green economy non è, dunque, una proposta difensiva, che attribuisce alla dimensione ambientale una funzione di moderatrice dei guasti del sistema economico tradizionali; alla base della green economy, che non a caso si sviluppa nel pieno della crisi finanziaria ed economica mondiale, c’è innanzitutto una strategia di rilancio, in termini quantitativi ma anche qualitativi, dell’economia (si re-interpreta il New Deal Roosveltiano [2]). Proprio per questo il tema dell’occupazione assume un ruolo centrale le prime elaborazioni dell’UNEP, in collaborazione con l’Organizzazione internazionale del lavoro, sono incentrate proprio sui green jobs - e diventa parte integrante delle stesse definizioni di green economy, ossia di “una economia che dà valore alla natura e alle persone e crea posti di lavoro dignitosi e ben retribuiti”. C’è, quindi, un forte coinvolgimento del mondo delle imprese che, da soggetto passivo che in qualche modo subisce gli effetti delle

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politiche ambientali, diventa attore protagonista, portatore di interesse che trae vantaggio da politiche ambientali avanzate, in grado di creare un ambiente economico più selettivo e premiante proprio per quegli imprenditori che puntano sull’eco-innovazione. La green economy certamente non è un settore dell’economia, né un insieme di settori, quanto piuttosto un processo che coinvolge a vario livello le attività economiche più disparate. L’UNEP indica chiaramente le direttrici fondamentali di questo processo, quando afferma che la green economy è “una economia low carbon, efficiente nell'uso delle risorse e socialmente inclusiva”. Il cambiamento climatico e l’esaurimento delle risorse naturali sono quindi gli assi su cui misurare le performance ambientali, e la promozione della decarbonizzazione e della maggiore circolarità dell’economia sono i guard-rail della strada da percorrere. Queste due dimensioni sono tra loro fortemente connesse e lavorano spesso in modo sinergico. La lotta al cambiamento climatico rappresenta la principale – non unica purtroppo – sfida ambientale della nostra epoca. Secondo l'ultimo rapporto dell’IPCC [3], l’organo tecnico a supporto della Convenzione quadro sul clima delle Nazioni Unite, se non verranno modificate, le tendenze attuali porteranno entro la fine del secolo in corso a una crescita della temperatura media globale compresa tra 3,7 e 5,7°C. Per mantenere l'aumento della temperatura al di sotto dei 2°C rispetto al periodo pre-industriale, soglia di sicurezza considerata accettabile, sarà necessario almeno dimezzare le emissioni di gas serra entro il 2050, per arrivare a una pressoché completa decarbonizzazione entro fine secolo. La via maestra per affrontare questa sfida passa, ovviamente, attraverso la produzione energetica da fonti rinnovabili e la spinta verso l’efficienza energetica, ma un ruolo non secondario può essere giocato anche dalla gestione sostenibile delle risorse. Secondo uno studio promosso dall’Istituto di ricerca austriaco SERI, se tutte le nazioni del mondo adottassero gli standard di consumo

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attuali dei Paesi industrializzati, in termini di risorse utilizzate pro capite, il flusso di materie prime necessarie ad alimentare l’economia planetaria passerebbe da 80 a oltre 180 miliardi di tonnellate/ anno, portando con sé una crescita delle emissioni di CO2 da combustibili fossili del Consumo mondiale di materie prime, in miliardi di tonnellate (fonte: SERI [4]) 260% [4]. C’è un rapporto più che proporzionale tra tasso di crescita del recupero e del riciclo di materia, porterebdell’utilizzo di materie prime, tra cui una quota be al 2020 a oltre 42 miliardi di euro di investirilevante di combustibili fossili, e quello delle menti e 400mila posti di lavoro in più rispetto emissioni di gas serra. Una gestione virtuosa a uno scenario Business As Usual, basato su del ciclo dei rifiuti rappresenta, quindi, uno stru- un sistema di gestione dei rifiuti a basso tasso mento efficace anche nella lotta al cambiamen- di eco-innovazione. Secondo l’analisi dell’Ato climatico. In primo luogo attraverso il riciclo. genzia europea dell’ambiente [7], tra i settoL’utilizzo della materia prima seconda consente, ri economici a vocazione ambientale, che in infatti, notevoli risparmi in termini economici e Europa nel 2008 contavano circa 3,4 milioni ambientali. Secondo alcune analisi, in Italia l’in- di lavoratori, proprio quelli della gestione del dustria del riciclo porterebbe già oggi benefici riciclo di materia e dell’energia rinnovabile quantificabili in oltre 50 milioni di tonnellate di hanno mostrato i maggiori tassi di crescita CO2 evitate [5]. Anche l’utilizzo di rifiuti e sotto- annua (rispettivamente 10,6% e 16,4% come prodotti per la produzione energetica, se fatto media 2000-2008). Un dato interessante viene nel rispetto dei principi di una gestione soste- proprio dall’Italia in cui dal 2011 si assiste a un nibile del rifiuto, presenta in genere un bilancio crollo degli investimenti nelle fonti rinnovabili, sul ciclo di vita ampiamente positivo in termini di passati da 24 a 4 miliardi di euro nel 2013: in questo quadro estremamente negativo, in emissioni di gas serra. In un’analisi di green economy non è suffi- decisa controtendenza il settore della produciente soffermarsi solo sugli aspetti ambienta- zione di energia da biogas, che ha continuato li: bisogna leggere queste performance anche a beneficiare in qualche modo della spinta dealla luce dei potenziali connessi di crescita rivante dallo sviluppo di politiche di gestione economica e occupazionale. La promozione dei rifiuti più avanzate [8]. del riciclo e del recupero dei rifiuti e, più in generale, dell’uso efficiente delle risorse, presentano infatti bilanci economici spesso molto positivi. Secondo la Commissione Europea [6], un sistema di gestione dei rifiuti allineato con la più avanzata normativa europea, volto Andamento dell’indice dei prezzi delle principali commodities scambiate sul mercato alla massimizzazione globale, in valori indice media 1999-2001=100 (fonte: McKinsey)


Naturalmente anche in favore dell’utilizzo efficiente delle risorse e delle politiche di promozione dell’industria del riciclo, come accaduto per la diffusione delle energie rinnovabili e dell’efficienza energetica, gioca l’andamento dei prezzi delle materie prime. Dopo un periodo di relativa stabilità che dura dal dopoguerra (a parte alcune fasi di tensione negli anni ’70 e ’80) si è assistito a una netta inversione di tendenza nei prezzi delle materie prime. In poco più di dieci anni il Commodities Price Index [9], che monitora l’andamento dei prezzi sul mercato globale di 43 prodotti, è più che raddoppiato in termini reali, proiettandoci in una nuova epoca caratterizzata da prezzi delle materie prime elevati e crescenti. Su tutti, i prezzi dei prodotti energetici cresciuti in meno di un decennio del 260%, ma anche quelli dei metalli e dei prodotti alimentari, più che triplicati nello stesso periodo. Su queste dinamiche influiscono fattori diversi, anche di tipo finanziario e speculativo che

poco hanno a che vedere con la reale disponibilità delle risorse. Quel che è certo è che sono sempre più rare le previsioni di un ritorno dei prezzi delle commodities ai livelli della seconda parte del ventesimo secolo. In questo quadro articolato, le imprese che sapranno orientare i propri modelli di business verso l’efficienza nell’uso delle risorse, la promozione del recupero e riciclo di materie prime, lo sviluppo di strategie di riduzione dei consumi energetici e la diffusione di fonti rinnovabili, saranno in grado di competere meglio di altre soluzioni a basso contenuto di eco-innovazione sul mercato nazionale e internazionale, quindi, di garantire benessere e occupazione. In definitiva, di far parte a pieno titolo di un crescente movimento in favore della green economy. *Fondazione per lo sviluppo sostenibile Responsabile energia e reporting d’impresa

Bibliografia [1] UNEP-ILO-IOE-ITUC, 2008, Green jobs: towards decent work in a sustainable, low carbon world; UNEP, 2010, Green Economy Developing Countries Success Stories; UNEP, 2011, Towards a Green Economy: Pathways to Sustainable Development and Poverty Eradication [2] E.B.Barbier, 2009, Rethinking the Economic Recovery: A Global Green New Deal [3] IPCC, 2014, Fifth Assessment Report (AR5) [4] Monika Dittrich, Stefan Giljum, Stephan Lutter, Christine Polzin, 2012, Green economies around the world? Implications of resource use for development and the environment [5] D. Bianchi a cura di, 2012, Il riciclo eco-efficiente. L’industria italiana del riciclo tra globalizzazione e sfide della crisi, Edizioni Ambiente, Milano [6] EU COM, 2011, Earnings, jobs and innovation: the role of recycling in a green economy [7] EEA, 2011, Earnings, jobs and innovation: the role of recycling in a green economy [8] EurObservER, 2013, Earnings, jobs and innovation: the role of recycling in a green economy [9] McKinsey, 2013, Resource Revolution: Tracking global commodity markets

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PRODUZIONE, RACCOLTA E SMALTIMENTO NEL RAPPORTO RIFIUTI URBANI 2014 UNA panoramica AGGIORNATA SUI RIFIUTI URBANI IN ITALIA E IN EUROPA NEL DOCUMENTO PUBBLICATO DA Ispra di Vanessa Sorrenti

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l Rapporto Rifiuti è l’utile strumento che viene annualmente aggiornato e messo a disposizione dall’Ispra, l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, per offrire a tutti un quadro completo della situazione dei rifiuti in campo nazionale. Frutto di un’attenta e complicata attività di analisi e sintesi dei dati raccolti dal Servizio Rifiuti dell’Ispra, quest’ultima edizione 2014 ci fornisce una fotografia della situazione relativa all’anno 2013, sulla produzione, raccolta differenziata e gestione dei rifiuti urbani, a livello nazionale, regionale e provinciale e sull’import/export. In questo articolo riportiamo solo alcuni spunti interessanti mentre per la lettura completa rimandiamo al sito dell’Ispra dove il Rapporto è interamente e liberamente scaricabile.

CONTESTO EUROPEO La prima novità rispetto alle precedenti edizioni è rappresentata dall’ingresso della Croazia nell’Unione Europea; i dati considerati dunque, ove possibile, fanno riferimento all’Unione Europea al completo, formata quindi dai ventotto Stati membri. Tenendo conto di ciò, in generale la tendenza alla diminuzione nella produzione di rifiuti urbani, iniziata negli anni precedenti, si vede rafforzata. La riduzione, per quanto riguarda gli Stati maggiormente popolati, si fa notare soprattutto in Italia e Spagna, che registrano entrambe un calo del 4,4%, seguite da Inghilterra (3,3%) e Spagna (2,2%). Le domande da porsi sono svariate: è tale

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tendenza legata esclusivamente alla crisi economica che penalizza il potere di spesa delle famiglie, o il merito va dato anche all’affermazione di modelli di consumo più virtuosi ed eticamente corretti, attenti alla prevenzione e al contenimento della produzione? Per quanto riguarda la gestione dei rifiuti in Europa, le stime parlano chiaro: il 34% dei rifiuti urbani gestiti nei 28 Stati europei viene ancora smaltito in discarica, e il 24% è avviato all’incenerimento, mentre solo il 27% e il 15% vengono rispettivamente inviati a riciclaggio e compostaggio. Va però segnalato come le stime siano estremamente variabili da Paese a Paese: si passa facilmente da un 99% di rifiuti smaltito in discarica della Romania allo 0,5% della Germania; si può inoltre affermare che quasi tutti gli Stati in cui l’utilizzo della discarica supera il 65% sono quelli di recente ingresso nell’Unione Europea, mentre tra i membri di vecchia data l’attuazione delle normative e delle politiche comunitarie è ormai consolidata. È questa la cosiddetta “Europa a tre velocità”, divisa fra Paesi con ottime performance ambientali che vanno nella direzione degli obiettivi comunitari, e Paesi meno avanzati, dipendenti per lo più dalle discariche e dove l’industria del riciclo è poco sviluppata o addirittura quasi inesistente; nel mezzo ne albergano altri che, attraverso interventi mirati, potrebbero raggiungere i target previsti dall’Unione Europea.

La produzione di rifiuti da imballaggio, da anni sottoposti ad un apposito monitoraggio, mostra nel 2011 un incremento dell’1,9% rispetto all’anno precedente; infatti, solo cinque Paesi (fra cui Grecia, Bulgaria e Irlanda) su 27 ne contano la riduzione, mentre in tutti gli altri casi andiamo incontro ad aumenti anche considerevoli. La frazione merceologica più cospicua pare essere quella degli imballaggi cellulosici, che vantano inoltre le migliori performance in termini di percentuali di recupero e riciclaggio raggiunte.

PRODUZIONE E RACCOLTA DIFfERENZIATA DEglI RsU Nel 2013, la produzione nazionale dei rifiuti urbani si attesta a circa 29,6 milioni di tonnellate, facendo registrare una riduzione di quasi 400 mila tonnellate rispetto al 2012; trend, questo che si mostra coerente con gli indicatori socio-economici, con PIL e spese delle famiglie che si contraggono dell’1,9% e del 2,5%. Relativamente alla produzione pro capite si osserva, tra il 2012 e il 2013, una riduzione a livello nazionale di 18 kg per abitante all’anno, corrispondente a un calo percentuale del 3,6%, che fa seguito al calo di 23 kg per abitante all’anno fatto rilevare tra il 2011 e il 2012; si consideri anche che su questo dato incide in maniera rilevante l’aumento della popolazione, di oltre un milione di abitanti (secondo i dati ISTAT).


trattamenti intermedi di selezione e biostabilizzazione 1,7% recupero di materia 24,1%

esportazioni 1,3%

trattamento biologico della frazione organica da RD 14,6% copertura discariche 0,7%

altro 0,5%

incenerimento 18,2%

discarica 36,9%

utilizzo come fonte di energia 1,9%

Ripartizione percentuale della gestione dei rifiuti urbani anno 2013 (fonte Ispra)

Parlando in termini di macroaree, l’Italia si trova come sempre divisa: al Nord la raccolta differenziata raggiunge i 7,4 milioni di tonnellate, al Centro 2,4 e al Sud 2,7. Traducendo questi valori in percentuali, si può avere una stima precisa del tasso di raccolta differenziata rispetto alla produzione totale dei rifiuti urbani, pari al 54,4% per le regioni settentrionali, al 36,3% per quelle del Centro e al 28,9% per le regioni del Mezzogiorno; tutto ciò senza tenere conto della popolazione fluttuante (turisti, ad esempio), che può però incidere in modo rilevante sul tasso di produzione dei rifiuti. Procedendo più nello specifico, si può con-

statare come per alcune frazioni (si vedano, ad esempio, carta e cartone, vetro e plastica), la percentuale di Comuni che prevedono sistemi di raccolta differenziata è, sia a livello nazionale che di macroarea geografica, decisamente elevata, con valori prossimi al 100% nel Nord Italia; si rileva infatti una crescita, tra il 2009 e il 2013, della percentuale di Comuni con tassi di raccolta superiori al 70%. Meritevole di interesse anche il caso dei centri urbani con popolazione maggiore ai 200mila abitanti: l’insieme di queste sedici città, anche influenzate dai flussi turistici e dal pendolarismo, conta una popolazione residente pari a quasi 10,1 milioni di abitanti (corrispondenti

Andamento della percentuale di raccolta differenziata dei rifiuti urbani, anni 2009-2013 (fonte Ispra)

al 16,7% circa della popolazione totale nazionale), che ha generato, nel 2013, quasi 5,6 milioni di tonnellate di rifiuti urbani, facendo rilevare un lieve calo rispetto al 2012.

GESTIONE DEI RIFIUTI URBANI Grazie anche alle linee definite dalla decisione 1386/2013/UE, contenente il programma generale di azione dell’Unione in materia di ambiente fino al 2020, l’obiettivo della politica ambientale europea è diventato quello di raggiungere un elevato livello di tutela, basandosi sulla prevenzione e sulla correzione alla fonte, ma anche sul principio “chi inquina paga”. Le operazioni per lo smaltimento dei rifiuti urbani restano quasi del tutto invariate, ma ad attirare sempre maggiori attenzioni è il procedimento di digestione anaerobica dei rifiuti, che costituisce un polo di particolare interesse per il trattamento della frazione organica derivante dalla raccolta differenziata. Tutto ciò è dimostrato dal crescente sviluppo della dotazione impiantistica: nell’anno 2013, infatti, su un totale di 50 impianti censiti (45 impianti nel 2012 e 35 nel 2011), sono 43 gli impianti operativi, localizzati per l’86% nelle regioni del Nord, per il 2,3% nel Centro e per l’11,6% nel Sud Italia. Altro fenomeno da tenere in considerazione è il trasporto transfrontaliero dei rifiuti urbani, analizzando i dati relativi ai flussi di rifiuti urbani che l’Italia importa ed esporta, da e verso i Paesi esteri. Nel 2013, i rifiuti urbani esportati ammontano a 395 mila tonnellate, di cui 392 mila tonnellate sono rifiuti non pericolosi (il 99,3%): Paesi Bassi e Austria le destinazioni preferite, Germania e Belgio le prescelte per i rifiuti pericolosi. Si rileva inoltre che, del totale esportato, 213 mila tonnellate siano state in seguito disposte al recupero di energia, 170 mila al recupero di materia e 13 mila a operazioni di smaltimento. Sempre nello stesso anno, sono state importate 218 mila tonnellate, di cui solo 22 tonnellate sono rifiuti pericolosi; questi ultimi sono quasi interamente batterie ed accumulatori provenienti dalla Francia, Paese da cui arriva il maggior quantitativo di rifiuti urbani. Meta più gettonata? La Lombardia, che importa 155 mila tonnellate di rifiuti (pari al 71% del totale), seguono la Campania con il 14% e la Toscana con il 5%.

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th e b i g e y e

Il cibo invenduto illumina le giornate buie della provincia inglese Grazie alla digestione anaerobica dei propri scarti alimentari Sainsbury’s produce energia elettrica arrivando ad avere il primo supermercato off-grid della catena di Vanessa Sorrenti

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i sono aziende che da sempre si distinguono per l’impegno profuso nel ridurre l’impatto generato sull’ambiente. C’è chi si concentra sulle fonti di energia rinnovabili, chi cerca di produrre il minor numero di rifiuti possibile e chi sperimenta nuovi sistemi di smaltimento. E poi c’è Sainsbury’s. Sainsbury’s è una delle principali catene di supermercati del Regno Unito, fondata nel 1869 da John James Sainsbury’s e da sua moglie Mary Ann. Dopo aver raggiunto grande fama in epoca vittoriana come rivenditore al dettaglio di generi di drogheria e aver facilitato la vendita self service nel Regno Unito, crebbe sempre di più fino ad arrivare all’apice del successo negli anni ottanta. Attualmente Sainsbury’s è la seconda catena di supermarket del Regno Unito con una copertura del settore pari al 16,8%. Non si parla certo di novellini del mestiere. Il problema dello spreco di cibo (alcuni numeri: 89 milioni di tonnellate di cibo gettate

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ogni anno dai cittadini dell’Unione Europea, e 515 euro annuali di cibi scaduti buttati dalle famiglie italiane), però, affligge anche loro, non solo in termini etici, ma anche di mera spesa economica: per ogni tonnellata di rifiuti alimentari da portare in discarica, infatti, Sainsbury’s spende circa 190 euro. Si è quindi deciso di prendere spunto da ciò che accade quotidianamente nel corpo umano per risolvere il problema, trasformando il cibo deteriorato in energia pronta da consumare. Da questa idea si è arrivati così al primo supermercato off-grid della catena, il punto vendita Sainsbury’s di Cannok, nel West Midlands, che è passato all’autoproduzione energetica rendendosi indipendente dalla rete elettrica nazionale. Avvalendosi della partnership di Biffa, una grande realtà nel riciclaggio dei rifiuti che impiega circa 6.000 persone nella raccolta di 2,6 milioni di tonnellate di rifiuti industriali e com-

merciali ogni anno, che ha messo a disposizione della catena di supermercati il proprio avanzato impianto di digestione anaerobica degli scarti alimentari, verranno raggiunti risultati davvero ottimali. Il piano di Sainsbury’s è chiaro e semplice, ed è green sin dall’inizio: se a fine giornata alcuni prodotti alimentari restano invenduti, vengono scontati; nel caso ciò non bastasse rimangono comunque svariate opzioni. Il cibo ancora edibile viene raccolto da volontari di associazioni benefiche come donazione; certi prodotti, come il pane o la frutta, vengono donati agli zoo come cibo per gli animali. Se non possono più essere consumati, invece, i resti di cibo vengono raccolti dagli stessi furgoni che arrivano per portare i prodotti al punto vendita, riducendo in tal modo anche l'impatto ambientale. Una volta raggruppati i rifiuti di tutti i negozi nel deposito Sainsbury’s, i furgoni di Biffa li portano all’impianto di Cannock, dove il cibo viene


convertito in biometano; è proprio questo gas prodotto nell’impianto di digestione anaerobica a generare elettricità, mentre gli altri sottoprodotti derivanti dal processo vengono utilizzati come fertilizzanti dalle fattorie locali. La vicinanza fra le due sedi, consente infine di far arrivare l’elettricità al negozio Sainsbury’s di Cannock direttamente, tramite un cavo elettrico lungo circa un chilometro e mezzo. Il sito di Biffa in Staffordshire è il più grande impianto di digestione anaerobica operante nel Regno Unito, autorizzato a trattare 120.000 tonnellate di rifiuti alimentari all'anno, e supportato da una flotta di veicoli specializzati che raccolgono i rifiuti alimentari da piccoli e grandi clienti a livello nazionale. Già nel giugno 2013 Sainsbury’s aveva raggiunto il suo obiettivo di sostenibilità, evitando di mandare i rifiuti prodotti in discarica, indirizzandoli invece verso un uso positivo e sostenibile: tutti i rifiuti vengono infatti riciclati o trasformati in combustibile, se non addirittura, come in questo caso, utilizzati per la produzione di energia elettrica. Sainsbury’s è, nel Regno Unito, il più grande utilizzatore del processo di digestione anaerobica e genera in questo modo energia sufficiente per poter alimentare 2.500 abitazioni. La storia di questa grande catena è stata peral-

tro da sempre segnata dall’attenzione riservata alla ricerca di fonti di energia alternative; oltre ad aver installato nel 2013 oltre centomila pannelli solari fotovoltaici in 210 punti vendita della catena per ridurre considerevolmente le emissioni di CO2, già nel 2009 (dopo aver lanciato, fra le altre, la campagna “Love your leftovers”) era salita agli onori della cronaca per aver introdotto un innovativo sistema di recupero di energia cinetica. Nel negozio di Gloucester, vennero infatti installate nel parcheggio del punto vendita delle piastre in grado di catturare l’energia cinetica proveniente dal passaggio delle macchine sopra di esse: tali piastre, capaci di produrre fino a 30 kW di energia verde all’ora, riuscivano da sole a mantenere in funzionamento tutte le casse del negozio. Proseguendo in questa direzione è stato recentemente creato, in collaborazione con Google, il servizio online Sainsbury’s Food Rescue, che permette agli utenti di utilizzare proprio quei prodotti che stanno per finire nell’immondizia. Digitando il nome degli alimenti che andrebbero altrimenti buttati, vengono visualizzate tutte le ricette possibili (in un database che ne conta oltre 1200) per utilizzarli in maniera soddisfacente; il servizio sarà inoltre in grado di dirvi quanto cibo avete salvato dai rifiuti e quanto denaro avete ri-

sparmiato: un ulteriore passo avanti nella sensibilizzazione dei consumatori sul tema degli sprechi alimentari. L’ultima novità per Sainsbury’s è infine quella del riutilizzo delle cassette di cibo che arrivano in negozio; esse verranno infatti riciclate da Schoeller Allibert, diventando così le prime composte al 100% di materiale riciclato nel rispetto degli standard posti dalle autorità europee sulla sicurezza dei cibi. Non solo verrà quindi evitato il viaggio di ritorno per riportare le cassette vuote ai fornitori, ma verranno così ovviate anche molte altre problematiche: le nuove cassette, standardizzate, si impileranno e combaceranno molto più facilmente, ottenendo un minor volume e risparmiando così sull’inquinamento dato dal ciclo di trasporto. Non solo nel Regno Unito, però, le catene di supermercati svolgono un ruolo decisivo nel sensibilizzare ed educare i propri clienti alle buone pratiche del riciclo. In Germania ad esempio è proprio dalla raccolta differenziata che arrivano incentivanti buoni spesa. Con un metodo ormai in vigore da anni, e che si sta lentamente diffondendo anche in Italia, i clienti riportano in appositi macchinati compattanti installati nei negozi i vuoti di bottiglie di plastica o lattine, ottenendo in cambio denaro o buoni spesa da utilizzare nei supermercati. Un risparmio per tutti: per il consumatore, che sarà così incentivato a non buttare in maniera sconsiderata i propri rifiuti ma a compiere una scelta intelligente (nonché pagata), e per l’amministrazione comunale che si ritrova ad avere un rifiuto differenziato di qualità già compattato e pronto per essere riciclato.

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Taglio del nastro per il termovalorizzatore di Torino Tecnologie consolidate e avanzati sistemi di monitoraggio per chiudere il cerchio della gestione integrata dei rifiuti nel torinese di Maeva Brunero Bronzin*

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o scorso 20 giugno è stato inaugurato il termovalorizzatore di Torino, un impianto che rappresenta l’anello mancante per chiudere il cerchio del sistema integrato di gestione dei rifiuti della Provincia. Frutto di un percorso durato all’incirca 10 anni, tra autorizzazioni, progettazione e costruzione, il nuovo termovalorizzatore consentirà di ridurre il ricorso alla discarica in un territorio dove la raccolta differenziata ha raggiunto la quota del 50%. TRM S.p.A. (Trattamento Rifiuti Metropolitani) è la società a capitale misto che dal 2005 si è occupata di tutte le fasi di progettazione e costruzione e che oggi gestisce il termovalorizzatore. Le sue quote sono detenute per l’80% da TRM V. S.p.A., società controllata congiuntamente da Iren e da F2i Ambiente S.p.A., e per il 18% dal Comune di Torino. La realizzazione di questo impianto si inserisce in un quadro nazionale nel quale la gestione dei rifiuti presenta ancora molte situazioni di squilibrio: le regioni autosufficienti, e che dispongono quindi di sistemi impiantistici adeguati rispetto alle quantità di rifiuti prodotti, erano solo 4 alla fine del 2012 (Lombardia, Emilia Romagna, Trentino Alto Adige e Friuli Venezia Giulia). Lo stesso Piemonte, pur con il notevole contributo dato dal nuovo termovalorizzatore alla Provincia di Torino, risulta comunque non adeguato per quanto riguarda le restanti province.

