Poste Italiane Spa - Sped. in a.p. - D.L. 353/2003 conv. in L. 46/2004, art.1, c.1 - CB-NO/Torino – Anno 5 n. 18 DEA edizioni s.a.s. Strada del Portone, 127 - 10095 Grugliasco (TO)
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Sentenza Eternit: il punto di inizio
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a oltre 110 anni e il suo nome deriva del latino aeternitas “eternità” per richiamare l’elevata resistenza al calore e al fuoco e per le sue caratteristiche isolanti e impermeabilizzanti. E’ il fibrocemento a base di amianto, Eternit secondo la denominazione commerciale, e di eterno, oltre al nome, c’è soprattutto il ricordo indelebile di tutti danni che ha causato e continuerà a causare poiché le fibre sottilissime di cui è composto, una volta entrate negli alveoli polmonari, causano infiammazioni (asbestosi) e tumori (mesotelioma) quasi sempre con esito mortale. Mai come in queste settimane si è tornato a parlare di amianto soprattutto per il clamore suscitato dalla storica sentenza emanata nel più grande processo penale nel mondo per le morti causate da amianto che ha dichiarato colpevoli e condannato a 16 anni di reclusione i due proprietari della multinazionale svizzera Eternit per la morte di 2.100 persone. Il processo ha anche accertato e certificato che i dipendenti dell’Eternit di Casale Monferrato ed i cittadini delle aree circostanti agli stabilimenti “sono stati vittime della consapevole condotta dei manager che, a fronte del successo commerciale del loro prodotto, si sono disinteressati dei danni alla salute creati dalle tecniche di lavorazione dell’amianto, sempre più evidenti nel tempo”. La sentenza Eternit è dunque un punto di inizio non un punto di arrivo della lotta contro l’amianto; ricordiamoci che lo stabilimento Eternit di Casale è solo uno dei tanti presenti in Italia, processi analoghi erano stati aperti per le morti del sito di Bagnoli (Napoli) e di Rubiera (in Emilia Romagna), processi finiti purtroppo in prescrizione. Il problema amianto però è molto più vasto, in Italia e in Europa questo materiale è fuori legge dal 1992 ma nel mondo se ne producono ancora oltre 2 milioni di tonnellate all’anno. Nei Paesi più popolosi del pianeta (Cina, India, Indonesia, USA, Pakistan, Brasile, ecc.), l’amianto è tuttora legale e continua ad essere utilizzato. Come fare allora per debellare questo killer silenzioso in quegli Stati dove non esistono neanche leggi ad hoc contro questi crimini? Come tutelare l’ambiente da questi rischi? A queste domande tenta di rispondere Iterforum un’associazione multinazionale nata da pochissimi giorni con sede a Parigi e composta da una quindicina fra avvocati, docenti universitari e studiosi di Italia, Francia, Svizzera, Belgio e Olanda. Partendo proprio dalla sentenza Eternit, che crea un precedente giudiziario storico nei crimini industriali, l’associazione si occuperà di amianto ma anche di altri fenomeni come il trasporto di rifiuti tossici nei Paesi del terzo mondo, raccogliendo dati, divulgando informazioni, presentando denunce e offrendo assistenza legale ai comitati in difesa delle vittime. Una sfida non facile che rappresenta un punto di partenza fondamentale per la tutela della salute e dell’ambiente. Massimo Viarenghi
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ECO bonifiche rifiuti demolizioni
14 Costa Concordia: un approccio multidisciplinare per monitorare il rischio ambientale e preservare l’ecosistema dell’Isola
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RUBRICHE ecoNews Vetrina ecoappuntamenti Libri
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STORIA DI COPERTINA i chirurghi della demolizione di Massimo Viarenghi
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ATTUALITÀ
42 Come massimizzare il recupero dei materiali di risulta nelle demolizioni grazie ad una corretta gestione ambientale del cantiere
Il monitoraggio del rischio ambientale nel caso Costa Concordia di Emanuela Sturniolo
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Minerv: la plastica biodegradabile di Andrea Dotti
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INQUINAMENTO NUCLEARE: PIANETI A CONFRONTO di Rosa Bertuzzi
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THE BIG EYE Il progetto europeo GREENLAND di Giancarlo Renella
60 Un progetto europeo per il recupero e la valorizzazione dei sedimenti derivanti dal dragaggio dei fondali dei porti
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REPORT Rapporto RIFIUTI 2011: L’ITALIA IN LENTO MIGLIORAMENTO di Tina Corleto
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SPECIALE Descrizione e validazione del nuovo software di analisi di rischio Risk-net di R. Baciocchi et al.
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PANORAMA AZIENDE Restituire nuova vita ai materiali di scarto di Francesco Moreschi
71 Approfondimento sulle novità introdotte dal d.lgs. 205/2010 in materia di miscelazione dei rifiuti
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Anno 5 - Numero 18
Anche una lampadina spenta può dare luce a una nuova idea di Maria Beatrice Celino
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Anno 5 - Numero 18 Marzo 2012 Direttore responsabile: Massimo Viarenghi Direttore editoriale: Tina Corleto Direttore commerciale: Maria Beatrice Celino Coordinamento editoriale: Maeva Brunero Bronzin
WORK IN PROGRESS La complessa dismissione di un impianto per la produzione di detergenti di Gianpiero Lento
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La corretta Gestione ambientale del cantiere di demolizione di Andrea Terziano
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LA COLLINA DEI CILIEGI: BONIFICA, MESSA IN SICUREZZA PERMANENTE E RICONVERSIONE di D. Cazzuffi, P. Recalcati e G. Tresso
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Trattamento acque contaminate da Arsenico in un sito del Nord Italia di A. Barabesi, M.G. Asci e A. Biagioli
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PROGETTI E TECNOLOGIE IL “GREEN” PER LE INFRASTRUTTURE di Gloria Meneghini
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bonifica di terreni con iniezione di vapori in trivellazioni orizzontali di G. Vasta e A. Rosello
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SEDI.PORT.SIL. una filiera per il recupero dei sedimenti di dragaggio di A. Bertoni, E. Ulazzi, L. Magagnini e D. Bettoli
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I RIFIUTI URBANI: UNA LEVA PER L’ENERGIA SOSTENIBILE di M.R. Boni, S. Sbaffoni e L. Tuccinardi
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NORMATIVA “Eppur si muove”: breve cronaca dell’introduzione dei reati ambientali di Andrea Quaranta
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LA “NUOVA” MISCELAZIONE FA DIVENTARE “VECCHIE” LE AUTORIZZAZIONI di Daniele Carissimi
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ASSOCIAZIONe STUDI AMBIENTALI Aggiornamenti e notizie
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Collaboratori: Maria Grazia Asci, Renato Baciocchi, Andro Barabesi, Simona Berardi, Alessandro Bertoni, Rosa Bertuzzi, Danilo Bettoli, Antonio Biagioli, Maria Rosaria Boni, Daniele Carissimi, Daniele Cazzuffi, Maria Beatrice Celino, Andrea Dotti, Andrea Forni, Gianpiero Lento, Luca Magagnini, Gloria Meneghini, Francesco Moreschi, Andrea Quaranta, Piergiorgio Recalcati, Giancarlo Renella, Antonio Rosello, Silvia Sbaffoni, Andrea Sconocchia, Emanuela Sturniolo, Andrea Terziano, Antonio Traversa, Giancarlo Tresso, Letizia Tuccinardi, Elisa Ulazzi, Giovanni Vasta, Iason Verginelli, Igor Villani Comitato Scientifico: Maria Rosaria Boni (Sapienza Università di Roma) Daniele Cazzuffi (Cesi spa – Remtech) Laura D'Aprile (ISPRA, Roma) Luciano De Propris (Consulente ambientale) Ennio Forte (Università degli studi di Napoli) Luciano Morselli (Università di Bologna) Andrea Quaranta (Giurista ambientale – Cuneo) Gian Luigi Soldi (Provincia di Torino) Federico Vagliasindi (Università di Catania) Maria Chiara Zanetti (Politecnico di Torino) Ufficio commerciale - Vendita spazi pubblicitari: Maria Beatrice Celino Tel. 011 7802164 Cell. 335 237390 e-mail: b.celino@deaedizioni.it Grafica, disegni e impaginazione: PeVmedia - C.so Francia, 128 - 10143 Torino Abbonamenti: Italia annuo € 35,00 - estero annuo € 70,00 copia singola € 9,50 - arretrati € 11,50 Per abbonarsi è sufficiente fare richiesta a info@deaedizioni.it Stampa: Tipografica Derthona - s.s. per Genova, 3/I - 15057 Tortona (AL) Responsabilità: la riproduzione delle illustrazioni e articoli pubblicati dalla rivista è riservata e non può avvenire senza espressa autorizzazione della Casa Editrice. I manoscritti e le illustrazioni inviati alla redazione non saranno restituiti, anche se non pubblicati, e la Casa Editrice non si assume responsabilità per il caso che si tratti di esemplari unici. La Casa Editrice non si assume responsabilità per i casi di eventuali errori contenuti negli articoli pubblicati o di errori in cui fosse incorsa nella loro riproduzione sulla rivista. La responsabilità di quanto espresso negli articoli firmati rimane esclusivamente agli Autori. Direzione, Redazione, Abbonamenti, Amministrazione:
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Storica sentenza per l’Eternit di Casale Monferrato Sedici anni di reclusione e 30.000 euro di risarcimento per ogni vittima è quanto ha stabilito il Tribunale di Torino per Jean Louis de Cartier e Stephan Schmidheiny, proprietari della Eternit, per i reati connessi allo stabilimento di Cavagnolo e Casale Monferrato. Si chiude con una storica sentenza il primo grado del processo per 2.191 persone uccise dalle fibre killer. Erano presenti in aula i parenti delle vittime ma anche gli esponenti di delegazioni straniere che hanno accolto con lacrime liberatorie la condanna per disastro doloso permanente e omissione dolosa di misure antinfortunistiche. La soddisfazione in aula riguarda parenti e comitati ma ovviamente anche i PM e lo staff che hanno condotto il lungo lavoro che ha reso possibile il maxiprocesso. Per tutti però la convinzione che questa sentenza non sia che l’inizio di un lungo percorso, sulla strada della tutela dei lavoratori, sulla strada del riconoscimento delle responsabilità, sulla strada della salute e della sicurezza e ovviamente sulla strada della giustizia.
In Cina 7 mld di tonnell ate di rifiuti industriali da ricicl are entro il 2015 La Cina è da sempre il Paese dei grandi numeri e lo dimostra anche quando si parla di rifiuti. E’ stato presentato dal ministero cinese dell'industria e delle tecnologie dell'informazione un piano che punta a riciclare 7 miliardi di tonnellate di rifiuti industriali solidi tra il 2011 e il 2015, al fine di limitare il deterioramento dell'ambiente. Una cifra che è pari al doppio dei rifiuti industriali riciclati nel quinquennio precedente; inoltre, sempre secondo il piano, entro il 2015 si dovrà raggiungere l’obiettivo di riciclaggio di 1,6 miliardi di tonnellate di rifiuti industriali che equivale alla metà di quanto prodotto. Il ministero aggiunge che entro 5 anni “la Cina si sforzerà di bonificare 350.000 mu (23.333 ettari) di terre precedentemente utilizzate come discariche di rifiuti industriali, il che permetterà di migliorare considerevolmente lo stato dell'ambiente”. Già nel Piano quinquennale pubblicato a fine 2010, la Repubblica popolare cinese aveva definito di perseguire una politica di sviluppo che si basasse su criteri di risparmio energetico e di rispetto dell'ambiente, ma le parole del vice-ministro per la protezione dell'ambiente che ha di recente affermato che “il controllo dell'inquinamento sarà un compito arduo per il Paese” ci fanno comprendere come la strada da fare sia ancora molto lunga e difficile.
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OTTO PROGETTI PER LA RIMOZIONE DELLA COSTA CONCORDIA E ACCUSA DI DANNO AMBIENTALE PER GLI INDAGATI
Il 13 gennaio la nave Costa Concordia si è arenata all'isola del Giglio, un naufragio conclusosi con un drammatico bilancio di 25 morti e 7 dispersi, e il 3 marzo si è conclusa anche la prima maxi udienza del caso che ha visto profilarsi per il comandante Francesco Schettino e per gli altri ufficiali indagati anche l’accusa di distruzione e deterioramento di habitat all’interno di un sito naturale protetto. Il nuovo reato si aggiunge alle precedenti accuse di omicidio plurimo colposo, naufragio, lesioni, abbandono dei passeggeri e omesse comunicazioni alle autorità marittime e corrisponde all'articolo 733 bis del Codice penale, che prevede l'arresto fino a 18 mesi. Nello stesso giorno in cui a Grosseto si teneva l’udienza dell’incidente probatorio, a Londra nella sede della Costa Crociere arrivavano gli otto progetti in gara per la rimozione della nave, progetti redatti da altrettante grandi società che hanno messo al lavoro i loro tecnici per capire come rimuovere il relitto evitando di creare un danno ambientale che sarebbe un disastro per l’isola e per la sua economia. Ciò che sembra certo è che difficilmente la società prenderà in considerazione progetti che non prevedano di preservare l’integrità dello scafo durante la rimozione. All’isola del Giglio prosegue intanto lo svuotamento dei serbatoi: mancano ancora 350 tonnellate di carburante che si trovano nei sette serbatoi della sala macchine. Terminata questa operazione si procederà con lo svuotamento della nave dai liquami, un’iniziativa della società Costa per evitare ogni possibile contaminazione delle acque.
SINDROME NIMBY: ANCORA NO A 331 OPERE Sono 331 i “no” in Italia: no alla TAV, no ai termovalorizzatori, no agli impianti per l’energia elettrica, no alle discariche e no a molto altro ancora. Questo è quanto emerge dalla VII edizione del rapporto dell'Osservatorio media permanente Nimby, forum che fotografa un Paese bloccato dai dinieghi che lasciano in sospeso tavoli di discussione che non arrivano mai ad una fine. Secondo il ministro dell'Ambiente, Corrado Clini, l'Italia dovrebbe "recuperare l'autorevolezza delle istituzioni e rafforzare l'autonomia quando si tratta di decidere sulle opere pubbliche", un lavoro di pulizia culturale che permetterebbe di sbloccare almeno alcune delle opere contestate che per metà sono proposte o progetti dell’ultimo anno ma 168 sono note già dal 2004! Dal Rapporto del Nimby Forum sembra che nel 26,7% dei casi sia la politica locale ad animare la protesta mentre i comitati si oppongono nel 18,9% dei casi. I Comuni sono contemporaneamente al secondo posto (19,7%) tra i soggetti contrari agli impianti ed al primo posto (22,5%) tra chi sostiene invece le opere contestate. Il comparto più osteggiato è quello elettrico al 62,5%; seguono i rifiuti al 31,4% e le infrastrutture al 4,8%. Parlando invece di energie rinnovabili, cui si riferiscono 151 dei 331 no totali, gli impianti più contestati sono le centrali a biomassa (25,1%) e gli impianti eolici (12,4%).
Italia messa in mora dall’UE per le discariche
Approvate le semplificazioni nell a raccolta dei RAEE
Si tratterebbe di almeno 102 discariche, di cui 3 di rifiuti pericolosi, che secondo la Commissione europea non sono conformi alla direttiva UE del 1999. Le regioni interessate sono Abruzzo, Basilicata, Calabria, Friuli Venezia Giulia, Campania, Emilia Romagna, Liguria, Lombardia, Marche, Molise, Piemonte, Puglia, Sardegna e Umbria e la costituzione in mora è la conseguenza per non essersi conformati all'articolo 14 della direttiva, secondo cui gli stati membri avrebbero preso delle misure per assicurare che discariche “esistenti” non avrebbero continuato ad operare dopo il 16 luglio 2009, qualora non fossero ancora conformi con la direttiva europea. La lettera di costituzione in mora è la prima tappa della procedura di infrazione al Trattato Ue. La seconda è il “parere motivato” e, se il Paese non si conforma ancora, c'è il ricorso alla Corte di giustizia europea. Il Ministro dell’Ambiente, Corrado Clini ha commentato la vicenda affermando che “ci sono troppe discariche in Italia, che non sono da anni identificate come una soluzione per la gestione dei rifiuti”, secondo il parere del ministro” l'infrazione è quindi uno stimolo ad aumentare e rafforzare la raccolta differenziata e anche ad aumentare la quota di recupero energetico dai rifiuti. Bisogna lavorare in questa direzione”.
Nel 2011, secondo i dati del consorzio Ecolight, la raccolta dei RAEE ha subito un aumento dell’8% per un totale di 25.000 tonnellate di RAEE inviate agli impianti di recupero. Considerando i dati dello scorso anno, in Italia, a partire dal 2008, è stato raccolto un quantitativo di rifiuti elettronici pari a 280.000 tonnellate. Sebbene siano stati superati i 4,3 kg per abitante la strada per raggiungere il livello raggiunto nel Nord Europa (10 kg pro capite) è ancora lunga. Un aiuto in questo senso arriva però dall’approvazione al Senato dell’emendamento che semplifica il cosiddetto Decreto “Uno contro Uno” (D.M. 65/2010), una modifica che consentirà all’Italia di avere uno slancio ulteriore nella raccolta e nel riciclo di questa tipologia di rifiuti. Le variazioni interessano esclusivamente i negozianti, che non saranno più obbligati a conferire mensilmente ai centri di raccolta i RAEE raccolti ma lo potranno fare ogni tre mesi. Cambiano inoltre i quantitativi accumulabili che passano dai 3.500 kg complessivi a 3.500 kg per ciascuno dei raggruppamenti principali (R1, R2 e R3) cui si aggiungono 3.500 kg per il raggruppamento R4 + R5. L’emendamento chiarisce inoltre che tutti i Centri di Raccolta, realizzati sia ai sensi del D.M. 8 aprile 2008 sia ai sensi del D.Lgs. 152/06, potranno ricevere i RAEE raccolti dai rivenditori.
Niente processo per l a Marea nera dell a Deepwater Horizon Si è concluso senza dibattimento il peggiore disastro ambientale della storia americana. Grazie all’intesa extragiudiziale tra British Petroleum e le parti lese, il colosso britannico risarcirà circa centomila tra pescatori, lavoratori e residenti della zona che nel 2010 avevano ricevuto danni fisici o economici in seguito alla marea nera. Si sarebbe trattato di un processo fiume, con le testimonianze di oltre 300 persone e ben 72 milioni di pagine di documenti da esaminare, processo che lo stuolo di avvocati di BP è riuscito ad evitare scongiurando in tal modo una situazione di incertezza che avrebbe pesato per lungo tempo sul gruppo. L’intesa fra BP e le parti lese dovrà ancora essere autorizzata dalle autorità giudiziarie ma la compagnia fa sapere che l’accordo è stato raggiunto per una cifra pari a 7,8 miliardi di dollari, sebbene ci tenga anche a precisare che ciò non equivale ad un’ammissione di responsabilità. L'esplosione nel Golfo del Messico dell'aprile 2010 ha ucciso undici lavoratori e causato la fuoriuscita di quattro milioni di barili di greggio che hanno inquinato il mare e la costa per 85 giorni prima che sia stato possibile bloccare il pozzo. Per British Petroleum si tratta di un passo avanti importante ma non decisivo poiché l'accordo non riguarda infatti il contenzioso con il Governo federale Usa e con gli Stati più danneggiati dalla marea nera, e neppure le cause tuttora in corso con le società ex partner di BP nel Golfo del Messico.
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“Sin dalla pubblicazione del DM 65 abbiamo sempre appoggiato in tutte le sedi istituzionali la richiesta di semplificazioni operative avanzata dalle Associazioni della Distribuzione, perché crediamo che tali semplificazioni consentiranno di incrementare la raccolta dei RAEE, con ricadute positive sull’ambiente in cui viviamo” questo il parere espresso da Giorgio Arienti, Direttore Generale di Ecodom cui si aggiunge il commento positivo di Danilo Bonato, Presidente del Centro di Coordinamento RAEE: “un sistema di raccolta guidato da una normativa più semplice sarà infatti uno stimolo a fare sempre di più e sempre meglio”.
buone pratiche di sostenibilità a TERRA FUTURA Per tre giorni, dal 25 al 27 maggio, Firenze ospiterà la nona edizione di Terra Futura quindi la Fortezza da Basso si trasformerà in un animato cantiere dove, attraverso i tanti convegni, seminari e workshop in programma e le ultime novità sui temi della sostenibilità presentate all'interno dell'ampia area espositiva, si potranno conoscere da vicino soluzioni e idee per costruire assieme un futuro più equo e responsabile per il nostro pianeta. Non mancheranno poi momenti di animazione e spettacolo con mostre, concerti, rappresentazioni teatrali e laboratori, oltre a iniziative e progetti speciali. Numerosi saranno i settori rappresentati nella rassegna espositiva: tutela dell’ambiente, energie alternative, finanza etica, commercio equo, agricoltura biologica, edilizia e mobilità sostenibili, turismo responsabile, e ancora consumo critico, welfare, cooperazione internazionale, impegno per la pace, solidarietà sociale, cittadinanza attiva e partecipazione. Al centro di questa nona edizione di Terra Futura il tema del lavoro, sul quale l’attuale crisi ha prodotto uno dei suoi effetti più devastanti provocandone la totale perdita di valore. Occorre, invece, ridare dignità e senso al lavoro e per questa strada ricostruire un significato del produrre: la conversione-riconversione ecologica e sociale dell’economia. La manifestazione è rivolta a tutti coloro che sono sensibili ai temi della sostenibilità e a nuovi stili di vita, curiosi e interessati a conoscere da vicino le buone pratiche già sperimentate e sperimentabili. È un’occasione di aggiornamento e formazione per gli operatori del settore e per i cittadini che vogliono davvero partecipare alla costruzione di una società basata sul rispetto dell’uomo e dell’ambiente. Una particolare attenzione è riservata inoltre ai giovani, alle famiglie e al mondo della scuola, per sensibilizzarli verso comportamenti virtuosi.
SISTRI: partirà solo a giugno ma un podio l’ha già conquistato La Legge n.14 del 24 febbraio 2012 di conversione del Decreto Milleproroghe (D.L. 216 del 29 dicembre 2011) ha sancito l’ennesima proroga all’avvio del Sistri. A cominciare il 30 giugno prossimo saranno i produttori di rifiuti pericolosi con più di 50 dipendenti, compresi quelli di cui all'articolo 212 del D.Lgs 152/06, i commercianti, gli intermediari, i consorzi che si occupano di rifiuti particolari per conto dei consorziati, le imprese di raccolta dei rifiuti speciali e coloro che effettuano
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Anno 5 - Numero 18
il recupero e lo smaltimento; insomma i medio-grandi gestori di rifiuti. L’obbligo di iscrizione al Sistri per gli imprenditori agricoli che producono e trasportano rifiuti pericolosi ad una piattaforma di conferimento o li conferiscono ad un circuito organizzato di raccolta in modo occasionale e saltuario, è stato spostato invece al 2 luglio 2012. E’ lecito chiedersi se questa sarà la volta buona visto che finora del Sistri si è solo parlato, tanto, e se ne continua a parlare anche perché la società che l’ha creato, la Selex Elsag del Gruppo Finmeccanica, si è recentemente aggiudicata il Cisco Innovation Award 2012 grazie proprio al progetto Sistri. Il riconoscimento, assegnato lo scorso 31 gennaio a Londra, premia le “best practice” nell’ambito dell’Information and Communication Technologies. Certo questo potrà farà sorridere le imprese del settore, visto che a parte varie proroghe, click day falliti e abolizioni smentite fino ad ora il Sistri non è ancora ufficialmente in vigore, né tanto meno è stato rodato per il suo effettivo utilizzo. Non ci resta quindi che attendere il 30 giugno…
Vuoto a rendere: un passo indietro o… avanti?
Le giovani generazioni non sanno cosa sia ma molti di noi invece se lo ricordano bene. Il “vuoto a rendere” in realtà è un sistema che in diversi Paesi del Centro e Nord Europa funziona ancora benissimo e permette una riduzione dei rifiuti alla fonte. Recentemente il governo italiano ha tentato di introdurre il sistema anche in Italia, ma l’inserimento dell’articolo nelle prime bozze del decreto sulle liberalizzazioni ha scatenato un gran numero di polemiche e discussioni pertanto è stato poi eliminato. La strada dei Consorzi intrapresa dall’Italia per il riciclaggio degli imballaggi funziona ma l’inserimento di questo sistema potrebbe sicuramente contribuire ad incrementare i risultati. Solo alcune tipologie di “vuoti” sarebbero interessati dalla norma (bottiglie in PET, bottiglie e altri contenitori in vetro, imballaggi in alluminio) ed i costi del sistema ricadrebbero in definitiva su coloro che non restituiscono i vuoti come spiega il sottosegretario all’Ambiente Tullio Fanelli, un principio che segue peraltro la logica del “chi inquina paga”. Molte sono le questioni aperte ed ancor di più le perplessità dei Consorzi e dei Comuni, gli uni preoccupati dal fatto che tale novità possa mettere a rischio l’attuale sistema, gli altri scettici a fronte di un cambiamento che potrebbe annullare il corrispettivo che viene oggi erogato in base alla raccolta differenziata effettuata sul territorio. Il quadro delineato da Fanelli sembra piuttosto preciso: “Ogni anno saranno immessi sul mercato 10 miliardi di pezzi. Calcolando una cauzione di 20 centesimi a pezzo, arriviamo a 2 miliardi. Se il 10% di questi imballaggi non venisse riportato, e quindi non fosse restituita la cauzione, si otterrebbe un tesoretto di 200 milioni di euro. Le risorse necessarie cioè per far funzionare il sistema”.
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I CHIRURGHI DELLA DEMOLIZIONE Tagliano e sezionano ogni tipo di manufatto edilizio con attrezzature di precisione ed in modo controllato, ecco come operano le imprese dell’associazione A.i.de.co. di Massimo Viarenghi
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’Associazione Italiana Demolizione Controllata A.I.DE.CO. rappresenta ormai da 11 anni le imprese ed i produttori di attrezzature di taglio, carotaggio e demolizione controllata a livello nazionale; un settore lavorativo di nicchia con potenzialità di intervento non solo nelle demolizioni ma in tutti comparti dell’edilizia e delle infrastrutture, dalle nuove costruzioni alle ristrutturazioni.
Ing. Andrea Schiatti, Direttore di A.I.DE.CO.
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Possiamo definirli i chirurghi della demolizione in quanto grazie ad attrezzature di taglio (dischi, fili e corone diamantate) sono in grado in “intervenire” con assoluta precisione su qualunque struttura in cemento armato o muratura decostruendola integralmente o rimuovendone solo alcune parti con la precisione del centimetro. Nell’intervista all’ing. Andrea Schiatti, Direttore dell’Associazione, ripercorriamo la storia dell’associazione, le sue caratteristiche, gli obiettivi raggiunti e anche le difficoltà con cui si devono scontrare quotidianamente gli associati. Iniziamo con una domanda un po’ provocatoria: tutte le tecniche di demolizione, da quelle con escavatori a quelle con esplosivi, sono definibili “controllate”. Perché Aideco si identifica con questo aggettivo? Rispondendo altrettanto provocatoriamente: non è l'aggettivo da considerare ma il sostantivo. Infatti il termine più esatto è "de-costruzione" in quanto questa tecnica di fatto non "demolisce" ma "de-costruisce". Originariamente è invalsa l'abitudine di parlare di demolizione che resta comunque "controllata" in quanto non disgrega e fracassa in maniera imprecisa ed incontrollata. Se si volesse mantenere il sostantivo originario (demolizione) sarebbe più corretto parlare di demolizione "chirurgica" in quanto interviene
sui manufatti con una precisione, appunto chirurgica, impensabile utilizzando altre applicazioni. Quando nasce Aideco? Aideco nasce il 25 gennaio 2001. In precedenza erano stati attuati vari tentativi per aggregare soggetti aventi comuni interessi, tentativi mai giunti in porto. D'altra parte la formula è alquanto particolare. L'Associazione infatti - come avviene anche nel resto del mondo per questo comparto riunisce non solo i cosiddetti "de-costruttori", cioè le imprese che esercitano la professione, ma anche le imprese che progettano e realizzano le attrezzature, gli utensili ed i materiali di consumo utilizzati dai de-costruttori. Per fare un paragone, anche se non proprio calzante, è come se un'unica Associazione riunisse i fabbricanti di veicoli industriali e gli autotrasportatori, e quindi categorie che presentano aspetti ed interessi a volte contrastanti. È pertanto un equilibrio delicato da portare avanti tanto è vero che in Francia le tensioni interne tra le differenti componenti hanno determinato anni or sono il collasso della consorella Associazione transalpina. Ma in Aideco il rapporto è molto solido e gli oltre 11 anni di vita in comune ne sono la conferma. Le attrezzature da taglio del cls si sono molto evolute negli ultimi 15 anni, lei cosa pensa ci riserverà il mercato nel prossimo futuro?