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Le strategie di gestione dei rifiuti La graduale dismissione delle discariche e la promozione del recupero di materia e di energia sono i punti chiave della normativa europea in materia di gestione rifiuti e, muovendosi all’interno di queste direttive, l’Italia si trova in una condizione di evidente ritardo rispetto a Paesi come Germania, Svizzera, Olanda, Belgio, Svezia, Austria, Danimarca e Norvegia. In Italia la discarica rappresenta ancora il sistema di smaltimento privilegiato a differenza di quanto accade in altri Paesi dove, grazie ad oltre 450 impianti attivi, l’unica destinazione per i rifiuti residui da raccolta differenziata è rappresentata dal termovalorizzatore. Il nostro Paese nel 2011 ha prodotto circa 31 milioni di tonnellate di rifiuti solidi urbani, di questi il 34% è raccolto in modo differenziato mentre il restante 66% resta ancora indifferenziato e conferito principalmente in discarica (49%). Restringendo il campo d’indagine alla

provincia di Torino è possibile notare che nel 2012 sono state prodotte 1 milione di tonnellate di RSU per metà raccolti in maniera differenziata e per metà indifferenziata (50,3% contro 49,7%), una crescita notevole se si considera che si è passati dal 18% del 2000 al 50% di oggi. L’introduzione del termovalorizzatore non influirà certo sul trend positivo della raccolta differenziata che è anzi destinata a crescere ancora, ma influirà unicamente sulla drastica riduzione della percentuale di rifiuto indifferenziato conferito in discarica. Nel 2012 questa percentuale era pari al 92% ma con il termovalorizzatore a regime verrà ridotta al di sotto del 20%.


L’impianto Sito in località Gerbido a Torino, l’impianto si trova strategicamente al confine con i Comuni di Beinasco, Grugliasco, Orbassano, Rivalta e Rivoli ed è autorizzato a smaltire fino a 421.000 tonnellate di rifiuti all’anno provenienti dal territorio della Provincia di Torino. I rifiuti autorizzati sono unicamente i rifiuti solidi urbani residui della raccolta differenziata e, solo a eventuale completamento e con un limite annuo di 124.000 tonnellate, i rifiuti speciali assimilabili agli urbani. La fase di costruzione, affidata ad un’ATI avente come capogruppo CNIM, società francese specializzata, con all’attivo la progettazione e la costruzione di più di 100 impianti di termovalorizzazione nel mondo, ha avuto inizio a febbraio 2010 e si è conclusa ad aprile 2013. Dopo sono seguite fasi di test e di collaudo prestazionale che hanno portato il termovalorizzatore ad entrare a regime il 1° maggio 2014. Sfruttando tecnologie avanzate ma consolidate nel settore, l’impianto garantisce elevati standard di tutela della salute e dell’ambiente disponendo inoltre di un sistema di monitoraggio indipendente delle emissioni, a cui possono accedere direttamente in remoto i tecnici ARPA per i necessari controlli. Il termovalorizzatore si sviluppa su tre linee parallele di combustione e trattamento delle emissioni, tali linee sono identiche ed indipendenti tra loro garantendo in questo modo flessibilità sia durante la gestione ordinaria che durante le attività di manutenzione. Il processo di combustione avviene infatti in continuo, 24 ore su 24, tutti i giorni dell’anno. L’impianto è stato costruito per funzionare in assetto elettrico oppure in assetto cogenerativo: nel primo caso consente la produzione di 350.000 MWh di energia elettrica mentre nel secondo caso, oltre a 320.000 MWh di energia elettrica, può produrre 170.000 MWh di energia termica.

Il processo Il processo di termovalorizzazione inizia con il conferimento dei rifiuti che avviene con i normali mezzi di raccolta che giungono sia dalla Città di Torino che dai consorzi di bacino della zona sud della Provincia. Tutti i mezzi vengono controllati automatica-

mente per definire il livello di radioattività ed in caso di superamento della soglia sono sottoposti a controlli più approfonditi. Ogni mezzo viene pesato e sono effettuati controlli a campione sul rifiuto trasportato. Terminate le procedure di ingresso il mezzo accede all’avanfossa, la zona di scarico che, posta il depressione rispetto all’esterno, è provvista di 10 aperture nelle quali i mezzi possono scaricare i rifiuti direttamente nella fossa di accumulo. Un carroponte con benna a polipo rimescola i rifiuti nella fossa in modo da rendere più omogeneo il rifiuto e con una benna da 12 m3 carica i forni di incenerimento tramite delle tramogge. Come già detto in precedenza l’impianto si sviluppa su tre linee parallele identiche, pertanto il processo di combustione che dura circa un’ora avviene nei tre forni a griglia mobile ad una temperatura di circa 1000°C. Il rifiuto brucia per autocombustione infatti il metano viene utilizzato solo in fase di accensione o qualora la temperatura all’interno del forno scenda al di sotto del limite previsto dalla legge di 850°C. Le scorie derivanti dalla combustione vengono raccolte nelle cosiddette “culle”, poste sotto ciascuna griglia, e da qui estratte, dopo essere state spente e raffreddate.

La produzione di elettricità e calore avviene grazie agli scambiatori posti in ciascuna caldaia nei quali scorre acqua in pressione che si trasforma in vapore riscaldandosi grazie al calore generato dalla combustione. Questo vapore alimenta la turbina che, collegata a un alternatore, genera energia elettrica, mentre in assetto cogenerativo parte del vapore viene spillato e inviato a riscaldare l’acqua della rete di teleriscaldamento.

Il trattamento delle emissioni La sezione di trattamento dei fumi generati dal termovalorizzatore è una parte molto importante anche in termini di spazio occupato, si pensi infatti che un terzo della superficie dell’impianto è dedicata al trattamento dei fumi. Gli step di trattamento sono quattro: elettrofiltro, reattore a secco, filtro a maniche e reattore catalitico, tutti trattamenti a secco che consentono quindi di ridurre la quantità di rifiuti generati dal termovalorizzatore stesso. L’elettrofiltro a tre campi ha la funzione di abbattere le polveri in uscita dalla caldaia generando un campo elettrostatico che consente di trattenere le ceneri leggere. Nel reattore a secco vengono immessi bicarbonato di sodio e carbone attivo che reagiscono con gas acidi, diossine furani e metalli

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RE P O RT

Project financing

pesanti. I prodotti di tale reazione vengono trattenuti dal filtro a maniche insieme all’eventuale particolato non rimosso dall’elettrofiltro. Nell’ultima fase di depurazione, l’ammoniaca iniettata nel reattore catalitico consente di trattare gli ossidi di azoto scomponendoli in azoto molecolare e vapore acqueo. Completato il trattamento di depurazione, i fumi vengono analizzati da un sistema di monitoraggio in continuo che verifica che le concentrazioni delle sostanze inquinanti siano inferiori ai limiti imposti. Infine, un ventilatore provvede ad aspirare i fumi immettendoli nelle tre canne dell’imponente camino alto 120 metri, che li espelle in atmosfera ad una temperatura di 120°C.

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La gestione dei residui Il termovalorizzatore nel suo processo di trattamento produce a sua volta dei rifiuti che sono essenzialmente scorie derivanti dalla combustione, ceneri leggere e prodotti sodici derivanti dal trattamento dei fumi. Le scorie rappresentano circa il 21% in peso del rifiuto in ingresso e dopo essere state raffreddate vengono deferrizzate mediante elettrocalamite per separare eventuali residui ferrosi (circa il 2% del totale) ed essere infine destinate ad impianti autorizzati che le riutilizzano come materiale da costruzione dopo opportuno trattamento. Ceneri leggere derivanti dall’elettrofiltro e prodotti sodici separati dei filtri a maniche sono rifiuti pericolosi a causa del contenu-

Il termovalorizzatore di Torino è una delle più grandi infrastrutture italiane finanziate utilizzando il project finance: una forma di accesso al credito in cui il finanziamento è erogato non sulla base di garanzie reali, bensì sulla capacità dei flussi di cassa che genererà il progetto per rimborsare il prestito. Nella fase di progettazione/realizzazione, TRM è ricorsa a mezzi di debito che verranno restituiti – ad impianto in esercizio – grazie ai ricavi derivati dalla vendita dell’energia prodotta, dalla tariffa di smaltimento e dall’incentivazione di cui l’impianto può beneficiare per la quota parte di energia generata da rifiuti biodegradabili. L’intero progetto richiede un investimento complessivo di oltre 500 milioni di euro: 413 mln di euro ottenuti dagli istituti finanziatori (375 milioni per sostenere costi di costruzione ed esercizio provvisorio e 38 milioni per finanziare l’IVA) e altri 90 mln di euro messi a disposizione dai Soci di TRM tramite l’immissione di capitale sociale secondo un piano di capitalizzazione predefinito. Il finanziamento bancario viene erogato per un periodo di 5 anni (2010–2014), al termine del quale TRM dovrà restituire il debito in un lasso di tempo di 15 anni (2015–2029). Il finanziamento vede la partecipazione di primari istituti quali Banca Europea degli Investimenti (BEI) – che, per la prima volta in Italia, ha condiviso il rischio con gli altri soggetti finanziatori sin dalla fase di costruzione – BNP Paribas, Unicredit, Banca Popolare di Vicenza e SACE.

to di sostanze inquinanti, pertanto vengono stoccati in silo per essere avviati a trattamento di inertizzazione in impianti dedicati per poter poi essere destinati a recupero o a smaltimento.


Intervista all'Ing. Mauro Pergetti, Direttore Generale TRM Abbiamo avuto la possibilità di visitare l’impianto e di parlare con il Direttore Generale, l’Ing. Mauro Pergetti, il quale oltre ad averci spiegato nel dettaglio caratteristiche e funzionamento del termovalorizzatore ha anche risposto ad alcune domande, forte dell’esperienza già vissuta anche nel neonato impianto di Parma. Ing. Pergetti, dopo il termovalorizzatore di Parma ci troviamo questa volta a parlare dell’impianto di Torino. E’ arrivato anche per l’Italia il momento dei termovalorizzatori o è solo una coincidenza che questo sia il secondo impianto inaugurato in pochi mesi? Di recente è stato inaugurato anche il Termovalorizzatore di Bolzano, ma si tratta di pura coincidenza, in quanto non esiste una vera e propria pianificazione nazionale sull’allocazione degli impianti di termovalorizzazione: le politiche sullo smaltimento dei rifiuti, infatti, sono a carattere regionale/provinciale. In ogni caso, il fatto che si siano avviati, quasi in contemporanea, tre nuovi impianti in tre aree geografiche diverse testimonia, da un lato, la necessità – anche dettata dalle normative europee – di sostituire le discariche con impianti di smaltimento ambientalmente più compatibili e, dall’altro, la sempre maggiore fiducia delle istituzioni e dei territori verso queste nuove soluzioni tecnologiche. L’impianto di Torino è circa 3 volte l’impianto di Parma, ma a parte le dimensioni quali sono le principali differenze tra i due termovalorizzatori? I due impianti sono stati costruiti pressoché contemporaneamente e con soluzioni progettuali similari. L’impianto di Torino è autorizzato a smaltire 421.000 tonnellate all’anno di rifiuti solidi urbani (RSU) residui dalla raccolta differenziata e rifiuti speciali assimilabili agli urbani (RSA) e si compone di tre linee di combustione e trattamento fumi. Il termovalorizzatore di Parma, invece, ha due sole linee di combustione e può gestire, oltre ad RSU ed RSA, anche rifiuti sanitari e fanghi di depurazione, per una capienza complessiva annua di 130.000 tonnellate. Inoltre, per quanto riguarda il trattamento fumi, l’impianto di Parma – a differenza di quello di Torino – non ha la componente dell’elettrofiltro ma due filtri a maniche. Si tratta comunque di una scelta progettuale che non ne inficia in alcun modo la sicurezza e la compatibilità ambientale. Dopo un anno di esercizio provvisorio e ormai quattro mesi di esercizio definitivo quali sono le impressioni che avete raccolto? Sia internamente come gestori sia esternamente da parte del territorio che ospita l’impianto. Come normalmente avviene con la costruzione e l’avvio di questi grandi impianti, le polemiche iniziali legate all’opportunità di insediamento nel territorio stanno via via scemando. Continuiamo a mantenere un dialogo attivo e costante con tutti gli interlocutori di riferimento e, nei prossimi mesi, intensificheremo il programma di attività che – come testimoniano le esperienze internazionali, su tutte il caso di Vienna - rendono sempre più fruibili gli spazi del termovalorizzatore ai cittadini che vivono in prossimità dell’impianto.

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S P E CIA L E

IL RIschio BIOLOGICO per gli addetti alla bonifica di siti contaminati Valutazioni e controlli per la gestione dei rischi di natura biologica durante le attività di bonifica di Biancamaria Pietrangeli e Domenico Davolos*

I

n base a quanto disposto dal Titolo X del D.Lgs. 81/08 i rischi biologici per i lavoratori devono essere valutati al pari degli altri rischi per la salute e la sicurezza al fine di definirne le corrette modalità di gestione e controllo alla luce di quelle che sono le più aggiornate conoscenze scientifiche in materia. Durante le operazioni di bonifica dei siti contaminati l’esposizione del lavoratore ad agenti biologici può essere sia potenziale che deliberata in funzione delle lavorazioni che si svolgono per il recupero del sito. Il campo di applicazione del Titolo X comprende, infatti, tutte le attività che possono comportare rischio di esposizione ad agenti biologici, sia quelle che prevedono un uso deliberato di microorganismi che le attività a rischio potenziale di esposizione. La differente tipologia di rischio espositivo condiziona gli adempimenti che il datore di lavoro deve adottare. Il datore di lavoro può prescindere dall'applicazione delle disposizioni di cui agli articoli 273, 274, commi 1 e 2, 275, comma 3, e 279, qualora i risultati della valutazione dimostrino che l'attuazione di tali misure non è necessaria. In tutte le attività per le quali la valutazione del rischio evidenzia rischi per la salute dei lavoratori il datore di lavoro attua misure tecniche, organizzative e procedurali per evitare l’esposizione agli agenti biologici (art. 272), misure igieniche (art. 273), forni-

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sce informazione e formazione ai lavoratori (art. 278) ed attua la sorveglianza sanitaria (art. 279). Come per altri settori lavorativi che comportano esposizioni analoghe a quelle delle bonifiche, come quello della depurazione acque reflue e le attività agricole, è da considerarsi potenziale l’esposizione del lavoratore ai microrganismi indigeni, ossia a quelli normalmente presenti nelle matrici contaminate, e/o loro parti (endotossine batteriche, spore fungine) e prodotti (tossine). La stessa tipologia di rischio potenziale si configura nelle pratiche di bonifica biologica che prevedono l’aggiunta alle matrici contaminate di substrati organici di nutrimento per le flore microbiche indigene, come ammendanti quali compost, stallatico, scarti vegetali, ecc. al fine di accelerare i fenomeni di biodegradazione delle sostanze chimiche. In questo caso il biohazard risulta associato alle caratteristiche igienico-sanitarie del materiale organico utilizzato come ammendante. L’esposizione deliberata si ha invece quando microrganismi con specifiche attività biodegradative (inoculi selezionati) vengono intenzionalmente addizionati alla matrice da decontaminare o direttamente in situ o all’interno di bioreattori. In questo caso i pericoli biologici sono associati alle caratteristiche di pericolosità dei microrganismi impiegati come inoculi.

Una condizione di pericolo biologico (infettivo, allergico o tossico) si può configurare in ogni procedura che disperda nell’ambiente microorganismi e/o loro parti e prodotti, ma la presenza di una situazione pericolosa non costituisce di per sé una condizione di rischio fino a che non sia stata verificata l’esistenza di un’esposizione all’agente pericoloso causa del rischio e valutata l’entità di tale esposizione. La valutazione del rischio biologico risulta però seriamente compromessa dalla mancanza di valori limite di esposizione (Occupational Exposure Levels OELs) agli agenti biologici che possano essere da riferimento nell’interpretazione delle dosi espositive in termini di frequenza attesa delle diverse manifestazioni patologiche a carico del lavoratore, siano esse di natura infettiva che allergica o tossica. La mancanza dei valori limite di esposizione agli agenti biologici comporta che, dal punto di vista operativo per la gestione in sicurezza le attività di bonifica dei siti contaminati, l’approccio più corretto è quello preventivo, ossia ridurre al più basso livello tecnicamente realizzabile l’entità dell’esposizione individuale, attraverso la definizione e l’applicazione di specifiche misure di contenimento tecniche, organizzative e procedurali e controllarne il rispetto da parte del lavoratore opportunamente informato e formato in tema di rischio biologico.


IDENTIFICAZIONE DEI PERICOLI BIOLOGICI DURANTE LE ATTIVITÀ DI BONIFICA Prima di procedere alla valutazione del rischio è necessario identificare i pericoli espositivi in funzione: 1. delle caratteristiche degli agenti biologici presenti nelle matrici ambientali contaminate; 2. delle attività che si svolgono nel sito contaminato e delle relative modalità operative; 3. dell’esposizione del lavoratore in funzione delle mansioni svolte. E’ necessario ricordare le diverse vie attraverso le quali i microrganismi possono colonizzare i lavoratori esposti ossia: la via inalatoria, attraverso la produzione di polveri e aerosol; la via transcutanea, attraverso ferite o altre lesioni della pelle che si possono contaminare, ed infine la via gastroenterica, attraverso la contaminazione delle mani ed il contatto diretto con parti del corpo esposte (viso, occhi) tramite schizzi o versamento di liquidi contaminati. I pericoli espositivi durante il sopralluogo conoscitivo del sito

Nella valutazione preliminare dell’area da sottoporre a bonifica si procede dapprima

con il sopralluogo conoscitivo, puramente osservativo, per verificare lo stato generale del sito, individuare le sorgenti di rischio ambientale, identificare le situazioni che richiedono interventi urgenti e, ove necessario, disporre i lavori di sgombro e pulizia. Questa fase è particolarmente complessa nelle aree abbandonate da tempo, nelle quali la presenza di vegetazione incolta, di rifiuti (solidi o liquidi) abbandonati, reti fognarie prive di manutenzione, animali randagi, edifici in disuso colonizzati da volatili, rendono più difficile il riconoscimento di pericoli immediati. Non è inoltre infrequente la presenza in questi siti di occupanti clandestini, che contribuisce ad aggravare la condizione di pericolo. In tale fase operativa il possibile contatto con suolo, escrementi di topi, di animali randagi e di volatili, espone il lavoratore al rischio di contrarre specifiche malattie infettive quali tetano, leptospirosi, istoplasmosi, psittacosi, criptococcosi, istoplasmosi. I pericoli espositivi nella fase di allestimento del cantiere

Durante le operazioni di allestimento del cantiere, i rischi espositivi di natura biologica sono analoghi a quelli del settore edilizio. Le operazioni di movimentazione del terreno (escavazione del sito, trivellazione, perfora-

zioni a secco, carico e scarico terreno, ecc.) comportano inevitabilmente produzione di elevati quantitativi di polvere e tale condizione è spesso ulteriormente aggravata dalla presenza costante nelle zone di lavoro di veicoli in movimento. Gli agenti biologici dispersi nel terreno vengono aerotrasportati dai moti convettivi dell’aria sottoforma di aerosol, adsorbendosi a polveri, particelle liquide, emulsioni oleose, polvere di legno, ecc., con conseguente esposizione dei lavoratori prevalentemente attraverso le vie aeree. Spesso la bonifica del sito prevede lo smantellamento di edifici od opere murarie con esposizione del lavoratore ad agenti fungini appartenenti al genere Aspergillus. Tecnologie di bonifica biologica dei siti contaminati

Le tecniche di bioremediation sono tipicamente più economiche rispetto ad altri metodi di bonifica ed offrono il vantaggio di poter trattare molti contaminanti direttamente on-site, riducendo i rischi espositivi di natura chimica per il personale operativo, o i rischi di una potenziale esposizione più vasta nell’eventualità di un incidente durante il trasporto. La bioremediation di norma richiede input poco costosi (es. i nutrienti), non genera residui che necessitino trattamenti aggiuntivi e, se condotta in situ, non richiede nemmeno l’escavazione del materiale. Sebbene la bioremediation non sia in grado di degradare gli inquinanti inorganici, essa può essere impiegata per modificarne la valenza, causando l’adsorbimento, l’immobilizzazione, la precipitazione, l’uptake, l’accumulo di tali composti da parte di micro e macro organismi. Inoltre, dal momento che la bioremediation è basata sull’attenuazione naturale, risulta più accettabile da parte dell’opinione pubblica rispetto ad altre tecnologie. Infine, anche se la maggior parte dei sistemi di bioremediation operano in condizioni aerobiche, è possibile degradare alcune molecole altrimenti recalcitranti alla biodegradazione operando in condizioni anaerobiche. A tutt’oggi le tecniche di bioremediation sono impiegate con successo per decontaminare suoli, fanghi e acque contaminate con petrolio, idrocarburi, solventi, pesticidi, conservanti e altri com-

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S PE CIA L E

posti chimici organici. In base alle diverse tecnologie biologiche disponibili è possibile ipotizzare alcune condizioni di biohazard

In situ

Soil washing

Land farming

Compostaggio

Biopile

Bioreattore

BIOLOGICA

Aerosol

TECNOLOGIE di BONIFICA

Aerosol

VIE DI ESPOSIZIONE

Polveri

FASI DI LAVORO

riconducibili alle operazioni previste nelle diverse applicazioni di bonifica biologica (Tabella 1).

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Soil washing

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Drenaggio, disidratazione suolo

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Carico,scarico, trasporto, preparazione del terreno Operazioni di classificazione, separazione terreni ,ecc.

Lavorazione del suolo con mezzi agricoli Compostaggio o biopila Allestimento di sistemi di drenaggio e di areazione Scavo di pozzetti di prelievo Predisposizione di trincee per l’aggiunta di nutrienti

Manipolazione di sostanze organiche liquide Lavorazione di sostanze organiche secche (trinciatura, compostaggio) Aggiunta di nutrienti mediante irrorazione Miscelazione. del suolo con sostanze disidratate

Manutenzione/sostituzione biofiltri di impianti per il trattamento dell’aria

Tabella 1. Modalità espositive ad agenti biologici in funzione delle diverse fasi operative delle tecnologie di bonifica biologica (+ potenziale esposizione del lavoratore agli agenti biologici)

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VALUTAZIONE DEL RISCHIO BIOLOGICO CONNESSO ALLE OPERAZIONI DI BONIFICA La valutazione del rischio biologico è una procedura complessa che deve prendere in considerazione i pericoli, ossia gli agenti biologici potenzialmente presenti nell’ambiente lavorativo ed il rischio, ossia la probabilità statistica che l’evento dannoso si realizzi in quelle specifiche condizioni di esposizione. Ai fini della valutazione del rischio il Titolo X del D.Lgs. 81/08 dispone che il datore di lavoro consideri tutte le informazioni disponibili relative alle caratteristiche degli agenti biologici utilizzati o potenzialmente presenti nel materiale trattato e delle modalità operative in cui essi vengono coinvolti ed in particolare: a. della classificazione in termini di pericolosità degli agenti biologici che presentano o possono presentare un pericolo per la salute umana (come dall’allegato XLVI del D.Lgs. 81/08); b. dell’informazione sulle malattie che possono essere contratte a seguito dell’esposizione lavorativa; c. dei potenziali effetti allergici e tossici dei microorganismi e/o loro parti; d. della conoscenza di una patologia della quale sia affetto un lavoratore, correlabile all’attività lavorativa svolta. Dalla rassegna sopra riportata dei pericoli biologici ai quali possono essere esposti i lavoratori del settore bonifiche emerge chiaramente quanto siano numerosi gli agenti biologici (microrganismi e/o loro parti o prodotti) potenzialmente presenti nelle matrici contaminate (acque, suoli, aerosol). Emerge con altrettanta chiarezza che, ai fini di valutare il rischio, la rilevanza della stima dell'entità dell’esposizione è limitata per le difficoltà connesse all’interpretazione delle dosi espositive. Quindi se l’identificazione dei pericoli può essere effettuata valutando la presenza anche solo presunta di agenti biologici durante le attività lavorative, la valutazione del rischio biologico si basa sulla casistica epidemiologica, cioè verificando in letteratura quali patologie sono state messe in correlazione con determinate tipologie espositive e sull’osservazione dello stato di salute del lavoratore. E’ responsabilità dell’azienda utilizzare tutte le fonti scientifiche


informative con particolare riguardo a quelle che si riferiscono al comparto di specifico interesse. Nel settore delle bonifiche non sono disponibili in letteratura dati epidemiologici sulle infezioni/sintomatologie/malattie da agenti biologici più frequentemente osservate nei lavoratori e certamente il rischio prevalente è quello di natura chimica. Dal momento che i rischi biologici connessi alle attività di bonifica possono essere equiparati a quelli del settore dell’edilizia, dell’agricoltura e dello smaltimento acque reflue, è possibile fare riferimento alla casistica epidemiologica esistente per questi settori occupazionali. Nel settore agricolo le patologie a carico dei lavoratori vanno ascritte alla esposizione ad alcuni agenti infettivi e parassitari, ma anche a più generiche forme anafilattiche riconducibili alla presenza di sostanze ad attività antigenica di origine animale, vegetale e/o microbica. Alcuni degli agenti eziologici contenuti nelle polveri organiche sono riconosciuti dall’INAIL quali causa di malattie professionali. Il D.M. 9 aprile 2008 riporta le nuove Tabelle delle malattie professionali che consentono il riconoscimento automatico dell’origine professionale di specifiche patologie professionali. Per le malattie dell’apparato respiratorio sono compresi gli agenti causa di asma bronchiale allergico di origine vegetale (polvere e farina di cereali, di legno, gli enzimi), di origine animale e le spore fungine di Alternaria, Cladosporium, Aspergillus, Penicillum. Quali agenti causali delle alveoliti allergiche estrinseche sono riconosciuti le spore degli attinomiceti termofili ed i miceti (Aspergillus, Penicillium, ecc.). L’inalazione a lungo termine di polveri organiche può causare infatti nei lavoratori esposti l’infiammazione del tratto respiratorio come risultato di reazioni allergiche specifiche o di reazioni immunotossiche non specifiche, che comportano l’attivazione di macrofagi alveolari e citochine. Queste reazioni sono indotte principalmente dai microrganismi associati alle polveri organiche e più in particolare dai batteri gram-negativi che producono allergeni ed endotossine, da attinomiceti e funghi filamentosi che producono allergeni, (1 I 3) -bD-glucani e micotossine. Nel settore della depurazione delle acque reflue le patologie descritte sono per lo più

aspecifiche e passano spesso inosservate. La letteratura indica casi di infezioni, a carattere occasionale, in organismi immunodepressi o debilitati. Tra le specifiche sintomatologie a carico dei lavoratori del settore risultano più ricorrenti febbri che compaiono dopo poche ore di lavoro, mialgie, bruciori agli occhi (sintomo più frequente che si verifica nel 50% dei casi di malessere), eritemi cutanei, mal di testa, astenia, rinite acuta, disturbi diarroici improvvisi. Questa sintomatologia, descritta fin dal 1976 e definita "sewage workers’ syndrome" è appunto riconducibile all’esposizione ad endotossine batteriche.