La ricerca sta procedendo molto velocemente ed alcune delle applicazioni in uso una ventina di anni or sono appaiono oggi come archeologia industriale. Il futuro ci riserva attrezzature sempre più precise nel taglio, sempre più (proporzionalmente) leggere a tutto vantaggio della facilità di movimentazione e sempre meno ingorde (proporzionalmente anche in questo caso) di energia. Crescerà ulteriormente la velocità di esecuzione così come si svilupperanno quelle applicazioni particolari che assieme ad altre rendono unica la de-costruzione. Parliamo ad esempio dei tagli e dei carotaggi obliqui, della realizzazione di botole di grandi dimensioni, degli interventi profondi su dighe o comunque sott'acqua, ecc. Dischi, fili e carotaggi; integrando queste tecnologie, che fanno uso di utensili al diamante, si è in grado di decostruire qualsiasi struttura. Ci potrebbe fare qualche esempio significativo? La decostruzione presenta possibilità praticamente illimitate di intervento: dalle forometrie di calibro ridotto per il passaggio di mini impianti, al taglio di complessi immensi grazie all'utilizzo del filo (che è l'evoluzione delle tecnologie applicate per il salvataggio del complesso di Abu Simbel o dei cavatori di marmo apuani cari al genio di Michelangelo). Ma si pensi anche alle applicazioni che consentono la correzione di errori in fase esecutiva così come la realizzazione o la modifica di aperture, ovunque nel manufatto l'equilibrio strutturale lo conceda. Entrando nello specifico il disco diamantato trova larga applicazione nell'attuazione di vani per porte e finestre, nella rimozione di travi e pilastri così come più in particolare nel sezionamento di gronde per il rialzo di edifici, nella rifilatura di rampe scale per l'inserimento di vani ascensore, nel sezionamento di solai per l'inserimento di scale e più in generale nella decostruzione parziale o totale di edifici. Gli indiscussi vantaggi di questa tecnologia sono la precisione e la velocità di taglio, la totale versatilità di utilizzo ed il costo contenuto di intervento. Il filo diamantato sposa gli utilizzi caratterizzati dal termine "grande" quali il taglio su pareti di grandi spessori, le aperture circolari di grande diametro, il sezionamento di plinti
di fondazione, la formazione di aperture tecniche su dighe, il taglio di pilastri di grande sezione e di manufatti sommersi, il sezionamento di grandi basamenti. Gli elementi di vantaggio sono la velocità di taglio di fronte a notevoli spessori e l'operatività in ambienti scomodi o difficili. Il carotaggio consente l'esecuzione di aperture circolari che vanno da un diametro di poco più di 1 cm (meno di un dito mignolo per intenderci) ad oltre 1 m. Invece che frantumare e polverizzare l'intero contenuto del cilindro di calcestruzzo che vogliamo rimuovere il carotaggio consente di asportare solo la parte periferica corrispondente alla corona circolare dell’utensile producendo all'interno del tubo carotatore un cilindro di materiale denominato appunto "carota". Per certi aspetti carotaggio è quasi sinonimo di cantiere tante sono le miriadi di perforazioni necessarie in ogni cantiere, grande o piccolo che sia. In aggiunta a ciò sono talmente varie e diversificate le applicazioni del carotaggio da renderne quasi impossibile l'elencazione anche se ancor oggi l'utilizzo più diffuso è quello connesso al passaggio dell'impiantistica di qualsiasi natura. Oltre a quelli elencati i grandi vantaggi della de-costruzione (e quindi di riverbero i suoi ambiti applicativi) sono molteplici. Le tecniche impiegate non sono invasive, non comportano i disagi tipici dei sistemi convenzionali e permettono di operare nel pieno rispetto dell'uomo e dell'ambiente circostante. Si avvalgono di strumentazioni avanzate, in molti casi sofisticate, perfettamente adatte ad
operare nei centri urbani in quanto si distinguono per: assenza di percussioni, assenza di vibrazioni dannose, assenza di polveri, rumorosità contenuta, elevata precisione di esecuzione e possibilità di intervento senza dover interrompere l'attività produttiva presente nel manufatto in questione. Le tecnologie di de-costruzione sono principalmente utilizzate negli interventi parziali, dove è spesso indispensabile operare con perfetta precisione e dove la limitatezza dell'intervento assicura un'estrema rapidità di esecuzione e rende i costi competitivi. La de-costruzione gioca oggi un ruolo di primo piano in edilizia grazie alle straordinarie opportunità che offre in tutti quei lavori che richiedono estrema cautela di esecuzione, come la ristrutturazione, il consolidamento e la riqualificazione del patrimonio edilizio. Inoltre, è una soluzione ottimale per risolvere le frequenti problematiche di natura strutturale dovute alla mancanza di riferimenti precisi sulle tecniche costruttive e sui materiali impiegati e
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rende possibile validi interventi anche in edifici datati e di pregio storico, dove l'utilizzo di metodologie convenzionali invasive causerebbe sollecitazioni sulle strutture e danni irreversibili. L’impoverimento dei prezzi porta i Committenti a scegliere tecnologie più economiche ma non sempre più sicure. Come ovviare a questa tendenza senza rinunciare alla sicurezza? Stringendo la risposta in una battuta si potrebbe dire che la sicurezza non ha prezzo e che quanto si pensa di risparmiare oggi sulla sicurezza lo si paga o lo si pagherà con gli interessi. Questo solo sul piano economico senza tener conto degli aspetti umani e sociali che ci pervengono purtroppo dalla cronaca di tutti i giorni. Al contrario divulgare la cultura della sicurezza negli ambienti di lavoro è stato sin dalla nascita uno dei principali obiettivi di Aideco. Ci siamo battuti contro coloro che rifiutano o snobbano questo concetto che deve essere parte intrinseca del lavoro quotidiano. Occorre pensare "in sicurezza" adeguando ogni azione, sia progettuale sia sul campo, al risvolto che ne potrebbe derivare. Da molti anni Aideco organizza corsi di specializzazione sulle tecnologie (a disco e a filo) dove la struttura stessa della formazione gravita attorno al tema della sicurezza. Non solo, l'Associazione ha realizzato con la collaborazione di appositi Studi professionali il Piano Operativo di Sicurezza (POS) specifico per l'attività della de-costruzione. È un progetto interessante che costituisce da una parte un importante atto di sensibilizzazione degli addetti ai lavori e dall'altra un significativo passo avanti verso una maggior sicurezza in cantiere. Si compone di una parte che possiamo definire "generale" pur se sempre finalizzata alla de-costruzione e di una serie di piani specifici dedicati alle lavorazioni fondamentali dell'attività stessa. Si riscontrano così un "POS taglio a filo", un "POS taglio disco" e un "POS carotaggio". Il progetto è stato sviluppato per fornire al demolitore uno strumento che pur nel pieno rispetto di tutte le procedure normolegislative lo agevoli nella costruzione di un documento accessibile nella stesura e proporzionato al suo intervento.
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Aideco e NAD due associazioni per il settore delle demolizioni. Ci sono sinergie in essere o potreste individuarne alcune possibili? Abbiamo grande stima per gli amici di NAD e molte sono le considerazioni ed i modi di operare comuni come ad esempio quelli legati alla sicurezza ed alla correttezza professionale. Differenti sono le basi associative: le aziende di NAD note a tutti sono grandi e grandissime imprese caratterizzate da notevoli organizzazioni sotto l’aspetto dimensionale (uomini, mezzi, fatturati) in grado di intervenire ovunque e specializzate nei grandi lavori. Il settore della de-costruzione – e di riverbero di Aideco – è all’opposto di tale realtà: uno studio frutto di un’approfondita analisi ha fotografato in circa 200 le imprese operanti e complessivamente in 1.500 gli addetti. Ne consegue che la dimensione media di queste realtà è di soli 4/5 addetti con rare eccezioni che superano le 15 unità. Si deve quindi parlare di microimprese, a volte a carattere famigliare, con tutte le caratteristiche positive – come la duttilità ad adattarsi alle differenti situazioni – ma anche negative che ne conseguono. Pensiamo alla difficoltà ad accedere al credito e di conseguenza ad effettuare investimenti ed ammodernamenti, alla condizione di lavorare quasi esclusivamente in subappalto (di primo, secondo, terzo, ecc. livello), alla quasi impossibilità ad accedere in prima persona a grandi lavori. Per questo è fondamentale il ruolo dell’Associazione che si sforza di aggregare in maniera complementare
piccole realtà al fine di farne crescere la massa critica e la capacità di intervento. Aideco ha realizzato un prezziario di riferimento già da diversi anni. Quali vantaggi ha portato alle aziende della vostra categoria? Rappresentando la categoria delle imprese specializzate nella de-costruzione Aideco si è prodigata nel riordino dei diversi prezziari oggi presenti sul territorio italiano, condensando in un unico elenco tutte le lavorazioni speciali oggetto del proprio settore. Lo scopo principale che ha motivato l’Associazione nella realizzazione delle “Voci di Capitolato” e nella definizione dei prezzi delle singole lavorazioni, è stato quello di voler dare un contributo concreto per una corretta stima ed individuazione degli interventi (corredata da una rigorosa analisi dei costi), in considerazione anche di una più attenta valutazione della sicurezza del cantiere dato l’utilizzo di particolari macchine nelle diverse applicazioni. Il risultato è frutto di un lavoro di équipe che ha visto coinvolte nell’Associazione diverse figure tra cui: imprese associate, industrie costruttrici e fornitrici di attrezzature ed utensili, nonché di liberi professionisti. L’obiettivo attuale è quello di far diventare le “Voci” – già adottate da diverse Camere di Commercio - uno strumento efficace per la formulazione di progetti e computi metrici sia per le imprese del settore che per gli Enti Pubblici e gli Studi Tecnici.
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Il monitoraggio del rischio ambientale nel caso Costa Concordia Dopo la messa in sicurezza della nave saranno necessari studi specialistici e un monitoraggio a lungo termine per essere certi che venga preservato l’ecosistema dell’isola del Giglio di Emanuela Sturniolo*
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el momento in cui vengono completate le operazioni di recupero del carburante dai serbatoi e gli interventi più urgenti per la messa in sicurezza della nave da crociera Costa Concordia, incagliatasi lo scorso 13 gennaio 2012 sulle coste dell’Isola del Giglio, si fa sempre più pressante la necessità di definire e mettere in atto un programma di monitoraggio ambientale a lungo termine, volto a misurare in maniera puntuale e mirata l’eventuale presenza di sostanze pericolose per l’ambiente nell’area coinvolta. Casi simili - come l’incidente della Haven, la superpetroliera il cui incendio nel 1991 ha provocato una fuoriuscita di greggio che ha rapidamente raggiunto la costa Ligure, o quello della Sea Diamond, la nave da crociera che dopo aver impattato, nell’aprile del 2007, contro gli scogli dell’isola di Santorini si è poi inesorabilmente inabissata sul fondale - hanno infatti insegnato che, al di là della gestione dell’emergenza, è necessario effettuare uno studio specialistico e multidisciplinare con il quale affrontare il rischio ambientale. Le minacce al delicato ecosistema dell’Isola del Giglio e alle coste più prossime, infatti, sono destinate a perdurare almeno per tutto il tempo di permanenza della nave nella posizione attuale. Un tempo che, realisticamente, potrebbe essere di parecchi mesi.
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Infatti, se da una parte le operazioni di svuotamento del carburante contenuto nei serbatoi della nave stanno concludendosi senza incidenti, rimane ancora non definito l’approccio che si prevede di realizzare per eliminare le sorgenti inquinanti affondate, comprendendo in questa definizione materiali, oggetti, sostanze varie nonché il corpo della nave stessa.
CARATTERIZZAZIONE, ANALISI DI RISCHIO E MONITORAGGIO AMBIENTALE
Come noto l’insieme dei materiali entrati a contatto con l’ambiente marino nell’incidente che ha coinvolto il Concordia, cioè una nave da crociera di dimensioni così importanti, definiti anche come “Sorgenti Inquinanti Affondate” (S.I.A.), può comportare danni anche molto gravi all’ambiente in funzione della natura delle sostanze trasportate, delle caratteristiche fisico-chimiche di queste, delle quantità rilasciate, della profondità delle sorgenti, del moto ondoso, nonché delle caratteristiche biologiche dell’area dove la nave giace e della prossimità ad ecosistemi sensibili. La stessa salute umana potrebbe essere minacciata a causa dei fenomeni di bioaccumulo di sostanze tossiche, facilitati dalla tendenza dei
pesci predatori di grande taglia ad aggregarsi in presenza di un oggetto cospicuo che, come un relitto, si elevi dal fondale. La priorità a questo punto è quindi di eseguire indagini finalizzate ad acquisire la conoscenza più dettagliata possibile della situazione di partenza, identificando con precisione prima di tutto quali siano effettivamente le sostanze pericolose o potenzialmente pericolose che si trovano nel relitto, in quali quantità siano presenti e se sussiste effettivamente la possibilità di un rilascio della sostanza nell’ambiente e quindi di costituire effettivo pericolo per le specie viventi e per la salute umana; in conseguenza di ciò è fondamentale individuare gli indicatori ambientali da monitorare per rilevare l’eventuale presenza di inquinanti nell’ecosistema sia a breve/medio che a lungo termine. Individuare gli indicatori biologici di contaminazione, cioè quelle specie, animali, piante o funghi, particolarmente sensibili ai cambiamenti apportati da fattori inquinanti all'ecosistema e più adatti a rilevare l’eventuale inquinamento nell’ambiente circostante il relitto, è tuttavia un’operazione
tutt’altro che facile, dovendo selezionare organismi in grado di rispondere ai quattro criteri fondamentali di Accessibilità, Idoneità bio-ecologica, Affidabilità e Rappresentatività. In particolare con Accessibilità si intende che la specie selezionata debba essere facilmente campionabile ed offrire la possibilità di essere analizzata secondo metodiche standard; con Idoneità bio-ecologica si intende che la stessa specie debba avere adeguata distribuzione e mobilità nell’area di studio nonché essere di facile reperibilità in tutte le stagioni, mentre con Affidabilità e Rappresentatività, si intende che la specie debba sostanzialmente presentare minime differenze specifiche in situazioni analoghe ed essere chiaramente correlabile con il fenomeno che si vuole rilevare o controllare, quindi in questo caso, la presenza di inquinamento da determinati parametri analitici. A complicare la situazione si aggiunge il fatto che molti inquinanti di origine industriale non sono “tossici acuti” cioè non causano, in genere, effetti che si manifestano con la morte o con altre gravi e immediate alterazioni degli organismi esposti alle molecole nocive, ma piuttosto con modificazioni morfologiche da stress che si manifestano lentamente.
LA RIMOZIONE DEL RELITTO E’ a questo punto evidente che la rimozione del relitto è oltremodo urgente e che ogni giorno in più di permanenza in mare delle sostanze inquinanti o potenzialmente inquinanti affondate, aumenta il rischio per l’ambiente. Se tale urgenza è evidente agli occhi di tutti, non altrettanto evidenti sono al momento le soluzioni e le metodologie applicabili al caso. L’opzione di raddrizzare e rimorchiare in una sede sicura lo scafo nella sua interezza, senza operare smontaggi o cosiddette demolizioni presenta difficoltà tecniche non indifferenti. E’ infatti necessario attuare una serie di interventi di risanamento dello scafo e di aiuto al galleggiamento per consentire alla nave, se non ovviamente di navigare, almeno di essere nelle condizioni di poter essere trainata fino ad un porto sicuro. Portare la nave di nuovo al galleggiamento è evidentemente un passaggio che si presenta tutt’altro che facile da risolvere. Le possibilità vagliate per casi analoghi hanno considerato che il raddrizzamento può essere effettuato applicando sia spinte che trazioni sui lati opposti sulla nave che, nel caso di necessi-
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tà di applicazione di entrambe, possono eventualmente essere esercitate in contemporanea o in sequenza. Evidentemente la progettazione del sistema di applicazione di spinte e trazioni sulle strutture nella nave, che potrebbe in via teorica non resistere alle forze e quindi peggiorare la situazione di attuale pericolo, non può prescindere dalla precisa conoscenza della struttura della nave. La prima attività da fare in questi casi è quindi l’acquisizione e lo studio dettagliato dei progetti costruttivi della nave stessa, e solo a valle di ciò è possibile determinare la metodologia più adeguata di applicazione delle forze. In genere l’ipotesi della spinta, che andrebbe operata sul lato inclinato verso terra della nave, prevede l’utilizzo di palloni pneumatici che gonfiandosi, opportunamente gestiti, sono in grado di imprimere alla nave una rotazione sul proprio asse mediano verticale e quindi costringerla al raddrizzamento. L’ipotesi della trazione, che come detto può
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intraprendersi sia al contempo che, successivamente alla spinta, può essere applicata ad esempio tramite l’utilizzo di appositi tiranti in acciaio che - esercitando una forza di trazione al corpo della nave dalla parte opposta rispetto a quella di inclinazione - ne determinano ancora una volta una rotazione sul proprio asse mediano e quindi il raddrizzamento. Le idee progettuali sviluppate nel tempo hanno previsto che la trazione possa essere operata sia da strutture mobili quali pontoni attrezzati con gru, che da strutture fisse: in questo caso i tiranti devono essere ancorati al substrato, ad
esempio mediante pali adeguatamente inseriti nel fondale sottomarino. Il raggiungimento della situazione di galleggiamento prevede la necessità di procedere prima alla chiusura della falla mediante operazioni di saldatura di pannelli adeguatamente dimensionati. Sempre in base all’esperienza ed alla letteratura tecnicoscientifica disponibili ad oggi, è ragionevole prevedere che le attività successive possano procedere con l’alleggerimento delle nave che potrà essere realizzato ad esempio mediante il pompaggio dell’acqua presente all’interno dello scafo ed eventualmente anche mediante l’inserimento di ausili al galleggiamento, quali ad esempio palloni ad aria ed altri dispositivi per alleggerire la nave. *Operation Manager MWH Fotografie/Figure: MWH REUTERS/Max Rossi Laura Lezza
MINERV: LA PLASTICA BIODEGRADABILE NASCE DALLO ZUCCHERO L’UNICO TIPO DI PLASTICA AL MONDO IN GRADO DI BIODEGRADARSI NATURALMENTE E CHE NON NECESSITA DI PETROLIO PER ESSERE PRODOTTO di Andrea Dotti
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lastica biodegradabile e prodotta senza petrolio. Non è fantascienza, ma è Minerv un prodotto plastico realizzato grazie al polimero Pha, scoperto da Bio On: la start up bolognese nata dalle menti di Marco Astorri e Guy Cicognani. Una vera e propria rivoluzione nel campo delle materie plastiche, in grado di cambiare radicalmente il modo di concepire la produzione e il consumo. E il pianeta ringrazia. «Non essendo chimici – ha detto Astorri - abbiamo dovuto indagare e abbiamo trovato tantissimi brevetti sparsi per il mondo. Attraverso questa operazione di ricerca abbiamo visto che c’è la possibilità, in maniera completamente naturale, di nutrire intere colonie batteriche con scarti agricoli. E questi batteri producono plastica». I responsabili veri di questa rivoluzione, infatti, sono dei batteri, la cui fonte di energia è proprio il Pha. Si tratta di organismi che si nutrono di scarti ricavati dalla coltivazione di zucchero di barbabietola, con i quali, un tempo, si produceva il lievito. Grazie a queste melasse il batterio si sviluppa e aumenta la sostanza polimerica all’interno del suo organismo. Tale sostanza viene estratta meccanicamente e attraverso l’uso di vapori naturali, il tutto senza utilizzare solventi industriali. Il processo non finisce qui. Gli ulteriori scarti ricavati dalla lavorazione del Pha non ven-
gono dispersi nell’ambiente, ma andranno a costituire ulteriore nutrimento per i batteri, che continueranno quindi a produrre energia. Con macchine a iniezione ed esplosione, infine, il Pha viene fatto essiccare e polverizzato, fino a ricavare la sostanza plastica. Nessuno spreco e nessun tipo di inquinamento, dunque, sia per quanto riguarda il prodotto in sé, sia per il suo processo produttivo. «Nel 2007 – continua - abbiamo visto che era possibile produrre biopolimeri dagli scarti che avevamo intorno a noi, nelle coltivazioni
emiliane. Questi scarti, che altrimenti resterebbero nell’ambiente e creerebbero problemi nel loro riutilizzo, sono il cibo preferito dalle colonie batteriche». L’intuizione è nata per caso ed è arrivata da due non addetti ai lavori. Astorri e Cicognani, infatti, non sono chimici, ma due imprenditori che si sono trovati a fare di necessità virtù. La loro prima azienda, in questo senso, si occupava della produzione di skipass: tessere di plastica che permettono agli sciatori di accedere alle piste. Queste tessere erano solite rompersi e disperdersi nell’ambiente e, con lo sciogliersi della neve, lasciavano uno spettacolo raccapricciante sui paesaggi montani.
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Da questo presupposto è nata la necessità di cercare di realizzare un prodotto in grado di non inquinare. Oltre a non prevedere l’utilizzo del petrolio, infatti, Minerv è l’unico biopolimero capace di biodegradarsi naturalmente entro 40 giorni.
IMPATTO ZERO E CHIMICA DELLA NATURA La produzione di plastica aumenta ogni anno del 15 percento e ne vengono prodotte milioni di tonnellate. Quasi la metà degli oggetti che utilizziamo quotidianamente, inoltre, è costituita, in tutto o in parte, da plastica. L’impatto ambientale è evidente e coinvolge sia il sistema produttivo che lo smaltimento dei rifiuti. È da questi presupposti che Astorri e Cicognani si sono posti la fatidica domanda: «Che fare?». La risposta è stata una sola: è necessario creare un nuovo modo di concepire la chimica. Non si sta parlando di novità assolute nel mercato delle materie plastiche. Non è la prima volta, infatti, che vengono ricavati biopolimeri o combustibili attraverso i cereali. Ma Marco Astorri ci tiene a sottolineare che la differenza sostanziale di Minerv è la filosofia che ne sta alla base. «Effettivamente la chimica moderna è stata molto aggressiva. Secondo noi, tuttavia, deve partire un nuovo tipo di chimica. Il nostro prodotto, la nostra tecnologia è una delle tante che fa capire che la chimica deve diventare amica dell’uomo». Secondo Astorri è necessario eliminare l’alone di negatività che la chimica si porta dietro. Per farlo, però, è indispensabile passare da un concetto di tipo industriale a uno di tipo naturale. La produzione di Minerv, in questo senso, sarebbe la dimostrazione di come questo sia possibile, ma è importante differenziarsi dalle logiche di pensiero che hanno dominato il mondo della chimica fino a questo momento. In primo luogo i due imprenditori hanno voluto scardinare la filosofia secondo la quale bisogna utilizzare cereali per produrre materie plastiche. «Tutte le aziende del mondo si sono dimenticate la parola “scarto” – ha detto Astorri - non bisogna utilizzare cibo per fare della plastica, anche perché il cibo diventerà sempre più importante, pensare
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che ci sia qualcuno che possa seminare dei campi incolti per fare plastica e carburanti è qualcosa di terrificante». In secondo luogo bisogna uscire dalla logica degli Ogm. Nel sostenere questa tesi Marco Astorri ci tiene però a precisare che pronunciare la sigla Ogm non deve essere considerata blasfemia. Non è la natura puramente etica a far desistere i due imprenditori dall’utilizzo di organismi geneticamente modificati, ma questa scelta va ricercata nell’ambito della sostenibilità economica e ambientale. Modificare geneticamente i batteri e le melasse, infatti, rischia di portare a delle mutazioni degli organismi stessi e questo comporterebbe uno sperpero di risorse e tecnologie insostenibile. «Quel che la natura ha fatto in milioni di anni, come, ad esempio, l’evoluzione di un batterio, si potrebbe modificare per ottenere ancora di più, ma la natura ci farebbe pagare un prezzo molto salato: la mutazione. Nel momento in cui io modifico geneticamente un batterio, poi lo devo seguire come un figlio, perché altrimenti muta improvvisamente e non riesco più a controllarlo, portando a dei costi molto elevati». La nuova chimica, infine, deve essere a impatto zero anche dal punto di vista del prodotto e della sua produzione. I sistemi per ricavare plastica devono essere concepiti seguendo logiche puramente naturali e non devono produrre rifiuti. Si tratta di un sistema circolare che ha nella natura il punto di partenza e quello d’arrivo. «Non vogliamo utilizzare solventi organici, ma preferiamo usare solamente ciò che ci dà la natura e destiniamo quello che rimane all’ulteriore nutrimento dei batteri. Quando diciamo impatto zero, ci riferiamo anche allo stabilimento produttivo: tutto il ciclo deve essere il più possibile amico dell’uomo e della natura». Il tema della ciclicità torna ai due imprenditori anche sotto forma di metafora, quasi a suggerire che la casualità della scoperta potrebbe essere un gioco del destino.
Lo stabilimento di Minerbio della Bio On è situato nel bolognese, a pochi chilometri da Ferrara dove per anni ha operato la Montecatini e vicino a dove Giulio Natta inventò il polipropilene, guadagnandosi il premio Nobel. Con il polimero di Natta, il Pha non ha in comune solamente l’origine geografica, ma anche una qualità molto importante. La stessa molecola di base del Pha, infatti, può caratterizzarsi in modi diversi e produrre materiali plastici differenti.
OLTRE LA NEW ECONOMY Se dall’agricoltura parte l’innovazione della chimica, dalla cultura contadina emerge un nuovo modo di intendere l’economia. Questa concezione si può riscontrare nelle scelte di Bio On, dove l’autofinanziamento è la caratteristica principale delle strategie economiche dei due imprenditori. Autofinanziarsi, però, potrebbe non bastare e Astorri e Guy sono dovuti ricorrere al retroterra contadino del territorio di riferimento. In questo senso la start up ha venduto prodotti e metodologie ai clienti interessati, prima che questi venissero realmente realizzati, per poter investire quei finanziamenti nell’impresa. «Pensavamo e sapevamo che c’era qualcuno interessato ai nostri progetti, e ci siamo finanziati vendendo l’esclusiva di qualcosa che dovevamo ancora fare», ha detto Astorri con una punta di orgoglio. In origine, infatti, sarebbe stato molto difficile trovare investimenti importanti in questo settore e questa era una delle poche possibilità concesse dal mercato. L’autofinanziamento e l’economia contadina, tuttavia, sono state anche delle scelte economiche precise, che indicano un significato più ampio. Si è trattato, infatti, di voler stare fuori dalla finanza e dalle banche. «Non siamo entrati in questo mondo perché popolato, per la maggior parte, da persone che non capiscono nulla in tema di innovazione. È stata, inoltre, una scelta fondamentale. Se non avessimo fatto in questo modo una qualsiasi banca proprietaria di un’azienda chimica ci avrebbe portato via il brevetto». Ora l’interesse verso Minerv comincia a essere sempre più alto e i fondatori di Bio On promettono di lasciare le porte aperte per eventuali collaborazioni. Negli ultimi anni, infatti, numerose aziende hanno iniziato ad avvicinarsi a questo sistema produttivo, dalle piccole e medie imprese, fino alle grandi multinazionali. L’obiettivo di Astorri e Guy è quello di non sbarrare la strada e favorire la circolazione di prodotti, idee e brevetti, sottolineando che il fine ultimo dell’innovazione di Minerv sono la scomparsa della plastica così come la intendiamo e la salvaguardia dell’ambiente. «Non vogliamo conseguire questi obiettivi come singoli. Vogliamo fare in modo che le licenze siano ovunque ci siano scarti adatti per fare questo biopolimero. Se si ha una visione troppo egocentrica non si riesce a dare quello che le persone chiedono: un mondo più pulito».
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INQUINAMENTO NUCLEARE: PIANETI A CONFRONTO Conseguenze degli incidenti nucleari e danni per la salute, un confronto fra Fukushima, Chernobyl… e Italia di Rosa Bertuzzi*
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25 anni dal disastro nucleare di Chernobyl, è difficile descrivere le conseguenze dell'evento in termini sanitari, evidenziando le difficoltà nella valutazione di tali effetti e le opportunità di ricerca offerte, purtroppo, dall'incidente di Fukushima. Come si ricorderà, le barre di combustibile del reattore n. 2 di Fukushima si fusero nelle prime fasi dell'incidente dell'11 marzo scorso, poco dopo che lo tsunami rese inefficace l'impianto di raffreddamento. Alle 14:46 ora locale dell’11 Marzo 2011, nella zona a nord del Giappone si è verificato un terremoto di magnitudo 8,9 della scala Richter, con localizzazione dell’epicentro a circa 130 km a est dell’isola di Honshu, nell’oceano Pacifico. Tale evento sismico era stato preceduto da scosse di magnitudo inferiore che, vista la particolare sismicità del Giappone, evidentemente non avevano fatto presagire un fenomeno di tale portata. Al seguito dell’evento principale si è avuto un secondo sisma di intensità inferiore, pari ad una magnitudo 6.5 della scala Richter. Diverse ipotesi esistono per cercare di dare una risposta a tutti i cittadini preoccupati per tali vicende: analizzeremo i vari aspetti del tema per dare risposte ai numerosi interrogativi.
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Gli elementi radioattivi con emivita molto lunga, specialmente cesio e stronzio, rimarranno nell'ambiente per i prossimi decenni. Lo iodio, nonostante i soli otto giorni di tempo di dimezzamento, può essere dannoso poiché viene assorbito dall'organismo con il cibo, e viene poi immagazzinato nella ghiandola tiroide: non è da trascurare l’effetto di questo elemento chimico, che produce la tiroxina, l’ormone che regola, infatti, il corretto funzionamento della tiroide. A causa dell'incidente di Chernobyl, nelle aree interessate dalla più elevata esposizione agli elementi radioattivi è stato osservato un aumento del rischio di tumore della tiroide da 3 a 8 volte, e per questo è stata raccomandata la distribuzione di tavolette di ioduro di potassio a bambini e giovani: risulta una delle migliori forme di somministrazione terapeutica dello iodio. Sfortunatamente, non sono disponibili interventi chemioprotettivi per l'esposizione al cesio e allo stronzio. Necessariamente è servito un approccio integralista per limitare l'esposizione allo iodio radioattivo e al cesio e per isolare le aree contaminate. Nel caso specifico, i bambini e i giovani adulti sono i soggetti esposti al rischio più alto, dal momento che i dati ottenuti in passato mostrano come l'esposizione in giovane età incrementi il rischio di effetti sanitari come il cancro alla tiroide. Oltretutto, c’è un dibattito sull'effetto potenzialmente dannoso per le ragazze in pubertà, per le quali è stato evidenziato un elevato ri-
schio di neoplasia della mammella. Un altro periodo traumatico è quello dell'allattamento se è coinciso con quello dell'incidente, quando la probabilità dell'assorbimento di radionuclidi da parte del tessuto mammario è alto. Molti concludono che le conseguenze oncologiche dell'incidente di Chernobyl erano limitate alla neoplasia della tiroide nei bambini e in misura inferiore a quanto atteso. A causa di diversi problemi associati allo studio degli effetti di Chernobyl, i risultati di nuovi studi che abbiano come oggetto l'incidente di Fukushima potrebbero fornire più accurate stime delle conseguenze degli incidenti negli impianti nucleari nel passato e del presente, oltre a fornire utili informazioni per la corretta e imprescindibile gestione della salute pubblica nel futuro. Un aspetto spesso trascurato del disastro nucleare è l’enorme tensione psicologica sui soggetti coinvolti: gli effetti psichici del disastro di Chernobyl sono stati sproporzionati rispetto al rischio biologico. Il più grave danno sanitario del disastro è stato sulla salute mentale, un effetto reso ancora più grave dalla scarsa informazione sui rischi associati all'esposizione alle radiazioni: chiunque è stato soggetto a tale turbolenza cerebrale non sarà, purtroppo, mai più come prima. Resta comunque il fatto che i risvolti sulla salute sono stati devastanti: lo sviluppo di nuovi farmaci protettivi sarebbe estremamente utile sia in caso di incidenti nucleari sia per i pazienti sottoposti a radioterapia.