GESTIONE DEL RISCHIO BIOLOGICO DURANTE LE ATTIVITÀ DI BONIFICA L’approccio più corretto per il controllo del rischio biologico connesso alle operazioni di bonifica è quello preventivo attraverso la riduzione al più basso livello possibile dell'entità dell'esposizione individuale. Dopo l’individuazione delle lavorazioni/operazioni/fasi in cui può determinarsi l’esposizione, anche solo presunta, ad un possibile pericolo biologico, si procede alla definizione delle misure di contenimento e/o delle modalità operative, tanto più restrittive quanto maggiore è il rischio di contaminazione presente. Nello specifico le misure tecniche, organizzative e procedurali al fine del contenimento del rischio biologico nelle operazioni di bonifica dei siti contaminati sono: • mantenere al livello più basso praticabile il numero dei lavoratori esposti agli agenti biologici potenzialmente presenti nel luogo di lavoro; • adottare procedure di lavoro e controlli di ingegneria tali da prevenire o minimizzare l’esposizione agli agenti biologici durante le diverse attività evitando il contatto con la pelle, con gli occhi e attraverso le vie aeree; • apporre il segnale di rischio biologico nelle aree di lavorazione; • minimizzare la formazione di polveri, causate dal risollevamento delle stesse dalle pavimentazioni stradali dovute al transito dei mezzi pesanti, dalle superfici sterrate dei piazzali ad opera del vento, da emis-

sioni localizzate nelle aree di deposito degli inerti, dagli eventuali impianti di betonaggio e di frantumazione. Raccomandabile minimizzare il traffico dei veicoli sui terreni contaminati e la loro velocità; • prevedere misure di mitigazione, interventi operativi e attenzioni che possono essere efficacemente controllati in fase di costruzione e di programmazione delle attività di cantiere: copertura dei carichi che possono essere dispersi in fase di trasporto; pulizia ad umido degli pneumatici degli autoveicoli in uscita dal cantiere tramite apposite vasche d’acqua e spruzzatori; asfaltatura delle piste interne all’area di cantiere interessate dalla movimentazione degli automezzi; predisposizione di impianti a pioggia per le aree del deposito inerti; apporre teloni di copertura ove necessario, installazione di schermi per fungere da frangivento, programmare operazioni di innaffiamento con autobotti delle piste di cantiere e pulizia delle stesse; • prevedere una ventilazione forzata quando si opera in luoghi confinati (tunnel, garage, ecc.); • equipaggiare i macchinari per la lavorazione del terreno con sistemi di ventilazione

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dedicati, preferibilmente mediante l’utilizzo di filtri HEPA, monitorando periodicamente lo stato delle guarnizioni delle porte, provvedendo alla manutenzione dei filtri e annotando la manutenzione su apposito registro; fornire ai lavoratori gli appositi dispositivi di protezione individuale quali: indumenti protettivi (tuta in tyvek, stivali, guanti), maschere per la protezione delle vie respiratorie per evitare la contaminazione con polveri/spore o bioaerosol. E’ consigliabile l’adozione di maschere FFP3; mantenere l’obbligo dell’utilizzo delle maschere per la protezione delle vie respiratorie anche al termine della bonifica, quando ad esempio viene ripristinato lo strato di terreno originale dopo bonifica o altro terreno; nel suolo, infatti, anche se non più contaminato da sostanze tossiche, sono comunque presenti agenti biologici fonte di rischio quali batteri, attinomiceti, muffe, spore fungine, endotossine batteriche; obbligo per il lavoratore di mantenere separati gli abiti di lavoro da quelli civili, anche al fine di prevenire e ridurre al minimo la propagazione microbica fuori dal luogo di lavoro; obbligo di rispetto delle misure igieniche più elementari con apposita cartellonistica (non mangiare, non bere e non fumare sul sito; lavaggio frequente delle mani, almeno prima dei pasti e dei break, fare una doccia al termine del proprio turno lavorativo);

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• mettere a disposizione del lavoratore strutture igieniche dedicate (spogliatoi, docce, lavabi, detergenti, disinfettanti, ecc.); • informare i lavoratori sui pericoli e rischi biologici specifici in funzione dei compiti, delle mansioni e delle responsabilità; • addestrare e formare il lavoratore a svolgere le proprie mansioni in sicurezza e per affrontare le emergenze; • definire procedure per la gestione delle emergenze e per il primo soccorso; • nel caso si faccia ricorso a inoculi microbici specifici, che prevedano arricchimenti colturali (sospensioni microbiche, inoculi liofilizzati commerciali, ecc.), le varie operazioni previste devono essere eseguite sotto la guida di specialisti di microbiologia; • nelle pratiche di bioaugmentation delle matrici contaminate, per i microrganismi, precoltivati in laboratorio o disponibili in commercio, deve essere richiesta la caratterizzazione microbiologica prima del loro utilizzo. Alcuni preparati commerciali (starters microbici) possono infatti contenere microrganismi patogeni o patogeni opportunisti in elevate concentrazioni (>109 ufc/ml); • devono essere valutate le caratteristiche igienico-sanitarie, attraverso la ricerca di indicatori di contaminazione fecale (ad esempio, enterococchi fecali), delle matrici organiche addizionate per stimolare i processi biodegradativi (compost, liquami, fanghi di depurazione, ecc.);

• è necessario porre particolare attenzione alle condizioni di stoccaggio del materiale organico da utilizzare come ammendante (fieno, stallatico, compost) evitando che si instaurino condizioni di elevata umidità che favoriscono la formazione di specie fungine e condizioni di microaerofilia o anaerobiosi che permettono la proliferazione di generi microbici anaerobi obbligati o facoltativi (Clostridium, Bacillus), da considerare patogeni opportunisti. *INAIL Ricerca, Verifica e Certificazione Dip. Installazione di Produzione ed Insediamenti Antropici

Convegno “Biotecnologie per lo sviluppo sostenibile” La sfida prioritaria del nostro millennio per l’innovazione sta nella ricerca di modelli di sviluppo in grado di conservare le risorse del pianeta preservando ed aumentando la qualità della vita dei suoi abitanti. In questo contesto socio-economico orientato verso la sostenibilità, l’impulso dato all’industria dei processi biotecnologici rappresenta un elemento di innovazione non solo nella catena industriale e nella protezione dell’ambiente ma anche nella gestione della sicurezza delle attività. Il Dipartimento Installazioni di Produzione e Insediamenti Antropici (DIPIA) dell’Inail, svolge da anni attività di ricerca sulla tematica dello sviluppo di Biotecnologie industriali e controllo dei rischi, e con l’occasione di presentare i risultati del progetto finanziato dal Ministero della Salute illustrerà le principali esperienze nel settore delle bioraffinerie approfondendo alcuni aspetti di sicurezza dei processi ed i potenziali sviluppi del settore nel panorama industriale nazionale. Quando 30 ottobre 2014 Dove Auditorium Inail Piazzale Giulio Pastore, 6 – Roma


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FORMAZIONE, RICERCA E INNOVAZIONE QUESTA LA RICETTA TREVI BENNE PER OFFRIRE PRODOTTI PERFORMANTI E GARANTIRE LA SODDISFAZIONE DEL CLIENTE di Maria Beatrice Celino

D

a oltre venti anni Trevi Benne produce e commercializza tecnologie e attrezzature per macchine movimento terra dedicate a tre principali linee di prodotto: demolizione e riciclaggio, carico e scarico e settore forestale. Un’azienda in grado di produrre in serie ma anche di dedicarsi alla ricerca di soluzioni adatte a specifiche richieste. La motivazione e la volontà di creare prodotti di qualità sono ciò che spinge Trevi Benne verso nuove prospettive e obiettivi da raggiungere grazie anche all’attenzione dedicata alla formazione e alla ricerca. E’ proprio su questi due aspetti che ci siamo soffermati nell’intervistare Riccardo

Dal Bello e Christian Tadiotto, rispettivamente Responsabile Ufficio Tecnico e Responsabile Marketing di Trevi Benne. Quanto conta la formazione nella vostra azienda e come si differenzia nei vari settori? La formazione in azienda coinvolge tutti gli enti a 360 gradi questo per consentire in primis, secondo quanto previsto dalle normative in vigore, di mantenere sempre aggiornate le skills del personale e per cogliere tutte le novità sul campo utili per l’azienda, dai nuovi materiali, all’upgrade degli strumenti IT fino alle novità nell’ambito produttivo. Solo attraverso il continuo miglioramento possiamo seguire

Christian Tadiotto, Responsabile Marketing (a sinistra) e Riccardo Dal Bello, Responsabile Ufficio Tecnico (a destra) di Trevi Benne

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tutte le evoluzioni disponibili adottando poi le soluzioni più avanzate e innovative in grado di fare la differenza. Oggi i tempi di realizzazione dei progetti sono molto ristretti dunque è fondamentale che ogni ente sia dotato di strumenti sempre aggiornati e idonei per ogni specifica attività per poter raggiungere tutti gli obiettivi con il massimo delle performance. Periodicamente vengono organizzati degli education course che si svolgono o in azienda o in altre sedi e vengono tenuti da organismi esterni. Tutto questo viene poi trasferito nell’ambito commerciale per la distribuzione dei prodotti per mezzo di specifici documenti, product bulletin. A seconda degli aggiornamenti tecnici e/o commerciali vengono indetti dei technical meeting in azienda per esporre le novità seguite da dimostrazioni sul campo. Demandando ai vari Distributor & Dealer la commercializzazione delle attrezzature su scala mondiale, serve creare una documentazione commerciale che permetta di far comprendere la funzionalità, le caratteristiche tecniche e tutte le peculiarità del prodotto confrontato anche con i competitors. Il focus fondamentale durante la fase di vendita è quello di definire la tipologia di lavoro da svolgere e l’aspettativa del cliente, poi sommando l’esperienza del cliente finale alla nostra viene formulata la proposta migliore sotto l’aspetto tecnico ed economico. Lo scopo è di ottenere la soddisfazione del cliente e la scelta di


un’attrezzatura inadeguata non sarà mai in grado di raggiungere questo obiettivo. Continuando sullo stesso piano fare la scelta corretta significa lavorare in sicurezza, con la massima efficienza per avere un ritorno rapido sull’investimento. Non ultima per importanza è la formazione della rete di Assistenza principale per supportare i clienti sul campo: dalla normale manutenzione dell’attrezzatura, agli interventi straordinari. Per questa attività su ogni serie di attrezzatura viene redatto lo shop manual all’interno del quale vi sono tutte le informazioni per guidare gli addetti in ogni tipo di evenienza, dalla manutenzione programmata a quella straordinaria. A completare la formazione teorica vengono svolte delle simulazioni pratiche in officina per sviscerare ogni minimo dettaglio. Puntiamo molto su questa fase della formazione in quanto gli interventi devono essere definiti e svolti mirando i punti specifici per dare un servizio efficiente, rapido ed economico. La ricerca e lo sviluppo rivestono un ruolo fondamentale nella creazione di prodotti nuovi tecnologicamente avanzati. Potete spiegarci come si sviluppa questo processo in Trevi Benne? Oggi la crescita passa per dei paletti ben chiari, Ricerca e Sviluppo, Qualità e Servizio. Fermandoci al primo punto abbiamo creato due canali di sviluppo a seconda del prodotto, uno per le attrezzature semplici e il secondo per tutti i prodotti legati alla demolizione e riciclaggio. Questa differenza è dettata fondamentalmente dall’esigenza di creare procedure specifiche a seconda delle caratteristiche del prodotto per ottenere uno sviluppo consono con il prodotto finito. Quindi, in breve, le due procedure si differenziano esclusivamente nel rendere più rapidi i vari step quando si devono sviluppare delle attrezzature cosiddette semplici, mentre per la demolizione e riciclaggio determinati argomenti vengono maggiormente approfonditi in particolare per l’aspetto della durabilità. Per le diverse tipologie di attrezzature costruite vengono periodicamente analizzate le procedure di sviluppo e se necessario aggiustate a seconda delle criticità che presenta il prodotto.

La fase di sviluppo coinvolge tutti gli enti, Marketing, Engineering, Production & Quality, che sono investiti per l’intero periodo del progetto. La base di partenza per ogni sviluppo è l’indagine di mercato che fissa la tipologia di prodotto richiesta e i target sulle specifiche tecniche. Nel successivo passaggio viene verificata la fattibilità tecnica sulla base dei dati raccolti fissando i punti di miglioramento e lo schedule di sviluppo. Approvato il progetto inizia la fase preliminare della progettazione per concretizzare i target fissati verificando la fattibilità produttiva, la conformità secondo la direttiva macchine e l’analisi FEM. Definito il progetto di massima verifichiamo l’aspetto legato al costo del prodotto e se è in linea con i valori di vendita rilevati sui vari mercati. Raggiunti questi obiettivi si passa al completamento del progetto realizzando tutti i disegni costruttivi e di assemblaggio con la relativa distinta per poi inoltrare il tutto alla Produzione per la costruzione e l’acquisto di quanto previsto. Confermata la disponibilità del materiale si passa all’assemblaggio e alle successive fasi di sperimentazione, test e collaudo.

Solo al termine di queste fasi e raggiungendo i target previsti si procede alla commercializzazione. Tutti questi passaggi sono molto stretti ma necessari per avere l’assoluta certezza di immettere sul mercato un prodotto performante e affidabile. Lavorando su scala mondiale, dobbiamo avere queste conferme prima della spedizione per evitare che ogni tipo di disguido con il cliente finale, anche solo per effetto della distanza, diventi un ostacolo importante con dei tempi di risoluzione che possono essere lunghi. Concludendo mettiamo sullo stesso piano l’innovazione e la qualità/affidabilità del prodotto come punti chiave per poter crescere sul piano tecnologico e in termini di market share. Quali sono le vostre ultime novità in tema di prodotti e tecnologie? La più importante novità tecnologica sviluppata recentemente riguarda l’IMPACT BOOSTER, grazie a questa valvola idraulica sviluppiamo una pressione operativa tre volte superiore rispetto a quanto in ingresso. Con questa innovazione le prestazioni di lavoro sono aumentate mediamente di un 20%, grazie alla maggior forza operativa sviluppata dal BOOSTER, consentendo l’adozione di un ci-

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PA N O RAM A AZI END E

lindro idraulico di minor alesaggio per ridurre la portata operativa fornita all’attrezzatura fino al 30%, quindi un minor consumo di carburante (le attrezzature dotate di questa soluzione si potrebbero chiamare anche GREEN LINE per il minor impatto ambientale di esercizio). Questa nuova tecnologia è stata applicata su tutte le principali serie di attrezzature per demolizione e riciclaggio, sulla serie Multi Kit MK, Pinza Primaria HC, Frantumatore Fisso F e Girevole FR. Grazie a questa vasta gamma di attrezzature, in particolare la serie Multi Kit MK, siamo in grado di offrire dei prodotti specifici per ogni tipologia di lavoro. A livello di nuovi prodotti diversi sono i progetti sviluppati che interessano praticamente tutte le nostre serie di attachment. Citando i principali abbiamo completato la WOOD LINE con la serie “WE” dedicata all’estrazione dei ceppi dal suolo, che si aggiunge alla serie “WT” per il taglio, e “WS” per il sezionamento dei tronchi. Passando alla linea SCRAP SHEAR abbiamo sviluppato una cesoia per il taglio e riciclaggio dei binari ferroviari particolarmente richiesto nei paesi nord europei. Restando sulle cesoie abbiamo sviluppato un nuovo modello da 16 t che, per avere un’idea della dimensione, ha un’apertura di 1100 mm. Abbiamo poi immesso sul mercato lo scapitozzatore circolare modulare per la ripresa delle costruzioni sulle palificazioni o anche per la demolizione delle stesse, il range del diametro varia da 600 mm a 1250 mm a seconda del numero di moduli.

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Un’altra importante novità è stata apportata sulla serie Multi kit “MK” dove abbiamo esteso i modelli alla fascia per le macchine Utility & Construction. Per le prime abbiamo immesso sul mercato i modelli MK 07, circa 700 kg con kit frantumatore, MK 10, circa 1000 kg sempre con il kit frantumatore e per ultimo il modello MK 13 che raggiunge i 1400 kg nella stessa configurazione dei precedenti. Passando alla fascia Construction sono stati creati due modelli: MK 50, il cui peso è di 6400 kg allestito con il kit frantumatore e per ultimo il modello MK 70 che raggiunge un peso di 8900 kg sempre nella configurazione per la frantumazione. Per tutti i modelli sono disponibili i vari kit presenti sul resto della gamma. Quindi oggi la nostra serie MK, il cavallo di battaglia Trevi Benne, è disponibile per escavatori da 7 t a 100 t ed è in grado di coprire ogni tipo di necessità. Un altro sviluppo rilevante riguarda il lancio degli agganci rapidi universali idraulici denominati B-LOCK pienamente corrispondenti alla norma EN474, cioè su entrambi i perni di aggancio all’attrezzatura vi è una sicurezza meccanica visibile dal posto guida. Quindi in caso di un qualsiasi guasto al sistema principale di aggancio l’attrezzatura rimane sempre stabile senza alcuna oscillazione. Per completare il quadro sulla demolizione e riciclaggio abbiamo aggiunto due modelli nella serie delle benne vagliatrici, BVR 05 da 110 kg e BVR 25 da 4900 kg completamente agli antipodi tra loro ma fondamentali per coprire un range di applicazioni ancor più esteso per escavatori da 1,5 t a 55 t.

Passando alla linea delle attrezzature da scavo stiamo continuando lo sviluppo e la commercializzazione di attrezzature per il settore mining, pale frontali per pale gommate e benne per gli escavatori in versione rovescia e frontale fino al peso di 25 t, portando qualche esempio abbiamo prodotto benne per l’escavatore Hitachi EX 12002600-3600, Komatsu PC 1250-2000-4000 e così via. Vi sono nuovi mercati, in termini geografici o di settore, che state esplorando o ai quali vorreste dedicarvi? Stiamo operando con successo nel mercato “cava e miniera”, principalmente in Australia e Africa producendo benne Heavy Duty per impieghi gravosi per escavatori sino ai 400 t di peso operativo. Un mercato di nicchia, di difficile penetrazione, dove spesso le aziende che propongono tali benne sono le stesse case costruttrici degli escavatori. Il tentativo di accedere a mercati considerati proibitivi poiché gestiti e monopolizzati da grossi costruttori esteri è testimonianza della versatilità e della capacità dell’azienda di competere in nuove sfide produttive. Prestiamo molta attenzione alla scelta dei materiali anti-usura e al loro spessore, differenti a seconda della posizione (lama, coltelli laterali, fondo, etc.), utilizziamo equipaggiamenti delle migliori aziende per contenere l’abrasione, controlliamo accuratamente la saldatura dei componenti e la precisione delle dimensioni costruttive dell’attacco sull’escavatore con un collaudo pre-spedizione.


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l’Evoluzione di un’Azienda in 50 Anni di Storia il percorso del gruppo cosmo da una piccola azienda a una realtà consolidata e sempre al passo con le nuove tecnologie di Alfredo Rosace

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n percorso di mezzo secolo che ha generato progressivamente la crescita di una piccola azienda fino a farla diventare un gruppo importante, evoluto e tecnologicamente all’avanguardia. Nel 1960 nasce Cosmo Scavi che opera inizialmente nel settore movimento terra e successivamente con gradualità si inserisce nel mondo delle infrastrutture offrendo al mercato pubblico e privato servizi e prodotti di elevata e riconosciuta qualità. Nel 1992 nasce Cosmo Ambiente, la seconda società del gruppo che, in linea e nel rispetto del territorio, assume sempre di più e progressivamente un ruolo attivo di tutela dell’ambiente nello svolgimento delle proprie attività con particolare attenzione rivolta alla

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prevenzione dell’inquinamento, riesce ad offrire alla clientela un servizio completo idoneo a garantire, nell’osservanza delle nuove normative e all’introduzione di nuove tecnologie, il recupero dei materiali provenienti dalle demolizioni e dagli scavi. Nel 2005 si realizza l’impianto tecnologico destinato al recupero dei rifiuti speciali pericolosi e non pericolosi, alla produzione di materiali inerti per sottofondi stradali, alla produzione di conglomerati bituminosi e manufatti in CLS derivati da un processo congiunto di rifiuti e materie prime. Successivamente nasce il Centro Sviluppo e Ricerche che, attraverso continue e costanti analisi e prove chimiche, la verifica degli standard e la ricerca di materiali nuovi e/o rifiuti recuperati, permette di offrire al mer-

cato e alle aziende operanti nel settore delle costruzioni edili e stradali, un sicuro punto di riferimento per l’esecuzione di prove analitiche e geotecniche sui materiali oggetto di approvvigionamenti. I lavori eseguiti per l'aeroporto Marco Polo e per l'autostrada A4 sono utili a identificare il posizionamento dell'azienda nel panorama delle costruzioni di infrastrutture, ma tra le grandi opere eseguite, la realizzazione del passante di Mestre rappresenta senza dubbio il fiore all'occhiello del Gruppo Cosmo. Nell’ottica dell’attenzione all’ambiente il gruppo si è dotato di due impianti di energie rinnovabili: un impianto fotovoltaico e un impianto di cogenerazione a biomassa naturale per la produzione in autonomia di energia elettrica e termica.


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INTERVENTO DI BIOVENTING E BIOSPARGING ASSISTITO CON BIOATTIVATORI Inoculo di specifici attivatori enzimatico-microbici per la bonifica di terreni e acque di falda contaminate da idrocarburi di Gabriele Gagliardi, Pierlorenzo Brignoli e Massimo Di Martino*

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el Novembre 2005, a seguito di riscontri analitici operati da ARPA Emilia Romagna, è stata individuata la rottura di una tubazione di adduzione di gasolio da autotrazione presso l’area di rifornimento carburanti sita internamente al polo logistico con sede in un comune della Regione. La contaminazione, attraverso l’orizzonte insaturo superficiale ad elevata permeabilità (terreno di riporto) si è estesa nel sottosuolo sino all’acquifero soggiacente a granulometria fine (argilla limosa), caratterizzato da falda freatica a bassissima velocità di flusso (2,3*10-10 cm/sec) e limitato gradiente idraulico (4*10-3),

tali da poterla considerare pressoché stazionaria. A seguito dell’attività di monitoraggio e messa in sicurezza del sito, è stato possibile stimare in 364 m2 l’estensione della contaminazione nella matrice “suolo e sottosuolo” (identificando con tale terminologia lo strato 0÷-1,5 m dal p.c.) e in 634 m2 quella nella matrice satura. I parametri ambientali per i quali è stato riscontrato il superamento delle CSC nel terreno (D.Lgs. 152/06 e s.m.i.) fanno capo agli idrocarburi leggeri e pesanti con concentrazioni massime rispettivamente pari a 496 e 12.024 mg/Kg s.s. (sondaggio S9 C1 - Febbraio 2008, profondità -1,0÷-1,1 m da p.c.).

Nelle acque sotterranee, per contro, oltre alla presenza di idrocarburi totali, con concentrazione massima rinvenuta pari a 671.000 µg/l (P15), è stata riscontrata anche la presenza di BTEX ed IPA, limitatamente all’area immediatamente limitrofa allo sversamento. In considerazione delle contenute dimensioni dell’area contaminata (inferiori a 1.000 m2), è stato possibile inquadrare l’intervento in esame nella cosiddetta “procedura semplificata” (art. 249, D.Lgs. 152/06 e s.m.i.), così da individuare nei limiti tabellari (CSC) gli obiettivi della bonifica sia per quanto concerne l’orizzonte saturo che quello insaturo.