Una sostanza simile al resveratrolo - un antiossidante che si trova nel vino rosso, nell'uva e nelle noci - potrebbe svolgere un ruolo protettivo nei confronti dei danni biologici da esposizione alle radiazioni. L’esposizione alle radiazioni come quella del recente incidente giapponese della centrale di Fukushima o in seguito a radioterapia può dare un'ampia gamma di disturbi di diversa gravità e può anche essere letale se avviene in alte dosi: il tema è difficile da affrontare, quindi meglio andare cauti. Si sta attualmente valutando un farmaco contro la malattia da radiazioni che ha però l'inconveniente di essere difficilmente sintetizzabile in grandi quantità. Inoltre è causa di effetti indesiderati che ne impediscono l'uso nei pazienti affetti da cancro: solo il tempo ci darà una risposta definitiva. Per superare queste difficoltà i ricercatori han-
no verificato la possibilità che il resveratrolo potesse svolgere un ruolo protettivo nei confronti del danno da radiazione. Lo studio ha avuto risultati positivi con cellule in coltura, ma non nel modello murino. Sui topi irradiati ha avuto successo invece una sostanza simile, denominata 3,5,4 Tri-Oacetilresveratrolo, che ha il vantaggio di poter essere facilmente prodotta in grandi quantità e di poter essere somministrata per via orale. Il nostro attuale Ministro ha, come prima affermazione, pronunciato le parole NUCLEARE, destando grandi polemiche a livello nazionale. Le prime dichiarazioni del neoministro dell'ambiente Corrado Clini danno subito il via alle polemiche. Clini ha detto che l'Italia "dovrebbe considerare l'energia nucleare" e che la Tav è da fare "assolutamente". Nello specifico sul nucleare, Clini ha detto ai microfoni di Un giorno da pecora su Ra-
dioDue: "Il ritorno al nucleare è un’opzione sulla quale bisognerebbe riflettere molto, anche se quello che è avvenuto in Giappone ha scoraggiato. Comunque, di base, la tecnologia nucleare rimane ancora una delle tecnologie chiave a livello globale". Per il ministro quindi il nucleare è possibile a certe condizioni, "è una tecnologia e bisogna valutarla", ha concluso. Clini, quindi, sostiene che il recupero energetico tramite il nucleare è un passo molto importante per le attuali tecnologie. Non sono molto d’accordo tutti coloro che scrivono nei diversi Forum su Internet. A questo punto: le dichiarazioni di Clini vanno valutate come un passo falso oppure come un chiaro segnale di una politica energetica che sarà attuata in Italia nei prossimi mesi? *Ambienterosa, Consulenze legali ambientali
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Il progetto europeo GREENLAND Gentle remediation of trace element contaminated land: alla ricerca di una soluzione verde per l'inquinamento da metalli pesanti di Giancarlo Renella*
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l suolo sul quale camminiamo, che coltiviamo o funge da base per i più svariati usi ludici e produttivi, è una matrice naturale costituita da fasi solide, liquide e gassose chimicamente molto reattive che si aggregano creando microambienti interconnessi da una rete mirabile di pori. Il suolo ha un ruolo fondamentale negli equilibri ambientali e paradossalmente la sua importanza emerge chiaramente quando questa risorsa è persa a causa di erosione o frane, oppure quando questo diviene improduttivo. Giova sempre ricordare che il suolo è una risorsa naturale non rinnovabile frutto dell’interazione tra clima, organismi viventi e matrice litologica nel tempo. Tra le molteplici funzioni ecologiche del suolo c’è quella di ‘filtro’ nei confronti degli inquinanti organici e inorganici prodotti ed emessi da diverse attività umane; sebbene questi diffondano in tutte le matrici ambientali, presto o tardi si accumulano nel suolo inquinandolo. Nel suolo la maggior parte degli inquinanti organici, anche di sintesi e sebbene altamente tossici, possono essere degradati dai microorganismi in virtù dell’elevatissima diversità biologica e fisiologica delle comunità microbiche, ben riassunte nel principio dell’infallibilità metabolica del suolo, enunciato dal microbiologo americano Alexander. Questa attività porta alla scomparsa totale o quasi degli inquinanti organici dai suoli contaminati. I metalli pesanti e i metalloidi invece non possono essere degradati o modificati dai microorganismi e costituiscono una minaccia permanente
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per la salute di piante e animali e alla biodiversità. I metalli pesanti possono propagarsi dalle aree contaminate a quelle circostanti, alle falde acquifere, nelle catene alimentari, fino ad accumularsi anche nel corpo umano esponendoci a patologie acute e croniche. A partire dalla rivoluzione industriale del secolo XIX, la concentrazione di alcuni metalli pesanti connessi con le principali attività industriali (es. As, Cd, Cu, Ni, Pb, Zn) è aumentata significativamente negli orizzonti superficiali del suolo, mentre la concentrazione di elementi meno coinvolti nei processi industriali quali Co, Mo, Rb, V, Y e Zr non è aumentata significativamente; un aumento importante è legato anche all’uso di fertilizzanti chimici e fanghi di depurazione nell’agricoltura intensiva. Una rappresentazione molto efficace della gravità del problema è stata data dal chimico italiano Stigliani, il quale definì un suolo contaminato una ‘bomba chimica ad orologeria’. Sebbene il problema della contaminazione del suolo sia oggi nelle prime pagine delle agende ambientali dei governi nazionali e di organismi internazionali, l’entità del problema è ancora in fase di definizione. In Italia, uno dei pochi Paesi dell’Unione Europea che ha creato una vera anagrafe dei suoli e siti contaminati, l’Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) ha stimato che le aree contaminate a vario titolo ed entità ammontano a decine di migliaia equivalenti ad oltre il 3% del territorio nazionale.
Il dato, che cade all’incirca nella media dei Paesi che hanno un’anagrafe simile a quella italiana, è una delle eredità dello sviluppo industriale, soprattutto dopo la seconda guerra mondiale, in assenza di un contesto normativo in campo ambientale che, occorre ricordare, ha visto la sua nascita a seguito di gravi emergenze sanitarie e un sviluppo organico alle fine degli anni ’90. Se a prima vista le aree contaminate possono sembrare una quota trascurabile del territorio nazionale, esse rappresentano, per vari aspetti, una realtà preoccupante per i rischi e i costi che impongono alla collettività. Gli aspetti dei rischi per gli ecosistemi e la salute umana legati alla potenziale diffusione degli inquinanti dai siti contaminati verso i corpi idrici e attraverso le catene trofiche sono intuitivi mentre quelli legati ai costi sociali lo sono meno. Infatti, sebbene per la normativa italiana in materia di inquinamento e bonifica, come per quella di altri Paesi, valga il principio fondamentale del “paga chi inquina”, nella maggioranza dei casi reali questo principio, che imputa i costi del recupero ambientale ai responsabili dell’inquinamento, salvo rari casi, è di difficile applicazione. Pertanto, sia l’inquinamento dovuto ad atti criminali che quello dovuto ad attività produttive di aziende dimesse, o in tutti gli altri casi in cui i soggetti responsabili non operino la bonifica, sono gli Enti Pubblici ad intervenire per ridurre i rischi per la salute (es. monitoraggio, contenimento degli inquinanti, interdizione permanente dei siti) e, in accordo con
le più recenti normative, anche allo scopo di ripristinare i luoghi di questi siti orfani. Accanto a questi che potremmo definire ‘costi ambientali diretti’, è oggigiorno doveroso considerare ulteriori costi collettivi associati ai mancati interventi di bonifica che potremmo definire ‘costi ambientali indiretti’ derivanti dalla mancata bonifica; ciò è specialmente vero per l’Italia perché porta alla perdita di territorio utile per lo sviluppo urbanistico e minaccia le colture agricole di pregio, importante fonte di reddito per vaste comunità rurali del nostro paese.
L’abbandono delle aree inquinate comporta sia mancato reddito sia potenziale rischio sanitario nel caso di utilizzo abusivo delle aree interdette; entrambe le situazioni appaiono particolarmente inaccettabili soprattutto nei periodi di grave depressione economica come quello attuale. In questo complesso quadro ambientale, normativo e sociale, è sempre più urgente individuare ed attuare una gestione sostenibile dei siti contaminati, che possa coniugare azzeramento del rischio sanitario ed ecologico e
WP 1 - Valutazione completa della phytoremediation su suoli e siti contaminati da metalli pesanti a scala reale di ampo WP 2 - Valorizzazione economica della biomassa prodotta su suoli sotto phytoremediation e dei servizi ecosistemici WP 3 - Valutazione e armonizzazione dei metodi analitici per la valutazione dell’efficienza della phytoreme diation, in particolare rischio residuale per piante, microorganismi e esseri umani WP 4 - Miglioramento e ottimizzazione delle piante per il loro utilizzo in vari scenari WP 5 - Coinvolgimento di tecnici esperti, consulenti, Aziende, Agenzie Ambientali e delle popolazioni dei vari Paesi nella valutazione complessiva delle varie tecniche di phytoremediation e formulazione di linee guida di intervento.
WP2: Valorizzazione della biomassa vegetale prodotta sui siti contaminati
WP6: Coordinamento e gestione
WP3: Armonizzazione dei metodi per valutare la biodisponibilità dei metalli pesanti e la sostenibilità della phytoremediation
WP1: Gestione sostenibile adattata ai siti contaminati da metalli pesanti e implementazione di diverse opzioni di phytoremediation a scala reale di campo
WP4: selezione di piante e ammendanti per l’ottimizzazione delle varie opzioni di phytoremediation
WP5: stima delle varie opzioni di phytoremediation e preparazione di una guida all’utilizzo ottimale delle stesse
Scambio di informazioni Scambio di materiali
recupero di suoli e siti ad usi produttivi, trovando la maggior parte delle soluzioni in loco evitando il più possibile di ‘trasferire’ il problema nello spazio, ad esempio con lo smaltimento in discarica del suolo contaminato, e nel tempo, procrastinando gli interventi di bonifica. Una tale strategia di gestione dei siti contaminati dovrebbe quindi avvalersi di tecnologie a basso impatto ambientale ma efficaci nel minimizzare il rischio sanitario ed ecologico, economicamente sostenibili, e che godano del più ampio consenso sociale perché in grado di remunerare le comunità circumvicine. La domanda a questo punto è: quale soluzione? Una possibile risposta è il fitorimedio, traduzione del termine inglese ‘phytoremediation’. Con questo termine si indica un complesso di interventi ambientali che si basano sull’utilizzo di piante arboree od erbacee ed ammendanti organici ed inorganici in combinazioni capaci di degradare, assorbire o fissare gli inquinanti in fasi solide immobili e recalcitranti. A seconda dell’effetto prevalente, gli interventi prendono il nome di fitodegradazione, fitoestrazione o fitostabilizzazione. La phytoremediation, sebbene potenzialmente efficace e sostenibile trova ancora un’applicazione molto limitata ad esperienze pilota, non solo in Italia, quanto meno per due motivi fondamentali: la scarsa conoscenza della tecnologia e il suo difficile inquadramento nell'attuale normativa ambientale. Sebbene una discussione approfondita sui vari possibili tipi di phytoremediation esuli dagli scopi di questo articolo, occorre precisare che la maggior parte degli interventi si configurano come una messa in sicurezza operativa attraverso un contenimento degli inquinanti per tempi relativamente lunghi, in seguito all’azione combinata di assorbimento radicale e riduzione dell’erosione. La phytoremediation abbatte il rischio sanitario ed ecologico e la tossicità dei suoli contaminati da metalli pesanti perché riduce la frazione solubile, e a guardare la matrice di screening delle tecnologie di bonifica preparata da Ispra (www.apat.gov.it/site/_files/ Suolo_Territorio/Matrice_tecnologie_ISPRA_ rev03_02_2010.pdf) ha un’efficacia medio alta nei confronti della maggior parte dei metalli pesanti e degli inquinanti organici.
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Il progetto europeo GREENLAND Il progetto è coordinato dall'Università Boku di Vienna e sostenuto dalla Commissione Europea (FP7-KBBE-266124). Il consorzio è formato da 17 partner, tra cui 6 Università di Austria, Belgio, Italia, Polonia, Regno Unito, Svezia, 7 Istituti di ricerca e quattro piccole e medie imprese di Svizzera, Francia, Polonia e Spagna, e vede altresì il coinvolgimento di rappresentanti delle Agenzie per la Protezione dell'Ambiente di Austria, Belgio, Svizzera, Germania, Spagna, Francia, Italia, Polonia, Svezia, Regno Unito in qualità di Advisory Board. Questi scambieranno informazioni con le unità di ricerca al fine di meglio relazionare l’attività di ricerca alle problematiche concrete del territorio, inquadrare i risultati ottenuti nel contesto normativo e identificare le incertezze del quadro legislativo sia a livello Europeo che nazionale sui diversi aspetti studiati nell’ambito del progetto. L'obiettivo complessivo del progetto è rimuovere i principali ostacoli che attualmente ancora non permettono alla phytoremediation di funzionare sempre e aumentarne le possibilità di successo, al fine di rendere questa tecnologia un'opzione accettabile per il ripristino ambientale. Le principali attività nell’ambito del progetto sono riassunte nei workpackage (WP) riportati nel box a lato.
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La necessità di finanziare ulteriori progetti di ricerca in questo settore nasce dal fatto che sebbene i precedenti abbiano fornito indicazioni importanti sulle potenzialità di questa tecnologia d’intervento incluse quelle socio-economiche e la loro integrazione nel sistema decisionale, hanno tutti messo in evidenza diversi aspetti che ostacolano l’utilizzo pratico di questa tecnologia da parte degli Enti preposti e soprattutto per i proprietari dei siti da bonificare. Il progetto Greenland si propone di risolvere i principali problemi legati all’implementazione di pieno campo della phytoremediation attraverso l’analisi di casi studio reali di medio e lungo termine e vari livelli di inquinamento, lo sviluppo di nuove tecnologie per l’utilizzo della biomassa prodotta dalla phytoremediation e una metodologia di coinvolgimento di quanti più soggetti interessati alle problematiche della bonifica. Da questo punto di vista, il progetto è ideale approfondimento di precedenti iniziative supportate da vari programmi europei (es. CLARINET, SUMATECS, COST 613). Partendo dalle più recenti conoscenze disponibili sullo sviluppo e sull’applicazione delle varie opzioni di phytoremediation a casi studio reali, il progetto Greenland punta a perfezionare ulteriormente questa metodologia d’intervento attraverso un approccio multidisciplinare. In Greenland sono stati definiti due principali gruppi di potenziali utilizzatori finali: aziende che sviluppano piante e ammendati, metodologie d’uso e valorizzano la biomassa vegetale prodotta e proprietari interessati od Enti preposti alla bonifica che saranno coinvolti e interpellati dal gruppo di lavoro al fine di meglio comprenderne le esigenze, spesso contrapposte, e contribuire alla formulazione di una guida all’utilizzo ottimale e un sistema di supporto alle decisioni.
Tra gli aspetti tecnici e socio-economici da approfondire nel progetto si annoverano la necessità di definire degli indicatori chimici ed ecologici affidabili di efficienza della tecnologia e dell’abbattimento del rischio, il potenziale ritorno derivante dall’utilizzo di biomasse rinnovabili, l’incremento del valore delle aree recuperate, l’impiego di scorie metallurgiche (es. Thomas, Linz-Donavitz), fly ashes, nanoparticelle, compost, il potenziale conseguimento della ‘carbon neutrality’, tutti fattori che possono concorrere a sostegno delle decisioni. Indirettamente, vista la peculiare composizione del consorzio, il progetto fornirà anche un modello di possibile ‘filiera’ del fitorimedio basata sul trasferimento tecnologico tra accademia, imprese ed agenzie. Giova ricordare che in accordo con la Direttiva 2008/98/EC, la biomassa vegetale è da considerarsi ‘scoria tossica’ se contiene sostanze tossiche, mutageniche o carcinogeniche in concentrazione superiore allo 0,1%. Inoltre, il quadro normativo sulle possibilità di produzione di biomassa su suoli e siti contaminati non è chiaro né a livello nazionale né europeo. Concludendo, sebbene sia ampiamente dimostrato che la phytoremediation consenta la conservazione e la rivegetazione di suoli e siti contaminati a costi sostenibili, la riattivazione dei servizi eco sistemici e la valorizzazione delle aree contaminate attraverso la produzione di biomassa con interventi sito-specifici, intorno a questo approccio di gestione sostenibile di suoli e siti contaminati vi è ancora un generale scetticismo anche legato alle incertezze nelle normative nazionali ambientali. Al fine di rendere questa tecnologia alternativa allo smaltimento in discarica occorre che Greenland ne chiarisca le potenzialità attraverso la valutazione ponderata del rischio residuale e della sostenibilità, coniugando verde e sicuro, eco con equo, necessità e consenso. Le informazioni prodotte dal progetto Greenland sono accessibili al sito web del progetto www.greenland-project.eu. *Dipartimento di Scienze delle Produzioni Vegetali, del Suolo e dell'Ambiente Agroforestale, Università degli studi di Firenze
23-25 maggio 2012
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Rapporto RIFIUTI 2011: L’ITALIA IN LENTO MIGLIORAMENTO Si producono meno rifiuti e aumenta la raccolta differenziata. Ogni cittadino però spende il 5% in più rispetto al 2007 di Tina Corleto
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gni anno il Rapporto Rifiuti presenta un quadro completo in termini di produzione e gestione dei rifiuti urbani sul territorio nazionale. È il risultato di una complessa attività svolta dall'Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA) di raccolta, organizzazione, analisi ed elaborazione dei dati forniti dalle Autorità pubbliche locali. Un tale lavoro, aggiornato periodicamente, offre una panoramica completa nel settore rifiuti, a cui tutti possono accedere gratuitamente per conoscere l'evoluzione concreta di una tematica attuale e di interesse generale. Qui si riportano alcuni dati tratti dal Rapporto Rifiuti pubblicato nel 2011, che raccoglie le informazioni aggiornate fino al 2009, da cui si possono trarre alcuni interessanti spunti di riflessione.
Produzione rifiuti Il primo importante dato fornito dal Rapporto Rifiuti è che nel 2009 si è prodotto l'1% in meno di rifiuti urbani rispetto al 2008 (-1,6% al Centro, -1,4% al Nord e -0,4% al Sud). Tale diminuzione, deduce l’ISPRA, è certamente associata al calo dei consumi, connessa alla crisi economica, alla diminuzione del PIL e alla minore spesa delle famiglie (fig. 1). A tali aspetti socio-economici, d'altra parte, va però associata anche la spinta a carattere nazionale alla riduzione della produzione dei rifiuti. Tanto per fare un esempio, si sono diffusi in Italia i sistemi di erogazione alla spina, i contenitori a rendere, gli imballaggi riutilizzabili ecc., tutte misure preventive che comportano un minor quantitativo di scarti. Applicando il dato al singolo individuo, la produzione pro-capite mostra una riduzione, tra il
Figura 1. Relazione tra indicatori socio economici e produzione di rifiuti urbani (Fonte ISPRA, dati degli indicatori socio economici ISTAT)
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2008 e il 2009, di circa 9 kg di rifiuti per abitante per anno; tale dato conduce a una riduzione complessiva pro-capite, rispetto al 2006, di ben 18 kg di RSU (fig. 2)! Il Centro continua a presentare i maggiori valori di produzione, con circa 604 kg per abitante all’anno nel 2009, a fronte di valori notevolmente inferiori in alcune Regioni del Mezzogiorno, quali la Basilicata (382 kg/abitante per anno), il Molise (426 kg/abitante per anno), la Campania (467 kg/abitante per anno) e la Calabria (470 kg/abitante per anno).
Raccolta differenziata Nel 2009 la raccolta differenziata dei rifiuti urbani ha raggiunto il 33,6% della produzione totale, rispetto al 30,6% del 2008, superando per la prima volta i 10 milioni di tonnellate.
Figura 2. Andamento della produzione pro capite dei rifiuti urbani per macroarea geografica, anni 2002 - 2009 (Fonte ISPRA)
Figura 3. Andamento della percentuale di raccolta differenziata dei rifiuti urbani, anni 2005-2009 (Fonte ISPRA)
Benché il trend sia positivo, non basta tuttavia a raggiungere l'obiettivo fissato per il 31 dicembre 2008 nel D.Lgs. 152/06 e nella legge n. 296 del 27/12/2006 che puntavano a differenziare il 45% dei rifiuti totali. La situazione, in realtà, appare notevolmente diversificata per macroaree geografiche: il Nord Italia vanta nel 2009 una percentuale di differenziata pari al 48%, mentre il Centro e il Sud si attestano solamente al 24,9% e 19,1% rispettivamente (fig. 3). Nel 2009 la media nazionale di raccolta differenziata pro-capite è risultata pari a circa 179 kg per abitante all’anno, con valori di circa 255 kg al Nord, 150 kg al Centro e 94 kg al Sud. Quanto alle singole frazioni separate, tra il 2007 e il 2009 risulta un aumento del 28,7% della raccolta dell'organico, mentre la frazione cellulosica mostra una sostanziale stabilità di risultato rispetto al 2008. Nel 2009 si è differenziato il vetro con una percentuale superiore del 13,8% rispetto a quella dell'anno precedente, mentre un incremento di oltre il 6% si registra anche nella differenziazione della plastica. Un dato importante è quello rappresentato dai rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE) che sono stati separati il 38% in più rispetto al 2008, con un valore assoluto superiore alle 60 mila tonnellate. Complessivamente, a livello nazionale, sono state raccolte nel 2009 quasi 217 mila tonnellate di RAEE.
L a gestione dei rifiuti Il D.Lgs. 205/10, che recepisce le indicazioni europee, stabilisce che nella gestione dei rifiuti sia da prediligere la prevenzione, seguita dal
Figura 4. Ripartizione percentuale della gestione dei rifiuti urbani, anno 2009 (Fonte ISPRA)
riutilizzo, dal riciclaggio e dal recupero di energia. Lo smaltimento in discarica e l'incenerimento rappresenterebbero l'ultima alternativa praticabile. L'analisi dei dati relativi al 2009 mostra però che la discarica costituisce ancora la forma di gestione più diffusa, costituendo il 40,6% del destino dei rifiuti a livello nazionale. Della rimanente parte, il 20,1% dei rifiuti viene avviato a trattamenti di tipo meccanico biologico, il 16,7% a riciclaggio e il 12,1% ad incenerimento (fig. 4). È anche vero, d’altra parte, che lo smaltimento in discarica diminuisce del 4% rispetto al 2008 e che aumentano i quantitativi di rifiuti avviati alle diverse forme di recupero di materia (compostaggio e altro). Quanto ai costi di gestione, nel 2008 i rifiuti sono costati in media agli italiani 138,22 euro a persona, con nette differenze tra grandi comuni con più di 50 mila abitanti (che pagano 158,43 euro pro capite) e centri al di sotto dei 5 mila abitanti (che spendono 100,80 euro a persona). In media la spesa per gestire i rifiuti urbani è cresciuta del 5,1% rispetto al 2007. La ripartizione dei costi è la seguente: il 44,3% è imputabile alla gestione dei rifiuti indifferenziati, il 20,2% alla gestione delle raccolte differenziate, il 14,8% allo spazzamento e lavaggio delle strade e la rimanente percentuale ai costi generali del servizio. I costi medi di gestione per kg di rifiuto ammontano a 17,44 eurocentesimi/kg per la gestione dei rifiuti indifferenziati e a 14,00 eurocentesimi/ kg per la gestione della frazione differenziata, di poco superiori ai valori calcolati per il 2007.
Il compostaggio e il trattamento meccanico biologico
Le azioni prioritarie per migliorare la gestione dei rifiuti organici sono elencate nella Comunicazione della Commissione Europea del maggio 2010, che prevede per l’Italia entro il 2018 la riduzione dello smaltimento in discarica dei rifiuti biodegradabili del 35% rispetto al 1995 (direttiva 99/31/CE). Il compostaggio mostra incrementi, non solo rispetto al totale dei rifiuti trattati (+9,7% rispetto all’anno 2008), ma soprattutto riguardo alla quantità di frazione organica da raccolta differenziata che cresce di oltre 10 punti percentuali. Grazie al maggior impegno nello sviluppo della raccolta differenziata, il settore evidenzia importanti progressi soprattutto nelle aree del Centro e del Sud del Paese. Al Centro, Lazio (+46%) ed Umbria (+27%) realizzano gli incrementi maggiori rispetto al 2008. Al Sud la frazione organica dei rifiuti urbani avviata a compostaggio denota un aumento del 36%: il trend positivo si riscontra in tutte le regioni, soprattutto in Sardegna (+66%), Molise (+61,7%) e Puglia (+42,8%). Fa eccezione la regione Campania dove si riscontra una diminuzione del 39,6%. Al Nord rimangono costanti gli incrementi della frazione organica da RU avviata a compostaggio (tre punti percentuali in più rispetto al 2008). Il quantitativo complessivo di compost prodotto nel 2009, pari ad 1,34 milioni di tonnellate, evidenzia, rispetto al precedente anno, un incremento del 6,8%. Il costante sviluppo del settore è dimostrato
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L'europa Secondo i dati messi a disposizione da Eurostat, nel 2009 i 27 Stati membri dell’Unione europea hanno prodotto circa 256 milioni di tonnellate di rifiuti urbani, circa 3,1 milioni di tonnellate in meno (-1,2%) rispetto al 2008. I valori della produzione procapite dei rifiuti urbani mostrano una notevole eterogeneità: si passa da circa 316 kg per abitante/anno, rilevati in Polonia e Repubblica Ceca, a quelli più elevati registrati in Danimarca (831 kg per abitante/anno) e a Cipro (775 kg per abitante/anno). Il valore procapite riferito all’UE 27 è di circa 512 kg/abitante per anno (in Italia, 532 kg/abitante per anno). I dati relativi alla gestione confermano il costante ma moderato trend di diminuzione del ricorso alla discarica; nello specifico nel 2009 circa il 38% dei rifiuti urbani gestiti negli Stati membri è smaltito in discarica, il 20% è avviato ad incenerimento, mentre il 24% ed il 18% sono, rispettivamente, avviati a riciclaggio e compostaggio. Lo smaltimento in discarica interessa ancora numerosi Stati membri, in particolare quelli di più recente accesso, mentre Germania, Austria, Paesi Bassi, Svezia, Danimarca e Belgio (più di un quarto della popolazione europea) smaltiscono in discarica quote inferiori al 10% dei propri rifiuti urbani. I dati evidenziano una situazione molto eterogenea tra i diversi Paesi dell’Unione anche riguardo all’incenerimento di rifiuti urbani, maggiormente utilizzato negli Stati dell’Europa centro settentrionale, in particolare Belgio, Austria, Francia, Germania e Paesi Bassi, ma con la massima espansione in Svezia (234 kg/abitante per anno nel 2009), Lussemburgo (252 kg/abitante per anno) e Danimarca (399 kg/abitante per anno). In vari Stati membri, quali Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Irlanda, Slovenia, Ungheria e Spagna vengono incenerite quantità molto basse di rifiuti.
anche dal numero di impianti operativi presenti che passano dai 229 del 2008 ai 236 del 2009. Il trattamento meccanico biologico evidenzia, invece, nell’ultimo biennio, una flessione nei quantitativi trattati che, relativamente all’anno 2009, interessa tutte le aree del Paese. Il numero di impianti operativi, pari a 117, diminuisce, rispetto all’anno 2008, di quattro unità.
Smaltimento pro capite dei RU in discarica nell'UE, anno 2009 in kg/abitante per anno (Fonte: elaborazioni ISPRA su dati Eurostat)
gressivamente aumentato negli anni, passando da circa 1,6 milioni di tonnellate nel 1996 a 4,6 milioni di tonnellate nel 2009. Gli impianti di incenerimento dotati di sistemi di recupero energetico elettrico hanno trattato 3,1 milioni di tonnellate di rifiuti, recuperando oltre 1,9 milioni di MWh di energia elettrica. È importante considerare che, laddove sul territorio nazionale esiste un ciclo integrato dei L’incenerimento rifiuti vi è la presenza di modalità di gestione L’incenerimento dei rifiuti urbani interessa il diversificate, che comportano un parco im12,1% dei rifiuti gestiti a livello nazionale, fa- piantistico sviluppato e dunque un modesto ricendo registrare rispetto al 2008 un incremento corso alla discarica; è il caso della Lombardia, percentuale dell’11,3%. Nel 2009 gli impianti di che conferisce in discarica solo il 5% dei RU e incenerimento operativi sul territorio nazionale CDR raccolti e raggiunge valori del 35,5% per erano pari a 49 unità, di cui il 57% al Nord (13 la raccolta differenziata, del 32% per il recupeimpianti in Lombardia e 8 in Emilia Romagna). ro di materia ed invia oltre il 39% ad inceneriIl quantitativo di rifiuti urbani e di CDR (Combu- mento. Il Trentino Alto Adige, poi, raggiunge il stibile Da Rifiuti) avviati a incenerimento è pro- 58% di raccolta differenziata, il 52% di recupero di materia, l’8% di compostaggio e conferisce in discarica il 26% dei RU e CDR. In altre Regioni, il quadro impiantistico non è altrettanto adeguato: i rifiuti urbani avviati a discarica in Sicilia ammontano all’88% del totale gestito, in Liguria oltre il Figura 5. Ripartizione percentuale della gestione dei rifiuti urbani, anno 2009 69% (fig. 5). (Fonte ISPRA)
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Tali dati evidenziano la necessità di promuovere in molte aree del territorio la creazione di un ciclo industriale di gestione dei rifiuti.
Lo smaltimento in discarica Il numero di discariche per rifiuti non pericolosi che hanno smaltito RU nel 2009 ammonta a 224, ossia 20 in meno rispetto al 2008. La tendenza a chiudere è necessariamente quella delle discariche di piccole dimensioni a vantaggio di grandi impianti a servizio di aree geografiche più estese. Le discariche più grandi sono spesso dotate di sistemi di pretrattamento dei rifiuti in entrata e si configurano sempre di più come strutture complesse aventi impianti di recupero del biogas e di trattamento del percolato. Rispetto al 2003, anno di entrata in vigore del D.Lgs. 36/03, risultano chiusi ben 250 impianti di cui l’83% al Sud Italia. La minore quantità di rifiuti urbani smaltiti in discarica va di pari passo con l’aumento di raccolta differenziata, oltre che alla riduzione dei consumi delle famiglie a causa della crisi economica registrata nello stesso periodo. La riduzione più consistente (17,4%) di ricorso alla discarica si registra in Emilia Romagna, con un incremento del 15,5% di rifiuti inceneriti. Rimane comunque la Lombardia la Regione che ricorre meno alla discarica (7%), mentre il Lazio smaltisce in tal modo l’80% dei rifiuti prodotti.