MATERIALI E METODI

Figura 1. Preparazione della sospensione acquosa di specifici bioattivatori e nutrienti-sinergizzanti

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Tra le numerose possibilità di intervento applicabili al caso specifico, prestando particolare attenzione a: • privilegiare le tecniche in grado di ridurre permanentemente e in maniera significativa la concentrazione nelle diverse matrici ambientali, gli effetti tossici e la mobilità delle sostanze inquinanti; • privilegiare le tecniche tendenti a trattare e riutilizzare il suolo nel sito di origine, con conseguente riduzione dei rischi derivanti dal trasporto e messa a discarica di terreno inquinato; • evitare ogni rischio aggiuntivo a quello esistente di inquinamento dell’aria, delle


Valori storici massimi:

acque sotterranee e superficiali, del suolo sottosuolo, nonché ogni inconveniente derivante da rumori e odori; • evitare rischi igienico-sanitari per la popolazione durante lo svolgimento degli interventi; • evitare ogni possibile peggioramento dell’ambiente e del paesaggio dovuto alle opere da realizzare; la scelta finale che meglio si adatta a tali prerogative e che trova contemporanea applicabilità sia nel saturo che nell’insaturo è risultata essere la “bioremediation assistita in situ”, ottimizzata dall’inoculo di specifiche miscele enzimatico-microbiche. Con tale definizione si intende una particolare tecnologia di risanamento in situ consistente nell’impiego di specifici bioattivatori enzimatico-microbici in abbinamento a speciali nutrienti-sinergizzanti, in grado di favorire l’immediata disponibilità dell’inquinante all’attacco biologico. I microrganismi utilizzati, opportunamente selezionati (non OGM), sono biofissati su supporti minerali allo scopo di proteggere i microrganismi stessi contro i rischi di natura fisica e chimica, aumentarne il tempo di contatto col substrato da demolire, favorire la loro crescita, fissando direttamente gli inquinanti da degradare, ristabilendone l’equilibrio chimico e biochimico. Quali elementi di supporto vengono utilizzati sali di dolomia e mordenite, oltre ad alghe della specie Lithothamnium calcareum. La caratteristica di tali supporti è la presenza di micro-cavità in cui i microrganismi vengono trattenuti e fissati. La configurazione ionica di tali materiali aiuta il processo di scambio tra microrganismi ed ambiente. L’introduzione di altri coformulanti, portatori di carbonati di calcio di origine planctonica e ricchi di oligoelementi, contribuisce a riequilibrare il substrato grazie al loro elevato contenuto oligominerale. I microrganismi utilizzati sono selezionati nei luoghi naturali di origine, in funzione della loro attività specifica su determinati inquinanti. Sono assolutamente naturali, selettivamente specifici per le varie sostanze da degradare, non sono geneticamente modificati, bensì conformi alla “Classe 1” E.F.B. (European Federation of Biotechnology) e a quanto specificatamente indicato nell’Allegato 3 alla Parte IV del D.Lgs. 152/06 e s.m.i.

Parametro

UdM

S9 (1,0-1,1)

CSC (D.Lgs. 152/06)

Idrocarburi C≤12

mg/kg s.s.

496

250

Idrocarburi C>12

mg/kg s.s.

12.024

750

UdM

SV1 (1,0-1,5)

SV3 (1,0-1,5)

Idrocarburi C≤12

mg/kg s.s.

<1

12

Idrocarburi C>12

mg/kg s.s.

584

1.619

UdM

SV2 (1,0-1,5)

SV4 (1,0-1,5)

Idrocarburi C≤12

mg/kg s.s.

16

<1

Idrocarburi C>12

mg/kg s.s.

433

5

Valori a 30 gg dall’inoculo: Parametro

Valori a 90 gg dall’inoculo: Parametro

Valori a 180 gg dall’inoculo: Parametro

UdM

SV6 (1,0-1,5)

SV7 (1,0-1,5)

SV8 (1,0-1,5)

Idrocarburi C≤12

mg/kg s.s.

<1

<1

<1

Idrocarburi C>12

mg/kg s.s.

49

43

75

Valori collaudo finale (contraddittorio con enti): Parametro

UdM

SV5 (1,0-1,5)

SV9 (1,0-1,5)

SV10 (1,0-1,5)

Idrocarburi C≤12

mg/kg s.s.

<1

<1

<1

Idrocarburi C>12

mg/kg s.s.

<5

<5

<5

Tabella 1. Andamento temporale delle concentrazioni rilevate nei terreni

In diversi precedenti lavori è descritta l’efficacia di interventi di biorisanamento in terreni contaminati da idrocarburi C>12 e PAHs mediante l’impiego di bioattivatori [1,2,3,6,7,8] sia per

quanto riguarda l’abbattimento dei contaminanti sia per la detossificazione dei suoli (valutazione effetto tossico e fitotossico residuo nei confronti degli organismi viventi dopo bonifica).

Figura 2. Inoculo verticale tramite tubi piezometrici micro-fessurati

45


w o rk i n p r og r es s

Valori storici massimi: Parametro

UdM

Concentrazione/piezometro

CSC (D.Lgs. 152/06)

Idrocarburi totali

µg/l

671.015/ P15

350

Toluene

µg/l

295/ P15

15

Benzo(a)antracene

µg/l

1,52/ P206

0,1

Valori storici massimi nei piezometri monitorati in corso di bonifica: Parametro

UdM

P1/06

P10

P14

P16

Idrocarburi totali

µg/l

165.700

1.882

593

563

Toluene

µg/l

<0,5

<0,5

<0,5

<0,5

Benzo(a)antracene

µg/l

<0,01

<0,01

<0,01

<0,01

Valori a 30 gg dall’inoculo: Parametro

UdM

P1/06

P10

P14

P16

Idrocarburi totali

µg/l

2.343

10

6.183

<10

Toluene

µg/l

4,3

<0,5

71,6

<0,5

Benzo(a)antracene

µg/l

0,07

<0,01

<0,01

<0,01

Valori a 90 gg dall’inoculo: Parametro

UdM

P1/06

P10

P14

P16

Idrocarburi totali

µg/l

1.003

189

343

<10

Toluene

µg/l

0,6

0,8

1,0

<0,5

Benzo(a)antracene

µg/l

<0,01

<0,01

<0,01

<0,01

Valori a 180 gg dall’inoculo: Parametro

UdM

P1/06

P10

P14

P16

Idrocarburi totali

µg/l

<10

<10

<10

<10

Toluene

µg/l

<0,5

<0,5

1,0

<0,5

Benzo(a)antracene

µg/l

<0,01

<0,01

<0,01

<0,01

Valori 1° campagna_collaudo finale (contraddittorio con enti): Parametro

UdM

P1/06

P10

P14

P16

Idrocarburi totali

µg/l

<10

<10

<10

<10

Toluene

µg/l

<0,5

<0,5

<0,5

<0,5

Benzo(a)antracene

µg/l

<0,01

<0,01

<0,01

<0,01

Tabella 2. Andamento temporale delle concentrazioni rilevate nelle acque di falda

Anche l’impiego di bioattivatori complessi nella decontaminazione di acque contaminate è ampiamente descritta [4,5] tanto da poter essere considerata assolutamente sicura. L’intervento di “bioremediation assistita”, oggetto del presente elaborato, è consistito nell’iniziale preparazione di una sospensione acquosa di bioattivatori specifici e nutrienti-sinergizzanti tramite attrezzatura di miscelazione autonoma dotata di motore a scoppio (Fig. 1).

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Anno 7 - Numero 28

Successivamente si è proceduto all’inoculo di tale miscela nell’area contaminata in un’unica soluzione iniziale, tramite pompaggio in leggera sovrappressione, sia in verticale (Fig. 2) attraverso tubi piezometrici micro-fessurati (posizionati nell’area contaminata a circa 10 m di distanza l’uno dall’altro in occasione dei sondaggi realizzati durante le pregresse campagne di monitoraggio) che in orizzontale (Fig. 3) attraverso tubi drenanti collocati sul fondo sca-

vo a circa -1 m dal p.c. durante il rifacimento dei sottoservizi dell’area rifornimento, avvenuto l’anno precedente all’intervento di bonifica. Tale accorgimento ha garantito una omogenea distribuzione orizzontale della miscela nell’area a più elevata concentrazione di inquinanti. I quantitativi impiegati, valutati sulla base delle concentrazioni e dell’estensione della contaminazione sono risultati pari a 50 kg di bioattivatore e 130 kg di nutriente-sinergizzante contenente carbonio prontamente disponibile per ciascun piezometro scelto come punto di inoculo, passando a 20 kg di bioattivatore e 60 kg di nutriente per ciascun tubo drenante sub-orizzontale. Per avviare cinetiche degradative più performanti, così da raggiungere gli obiettivi di bonifica nei tempi di progetto (sei mesi), è risultato necessario garantire condizioni aerobiche. Per tale motivo le matrici ambientali oggetto dell’intervento sono state sottoposte a idonea aerazione tramite immissione di aria a bassa pressione, fornita da una soffiante, attraverso gli stessi tubi piezometrici oggetto dell’inoculo. Le verifiche analitiche adottate (come da piano di monitoraggio approvato dagli enti) hanno previsto controlli sia del terreno che delle acque sotterranee a 30, 90 e 180 gg dall’inoculo, al fine di validare l’efficacia della tecnologia di bonifica impiegata. Successivamente, una volta rientrati nelle CSC tabellari con tutti i parametri, si è proceduto, in contraddittorio con gli enti, al collaudo finale, suddiviso in due campagne semestrali consecutive realizzate in concomitanza dei periodi di massima e minima escursione della falda (per il terreno è stata imposta una sola indagine di accertamento finale, esclusivamente nello spessore insaturo compreso tra -1,0 e -1,5 m da p.c., essendo stato rimosso lo strato sovrastante durante le precedenti operazioni di messa in sicurezza). Infine, a collaudo avvenuto, relativamente alla matrice “acque sotterranee”, la conformità agli obiettivi di bonifica andrà verificata con cadenza semestrale per un periodo pari a 24 mesi in corrispondenza dei PoC appositamente individuati.

RISULTATI E DISCUSSIONE Le valutazioni analitiche (Metodiche EPA e


APAT-CNR) effettuate sui campioni di terreno e acque di falda, in ottemperanza al programma di monitoraggio ufficiale, hanno

Figura 3. Tubi drenanti sub-orizzontali (-1 m p.c.)

permesso di restituire l’andamento temporale delle concentrazioni dei vari parametri indagati indicato in Tabella 1. Entro sei mesi dall’inoculo, nel pieno rispetto del cronoprogramma progettuale, è stato riscontrato il rientro nelle CSC sia per il parametro Idrocarburi leggeri (C≤12) che per gli Idrocarburi pesanti (C>12), risultato confermato anche in occasione del collaudo finale alla presenza di ARPA Emilia Romagna. Come per il terreno, anche per le acque di falda è stato pos-

sibile il rientro nelle CSC tabellari per tutti i parametri monitorati entro sei mesi dall’avvio, risultato confermato anche nel corso della prima campagna di collaudo finale (Tabella 2). All’atto della stesura del presente elaborato è stata effettuata la seconda campagna di collaudo finale limitatamente alla matrice “acque sotterranee” e si è in attesa di conoscerne gli esiti analitici ufficiali.

CONCLUSIONI Dall’indagine condotta è emerso che la tecnica di bonifica attuata ha determinato il raggiungimento di ottimi risultati avendo ottenuto in tutti i punti di monitoraggio concentrazioni degli inquinanti indagati ampiamente al di sotto dei limiti fissati dalla legge e in tempi rapidi sia per quanto riguarda i terreni che l’acquifero sottostante. *Eurovix

Bibliografia

Figura 4. Planimetria area contaminata: matrice “terreno”

Figura 5. Planimetria area contaminata: matrice “acque sotterranee” (in tratteggio: direzione prevalente del flusso freatico; in giallo: PoC)

[1] Beccaloni E., Cicero M.R., Coccia A.M., Gucci P., Lacchetti I., Paradiso R., Scaini F. (2007) "Biorisanamento di un suolo inquinato da idrocarburi: studio integrato in campo" - Maggioli Editore, 322-327. [2] Beccaloni E.- (2008)“Tecniche di bioremediation applicate a suoli inquinati da composti organici. casi di studio in campo. giornata di studio: interventi di bonifica di siti inquinati tecnologie e risultati. S. Giovanni Valdarno (AR) [3] Brignoli P., Maggioni P. (2008) - Elimination of xenobiotic pollutants with the application of bioremediation technologies applied in soil intended for public green areas – Atti 1°European Turfgrass Society Conference, Pisa 19-20 maggio 2008 55-56 [4] Brignoli P., Ansferri S., Logorelli C. (2008) - Biological treatment for the reclamation and qualitative improvement of water in an ornamental lake inside the green area of the eur park in rome – Atti 1°European Turfgrass Society Conference, Pisa 19-20 maggio 2008 57-58 [5] Brignoli P., Ansferri S. (2006) - Applicazione sperimentale di bioattivatori nel bacino delle Everglades in Florida (USA) per migliorare i processi fitodepurativi delle acque – Ingegneria Ambientale” n. 5 2006, 237-244 [6] Coccia A. M., Gucci P.M.B., Lacchetti I., Beccaloni E., Paradiso R., Beccaloni M., Musmeci L. “Hydrocarbon contaminated soil treated by bioremediation technology: microbiological and toxicological preliminary findings” Environmental biotechnology 5 (2) 2009, 61-72 [7] Di Martino M., Brignoli P. Tamberi M. (2011) – Intervento di landfarming assistito presso un’area ex industriale, sita in La Spezia, contaminata da idrocarburi e ipa – Atti Workshop Sicon 2011 Siti contaminati: esperienze ed interventi di risanamento – Brescia 10-12/2/2011 [8] Maggioni P., Brignoli P. (2008) - Remediation of soil polluted by heavy hydrocarbons and pahs by application of biological promoters: integrated study on real scale -Atti 4° European Bioremediation Conference, Chania 3-6 settembre 2008 - Corresponding author: P. Brignoli

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w or k in p rogress

Spettacolo o Demolizione? A voi la scelta… Quando un lavoro di demolizione con esplosivo eseguito alla perfezione viene anche trasformato in uno show spettacolare il successo non può che essere garantito di Andrea Terziano

C

he gli americani facciano le cose in grande non è una novità ma quando alle manie di grandezza ci aggiungono anche una elevata dose di creatività, allora quello che ne esce è veramente particolare. Non è la prima volta che la demolizione con esplosivo di un palazzo, di un hotel o di un grattacielo viene trasformata in vero e proprio show, ne sono un chiaro esempio le implosioni di alcuni hotel di Las Vegas con lancio di fuochi di artificio prima del botto, ma questa volta gli americani della Controlled Demolition Inc., impresa leader nel settore, si sono superati preparando un vero e proprio spettacolo di suoni, fumogeni e colori. Siamo nello stato di New York ad Albany ed il protagonista di questo show è il vecchio Hotel Wellington Annex, una torre di proprietà della Columbia Development in cemento armato e muratura di 11 piani che deve essere demolita per lasciare spazio ad un nuovo centro congressi.

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Anno 7 - Numero 28

“La nostra priorità per questo progetto è quella di demolire l'edificio rapidamente, in modo sicuro e con il minimo disturbo per la città, e

questo piano compie questi obiettivi", ha detto il presidente della Columbia Development, Joseph Nicolla, in una dichiarazione alla stampa locale. Le tecniche prescelte per la demolizione erano quella tradizionale con gli escavatori a braccio lungo, o hight reach boom come lo chiamano gli americani, o la demolizione con esplosivo. Dopo attenta valutazione è stata scelta la seconda opzione che, anche se a parità di costo, garantiva un minor disagio per la popolazione di Albany ed una minor durata dei lavori. Una volta verificata l’assenza di materiali pericolosi quali amianto e fibre si è scelto di eseguire la demolizione con esplosivo utilizzando la tecnica dell’implosione che prevede l’alloggiamento delle cariche di esplosivo in fori praticati nei pilastri e nelle travi portanti della torre per provocarne il collasso controllato entro il perimetro di base.L’intero processo di demolizione strutturale è durato circa 16


secondi ed è suddiviso in otto detonazioni in sequenza finalizzate all’indebolimento strutturale preliminare dell’interno: a queste sono seguite altre otto detonazioni più potenti per la demolizione delle strutture portanti dell’hotel con lo scopo di indebolire il nocciolo della struttura e creare l’implosione. Non contenti della complessità dell’intervento gli americani hanno fatto precedere ed in parte sovrapposto alle sequenze di detonazione un vero e proprio show pirotecnico della durata di un minuto con fumogeni, fuochi d'artificio e scritte colorate. In apertura di questo singola-

re spettacolo, per il quale possiamo coniare il termine di implosionshow, sono state accese 5 grosse fontane di fumo viola poste sul tetto dell’edificio, subito dopo sulla parete dell’edificio è comparsa una grossa scritta con le lettere “J&J” creata con dei fumogeni colorati in onore all’ideatore del progetto di demolizione Joe Nicolla e sua moglie Jessica e la patriottica scritta “I LOVE NY”; a seguire una serie di esplosioni con i colori della bandiera americana hanno fatto da preludio alle detonazioni di indebolimento e a quelle strutturali che hanno fatto cadere gli 11 piani della torre

come un castello di carte. In totale per l’intero intervento sono stati usati 45 kg di esplosivo disposti su più livelli, le strade vicine sono state interdette al traffico veicolare e speciali teli di protezione sono stati posizionati a copertura delle facciate degli edifici limitrofi. Alla demolizione hanno assistito migliaia di persone e lo spettacolo è stato sicuramente garantito, una gloriosa fine per un pezzo di storia della città di Albany. Dalle macerie dell’hotel sorgerà un nuovo centro congressi da 66 mln di dollari che sarà completato alla fine del 2016 su un'area di oltre 7.000 mq.

Le esplosioni di indebolimento La sequenza di detonazioni di indebolimento per noi italiani è una pratica inusuale, infatti nei nostri cantieri per gli indebolimenti non viene utilizzato esplosivo fatto detonare qualche secondo prima del crollo ma gli indebolimenti vengono realizzati giorni prima dell’esplosione con attrezzature meccaniche o con attrezzature da taglio. Questa scelta non vuole essere in controtendenza ma è dettata dalla diversità tipologica dei material esplodenti utilizzati dagli americani e dalle normative più stringenti sulle tempistiche concesse alle operazioni di caricamento e brillamento. L’effetto ottenuto di fatto è analogo, in entrambi i casi si va ad indebolire localmente la struttura senza però provocarne il collasso, in modo da creare le condizioni propedeutiche per il corretto cinematismo di crollo.

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nuovo impianto di soil washing a servizio di una raffineria Un processo efficiente per bonificare terreni contaminati da idrocarburi e recuperare allo stesso tempo il materiale inerte lavato di Milena Bianchi*

I

progetti di bonifica del suolo richiedono spesso un approccio integrato, una sinergia di ingegneria civile, idrogeologia e tecnologia ambientale. Gli impianti di soil washing vengono realizzati per il trattamento di materiali terrosi contaminati allo scopo di recuperare la parte pregiata che, a tutela dell'ambiente, si individua come risorsa alternativa per ridurre l'esigenza di nuove cave e discariche. Questa tecnologia sfrutta la tendenza posseduta dalla maggior parte dei contaminanti di natura organica e inorganica di essere assorbiti sulle particelle più piccole costituenti il terreno, cioè le argille, il limo e la componente organica; a loro volta le frazioni più fini risultano adese a sabbia e ghiaia. II lavaggio disgrega questi agglomerati e consente di concentrare la contaminazione in un volume ristretto costituito, appunto, dalle frazioni limose e argillose, e di recuperare una grossa porzione di materiale da destinare, altrimenti, allo smaltimento. La tecnica del soil washing pertanto riesce a ridurre significativamente il volume del suolo contaminato.

Separazione granulometrica delle particelle Il soil washing è un processo ex-situ basato sul lavaggio tramite sfregamento del terreno

per rimuovere i contaminanti. Per effettuare tale operazione è necessaria una combinazione di varie macchine: vagli e frantoi, impianti di lavaggio, celle di attrizione. La complessità della linea e la produzione delle macchine ha richiesto alla Baioni tempo e investimenti economici, che hanno fatto compiere alla società un notevole passo avanti. Nei primi mesi del 2014 Baioni ha consegnato e collaudato un impianto di soil washing per l'attività di bonifica di suolo contaminato presso una raffineria italiana. Lo scopo è il recupero della sabbia e ghiaia per la loro rivendita come prodotti nel mercato degli inerti, lasciando la parte residua allo smaltimento in discarica. L'impianto sfrutta l’efficacia di un lavaggio speciale che consiste nella combinazione sinergica di acqua, additivi e reagenti per il processo fisico di lavaggio di materiali inerti. I terreni sono quindi sottoposti a una serie di processi fino al raggiungimento della loro bonifica finale.

L'acqua utilizzata viene trattata chimicamente per la sua reintroduzione nel ciclo produttivo dell’impianto. Dal lavaggio dei terreni contaminati da idrocarburi si possono ottenere inerti non più contaminati e pertanto cedibili come materia prima secondaria. Il loro impiego principale è la realizzazione di rilevati e sottofondi stradali, in quanto i materiali ottenuti non hanno caratteristiche meccaniche costanti, considerando l’eterogeneità della matrice di partenza. Tutta la contaminazione viene trasferita alla fase fine (con granulometria <80 μm), che a sua volta può essere facilmente ossidata dosando

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w o rk i n p r og r es s

opportuni reagenti. La tecnica è applicabile a tutti quei terreni contaminati e caratterizzati da una percentuale di fini (<80 µm) inferiore a circa il 40% in peso. Per contenuti di fini superiori, invece, non è più vantaggioso il ricorso all’impianto rispetto ai costi di messa in discarica. La bonifica ha comportato la rimozione dei componenti più inquinati del terreno – metalli pesanti e idrocarburi - intorno e sotto l'area della raffineria, per una produzione complessiva di 20 t/h. Al fine di proteggere le strade pubbliche, la raffineria e gli edifici nelle aree limitrofe il processo di soil washing si svolge interamente al chiuso.

Descrizione delle tipologie delle opere L'intervento consiste in un’attività di trattamento/recupero rifiuti contaminati da idrocarburi che ha una grande valenza ambientale in quanto consente il recupero di gran parte del terreno. I rifiuti in ingresso sono infatti terreni contaminati da idrocarburi e in uscita si avranno materiali riutilizzabili (sabbia, ghiaia) che verranno utilizzati come materie prime secondarie, per impiego come stabilizzante per sottofondi e rilevati stradali, come filler per conglomerati bituminosi, per la produzione di cementi e laterizi o addirittura quale impermeabilizzante e coibentante nelle discariche; mentre una parte di fanghi sarà destinata allo smaltimento in impianti autorizzati. Tale

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Anno 7 - Numero 28

intervento si pone come obiettivo la massimizzazione del recupero delle materie prime dai rifiuti, in un’ottica di sviluppo sostenibile. Il tutto nel pieno rispetto della normativa di riferimento per le attività specifiche dell’Unità Operativa Ambiente rappresentata dal D.Lgs. 152/06 “Norme in materia ambientale”, testo che disciplina a livello nazionale la gestione dei rifiuti, le bonifiche del sottosuolo, la gestione degli scarichi idrici e delle emissioni in atmosfera, nonché dalle delibere regionali e dai regolamenti tecnici che dettagliano e integrano le leggi nazionali a livello locale. L'impianto può trattare 20 t/h di rifiuto. In particolare, nell'impianto si attua un processo di lavaggio, si sfrutta il principio del trasferimento delle sostanze inquinanti (presenti in forma disciolta, emulsionata o in sospensione) dai rifiuti lavati all'acqua. Il trasferimento delle sostanze inquinanti viene attuato in vari step: innanzitutto vi è la separazione delle particelle di sostanze contaminanti solide mediante processi di selezione, frantumazione, frizionatura e lavaggio; in un secondo step vi è la rimozione dei contaminanti trasferiti dalle particelle all’acqua mediante processi chimico-fisici di precipitazione, disemulsionamento, coagulazione, flocculazione, rottura delle molecole, sedimentazione e infine vi è la concentrazione dei contaminati organici nel limo e separazione del limo dai materiali di recupero. Questi passaggi rendono necessari, a complemento del processo di lavaggio, due ulteriori trattamenti:

• trattamento chimico-fisico della torbida contenente il limo e le sostanze inquinanti e ricircolo dell'acqua depurata; • trattamento dei fanghi attivi mediante disidratazione meccanica per renderli idonei allo scarico in fognatura. Quindi l'impianto è composto di due sezioni fondamentali: • sezione di lavaggio e selezione granulometrica (impianto di valorizzazione); • sezione di trattamento chimico-fisico-biologico della torbida di lavaggio e ricircolo delle acque depurate (impianto depurazione acque).

Uso delle risorse naturali La realizzazione, da parte dell'azienda cliente di un impianto per il trattamento e il recupero come materia prima seconda dei rifiuti contaminati dalla raffineria rientra nell'ambito delle tecniche di corretta ed efficace gestione dei rifiuti.

Il processo Il funzionamento dell’impianto di trattamento di soil washing Baioni sfrutta le diverse proprietà chimico fisiche delle particelle che compongono il suolo e di quelle dei contaminanti presenti al fine di ottenere il lavaggio della frazione granulometrica più grossolana (ghiaia e sabbia) da riutilizzare e l’addensamento della contaminazione in quella più fine, eventualmente da conferire a discarica. Tale impianto è costituito principalmente dalle seguenti componenti, assemblate tra loro: • tramoggia di carico e gruppo di alimentazione, • unità di lavaggio e selezione, • unità di lavaggio della ghiaia, • gruppi di idrociclonatura e frizionatura, • impianto di trattamento acque (chimicofisico), • impianto di trattamento fanghi (disidratazione con centrifuga). Il processo di soil washing si attua facendo passare il terreno/suolo contaminato attraverso una serie di fasi lavorative che lo scompongono e rimuovono i contaminanti presenti. Il terreno, proveniente da scavo in raffineria, viene inviato a una stazione di alimentazione


in cui i materiali di grosse dimensioni vengono rimossi tramite una griglia di controllo (larghezza maglia 250 mm). Il materiale processato viene poi convogliato in un frantoio e successivamente in una sfangatrice ST 200 a tamburo per il lavaggio e la sua frizionatura. Il materiale in uscita dalla sfangatrice a tamburo può essere classificato in sabbia, ghiaia e materiale organico. Le sabbie vengono introdotte in una prima unità di lavaggio sabbia GRF e poi in una cella di attrizione dove i contaminanti vengono liberati dalle superfici delle particelle mediante attrito. Le sabbie in uscita dalla cella di attrizione vengono introdotte in una seconda unità di lavaggio GRF e vengono rilavate, asciugate e stoccate per essere recuperate. Le ghiaie vengono invece trasferite in una recuperatrice a coclea RC 90 per subire un ulteriore controlavaggio e infine stoccate per essere recuperate. Il materiale organico leggero viene asciugato

e convogliato in un punto di raccolta per successivo smaltimento. Le acque ancora contaminate subiscono un processo di trattamento di depurazione totale con lavaggi speciali composti da acqua, additivi e reagenti chimici (trattamento chimico-fisico). L'acqua utilizzata è quindi depurata per la sua reintroduzione nel ciclo produttivo dell’impianto. Dal trattamento chimico-fisico i fanghi in uscita contengono ancora inquinanti, pertanto si procede al processo di disidratazione meccanica tramite centrifuga per poi far confluire il materiale solido presso autorizzati siti di smaltimento. * Baioni Crushing Plants S.p.A.