5 - 7 giugno 2012
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Descrizione e validazione del nuovo software di analisi di rischio Risk-net A partire dal mese di marzo il programma sarà distribuito gratuitamente dal sito della rete Reconnet nel cui ambito è stato sviluppato di R. Baciocchi a, S. Berardi b, A. Forni c, A. Sconocchia d, A. Traversa e, I. Verginelli a e I. Villani f
L
'analisi di rischio sanitaria viene attualmente utilizzata come strumento di supporto per la gestione dei siti contaminati, mediante una stima quantitativa del rischio per la salute umana connesso alla presenza di inquinanti nelle diverse matrici ambientali. In Italia l’Analisi di Rischio (AdR) è stata introdotta dal D.M. 471/99, sebbene limitata e finalizzata alla sola verifica dell’accettabilità di eventuali concentrazioni residuali. Il D.Lgs. 152/06, successivamente modificato con il D.Lgs. 04/2008, ha costituito un netto passaggio dall’approccio di tipo tabellare ad uno basato sull’analisi di rischio sito-specifica. La principale innovazione rispetto al precedente strumento di legge è stata l’introduzione delle Concentrazioni Soglia di Rischio (CSR), ossia dei livelli di contaminazione massimi ammissibili da determinare mediante l’applicazione della procedura di AdR. La procedura di riferimento più largamente adottata per l’applicazione dell’analisi del rischio ai siti contaminati è quella definita nello standard ASTM-E2081-00, che applica l’approccio RBCA (Risk-Based Corrective Actions) ai siti interessati dal rilascio di contaminanti. A livello nazionale, i criteri metodologici dell’APAT-ISPRA (2008) costituiscono il documento di riferimento per l’applicazione dell’AdR, implementando la procedura
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RBCA adeguandola a quanto previsto dalla normativa vigente. Per l’applicazione della procedura di AdR sono disponibili diversi software applicativi. I più utilizzati in ambito nazionale sono: RBCA Tool Kit, BP-RISC e GIUDITTA. Tuttavia, così come evidenziato nel documento APATISPRA (2008), tali software non permettono di applicare integralmente la procedura di Analisi di Rischio definita nelle linee guida. Tale mancanza ha costituito la principale motivazione che ha portato alla realizzazione del software di analisi di rischio “Risk-net”, elaborato dal Dipartimento di Ingegneria Civile
dell’Università di Roma “Tor Vergata” e sviluppato nell’ambito della rete Reconnet (Rete Nazionale sulla gestione e la Bonifica dei Siti Contaminati, www.reconnet.net). Il presente lavoro fornisce una descrizione delle caratteristiche e delle principali peculiarità del software ed i principali risultati dell'attività di validazione condotta dal gruppo di lavoro costituito nell’ambito della rete Reconnet.
Il soft ware Risk-net Risk-net permette di applicare la procedura di AdR in modalità diretta (“Forward”), ossia calcolando il rischio associato alla concentrazio-
ne rilevata in sorgente, e in modalità indiretta (“Backward”), stimando le concentrazioni soglia di rischio (CSR). Nello specifico, per ogni percorso di esposizione attivato dall’utente vengono calcolate, attraverso i modelli analitici di trasporto descritti nelle linee guida APAT-ISPRA (2008), le concentrazioni massime attese in condizioni stazionarie al punto di esposizione. Tali modelli tengono conto della ripartizione dei contaminanti nelle diverse fasi del suolo e dell’attenuazione subita durante la migrazione dalla sorgente al punto di esposizione. Successivamente, sulla base dei parametri di esposizione definiti dall’utente, viene calcolata la dose giornaliera che ogni recettore assume per ciascuna via di esposizione sele-
Caratteristiche e peculiarità del soft ware Risk-net • Implementa integralmente la procedura APAT-ISPRA (2008) • Implementa la banca dati ISS-ISPESL (2009) • Interfaccia semplice e immediata • Parametri di default APAT-ISPRA (2008) precaricati • Richiesti solo parametri effettivamente utilizzati nel calcolo • Controlli su errori di tipo concettuale o numerico • Visualizzati tutti i parametri e i criteri modificati rispetto alle linee guida APAT-ISPRA (2008) • Visualizzazione output intermedi (fattori di trasporto, concentrazioni al punto di esposizione, etc.) • Possibilità di attivare contemporaneamente diversi recettori on-site e off-site • Possibilità di inserire concentrazioni del soilgas • Calcolo obiettivi di bonifica per gli idrocarburi (C>12, C<12 e Totali, Classificazione MADEP) • Valutazioni sulla mobilità della fase separata (prodotto libero) • Valutazioni sulla ripartizione dei contaminanti nelle diverse fasi del suolo • Valutazioni sulla velocità di infiltrazione (modello di Green-Ampt) • Valutazioni sull’evoluzione spazio-temporale della contaminazione in falda
zionata. Tali dosi, combinate con i corrispondenti parametri tossicologici, sono utilizzate nel calcolo del rischio e delle concentrazioni soglia di rischio (CSR) per ogni contaminante e percorso attivo. Successivamente, per ciascun contaminante vengono cumulati, in accordo con quanto previsto dalle linee guida APAT-ISPRA (2008), gli effetti legati alla presenza di più vie di esposizione attive e vengono calcolate le CSR e i rischi individuali (legati alla singola sostanza) e cumulati (derivanti dalla presenza di più sostanze). Il programma utilizza una semplice interfaccia grafica attraverso la quale l’utente può seguire i diversi step per la compilazione dei dati di input e la visualizzazione degli output. Per accelerare il processo di compilazione vengono richiesti esclusivamente i dati effettivamente utilizzati nel calcolo in funzione del modello concettuale definito dall’utente. Alcuni controlli permettono inoltre di gestire la presenza di errori di tipo concettuale e numerico. Oltre ai risultati restituiti in termini di rischio (per la salute umana e per la risorsa idrica) e di CSR, vengono inoltre visualizzati gli output intermedi, permettendo all’utente, in fase di verifica, di valutare in maniera più critica i risultati ottenuti. Le principali peculiarità che contraddistinguono Risk-net rispetto agli altri software dispo-
nibili in commercio riguardano la possibilità di utilizzare il programma per effettuare delle analisi inerenti la valutazione della mobilità del prodotto libero nel sottosuolo, l’individuazione e la visualizzazione della ripartizione dei contaminanti nelle diverse fasi del suolo (saturo e insaturo), la presenza di bersagli differenti all’interno (on-site) o in prossimità del sito (offsite), l’evoluzione spazio-temporale della contaminazione in falda e il calcolo delle CSR per gli idrocarburi (Idrocarburi C<12, Idrocarburi C>12 e Idrocarburi Totali) in funzione delle diverse classi MADEP individuate. La flessibilità dello strumento sviluppato permette inoltre di applicare l’Analisi di Rischio anche in siti in cui sussistono procedure attive ai sensi della normativa precedente (D.M. 471/99).
Validazione del Soft ware Prima di procedere alla prima release, prevista a marzo 2012, il software Risk-net è stato distribuito in versione di valutazione e sottoposto ad una prima validazione da parte di alcuni membri della rete Reconnet, applicando alcune specifiche metodologie al fine di verificare la correttezza del modello, l’individuazione di eventuali errori di implementazione e la verifica della funzionalità del sistema. In tabella sono sinteticamente descritte
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le diverse analisi effettuate e il relativo esito. Per quanto concerne la verifica della correttezza funzionale del sistema è stato effettuato un confronto degli output di Risk-net con quelli di software già esistenti e comunemente utilizzati a livello nazionale. In particolare sono stati selezionati RBCA Tool Kit for Chemical Releases ver. 2.5 (della Groundwater Services, Inc.) e il software GIUDITTA ver 3.1 (sviluppato dalla Provincia di Milano e dalla URS S.p.A). Il confronto ha visto l’applicazione dei suddetti modelli su 9 distinti casi studio, estrapolati da situazioni reali. Per permettere il confronto tra i diversi software sono stati resi omogenei tutti i parametri di input. Riguardo le proprietà chimico-fisiche e tos-
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sicologiche degli inquinanti indicatori sono stati utilizzati i valori contenuti nella Banca dati ISS-ISPESL (Maggio 2009). In tale ambito è inoltre necessario tener conto del fatto che i due software sopra elencati, RBCA Tool Kit e Giuditta, non rispecchiano esattamente quanto riportato nelle linee guida APAT-ISPRA (2008), non solo in termini di parametri di input proposti quali default, ma anche in relazione alle equazioni analitiche e alle formule adottate per i calcoli. Quindi per rendere possibile il confronto sono state attivate, per i vari software, specifiche opzioni in modo da utilizzare gli stessi criteri di calcolo. In figura sono stati estrapolati alcuni dei risultati ottenuti.
Nello specifico i diversi confronti effettuati hanno permesso di constatare che: • riguardo alle modalità di esposizione “contatto dermico” e “ingestione di suolo” i risultati dei tre software sono perfettamente coincidenti; • riguardo alle modalità di esposizione “inalazione di vapori indoor” e “inalazione di vapori outdoor” da suolo o falda è emerso che: • i risultati di Risk-net e RBCA Tool Kit sono perfettamente coincidenti; • i risultati di Risk-net e Giuditta invece evidenziano delle leggere differenze che però possono essere considerate accettabili (variazioni in termini di rapporto tra gli output dei due software compresi tra 0.9 e 1.1); • riguardo al rischio per la risorsa idrica sotterranea, risulta che: • i risultati di Risk-net e RBCA Tool Kit sono perfettamente coincidenti; • i risultati di Risk-net e Giuditta invece evidenziano alcune differenze che, in termini di rapporto oscillano tra 0,5 e 2,5 (la ragione di tali differenze non è risultata facilmente identificabile, principalmente a causa dell’impossibilità di visionare gli output intermedi di Giuditta).
Il software Risk-net (versione 1.0) e il relativo manuale d’uso sono scaricabili gratuitamente, a partire da marzo 2012, dal sito della rete Reconnet (www.reconnet.net), unitamente al documento di validazione prodotto dalla rete, nel quale viene riportato un esame più dettagliato del processo di validazione del software.
BIBLIOGRAFIA [1] APAT-ISPRA (2008) “Criteri metodologici per l’applicazione dell’analisi assoluta di rischio ai siti contaminati”, rev. 2. [2] ASTM (2000) "Standard Guide for Risk-Based Corrective Action", Designation: E-2081-00. [3] D.Lgs. 04/08 (2008) "Ulteriori disposizioni correttive ed integrative del decreto legislativo
3 aprile 2006, n. 152, recante norme in materia ambientale", Pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 24 del 29 Gennaio 2008, Supplemento Ordinario n. 24. [4] D.Lgs. 152/06 (2006) "Norme in materia ambientale", Pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 88 del 14 Aprile 2006, Supplemento Ordinario n.9 6. [5] Groundwater Service Inc. (2009) “RBCA Tool Kit for chemical releases ver. 2.5”, Houston (TX), GSI (Groundwater Service Inc.). [6] ISS-ISPESL (2009) “Banca dati ISS/ISPESL. Proprietà chimico-fisiche e tossicologiche dei contaminanti”, aggiornata a maggio del 2009. [7] Provincia di Milano, URS Italia (2008) “GIUDITTA. Gestione Informatizzata DI Tollerabilità Ambientale”, vers. 3.2: www.provincia.milano.it. [8] Reconnet (2012) “Software per l’Analisi di Rischio applicata ai siti contaminati”, Disponibile gratuitamente all'indirizzo: www.reconnet.net. [9] Reconnet (2012) “Validazione del software Risk-net”, Documento disponibile su sito internet www.reconnet.net.
(a) Università di Roma “Tor Vergata” (b) INAIL (c) SGM Ingegneria s.r.l. (d) ARPA Umbria (e) ARPA Lazio (f) Provincia di Ferrara Gli autori sono tutti membri della rete Reconnet analisi Verifica del modello e delle equazioni governanti
obiettivo Valutare l’adeguatezza del modello e delle equazioni governanti a rappresentare il sistema che deve essere simulato.
esito Risk-net ricalca il modello concettuale del sito e le equazioni descritte nel documento APAT-ISPRA (2008). Il software restituisce valori coerenti rispetto
Individuazione di errori di implementazione
Tale attività è stata finalizzata all’individuazione
alle equazioni di riferimento selezionate. In tale
di eventuali difetti originati nell’implementazione
fase è stato inoltre verificato che il software
delle diverse equazioni selezionate.
restituisse gli stessi output, in termini di CSR, definiti nello standard RBCA ASTM E2081-00.
Controllo con altre soluzioni
Valutare la correttezza funzionale del sistema
I risultati ottenuti hanno evidenziato un’alta coerenza tra
mediante un confronto degli output di Risk-net con
i diversi software analizzati (in particolare con l’RBCA
quelli di software comunemente utilizzati a livello
Tool Kit). Per tale confronto sono stati resi omogenei
nazionale (RBCA Tool Kit v. 2.5 e Giuditta v.3.1).
tutti i parametri di input e le diverse opzioni di calcolo.
Valutazione sulla facilità d’uso del
processo di inserimento dei dati risulta lineare. La
prodotto da parte dell’utente finale.
possibilità di visualizzare gli output intermedi permette
Il software risulta di immediata interpretazione e il Controllo dell’usabilità
di valutare in maniera più critica i risultati ottenuti.
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Restituire nuova vita ai materiali di scarto Sabbia e ghiaia da terre contaminate e spazzatura stradale, ferro e metalli dai rottami e dal car fluff: Tutto possibile con le innovative tecnologie di Decca Impianti di Francesco Moreschi*
D
al 1986 la Decca Impianti di Gussago (BS) progetta e realizza impianti per cave, miniere e industrie ad elevata tecnologia finalizzati alla trasformazione di materiali diversi, quali inerti di cava, di demolizioni edili, di scavo, metalli diversi, scarti industriali, rifiuti urbani e materiali contaminati. Dall’esperienza maturata nell’ambito della selezione dei più svariati tipi di materiale di scarto, nascono i primi impianti di soil-washing per il recupero e la bonifica di suoli e materiali contaminati; successivamente, sfruttando un processo simile, hanno origine i primi impianti per il trattamento e il recupero di sabbie e ghiaie dalla spazzatura stradale municipale. L’innovativa tecnologia di questi impianti, ampiamente documentata e sperimentata, consente una gestione di eccellente valenza economica.
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Sulla base delle esperienze precedenti, la qualità dei prodotti ottenuti, il ridottissimo impatto ambientale e la conformità alle norme di sicurezza di questi impianti sono referenze basilari per incontrare il parere favorevole degli enti preposti alle concessioni di esercizio. In poche parole, con costi minimi di lavorazione, dopo il processo di lavaggio e di selezione, si ottengono i seguenti prodotti interamente riciclabili: • 70-80% di ghiaie e sabbie per impiego edilizio; • 5-10% di frazioni organiche trasformabili in compost. Solo il 15-20% del prodotto immesso finisce in discarica, il resto viene totalmente recuperato. Il prodotto contaminato in entrata infatti subisce un processo di lavaggio meccanico a cui segue una selezione granulometrica dei materiali lavati e in ultimo un trattamento chimico-fisico della torbida con ricircolo delle acque di lavaggio. I materiali con granulometria superiore a 0,063 mm (sabbie e ghiaie) vengono avviati al recupero; la parte minima rimanente di particelle con dimensioni inferiori a 0,063 mm (limo, argille e sostanze organiche perfettamente disidratate) contiene un'alta concentrazione di contaminanti: tali rifiuti di peso ridottissimo possono essere avviati al riutilizzo in fornace e/o cementerie oppure avviati allo smaltimento definitivo nei siti autorizzati.
Il soil-washing può trattare una grande varietà di contaminanti: benzene, toluene, xilene, etilbenzene, idrocarburi clorurati, oli minerali, fenoli, idrocarburi policiclici aromatici, policlorobifenili, diossine, cianuri e metalli pesanti. L’impianto è assolutamente flessibile nella sua gestione per consentire di adattare i trattamenti alle caratteristiche dei materiali in ingresso. Per quanto concerne invece la cernita ed il recupero dei metalli ferrosi e non ferrosi dai rottami e dai materiali di scarto, un impianto pilota, unico nel suo genere, si trova a Terlizzi, in provincia di Bari e i risultati sono sorprendenti. La Decca Impianti, su espressa richiesta del cliente, ha progettato e realizzato nel 2010 questo nuovo impianto per il trattamento del car fluff, un rifiuto proveniente dalla demolizione dei veicoli a motore, costituito da materiali metallici, ferrosi e non, da plastica, gomma, vetro, fibre tessili, carta, cartone e vernici. Esso rappresenta circa il 25-30% del peso totale dell'intero veicolo. Questo materiale contiene ancora una discreta quantità di metalli ferrosi e non ferrosi e merita pertanto di essere avviato al trattamento, soprattutto quando si parla di grandi quantità e quando le autorità ne obbligano lo smaltimento, come per il caso del cliente barese. Cuore dell’impianto è uno speciale vaglio rotante che riceve car fluff con pezzatura max di 300 mm, in grado di disgregare il materiale in ingresso frazionandolo in 3 classi granulometriche.
BONIFICHE AMBIENTALI INNOVAZIONE E BIOTECNOLOGIE Indagini preliminari Piani di caratterizzazione Analisi di rischio Studi di fattibilità Interventi di bonifica terreni C
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Interventi di bonifica acque
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CM
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ISCRITTA ALL'ALBO NAZIONALE GESTORI AMBIENTALI CAT. 9-BONIFICA SITI
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A completamento dell’impianto nastri trasportatori, canali vibranti, separatori e cernitrici di metalli che restituiscono prodotti riciclabili di eccellente qualità da destinare alle acciaierie o alle imprese che trattano tali materiali. A seguito del trattamento, i prodotti separati così ottenuti sono i seguenti: 1. materiale ferroso puro con pezzatura fine; 2. materiale magnetico di scarto con pezzatura fine; 3. materiale inerte con pezzatura fine; 4. metalli non ferrosi con pezzatura fine; 5. materiale ferroso puro con pezzatura media; 6. materiale inerte con pezzatura media; 7. metalli non ferrosi con pezzatura media; 8. materiale ferroso puro con pezzatura grossolana; 9. materiale inerte con pezzatura grossolana; 10. metalli non ferrosi con pezzatura grossolana. Il materiale ferroso puro e i metalli non ferrosi (costituiti da inox, ottone, alluminio, rame, etc.) così separati possono essere destinati al recupero, mentre il materiale magnetico di scarto e quello inerte vengono conferiti in discarica. Una tecnologia similare, ma sempre adattata alle specifiche esigenze della clientela, vale anche nell’ambito del recupero e della cernita dei vari tipi di metalli dal rottame. I riconosciuti benefici economici sono solo una delle tante motivazioni che spingono sempre più aziende ad investire nell’ambito dell’ambiente e dei rottami. K
*Decca s.r.l.
GIO.ECO s.r.l. Via L. Da Vinci,13 - 20090 Segrate (MI) Tel +39.02.2132113 r.a. - Fax +39.02.2133826 info@gioecosrl.it - www.gioecosrl.it Sede di Rappresentanza:
Torre Velasca - Piazza Velasca, 5 - 20122 Milano
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pa n or a m a a z i e n d e
Anche una lampadina spenta può dare luce a una nuova idea Ecco come è nata Relight, una piattaforma per il trattamento dei RAEE in provincia di milano, e come sta crescendo grazie anche al contributo di Forrec di Maria Beatrice Celino
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lle porte di Milano, a Rho per la precisione, ha sede Relight, un impianto autorizzato per le attività di stoccaggio, recupero e smaltimento di rifiuti speciali, pericolosi e non, prevalentemente appartenenti alla categoria delle apparecchiature elettriche ed elettroniche. Nato per il recupero delle lampade a fluorescenza e grazie allo spirito di iniziativa dell’im-
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prenditrice che l’ha creato, questo impianto è stato di recente implementato con l’aggiunta di una linea dedicata al trattamento dei RAEE (raggruppamenti R2 e R4) realizzato “su misura” da Forrec. Abbiamo visitato il variopinto impianto e ci siamo fatti raccontare da Bibiana Ferrari, AD di Relight, come è nata l’idea di investire nel settore dei RAEE e quali le prospettive per un’azienda come Relight.
Entrando poi nel merito delle tecnologie nate dall’esperienza di Forrec abbiamo intervistato Marco Zoccarato, Amministratore di Forrec, per farci illustrare quali sono le caratteristiche di questo impianto e quali i punti di forza di un’azienda che vanta una completa conoscenza delle svariate problematiche legate al trattamento di rifiuti particolari come frigoriferi, pneumatici, CDR e RAEE appunto.
Bibiana Ferrari Amministratore Delegato di Relight
Marco Zoccarato, Amministratore Delegato di Forrec
Come è iniziata la sua avventura in questo settore? In questo settore ci sono arrivata per caso, ho iniziato 25 anni fa ad occuparmi di rifiuti e da allora non ho più smesso finché negli anni 90 sono passata dall’essere dipendente al fare l’imprenditrice. Nell’azienda in cui lavoravo avevo iniziato ad occuparmi di un progetto di ricerca e sviluppo per il recupero delle lampade a fluorescenza e ad un certo punto, essendo venuto a mancare uno dei due attori
Quali sono le fasi di trattamento previste nell’impianto che avete realizzato per Relight? L’impianto è studiato, progettato e realizzato per trattare una serie di apparecchiature elettriche ed elettroniche, principalmente R2 e R4 ed in piccola parte R3 ma quest’ultimo raggruppamento solo per quanto riguarda la riduzione volumetrica. L’impianto permette di trattare queste famiglie di apparecchiature riducendo al
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indispensabili per poter portare avanti il progetto, ho deciso quasi per scommessa di coprire il posto mancante facendo nascere questa azienda, Relight, che ad oggi conta una quarantina di dipendenti (circa 60 considerando anche il personale esterno) e vanta un management declinato quasi interamente al femminile. Dalle lampade l’attività si è evoluta e oggi su un’area di 11.000 mq possiamo trattare fino a 40.000 t/anno di rifiuti pericolosi. Siamo certificati ISO 14001 ed Emas quindi gestiamo tutto il processo secondo un sistema ambientale certificato. La nostra attività non si limita al solo trattamento ma cerchiamo di dare un servizio integrato dalla fornitura dei contenitori, alla raccolta fino al conferimento finale il tutto coprendo un’area che si estende tra Lombardia, Piemonte, Valle d’Aosta e Liguria. Ci occupiamo del trattamento di lampade (R5), piccoli elettrodomestici ed elettronica di consumo (R4), TV e monitor (R3) e grandi bianchi (R2), in sostanza ci occupiamo tutti i raggruppamenti RAEE ad eccezione di frigoriferi e condizionatori, il raggruppamento R1 che per scelta abbiamo deciso di non trattare in quanto sono già numerose le ditte specializzate in questo tipo di elettrodomestici. Mi sembra di capire che Relight sia una realtà piuttosto dinamica… I RAEE sono materiali che cambiano nel tempo proprio perché i prodotti da cui derivano subiscono un incessante progresso tecnologico ed è per questo motivo che è sempre necessario trovare nuove soluzioni ed “inventarsi” processi innovativi per massimizzare il recupero dei materiali. Anche per questo motivo prendiamo parte a diversi progetti di ricerca a livello europeo tra cui il più importante, che si è concluso a fine febbraio, è HydroWEEE, un progetto per lo sviluppo di un processo idrometallurgico per il recupero delle terre rare presenti nei RAEE. Il gruppo di lavoro è composto da sette partner provenienti da quattro Paesi diversi (Italia, Austria, Romania e Serbia). Nel frattempo siamo entrati in altri tre progetti europei sempre incentrati sulle tematiche del recupero di materiali dai RAEE e mirati soprattutto all’estrazione delle frazioni maggiormente preziose che si trovano in queste apparecchiature. Anche con i nostri clienti, i principali sono i sistemi collettivi (consorzi RAEE), cerchiamo di essere dei partner e non solo fornitori. Con il Consorzio Remedia ad esempio partecipiamo ad un progetto europeo per il recupero del vetro dei tubi catodici all’interno di materiali edili certificati LEED. Una scommessa interessante in termini di sostenibilità ambientale. E a proposito della vostra collaborazione con Forrec cosa può dirci? Avendo deciso di ampliare l’offerta di servizi per i nostri clienti estendendo il trattamento degli R4, nel 2011 abbiamo deciso di investire nell’installazione di un impianto dedicato a tale tipologia di materiali e dopo un’indagine di mercato sulle tipologie di impianti abbiamo scelto Forrec per la fornitura di questo impianto e posso dire di essere rimasta soddisfatta della scelta per la puntualità, precisione, disponibilità, organizzazione ed efficienza dell’azienda. Valori che sembrano di altri tempi ma che sono rimasta piacevolmente sorpresa di aver ritrovato in Forrec.
minimo la frazione non recuperabile da smaltire che si attesta comunque intorno ad un valore inferiore al 5%. Nello specifico la linea si compone di tre fasi principali che caratterizzano l’impianto realizzato da Forrec. Le prime due fasi sono riconducibili al disassemblaggio dei prodotti, processo che fino a qualche anno fa veniva eseguito manualmente, ma che oggi, grazie a queste due tipologie di macchine, permette di ottenere una produttività dieci volte maggiore con il medesimo impiego di manodopera: l’impianto di Relight consente infatti di trattare fino a 3000 kg/h, quantità impensabili in precedenza. La prima delle due macchine esegue una frammentazione più grossolana (il cemento o il motore della lavatrice, l’hard disk di un PC, ecc.), la seconda macchina permette invece una selezione più fine (piccoli condensatori, batterie, piccoli circuiti, cavi elettrici, ecc.). Tra un’unità e l’altra e dopo il disassemblaggio meccanico ci sono due fasi importanti di selezione manuale che consentono di preparare il materiale per il processo finale di triturazione e separazione automatica a cui provvede l’ultima macchina, un trituratore quadrialbero che riduce il materiale ad una pezzatura inferiore a 4 cm. A valle della triturazione avviene infine la separazione delle tre frazioni: plastiche, metalli ferrosi e metalli non ferrosi. La parte manuale dell’impianto è la componente soggettiva dell’impianto stesso, quindi sulla base di chi gestisce la linea si può effettuare una separazione più o meno spinta ottenendo di conseguenza a fine ciclo una qualità maggiore o minore delle tre frazioni separate. Avete fornito impianti simili in Italia e all’estero? In Italia il 99% degli impianti installati o sono stati realizzati da Forrec oppure sono direttamente supervisionati dall'Azienda per quanto riguarda la manutenzione o l'aggiornamento tecnologico. Per quanto concerne invece l’estero ci tengo a sottolineare che abbiamo recentemente installato due impianti in Germania dove abbiamo surclassato la concorrenza tedesca, non solo per l'alta qualità dei nostri progetti ma grazie anche ad una caratteristica tipicamente italiana che è quella della flessibilità. Infatti siamo stati in grado di adeguare i nostri impianti ad uno scenario ben diverso dal consueto, rispondendo in questo modo anche alle necessità di clienti molto esigenti come quelli tedeschi. Questa capacità di adattamento e personalizzazione è testimoniata innanzitutto dal fatto che i nostri impianti vengono progettati sulle specifiche esigenze del cliente ed è quindi difficile trovarne due uguali. Un ulteriore motivo di soddisfazione e di fiducia è dato dal fatto che stiamo lavorando negli Stati Uniti dove stiamo installando due impianti, uno in Florida ed uno a Chicago, un mercato anche questo molto complesso, direi al pari di quello tedesco. Quindi questo 2012 sembra iniziare in maniera decisamente positiva… Da alcuni anni Forrec è particolarmente impegnata ad espandersi sui mercati esteri. Lo scorso anno avevamo ancora un fatturato molto legato al mercato italiano mentre il 2012 rappresenterà l’anno dell’inversione in cui il fatturato potrà derivare per la maggior parte dall’estero. I segnali che ci stanno arrivando sono estremamente positivi perché confermano che i nostri prodotti sono in grado di imporsi anche in mercati complessi come quelli citati in precedenza.