Inquinamento e disturbi ambientali prodotti Aria: la tipologia di attività in esame non prevede punti di emissione (camini) quindi l'attività in sé non genera alti impatti sulla componente aria. Ambiente idrico: l'intervento non incide sulle caratteristiche di qualità ambientale delle acque superficiali e sotterranee in quanto il sistema di regimazione delle acque meteoriche unitamente all’isolamento dell’impianto in progetto dalla falda tramite pavimentazione in calcestruzzo non determinano interazioni con i corpi idrici. Suolo e sottosuolo: il capannone che ospita l'impianto è esistente ed è stato soggetto solo a opere di adeguamento per poterlo rendere idoneo ad ospitare il nuovo impianto. L'assetto geologico e quello geomorfologico dell'area non hanno subito variazioni per effetto diretto delle opere di adeguamento del capannone esistente, in quanto sono considerate opere non sostanziali. Rumore: l'intervento in esame risulta compatibile sotto il profilo acustico con il limiti assoluti di immissione previsti dalla zonizzazione acustica comunale; la pressione sonora generata dal suddetto intervento risulta, quindi, poco significativa nell'ambiente circostante.

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progetti e tecnologie

Riqualificazione dei siti dismessi: scenari e approcci in tempo di crisi Dalla progettazione integrata all’adaptive remediation, la sperimentazione di nuovi percorsi per giungere alla bonifica e alla riqualificazione di aree contaminate di Emanuele Bobbio*, Jean Pierre Davit* e Matteo Robiglio**

N

ell’attuale contesto economico le difficoltà legate alla riqualificazione dei siti industriali dismessi, che nella maggior parte dei casi ricomprendono aree definite come contaminate, sono ormai evidenti: mancanza di fondi legati alla crisi del settore immobiliare, procedure complesse che devono tenere insieme le esigenze di numerosi attori, tempi incerti che scoraggiano

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Anno 7 - Numero 28

gli investimenti, prolungando così il destino di degrado di molti siti. Eppure parliamo di porzioni di territorio nient’affatto trascurabili, se consideriamo che secondo i dati Ispra nel 2012, risultano oltre 15.000 in Italia i siti potenzialmente contaminati, 4.314 quelli contaminati, oltre 5.000 i siti nei quali sono stati avviati interventi di messa in sicurezza e/o bonifica e oltre 3.000 i siti bo-

nificati. Limitandoci ai soli Siti di Interesse Nazionale di competenza del Ministero dell’Ambiente, troviamo una lista di 39 aree con una dimensione complessiva di circa 100.000 ettari circa, ossia una superficie grande quasi quanto l’intero comune di Bari, all'incirca equamente distribuita in tutte le regioni d’Italia. I numeri da soli indicano chiaramente che il problema di riqualificare questi siti non può essere relegato a semplice questione ambientale o di salute pubblica, ma che va affrontato in maniera organica coordinando in modo strategico il contributo di professionisti, mercato e istituzioni. Se poi pensiamo che molti siti dismessi si trovano in ambiti urbani consolidati, a seguito dell’espansione delle città nel secondo dopoguerra o in luoghi di pregio paesaggistico come le coste, diventa chiaro che riqualificare questi siti rappresenta per il territorio italiano un’importante opportunità per ricucire nel tessuto urbano aree attualmente abbandonate, per mettere in sicurezza spazi contaminati e per ridurre il consumo di suolo verde o agricolo, seguendo una spinta sempre più sentita dall’opinione pubblica e dalle autorità. È innegabile però che riqualificare siti dismessi pone una serie di sfide legate alla complessità delle scelte da affrontare, all’incertezza


degli scenari economici e alla difficoltà di dialogare con le comunità locali senza finire nel vicolo cieco del muro contro muro. La bonifica dalle contaminazioni ereditate dai precedenti usi di un sito rappresenta uno dei primi scogli in cui si arenano progetti di riqualificazione più o meno estesi. Mentre nei decenni passati il processo di bonifica, per quanto oneroso e complesso, veniva ammortizzato dal valore economico della trasformazione, beneficiando di una spinta immobiliare che sembrava non avere limiti, la crisi economica e immobiliare del 2008 ha chiaramente rappresentato un duro richiamo alla realtà. Molti progetti che i render architettonici facevano sembrare a portata di mano si sono fermati e non sono rari i casi in cui i soli costi di bonifica sono superiori al valore di un terreno, lasciando che sia la semplice aritmetica economica a eliminare qualsiasi velleità di completare un progetto secondo le aspettative iniziali. Il concetto di bonifica sconta poi un’accezione comune che accosta il termine all’idea rassicurante ma teorica di riportare il sito a una supposta situazione primigenia, per cui nelle operazioni di decontaminazione si tende a voler ripristinare uno stato zero, con l’impossibilità di raggiungere dei risultati soddisfacenti e la generazione di un dispendio eccessivo di risorse energetiche ed economiche. Nonostante le criticità del contesto socio-economico in Italia, è proprio in momenti come quello attuale che la difficoltà ad applicare un modello unico e consolidato permette di immaginare e sperimentare nuovi percorsi alternativi nel settore della riqualificazione territoriale e della bonifica.

La progettazione integrata Il nuovo contesto economico che si va delineando impone di ottimizzare le risorse, ridurre le spese e il dispendio di energie e, soprattutto, richiede la collaborazione e diffusione dei saperi tra i diversi soggetti in campo: i tecnici che si occupano della bonifica, i progettisti che studiano la riqualificazione, i proprietari delle aree, l'autorità pubblica e, non per ultimi, le comunità locali. Questo processo progettuale condiviso viene comunemente definito con il termine anglosassone integra-

ted design e prevede di mettere insieme i vari interlocutori già dalle prime fasi, evitando un meccanismo tipico secondo cui ogni professionista lavora per fasi separate e porta un contributo generalmente settoriale che fatica a integrarsi con le altre componenti nei pochi momenti chiave in cui le varie parti vengono messe insieme. Grazie a questo sistema è possibile far emergere fin dall’inizio e in maniera più esplicita le potenzialità e le problematiche di ogni area, permettendo di lavorare su soluzioni compatibili con i limiti imposti dal contesto e al contempo di dotare il territorio di quelle funzioni realmente utili e realizzabili nelle aree a disposizione. A maggior ragione all’interno di questo meccanismo progettuale il processo di bonifica non si può esaurire in un mero adempimento tecnico necessario per garantire la salute dell’ambiente e delle persone, ma deve integrarsi con la strategia più complessiva della riqualificazione, per garantire soluzioni funzionali e sostenibili. Il lavoro del progettista e del bonificatore devono quindi essere integrati sin dalla fase di analisi del rischio, in cui si valuta la pericolosità degli inquinanti presenti e quindi il livello di contaminazione del sito. Infatti, i rischi associati agli inquinanti e le opere di bonifica sono funzione della visione di un territorio e dell’uso che s’intende fare dell’area. Ciò può portare a ottenere costi di bonifica sensibilmente inferiori: banalmente non si costruirà un asilo in un’area dove ci sono elevati vapori generati dalla contaminazione ma verrà piuttosto localizzato in un’area meno contaminata e lì si farà un parcheggio. Questo è il livello minimo ma forse bisognerebbe partire ancora più a monte quando, cioè, si decide cosa si farà di alcune aree, quale sarà il loro sviluppo futuro, in maniera da coinvolgere fin dall’inizio i tecnici che sapranno quali saranno i costi di bonifica e le difficoltà nell’implementarli.

La progettazione partecipata All’interno di questo processo integrato non va certamente dimenticato il ruolo delle comunità locali, i vicini di casa spesso dimenticati nelle fasi di progettazione, che però non tardano a far sentire la propria voce non appena i primi mezzi di cantiere entrano in sito.

È ormai noto quanto sia importante, in termini di sviluppo economico, il problema della mancanza di adesione, se non la vera e propria contrarietà, da parte delle comunità locali nei confronti dei progetti di trasformazione postindustriale e di riqualificazione urbana. Tale fenomeno, ampiamente studiato e teorizzato nei paesi occidentali, viene comunemente denominato come “sindrome NIMBY” (Not In My Backyard, non nel mio giardino). I comitati spontanei di cittadini che contestano la realizzazione di opere pubbliche o di trasformazione territoriale sono innumerevoli: secondo le ultime rilevazioni del “NIMBY Forum” in ambito nazionale nel 2013 sono state 336 le opere contestate da comitati spontanei di cittadini. Questa rilevazione si sofferma sulle infrastrutture ma le operazioni di riqualificazione di siti L’APPROCCIO DELLA BONIFICA TRADIZIONALE

00. preesistenza industriale

01. mappatura degli inquinanti

02. bonifica integrale

03. progetto sviluppo immobiliare

04. insediamento nuovi usi e funzioni

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pro g e t t i e t ec nol og i e

dismessi non sono immuni a questo fenomeno: la nascita di comitati di opposizione avviene in particolare quando la reale conoscenza del rischio non è diffusa in modo trasparente, aspetto che non fa altro che rendere ancora più difficile un argomento già di per sé complesso, tecnico e specialistico quale quello delle contaminazioni ambientali e delle bonifiche. Eppure le contromisure, che pure esistono, per instaurare un dialogo costruttivo con gli stakeholder ancora latitano a essere applicate. Un aiuto concreto può venire dalla cosiddetta "progettazione partecipata", ossia il coinvolgimento dei cittadini per capire meglio le esigenze e i bisogni di un territorio. Certo, la bonifica è strettamente connessa con la gestione del rischio e gestire la comunicazione di questi aspetti è un’operazione molto complessa. Peraltro l'integrazione degli stakeholder nel ciclo progettuale dovrebbe avvenire più facilmente nella fase di progettazione del futuro rispetto a quella di pulizia del passato, ma è comunque sempre importante aiutare la comunità locale a capire il concetto di rischio, che fa intrinsecamente parte del processo di bonifica.

Progettazione partecipata significa quindi creare una visione condivisa e tracciare degli obiettivi guida per una certa area insieme agli interlocutori più prossimi. Naturalmente questo lavoro non deve partire da zero ma spesso può partire dai piani strategici e territoriali di cui molte istituzioni locali sono già dotate, per comprendere quali sono aspettative e progetti che già si intravedono per una certa area. Una volta avviate le operazioni è importante assumere un atteggiamento il più possibile trasparente, portando avanti un programma di comunicazione periodico e prevedendo attività come ad esempio la possibilità per la popolazione locale di visitare le aree da bonificare: questo sia per aumentarne la consapevolezza circa le reali condizioni del sito, spesso meno critiche di quel che si immagina, sia per permettere una reale percezione dei luoghi, delle potenzialità e della scala delle operazioni in programma.

meno di vent’anni. Eppure i cosiddetti “tempi morti” che di solito caratterizzano questi processi non fanno altro che aumentare le frustrazioni dei cittadini, e non solo, che spesso chiedono soluzioni immediate per lenire almeno in parte il degrado di queste porzioni di territorio. L’idea di riqualificare un sito in un processo unico e complessivo andrebbe quindi sostituito dall’approccio più pragmatico e realistico di riconvertire un’area per fasi e per parti. Questo è possibile solo se il meccanismo di progettazione integrata ha portato alla definizione tra i vari interlocutori di una L’APPROCCIO DELLA ADAPTIVE REMEDIATION

00. preesistenza industriale

La riqualificazione per fasi e per parti La riqualificazione di aree industriali dismesse innesca processi molto lunghi in termini temporali, il cui ciclo spesso non si completa in

01. mappatura degli inquinanti e valutazione del potenziale

02. messa in sicurezza, set-aside, riuso preesistenze, fitobonifica

03. nuove funzioni e usi si insediano progressivamente sull’area

04. consolidamento e sviluppo progressivo delle nuove funzioni al progredire della bonifica

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strategia complessiva e degli obiettivi chiave. A questo punto le attività possono procedere in tempi e modi diversi sulle diverse aree, evitando comunque di arrivare a un risultato non organico o contraddittorio nelle varie fasi e parti. Al di là delle limitazioni poste in questo senso dalle attuali normative, una soluzione interessante consiste nell’uso temporaneo di un’area in via di riconversione, prevedendo usi “leggeri” legati ad esempio ad attività ricreative o sportive. Ciò comporta numerosi vantaggi perché permette di riaprire un luogo al tessuto urbano circostante, eliminando via via quella connotazione di terra nullius e soprattutto permettendo alle comunità locali, ai progettisti e ai proprietari di sperimentare sul campo quali usi siano più adatti per una certa area. Al contempo ipotizzare soluzioni e destinazioni differenti per le diverse porzioni può permettere di velocizzare il processo su certe aree, le cui potenzialità sono più evidenti, ponendosi per

altre obiettivi più di lungo termine. In questo senso creare una sinergia tra la progettazione paesaggistica e le tecniche di fitobonifica può aprire interessanti scenari, attraverso la creazione di luoghi in cui piante e arbusti opportunamente combinati creano luoghi gradevoli esteticamente, per riqualificare visivamente un’area e al contempo partecipano al processo di bonifica con tempi più estesi ma spese più contenute.

La adaptive remediation Proponiamo di introdurre nella discussione – e nella pratica operativa – il concetto di adaptive remediation. Questo concetto deriva per analogia dall’adaptive reuse, che si distingue dal riuso normale perché definisce le modalità di trasformazione di un edificio/sito preesistente basandosi sulle specifiche condizioni della preesistenza e nell’intento di minimizzare gli interventi necessari al riuso.

Concretamente, adaptive remediation significherà perciò che le condizioni esistenti del sito diventano fondamentali per definire il progetto del suo riuso, che verrà definito in modo da minimizzare il costo degli interventi di bonifica necessari, a parità di condizioni di sicurezza garantite ai cittadini e alle comunità locali. Nella adaptive remediation le bonifiche vengono quindi organizzate nello spazio e nel tempo all’interno di un progetto integrato di rigenerazione. Il contenimento dei costi, la distribuzione degli interventi nel tempo e nello spazio in armonia con le previsioni di usi futuri liberano risorse per interventi positivi a favore dei territori, consentendo di attivare cicli lunghi di rigenerazione urbana e territoriale con esternalità positive, che compensino attivamente il passato danno ambientale subito dai luoghi e dalle comunità che li abitano. *Golder Associates s.r.l. ** TRA Architettura Condivisa

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progetti e tecnologie

Decontaminazione elettrocinetica di sedimenti marini Indagini sperimentali per una tecnologia alternativa di trattamento per i sedimenti di dragaggio contaminati da metalli pesanti di Matteo Masi* e Gabriella Maria Sabina Losito**

L

’origine dell’inquinamento dei sedimenti marini può essere ricondotta a due cause principali, da un lato alle attività portuali (cantieri navali, passaggio delle imbarcazioni) e dall’altro alla presenza di scarichi industriali e civili e all’immissione dei corsi d’acqua in mare. Per questi motivi, il problema della contaminazione dei sedimenti riveste particolare importanza nei porti dove, per garantire le profondità di navigazione, sono necessarie periodiche attività di dragaggio dei fondali. I sedimenti portuali presentano principalmente contaminazione da metalli pesanti (Al, As, Cd, Cr, Hg, Ni, Pb, Cu, Zn, V) e da composti organici (idrocarburi, IPA, solventi aromatici,

PCB). Il materiale dragato necessita dunque di una preventiva caratterizzazione chimicofisica, microbiologica ed ecotossicologica al fine di determinarne i livelli di contaminazione e quindi il tipo di gestione più idoneo. Il materiale può essere reimmesso al largo o riallocato sulle spiagge, se è compatibile dal punto di vista ambientale, oppure deve essere bonificato se le concentrazioni dei contaminanti non rispettano i vincoli di normativa (D.Lgs. 152/06). La bonifica dei sedimenti è un intervento di risanamento molto oneroso a causa degli ingenti volumi di sedimenti dragati, pur producendo un vantaggio dal punto di vista della navigazione portuale con il relativo ritorno economico. La contaminazione, la composizione granulometrica e la salinità sono tre elementi che generalmente rendono il sedimento marino poco adatto ad alcune opzioni di riutilizzo, come ad esempio il suo impiego come materiale da costruzione o in campo Figura 1. Rappresentazione schematica di un sistema di decontaminazione agronomico. Il grado elettrocinetica in situ (riadattato da [1])

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di successo delle varie tecnologie di bonifica disponibili per il trattamento dei sedimenti dipende fortemente dalla natura del sedimento contaminato, dal tipo di inquinanti, dalla loro concentrazione e in particolar modo dalla permeabilità idraulica. La bonifica di sedimenti caratterizzati da una bassa permeabilità è spesso estremamente difficoltosa se realizzata con trattamenti di tipo chimico-fisico (ad es. soil washing). Inoltre i sedimenti a bassa permeabilità sono caratterizzati da un’elevata superficie specifica dei grani e da una grande quantità di ‘siti di reazione’ che comportano forti interazioni tra contaminanti e matrice solida del materiale. Queste interazioni dipendono dal tipo di matrice solida, dal pH e da molteplici fattori che variano di caso in caso e rendono necessario l’utilizzo di considerevoli quantità di sostanze reagenti per agevolare il desorbimento e la rimozione dei contaminanti. Negli ultimi decenni sono state studiate diverse nuove soluzioni per la rimozione dei contaminanti mirate in particolare al risanamento delle acque e dei suoli. La decontaminazione elettrocinetica è una tecnologia innovativa che ha raggiunto un notevole grado di sviluppo per la bonifica dei suoli, dei sedimenti e delle acque sotterranee, mostrando ottime potenzialità nel trattamento di materiale a bassa permeabilità, sia nelle applicazioni in situ che ex situ.


Figura 2. Schema della cella sperimentale utilizzata per le prove di decontaminazione elettrocinetica in laboratorio

Trattamento elettrocinetico Il trattamento elettrocinetico (Figura 1) si basa sull’applicazione di un campo elettrico mediante elettrodi infissi direttamente nella matrice contaminata, alloggiati in pozzetti che consentono l’immissione e l’estrazione di soluzioni elettrolitiche [1]. Il campo elettrico induce fenomeni di trasporto, trasferimento di carica e trasformazioni chimiche in grado di mobilitare gli inquinanti verso gli elettrodi nei pozzetti, dai quali possono essere estratti. I principali meccanismi di trasporto dei contaminanti sono: l’elettromigrazione, l’elettroosmosi e l’elettroforesi [2]. L’elettromigrazione è il trasporto di ioni disciolti in soluzione, attratti dall’elettrodo di carica opposta; nell’elettroosmosi è il fluido stesso a muoversi grazie alla presenza di particelle cariche (come le argille); al contrario nell’elettroforesi è la particella carica che si muove rispetto al fluido. Oltre a questi fenomeni, sotto l’applicazione del campo elettrico agli elettrodi si verificano le reazio-

ni di elettrolisi, cioè la scissione delle molecole di acqua in ioni H+ e O2 gas all’anodo e ioni OH- e H2 gas al catodo. Gli ioni H+ e OH- a loro volta migrano sotto l’influenza del campo elettrico e determinano una variazione di pH all’interno del materiale. Non sempre le variazioni di pH indotte dalla migrazione di questi ioni producono effetti positivi. Ad esempio, in un ambiente eccessivamente alcalino si possono verificare fenomeni di precipitazione dei metalli sotto forma di carbonati e idrossidi, che limitano fortemente la mobilità di tali contaminanti e quindi l’efficacia del trattamento. Per evitare che ciò accada, in tutti i casi pratici è necessario l’utilizzo di agenti condizionanti, in genere costituiti da soluzioni acide addizionate al fluido di processo, in particolare al catodo per tamponare gli ioni OH-. Il metodo della decontaminazione elettrocinetica, rispetto alle tecnologie convenzionali di bonifica, offre i seguenti vantaggi: • flessibilità nell’utilizzo come metodo in situ o ex situ;

Figura 3. Confronto tra il pH del sedimento ad inizio e a fine prova

• applicabilità a materiale a bassa permeabilità; • applicabilità a suoli e sedimenti saturi e non saturi (sempre in presenza di un fluido interstiziale); • capacità di rimozione dei metalli pesanti, radionuclidi, inquinanti organici anche presenti contemporaneamente; • possibilità di integrazione con altre tecniche di bonifica. Le limitazioni invece sono: • necessità di un fluido di processo; • tempi talvolta lunghi e quindi costi di esercizio elevati; • necessità di solubilizzare gli inquinanti per ottenere la loro mobilizzazione, ricorrendo spesso ad agenti chimici esterni; • necessità di un’indagine approfondita del fenomeno, per realizzare eventualmente un modello teorico predittivo e ottimizzare il processo. Sebbene l’implementazione della tecnica in situ (o ex situ) sia relativamente semplice, la sua progettazione e il suo corretto funzionamento a volte possono essere contrastati dalla dinamica estremamente complessa del fenomeno elettrocinetico. In particolare, l’efficacia del metodo elettrocinetico dipende strettamente dalle proprietà del materiale da bonificare quali la capacità tampone, la mineralogia, il contenuto di materia organica, l’eterogeneità del sottosuolo, dalle interazioni suolo-contaminanti, e da altri fattori. Gli esperimenti in laboratorio sono fondamentali per la caratterizzazione del materiale e per l’analisi del suo comportamento a seguito dell’applicazione del

Figura 4. Andamento del flusso elettroosmotico nel corso dei trattamenti

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pro g e t t i e t ec nol og i e

campo elettrico. Sebbene siano ancora poche le applicazioni della decontaminazione elettrocinetica a sedimenti marini sia in laboratorio che a scala reale, esistono diversi studi che ne dimostrano l’efficacia [3-7]. L’uso di agenti chimici per migliorare la resa del processo

è indispensabile in quanto i sedimenti marini hanno caratteristiche fisico-chimiche (ad es. elevata capacità tampone e potere adsorbente) che sfavoriscono la solubilizzazione degli inquinanti e limitano il trasporto tramite elettromigrazione ed elettrosmosi.

Durata

Gradiente di

Soluzione

Soluzione

Test

(giorni)

tensione (V/cm)

anodica

catodica

EXP1

10

0,5

H2O

H2O

EXP2

10

0,5

Acido citrico 0.1M

Acido citrico 0,1M

EXP3

10

0,8

EDTA 0,1M

EDTA 0,1M

Tabella 1. Tabella riassuntiva delle condizioni sperimentali

Percentuali di rimozione (%) – EXP3 Zn

Ni

Pb

Cu

V

9,5

24,3

9,8

27,3

17,4

Tabella 2. Percentuali di rimozione dei metalli - Esperimento 3 (EXP3)

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Anno 7 - Numero 28

Sperimentazione in laboratorio Nell’ambito di questo lavoro è stata condotta una sperimentazione in laboratorio con il principale obiettivo di individuare i parametri operativi di processo ottimali per il trattamento elettrocinetico di sedimenti marini di dragaggio di origine portuale contaminati da metalli pesanti. Lo studio ha riguardato i seguenti contaminanti: Zn, Ni, Cu, Pb, V. I sedimenti sono stati preliminarmente analizzati in modo da determinare: caratteristiche granulometriche, composizione chimica e mineralogica, concentrazioni dei metalli, pH, resistività e porosità. Gli esperimenti sono stati eseguiti adottando di volta in volta differenti condizioni di processo, variando in particolare l’intensità del campo elettrico applicato e la composizione dei fluidi di processo. La cella sperimentale (Figura 2) è costituita da una vasca in plexiglass con due setti trasversali che consentono la separazione del materiale solido dal fluido. Le camere laterali consentono l’immissione di additivi chimici e l’estrazione degli inquinanti in soluzione tramite un apposito sistema di ricircolo effettuato con due pompe peristaltiche. Gli elettrodi sono costituiti da lastre piane in grafite precompressa. Nel corso dei trattamenti sono stati monitorati: il pH nelle soluzioni e nel sedimento, le concentrazioni degli inquinanti nei serbatoi, il flusso elettroosmotico e, in 6 zone del sedimento, la resistività (resistenza elettrica specifica del materiale). Si commentano di seguito i risultati relativi a tre esperimenti selezionati (EXP1, EXP2, EXP3) che hanno fornito i risultati più significativi al termine della sperimentazione. Le condizioni operative per i suddetti esperimenti sono riportate in Tabella 1. Nel corso del primo test (EXP1) si osserva un aumento della corrente elettrica nelle prime ore di trattamento e successivamente una graduale diminuzione fino al termine dell’esperimento. La diminuzione della corrente è un fenomeno osservato da molti autori, ed è dovuto alla precipitazione di specie chimiche sotto forma di composti non solubili e non conduttivi, in particolare ossidi, idrossidi e carbonati che determinano una diminuzione della conduttività dell’elettrolita. Questo fenomeno si verifica in


particolar modo al catodo, dove, a causa della generazione di ioni OH,- si sviluppa una condizione di elevata alcalinità e la conseguente formazione di precipitati. Al termine del processo il pH subisce variazioni significative rispetto al valore iniziale (pH = 8.31) e, pressoché in tutta la massa di sedimento, si ha pH>12, a causa dell’elevata capacità tampone del sedimento stesso (Figura 3). L’elevata alcalinità, infatti, ha consentito la rimozione degli inquinanti solo in minima parte, dal momento che questi non sono stati desorbiti dalla matrice solida. Alla luce di questi risultati è stata presa in considerazione l’ipotesi di utilizzare una soluzione acida come fluido di processo, perché essa consente di controllare e abbassare il pH all’interno della cella, favorendo la solubilizzazione dei metalli. Si è scelto quindi di impiegare acido citrico, per le sue caratteristiche di economicità e biodegradabilità. Nel secondo test (EXP2) a differenza del primo non si è osservata la formazione di precipitati. Al termine della prova il valore del pH è diminuito rispetto a quello iniziale, in particolare in prossimità dei punti di immissione dell’acido, anche se il fronte acido riesce a propagarsi con maggiore difficoltà nella zona centrale della cella. Le condizioni sperimentali non hanno ad ogni modo consentito la mobilitazione degli inquinanti, probabilmente a causa delle condizioni di pH non sufficientemente acide. L’introduzione di acido citrico ha inoltre comportato una riduzione del flusso elettroosmotico rispetto alla prova EXP1 (Figura 4) limitando ulteriormente il trasporto di contaminanti. L’esperimento EXP2, sebbene non abbia prodotto i risultati desiderati, ha messo in evidenza che è preferibile rinunciare all’acidificazione del materiale, a causa del suo elevato potere tampone, perché i quantitativi di additivo necessario risulterebbero troppo elevati. Di conseguenza nell’esperimento EXP3 è stata impiegata una soluzione di acido etilendiamminotetraacetico (EDTA) a pH 8. L’EDTA è un agente chelante in grado di formare complessi stabili con i cationi metallici. Al termine della terza prova (EXP3), il pH ha raggiunto un valore prossimo a 12 in tutto il sedimento, e al contempo non si sono verificati fenomeni di precipitazione. Il flusso elettroosmotico, molto più sostenuto al con-

fronto con le altre prove (Figura 4), ha favorito il trasporto dell’EDTA all’interno del sedimento. In questo caso, i contaminanti sono stati mobilitati, seppur con modeste percentuali di rimozione (riportate in Tabella 2). Questo mostra che la strategia di trattamento è corretta, nonostante sia ancora necessario affinare gli altri parametri di processo per ottenere rendimenti di rimozione più elevati.