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wor k i n p rog r e ss
La complessa dismissione di un impianto per la produzione di detergenti Grande esperienza, coordinamento e mezzi radiocomandati sono gli ingredienti per l’esecuzione di un delicato intervento di dismissione all’interno di uno stabilimento in piena attività di Gianpiero Lento*
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o stabilimento Unilever di Casalpusterlengo nasce nel 1966 ed attualmente copre un’area industriale di 270.000 mq. di cui 68.000 di edifici manifatturieri e magazzini. Nel 2009 Unilever, a fronte di un incremento delle produzioni di detergenti liquidi, decide la chiusura del reparto polveri dello stabilimento di Casalpusterlengo. Tale decisione è dettata dalle preferenze di mercato e da una politica interna mirata alla continua riduzione dell’impatto sull’ambiente. Vennero dunque potenziati gli impianti atti allo scopo, ma contestualmente si pose il problema di cosa fare con le ex aree destinate alle produzioni di polveri. Dopo un’accurata ricerca di mercato il management Unilever ha deciso di convocare MEDI s.r.l., società specializzata nella rimozione e gestione di equipaggiamenti industriali e nello smantellamento e bonifica di siti non più produttivi, in grado di operare efficacemente su tutti i livelli che uno smantellamento prevede, dagli equipaggiamenti industriali, operandone la dismissione o il trasferimento su altri siti, agli assett edili sino alla bonifica finale. MEDI si propone come unico operatore per tutte le azioni necessarie assumendo direttamente la responsabilità del cantiere sia a livello di sicurezza che per lo smaltimento dei rifiuti che si vengono a creare, divenendone in prati-
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ca il conduttore proprietario e dunque anche il produttore. Un modo di operare che porta a due importanti risultati: la completa manleva di ogni responsabilità da parte della committente sui lavori eseguiti e la non necessità da parte della committente d’impiego di proprie risorse umane. Ciò rende MEDI una società con caratteristiche uniche nel settore. Il progetto non è stato semplice da sviluppare, perché si trattava di dover intervenire su un’intera porzione di stabilimento mentre lo stesso stabilimento rimaneva operativo e produttivo. L’edificio ex polveri è posizionato nella parte centrale del sito, tra la palazzina direzione e uffici e i locali mensa; ha una larghezza di 140 m, una profondità di 40 m e si sviluppa su un’altezza di 8 piani industriali sino a quota 44 m dal suolo e con assets industriali sino a quota 60 m. In totale trattasi di 19.600 mq di solai utili. La struttura, molto solida, è elevata tramite putrelle e travi di acciaio al carbonio. I solai sono in cemento armato e presentano irrigidimenti formati da tondino di ferro a doppia maglia a causa delle elevate
portate di peso alle quali deve resistere, infatti, a parte le normali aree calpestabili costruite per sopportare pesi di 1.000 kg al mq, molte parti furono studiate per sostenere il peso dei serbatoi di stoccaggio materie prime, semilavorati e prodotti finiti, la cui portata media superava le 200 tonnellate l’uno. Un’ulteriore complicazione era rappresentata dal fatto che tutto il complesso non era ancora stato sottoposto ad alcuna opera di bonifica, per cui all’interno di tutta la struttura e degli equipaggiamenti industriali vi era elevata presenza di materie prime in forma liquida e solida, nonché di semilavorati e prodotto finito sfuso obsoleto. Per di più il ponte utilities (gas, energia elettrica, linee a fibra ottica) attraversa interamente l’edificio da abbattere e deve essere accuratamente preservato, pena l’interruzione totale di tutte le fasi di produzione in corso. Inoltre, da un’indagine effettuata da Unilever, risulta che la copertura del magazzino e gran parte delle pareti verticali esterne contengono amianto in varie forme. In particolare, le pareti verticali esterne sono formate da pannelli a sandwich la cui parte interna è di isolante poliuretanico, mente le esterne sono di materiale ceramico. Questi pannelli, che misurano ciascuno 1 m per 3 m, sono circa 3.000 pezzi disposti su tutta la superficie esterna del fabbricato. Siccome la costruzione dell’edificio è stata realizzata in diversi periodi solo un terzo di questi pannelli risulta contenere amianto ma si tratta comunque di più di 1.000 pannelli che vanno sottoposti ad adeguata gestione di rimozione e smaltimento. Trattandosi di un’o-
UNILEVER Unilever è una delle maggiori multinazionali al mondo operante nei settori alimentare, della salute e cura della persona. Oggi nel mondo conta 163.000 dipendenti e supporta il lavoro di migliaia di distributori, appaltatori e fornitori. Con sedi in oltre 170 Paesi tra i suoi marchi più famosi possiamo citare: Algida, Mentadent, Cif, Clear, Lysoform, Knorr, Calvé, Sunsilk, Coccolino, Lipton, Tè Ati, Dove e Svelto. In Italia è presente con una sede centrale a Roma e 4 siti produttivi di cui uno dei più importanti si trova in provincia di Lodi, a Calspusterlengo, ed è destinato alla produzione di beni per la cura della casa e della persona.
pera di notevoli proporzioni, con non trascurabile impatto visivo (la torre ex polveri è visibile a chilometri di distanza) e soprattutto da effettuarsi nella parte centrale di un sito in produzione che impiega circa 500 addetti, particolare attenzione è stata richiesta e posta agli aspetti di sicurezza, ambientali e normativi. MEDI annovera uno staff di esperti professionisti che dopo l’analisi di tutte le problematiche e le esigenze ha sottoposto al management Unilever un piano operativo che viene di seguito descritto. Va sottolineato come il management di Unilever abbia svolto un lavoro fondamentale nella preparazione di tutti i documenti tecnici e di sicurezza in modo da agevolare l’esecuzione di un intervento di tali proporzioni. L’approfondita conoscenza da parte del personale della committente delle problematiche dei loro settori, unita all’egregio lavoro di coordinamento svolto dell’OSHE manager, ha rappresentato un supporto fondamentale nella pianificazione e nella realizzazione dei lavori.
Piano operativo Forte della sua pluriennale esperienza MEDI ha deciso di dividere il lavoro in due fasi: • rimozione degli equipaggiamenti industriali; • demolizione edile. Questa scelta deriva anche dal fatto che le due fasi hanno differente regolamentazione normativa e di sicurezza: la rimozione degli equipaggiamenti industriali infatti si può configurare come un normale lavoro (seppur di notevoli dimensioni) di smontaggio industriale; mentre per la demolizione dell’edificio ex polveri si configurano problematiche legate a regimi autorizzativi ed a tutta la normativa di sicurezza legata ai cantieri edili temporanei. Di questo si daranno maggiori dettagli in seguito. Le tempistiche di attuazione sono state così proposte ed accettate:
• 6 mesi per la parte industriale; • 9 mesi per la fase edile. I lavori sono iniziati il 14 Marzo 2011.
Rimozione degli equipaggiamenti industriali
Per prima cosa i tecnici di MEDI hanno provveduto a studiare l’area di cantiere creando spazi dedicati ad ogni esigenza. L’area totale è stata poi adeguatamente confinata con apposita recinzione da cantiere. Sono stati previsti spazi dedicati per: • i macchinari smontati; • lo stoccaggio dei chimici, delle materie prime, dei semilavorati e dei prodotti obsoleti (ogni materiale è stato opportunamente catalogato e posto in appositi sacconi o cisternette); • il posizionamento dei rifiuti prodotti; • lo stato di riposo dei mezzi da cantiere. Tutto il personale del cantiere, anche quello appartenente a ditte in subappalto, è stato sottoposto a specifici corsi di formazione ed equipaggiato con indumenti che ne permettessero il facile riconoscimento. Sono state create squadre dedicate per ogni attività prevista, di cui una dedita unicamente alle pulizie. Pochi grammi di detersivo in polvere sono sufficienti a causare un problema, perciò, sebbene lo stabilimento disponga di un proprio depuratore, dovendone rimuovere grandi quantità questo aspetto è stato Lo stabilimento, infatti dispone di un proprio depuratore, molto curato. Ora possiamo dire con soddisfazione che durante tutte le fasi che ci hanno visto coinvolti, nessun problema è emerso! Prima di intervenire su qualsiasi macchinario, tubazione o serbatoio è stata fatta un’analisi del materiale precedentemente contenuto. Se
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necessario si procedeva con lo svuotamento e la bonifica, e successivamente s’interveniva con lo smontaggio o la demolizione attraverso tecniche mirate di disassemblaggio o taglio. Per il taglio sono principalmente usate apposite macchine al Plasma. In estate, ampiamente in linea con le tempistiche richieste, la fase industriale era oramai in esaurimento. Si è dunque deciso di iniziare tutte le procedure per la richiesta autorizzativa all’abbattimento dei fabbricati.
Demolizione edile E’ bene spendere due parole sulla difficoltà che comporta la trasformazione di un cantiere solo industriale in un cantiere anche edile. E’ necessario preparare per tempo un team che, così come richiesto dalla normativa vigente, preveda il coinvolgimento di specifiche figure: il team si componeva di tecnici e consulenti MEDI, Unilever ed esterni (nella figura del CSE e del Direttore Lavori). E’ stato prodotto un Piano delle Demolizioni, un PSC ed è stato studiato un cronoprogramma con il coinvolgimento di tutte le aziende subappaltatrici. Particolare attenzione è stata posta alla tecnica ed alla sequenza di demolizione: si è deciso di operare in modo “chirurgico non invasivo” ovvero demolendo sequenzialmente piano per piano iniziando dalla quota massima e agendo sempre dall’interno in modo da utilizzare le pareti esterne a pannelli come protezione anticaduta. La sequenza è dunque: demolizione solaio in cemento, rimozione della struttura reticolare in acciaio a sostegno del solaio, rimozione dei pannelli laterali di protezione al piano, rimozione delle colonne, questo per ogni piano rispettando la stabilità della struttura rimanente. Considerando la presenza di 19.600 mq di solaio è stata determinante la scelta dei mac-
chinari da demolizione da usare. Dopo lunga analisi si è deciso di avvalerci della collaborazione della Brokk, azienda svedese leader nel campo delle macchine demolitrici e non solo. Brokk è stata in grado di fornire macchine radiocomandate elettriche per eseguire una demolizione così importante in ambiente così complesso. Le macchine da demolizione si sono dimostrate perfette per portare attrezzi da demolizione e non solo, in aree di lavoro a rischio per l'operatore e dove la dimensione del mezzo è un fattore importante. Le caratteristiche principali di Brokk sono la capacità di portare attrezzi potenti con un mezzo di dimensioni contenute comandato in maniera remota e motorizzato elettricamente. Il motore elettrico, anche se per alcuni può essere una soluzione poco idonea, permette di utilizzare la macchina senza emissioni di fumi e quindi in ambienti chiusi e confinati dove esiste poca aereazione, inoltre il motore elettrico è molto più prestante e costante nella potenza di un motore a scoppio. Per esempio la macchina scelta da MEDI è il nuovo Brokk 160, dal peso di 16 quintali (senza attrezzo) e monta un martello idraulico Atlas Copco SB 202 dal peso di 230 kg. La macchina ha un ingombro con gli stabilizzatori alzati di 78x248x145 cm, dimensioni che sono impensabili per mezzi tradizionali quali escavatori che, per montare martelli di quel peso, devono essere di circa 28/30 quintali con ingombri di quasi il doppio. In un cantiere particolare come quello di MEDI, portare mezzi così grandi su livelli diversi e all'interno della struttura sarebbe stato impossibile. La scelta è caduta inizialmente su due tipi, il B90 da 10 quintali e il B160 da 16 quintali. Brokk ha fornito queste due macchine, ma dopo breve valutazione è stato ritenuto più idoneo per il tipo di lavoro avere due
mezzi uguali, quindi due B160 equipaggiati con martello idraulico SB202 e una pinza Darda CC420 con apertura di 420 mm. Oltre alle macchine, Brokk ha fornito il supporto tecnico e formativo per gli operatori con un corso tenutosi presso il cantiere MEDI della durata di una settimana; si sono svolte prove ed esercizi pratici in cantiere e approfondito le tecniche di demolizione con macchine radiocomandate con formazione tecnica per le piccole manutenzioni giornaliere e settimanali. Alla fine è stato rilasciato il certificato di formazione per gli operatori. Sono inoltre stati acquistati dispositivi per l’abbattimento delle polveri: non si deve infatti dimenticare che si è operato all’interno di uno stabilimento in piena produzione. In accordo con il fornitore di gru è stata da quest’ultimo acquistata una Liebherr da 300 tonnellate, arrivata in cantiere ancora con la targa di prova! L’organizzazione di un cantiere così complesso non può prescindere dalla scelta di personale e dall’applicazione di rigide procedure operative per la salvaguardia dell’ambiente e della sicurezza. Ogni settimana si teneva una specifica riunione di coordinamento e monitoraggio delle fasi di lavoro con la partecipazione di MEDI, Unilever, CSE e Direttore dei Lavori. In questa riunione venivano discusse le difficoltà incontrate sia a livello operativo che progettuale che di sicurezza e ambientale, studiando quindi la migliore soluzione e redigendo un verbale esecutivo di cui tutte le figure interessate venivano informate, sino al livello del singolo lavoratore. Tutti i materiali di risulta sono stati preventivamente analizzati per una corretta attribuzione del codice CER e venivano dunque stoccati in apposite aree separate tenendo traccia di ogni loro movimento in un apposito database. Questo permette una cognitiva gestione del rifiuto in attinenza alle attuali normative. Per la complessità delle operazioni, il cantiere è stato oggetto di studio ed analisi anche da parte di manager Unilever provenienti da altri siti sia italiani che esteri. Al momento i lavori sono ancora in corso e si concluderanno con anticipo rispetto alle tempistiche richieste, con piena soddisfazione da parte del committente. *General Manager di MEDI s.r.l.
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Fiera del riciclo industriale dei materiali
18 - 21 Aprile 2012
VERONA FIERE DA QUESTA EDIZIONE L’ APPUNTAMENTO CON L’INDUSTRIA DEL RICICLO SI SPOSTA A VERONA
In contemporanea con 5a edizione Salone internazionale delle tecnologie per il recupero e il riciclo dei metalli ferrosi e non ferrosi
2a edizione Salone internazionale delle tecnologie per il recupero e il riciclo dei materiali industriali, la qualità dell’ambiente, l’efficienza energetica
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LA CORRETTA GESTIONE AMBIENTALE DEL CANTIERE DI DEMOLIZIONE Strip-out selettivo e una campagna di frantumazione delle macerie delle quattro torri di Pieve Emanuele hanno permesso di ottenere percentuali di recupero del 95% di Andrea Terziano
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o scorso 10 settembre il “botto” dell’esplosione che in pochi secondi ha abbattuto circa 180mila metri cubi di edifici; poi le impegnative demolizioni meccaniche degli altri edifici (e altri 180mila metri cubi di materiale abbattuto al suolo). Da due mesi è in corso la campagna di frantumazione con la quale Armofer ha deciso di trasformare 60.000 tonnellate di rifiuti in 60.000 tonnellate di MPS, cioè materie prime seconde, preziose risorse per il territorio. Si tratta di un ingente volume di materiale che è stato risparmiato alle discariche. Essendo materiale “pulito” recuperabile e riciclabile, se opportunamente trattato, si trasforma in materiale inerte utile per opere di riempimento e opere stradali nell’ambito del cantiere stesso o, come in questo caso, destinato a molti cantieri nell’area pavese. Ma le scelte operate da Armofer e i vantaggi ambientali dell’intera operazione di gestione ambientale del cantiere di Pieve Emanuele, tutti direttamente misurabili, riguardano anche molti altri aspetti e ci fanno apprezzare una “sostenibilità” ambientale a 360° con la quale Armofer si presenta oggi sul mercato e che ritiene standard per un corretto operare in regime di qualità, al di là degli obblighi di legge.
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Ambiente, sicurezza e mercato Intervista con il dr. Riccardo Rossi, Responsabile del Servizio Prevenzione e Protezione Armofer Cinerari Luigi s.r.l. Qual è il contributo più importante che può dare all’ambiente l’azienda che ha in consegna i lavori? Sicuramente un elevato livello di recupero dei materiali di risulta, impegnandosi a demolire selettivamente e progettare correttamente lo smontaggio per aumentare il più possibile la percentuale di materiale recuperato riducendo al minimo la frazione definita “rifiuto”. Questa operazione è orientata all’effettiva tutela del territorio, è subito misurabile con la minimizzazione dei conferimenti in discarica e con la produzione di MPS che si possono impiegare al posto di materiale vergine di cava con un evidente doppio vantaggio di tipo ecologico sul territorio. Gli obblighi di legge in materia lasciano oggi ancora ampi margini a noi imprese e ai nostri committenti sul destino dei materiali di risulta dei cantieri (stiamo parlando ovviamente dei soli materiali classificabili come rifiuti non pericolosi e non inquinati). Ritengo dunque una precisa scelta di responsabilità e di qualità quella operata da Armofer, di orientare la gestione ambientale del cantiere verso questo indirizzo. Naturalmente ciò avviene coinvolgendo nel dialogo anche gli Enti preposti al controllo, Arpa, ASL e Comune interessato, i quali esprimono alla Provincia e a tutti gli attori interessati un parere ed eventuali indicazioni e prescrizioni. Armofer opera sempre di concerto con tutti gli Enti in modo da favorire il dialogo e il lavoro degli Enti stessi. Anche questo è un contributo fondamentale per una corretta gestione ambientale e un presupposto irrinunciabile per la qualità. Possiamo fare un esempio concreto dell’operatività rispetto agli Enti di controllo? In un cantiere come quello esaminato le tematiche ambientali sono molteplici e complesse. Per snellire e favorire tutto il processo Armofer sostiene la comunicazione, la collaborazione e il continuo scambio di informazioni. Per esempio noi sollecitiamo un incontro preventivo con gli Enti interessati e
“La sostenibilità ambientale - afferma Riccardo Rossi, Responsabile del Servizio Prevenzione e Protezione di Armofer - è una modalità di approccio al lavoro che impegna l’intera azienda sin dall’inizio della progettazione della demolizione e di ogni operazione volta a portare a termine il lavoro che ci viene affidato dal nostro Committente”. La gestione ambientale del cantiere è spesso azione discussa e condivisa fra committente e impresa, frutto di un buon livello di dialogo e di una modalità condivisa di approccio al lavoro. In questo caso Armofer ha potuto dialogare con una committenza preparata quale Infrastrutture Lombarde. In particolare, secondo Armofer, la gestione ambientale del cantiere si attua attraverso differenti strumenti operativi, una volta che la filosofia aziendale sia orientata verso la sostenibilità e questa “cultura”, perché di cultura si tratta, sia condivisa a tutti i livelli di responsabilità in azienda. contattiamo direttamente i tecnici preposti perché siano informati in anticipo sulle lavorazioni che andremo a fare e sulle operazioni da svolgere. Si concorda un sopralluogo in cantiere in modo da informare e coordinare il lavoro di tutti e ascoltare le esigenze di ciascuno. Ogni Provincia ad esempio recepisce le norme in maniera leggermente differente e sulla base della specificità del proprio territorio e unicità dell’intervento in questione può richiedere accorgimenti diversi. L’impresa deve essere in grado di recepire queste richieste, soddisfarle e mantenere aperto e vivo il clima di collaborazione. Questo approccio deve essere allargato anche al committente dei lavori che oggi sempre più è interessato direttamente alle responsabilità ambientali correlate alla gestione del cantiere. Noi stessi cerchiamo di favorire il coinvolgimento completo del committente nella gestione ambientale del cantiere. Per esempio sempre più spesso forniamo al nostro committente il servizio di preparazione e consegna di copia di tutti i documenti di trasporto (F.I.R. oppure D.D.T. che siano) relativi a tutte le lavorazioni effettuate in cantiere: demolizione, bonifica, strip-out, scavi. Forniamo inoltre il riepilogo mensile degli smaltimenti con tutti i dati possibili e sempre più spesso, per committenti con un alto livello di maturità in campo ambientale, accanto a data, codice C.E.R., peso, impianto di destinazione e trasporto, valutiamo per ogni singolo trasporto la percentuale effettiva di recupero o smaltimento. Il nostro contributo fondamentale in questo caso è nella selezione di impianti in grado di recuperare il più possibile i materiali. Qual è il valore aggiunto di un intervento “sostenibile”, ovvero nel quale si operi una corretta gestione ambientale? Lavorare in un ambiente nel quale regni un clima sereno di riconoscimento e rispetto reciproco per il lavoro e le esigenze diverse di ciascuno: questo è uno dei presupposti dell’operare in regime di qualità ed è ciò che ci consente di crescere professionalmente. Ritengo tuttavia che per un’azienda come la nostra oggi, operare in regime di qualità e con questo tipo di approccio alla gestione ambientale del cantiere sia un
presupposto necessario per poter competere sul mercato. Ritornando al cantiere in questione, l’intervento voluto da Infrastrutture Lombarde è stato ed è una grande operazione di riqualificazione del territorio, per porre fine ad anni di abbandono e degrado di quest’area. Ma un’opportunità per il territorio, come abbiamo più volte condiviso con i progettisti e con il Committente stesso, non può e non deve essere il solo punto di arrivo ma ogni giorno e ogni fase del cantiere va vissuta come un’opportunità, un privilegio e non un disagio. Qual è stato il risultato tangibile di questo modo di operare sul cantiere che abbiamo esaminato? Il risultato che sono orgoglioso di rendere pubblico è che il nostro intervento, pur significativo per lunghezza del cantiere, fonti di disturbo e presenza di mezzi pesanti, è stato apprezzato anche dalla popolazione insediata. Inizialmente nutrivamo infatti qualche perplessità, data l’entità delle operazioni da svolgere e la prossimità al tessuto vitale di una zona popolare densamente insediata. I cittadini sono stati coinvolti in azioni informative concordate con il Comune, ma soprattutto sono stati ascoltati e rispettati, prendendo tutte le misure possibili non solo per la loro tutela (come per altro impone la legge), ma anche per il loro comfort, ovvero perché il nostro lavoro avesse il minor impatto possibile. Per esempio abbiamo cercato di non gravare sul traffico e la viabilità non è mai stata interrotta, se non le poche ore del giorno dell’esplosione come prevede la legge. E dunque abbiamo messo in campo da un lato le strategie più sofisticate e costose, come la presenza di sismografi durante le operazioni con l’esplosivo (per registrare l’entità delle vibrazioni sugli edifici più prossimi a quelli in demolizione) o la compresenza di ben 8 cannoni nebulizzatori, dall’altro strategie che definirei di banale “buon senso” individuando gli orari più opportuni per ciascun intervento, rispettando momenti di non disturbo e organizzando il cantiere, la posizione delle macchine in opera, i percorsi e le attività in funzione della sicurezza, ma anche del “comfort” ambientale della cittadinanza. Talvolta le attenzioni più semplici sono quelle più efficaci. Il risultato e la nostra gratificazione ne sono una testimonianza e mi preme qui sottolinearlo: il
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Per prima cosa citiamo la corretta applicazione di un metodo operativo che preveda la progettazione attenta dell’intervento nel suo complesso e in ogni fase specifica. I tecnici hanno inoltre a disposizione strumenti quali la valutazione preventiva del rischio e delle possibili fonti di disturbo, in modo da avere un quadro chiaro delle potenziali criticità e poter quindi individuare le tecnologie idonee tanto di inter-
lavoro è stato portato a termine senza incidenti; non ci è pervenuta alcuna forma di lamentela, ma al contrario apprezzamenti positivi per il nostro operato e inoltre il nostro lavoro è stato motivo di interesse e ha destato la curiosità di molte persone. Per noi è stata un’occasione, che abbiamo voluto cogliere, di presentare al pubblico dei non addetti ai lavori la nostra professionalità. E’ condiviso dagli altri attori del mercato questo tipo di approccio? Finalmente sì. Criteri di valutazione di tipo non economico esistono oggi sul mercato e indirizzano le scelte dei committenti, in particolare di quelli privati. Ne abbiamo avuto esperienza con grandi gruppi internazionali, ma anche con committenti privati italiani. Spesso il nostro operato, che ritengo avere standard elevati dal punto di vista ambientale e della sicurezza, rispetto alla comune prassi operativa nazionale, viene premiato e dunque scelto. E questi sono criteri di valutazione di tipo non economico. Fermo restando naturalmente che un’azienda deve saper stare alle regole del mercato dove ancora il prezzo gioca un ruolo predominante. Possiamo specificare meglio quali sono i criteri di valutazione di tipo non economico che indirizzano il vostro operato e dovrebbero indirizzare le scelte dei committenti di oggi? Il grosso passo avanti per operare in qualità e poter stare sul mercato di oggi è stato fatto secondo me dalle imprese nella misura in cui hanno saputo inserire nella propria prassi operativa dei criteri di approccio al lavoro non prettamente economici, ma che mettano al primo posto altri valori, per esempio l’operatività in assenza di incidenti, tesa ad annullare anche le più banali sospensioni dall’attività lavorativa (operatività “injury free” correlata con la diffusione della cultura della sicurezza e della responsabilità personale); la qualità ambientale durante la gestione del cantiere nei termini descritti in queste pagine; il rispetto delle tempistiche contrattuali concordate, argomento di primaria importanza per il committente, possibile grazie a una grande flessibilità aziendale. In altre parole il lavoro in regime di qualità, inteso nel senso più ampio del termine.
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vento quanto di mitigazione ambientale. Seguono poi l’ottimizzazione delle risorse (mezzi e persone) e delle tempistiche e una logistica di cantiere correttamente studiata insieme al coordinamento delle fasi operative. La sola organizzazione e gestione della movimentazione e dei percorsi dei mezzi pesanti da e per il cantiere (il cui numero è sempre ingente) può per esempio cambiare sostanzialmente la percezione della presenza del cantiere stesso da parte della popolazione insediata. L’approccio è volto prima di tutto alla tutela della salute pubblica e della sicurezza degli addetti ai lavori e alla salvaguardia ambientale intesa nel senso più ampio del termine. Ciò sottintende l’acquisizione (e volontà di diffusione) di una cultura personale e professionale, della quale Armofer si fa sempre portatrice.
Il bil ancio del ricicl aggio 2.000 ton di ferro recuperato 600 ton di alluminio e vetro recuperati 55-60.000 ton (34.000 mc) cls frantumato e recuperato come MPS 55-60.000 ton di conferimenti in discarica risparmiati In cantiere, oltre al frantoio, la flotta delle "rosse Armofer" conta numerosi esemplari: un escavatore cingolato carica la tramoggia del frantoio; il Cat 365 con braccio da scavo gira i cumuli lasciati dall'esplosione e ben altri 4 escavatori muniti di frantumatore idraulico sono attivi per la demolizione secondaria a terra. A servizio dell'impianto anche la pala meccanica Liebherr. La produzione giornaliera raggiunge i 600 mc di inerte frantumato.
LA COLLINA DEI CILIEGI: BONIFICA, MESSA IN SICUREZZA PERMANENTE E RICONVERSIONE L’IMPIEGO DI GEOSINTETICI nella BONIFICA DI UN’AREA INDUSTRIALE DISMESSA IN ZONA BICOCCA A MILANO di D. Cazzuffi*, P. Recalcati** e G. Tresso***
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on la chiusura definitiva di tutte le attività degli impianti di produzione di pneumatici e cavi, presenti sull’insediamento industriale “Pirelli Bicocca” in area Nord Milano, questo sito è stato riconvertito in un quartiere misto urbano, abbinando l’utilizzo residenziale previsto per oltre 10.000 abitanti ad importanti infrastrutture culturali, quali ad esempio il teatro degli Arcimboldi e la sede dell’Università di Milano Bicocca. Una delle priorità improrogabili, riscontrata nel corso dei lavori di ricostruzione, è stata l’esigenza di risolvere direttamente sul sito lo smaltimento dei terreni di risulta e delle macerie, derivanti dalle precedenti demolizioni e rottamazioni degli impianti industriali. Per tale ragione è stato deciso di costruire una collina artificiale di oltre 20 metri di altezza con l’impiego della totalità dei materiali di scarto, per un volume di oltre 28.000 m3 distribuiti su un’area complessiva di 15.000 m2. La progettazione della bonifica, della messa in sicurezza permanente del sito e della successiva riconversione è stata redatta da Eco Appraisal – Tauw Group, con il contributo di Montana e la partecipazione di Pirelli & C. quale responsabile di progetto. La destinazione finale della collina, oggi riconosciuta da tutti come “Collina dei Ciliegi”, è stata quella di parco metropolitano; per tale ragione è stato elaborato uno studio approfondito in grado di definire non soltanto le modalità costruttive della copertura finale, ma anche la tipologia e
la corretta distribuzione della vegetazione ed in particolare degli alberi da mettere a dimora. Per quanto riguarda la progettazione del sistema barriera di copertura, il vincolo più importante era costituito dal limitato spazio disponibile e dagli enormi volumi di materiale di scarto in gioco che hanno imposto ai progettisti la configurazione di una collina con scarpate ripide aventi pendenze prossime a 30°. Tali geometrie hanno reso necessario l’impiego di geosintetici in sostituzione dei materiali naturali inizialmente previsti per il sistema barriera, dal momento che non esistevano nel modo più assoluto i presupposti per poter ricorrere alle classiche soluzioni, rappresentate da uno strato di argilla compattata abbinato ad uno strato di ghiaia. Si è trattato pertanto
di individuare la tipologia di quei particolari geosintetici che fossero in grado di soddisfare tutte le necessità progettuali e di assicurare nello stesso tempo l’affidabilità e la durabilità del sistema barriera di copertura. Per quanto riguarda l’inserimento ambientale dell’opera, è stato sviluppato contemporaneamente uno studio particolareggiato allo scopo di conciliare l’integrità e la funzionalità del sistema barriera con le esigenze di crescita di alberi di medio-alto fusto, caratterizzati da un apparato radicale a sviluppo orizzontale. Una delibera comunale aveva infatti richiesto la messa a dimora di alberi di questo tipo, inserendo tale esigenza quale condizione necessaria per l’approvazione di tutto il progetto di riconversione.
Figura 1. Planimetria della Collina dei Ciliegi in zona Bicocca a Milano
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VINCOLI PROGETTUALI La costruzione e la gestione delle discariche di rifiuti non pericolosi, in Italia devono rispondere ai requisiti del D.L. n. 36 del 13 gennaio 2003, derivato dalla Direttiva Europea 1999/31/EC. Relativamente alla messa in sicurezza permanente di queste opere è richiesto un sistema barriera di copertura costituito, dall’alto verso il basso, dai seguenti strati: • strato superficiale di copertura di spessore ≥ 1,0 m funzionale alla destinazione d’uso prevista dal piano di ripristino ambientale;
• strato drenante, adeguatamente protetto da eventuali intasamenti, con spessore ≥ 0,50 m; • strato minerale compattato, caratterizzato da spessore ≥ 0,50 m e conducibilità idraulica ≤ 1.00 · 10-8 m/s; • strato di drenaggio del gas con spessore ≥ 0,50 m. Come accennato in precedenza, nel caso in esame, in considerazione della configurazione geometrica delle scarpate, è stato in pratica impossibile riuscire a rispettare la stratigrafia indicata. In particolare infatti non sarebbe stato
agevole procedere ad una corretta compattazione dello strato di argilla, ed analogamente sarebbe stato estremamente difficoltoso sistemare in modo opportuno lo strato di ghiaia per il drenaggio. Per queste ragioni le Autorità competenti hanno autorizzato l’utilizzo di un geocomposito bentonitico (GCL) in alternativa allo strato di argilla compattata (CCL), e di un geocomposito drenante (GCD) in luogo dello strato di ghiaia di drenaggio. Infine è stata anche autorizzata una riduzione dello spessore dello strato superficiale di copertura da 1,00 m a 0,40 m per consentire la verifica di stabilità.
determinazione delle proprietà DEL GEOCOMPOSITO BENTONITICO L’utilizzo dei geocompositi bentonitici nei sistemi barriera di copertura è ormai universalmente accettato, come confermato dalla florida letteratura specializzata in materia (Koerner et al., 1995; Zanzinger et al., 2002; Zanzinger et al., 2010). A riguardo si possono in particolare segnalare due importanti caratteristiche. In primo luogo i geocompositi bentonitici (in seguito GCL), in virtù delle proprietà di rigonfiamento della bentonite, quando sono idratati, sviluppano notevoli capacità “autocicatrizzanti”, in grado di limitare possibili discontinuità funzionali del sistema barriera, nel caso di perforazioni accidentali registrate anche dopo la definitiva messa in opera di tutta la copertura. Occorre comunque precisare che le proprietà autocicatrizzanti dei GCL si possono attivare soltanto in presenza di tagli o forature di modeste entità; in caso contrario potrebbero permanere parziali discontinuità (Cazzuffi e al., 2005). Per tale ragione, è indispensabile predisporre per il GCL un’adeguata protezione meccanica per prevenire eventuali forature e danni (Cazzuffi, 2006). In secondo luogo, è opportuno sottolineare come una limitata frazione di bentonite possa attraversare la struttura dei geotessili di confinamento del GCL e quindi favorire il miglioramento delle caratteristiche di tenuta della giunzione al sormonto tra due strati di GCL adiacenti. E’ evidente come questa peculiarità possa semplificare notevolmente le operazioni di installazione, dal momento che l’impermeabilizzazione del sistema si può attivare con un’adeguata sovrapposizione tra due strati di GCL adiacenti. E’ in ogni caso necessario porre in opera uno strato di non meno di 0,30 m di terreno sopra lo strato di GCL in modo da garantire il corretto confinamento del sistema. Koerner e Daniel (1995) hanno proposto un metodo per consentire di verificare l’equivalenza in termini di portata idraulica tra uno strato di geocomposito bentonitico (GCL) e uno strato di argilla compattata (CCL). In particolare, la legge di Darcy è espressa dalla seguente equazione in termini di portata idraulica: (1) dove: Q[m3/s]: portata totale v [m/s]: velocità di filtrazione k [m/s]: conducibilità idraulica i = Δh/h [m/m]: gradiente idraulico A [m2]: superficie di filtrazione La legge di Darcy può essere riscritta nel seguente modo rispettivamente per uno strato di geocomposito bentonitico (GCL) e per uno strato di argilla compattata (CCL).
(2)
dove H [m]: carico idraulico al di sopra del GCL o del CCL TGCL [m]: spessore del GCL idratato TCCL [m]: spessore del CCL Al fine di applicare un GCL al posto di un CCL è necessario che si verifichi la seguente condizione: Q GCL ≤ Q CCL (3) che in base all' equazione (2) diventa: (4)
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Introducendo i valori numerici previsti dal D.Lgs 36: k CCL = 1,00E-08 [m/s] TCCL = 0,50 [m] ed in considerazione dei valori tipici del caso in esame: H = 0,30 [m] (carico idraulico standard) TGCL = 0,01 [m] (spessore del GCL idratato) l’equazione (4) diventa: (5) In particolare quindi la conducibilità idraulica del GCL da adottare nel progetto per sostituire adeguatamente uno spessore di 0,50 m di argilla compattata (CCL) deve rispettare la seguente condizione: (6) Nel caso in esame il tipo di GCL selezionato in base a questi criteri, è costituito da due strati di geotessile tessuto in polipropilene (massa areica pari a 150 g/m² ognuno), contenenti uno strato di bentonite sodica naturale (massa areica ≥ 5 kg/ m²): in particolare la conducibilità idraulica k del GCL selezionato è minore di 1,00 · 10-11 m/s secondo la norma ASTM D 5887. Prove di taglio diretto, effettuate ad una pressione nominale di 55 kPa (ASTM D 6243), hanno consentito di determinare un angolo equivalente di attrito interno del GCL pari a 36°. La resistenza a trazione del GCL adottato è infine pari a 18 kN/m sia in direzione longitudinale che in direzione trasversale (UNI EN ISO 10319).
determinazione delle proprietà DEL GEOCOMPOSITO DRENANTE Il geocomposito drenante (definito nel seguito GCD) per poter essere posizionato all’interno del sistema barriera di copertura deve avere caratteristiche idrauliche equivalenti allo spessore di materiale granulare (0,50 m) previsto dalla normativa vigente. Per tale materiale si può assumere un valore della conducibilità idraulica: k = 1,00 x 10-3 m/s (7) L’inclinazione della scarpate della copertura è 1V/2H, corrispondente ad un angolo misurato rispetto all’orizzontale ß = 27°. Per valutare l’equivalenza tra materiale granulare e geosintetico si è partiti dall’equazione di Darcy: Q = k A i [m³/s] (8) Poiché lo spessore richiesto da normativa per il materiale drenante naturale è pari a 0,50 m, la portata idraulica corrispondente ad un metro di larghezza dello spessore drenante risulta essere: q = k · t · 1,00 · i (9) Il gradiente idraulico lungo una scarpata, nell’ipotesi di una portata costante, è equivalente al rapporto tra il carico idraulico (∆H) e la lunghezza del drenaggio (L); tale rapporto corrisponde al seno dell’angolo di inclinazione della parete: i = sin ß = 0,44 (10) Conseguentemente la portata drenante minima richiesta al geocomposito drenante risulta: q = 2,27 x 10-4 m³/s/m (11) Tale valore di portata drenante minima deve essere assicurata sotto i carichi statici di progetto ed in presenza delle specifiche condizioni al contorno. Il parametro progettuale che viene impiegato per quantificare la capacità drenante sul piano è la portata unitaria del geosintetico o la trasmissività idraulica (portata idraulica del geosintetico per larghezza unitaria del geosintetico e per gradiente idraulico “i” unitario). Le caratteristiche idrauliche vengono misurate secondo la norma UNI EN ISO 12958 con un’attrezzatura di laboratorio elaborata da quella originariamente utilizzata da Darcy
per studiare la permeabilità dei terreni. Secondo il metodo di prova illustrato nella norma, la portata unitaria per unità di larghezza viene calcolata misurando la quantità di acqua che fluisce in un intervallo di tempo determinato nello spessore del geosintetico sottoposto ad un carico normale e ad un gradiente idraulico specifici. L’apparecchiatura è in grado di applicare diversi valori di gradiente idraulico “i” e diverse pressioni normali, ed è quindi in grado di simulare tutte le possibili condizioni di impiego sul campo (variando le sollecitazioni di carico). Tali prove vengono di norma effettuate in corrispondenza di prefissati valori del gradiente idraulico, corrispondenti a 0,1; 0,5 e 1,0, come illustrato in fig. 2. Se il valore del gradiente idraulico "i" che si vuole misurare è differente da quelli dei diagrammi di trasmissività misurati in laboratorio, è possibile calcolare comunque la portata idraulica corrispondente al gradiente idraulico di progetto, utilizzando una formula ricavata da Cancelli e Rimoldi (1989): (12) dove: i1 gradiente idraulico rappresentato nel diagramma immediatamente superiore a quello reale; i gradiente idraulico reale; qi1 portata specifica da diagramma a gradiente i1 [m2/s]; q portata specifica a gradiente i [m2/s]; Poiché la portata specifica richiesta in corrispondenza del gradiente i=0,44 è 2,27 x 10-4 m3/s/m (v. eq. 11), il geocomposito deve assicurare a gradiente i = 0,50, una portata specifica minima pari a: (13) ll geocomposito drenante impiegato è costituito da una georete estrusa in polietilene ad alta densità accoppiata per laminazione a due geotessili nontessuti su entrambi i lati; tale materiale assicura, nelle condizioni di impiego specifiche, un flusso drenante pari a 3,00x10-4 m3/s/m come si deduce da fig. 2; il geocomposito drenante prescelto è quindi equivalente allo strato drenante in materiale granulare richiesto dalla normativa nazionale vigente in Italia. Dal momento che il D.Lgs. 36 prevede poi l’impiego di un materiale granulare in grado di garantire che non si manifesti un carico idraulico dovuto alle acque meteoriche al di sopra dello stesso, la portata idraulica del geocomposito è stata confrontata con la quantità d’acqua che si può infiltrare attraverso lo strato superficiale di copertura; tale quantità d’acqua viene abitualmente calcolata a partire dalle curve di possibilità pluviometrica per l’area in cui viene realizzata l’opera. Nel caso specifico, assumendo tempi di ritorno di 10 e 100 anni, sono state considerate intensità di pioggia di 120 e 150 mm/ora per una durata da 15 a 20 minuti. Sulla base di questi parametri anche questa verifica è risultata soddisfatta.
Figura 2. Diagramma di trasmissività del geocomposito drenante impiegato
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PARTICOLARI ASPETTI COSTRUTTIVI Come anticipato nell’introduzione, in considerazione della presenza nell’area di intervento di un numero rilevante di insediamenti residenziali con elevata densità abitativa, gli architetti paesaggisti coinvolti nella progettazione hanno suggerito la messa a dimora di alberi nel sistema di copertura. La geometria delle scarpate, inclinate di circa 27° rispetto al piano orizzontale e il limitato spessore di terreno vegetale (0,40 m), avrebbero sicuramente compromesso il ciclo di sviluppo degli alberi. E’ stato pertanto stabilito di intervenire sulla superficie del terreno originale, prima della messa in opera dei geosintetici, realizzando degli opportuni scavi lungo le scarpate. Durante queste operazioni è stata prestata particolare cura, cercando di sagomare gli scavi stessi in modo da garantire una minima inclinazione del fondo verso le scarpate, per impedire il ristagno di acqua al termine dei lavori. Sono state infine ricavate trincee drenanti intermedie (fig. 4), disposte trasversalmente rispetto allo sviluppo delle scarpate, al fine di
attenuare le conseguenze del ruscellamento delle acque meteoriche sullo strato di copertura vegetale.
BIBLIOGRAFIA [1] Cancelli, A., Rimoldi, P., 1989. Design criteria for geosynthetic drainage system in waste disposal. Atti Sardinia. 2nd International Landfill Symposium, Porto Conte, Sassari. [2] Cazzuffi, D., 2006. Evaluation of the behaviour vs. time of a geosynthetic clay liner (GCL) in a capping system. Atti Geosynthetics – Recent Developments, New Delhi, Publication n. 298, Central Board of Irrigation & Power, pp. 26-34. [3] Cazzuffi, D., Crippa, E., Villa, C., 2005. Laboratory tests and field observations on a geosynthetic clay liner (GCL) system installed as capping since seven years. Atti del Workshop Internazionale “Hydro-Physico-Mechanics of Landfills”, Grenoble. [4] Koerner, R., Daniel, D., 1995. A suggested methodology for assessing the technical equivalency of GCLs to CCls. Atti Simposio internazionale Geosynthetic Clay Liners, Norimberga, Balkema pp. 73-98.
Figura 3. Installazione del geocomposito drenante (di colore bianco) sopra il geocomposito bentonitico (di colore nero)
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[5] Koerner, R., Gartung, E., Zanzinger, H. (editors), 1995. Geosynthetic Clay Liners. Atti Simposio internazionale, Norimberga, Balkema. [6] Recalcati, P., Rimoldi, P., 1997. Capping of steep slopes 35 m long at the Cerro Maggiore landfill (Italy), Atti Geosynthetics Asia ’97, Bangalore, pp. A.125-A.132. [7] Zanzinger, H., Koerner, R., Gartung, E. (editors), 2002. Clay Geosynthetic Barriers. Atti Simposio internazionale, Norimberga, Balkema. [8] Zanzinger, H., Koerner, R., Touze-Foltz, N. (editors), 2010. Geosynthetic Clay Liners. Atti Simposio internazionale, Wurzburg.
NOTA L’articolo riprende i contenuti di un contributo presentato dagli stessi Autori al XXIV Convegno Nazionale di Geotecnica, tenutosi a Napoli dal 22 al 24 Giugno 2011 ed organizzato dall’ Associazione Geotecnica Italiana.
*CESI S.p.A. Milano **TENAX S.p.A. – G.T.O. ***LAVIOSA CHIMICA MINERARIA S.p.A.
Figura 4. Realizzazione di trincee drenanti intermedie
Trattamento acque contaminate da Arsenico in un sito del Nord Italia Una combinazione di sistemi chimici e fisici per il trattamento delle acque di falda garantisce l’efficacia del risultato e l’ottimizzazione dei costi di gestione e realizzazione dell’impianto di A. Barabesi, M.G. Asci e A. Biagioli*
è
noto che i cicli produttivi insediati (operativi o dismessi che siano) si caratterizzano per l’impiego, la produzione e/o la generazione indesiderata di sostanze chimiche che le recenti normative europee e nazionali identificano come “pericolose” per l’ambiente idrico. Nella fattispecie, tali sostanze chimiche possono comprendere elementi in tracce come metalli pesanti e/o inquinanti inorganici. La presenza di Arsenico nelle acque sotterranee, dovuta a fattori antropici, costituisce un fattore significativo di rischio sia per la salute umana (se presente nelle acque potabili) sia per l’ecosistema. Pertanto, devono essere adottate una serie di misure al fine di ridurre il rischio correlato alla presenza di tale composto ad un livello accettabile. Tali misure si traducono in una serie di metodologie per abbattere la presenza di Arsenico nelle acque sotterranee, garantendo concentrazioni inferiori ai limiti stabiliti dalle normative. L’analisi del processo, l’utilizzo dell’approccio IPPC (Integrated Pollution Prevention Control) e dei cosiddetti BREF (BAT reference document) specifici per ogni ciclo produttivo, la verifica e validazione dei dati esistenti, l’esecuzione di eventuali campagne di monitoraggio integrative a quelle “routinarie” esistenti
in impianto (con analisi e misure adeguate di portata), lo sviluppo di nomogrammi/algoritmi a seconda delle diverse condizioni operative, la definizione di procedure operative chiare, sono gli strumenti/elementi/tools operativi che consentono di realizzare al meglio l’ottimizzazione ed il controllo del ciclo dell’acqua dei suoi impianti. Nell’ambito delle procedure di bonifica e riqualificazione di aree industriali dismesse e/o siti contaminati in genere, riveste particolare importanza tutto il ciclo di trattamento delle acque sotterranee derivanti da opere di messa in sicurezza o impianti di bonifica (es. sistemi pump & treat, barriere idrauliche, ecc.). Il processo di trattamento di acque contenenti elementi in tracce, non può prescindere da una serie di passaggi legati alla normativa vigente che stabilisce una serie di limiti di concentrazione degli inquinanti, per la reimmissione in falda, per lo scarico in corpi idrici superficiali o per il reimpiego all’interno di cicli produttivi del sito stesso. Tali valori limite sono coerenti, ad esempio, con gli standard richiesti per garantire un livello qualitativo accettabile delle acque ad uso potabile. A partire dagli elementi in traccia presenti nelle acque e dalle caratteristiche idrochimiche delle acque da trattare, questi limiti di concentra-
zione condizioneranno la scelta del processo e delle tecnologie di trattamento da adottare. L’approccio normativo alla bonifica di siti contaminati, di cui fanno parte gli interventi sui corpi idrici sotterranei impattati dalla presenza di inquinanti, prevede, come criterio guida nella scelta delle tecnologie di intervento, l’applicazione delle cosiddette B.A.T.N.E.E.C. (Best Available Technology Not Entailing Excessive Costs). Una volta individuato il processo ottimale per il trattamento delle acque e con il presupposto che un impianto di trattamento si prefigura come un
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impianto di trattamento rifiuti, la realizzazione sarà a sua volta subordinata a: • autorizzazione da parte degli Enti competenti; • procedure di Valutazione di Impatto Ambientale (a seconda della portata di trattamento e della produzione di rifiuti quali, ad esempio, i fanghi di processo). Parte essenziale del processo autorizzativo è la valutazione degli impatti di tali impianti in termini di sicurezza ed igiene ambientale.
Metodologie di trattamento Di seguito si dettaglia il processo di trattamento messo a punto per un impianto di trattamento delle acque di falda (TAF), ubicato nel Nord Italia, dimensionato per trattare una portata di 50 m3/h, ampliabile fino ad un massimo di 100 m3/h, caratterizzata dalla presenza di arsenico nell’ordine dei μg/l (concentrazione media pari a 47 μg/l). Oltre a tale elemento, nell’acqua sono stati rintracciati anche altri metalli (ferro, manganese) e solventi organici (benzene, organici clorurati). Sono state quindi definite per tale stream le seguenti sezioni di trattamento: • sezione di stoccaggio ed omogeneizzazione iniziale; • sezione di trattamento chimico fisico; • sezione di stoccaggio e dosaggio chemicals; • sezione di filtrazione su sabbia 1° Stadio;
• • • •
sezione di trattamento aria di strippaggio; sezione di filtrazione su sabbia 2° Stadio; sezione di adsorbimento su carboni attivi; sezione di filtrazione su GFH (Granular Ferric Hydroxide); • sezione di trattamento fanghi; • sezione di aspirazione e trattamento dei vapori di V.O.C. La rimozione dell’arsenico viene attuata nella sezione di trattamento chimico-fisico, costituita da una vasca di coagulazione, in cui vengono dosati sia cloruro ferrico, quale agente coagulante, che soda caustica per il controllo del pH. E’ prevista la possibilità di dosare altri chemicals come il solfato di alluminio, quale altro agente coagulante, e l’acido cloridrico per il controllo del pH. Dalla vasca di coagulazione, le acque confluiscono nella vasca di flocculazione, dove, per mezzo di dosaggio di una soluzione di polielettrolita anionico, avviene la flocculazione degli idrati di ferro formatisi nella vasca precedente. L’acqua più i solidi formatisi sfiorano verso il sedimentatore a pacchi lamellari, dove avviene la separazione dei solidi sospesi, che decantano sul fondo, dall’acqua chiarificata, che fuoriesce dallo stramazzo superiore. I fanghi si accumulano nel fondo conico del sedimentatore mentre l’acqua chiarificata sfiora dall’alto verso la vasca di post coagulazione, dove il dosaggio di acido cloridrico e cloruro ferrico possono, nel caso sia necessario, ottimizza-
re la precipitazione degli idrati di arsenico a un valore di pH inferiore. I fanghi sedimentati sono parzialmente riciclati, per mezzo della pompa di riciclo in testa alla vasca di coagulazione allo scopo di incrementare l’effetto di flocculazione. L’eccesso di fanghi accumulato sul fondo conico del decantatore viene inviato per mezzo di pompe all’ispessitore di fanghi primari. Le acque chiarificate confluiscono nel serbatoio di post-flocculazione, che ha anche funzione di accumulo (hold-up) intermedio tra le sezioni di chiariflocculazione e di filtrazione. E’ stata prevista la polmonazione del gruppo di vasche del trattamento chimico fisico in modo da garantire un’atmosfera inerte al di sopra delle interfacce liquido/gas.
Risultati Di seguito, i principali vantaggi legati alla tecnologia di trattamento delle acque, precedentemente descritta: 1. riduzione dei tempi di realizzazione degli impianti; 2. raggiungimento degli obiettivi di bonifica attraverso l’abbattimento delle concentrazioni di arsenico; 3. ripetibilità dell’applicazione della tecnologia e dei risultati raggiunti; 4. impianti “user friendly” dal punto di vista dei criteri di O&M (Operation & Management); 5. ottimizzazione nell’impiego di chemicals e riduzione dei costi di smaltimento.
Conclusioni I risultati raggiunti suggeriscono un ampio spettro di applicazione delle tecnologie di trattamento acque precedentemente descritte, soprattutto in relazione all’abbattimento delle concentrazioni di inquinanti diffusi quali l’arsenico. Le tecnologie scelte sono una combinazione di sistemi di trattamento chimici e fisici e garantiscono, oltre all’efficacia del risultato, un’ottimizzazione dei costi di gestione e realizzazione dell’impianto, il tutto coerentemente con le indicazioni normative di applicare agli interventi di bonifica di siti contaminati il criterio delle B.A.T.N.E.E.C. (migliori tecnologie disponibili a costi sostenibili). Unità package automatico per la preparazione e il dosaggio del polielettrolita (sezione trattamento chimico-fisica)
*SIMAM S.p.A.
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p rog e t t i e t e cn o lo gie
IL “GREEN” PER LE INFRASTRUTTURE Dal Rapporto Cave 2011 di Legambiente emerge che l’utilizzo di materiale alternativo a quello di cava fa risparmiare CO 2 di Gloria Meneghini*
F
are a meno delle cave puntando sul recupero degli inerti provenienti dall’edilizia e dall’industria è la soluzione di sustainability per infrastrutture e costruzioni. Dal Rapporto Cave 2011 di Legambiente, emerge infatti che non solo questa è la strada per uscire da una situazione di grave pressione ambientale come quella provocata dalle cave, ma anche il modo perché l’attività estrattiva si evolva verso la riqualificazione e diventi, come negli altri Paesi nordeuropei, un settore di punta della green economy.
I DATI DEL DOSSIER: situazione europea e italiana a confronto
Dal Dossier emerge che il numero di cave presenti oggi in Italia è ancora altissimo: 5.736 cave attive e 15.000 dismesse. La crisi economica del 2010 non è bastata a diminuire in maniera considerevole le quantità di materiali estratti che sono rimaste molto alte: 90 milioni di metri cubi di sabbia e ghiaia, 41,7 milioni di metri cubi di materiale calcareo e 12 milioni di metri cubi di pietre ornamentali. L’arretratezza normativa è sicuramente uno dei fattori che spiega il numero di cave presenti nel nostro Paese. L’attività estrattiva infatti è ancora regolata da un Regio Decreto del 1927, mentre le Regioni, alle quali sono stati trasferiti i poteri in materia nel 1977, non prestano la dovuta attenzione alle necessità del settore. Oltre a ciò si aggiungono canoni di estrazione irrisori e una percentuale di con-
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ferimento in discarica di materiali riutilizzabili del 90%. Molto diversa invece la situazione nord europea dove l’estrazione del materiale da cava è già stata quasi del tutto sostituita con l’utilizzo di materiali provenienti dal riciclo di inerti edili e industriali. In Germania ad esempio si arriva all’86,3% (erano al 17% nel 1999), in Olanda al 90% mentre la Francia in 10 anni è passata dal 15% al 62,3%. In Italia invece siamo ancora al 10% di utilizzo di materiali riciclati (fatta eccezione per il Veneto che recupera l’80% dei materiali provenienti dall’edilizia e dall’industria).
LA VISIONE DI LEGAMBIENTE Legambiente sottolinea la necessità di avviare in Italia un processo di innovazione del settore estrattivo scegliendo la strada che prediliga e favorisca l’utilizzo dei materiali riqualificati nelle infrastrutture attraverso una gestione scientifica del loro utilizzo. Una serie di azioni virtuose come l’utilizzo di materiali riciclati rispetto a quelli di cava, un aumento dei canoni di concessione delle cave ed il rafforzamento della tutela del territorio potrebbero permettere un’innovazione capace di creare green jobs e allo stesso tempo di garantire la tutela del paesaggio.
Il cambiamento culturale che favorisce il riutilizzo dei materiali provenienti dal settore edile è già iniziato e si vede da una parte dal recepimento del D.M. 203/2003 con il quale il Ministero dell'Ambiente ha fissato le regole affinché enti pubblici e società a prevalente capitale pubblico utilizzino materiale riciclato per almeno il trenta per cento del fabbisogno annuale. Dall’altra il D.Lgs. 152/06 (meglio noto come "Codice ambientale") è il provvedimento nazionale di riferimento in materia di gestione dei rifiuti e di valutazione di impatto ambientale. Tuttavia, secondo Legambiente, resta necessario che Governo e Regioni favoriscano questo processo incentivando l’utilizzo di Regioni e Province Autonome
Cave Attive
questi materiali e al tempo stesso le aziende private investano in innovazione per elevare il know how e le specificità necessarie per gestire processi di demolizione selettiva e di riqualificazione.
IL CASO DEL PASSANTE DI MESTRE Secondo il rapporto di Legambiente, se in Italia il 90% dei 55 milioni di materiali da C&D prodotti nel 2010 sono finiti in discarica - fatto questo che sottolinea l’evidente spreco di materiale e di uso eccessivo delle cave - il Veneto invece recupera l’80% dei 5,5 milioni di tonnellate di materiali da C&D che produce.
Cave Dismesse e/o Abbandonate
A dimostrazione di ciò il Passante di Mestre, l’autostrada che collega Venezia con l’Europa, si è dimostrato essere un modello in Italia di utilizzo di prodotti riqualificati in grandi opere. Realizzata in meno di tre anni l’opera ha previsto l’utilizzo di materiale riqualificato pari al 55% su una superficie di 1.000.000 metri quadri circa (fonte: Commissariato per l’emergenza socio – economico – ambientale della viabilità di Mestre, 2011). La società Passante di Mestre ha infatti deciso di apportare una modifica al progetto introducendo una variante che prevedesse l’utilizzo di materiale riqualificato nella sottofondazione stradale.
Piani Cava
Abruzzo
239
-
NO
Basilicata
51
32
NO
Calabria
216
-
NO
Campania
376
1.336
NO
Emilia-Romagna
296
298
SI
Friuli Venezia Giulia
67
-
NO
Lazio
393
475
SI
Lombardia
558
2.888
SI
Liguria
98
529
SI
Marche
172
1.002
SI
Molise
56
545
NO
Piemonte
472
311
NO
Puglia
339
550
SI
Sardegna
381
492
NO
Sicilia
557
691
Si
Toscana
403
1.029
SI
Umbria
103
77
SI
Valle d’Aosta
39
37
SI
Veneto
566
1.614
NO
Pr. Bolzano
162
10
SI
Pr. Trento
192
1.100
SI
TOTALE
5.736
13.016
La situazione delle cave nelle Regioni italiane (Fonte: Legambiente, Rapporto Cave 2011)
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Il risultato della scelta ha permesso non solo performance migliori ma anche un risparmio di CO2. Inoltre, per l’utilizzo di questo materiale, è stata concordata una Procedura di Controllo Ambientale con l’Ufficio Ambiente del Passante, Arpav e le imprese appaltanti. La denominazione commerciale del prodotto che è stato utilizzato è Econcrete®, un brevetto dall’azienda veneta Eco.Men.® che dal 1998 studia e realizza nuovi materiali per le infrastrutture stradali in collaborazione con l’Università di Padova. Si tratta di una miscela composta da prodotti derivanti dalla lavorazione di materiali delle in-
dustrie siderurgiche, materiale da C&D, legante e acqua, le cui proporzioni e i quantitativi sono prefissati in base agli studi di laboratorio, al fine di ottenere caratteristiche fisicomeccaniche adattabili alle esigenze della sovrastruttura da realizzare.
Benefici ambientali e prestazionali ottenuti con l’utilizzo di Econcrete ®
L’utilizzo di tale materiale ha permesso di sostituire per prestazioni e qualità prodotti tradizionalmente confezionati con l’utilizzo
di materie prime ormai sempre più scarse, evitando oltre a ciò il loro abbandono in discarica. Ciò ha permesso una riduzione del danno ambientale ma anche un risparmio economico ed energetico complessivo che ha evitato l’inquinamento derivante dal trasporto di questi materiali da e per le cave e da e per le discariche. Una nuova logica di costruzione dunque impostata su un concetto di saving che prevede un minor numero di viaggi di trasporto effettuati, un minor impiego di energia elettrica per l’estrazione e la lavorazione di materiali naturali e un minor utilizzo di conglomerato bituminoso. L’utilizzo di questo prodotto, che permette di realizzare sovrastrutture stradali di tipo semirigido, ha consentito il contenimento delle deformazioni che si creano quando la pavimentazione viene sottoposta a sollecitazioni veicolari ripetute (freccia). Inoltre sono si sono ottenute maggiori prestazioni di resistenza perché, rispetto all’impiego di aggregati tradizionali, un minore spessore di Econcrete® garantisce uguale capacità portante: • migliore distribuzione dei carichi sul sottofondo: pressioni - 10/30%; • riduzione delle sollecitazioni sugli strati bituminosi: tensioni - 9/31%; • riduzione delle deformazioni superficiali: deformazioni - 10/27%; • miglioramento del comportamento a fatica: vita utile + 88.58%.
LA NORMATIVA
Confronto tra sezione tipo e sezione con Ecoconcrete® nell’applicazione del Passante di Mestre, nella Variante alla S.S. 246 di Montecchio Maggiore e nella Tangenziale di Limena
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L’applicazione di “materie prime seconde” passa necessariamente attraverso un processo di “recupero rifiuti”. Inoltre, dato l’impiego che tali materiali hanno nell’ambito del settore delle costruzioni, viene fatto riferimento a due ambiti normativi: quello relativo alla “gestione di rifiuti” e quello relativo ai “materiali da costruzione”. Conseguentemente anche i controlli diventano duplici: dal punto di vista della “gestione dei rifiuti” (“controlli a monte” ed “a valle” del processo di recupero) ai quali si devono sommare i controlli Qualità previsti dal “settore delle costruzioni”.
IL FUTURO DEI MATERIALI RIQUALIFICATI Il Passante di Mestre è un caso applicativo di successo che dimostra come, attraverso il corretto utilizzo di materiali alternativi, sia possibile un risparmio energetico anche nel settore pubblico e nelle infrastrutture (D.Lgs. 152/06 e D.M. 05/02/98) evidenziando il fatto che la frontiera del risparmio ener-
getico non è più soltanto limitata a quella residenziale, ma applicabile anche alle opere infrastrutturali. La sinergia tra Istituzioni, Università e Imprese di professionalità elevate ha tradotto gli studi di settore in applicazioni performanti ed ecosostenibili con vantaggi sociali reali. In questo modo si sono conciliati il rispetto per l’ambiente e l’ottimizzazione delle risorse, oltre che alla re-
alizzazione di infrastrutture performanti e abili a soddisfare le diverse esigenze della comunità. La strada da percorrere è già segnata: promuovere una nuova logica di costruzione, che preveda l’impiego di materiali marginali, adottando una visione sostenibile sin dalla fase della progettazione delle infrastrutture. *Gruppo Mefin S.p.A.
I NUOVI PRODOTTI ECONCRETEPLUS Cos’è è il prodotto alternativo ad Econcrete® per la realizzazione di strati portanti di fondazioni stradali. Caratteristiche offre una curva granulometrica più chiusa, continua e uniforme garantendo maggiori prestazioni. è il frutto della ricerca sviluppata in collaborazione con il Dipartimento Costruzioni e Trasporti dell’Università di Padova che ne ha testato le caratteristiche e valutato l’impiego in ambito stradale. R&S Impieghi: è adatto per strati di fondazione nelle sovrastrutture, anche in caso di spessori continui. Assicura performance eccellenti quando si richiedano spessori inferiori nelle stratificazioni. Impieghi
è adatto per strati di fondazione nelle sovrastrutture, anche in caso di spessori continui. Assicura performance eccellenti quando si richiedano spessori inferiori nelle stratificazioni.