Conclusioni Le indagini sperimentali condotte in laboratorio hanno permesso di valutare gli effetti del condizionamento delle soluzioni nei comparti elettrodici e del gradiente di potenziale applicato sull’efficacia del trattamento. I risultati ottenuti, sebbene non siano soddisfacenti dal punto di vista dell’efficacia di rimozione dei contaminanti, hanno permesso di individuare la ‘strategia’ che può portare alla riuscita del trattamento nel caso in cui vengano variati in modo opportuno alcuni dei parametri di processo. In particolare, i risultati dimostrano che l’uso di EDTA e l’aumento della tensione applicata consentono la solubilizzazione degli inquinanti e di conseguenza la loro estrazione (test EXP3). E’ stato dimostrato inoltre che per il materiale in esame, a causa del suo elevato potere tampone, è preferibile non utilizzare una soluzione acida per solubilizzare gli inquinanti; la quantità di reagente e quindi i costi per acidificare il materiale infatti risulterebbero troppo elevati. Viceversa, utilizzando una soluzione di EDTA a pH alcalino, si ottengono contemporaneamente un incremento del flusso elettroosmotico, la chelazione degli elementi metallici e il loro trasporto verso gli elettrodi. E’ lecito aspettarsi che un ulteriore incremento del gradiente di potenziale o l’estensione della durata del trattamento possano comportare un considerevole aumento della rimozione dei metalli. Bisogna comunque tener presente che per la valutazione dell’efficacia del sistema di trattamento devono essere considerate anche le variabili economiche quali i costi energetici, i costi dei reagenti, i costi ambientali, etc. Considerando tutte queste variabili e sottoponendo la tecnologia ad un attento processo di valutazione e di prova prima della sua applicazione su scala reale, la decontaminazione elettrocinetica può rappresentare una

valida alternativa alle tecnologie consolidate, soprattutto in tutte quelle situazioni in cui queste ultime non risultano economicamente vantaggiose, come nel caso di suoli e sedimenti a bassa permeabilità. *Università di Pisa Dip. di Ingegneria per l’Energia, i Sistemi, il Territorio e le Costruzioni **Università di Firenze Dip. di Ingegneria Civile e Ambientale

Ringraziamenti Gli Autori desiderano rivolgere un sentito ringraziamento all’Ing. Sergio Lombardi e a SGL Group per aver gentilmente fornito a titolo gratuito i fogli in grafite per la realizzazione degli elettrodi. Si ringrazia inoltre l’Ing. Veronica Pazzi per la sua preziosa collaborazione. Il presente studio è stato finanziato dall’Università di Firenze.

Bibliografia [1] Reddy, K.R. and C. Cameselle, Electrochemical remediation technologies for polluted soils, sediments and groundwater. 2009: Wiley & Sons Ltd. p. 732-732 [2] Acar, Y.B. and A.N. Alshawabkeh, Principles of electrokinetic remediation. 1993. 27(13): p. 2638-2647. [3] Chung, H.I. and B.H. Kang, Lead removal from contaminated marine clay by electrokinetic soil decontamination. Engineering Geology, 1999. 53(2): p. 139-150. [4] Nystrøm, G.M., L.M. Ottosen, and A. Villumsen, Test of experimental set-ups for electrodialytic removal of Cu, Zn, Pb and Cd from different contaminated harbour sediments. Engineering Geology, 2005. 77(3-4): p. 349-357. [5] De Gioannis, G., et al., Electrokinetic Treatment of Contaminated Marine Sediments. 2009, John Wiley & Sons, Inc. p. 149-177. [6] Colacicco, A., et al., Enhanced electrokinetic treatment of marine sediments contaminated by heavy metals and PAHs. Chemosphere, 2010. 81(1): p. 46-56. [7] Kim, K., et al., Electrokinetic extraction of heavy metals from dredged marine sediment. Separation and Purification Technology, 2011. 79(2): p. 164-169.

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progetti e tecnologie

Il Parco della Scienza Scenario di Bonifica Green_Light per l’area ex Officine del Gas “San Paolo” a Roma di Federica Petrongari

L

a lettura della città di Roma operata dal Nuovo Piano Regolatore Generale, organizza l’intero territorio comunale come “sintesi di città contigue” articolate per tessuti e ambiti; le centralità metropolitane costituiscono i punti nodali della nuova concezione policentrica della città, le “iniezioni di funzioni forti” che garantiscono l’innesco dei processi di riqualificazione di cui la capitale ha tanto bisogno. La centralità metropolitana Ostiense-Marconi, racchiude al suo interno un paesaggio urbano ricco di preesistenze di archeologia industriale di notevole valore storico ed ambientale, in cui il recente sviluppo metropolitano ha inserito alla rinfusa funzioni ed attività che pongono le basi per renderla un centro vitale di attività qualificate. L'operazione di recupero delle architetture industriali, l'inserimento di nuove, associate ad una maggiore accessibilità, la suggestività del recupero del grande gazometro, segno della Roma moderna, significano il cambiamento di qualità dell'intero ambito. La riqualificazione dell’area delle ex Officine del Gas “San Paolo”, quindi, si inserisce nella tematica più ampia del recupero delle aree industriali dismesse che anima oggi il dibattito culturale su questioni ambientali, urbane e architettoniche. In un contesto di forte sviluppo tecnologico e di cambiamento sociale, gli approcci “Smart” e “Green” rappresentano l’unica risposta possibile per ottenere uno sviluppo urbano sostenibile attento alle problematiche ambientali e alla qualità della vita. Per la loro posizione che oggi risulta centrale e non più marginale nel tessuto urbano, gli

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edifici esistenti presenti nelle aree industriali dismesse con le relative aree, costituiscono una parte rilevante del patrimonio urbano inutilizzato e spesso in stato di degrado, per i quali è necessario un intervento di riqualificazione ed adeguamento. Questo tipo di interventi offre l’occasione per innescare un processo di rinnovo delle città in termini di sostenibilità e miglioramento della qualità della vita urbana, che vede come protagonista la volontà di recuperare il passato donandogli una nuova importanza e ripristinandone l’identità storica. Il riuso delle aree dismesse, in molti casi, risulta condizionato da preliminari operazioni di bonifica dei suoli dai residui dei processi produttivi svolti in passato; operazioni molto costose che spesso e volentieri discriminano la sostenibilità economica degli interventi e di conseguenza l’attuazione degli stessi. Alla luce di ciò, sia per quanto riguarda lo stato di fatto che le tecniche operative comu-

nemente usate, l’unica prospettiva realistica d’intervento si è rivelata quella del progetto di un parco attrezzato, il Parco della Scienza appunto, in cui sopperire alle problematiche legate alla questione della bonifica del suolo tramite un sistema di interventi con approccio green_light. Con il termine green_light si intende un atteggiamento progettuale poco invasivo ed attento alla sostenibilità, tanto ambientale quanto economica, che evitando di modificare il più possibile l’area di intervento ne valorizza le caratteristiche intrinseche. Il progetto scaturisce quindi dalla volontà di bonificare il suolo attraverso interventi di biodepurazione a lungo termine, che permettono di evitare l’ingente spesa iniziale che la bonifica con le tecniche tradizionali comporterebbe. Con un’attenta analisi dello stato dei luoghi, si è proceduto all’individuazione dei livelli di concentrazione dei principali inquinanti che


ha permesso una vera e propria mappatura dell’inquinamento dell’area dell’ex complesso industriale. Un approfondito studio ha consentito di confrontare le tecnologie di bonifica tradizionali con le più moderne tecniche di biodepurazione e tali risultati hanno permesso di elaborare una strategia di intervento per la riqualificazione dell’area basato su un approccio di bonifica graduale, green e light, per consentire il recupero urbano di un’area centrale e prossima ad un sistema idraulico di rilievo come il fiume Tevere. La localizzazione dei diversi sistemi di fitodepurazione e la conseguente scelta delle essenze, è stata dettata dai risultati delle analisi effettuate sui terreni. In base alla distribuzione degli inquinanti riscontrata, l’intera area di intervento è stata suddivisa in zone per le quali le scelte progettuali sono scaturite dalle caratteristiche peculiari di ciascuna di esse. Essendo ogni zona caratterizzata da differenti inquinanti e diverse concentrazioni, si è cercato di trovare la soluzione più adatta ai singoli casi tra le tecniche di fitodepurazione disponibili. Nelle aree in cui è stata constatata una prevalente concentrazione di metalli pesanti, quali Arsenico, Piombo, Zinco e Rame, si è optato per sistemi di fitoestrazione con piante iperaccumulatrici e da biomassa. La scelta è stata motivata dal fatto che la pianta ideale per un processo di fitoestrazione deve avere una elevata capacità di accumulo del contaminante e allo stesso tempo un’alta produzione di biomassa, e quindi la combinazione di entrambe le caratteristiche si è rivelata la scelta ottimale. Per quanto riguarda le ex vasche di stoc-

1. Magazzini 2. Gazometro da 200.000 mc 3. Gazometri da 25.000 mc 4. Gazometro da 60.000 mc 5. Vasche 6. Impianti di depurazione umida 7. Abitazioni, uffici, laboratori 8. Impianti VIAG 9. Impianti di depurazione secca 10. Torri di lavaggio verticali 11. Impianti per gas d’acqua 12. Impianto di depurazione dei sottoprodotti del gas 13. Forni koppers 14. Tramoggia 3 15. Carro ponte scorrevole 16. Tramoggia 1 17. Tramoggia 2 con gasogeno 18. Rimessa locomotori 19. Silos 20. Stazione di pompaggio

caggio del carbone, ci si è orientati verso un sistema di rizofiltrazione a flusso libero con macrofite acquatiche galleggianti, in quanto la conformazione stessa della struttura comporta la formazione del bacino fitodepurante. Nelle zone perimetrali limitrofe al Tevere si è proceduto con la creazione di una fascia fitostabilizzante con alberi e arbusti, con la finalità di ostacolare il raggiungimento del sistema idrico fluviale da parte degli inquinanti. Nelle stesse zone è stata prevista una serie di impianti di fitodepurazione a flusso sommerso verticale; la loro localizzazione è stata dettata dalla conformazione altimetrica del sito che permette il naturale convogliamento dei flussi reflui da depurare verso gli impianti stessi. La scelta del tipo di impianto si è orientata su quello a flusso sommerso poiché in questo tipo di sistemi la superficie del refluo non è mai a contatto diretto con l'atmosfera e ciò permette

di evitare la proliferazione di specie infestanti. Tutti i sistemi di fitoestrazione, rizofiltrazione e fitostabilizzazione sono accoppiati a sistemi di fitostimolazione tramite l’attività microbica di funghi e batteri. I microrganismi, localizzati nell'ambito dell'apparato radicale del simbionte vegetale ed

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pro g e t t i e t ec nol og i e

estesi per mezzo delle ife o di strutture più complesse, instaurano una associazione simbiotica (micorriza) con le piante ospitanti ed incrementano l’attività biodegradativa dei contaminanti presenti a livello della rizosfera. Inoltre tutte le zone pavimentate a quota del piano campagna sono state realizzate utilizzando masselli multistrato fotocatalitici, con strato di base realizzato con calcestruzzo ad alte prestazioni e strato di usura ad elevata resistenza all'abrasione; il massello viene sottoposto ad un trattamento fotoattivo atto a validare il processo di raggiungimento della fotocatalisi. La fotocatalisi imita la naturale fotosintesi clorofilliana. I catalizzatori contenuti nel prodotto utilizzato per il trattamento della pavimentazione, sviluppano l’attività ossidativa in brevissimo tempo in presenza di luce e aria, trasformando gli inquinanti organici e inorganici in sostanze innocue. Non partecipando alle reazioni chimiche di ossidazione, i fotocatalizzatori sono inesauribili. Il processo chimico che sta alla sua base è infatti una ossidazione che si avvia grazie all'azione combinata della luce (solare o artificiale) e dell'aria.

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I due elementi, a contatto con il rivestimento delle superfici, favoriscono infatti l'attivazione della reazione e la conseguente decomposizione delle sostanze organiche ed inorganiche (assimilabili a tutte le polveri sottili - PM10), dei microbi, degli ossidi di azoto, degli aromatici policondensati, del benzene, dell'anidride solforosa, del monossido di carbonio, della formaldeide, dell'acetaldeide, del metanolo, dell'etanolo, del benzene, dell'etilbenzene, del mexilene, del monossido e del biossido di azoto. Le sostanze inquinanti e tossiche vengono trasformate, attraverso il processo di fotocatalisi, in nitrati di sodio (NaNO3), carbonati di sodio (Ca(NO3))2 e calcare (CaCo3), innocui e misurabili in ppb (parti per miliardo). Il risultato è una sensibile riduzione degli inquinanti tossici. L'efficacia della reazione fotocatalitica, dipendendo dal contributo dei raggi UV, nella innocua banda di valenza compresa tra i 300 e i 400 nanometri (µm), è massima durante le ore di maggior irradiazione solare, minima nelle ore di oscurità, tranne nel caso di adozione di lampade contenenti raggi UV che garantiscono quindi una medesima efficacia della reazione. I residui della fotocalisi sono generalmente i composti che derivano dalla trasformazione degli inquinanti: sali minerali e calcare, prodotti in quantità minima (parti per miliardo) invisibili e innocui. La degradazione del biossido di azoto forma nitrati solubili in acqua e nitriti. La quantità formata però è molto contenuta per cui esse non costituiscono un problema per le acque dilavate. Nel caso di manufatti non esposti, le molecole di nitrato di calcio, risultanti dalla reazione di foto ossidazione, rimangono nella superficie fotocatalitica come sostanze inerti. La fusione di preesistenze industriali, elementi di biodepurazione, vegetazione autoctona, nuovi impianti, materiali all’avanguardia ha portato alla creazione di uno scenario progettuale il cui impatto suggestivo è la caratteristica principale. L’obiettivo della ricerca è quello di proporre una metodica innovativa nell’ambito del progetto di bonifica di aree industriali dismesse tramite un approccio integrato che trova nell’applicazione delle tecniche di biodepurazione il suo fondamento.

Punto di forza della ricerca è l’essersi concentrati su una tematica fortemente attuale sostenendo un approccio innovativo le cui basi posano sulla sostenibilità ambientale ed economica. I risultati della ricerca rappresentato una possibilità concreta per superare gli ostacoli che il recupero di un’area industriale dismessa presenta. L’esito finale raggiunto è stata la definizione di una metodica d’intervento versatile e reiterabile, che costituisce una soluzione al problema del recupero del patrimonio urbano inutilizzato che a sua volta si configura come un’alternativa valida al consumo di suolo.


a mediterranean platform for the sustainable growth


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Novità a 360 gradi per la disciplina dell’AIA DURATA, RIESAME, RINNOVO, SANZIONI E ALTRE MODIFICHE INTRODOTTE ALLA DISCIPLINA DELL'AUTORIZZAZIONE INTEGRATA AMBIENTALE DAL D.Lgs. n. 46 DEL 4 MARZO 2014 Rosa Bertuzzi* e Nicola Carboni**

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’impatto della direttiva n. 2010/75/UE del 24 novembre 2010 è stato molto importante, essa ha infatti apportato modifiche sostanziali alle precedenti direttive in materia di prevenzione dell’inquinamento di origine industriale. La normativa europea ha armonizzato il sistema di gestione integrata delle emissioni inquinanti, al fine di assicurare che le norme degli Stati membri garantiscano una più incisiva applicazione dei principi dettati dall’UE in materia ambientale. Nel nostro Paese, la direttiva è stata recepita con il D.Lgs. 46/2014 che ha apportato modifiche significative al D.Lgs. 152/06 (di seguito, TUA). Il decreto è innanzitutto intervenuto sulle definizioni pertinenti alla disciplina dell’AIA, il termine “impianto” è stato sostituito con quello di “installazione” ed è stata inserita la definizione di “attività accessoria”. Inoltre, sono state in parte modificate le informazioni che il gestore deve fornire al momento della presentazione della domanda di autorizzazione, con particolare riferimento all’obbligo di produrre la “relazione di riferimento” (qualora nell’attività intervengano sostanze pericolose) e al corrispondente obbligo di prestazione di garanzia fideiussoria. E’ stata altresì aggiornata la disciplina delle BAT (“migliori tecniche disponibili”) ed è stato stabilito che (salvo in alcuni casi tassativamente indicati) le emissioni non devono superare i limiti fissati dalle BAT-AEL.

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Il termine della durata dell’AIA è stato fissato in 10 anni. Occorre tuttavia precisare che la durata dell’autorizzazione è rispettivamente di 16 e di 12 anni per le installazioni che, al momento del rilascio dell’AIA, risultino registrate ai sensi del regolamento CE n. 1221/2009 o risultino certificate secondo la norma UNI EN ISO 14001. Il decreto ha apportato modifiche anche in materia di riesame dell’autorizzazione. Nell’attuale formulazione si hanno solo ipotesi di riesame, la precedente distinzione fra rinnovo e riesame essendo stata superata. L’autorità competente deve riesaminare periodicamente l’autorizzazione, confermando o aggiornando le relative condizioni. Si deve distinguere fra riesame ordinario ed eventuale. Il primo è disposto in due casi: 1. entro 4 anni dalla pubblicazione delle conclusioni sulle BAT riferite all’attività principale dell’installazione; 2. dopo 10 anni (o 16 o 12 nei casi indicati) dal rilascio dell’autorizzazione. In tal caso, l’istanza di riesame deve essere presentata dal gestore, pena la scadenza dell’autorizzazione. Il riesame ad iniziativa dell’Autorità competente è previsto nei casi indicati dall’art. 29octies TUA: 1. le emissioni dell’installazione comportano la revisione dei valori limite precedentemente fissati;

2. le migliori tecniche disponibili hanno evoluto e consentono una riduzione delle emissioni; 3. la sicurezza negli impianti richiede l’utilizzo di altre tecniche; 4. lo esige lo sviluppo della normativa; 5. le emissioni hanno superato i limiti previsti dalla BAT AEL. Inoltre, la direttiva europea ha previsto che l’impresa debba considerare fra i suoi costi la conservazione ed il ripristino delle matrici ambientali eventualmente compromesse a seguito dell’esercizio dell’attività. Alla base di tale soluzione vi è l’evidente volontà di armonizzare le condizioni di esercizio degli operatori economici europei. In effetti, se non venissero garantiti gli stessi oneri di conservazione e ripristino, ciò rappresenterebbe un indebito vantaggio per quelle imprese che operano in Stati dell’UE la cui legislazione consente di scaricare i relativi costi economici sulla comunità. Da qui si spiega l’accrescimento dei poteri di controllo del rispetto delle condizioni stabilite dall’AIA. Per quanto riguarda la competenza al rilascio dell’AIA, essa spetta in alcuni casi allo Stato (progetti relativi alle attività di cui all’allegato XII, art. 7, c. 4bis TUA) ed in altri alle Regioni (progetti di cui all’allegato VIII, art. 7, c. 4ter TUA). Come precisato dai commi 5 e 6 dell’art. 7, le autorità competenti sono il Ministero dell’Ambiente (in sede statale) e la pub-


blica amministrazione con compiti di tutela, protezione e valorizzazione ambientale individuata dalle leggi regionali (in sede regionale). I controlli, di cui all’art. 29decies TUA, sono di due tipi: ordinari e straordinari. I controlli ordinari (art. 29decies, c. 3 TUA), quelli cioè previsti e programmati nell’ambito del piano dei monitoraggi, sono esercitati dall’ISPRA per quanto attiene alle AIA statali, e dall’Autorità competente che si “avvale” dell’ARPA per quanto riguarda le AIA regionali. Il controllo di queste ultime non è quindi più attribuito direttamente all’ARPA. La frequenza dei controlli varia in ragione della tipologia di installazione, delle matrici interessate dal piano dei monitoraggi e dalla specifica attività svolta dall’impianto. In ogni caso, a norma dell’art. 29sexies, c. 6bis TUA, l’autorizzazione deve indicare la frequenza dei controlli ordinari: una volta ogni 5 anni per le acque sotterranee, e una volta ogni 10 anni per il suolo, salvo la fissazione di più ampie frequenze in base al rischio di contaminazione.

Anche le ispezioni straordinarie sono a carico dell’autorità competente. Mentre in precedenza potevano essere attivate ogni qualvolta l’autorità le ritenesse necessarie, esse sono oggi (a seguito della novella del 2014) inserite in un piano di ispezione ambientale a livello regionale (art. 29decies, c. 11bis e 11ter). Quest’ultimo detta le procedure per le ispezioni straordinarie, effettuate per indagare nel più breve tempo possibile sulle denunce e i casi gravi di incidenti, guasti o infrazioni in materia ambientale. Assume particolare rilievo l’ispezione di cui all’art. 29sexies, c. 6ter TUA. Prevista direttamente dall’autorizzazione (così che non può definirsi straordinaria) e svolta con oneri a carico del gestore dell’attività, tale ispezione è diretta all’esame degli effetti ambientali indotti dalle installazioni. Rappresenta dunque un ulteriore strumento di controllo. Infine, occorre rilevare come i controlli ordinari e straordinari siano a carico delle autorità competenti. Sempre nell’ambito dell’art. 29decies TUA sono state introdotte alcune novità nel decalo-

go delle misure interdittive applicabili dall’autorità competente (comma 9). Alle classiche misure della diffida, sospensione con diffida e revoca dell’autorizzazione, è stata aggiunta la chiusura dell’installazione (lett. d) “nei casi in cui l’infrazione abbia determinato l’esercizio dell’attività in assenza di autorizzazione”. La nuova misura sembrerebbe riferirsi al caso di un’installazione autorizzata in cui viene realizzata un’infrazione di tale gravità da aver determinato un’ipotesi di esercizio senza autorizzazione (si pensi alla realizzazione di modifiche sostanziali in assenza di autorizzazione). Un’ulteriore modifica è stata apportata in materia di diffida. L’autorità assegna un termine entro il quale il gestore dell’attività deve procedere ad eliminare le inosservanze rilevate in sede di controllo. A seguito della novella del 2014, durante tale termine (in cui, occorre precisarlo, l’impianto rimane in esercizio), l’autorità può prescrivere l’immediata realizzazione di misure interinali per garantire provvisoriamente la conformità dell’installazione alle prescrizioni autorizzative.