Riferimenti D.Lgs. 152/06 e D.M. 05/02/98 e s.m.i. legislativi
ECOWAY® Cos’è
è il conglomerato confezionato con aggregati riqualificati provenienti dall’industria siderurgica, legante e bitume schiumato per la realizzazione di strati di base e sottobase per le infrastrutture stradali.
resistenza a trazione indiretta: da + 39% a + 158% rispetto ai requisiti di capitolato (a seconda della miscela e del contenuto di leganti); Caratteristiche durabilità dell’acqua: ottime resistenze residue a trazione indiretta dopo condizionamento in acqua; bv risposta alle sollecitazioni dinamiche: ottimi valori di rigidezza dei conglomerati schiumati superiori a quella di miscele bituminose convenzionali per strati di base R&S
è il frutto della ricerca sviluppata in collaborazione con il Dipartimento Costruzioni e Trasporti dell’Università di Padova che ne ha testato le caratteristiche e valutato l’impiego in ambito stradale.
Impieghi è adatto per la realizzazione di strati di base e sottobase per le infrastrutture stradali. Riferimenti D.Lgs. 152/06 e D.M. 05/02/98 e s.m.i. legislativi
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bonifica di terreni con iniezione di vapori in trivellazioni orizzontali Applicazione di tecniche di desorbimento termico in situ che utilizzano trivellazioni orizzontali o inclinate per l’iniezione dei vapori e la captazione dei contaminanti di G. Vasta e A. Rosello*
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l desorbimento termico in situ mediante insufflaggio di vapore è una tecnica conosciuta anche come steam injection-extraction SIE (letteralmente iniezione ed estrazione con vapore). Il processo consente la rimozione di contaminanti volatili e semivolatili presenti nel terreno tramite iniezione di vapore a temperature variabili tra 150°C e 230°C attraverso pozzi d’immissione orizzontali eseguiti nell’area oggetto della contaminazione. La permeabilità del suolo deve essere sufficientemente alta per permettere il riscaldamento dell’intera zona contaminata.
DESCRIZIONE DELLA TECNOLOGIA Questa tecnologia di bonifica comporta l’iniezione di vapore in pozzi disposti orizzontalmente ed il recupero delle acque sotterranee, dei contaminanti e del vapore desorbito dai pozzi di recupero. Inizialmente, quando il vapore viene iniettato nel sottosuolo attraverso i pozzi orizzontali, cede il suo calore latente di vaporizzazione al suolo. Quando il vapore perde calore condensa in una fase di acqua calda che si muove radialmente nel suolo spostando aria e acqua presente nelle immediate vicinanze. L’ingresso continuo di vapore determina
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nei pressi del pozzo di immissione il raggiungimento delle temperature del vapore creando un fronte di vapore che inizia a propagarsi lontano dal pozzo. Questo fronte in movimento composto da aria e acqua a temperatura ambiente è spinto da una zona a temperatura variabile ad una zona a temperatura più elevata. L’acqua a sua volta viene spinta fuori dalla pressione del vapore in movimento nella zona di temperatura del vapore. Il fronte di vapore (o aria) è immesso a temperature variabili tra i 150°C e i 230°C e la sua azione di trasferimento è assicurata dal riscaldamento progressivo degli strati di terreno. I contaminanti presenti, passati in fase vapore,
Figura 1. Meccanismo di funzionamento del processo
vengono veicolati dal flusso stesso mediante un meccanismo di trasporto di tipo advettivo. Tra i pori del terreno interessati dal processo advettivo si viene a creare un gradiente di concentrazione e pressione che determina un moto diffusivo verso il flusso. Questo consente quindi anche la rimozione di contaminanti presenti in matrici di suolo a bassa permeabilità, anche se con tempi più lunghi rispetto ai suoli caratterizzati da alti valori di permeabilità che giocano un ruolo estremamente importante nell’applicabilità della tecnologia SVE. I migliori risultati sono quindi ottenibili con terreni uniformi e permeabili, quali quelli sabbiosi.
Figura 2. Distribuzione dei pozzi in pianta e in sezione
L’arrivo della fase vapore vaporizza i composti rimanenti dalla saturazione residua o adsorbiti al suolo. Questi vapori sono trasportati all’estremità della zona di vapore dove si condensano formando un banco di contaminante condensato. E’ molto importante nel progetto del sistema assicurare che il contaminante condensato venga catturato attraverso pozzi di captazione. Il meccanismo di rimozione dei contaminanti dipende dalla volatilità del contaminante. I pozzi di recupero sono usati per catturare sia i liquidi che i gas e trasportarli ad un impianto di trattamento di superficie. L’applicabilità del sistema di iniezione vapore ad un sito è determinato dalla permeabilità del suolo, dalla profondità alla quale risiedono i contaminanti, dal tipo e grado di eterogeneità così come dal tipo di contaminante. La permeabilità del suolo deve essere sufficientemente alta per permettere al vapore iniettato di riscaldare l’intera zona contaminata. Tassi di iniezione più elevati possono essere ottenuti aumentando la pressione di iniezione; in ogni caso la pressione di iniezione non deve essere superiore a 1,65 libbre per pollice quadrato (0.11 bar) per metro di profondità per evitare la frattura della superficie. Il riscaldamento con vapore dello strato superficiale può risultare difficile e la raccolta dei vapori generati può essere impegnativa ma l’installazione di una superficie impermeabile di copertura può aiutare il riscaldamento del suolo e la raccolta di tutti i vapori. Il tipo di terreno influenza la capacità del vapore di rimuovere i contaminanti in due modi. La permeabilità determina la velocità con la quale il fronte di vapore può muoversi dentro il suolo.
Una bassa permeabilità del suolo non può permettere al vapore di attraversarlo o può richiedere pressioni insopportabili per farlo. L’altro aspetto del suolo che influenza la rimozione dei contaminanti dal suolo è la reattività con i contaminanti. Sabbie a base silicea non sono particolarmente reattive ed i contaminanti possono essere rimossi facilmente. Le argille ed i suoli ricchi di sostanze organiche hanno la capacità di legare alcuni composti organici ed impedire la loro completa rimozione alle temperature del vapore. Una configurazione ideale per un’efficace iniezione di vapore nell’area contaminata è quella di costruire una rete di pozzi orizzontali disposti a distanze reciproche minime di 1,5 metri (Figura 2). La propagazione del fronte di vapore nel suolo avviene finché c’è equilibrio tra il calore ceduto dal vapore attraverso i pozzi di iniezione e la capacità del terreno circostante
di assorbirlo. Per questo motivo è necessario che il pozzo o i pozzi di estrazione siano il più possibile vicini ai pozzi di iniezione vapore. Per le alte temperature e le pressioni in atto, i materiali plastici, come il PVC, sono generalmente non appropriati ed in genere per iniezione ed estrazione vengono utilizzati tools in acciaio. La tecnologia di iniezione vapori necessita di una prima fase di impianto della rete di iniezione vapore mediante la realizzazione di pozzi di trivellazione orizzontale ed installazione di tubazioni fessurate in acciaio, per permettere l’iniezione di vapore nell’area del sottosuolo oggetto della contaminazione. Le altezze massime di perforazione orizzontale vanno da 3 a 10 metri da piano campagna. La tecnologia consta di alcune unità schematizzate in Figura 3: • unità di generazione vapori e di iniezione nel sottosuolo;
Figura 3. Schema di processo della tecnologia di iniezione vapori in pozzi orizzontali
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• unità di aspirazione del contaminante e del vapore generato (sistema di soil vapor extraction SVE); • unità di condensazione dei vapori e del contaminante gassoso; • separatore acqua/olio; • unità di trattamento delle acque prodotte; • unità di adsorbimento su carboni attivi della fase gassosa prima del rilascio in atmosfera. Il vapore iniettato, a contatto col terreno, si condensa, mentre il terreno medesimo viene progressivamente riscaldato fino a raggiungere la temperatura del vapore iniettato dando origine al cosiddetto “fronte di vapore”, che, avanzando nel sottosuolo, volatilizza i contaminanti presenti lungo il percorso e li veicola in superficie verso un pozzo di estrazione opportunamente installato nell’area in cui è presente la contaminazione. Il vapore dunque, in risalita verso la superficie, viene captato da un pozzo di estrazione. La pressione d’iniezione è tale da evitare la fessurazione del terreno e la conseguente perdita di efficacia. La miscela estratta di vapori ed inquinanti gassosi viene infine raffreddata in un condensatore. I vapori non condensabili prima di essere scaricati in atmosfera, vengono trattati in filtri a carbone attivo. Il condensato liquido, assieme alle acque direttamente emunte, è invece inviato ad un’unità di separazione al fine di estrarre i composti oleosi. La soluzione acquosa rimanente sarà infine sottoposta a trattamenti idonei in funzione della quantità e tipologia di contaminanti residui in essi ancora presenti; l’acqua in uscita dal trattamento secondario, epurata dei contaminanti, potrà essere eventualmente riciclata in testa all’impianto.
Figura 4. Applicabilità della tecnologia al tipo di suolo
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APPLICABILITà DELLA TECNOLOGIA Lo strippaggio con vapore attraverso pozzi orizzontali è applicabile a tutti i tipi di contaminanti vaporizzabili, come idrocarburi aromatici e policiclici aromatici, oli minerali vari, ed idrocarburi alogenati con punto di ebollizione compreso tra 100 e 250°C. Per le sostanze citate sono fattibili efficienze di rimozione superiori al 99%. Attraverso le perforazioni orizzontali è possibile raggiungere gli strati più superficiali oggetto di contaminazione. I migliori risultati sono ottenibili con terreni uniformi e permeabili, quali quelli sabbiosi. In presenza di suoli argillosi, cioè a bassa permeabilità intrinseca all’aria, l’efficienza di rimozione può essere notevolmente abbassata. I vantaggi che derivano dall’applicazione della tecnologia di steam injection con pozzi orizzontali sono: • elevata capacità di rimozione; • possibilità di operare in presenza di strutture, tubazioni e servizi interrati; • è possibile applicare la tecnologia laddove si è impossibilitati ad accedere a zone difficilmente raggiungibili come le zone sottostanti i punti vendita carburante, i serbatoi di stoccaggio carburante ed altre opere; • minimizzazione dell’impatto ambientale; • nessuna necessità di scavo; • elevato controllo del processo. Seguono gli svantaggi nell’applicazione della tecnologia di steam injection-extraction: • necessita di un’attività preliminare di realizzazione della rete di iniezione vapore mediante opere di trivellazione orizzontale; • deve essere accoppiato ad un sistema di estrazione vapori (SVE, ecc.); • impossibilità di raggiungere elevate profondità.
CARATTERISTICHE PERFORATRICE IDRAULICA PER PERFORAZIONE ORIZZONTALE TECNIWELL H10/12 Carro di movimentazione: cingolato con pattini in gomma vulcanizzata. Motorizzazione: motore diesel VM da 132 HP, insonorizzato e raffreddato ad acqua. • n.3 pompe idrauliche a pistoni; • n.3 pompe idrauliche ad ingranaggi; • n.1 scambiatore di calore aria/olio. Kit per l’esecuzione di foro pilota Sistema “drill track” di direzionamento della perforazione comprendente: • 1 trasmettitore sotterraneo; • 1 ricevitore di superficie completo di borsa imbottita; • 1 ripetitore di segnale remoto; • 1 tripode. Caratteristiche tecniche: • Marca: Tecniwell • Mod.: TW H10/12 • Peso tot.: 8000 Kg • Potenza motore: 130 CV • Tiro/spinta max: 10.000 Kg/12.000 Kg • Coppia rotaz. testa: 450 Kgm
Figura 5. Contaminanti che possono essere rimossi con la tecnologia di iniezione vapori su pozzi orizzontali
CONCLUSIONI L’iniezione di vapori (steam injection) nei suoli in fori di perforazione orizzontale viene applicata nei casi in cui, per la presenza di sovrastrutture superficiali, quali ad esempio, punti vendita di carburanti, serbatoi di stoccaggio idrocarburi fuori terra e/o interrati, non è possibile raggiungere l’area contaminata ed estrarre i contaminanti desorbiti dal terreno. La tecnica prevede la realizzazione di trivellazioni orizzontali e/o inclinate per l’immissione di vapori nel terreno e la captazione attraverso pozzi di estrazione dei contaminanti desorbiti. La permeabilità determina la velocità con la quale il fronte di vapore può muoversi dentro il suolo. La tecnologia consente la rimozione di contaminanti presenti in matrici di suolo anche a bassa permeabilità, anche se con tempi più lunghi rispetto ai suoli caratterizzati da alti valori di permeabilità. I migliori risultati sono
ottenibili con terreni uniformi e permeabili, quali quelli sabbiosi. L’installazione di una superficie impermeabile di copertura può aiutare il riscaldamento del suolo e la raccolta di tutti i vapori generati.
BIBLIOGRAFIA [1] Davis, E. (1998). Steam Injection for Soil and Aquifer Remediation, EPA 540/S-97/505. U.S. EPA, Office of Research and Development, pp. 16. www.epa.gov/tio/tsp/download/steaminj.pdf [2] US-EPA (2006) - In Situ Soil Remediation Technology.pdf- Engineering Forum Issue Paper- EPA 542/F-06/013 November 2006. [3] Heron, G., S. Carroll, and S. Nielsen (2005). Full-scale removal of DNAPL constituents using steam-enhanced extraction and electrical resistance heating. Ground Water Monitoring & Remediation 25(4), pp. 97-107. www. ce.berkeley.edu/~sitar/ ce274/Thermal%20 remediation.pdf. [4] Kaslusky, S.F. and K.S. Udell (2002). A the-
oretical model of air and steam co-injection to prevent the downward migration of DNAPLs during steam-enhanced extraction. Journal of Contaminant Hydrology 55, pp.213-232. [5] Alberti, L., et al. (2001). Detailed Addition Remediation Planning with Steam Injection. Integrated Concept for Groundwater Remediation, pp. 14. umweltwirtschaft-uw.de/incore/doku/ Steam%20Injection%20Milano.pdf. [6] Schmidt, R., J. Gudbjerg, T.O. Sonnenborg, and K.H. Jensen (2002). Removal of NAPLs from the unsaturated zone using steam: Prevention of downward migration by injecting mixtures of steam and air. Journal of Contaminant Hydrology 55, pp. 233-260. [7] U.S. EPA. (2004). In Situ Thermal Treatment of Chlorinated Solvents: Fundamentals and Field Applications, EPA 542/R-04/010. Office of Solid Waste and Emergency Response, pp. 145. www. cluin.org/download/remed/epa542r04010.pdf.
*Sistemi Industriali s.r.l.
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SEDI.PORT.SIL. una filiera per il recupero dei sedimenti di dragaggio I risultati del progetto finanziato dalla Commissione Europea dimostrano l’efficienza delle tecnologie di trattamento per il recupero e la valorizzazione dei sedimenti di A. Bertoni*, E. Ulazzi*, L. Magagnini* e D. Bettoli**
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l progressivo accumulo nelle aree portuali di sedimenti trasportati dalle maree con conseguente innalzamento dei fondali - e con relativi problemi di navigabilità - rende necessarie periodiche operazioni di dragaggio, finalizzate alla rimozione dei sedimenti per il ripristino delle condizioni ottimali di fruizione. Il materiale dragato è considerato tal quale un rifiuto e quindi soggetto alla normativa vigente. Ma oggi un recente progetto europeo, tuttora in corso di realizzazione, sta “scommettendo” sulla possibilità di utilizzare questi sedimenti mettendo a punto un approccio integrato per una gestione ambientalmente ed economicamente sostenibile dei sedimenti portuali, sia per estrarne silicio allo stato puro, sia per ottenere materiali utili al ripascimento costiero. Stiamo parlando del progetto LIFE+ SEDI. PORT.SIL. “Recovery of dredged SEDIments of the PORT of Ravenna and SILicon extraction”, finanziato dalla Comunità Europea nell'ambito del Programma “LIFE+ Environment Policy and Governance 2009” e cofinanziato dall'Autorità Portuale di Ravenna; con un partenariato costituito da MED INGEGNERIA s.r.l., lead partner di progetto, dalle Università di Bologna e Ferrara, da DIEMME S.p.A. di Lugo, da ISPRA, dal Parco regionale
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del Delta del Po dell’Emilia-Romagna e da GEOECOMAR, partner rumeno, visto che i risultati delle sperimentazioni effettuate sui sedimenti del porto ravennate verranno poi replicati nel porto rumeno di Midia, sul Mar Nero.
I tempi del progetto Dopo la presentazione iniziale del dicembre 2010, il progetto ha avuto un importante step intermedio con il workshop organizzato a Roma nel settembre scorso nel corso del quale – sotto il coordinamento di MED Ingegneria – i vari partner hanno segnalato lo stato di avanzamento lavori. Nelle settimane successive ci sono state ulteriori occasioni pubbliche di presentazione all’interno di iniziative del settore, come il Remtech di Ferrara ed Ecomondo a Rimini. Il prossimo momento di confronto è ora in programma a Costanza, sul Mar Nero, ad inizio maggio: per quella data, naturalmente, l’obiettivo di ogni partner è aver progredito nella propria parte di esperimenti e di risultati. Per poi giungere in autunno al workshop finale di Comacchio, nel cuore del Parco del Delta, dove si terranno le conclusioni, collegate anche ad una valorizzazione della parte ambientale e territoriale del progetto stesso.
Obiettivo: un impianto pilota Già ad oggi, comunque, i risultati raggiunti - perfettamente in linea con gli obiettivi e le tempistiche previste dalla Commissione Europea - lasciano ben sperare sulla possibilità che il progetto dia buoni frutti. “Ora ci aspettano i mesi più importanti - sottolinea Alessandro Bertoni, di MED Ingegneria - dai risultati ottenuti finora abbiamo capito che il progetto è fattibile, non è un miraggio; adesso dobbiamo verificare se, portandolo su scala industriale, si sia in grado di dimostrarne la sostenibilità economica ed energetica”. Con l’obiettivo non velato di arrivare alle condizioni per realizzare, nel porto di Ravenna, un impianto che possa estrarre silicio dai sedimenti dragati, Bertoni aggiunge “se riuscissimo a dare vita ad un impianto in grado di realizzare la filiera completa del trattamento dei sedimenti “chiavi in mano” - dal dragaggio, agli impianti di trattamento, alla logistica - sarebbe una grande opportunità, sia per Ravenna sia a livello nazionale”. Nell’ultimo periodo, intanto, vanno segnalati progressi significativi soprattutto per quanto riguarda gli esperimenti realizzati dall’azienda lughese Diemme S.p.a., specializzata nella
produzione di impianti di filtrazione in enologia, depurazione e trattamento delle acque. Nell’ambito del progetto Diemme si sta infatti occupando della progettazione e realizzazione di un impianto pilota di sediment washing per il trattamento dei sedimenti derivanti dalle operazioni di dragaggio dell'Area Portuale di Ravenna, in serie al quale è stato realizzato un trattamento di landfarming, ottimale per la tipologia di inquinanti rinvenuti all'interno dei campioni, applicato alla frazione di sedimento trattato di dimensione inferiore ai 75 µm. Il processo di decontaminazione è stato applicato sui sedimenti portuali suddivisi in tre classi di contaminazione, sulla base della caratterizzazione preliminare dell’area portuale: “rosso”, sedimenti molto inquinati (concentrazione di inquinanti oltre la Tab. 1, colonna B dell’Allegato 5 al D.Lgs. 152/06); “giallo”, sedimenti contaminati (concentrazione di inquinanti tra le colonne A e B del D.Lgs. 152/06); “verde”, sedimenti non contaminati (concentrazione di inquinanti sotto la Colonna A del D.Lgs. 152/06). Per ciascuna classe sono stati campionati circa 10 m3 di sedimenti secchi, raccolti mediante bennata a tenuta e carotaggio in continuo per la caratterizzazione stratigrafica, con profondità di prelievo di 4-5 m. Le analisi fisico-chimiche, micro-biologiche, ecotossicologiche e mineralogiche sono state effettuate per ogni campione raccolto, sia prima che dopo il trattamento previsto.
Il sediment washing Il procedimento, realizzato mediante impianto pilota, ha permesso, con meccanismi fisici e chimici (vagliatura ad umido su setacci vibranti, idrociclonatura, attrizione, addizione di polielettroliti per l'ispessimento dei fanghi, sedimentazione e filtro-pressatura), la separazione del sedimento nelle tre frazioni di granulometria >2 mm, 75 µm – 2 mm e <75 µm (fanghi), la concentrazione nella frazione più fine degli inquinanti adsorbiti sulla superficie particellare e presenti nei frammenti risultanti dalla fase di attrizione e la concentrazione per disidratazione dei fanghi in panelli ispessiti. L'impianto pilota ha in entrata il sedimento misto acqua che all'interno del turbodissolutore, grazie ad una forte turbolenza, viene riso-
speso. La torbida è fatta passare per un filtro a rete con maglia di 2 mm per la prima separazione granulometrica: il vaglio superiore è costituito per lo più da materiale organico (legni e frammenti di conchiglie) scartato, mentre il sottovaglio (la torbida la cui frazione solida è inferiore ai 2 mm di dimensione) viene rilanciato mediante pompa nel serbatoio agitato. La pompa centrifuga spara il fango nell'idrociclone per la separazione di una frazione più grossolana (75 μm – 2 mm) e di una più fine (<75 μm) con attendibilità del 90-95%. La frazione a granulometria maggiore (75 μm – 2 mm) è quella che con maggiore probabilità può essere contaminata da inquinanti, poiché questi aderiscono alla superficie delle particelle. Per diminuire il livello di contaminazione il materiale viene passato in cella di attrizione, la cui funzione è di sganciare l'inquinante adeso alla superficie delle particelle. A seguito di questa operazione i sedimenti intermedi risultano frazionati in sedimenti fini (silt<75 μm), costituiti dalla parte superficiale abrasa, e in sedimenti superiori ai 75 micron puliti, e pertanto pronti e disponibili per essere riutilizzati (infrastrutture, ingegneria ambientale). La frazione a granulometria fine costituisce
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un fango maggiormente diluito rispetto allo stato iniziale a causa dei lavaggi di vaglio. L'azione di un sedimentatore successivo (ispessitore) produce una torbida costituita da 50 – 100 g/l di materiale solido, che attraverso l'azione chimica di elettroliti, raggiunge la concentrazione di 500 g/l. A questo punto entra nel filtro pressa per la separazione della parte solida da quella liquida. Il funzionamento è determinato dalla presenza di piastre e tele consecutivamente poste a costituire cavità all'interno delle quali viene pompata ad elevate pressioni la torbida sulla quale attuare la separazione. La torbida si ferma all'interno di ciascuna piastra, dove sedimenta la parte solida andando a costituire, alla fine del processo, una 'panella' (ad intercapedine totalmente riempita), mentre la fase liquida fuoriesce dalle pareti semipermeabili del filtro pressa. Il processo è di tipo discontinuo, raggiunta la massima capienza delle piastre il processo si ferma e le mattonelle vengono recuperate con la depressurizzazione ed apertura del filtro. Le mattonelle estratte conservano ancora un contenuto minimo di umidità, in funzione anche dell'obiettivo da raggiungere. Le acque provenienti dall’impianto di trattamento e dalla disidratazione dei sedimenti fini sono trattate mediante processo di depurazione al fine di diminuire i contaminanti presenti e permetterne lo scarico nel corpo idrico recettore.
Il l andfarming Sulle panelle in uscita dal filtro pressa, che mantengono al termine del processo un’umidità all'incirca del 30%, ed in particolare su quelle risultanti dal trattamento dei sedimenti classificati rossi (alta concentrazione di inquinante), è stata applicata la tecnica del landfarming mediante inoculazione di ceppi batterici e fungini selezionati che utilizzano i contaminanti organici come alimento e restituiscono all'ambiente acqua e anidride carbonica. Infatti le analisi effettuate hanno identificato il livello di inquinamento presente imputabile esclusivamente ai composti idrocarburici. In riferimento alla presenza di metalli pesanti, le concentrazioni chimiche sono risultate omogenee nelle 3 frazioni esaminate (campione tal quale, sabbia e limo), dimostrando una composizione naturale. L'aggiunta microbica è stata preparata sulla base del protocollo BioFuture, che fornisce soluzioni personalizzate per il trattamento biologico delle acque reflue derivanti da impianti industriali e di rete urbana. Il trattamento è stato effettuato in scatole di plastica in cui al sedimento setacciato e asciutto è stata inoculata la comunità microbica, addizionata di acqua, urea e sodio fosfato, all'inizio della sperimentazione, e mescolato manualmente ogni giorno. Il processo è stato realizzato in 6 step, la fase iniziale e 5 step successivi cadenzati al 7°, 15°, 21°, 51° e 86° giorno di trattamento,
quando un sub-campione è stato raccolto al fine di valutare il degrado e il contenuto di nutrienti. Al 4° step, è stata effettuata una setacciatura di limo secco al fine di aumentare la distribuzione di ossigeno nei campioni e migliorare i tassi di degradazione. I risultati delle analisi sui nove campioni trattati in landfarming (3 trattamenti per le prove di SILT su ciascuna delle tre tipologie di campioni, rosso, giallo e verde), effettuate presso i laboratori del Centro Ricerche e Servizi Ambientali di MED Ingegneria (CRSA MED Ingegneria), sono significativi. Da un punto di vista chimico, dalle tendenze dei nutrienti come valore medio sulle 3 repliche per ogni test (rosso, giallo e verde), si è potuto osservare che le quantità di nutrienti sono risultate sufficienti per il processo di degradazione, senza mai raggiungere livelli carenti. Rispetto ai nitrati si è verificato un valore anomalo in tutte le repliche e prove. Sul campione rosso, è risultato un decremento significativo di fosforo totale, mentre per altri composti il calo iniziale non è stato confermato nei passaggi successivi. Questa diminuzione iniziale di nutrienti è stata osservata anche nelle altre due prove (giallo e verde), probabilmente per l'elevato contenuto di acqua che può aver influenzato il campionamento o la procedura analitica. Per quanto riguarda le analisi microbiologiche ed ecotossicologiche, il processo di landfarming è stato realizzato mediante inoculo di batteri in grado di degradare i composti organici. Al termine del processo, l'analisi della composizione microbica ha dimostrato la presenza in buona quantità di microflora in tutti i campioni. In particolare, sono stati rilevati tre diversi tipi di colonie di batteri e muffe, alcuni filamentosi, in modo omogeneo in tutti i campioni.
Il trattamento termico con torcia al pl asma I test legati all’estrazione di silicio di grado metallurgico sono tuttora in corso all'interno dei laboratori del DIEM, il Dipartimento di Ingegneria delle Costruzioni Meccaniche, Nucleari, Aeronautiche e di Metallurgia dell'Università di Bologna, e consistono nel trattamento dei sedimenti raccolti all'interno del Porto di Ravenna mediante una sorgente di plasma ad induzione (torcia al plasma), al fine
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di ricavarne silicio metallico, simulando su proseguire fiduciosi con le prove di laboratoscala pilota ciò che avviene in fornaci ad arco rio. Il silicio presente all’interno del sedimena livello industriale. to portuale, che le analisi attestano attorno Il risultato complessivo è una generazione di al 40% sia per la frazione sabbiosa che per calore estremamente concentrata all'interno quella limoso-argillosa, si separa creando della torcia, che permette al gas di raggiungere sfere di lega metallica; le analisi delle steslo stato di plasma, caratterizzato da tempe- se al microscopio ottico a scansione SEMrature nell’ordine dei 11.000 – 12.000°C, che EDAX in dotazione presso il CRSA MED Inpermettono di raggiungere temperature di pro- gegneria dimostrano che queste contengono cesso intorno ai 3.000 – 4.000°C nel materiale silicio fino al 90%. da trattare. L'estrazione di silicio metallurgico Allo stesso tempo il trattamento termico condalla silice cristallina, contenuta nei sedimenti sente di inertizzare il materiale residuo. Gli portuali, avviene attraverso una reazione in cui stessi laboratori effettueranno test di cessioil carbonio riduce la silice in silicio, favorita dalle ne e set di prove meccaniche al fine di identielevate temperature di esercizio. ficarne idonei reimpieghi come materia prima Nei mesi scorsi sono state effettuate nume- secondaria. rose e differenti prove, variando sia la temperatura alla quale il crogiolo è stato sotto- Conclusioni posto sia la durata del trattamento (dai 14 ai La sperimentazione chimico-fisico-biologica 40 minuti). fin qui realizzata ha evidenziato una riduziook B DEPURACQUE 240X150.qxp:Layout 1 23-02-2010 9:13 Pagina 1della concentrazione delle soI risultati di questa prima fase di sperimen- ne significativa tazione, anche se preliminari, consentono di stanze inquinanti.
Il trattamento termico, diversamente da tutti gli approcci sul trattamento dei sedimenti di dragaggio, non è esclusivamente in funzione della granulometria del sedimento poichè anche le frazioni limoso-argillose, nell’ottica SEDI.PORT.SIL., diventano un’importante fonte di silicio. Il grado metallurgico del silicio estratto e commercializzato può effettivamente rendere l’intera filiera economicamente sostenibile a livello industriale. Il processo è volto a massimizzare la percentuale recuperabile di sedimenti diminuendo nel contempo il quantitativo di rifiuti da dover gestire e smaltire. Il processo realizzato sui sedimenti ravennati è in fase di replica sui sedimenti dragati nel porto di Midia; i risultati saranno presentati in occasione del workshop che si terrà a Costanza dall'8 al 10 maggio. * MED Ingegneria s.r.l. ** Diemme S.p.A.
impianti per il trattamento del percolato da discarica
L’impianto per il trattamento del percolato che si origina nelle discariche di R.S.U. è stato sviluppato sulla base del know-how e dell’esperienza che Depuracque ha acquisito nel campo degli evaporatori sotto vuoto per il trattamento di reflui altamente inquinanti in oltre dieci anni di realizzazioni applicative in area industriale. Questo impianto risolve in maniera definitiva il problema del trattamento del percolato con una soluzione tecnologicamente avanzata ed economicamente vantaggiosa in termini di costi sia di investimento sia di esercizio. L’impianto comprende normalmente una opportuna sezione di finissaggio del condensato per la rimozione dell’ammoniaca (strippaggio-assorbimento con aria in circuito chiuso) ed un eventuale trattamento di ossidazione biologica a fanghi attivati (processo S.B.R.).