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La misura della sospensione dell’attività per un tempo determinato e contestuale diffida (lett. b) è adottata nel caso in cui si manifestino situazioni di pericolo per l’ambiente, oltre che (novità introdotta nel 2014) nel caso in cui le violazioni siano comunque reiterate più di due volte all’anno. Ora, dato che una violazione che comporti pericolo per l’ambiente determina sempre una sospensione dell’attività con contestuale diffida, per cercare di dare un senso alla novella si deve ritenere che la sospensione sia imposta automaticamente alla terza violazione che si verifichi in un anno e che abbia determinato la semplice diffida. Tale soluzione è in ogni caso criticabile in quanto non coerente con la natura delle misure interdittive, ripristinatoria e non sanzionatoria. Infine, la novella del 2014 ha sottoposto a revisione l’intero corredo sanzionatorio della disciplina dell’AIA contenuto nell’art. 29quattuordecies TUA. Invero, la precedente disciplina era stata oggetto di numerose critiche. Le sanzioni penali previste dalla disciplina dell’AIA erano infatti meno severe di quelle delle omologhe fattispecie riferibili alle autorizzazioni di settore. Si generava così un’evidente incongruenza, ulteriormente messa in rilievo dall’art. 29quattuordecies che stabilisce l’esclusione, per tali

impianti, delle sanzioni previste da norme di settore o speciali. Tale soluzione è stata seguita anche dagli interpreti che, in applicazione del principio di specialità di cui all’art. 15 cod. pen., hanno sostenuto come il conflitto apparente di norme vada risolto in favore dell’applicabilità agli impianti sottoposti all’AIA delle sole sanzioni di cui all’art. 29quattuordecies. Del resto, lo stesso art. 11 D.Lgs. 46/2014 stabilisce come le norme sanzionatorie di settore si applicano “fuori dai casi sanzionati dall’art. 29quattuordecies”. La novità della norma è che essa indica anche quale fra le diverse fattispecie sanzionatorie dell’art. 29quattuordecies trova applicazione al posto della norma di settore. Quanto all’assetto sanzionatorio, la novella ha ampliato la gamma di illeciti penali. L’art. 29quattuordecies, c. 1 sanziona l’esercizio di attività rientranti in regime di AIA senza la prescritta autorizzazione o dopo che l’autorizzazione è stata sospesa o revocata. La novella ha introdotto tre fattispecie aggravate in ragione della tipologia di attività esercitata, e la pena accessoria della confisca dell’area qualora l’esercizio non autorizzato riguardi una discarica. La fattispecie della mancata osservanza delle prescrizioni dell’autorizzazione o di quelle im-

poste dall’autorità competente è stata depenalizzata, salvo le ipotesi aggravate previste dai successivi commi (3 e 4) che continuano a costituire illeciti penali. I commi 5 e 6 introducono due nuove fattispecie, la realizzazione di una modifica sostanziale non autorizzata e la realizzazione di una modifica non sostanziale senza il rispetto del procedimento di cui all’art. 29nonies TUA. La realizzazione di una modifica sostanziale deve infatti essere preventivamente autorizzata dall’autorità competente attraverso un nuovo titolo autorizzativo. Sono poi previste sanzioni amministrative a presidio degli adempimenti di comunicazione a carico del gestore, in breve: • mancata comunicazione all’autorità competente prima dell’attuazione di quanto previsto nell’AIA (art. 29decies, c. 1); • mancata comunicazione da parte del gestore all’autorità competente di incidenti o eventi imprevisti che hanno inciso in modo significativo sull’ambiente (art. 29undecies, c. 1); • mancata comunicazione all’autorità competente, all’ente responsabile degli accertamenti ed ai Comuni interessati dei dati relativi alle misurazioni delle emissioni (art. 29decies); • mancata comunicazione nei termini previsti dall’autorità competente delle integrazioni documentali richieste al gestore per l’approvazione dell’AIA, nonché della documentazione ad altro titolo richiesta dall’autorità competente per perfezionare un’istanza del gestore o consentire l’avvio di un procedimento di riesame. Le sanzioni amministrative sono irrogate con ordinanza di ingiunzione, emessa dal Prefetto per gli illeciti riferibili ad AIA statali e dall’autorità competente per quelle regionali. In ultimo, l’art. 13 D.Lgs. 46/2014 prevede un vincolo di destinazione dei proventi delle sanzioni amministrative pecuniarie di competenza statale. Gran parte di queste devono essere riassegnate al Ministero per finanziare l’esercizio dei controlli sulle installazioni. *Ambienterosa, Consulenze Legali Ambientali **Vice Comandante Polizia Provinciale di Cagliari

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La Corte di Cassazione sul tema dell’omessa bonifica Una nuova sentenza prevede che per il verificarsi del reato di danno venga accertato il superamento delle CSR e l’adozione di un progetto di bonifica di Sonia Rosolen*

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a Terza Sezione penale si è recentemente pronunciata in tema di omessa bonifica (sent. n. 25718 del 16.6.2014), ribadendo come, a seguito della nuova formulazione del reato, per il perfezionarsi dell’illecito sia necessario il superamento delle Concentrazioni Soglia di Rischio (CSR) e l’adozione di un progetto di bonifica.

Il caso Il Tribunale di Grosseto condannava il legale rappresentante di una società alla pena di euro 6.000 d’ammenda per il reato di cui all’art. 257 c. 1 D.Lgs. 152/06 per aver cagionato, con attività di rottamazione di veicoli, inquinamento del suolo, con superamento dei valori di concentrazione, e per non aver ottemperato alla bonifica in conformità del progetto approvato. Veniva proposto ricorso

per Cassazione avverso la sentenza: il Tribunale avrebbe erroneamente applicato i valori di concentrazione di cui al D.M. 471/99 e non quelli diversi, individuabili attraverso l’analisi di rischio sanitario e ambientale sito specifica, relativi alle Concentrazioni Soglia di Rischio (CSR), superiori rispetto ai livelli di attenzione individuati dalle Concentrazioni Soglia di Contaminazione (CSC). Trattandosi di un reato di danno e non di pericolo, l’inquinamento avrebbe dovuto essere accertato come effettivo e non solo come potenziale e, ad ogni modo, avrebbe dovuto essere riconducibile con sicurezza all’attività di rottamazione.

La pronuncia della Corte In merito alla mancanza di motivazione in ordine alla riconducibilità dei superamenti, la Corte di Cassazione ha ritenuto inammissibile il motivo di ricorso. La sentenza impugnata avrebbe infatti “con argomentazione certamente non illogica e, conseguentemente, non sindacabile” in sede di legittimità, escluso la possibile riconducibilità dell’inquinamento a precedenti attività di altra ditta già operante nel medesimo sito, sia perché ri-

salenti nel tempo, sia perché non compatibili con la tipologia di inquinamento rinvenuto. Con riferimento invece all’inosservanza di legge e al difetto di motivazione in ordine alla sussistenza della prova dell’inquinamento, elemento essenziale della figura criminosa, la Corte ha invece accolto l’impugnazione. Correttamente il Tribunale avrebbe ritenuto applicabile la normativa introdotta dal D.Lgs. 152/06 ancorché la condotta oggetto di contestazione fosse antecedente all’entrata in vigore del citato decreto. Rispetto alla precedente formulazione del reato di omessa bonifica, prevista dall’art. 51 bis D.Lgs. 22/97, l’attuale, contenuta all’art. 257 c. 1 D.Lgs. 152/06, risulta essere meno grave, in quanto l’area dell’illecito viene ridotta e viene altresì attenuato il trattamento sanzionatorio, essendo ora prevista una pena pecuniaria alternativa e non più congiunta a quella detentiva [1]. L'art. 257, c. 1, prima parte, D.Lgs. 152/06 prevede che chiunque cagioni l'inquinamento del suolo, del sottosuolo, delle acque superficiali o delle acque sotterranee con il superamento delle concentrazioni soglia di rischio è punito se non provvede alla bonifica in conformità al progetto approvato dall'autorità competente nell'ambito del procedimento di cui agli artt. 239 e seg. D.Lgs. 152/06. La precedente norma sanzionava invece chiunque cagionasse “l’inquinamento del suolo o un pericolo concreto ed attuale di inquinamento”.

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Se in passato l'evento poteva pertanto consistere anche nel pericolo concreto ed attuale di inquinamento del sito, l’attuale formulazione della contravvenzione richiede necessariamente il verificarsi del danno, ovvero dell'accertato inquinamento. A seguito della disciplina introdotta dagli artt. 239 e ss. del D.Lgs. 152/06, per aversi inquinamento è necessario il superamento delle Concentrazioni Soglia di Rischio (CSR), che rappresentano un livello di rischio superiore ai livelli delle Concentrazioni Soglia di Contaminazione (CSC). A differenza dell’abrogato D.M. 471/99, la nuova definizione di bonifica presenta una differenza sostanziale rispetto alla precedente: le sostanze inquinanti presenti nel suolo, nel sottosuolo e nelle acque devono essere - per espressa indicazione normativa - ricondotte alle Concentrazioni Soglia di Rischio, come calcolate in base all’analisi di rischio

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sito specifica e non, come prevedeva il D.M. 471/99, alle concentrazioni limite tabellari. La Terza Sezione penale ha inoltre precisato che, rispetto alla precedente formulazione dell’illecito, non è sufficiente la mera violazione di uno qualsiasi dei numerosi obblighi gravanti sul privato ex art. 17 D.Lgs. 22/97 e che, per la consumazione del reato, non si può prescindere dall'adozione del progetto di bonifica ex art. 242 D.Lgs. 152/06. Per le suddette ragioni, la Corte di Cassazione ha quindi annullato la sentenza impugnata con rinvio al Tribunale di Grosseto per un nuovo esame.

La giurisprudenza sul punto La decisione in commento appare pienamente in linea con numerose pronunce della Corte di Cassazione in merito al reato di omessa bonifica. Con la nuova formulazione

dell’illecito penale, ai fini della configurabilità della contravvenzione è necessario, da un lato, il superamento della concentrazione soglia di rischio e dall’altro l’adozione del progetto di bonifica (cfr. es., sent. n. 9214 del 19.12.2012; sent. 22006 del 13.4.2010, sent. n. 9492 del 3.3.2009, sent. n. 9794 del 29.11.2006). Ci si chiede tuttavia se, con la citata sentenza [1], la Corte abbia voluto discostarsi dalla contestata pronuncia n. 35774 del 2.7.2010, con la quale la Cassazione aveva ritenuto, quale unica interpretazione sistematica possibile [3], la sussistenza del reato anche nel caso di mancata attuazione del piano di caratterizzazione (necessario alla predisposizione del progetto di bonifica), qualora venga così impedita “la stessa formazione del progetto di bonifica e, quindi, la sua realizzazione”. In base a tale interpretazione, la contravvenzione in esame potrebbe perfezionarsi anche nelle fasi intermedie del procedimento di bonifica. Al riguardo, si rileva che già alcune delle pronunce successive alla n. 35774/2010 (cfr. es., sent. n. 9214 del 19.12.2012 [4]), non ribadivano il principio espresso dalla citata sentenza nel 2010, pur dandone indirettamente atto (cfr. es. sent. n. 19962 del 22.1.2013 [5]). Ritenendo che la portata applicativa della decisione del 2.7.2010 avrebbe richiesto quantomeno un’articolata motivazione da parte della Terza Sezione per essere definitivamente superata, la sentenza di giugno non può essere citata a sicura conferma di un mutato orientamento interpretativo della Corte [6]. La decisione n. 25718/2014, unitamente ad altre pronunce (come ad esempio la n. 9214 del 19.12.2012), può tuttavia essere richiamata per delineare un difforme filone giurisprudenziale, sicuramente più garantista rispetto a quello espresso nel luglio 2010, da tenere in debita considerazione. Alla luce del principio di legalità, sarebbe ad ogni modo opportuno un intervento normativo chiarificatore in merito all’esatto ambito applicativo del suddetto illecito, che dal 2011 rientra nel novero dei reati presupposto di cui all’art. 231/01 e può, quindi, essere fonte di una responsabilità ex crimine degli enti. *Avvocato in Vicenza


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[1] Le sanzioni previste dall’articolo 257 D.Lgs. 152/06 sono: - l'arresto da tre mesi a un anno o l’ammenda da mille euro a ventiseimila euro; - l'arresto da un anno a due anni e la pena dell'ammenda da cinquemiladuecento euro a cinquantaduemila euro, in caso di inquinamento provocato da sostanze pericolose. Le sanzioni previste dall’art. 51 bis D.Lgs. 22/97 (norma abrogata dall’art. 264 D.Lgs. 152/06) erano invece: - l’arresto da sei mesi a un anno e con l'ammenda da lire cinque milioni a lire cinquanta milioni; - l'arresto da un anno a due anni e la pena dell'ammenda da lire diecimilioni a lire centomilioni, in caso di inquinamento provocato rifiuti pericolosi. [2] “Va peraltro osservato che, mentre alla stregua del procedimento richiamato dal D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 51 bis il reato era configurabile in ragione della violazione di uno qualsiasi dei numerosi obblighi gravanti sul privato ex art. 17, con l'introduzione dell'art. 257 cit. la consumazione del reato non può prescindere dall'adozione del progetto di bonifica ex art. 242” (sent. n. 25718 del 16.6.2014). [3] La Corte aveva infatti escluso che la suddetta interpretazione configurasse una “non consentita interpretazione estensiva in malam partem o di applicazione analogica della norma penale incriminatrice”, valutandola invece come “l’unica interpretazione sistematica atta a rendere il sistema razionale e non in contrasto con il principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost.”. Secondo tale pronuncia sarebbe “manifestamente irrazionale una disciplina che prevedesse la punizione di un soggetto che dà esecuzione al piano di caratterizzazione ma poi omette di eseguire il conseguente progetto di bonifica ed invece esonerasse da pena il soggetto che addirittura omette anche di adempiere al piano di caratterizzazione così ostacolando ed impedendo la stessa formazione del progetto di bonifica”. [4] “Risulta invece questione di diritto il rilievo sulla mancanza di un progetto di bonifica, poiché effettivamente la giurisprudenza ha affermato che il reato di cui all'art. 257 cit. D.Lgs. si estingue operando il soggetto che ha causato l'inquinamento la bonifica secondo le disposizioni del progetto approvato dall'autorità competente ai sensi degli artt. 242 ss. dello stesso Decreto (Cass. sez. 3, 13 aprile 2010 n. 22006; la bonifica effettuata secondo tale progetto è pertanto condizione di non punibilità del reato: Cass. sez. 3, 16 marzo 2011 n. 18502) per cui, contrario, affinché il reato sussista occorre, oltre al superamento della soglia di rischio, l'adozione del suddetto progetto di bonifica (Cass. sez. 3, 29 gennaio 2009 n. 9492). Nel caso di specie, il ricorrente adduce che il progetto di bonifica non è stato approvato dall'autorità competente; e l'ordinanza, affermando solo che il reato "ha natura permanente e si consuma con l'effettuazione della bonifica" e non menzionando l'approvazione di alcun progetto di bonifica, prescinde dal combinato disposto degli articoli 257 e 242 ss. cit. D.Lgs. e cioè dalla necessità che la bonifica incidente sulla fattispecie criminosa non sia effettuata con modalità scelte autonomamente da chi ha inquinato, bensì eseguendo uno specifico progetto stabilito dall'autorità”. [5] “Deve concludersi, pertanto, che correttamente allo stato - quando anche si aderisse alla tesi della punibilità pure delle omissioni relative alle fasi intermedie del procedimento di bonifica quale delineato dal D.Lgs. n. 152 del 2006, artt. 242 e segg. prescindendosi dal risultato finale di essa il Tribunale, con riferimento alla situazione risultante dagli elementi fattuali ritenuti giustificativi del sequestro dal P.M., ha ritenuto l'insussistenza del fumus dei reati ipotizzati”. [6] Cfr. Carlo Rugo Riva, L’omessa bonifica nella giurisprudenza della Corte di Cassazione: un caso di analogia in malam partem? in Rivista Italiana di diritto e procedura penale, Giuffrè, Milano, 2012, 1, pg. 393 e ss.

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N O RM ATI VA

AUTORIZZAZIONE ALLA GESTIONE DEI RIFIUTI E VARIANTI ALLO STRUMENTO URBANISTICO Tra competenze regionali e comunali in tema di autorizzazione di nuovi impianti di gestione di rifiuti pericolosi e destinazioni urbanistiche vigenti di Daniele Carissimi*

I

l D.Lgs. 152/06, agli artt. 195 – 198, enuclea dettagliatamente le competenze rispettivamente di Stato, Regioni, Province e Comuni attribuendo a ciascun ente compiti specifici nella gestione dei rifiuti. “1. Sono di competenza delle regioni, nel rispetto dei principi previsti dalla normativa vigente e dalla parte quarta del presente decreto […]: a. […] b. […] c. l'approvazione dei progetti di nuovi impianti per la gestione di rifiuti, anche pericolosi, e l'autorizzazione alle modifiche degli impianti esistenti, fatte salve le competenze statali di cui all'articolo 195, comma 1, lettera f), e di cui all'articolo 7, comma 4-bis; d. l'autorizzazione all'esercizio delle operazioni di smaltimento e recupero di rifiuti, anche pericolosi, […]. Tale circostanza è peraltro ribadita dall’art. 208, comma 1 dedicato precipuamente alla disciplina della “Autorizzazione Unica per i nuovi impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti” in cui risulta che “1. I soggetti che intendono realizzare e gestire nuovi impianti di smaltimento o di recupero di rifiuti, anche pericolosi, devono presentare apposita domanda alla regione competente per territorio, allegando il progetto definitivo dell'impianto e la documentazione tecnica prevista per la

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realizzazione del progetto stesso dalle disposizioni vigenti in materia urbanistica, di tutela ambientale, di salute di sicurezza sul lavoro e di igiene pubblica”. Ciò posto, si vuole comprendere con questo contributo se lo strumento di competenza regionale (ovvero provinciale laddove la regione abbia delegato tale competenza) possa superare i limiti dei provvedimenti di competenza comunale (piano regolatore) che determinano la destinazione urbanistica delle aree comunali. Ebbene, si rileva che ai sensi e per gli effetti dell’art. 208 co. 6, in tema di procedimento autorizzatorio alla gestione di un impianto di rifiuti, viene previsto che “Entro 30 giorni dal ricevimento delle conclusioni della Conferenza dei servizi, valutando le risultanze della stessa, la regione, in caso di valutazione positiva del progetto, autorizza la realizzazione e la gestione dell’impianto. L'approvazione sostituisce ad ogni effetto visti, pareri, autorizzazioni e concessioni di organi regionali, provinciali e comunali, costituisce, ove occorra, variante allo strumento urbanistico e comporta la dichiarazione di pubblica utilità, urgenza ed indifferibilità dei lavori”. La norma relativa al procedimento di rilascio dell’autorizzazione alla gestione degli impianti di trattamento di rifiuti pertanto prevede che, proprio sulla base dei principi posti a fonda-

mento delle norme che regolano la gestione dei rifiuti, il provvedimento dell’impianto sostituisca ogni visto, parere, autorizzazione e concessione di organi regionali, provinciali e comunali e soprattutto determini una variante allo strumento urbanistico. A tal fine la norma non compie alcuna distinzione in merito alla circostanza che il titolare dell’impianto sia pubblico ovvero privato. È l’attività di gestione di rifiuti, infatti, di per sé ad essere di pubblico interesse e quindi capace di comportare la dichiarazione di pubblica utilità, urgenza e indifferibilità dei lavori. A tal proposito la giurisprudenza ha rilevato che l’art. 208, comma 6, del D.Lgs. 152/06, prevedendo che l’approvazione dei progetti di impianti per il recupero dei rifiuti “costituisce, ove occorra, variante allo strumento urbanistico e comporta la dichiarazione di pubblica utilità, urgenza ed indifferibilità dei lavori”, risolve, già a livello normativo, il possibile contrasto in sede di autorizzazione di un impianto. In tale contesto, il giudizio di compatibilità urbanistica costituisce una questione che attiene al merito delle valutazioni discrezionali proprie dell’Amministrazione, ed il legislatore statale con l’art. 208, comma 6, del D.Lgs. 152/06, ha preventivamente dettato la regola di composizione del possibile dissenso tra la Regione e il Comune, facendo prevalere la


volontà dell’ente di maggiori dimensioni, secondo un paradigma utilizzato dal legislatore ogniqualvolta vengono in gioco interessi di carattere sovracomunale [1]. Dello stesso tenore il Consiglio di Stato che, con sentenza n. 3818 del 28 giugno 2012, ha previsto che non può essere invocato, a fondamento del diniego di autorizzazione, la circostanza che l'area su cui era stata prevista la realizzazione dell'impianto fosse urbanisticamente classificata, come zona agricola. È sufficiente ricordare al riguardo che, secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale, la destinazione agricola di una determinata area è volta non tanto e non solo a garantire il suo effettivo utilizzo a scopi agricoli, quanto piuttosto a preservarne le caratteristiche attuali di zona di salvaguardia da ogni possibile nuova edificazione, con la conseguenza che, salvo diverse specifiche previsioni, essa non può considerarsi incompatibile con la realizzazione di un impianto di discarica, tanto più che quest'ultimo deve essere ragionevolmente localizzato al di fuori della zona abitata [2]. E' stato anche sottolineato che il potere di pianificazione del territorio non può precludere insediamenti industriali in zone a destinazione agricola, salvo che in via eccezionale, quando cioè si sia in presenza di un assetto agricolo di particolare pregio, consolidato da tempo remoto ovvero favorito da opere di bonifica, ciò anche in considerazione del fatto che la destinazione agricola ha in realtà lo scopo di impedire insediamenti abitativi residenziali e non già quello di precludere in via assoluta e

radicale qualsiasi intervento urbanisticamente rilevante [3]. È proprio in questa ottica che deve essere apprezzata la previsione contenuta nel sesto comma dell'art. 208 del D.Lgs. 152/06. Essa invero sarebbe ultronea e priva di qualsiasi utilità se l'impianto da realizzare dovesse essere collocato obbligatoriamente ed esclusivamente in zona industriale, laddove la ricordata previsione normativa ne permette invece la collocazione anche in una zona che, secondo le previsioni urbanistiche, non la tollererebbe, subordinatamente al riscontro ed alla valutazione di compatibilità in concreto da parte dell'amministrazione. Nel 2013 è tornato ad esprimersi, sul punto, il TAR, con sentenza n. 493 del 24 maggio, secondo, il quale, la norma in questione (l’art. 208, comma 6) è palesemente ispirata ad una logica di semplificazione procedimentale, che a sua volta trae la sua ragion d'essere dal rilievo prioritario attribuito, in sede comunitaria prima e in sede nazionale poi, all'interesse pubblico alla raccolta e allo smaltimento dei rifiuti; interesse che deve certamente essere valutato e ponderato assieme ad altri interessi pubblici (e a tal fine è prevista la conferenza di servizi), ma che, una volta ritenuto in quella sede, a maggioranza dei partecipanti, compatibile o comunque prevalente rispetto ad eventuali ragioni ostative, non può essere ritardato nel suo soddisfacimento dai tempi e dalle procedure ordinariamente occorrenti per la variazione degli strumenti urbanistici. Tutti gli interessi pubblici e privati coinvolti

nel procedimento amministrativo rifluiscono, infatti, nella prevista conferenza di servizi, che rappresenta il luogo procedimentale di complessiva valutazione del progetto presentato, nel quale sono state riunite e concentrate dal legislatore tutte le competenze amministrative di verifica e di controllo di compatibilità del progetto con le varie prescrizioni urbanistiche, di pianificazione settoriale, nonché l'accertamento dell'osservanza di ogni possibile vincolo afferente alla realizzazione dell'impianto in armonia con il territorio di riferimento, così come desumibile dalla richiamata disposizione dell'art. 208 comma 6, D.Lgs. 152/06, che assegna al provvedimento regionale conclusivo del procedimento una funzione sostitutiva di tutti gli atti e provvedimenti ordinariamente di competenza di altre autorità territoriali, ivi compresa un'eventuale variante urbanistica [4]. Resta inteso che per tale variante serve adeguata motivazione [5]. *Ambiente Legale

Note [1] TAR VENETO, Sez. III - 5 novembre 2010, n. 5982 [2] C.d.S., sez. V, 1 ottobre 2010, n. 7243; 16 giugno 2009, n. 3853 [3] C.d.S., sez. V, 18 settembre 2007, n. 4861 [4] così T.A.R. Piemonte, sentenza n. 877 del 13 luglio 2012 [5] Cass. Pen. Sez. III, 11 maggio 2005, n. 3712

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N oti z i e da a sso c i a zioni e ret i

La rete Reconnet riparte sulla base di un nuovo accordo con nuovi membri, documenti tecnici innovativi e diversi eventi di disseminazione nuovo accordo Reconnet Reconnet riparte sulla base di un nuovo accordo siglato nel Luglio 2014 dai cinque membri fondatori della rete: Dipartimento di Ingegneria Civile e Ingegneria Informatica dell’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, Dipartimento di Ingegneria Civile, Edile e Ambientale dell’Università di Roma “La Sapienza”, Dipartimento di Scienze e Innovazione Tecnologica dell’Università del Piemonte Orientale “Amedeo Avogadro”, Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA), Dipartimento Installazioni di Produzione e Insediamenti Antropici dell’Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro (INAIL), Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale del Lazio (ARPALazio). Il nuovo accordo, di validità triennale, è mirato all’implementazione e strutturazione della Rete Italiana sulla Gestione e Bonifica dei Siti Contaminati e conferma obiettivi e contenuti dell’accordo siglato nel 2010, che aveva condotto alla costituzione della rete Reconnet. Si conferma pertanto lo scopo di contribuire alla soluzione delle principali criticità di carattere tecnico e amministrativo che attualmente rallentano l’evoluzione dei procedimenti di bonifica, cercando di sviluppare posizioni tecniche condivise tra gli stakeholder coinvolti. Il primo passo della nuova rete sarà senz’altro quello di confermare tutte le adesioni al vecchio accordo, che aveva portato la rete a 38 iscritti, incluse università, enti di ricerca, agenzie ambientali, aziende private e società di consulenza operanti nel settore ambientale ed energetico. In aggiunta a questi, sono già state ricevute numerose richieste di adesione, che erano rimaste in sospeso in attesa della stipula del nuovo accordo, e che saranno ratificate dall’assemblea della rete prevista ai primi di settembre. Tra queste, si segnala senz’altro quella già ricevuta da Eni, uno dei principali attori internazionali nelle attività di esplorazione e produzione di petrolio e gas

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naturale, di raffinazione e vendita di prodotti petroliferi, di generazione e commercializzazione di energia elettrica, della chimica e dell’ingegneria e costruzioni; è in fase di definizione anche la possibile adesione di una primaria azienda nazionale coinvolta nella generazione e distribuzione di energia elettrica, nonché di alcune importanti società di consulenza operanti nel settore delle bonifiche. Con il nuovo accordo le attività già in essere riceveranno certamente nuova linfa, anche alla luce delle nuove e importanti adesioni previste. Si confermano pertanto i gruppi di lavoro già attivi con il vecchio accordo: analisi di rischio sanitario-ambientale e software Risk-net; analisi di rischio ecologico; interazione tra bonifiche e discariche; intrusione di vapori; tecniche di Fitorimedio; Sostenibilità delle bonifiche (GdL Surf-Italy). Saranno anche confermate le attività di formazione, che hanno visto la rete attivamente coinvolta nell’organizzazione delle edizioni 2013 e 2014 dell’Alta Scuola di Formazione sulla Bonifica dei Siti Contaminati.

Aggiornamento sulle attività della rete GdL Surf-Italy

In linea con l’orientamento internazionale dell’ultimo decennio, a partire dal 2012 nasce, come gruppo di lavoro di Reconnet, SuRF Italy (Sustainable Remediation Forum), il cui primo passo concreto, oltre alla promozione del convegno internazionale SustRem2014 (Ferrara, 17-19 Settembre 2014 www.sustrem2014.com), ha riguardato la stesura di un Libro Bianco sulla bonifica sostenibile. L’obiettivo del documento è quello di enunciare i principi, l’ambito di applicazione e le principali linee di attività che connotano un approccio sostenibile al processo di bonifica in Italia. Viene presentata un’analisi del contesto italiano in termini di stato dell’arte, anche normativo, sono esaminate le tre dimensioni di sostenibilità (ambientale, sociale ed eco-

nomica) e il loro grado di maturità e sviluppo nel campo delle bonifiche. Nel Libro Bianco è posta particolare attenzione alle modalità di coinvolgimento delle parti interessate, e vengono fornite indicazioni sui ruoli e le responsabilità all’interno del processo decisionale. Viene riconosciuta l’importanza della formazione, informazione e condivisione delle scelte nel promuovere l’adozione dei criteri di sostenibilità nel processo di gestione e bonifica dei siti contaminati, favorendo anche l’utilizzo di tecnologie innovative. Il testo, oltre a enunciare i principi che sottendono e guidano la realizzazione di una bonifica sostenibile, fornisce delle indicazioni di carattere generale, sugli strumenti, nonché le possibili fasi di messa in pratica. Vengono infine forniti alcuni casi studio, che pur non costituendo esempi esaustivi e omogenei di bonifica sostenibile, ne contengono principi ed elementi applicativi concreti. A partire da quanto evidenziato nel Libro Bianco, il gruppo di lavoro SuRF Italy intende perseguire nei prossimi mesi il proprio impegno, volto a supportare lo sviluppo di strumenti e linee guida tecniche di attuazione della sostenibilità nelle Bonifiche ambientali, a disposizione dei diversi soggetti coinvolti nel processo di gestione di siti contaminati in Italia. GdL Interazione Bonifiche-Discariche

Il documento risultante dai lavori del gruppo è ormai completo e sarà disponibile on line sul sito di Reconnet in contemporanea con Remtech, la fiera-congresso sulla bonifica dei siti contaminati che si svolge a Ferrara dal 17 al 19 settembre. I contenuti consistono in un inquadramento tecnico-normativo dei "rapporti" che intercorrono tra la gestione delle discariche e il regime dei siti contaminati, in un'approfondita analisi delle relative problematiche ed in alcune proposte tecnico-operative sia per la risoluzione delle problematiche stesse sia in merito alle pratiche gestionali sulla base


della best-practice nazionale. In particolare, tra gli altri temi, si tratta del piano di monitoraggio con un'interessantissima metodologia di valutazione dei dati di monitoraggio delle acque di falda basata su composti traccianti che consente di restituire una relazione diretta tra la discarica e ciò che si rileva nei piezometri di controllo, in maniera da avere immediato responso sul fatto che sia effettivamente l'impianto a manifestare eventi di fuoriuscita del percolato o si tratti di oscillazioni di concentrazione caratteristici delle matrici nell'area circostante il sedime della discarica, evitando, in quest'ultimo caso, di attivare inutilmente procedimenti di bonifica (con i relativi impatti economici). Analogamente viene analizzato ed approfondito l'aspetto delle emissioni di vapori sia dal punto di vista delle metodiche e tecniche di campionamento ed analisi sia in merito alla gestione del dato. Alterego delle tematiche nei lavori è chiaramente la valutazione del rischio sia da un punto di vista assoluto che per la determinazione dei limiti di accettabilità. In relazione a quest'ultimo tema si è elaborato l'altro prodotto del gruppo di lavoro, nonché secondo software della rete Reconnet dopo l'ormai diffusissimo Risk-net (di cui è imminente l'uscita della release 2.0 in versione beta aggiornata con l’ultima banca dati ISS di Luglio 2014), rappresentato dall'applicativo LEACH8 che comprende e sviluppa la procedura Ispra 2011 relativa all'analisi di rischio per la concessione delle deroghe di accettabilità in discarica ai sensi del D.M. 27/09/2010. Il software è affiancato da un altro documento prodotto dal GdL che ne descrive caratteristiche e funzionalità. Anche questo documento, così come l'applicativo LEACH8, saranno disponibili sul sito della rete Reconnet in contemporanea con Remtech. Terza edizione dell’Alta Scuola di Formazione sulle Bonifiche (Ravenna, 20-22 Maggio 2015)

L’Alta Scuola di Formazione sulle Bonifiche nasce nel 2013 su iniziativa della rete

Attività segnal ate dai membri dell a rete Summer School on Sustainable Remediation L’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” ha organizzato la Summer School on Sustainable Remediation (SURE) dal 22 Giugno al 5 Luglio scorsi. La scuola è un Intensive programme (IP) ed è stata interamente finanziata dal programma Erasmus–Lifelong Learning Programme della Commissione Europea. La scuola ha visto la partecipazione di docenti e studenti provenienti, oltre che da “Tor Vergata”, anche dalla University of Nottingham (UK), Univeristy of Science and Technology (Cracovia, Polonia), Universidad Complutense de Madrid (Spagna) e Wageningen University (Olanda). Le informazioni su contenuti e attività della scuola sono disponibili al sito: www.isa.uniroma2.it/sure, dove è anche possibile visualizzare un video che riassume i momenti salienti della scuola ed alcune impressioni di docenti e studenti.

Reconnet, nell’ambito dell’evento Ravenna 2013-Fare i conti con l’ambiente, organizzato da Labelab, società costituta da un team di professionisti indipendenti nelle attività di consulenza e di progettazione nei settori del ciclo dei rifiuti, dell’acqua e dell’energia. Visto il successo delle prime due edizioni, è stato già deciso di ripetere l’esperienza in occasione della prossima edizione dell’evento Labelab, previsto dal 20 al 22 maggio 2015. Il programma della nuova scuola è ancora in fase di gestazione. Possiamo però già anticipare che dopo una prima edizione nella quale è stata fornita una formazione multidisciplinare sul tema della gestione e bonifica dei siti contaminati, ed un’edizione 2014 che è stata invece incentrata sul tema dell’analisi di rischio e del monitoraggio finalizzati alla progettazione e verifica degli interventi, nella scuola 2015 si intende previlegiare il coinvolgimento degli enti locali e delle agenzie ambientali interessate a vario titolo ad un

Eventi di interesse segnal ati dai membri dell a rete 4th International Conference on Managing Urban Land (Francoforte, 14-16 Ottobre 2014) Il programma della conferenza, organizzata dal network Cabernet, è incentrato sul tema del recupero e riutilizzo di aree derelitte, abbandonate o sottoutilizzate, con l’obiettivo di contribuire allo sviluppo sostenibile dei centri urbani. La sinergia con alcuni progetti finanziati dalla commissione europea (GLOCOM, Greenland, TIMBRE e HOMBRE) consentirà alla conferenza di coprire in maniera approfondita gli aspetti sociali, ambientali economici e politici della gestione delle aree urbane. Per molti, il termine “Brownfield” richiama l’immagine di aree industriali dismesse, stazioni ferroviarie inutilizzate o miniere abbandonate; mentre i brownfields possono in realtà rappresentare opportunità di sviluppo urbano o periurbano: ad esempio, gli spazi vuoti nelle città possono aiutare a realizzare un nuovo modello di città. La accresciuta consapevolezza di come la riqualificazione influenzi i centri urbani, significa che adesso possiamo fare un uso migliore delle sempre più scarse risorse finanziarie e fisiche. Se siete interessati ad approfondire questi argomenti, siete pertanto invitati a Francoforte dal 14 al 16 Ottobre 2014 per tre giorni di scambio di idee e conoscenze, ispirazione reciproca e validazione scientifica di esperienze dall’Europa e oltre. Maggiori informazioni e modalità di iscrizione sul sito www.zerobrownfields.eu.

confronto sulle principali questioni tecniche e normative che ci si trova a dover affrontare nell’ambito di un procedimento di bonifica. Si pensa anche a confermare l’internazionalizzazione della scuola, coinvolgendo istituti scientifici ed agenzie ambientali di altri Paesi europei, con l’obiettivo auspicabile di incrementare l’armonizzazione dei criteri adottati nella gestione dei siti contaminati. Maggiori dettagli saranno forniti nei prossimi numeri della rivista Eco.

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V E T RIN A

LA SOLUZIONE FIDIA ENGINEERING PER RISOLVERE IL PROBLEMA DELLE EMISSIONI ODORIGENE Le emissioni di odori in atmosfera causano spesso problemi di convivenza tra le industrie e i centri abitati limitrofi. La soluzione per risolvere il problema è semplice, economica e affidabile ed è rappresentata dai biofiltri. Il principio su cui si basa il funzionamento del biofiltro è principalmente legato alla possibilità di creare un ambiente adatto alla sopravvivenza di microrganismi in termini di concentrazione di ossigeno, temperatura, acidità, disponibilità di micronutrienti e di substrato organico quale fonte di carbonio e di energia. I processi biologici di filtrazione prevedono l’impiego di un ampio spettro di microorganismi ubiquitari (batteri, funghi, lieviti), in grado di metabolizzare la maggior parte dei composti naturali, organici ed inorganici, attraverso reazioni biologiche di ossidazione, riduzione e idrolisi. Nel biofiltro le sostanze da depurare vengono assorbite sul materiale soffice e poroso che costituisce il letto filtrante (torba, cippato di legno, compost vegetale, miscele), quindi si diffondono nel film acquoso che umidifica il materiale, e si rendono così disponibili ai microrganismi presenti nella matrice di cui è costituito il letto filtrante. La società FIDIA Engineering Srl si è dotata di un impianto di biofiltrazione pilota facilmente trasportabile, da utilizzare in tutte quelle situazioni dove la resa depurativa deve essere verificata in campo e garantita con precisione per un investimento sicuro. L’impianto pilota ha una capacità variabile di 1500-2500 Nmc/h e utilizza tutte le tecnologie costruttive più moderne, con il posizionamento del letto filtrante su un grigliato in PRFV al di sotto del quale è stato creato uno spazio che viene utilizzato per l’immissione dell’aria da trattare e la raccolta dei percolati. Il biofiltro è inoltre chiuso con un tetto smontabile, per il carico e scarico del letto filtrante e munito di camino. L’impianto è equipaggiato con uno scrubber a umido, rampe di lavaggio complete di ugelli nella parte superiore e il controllo dell’umidità per il condizionamento del flusso gassoso e il controllo del funzionamento. In collaborazione con Consulenze Ambientali S.p.a., l’efficienza depurativa è testata con il metodo UNI EN 13725, che si basa sull’oggettivazione della sensazione olfattiva umana. Tale misura viene eseguita attraverso l’identificazione della “soglia di odore” da parte di un gruppo selezionato di soggetti utilizzati come annusatori. Per soglia di odore si intende la quantità di sostanze odorifere presenti in un campione di aria e percepite come odorigene da parte di almeno il 50% degli annusatori. Il rapporto di diluizione necessario per iniziare a percepire l’odore alla massima diluizione del campione originario (soglia di odore) viene per convenzione definito come indice nominale della concentrazione dell’odore e viene espresso in unità odorimetriche (U.O) per metro cubo di aria analizzata (UO/mc). Per queste misure Consulenze Ambientali S.p.a. si è recentemente dotata di un laboratorio di olfattometria dinamica che soddisfa tutti i requisiti della UNI EN 13725. Tramite panel test e olfattometro si determinano le concentrazioni di odore necessarie per verificare l’efficienza degli impianti e i flussi di odore coinvolti.

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WEG E KSB FORNISCONO MOTORI E POMPE PER IL PROGETTO WATER-LINK IN BELGIO

VIII edizione

Il progetto Water-link in Belgio, prevede l'erogazione di circa 190 milioni di m3 di acqua l'anno ad oltre 700.000 utenti. Nell'ambito del progetto, la società idrica TMVW realizzerà a Buggenhout, in Belgio, una nuova condotta idrica per il trasporto di acqua potabile. La prima fase, avviata nel settembre 2012 e completata nel settembre 2013, è consistita nella costruzione di una nuova stazione di pompaggio per aumentare la portata raggiungendo una capacità di picco giornaliera di 165.000 m3. Per raggiungere questo obiettivo, la stazione ha richiesto sei nuove pompe per l'acqua potabile Omega che sono state fornite da KSB. Le pompe sono di grandi dimensioni, possono raggiungere facilmente una capacità di 6.815 m3 e ciascuna di esse è dotata di un motore da 315 kW di potenza. Per soddisfare le esigenze del cliente nel garantire elevate prestazioni e ridurre i costi a lungo termine KSB ha scelto i motori WEG W22 per la loro alta efficienza e l'elevata affidabilità delle prestazioni in esercizio. WEG è un'azienda proiettata verso il futuro e offre un'ampia gamma di prodotti. Le norme in vigore dal giugno 2011 stabiliscono che i motori elettrici standard di potenza compresa tra 0,75 e 375 kW devono rispettare livelli di efficienza più elevati (IE2) e che, a partire dal 1° gennaio 2015, dovranno soddisfare lo standard IE3. Tuttavia, WEG dispone già di una gamma di prodotti con motori a induzione a gabbia di scoiattolo standard che soddisfano già gli standard IE4 non ancora applicati. Le pompe previste da KSB per il progetto sono pompe centrifughe monostadio longitudinali che garantiscono elevati livelli di prestazione nel trasporto dell'acqua. Sono caratterizzate dalla versatilità e da accorgimenti adottati per ottenere risparmi energetici e rappresentano la soluzione ideale per il pompaggio di acqua pulita, non purificata, acque reflue e acqua di mare. Questa pompa presenta una bassa resistenza con conseguente riduzione dell'assorbimento di energia e dei costi durante il ciclo di vita del 25/07/14 prodotto.16.44 Pagina 1 ECO_CV14_240x150col

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ottobre 2014 Roma

Acquario Romano - Casa dell’Architettura

La più importante mostra-convegno dedicata a politiche, progetti, beni e servizi di Green Procurement pubblico e privato

www.forumcompraverde.it incontri one to one alla Borsa GreenContact convegni e seminari appuntamenti formativi “Il GPP dalla A alla Z” area espositiva e iniziative speciali

Relazioni istituzionali e programma culturale Ecosistemi srl viale Liegi, 32 - 00198 Roma tel. +39 0668301407 - fax +39 0692912226 rel.istituzionali@forumcompraverde.it

Organizzazione evento Adescoop-Agenzia dell’Economia Sociale s.c. via dei Colli, 131 - 35143 Padova tel. +39 049 8726599 fax +39 049 8726568 segreteria@forumcompraverde.it

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V E T RIN A

JCB AMPLIA LA GAMMA DI PALE GOMMATE COMPATTE TIER 4 JCB amplia e rinnova la propria gamma di pale gommate articolate compatte e introduce su tutti i modelli i motori Tier 4 Final, che offrono una coppia maggiore ed emissioni ridotte. Le nuove pale JCB 406, 407 e 409 sono alimentate da motori “JCB by Kohler” da 2,5 litri, appositamente progettati e costruiti per essere utilizzati nelle macchine JCB senza la necessità di un dispendioso filtro antiparticolato (DPF). Il 406 rappresenta ora il modello base, equipaggiato con un motore a iniezione diretta da 50 CV (37 kW) e destinato al settore del noleggio, mentre il nuovo modello 407, che prende il posto del vecchio 406, è dotato di un motore a gestione elettronica e raffreddato ad acqua in grado di sprigionare una potenza pari a 64 CV (48 kW). Il 409 poi, rimane il modello top di gamma dalle prestazioni superiori, con una versione da 74 CV (55 kW) dello stesso motore “JCB Diesel by Kohler” ad alta efficienza. Come già reso noto nel corso del 2013, JCB ha stipulato un accordo di partenariato con il fornitore di motori Kohler per la costruzione di motori destinati alla sua gamma di macchine compatte. I nuovi motori a iniezione diretta e raffreddati ad acqua sono denominati “JCB Diesel by Kohler” e, analogamente all’innovativo motore Ecomax di JCB, soddisfano i requisiti della normativa Tier 4 Final senza ricorrere a un filtro antiparticolato (DPF).

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E COAP P U N TAMEN TI

COMPRAVERDE-BUYGREEN

Roma, dal 1° al 2 ottobre

Si terrà all’Acquario Romano - Casa dell’Architettura di Roma l’VIII edizione del Forum Internazionale CompraVerde-BuyGreen, punto di riferimento per lo stato delle politiche e dei progetti dedicati agli acquisti verdi e sostenibili in Italia. La manifestazione, promossa ed organizzata in collaborazione con Regione Lazio, Roma Capitale e il Coordinamento Agende 21 Locali Italiane, con il patrocinio di numerose istituzioni italiane e comunitarie, nasce per offrire un contributo concreto allo scambio e allo sviluppo di esperienze e buone pratiche di green economy in Italia. L’evento propone un format innovativo articolato in diversi moduli: la Borsa GreenContact, incontri one to one tra acquirenti pubblici e privati, fornitori e altri enti istituzionali per dare vita a partnership e collaborazioni, un programma culturale, con convegni e workshop di approfondimento, un’offerta formativa specializzata sul Green Procurement (GPP dalla A alla Z) e riconoscimenti per le realtà più virtuose. www.forumcompraverde.it

ECOMONDO

Rimini, dal 5 all'8 novembre

18a edizione per la Fiera Internazionale del recupero di materia ed energia e dello sviluppo sostenibile. Ecomondo attende quest’anno 100mila operatori da tutto il mondo, in particolare dell’area Euro-Mediterranea nella quale la manifestazione ha assunto un ruolo guida, diventando non solo la piattaforma tecnologica di riferimento sull’economia del futuro, con particolare attenzione alle principali strategie europee ed internazionali sull’ecoinnovazione e la trasformazione dei rifiuti in risorsa, ma anche hub qualificato di formazione e informazione. In un ricco programma di eventi e manifestazioni tornano anche quest’anno gli Stati Generali della Green Economy con a tema "Imprese e lavori per una green economy" al fine di accentrare e sviluppare i contenuti emersi durante questi mesi di incontri e di lavoro comune. Sedici padiglioni interamente dedicati alla manifestazione, con la presenza contemporanea di Key Energy, Key Wind, Cooperambiente e H2R - Mobility for Sustainability. Si conferma anche quest’anno Decommissioning, l’evento dedicato alla demolizione e riqualificazione delle aree dismesse che in questa 5° edizione metterà a confronto i protagonisti del decommissioning su interventi complessi di demolizione, dalla progettazione all’esecuzione. www.ecomondo.com

VENICE 2014

venezia, dal 17 al 20 novembre

La produzione di energia da fonti alternative e il conseguente impatto che questo può avere sui cambiamenti climatici sono oggi tra i principali strumenti strategici implicati nello sviluppo sostenibile della nostra società. L’interesse della comunità scientifica verso l’impiego di biomasse e rifiuti nella produzione di energia è in crescita come lo sviluppo di processi e tecnologie innovative. Il Simposio Venice 2014, giunto quest’anno alla quinta edizione, si propone di focalizzare l’attenzione sulle innovazioni, evidenziando i progressi più significativi e promuovendo la discussione su tematiche che, in alcuni Paesi sono ben lontane dall’applicazione su larga scala. Il Venice 2014 si svolgerà sulla meravigliosa isola di San Servolo, nella laguna veneziana. Il Simposio avrà una durata di quattro giorni e comprenderà sessioni orali, sessioni poster, un’esposizione commerciale di aziende ed enti che operano nel settore e visite tecniche. www.venicesymposium.it

mcT Petrolchimico

milano, 27 novembre

Vera iniziativa verticale di riferimento per i professionisti impegnati nel settore del Petrolchimico e dell’industria di Processo, mcT Tecnologie per il Petrolchimico, si terrà il 27 novembre a Milano. L’evento, organizzato da EIOM, anno dopo anno continua la sua crescita e per la sua sesta edizione ha già ottenuto un incremento del 38% di aziende iscritte rispetto alle stesse date dell’edizione 2013. Efficienza energetica, sistemi di automazione di processo, gestione delle unità produttive, safety, efficiency, certificazioni, aggiornamenti normativi, trattamento degli scarichi industriali, e molto altro, sono alcune delle tematiche che saranno affrontate nel corso della giornata che si articolerà partendo dal convegno intitolato “Tecnologie per il Petrolchimico e per il settore energetico". Oltre alla citata sessione congressuale, mcT Petrolchimico prevede un’importante area espositiva e una serie di workshop tecnico-applicativi pomeridiani di approfondimento, così da consentire agli operatori partecipanti di esaminare in modo specifico le tecnologiche del momento. www.eiomfiere.it/mctpetrolchimico_milano

POLLUTEC

lione, dal 2 al 5 dicembre

Pollutec, il salone delle eco-tecnologie, dell'energia e dello sviluppo sostenibile, riunirà quest’anno a Lione gli operatori di tutto il mondo attorno a soluzioni innovative per rispondere a tre grandi sfide: lo sviluppo urbano sostenibile, la produzione industriale performante e responsabile, lo sviluppo sostenibile nelle strutture ospedaliere. Su uno spazio espositivo di 100.000 mq, 2300 espositori presenteranno le loro ultime attrezzature, tecnologie e servizi in tema di rifiuti e valorizzazione, trattamento acque, energia, aria, siti contaminati e sviluppo sostenibile. Numerosi spazi ed eventi specifici sono organizzati durante il salone, per permettere a tutti gli operatori di incontrare gli esperti e trovare le soluzioni più adatte ai loro progetti e grazie a oltre 400 conferenze tenute dagli esperti partner del salone sarà possibile fare il punto sull’attualità del settore “ambiente”. www.pollutec.com

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libri

COMPENDIO DI DIRITTO DELL’AMBIENTE VII EDIZIONE A cura di Eugenio Benacci

Gruppo Editoriale Simone (pagine 256 – € 20,00) Questo volume si pone il proposito di fare chiarezza rispetto all’inarrestabile evoluzione normativa della materia ambientale italiana, dovuta alla necessità di adeguarsi alla disciplina europea e internazionale e alle emergenze ambientali; in questa settima edizione, l’opera tiene inalterate le sue linee guida, affrontando però anche le novità apportate dai più recenti interventi normativi in materia. Il testo si snoda in tre parti principali: la prima dedicata alla disciplina ambientale internazionale ed europea, la seconda si sofferma sulla particolare situazione italiana, e per ultimo viene affrontata la normativa di settore. Tutti i volumi della collana dei compendi sono caratterizzati da un taglio semplice che ne consente una lettura rapida e mirata: il Compendio di Diritto dell'Ambiente non è da meno, riuscendo a offrire una comprensione ragionata dell’argomento in questione, grazie anche alla presenza di box di approfondimento giurisprudenziale e dottrinale, dell’analisi degli istituti e infine del questionario con le domande più ricorrenti in sede d’esame o di concorso posto alla fine di ogni capitolo; il libro, dunque, è principalmente rivolto agli studenti, seppur si riveli un utile strumento di approfondimento per chiunque sia interessato alla materia.

I MODELLI ORGANIZZATIVI 231 E LA SICUREZZA SUL LAVORO A cura di Rolando Dubini e Giorgio Carozzi

EPC Editore (pagine 510 – € 45,00) In questo volume vengono analizzati dettagliatamente gli aspetti giuridici, organizzativi e procedurali necessari per fornire alle imprese conoscenze pratiche ed esempi concreti di modalità operative direttamente utilizzabili. La prima parte del volume, curata da Dubini, analizza l’applicazione del D.Lgs. n. 231/2001, il complesso di norme che ha cambiato radicalmente l’approccio delle aziende verso tematiche quali la prevenzione e la responsabilità sociale, mentre la seconda, curata da Carozzi, si sofferma sulle svariate schede dei reati, fra cui reati contro la pubblica amministrazione, economici, contro la collettività, societari, contro la persona e ambientali, dedicando anche una particolare attenzione alla violazione delle norme sulla sicurezza e salute sul lavoro. Gli autori mettono così a disposizione dei lettori la propria conoscenza ed esperienza pratica all’interno degli organismi di vigilanza 231; il CD-Rom, che contiene check list di autovalutazione, documentazione e normativa di riferimento, si rivela un utile strumento per ottenere l’aggiornamento sempre necessario nel settore ambientale.

FANGHI DI DEPURAZIONE PRODUZIONE, CARATTERIZZAZIONE E TRATTAMENTO

A cura di Giovanni De Feo, Sabino De Gisi e Maurizio Galasso

Dario Flaccovio Editore (pagine 187 – € 22,00) Il testo, estratto dal volume “Acque Reflue” della collana Ingegneria Sanitaria Ambientale, mette a disposizione l’esperienza dei suoi autori e si sofferma ad analizzare i processi di trattamento a cui i fanghi di depurazione, i principali residui dei trattamenti depurativi in cui si concentrano gli inquinanti rimossi dalle acque reflue, devono essere sottoposti per evitare spiacevoli inconvenienti, di natura sia tecnica che economica. La trattazione si divide in due grandi temi: il primo riguarda la produzione, la caratterizzazione e le modalità di trattamento dei fanghi di depurazione (con una particolare attenzione prestata ai processi di ispessimento e disidratazione), il secondo la stabilizzazione anaerobica dei fanghi e il recupero energetico, soffermandosi specialmente sul processo di digestione anaerobica, di recente diventata sempre più importante per quanto riguarda il recupero energetico. Per ognuna di queste tematiche portanti sono presenti innumerevoli foto di unità e impianti di trattamento, tabelle, disegni tecnici chiarificatori e utili esempi numerici, che agevolano il lettore nella comprensione di questo complesso argomento.

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Anno 7 - Numero 28


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