In funzione di specifiche esigenze sono stati eseguiti impianti con sezioni di preconcentrazione e di finissaggio su membrane. I vantaggi sono rilevanti in quanto la tecnologia adottata coperta da brevetto Depuracque: - comporta il trattamento specifico del refluo con effettivo abbattimento degli inquinanti evitando qualsiasi diluizione; - evita i rischi connessi alla fase di trasporto; - consente l’ottimale recupero energetico del biogas; il fabbisogno termico può inoltre essere soddisfatto con il solo utilizzo di acqua calda da raffreddamento dei gruppi di cogenerazione e pertanto ad effettivo costo zero;
- costituisce applicazione della migliore tecnologia oggi praticabile per i reflui ad alto contenuto inquinante; - risolve in maniera definitiva i problemi dello smaltimento del percolato in assenza di emissioni significative in atmosfera. La gamma di normale produzione prevede modelli con capacità fino a 10 m 3/h. Ad oggi sono stati realizzati impianti presso le discariche di: Pescantina (VR), Centa Taglio (VE), Pantaeco (LO), San Miniato (PI), Chianni (PI), Fermo (AP), Rosignano Marittimo (LI), Serravalle Pistoiese (PT), Giugliano in Campania (NA), Monsummano Terme (PT), Jesolo (VE), Peccioli (PI), Malagrotta (RM), Bracciano (RM).
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I RIFIUTI URBANI: UNA LEVA PER L’ENERGIA SOSTENIBILE I risultati di uno studio sperimentale per la valorizzazione della frazione organica dei rifiuti nella produzione di biocarburanti di M.R. Boni, S. Sbaffoni e L. Tuccinardi*
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l continuo sviluppo del trasporto su strada pone ai Paesi europei la difficile sfida di conciliare le accresciute esigenze di mobilità con quelle di tutela dell’ambiente e della salute dei cittadini. Il settore dei trasporti rappresenta, dunque, una delle priorità su cui intervenire immediatamente, dato che da questo settore proviene circa un quarto delle emissioni totali di gas serra e che una mobilità sostenibile è indispensabile anche su scala globale. L’inquinamento ambientale legato all’utilizzo dei combustibili fossili convenzionali ha reso necessaria la ricerca di fonti energetiche alternative, che possano essere considerate a basso impatto ambientale ed al tempo stesso funzionali alla crescente richiesta energetica globale.
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Le più recenti direttive comunitarie, nonché i diversi accordi di programma stabiliti dai Paesi europei, hanno definito gli obiettivi quantitativi nazionali per inserire quote crescenti di biocarburanti, prodotti da biomasse, nel mercato comunitario energetico ed in particolare all’interno settore della mobilità. In questo contesto, i carburanti di origine biologica possono svolgere un ruolo strategico dal punto di vista della tutela ambientale, in quanto permettono di differenziare gli approvvigionamenti e ridurre allo stesso tempo le emissioni di gas a effetto serra e altri inquinanti. Tale questione sollecita il mondo scientifico a dare risposte concrete, al fine di soddisfare anche le esigenze primarie connesse con
lo sviluppo sostenibile. Nel corso degli ultimi anni pertanto si sono avviate numerose attività sperimentali e di ricerca finalizzate alla produzione di biofuel e vettori energetici tramite il processo biologico di digestione anaerobica applicato a differenti substrati sia semplici che complessi, come la frazione organica dei rifiuti urbani, i rifiuti agroalimentari e gli scarti di origine agricola. In particolare, gli scarti organici di origine urbana rappresentano una materia prima ampiamente disponibile e reperibile sul territorio e pertanto costituiscono una valida risorsa ambientale, giacché possiedono un potenziale energetico che può essere recuperato e riutilizzato tramite le attuali tecnologie a disposizione. L’impiego della frazione organica dei rifiuti all’interno di un processo di valorizzazione energetica consentirebbe di ottenere il duplice vantaggio di riduzione dell’impatto ambientale legato all’uso esclusivo di fonti fossili convenzionali
all’interno di processi energetici e dei costi legati allo smaltimento in discarica di ingenti quantitativi di rifiuti. Nel contesto scientifico del settore è possibile evidenziare risultati molto incoraggianti; infatti, nel corso degli ultimi anni si stanno avviando attività sperimentali e di ricerca finalizzate alla produzione di biofuel a partire dalla valorizzazione di scarti provenienti dall’industria agroalimentare, del legno e dal settore dei rifiuti urbani. La produzione di vettori energetici da materiali con valore pressoché nullo quali i rifiuti, ma che comunque richiedono alla collettività un costo di smaltimento, potrebbe rappresentare una strategia in grado di rispondere nello stesso tempo a problematiche sia di carattere ambientale che economico. In quest’ottica, i rifiuti lignocellulosici ed in particolare quelli organici di origine urbana rappresentano una materia prima ampiamente disponibile e reperibile sul territorio; essi pertanto costituiscono una valida risorsa ambientale, giacché possiedono un potenziale energetico che può essere recuperato e riutilizzato tramite le attuali tecnologie a disposizione. Sebbene molte e importantissime informazioni sul processo di digestione anaerobica possano ricavarsi dalla letteratura scientifica di riferimento, è indispensabile condurre sperimentazioni dedicate alla valutazione delle condizioni operative di processo ottimali in funzione della tipologia di substrato che viene impiegato; infatti, in relazione a matrici complesse quali possono essere i rifiuti, ricerche sperimentali su scala di laboratorio appaiono indispensabili per comprendere la fattibilità del processo su scala reale per la matrice selezionata, data la
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maggiore difficoltà di controllare un numero molto superiore di fattori che possono influenzare i percorsi metabolici fermentativi in atto. Inoltre, l’ottimizzazione del processo di digestione anaerobica e la massimizzazione delle rese di idrogeno e metano dalla frazione organica dei rifiuti non possono prescindere da un’efficace raccolta differenziata. In conclusione, l’integrazione obbligata dei due sistemi rappresenta dunque la sintesi di un’efficienza tecnologica mirata al recupero di materia e di energia dai rifiuti. Allo scopo di prendere in esame la valorizzazione energetica mediante digestione anaerobica della frazione organica dei rifiuti urbani, è stato realizzato uno studio sperimentale in reattori batch presso il Laboratorio di Ingegneria Sanitaria-Ambientale di Sapienza, Università di Roma. I test sono stati rivolti a tre frazioni organiche reali distinte (Figura 1): la prima derivante dalla frazione umida selezionata meccanicamente da un impianto di selezione meccanica su rifiuto urbano indifferenziato (OF), la seconda (FW) prelevata da un impianto di compostaggio del centro Italia, costituita da rifiuto organico raccolto in modo differenziato (principalmente umido cittadino, scarti agroalimentari e di potature), la terza costituita da scarti di origine domestica prelevati da una mensa universitaria (M). La realizzazione di prove fermentative in reattore batch ha avuto lo scopo di testare la produzione d’idrogeno e metano dai materiali tal quali, quindi la fattibilità del processo. In queste prove sono state prese in considerazione differenti condizioni ambientali (rapporto solido-liquido, pretrattamenti dell’inoculo, pH) per la digestione, allo scopo di valutare
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l’effetto dei parametri più significativi sul processo ed individuare le condizioni migliori per la digestione dei diversi substrati organici tramite l’analisi quali/quantitativa del biogas prodotto e del digestato liquido nelle diverse fasi del processo di digestione. Nel corso della sperimentazione è stato possibile evidenziare importanti differenze nelle rese quali-quantitative del biogas legate all’interazione tra le condizioni operative istauratesi all’interno dei reattori e le caratteristiche chimico-fisiche dei rifiuti stessi. La frazione organica proveniente dalla selezione meccanica su rifiuto indifferenziato (OF), quindi inevitabilmente caratterizzata da un maggior grado di impurità rispetto ad un organico selezionato a monte, pur rivelandosi meno sensibile alle variazioni di carico all’interno del processo fermentativo, non ha dato luogo in nessuna condizione ad una significativa produzione di idrogeno. Del resto, anche il pH naturale del materiale e la sua elevata capacità tampone hanno determinato condizioni ambientali all’interno dei reattori che hanno favorito l’attività dei metanigeni già a pochi giorni dall’avvio delle prove. I materiali costituiti da una frazione organica derivante da raccolta differenziata (FW) o da scarti organici selezionati (scarti di origine domestica, materiale (M) presentano un elevato grado di putrescibilità e umidità, che le rendono adatte alla digestione anaerobica e sono risultati naturalmente idonei al processo di fermentazione finalizzato alla produzione di idrogeno. In particolare, il materiale FW si è rivelato più versatile in quanto ha consentito di ottenere anche metano, tramite correzione del pH all’interno dell’ambiente di crescita dei
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Figura 1. Rappresentazione della matrice OF (a), FW (b), M (c)
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batteri fermentativi. Nonostante il pH naturale dello stesso non dia infatti luogo alla possibilità di un avvio spontaneo della metanogenesi, a differenza di OF, la matrice è in grado di evolvere attraverso la correzione del parametro verso quei cambiamenti metabolici in grado di portare il materiale (mediamente più ricco di sostanza organica rispetto ad OF) alla completa metanizzazione del substrato. In relazione allo sviluppo della biomassa batterica H2produttrice, il materiale appare molto sensibile alle variazioni di carico; in particolare l’eccessivo aumento del contenuto dei solidi totali e di carico organico sono causa della completa inibizione del processo fermentativo. Questa tipologia di matrice potrebbe bene collocarsi all’interno di un processo in doppio stadio in condizioni umide di processo, in cui effettuare la produzione separata in successione di idrogeno e metano. A seguito di cambiamenti nelle politiche-gestionali dell’impianto da cui veniva prelevata, la matrice FW è stata arricchita maggiormente della frazione legnosa-verde, difficilmente degradabile, che ha comportato una diminuzione delle rese di processo e la necessità di aggiungere agenti tamponanti per la stabilizzazione del pH all’interno dell’ambiente di crescita dei microrganismi. La matrice M, essendo costituita da un quantitativo molto
elevato di solidi volatili, nonché da una frazione organica selezionata e priva di impurità, è risultata fortemente idonea al processo di produzione dell’idrogeno, tanto che, essendo state riscontrate in fase batch produzioni superiori ad FW, è stata verificata e accertata anche la stabilità produttiva più a lungo termine in reattore semi-continuo; in questa fase è stata confermata inoltre l’autosostenibilità del processo anche senza l’aggiunta di inoculo. La matrice ha dimostrato durante il processo di acidogenesi di essere maggiormente soggetta a diminuzioni di pH rispetto al materiale da raccolta differenziata, pertanto sin dai primi test si è verificata la necessità di aggiungere agenti tamponanti durante il processo. Appare infatti questo l’elemento più critico annesso all’utilizzo di tale materiale: se pur ottenute modeste produzioni di metano, tramite frequenti correzioni del pH, non è stato possibile in fase batch completare l’avvio della fase metanigena. Nonostante i possibili accorgimenti, in generale i tempi di avvio della fase metanigena sono relativamente lunghi se confrontati con le altre fasi del processo biologico, in quanto i microrganismi anaerobi presentano come è noto basse velocità di crescita e di reazione e necessitano il mantenimento delle condizioni ambientali ottimali per il loro sviluppo.
L’ambiente di reazione dovrebbe quindi risultare un compromesso tra le esigenze dei singoli gruppi microbici per consentire la crescita equilibrata di tutti i ceppi coinvolti. Nel caso del materiale M è risultato molto difficile evitare brusche variazioni del pH, nonché ottenere una stabilizzazione duratura dello stesso, pertanto le condizioni per l’avvio della fase metanigena potrebbero essere ulteriormente investigate, ad esempio effettuando dei test di co-digestione del materiale con scarti ad effetto tampone in grado di equilibrare le condizioni del parametro. Naturalmente anche il leggero aumento della temperatura potrebbe favorire uno sviluppo più rapido dei metanigeni; tuttavia aumenti significativi devono essere considerati all’interno del bilancio dei costi complessivi di un impianto reale di digestione anaerobica. Alla luce di queste considerazioni, emerge chiaramente che rifiuti organici di diversa origine danno luogo a rese diverse, sia in termini qualitativi che quantitativi, in condizioni sperimentali specifiche richieste per l’instaurarsi del processo fermentativo sui substrati stessi. E’ importante sottolineare inoltre che l’impiego di un materiale completamente reale all’interno di una sperimentazione finalizzata alla produzione di vettori energetici può comportare l’insorgere di difficoltà operative legate alla variazione delle caratteristiche del rifiuto, che possono generare ripercussioni rilevanti sul sistema microbiologico, tali da determinare la diminuzione della resa di produzione fino anche all’arresto del processo. Del resto, è naturale aspettarsi che in un sistema integrato reale che preveda la raccolta della frazione organica e il suo impiego per la produzione di biogas, tali variazioni risulterebbero controllate a monte del sistema. In ogni caso, le prove a scala di laboratorio per lo sfruttamento energetico di biomasse da rifiuto costituiscono la base di ogni valutazione per il passaggio su scala più ampia, ma anche per le analisi delle caratteristiche del digestato, al fine di una successiva valorizzazione economica e di una massimizzazione del recupero di materia. * Sapienza Università di Roma - Dipartimento di Ingegneria Civile, Edile e Ambientale
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IL GRUPPO GALGANO RINGRAZIA TUTTE LE AZIENDE CHE HANNO ADERITO PER TESTIMONIARE IL RUOLO STRATEGICO DI QUALITÀ E INNOVAZIONE A BENEFICIO DEL NOSTRO PAESE
per l’edizione 2012 Chi si vuole prenotare roup.it zioni.esterne@galganog la re 5 29 5. 60 9. /3 02 l. te
w w w. g a l g a n o g r o
up.it
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“Eppur si muove”: breve cronaca dell’introduzione dei reati ambientali Chi si aspettava un riordino completo del sistema dei reati ambientali è rimasto deluso ma il D.Lgs. 121/2011 ha posto comunque le basi per l’auspicato riassetto futuro di Andrea Quaranta*
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opo anni di discussioni sulla necessità/validità dell’adozione di strumenti, anche penali, nel settore del diritto dell’ambiente, considerati dai più meno incisivi delle sanzioni amministrative-pecuniarie, più “efficaci” nel tutelare l’ambiente perché in grado di colpire gli imprenditori nel cuore dei loro interessi economici, con la direttiva 2008/99/ce il Parlamento europeo e il Consiglio hanno ritenuto che il ricorso al diritto penale dell’ambiente costituisse una misura indispensabile nella lotta contro le violazioni ambientali gravi. Mossi dalla preoccupazione legata all’aumento dei reati ambientali e alle relative conseguenze, il Parlamento e il Consiglio hanno quindi ritenuto necessario un rafforzamento della tutela dell’ambiente attraverso la previsione di sanzioni penali che, oltre ad essere indice di una “riprovazione sociale” maggiore, sono più per le attività che danneggiano l’ambiente: in particolare, l'articolo 3 della direttiva prevedeva che gli Stati membri dovessero punire con sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive tutta una serie di condotte (in materia di scarichi idrici, emissioni in atmosfera, gestione dei rifiuti, uccisione, distruzione, possesso, prelievo e commercio di esemplari di specie animali o vegetali selvatiche protette),
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senza tuttavia indicare l’entità delle stesse, ma lasciando ampia libertà agli Stati membri, per quanto concerne la misura dei divieti, da introdurre nelle legislazioni nazionali in fase di recepimento della direttiva 2008/99/ce. Il nostro legislatore ha recepito la direttiva sulla tutela penale dell’ambiente con il consueto ritardo (la scadenza era prevista per il 26 dicembre 2010) con il D.Lgs. n. 121 del 7 luglio 2011, che tuttavia non ha effettuato quel riordino della materia concernente i reati ambientali che ci si aspettava: lo ha detto chiaro e tondo lo stesso governo nella relazione illustrativa di accompagnamento al testo del D.Lgs., nella parte in cui, nel sottolineare i limiti di pena previsti dalla legge di delega, ha affermato come il recepimento della normativa comunitaria non potesse essere assicurato attraverso un completo ripensamento del sistema dei reati contro l’ambiente, il quale “potrà costituire oggetto di un successivo intervento normativo”.
Si tratta, a ben vedere, di un modus operandi già adottato a partire dal 2001 quando, nel strutturare il sistema di responsabilità degli enti collettivi conseguenti a reato (D.Lgs. n. 231/01), il nostro legislatore delegato ritenne opportuno escludere dall’attuazione della delega i reati in materia di tutela dell’ambiente e del territorio, dal momento che la loro introduzione avrebbe fatto della responsabilità degli enti “un problema di quotidiana amministrazione della giustizia”, e che di conseguenza sembrava opportuno, perlomeno nella fase iniziale, contenerne la sfera di operatività, anche allo scopo di “favorire il progressivo radicamento di una cultura aziendale della legalità che, se imposta ex abrupto con riferimento ad un ampio novero di reati, potrebbe fatalmente provocare non trascurabili difficoltà di adattamento”.
Da allora si sono susseguiti, in estrema sintesi: l’art. 192, comma 4, del TUA (“qualora la responsabilità del fatto illecito sia imputabile ad amministratori o rappresentanti di persona giuridica […] sono tenuti in solido la persona giuridica ed i soggetti che siano subentrati nei diritti della persona stessa”); una serie di disposizioni normative (L. n. 123/07; D.Lgs. n. 81/08) che hanno esteso la responsabilità dell’ente ai delitti di omicidio e lesioni colpose, con cui è venuto meno il criterio di esclusività applicato all’iscrizione di responsabilità per i soli reati dolosi; la cit. direttiva 2008/99/ce; la L. n. 96/10, che nelle intenzioni del legislatore avrebbe dovuto introdurre nei c.d. reati presupposto (i reati rilevanti ai fini della responsabilità amministrativa degli enti), le “fattispecie criminose indicate nella direttiva” 2008/99/ce, e prevedere, nei confronti delle persone giuridiche nell’interesse, o a vantaggio delle quali, fosse stato commesso uno di tali reati, “adeguate e proporzionate sanzioni amministrative pecuniarie, di confisca, di pubblicazione della sentenza ed eventualmente anche interdittive, nell'osservanza dei principi di omogeneità ed equivalenza rispetto alle sanzioni già previste per fattispecie simili”. Nell’attesa del recepimento della direttiva, la dottrina ha cercato di attribuire un significato univoco al rinvio, effettuato dal legislatore delegante, alle “fattispecie criminose indicate dalla direttiva”: fra le due contrapposte ipotesi, medio tempore prospettate (rinvio implicito a reati di nuovo conio; conformità della legislazione penale italiana quale “maximum standard rispetto al minimum standard europeo”) il legislatore delegato ha optato per la seconda soluzione, introducendo nel catalogo dei reati presupposto numerosi illeciti già
contenuti nel D.Lgs. n. 152/06 (in materia di scarico di acque reflue industriali, attività di gestione di rifiuti senza autorizzazione, iscrizione o comunicazione, omessa bonifica, […]) e implementando l’apparato sanzionatorio solo con l’inserimento (nel codice penale) delle uniche fattispecie sanzionate dalla direttiva assenti nell’ordinamento interno (uccisione, distruzione, prelievo o possesso di esemplari di specie animali e vegetali selvatiche protette; distruzione o deterioramento di habitat all’interno di un sito protetto). In sostanza, il legislatore si è limitato esclusivamente ad inserire nel D.Lgs. soltanto quelle disposizioni strettamente necessarie a garantire l’adempimento agli obblighi comunitari scaturenti dalla direttiva 2008/99/ce, senza riordinare, ancora una volta, l’intera materia dei reati ambientali. Quali le conseguenze del decreto che, come si legge nella relazione illustrativa, “da un lato, implementa, ma sempre nell'ambito del sistema contravvenzionale, il livello di tutela penale delle condotte previste dalla direttiva, prevedendole quali reati laddove non previste (articolo 1) e, dall'altro, prevede una compiuta disciplina della responsabilità delle persone giuridiche, oggi assente nei reati contro l'ambiente (articolo 2)”? Indubbiamente la novità più rilevante è quella relativa all’inserimento di alcuni reati ambientali nei cataloghi dei reati presupposto della responsabilità degli enti, dopo il rinvio di dieci anni fa e l’inefficacia della disposizione introdotta nel testo unico ambientale (art. 192, comma 4), che non è valsa a configurare la responsabilità da reato degli enti in materia ambientale difettando, come affermato dalla giurisprudenza, “tanto la tipizzazione degli illeciti, quanto quella delle sanzioni applicabili alle persone giuridiche”.
In passato si è dibattuto sull’obbligatorietà, o meno, dell’adozione – da parte delle imprese la cui attività comporta un concreto rischio di commissione di reati ambientali – di modelli organizzativi idonei alla ragionevole prevenzione del rischio reato: alla “naturale” tesi sulla facoltatività della loro adozione (il D.Lgs. n. 231/01 non ha introdotto un obbligo perché non ha previsto sanzioni al riguardo), lasciata ad una valutazione discrezionale, di tipo gestionaleeconomica in capo agli amministratori, faceva da contraltare quella che intravedeva nel codice civile (art. 2392) il “grimaldello” che il giudice penale poteva utilizzare per procedere nei confronti degli amministratori, che “non devono essere […] esperti in contabilità, in materia finanziaria, e in ogni settore della gestione e dell'amministrazione dell'impresa”, ma devono informare le loro scelte ad un adeguato “rischio calcolato, e non ad una irresponsabile e negligente improvvisazione”. La novità legislativa costringerà le imprese a valutare attentamente la necessità di progettare, o meno, (anche) le modalità di gestione del rischio ambientale: se è vero, infatti, che è possibile parlare di facoltatività nell’adozione del modello con riferimento all’ente, un discorso diverso deve essere fatto in relazione agli organi sociali, gravati da un obbligo di corretta amministrazione, anche e soprattutto in seguito alla riforma del diritto societario del 2003, con la quale il principio di adeguatezza degli assetti organizzativi interni è divenuto elemento fondante della governance delle S.P.A. Oltre agli evidenti vantaggi relativi alla riduzione del rischio di commissione di reati in campo ambientale a livelli ragionevoli (ad eccezione del caso dell’elusione fraudolenta, ad esempio, all’ente non sarà rimproverabile la realizzazione
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dell’illecito penale consumato da un soggetto formalmente delegato; l’adozione di modelli organizzativi post delictum può svolgere una funzione di natura riparatoria), l’adozione di un modello organizzativo vero e proprio, stilato “su misura” (e non un insieme di documenti disorganici, che spesso, ancora oggi, molte imprese sono convinte possano bastare a esimere l’ente da responsabilità) consentirebbe al giudice di valutare discrezionalmente, caso per caso, la reale responsabilità dell’ente stesso. Di contro, la mancata adozione di protocolli cautelari non lascerebbe alcun margine di discrezionalità al giudice: la Corte di Cassazione, infatti, ha affermato che “la mancata adozione dei modelli organizzativi in presenza dei presupposti oggettivi e soggettivi indicati dalla legge (reato commesso nell'interesse o a vantaggio della società e posizione
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apicale dell'autore del reato) è sufficiente a costituire quella rimproverabilità di cui alla relazione ministeriale del decreto legislativo e ad integrare la fattispecie sanzionatoria, costituita dall'omissione delle previste doverose cautele organizzative e gestionali idonee a prevenire talune tipologie criminose”. A differenza di quanto previsto in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro (nella quale il legislatore ha previsto
linee guida per uniformare i modelli di organizzazione aziendale ai fini della loro presunta idoneità a prevenire reati), il D.Lgs. 121/11 ha deciso di lasciare ad ogni ente il compito di verificare, sulla base delle proprie specifiche peculiarità, le prescrizioni normative a cui è sottoposto in campo ambientale ed attuare, di conseguenza, efficaci protocolli cautelari. In conclusione, non c’è stato un completo riordino dei reati ambientali presupposto della responsabilità degli enti, e l’adozione di modelli organizzativi idonei alla ragionevole prevenzione del rischio reato non è obbligatoria: tuttavia qualcosa, sia pure lentamente, e in ritardo, si sta muovendo, nonostante la completa stasi politica che, purtroppo, da troppo tempo attanaglia il nostro paese. *Consulente ambientale on-line www.naturagiuridica.com
LA “NUOVA” MISCELAZIONE FA DIVENTARE “VECCHIE” LE AUTORIZZAZIONI D.LGS. 205/2010: DALLE NOVITà INTRODOTTE IN RELAZIONE AL DIVIETO DI MISCELAZIONE DEI RIFIUTI ALLA NECESSITà DI INTEGRARE LE AUTORIZZAZIONI ESISTENTI di Daniele Carissimi*
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ra le più rilevanti novità introdotte dal D.Lgs. 205 del 2010 si può annoverare quella che ha investito il divieto/operazione di miscelazione di cui all’art. 187 del Testo Unico Ambientale. Prima delle modifiche apportate dal D.Lgs. 205/2010, l’art. 187 riproduceva pedissequamente quanto disposto in precedenza dall’art. 9 del D.Lgs. 22/97 (c.d. Decreto Ronchi) che poneva i seguenti divieti: • il divieto di miscelare rifiuti pericolosi con altri rifiuti pericolosi appartenenti a categorie diverse tra le 40 di cui all’Allegato G, Parte IV del D.Lgs. 152/06; • il divieto di miscelare rifiuti pericolosi, a prescindere dalla categoria di appartenenza, con i rifiuti non pericolosi.
Lo stesso articolo prevedeva, tuttavia, possibili deroghe concesse nell’atto autorizzatorio, sempre che non si arrecasse pericolo alla salute umana o pregiudizio all’ambiente. Alla luce del vecchio art. 187 quindi, rilevavano le c.d. “categorie” di rifiuti, per tali dovendosi intendere le “categorie o tipi generici di rifiuti pericolosi elencati in base alla loro natura o all’attività che li ha prodotti” di cui all’(ex) Allegato G del Codice dell’Ambiente, in cui vi erano elencate 40 categorie di rifiuti pericolosi (al riguardo, si ritiene utile ricordare, che le “categorie” dovevano ritenersi distinte e diverse dai “codici CER”, e che solo i rifiuti appartenenti alla medesima categoria, anche aventi codici differenti, tra le 40 indicate al sopra citato Allegato G potevano essere miscelati tra loro).
L’art. 15 del D.Lgs. 205/2010 ha sostituito interamente l’art. 187, sicché oggi esso dispone che: “1. È vietato miscelare rifiuti pericolosi aventi differenti caratteristiche di pericolosità ovvero rifiuti pericolosi con rifiuti non pericolosi. La miscelazione comprende la diluizione di sostanze pericolose. 2. In deroga al comma 1, la miscelazione dei rifiuti pericolosi che non presentino la stessa caratteristica di pericolosità, tra loro o con altri rifiuti, sostanze o materiali, può essere autorizzata ai sensi degli articoli 208, 209 e 211, a condizione che: a) siano rispettate le condizioni di cui all’articolo 177, comma 4, e l’impatto negativo della gestione dei rifiuti sulla salute umana e sull’ambiente non risulti accresciuto;
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b) l’operazione di miscelazione sia effettuata da un ente o da un’impresa che ha ottenuto un’autorizzazione ai sensi degli articoli 208, 209 e 211; c) l’operazione di miscelazione sia conforme alle migliori tecniche disponibili di cui all’articolo 183, comma 1, lettera nn)”. Le novità sostanziali sono, dunque, le seguenti: • il venir meno del riferimento alle categorie di cui all’Allegato G; • il nuovo adottato riferimento alle “caratteristiche di pericolosità”; • l’inserimento della “diluizione” di sostanze pericolose quale operazione di miscelazione; • l’aumento delle condizioni sulla base delle quali può essere concessa l’autorizzazione in deroga. Per opera dell’introduzione del D.Lgs. 205/2010, pertanto, cambia integralmente il presupposto utile a stabilire quali rifiuti si possono miscelare senza necessità di autorizzazione, dovendosi fare riferimento alle sole caratteristiche di pericolo. Ai fini della presente trattazione si ritiene utile ricordare che il nuovo art. 184 riconduce la pericolosità o meno di un rifiuto alle sole caratteristiche di pericolo di cui all’allegato I, essendo stati abrogati, peraltro, gli allegati G (“Categorie o tipi generici di rifiuti pericolosi elencati in base alla loro natura o all’attività che li ha prodotti”) e H (“Costituenti che rendono pericolosi i rifiuti dell’allegato G.2 quando tali rifiuti possiedono le caratteristiche dell’allegato I”) del Codice dell’Ambiente.
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In secondo luogo, vengono aggiunte ulteriori condizioni sulla base delle quali le autorità potranno autorizzare la miscelazione in deroga al divieto di cui al comma 1 e nello specifico quando: a. siano rispettate le condizioni di cui all’articolo 177, comma 4, e l’impatto negativo della gestione dei rifiuti sulla salute umana e sull’ambiente non risulti accresciuto - tale criterio risulta essere il medesimo di quello previgente, essendo cambiato solo il riferimento normativo. In particolar modo si segnala che il rinvio all’art. 177, comma 4, rimanda alla modalità con cui devono essere gestiti i rifiuti e vale a dire “senza pericolo per la salute dell'uomo e senza usare procedimenti o metodi che potrebbero recare pregiudizio all'ambiente e, in particolare: a) senza determinare rischi per l'acqua, l'aria, il suolo, nonché per la fauna e la flora; b) senza causare inconvenienti da rumori o odori; c) senza danneggiare il paesaggio e i siti di particolare interesse, tutelati in base alla normativa vigente.” b. l’operazione di miscelazione sia effettuata da un ente o da un’impresa che ha ottenuto un’autorizzazione ai sensi degli articoli 208, 209 e 211 - tale condizione aggiunge il presupposto dell’ottenimento e vigenza di un’autorizzazione alla gestione di un impianto, quale elemento necessario per poter ottenere l’ulteriore autorizzazione alla miscelazione di rifiuti.
c. l’operazione di miscelazione sia conforme alle migliori tecniche disponibili di cui all’articolo 183, comma 1, lettera nn) - il nuovo articolo 187 aggiunge un’ulteriore cautela ambientale e quella secondo la quale la miscelazione sia conforme alle migliori tecniche disponibili, che, in virtù del rinvio all’art. 183, comma 1, lettera nn) - il quale a sua volta rinvia all’art. 5, comma 1, lett. l ter) - sono definite come “la più efficiente e avanzata fase di sviluppo di attività e relativi metodi di esercizio indicanti l'idoneità pratica di determinate tecniche a costituire, in linea di massima, la base dei valori limite di emissione intesi ad evitare oppure, ove ciò si riveli impossibile, a ridurre in modo generale le emissioni e l'impatto sull'ambiente nel suo complesso. Nel determinare le migliori tecniche disponibili, occorre tenere conto in particolare degli elementi di cui all'allegato XI. Si intende per: 1) tecniche: sia le tecniche impiegate sia le modalità di progettazione, costruzione, manutenzione, esercizio e chiusura dell'impianto; 2) disponibili: le tecniche sviluppate su una scala che ne consenta l'applicazione in condizioni economicamente e tecnicamente idonee nell'ambito del relativo comparto industriale, prendendo in considerazione i costi e i vantaggi, indipendentemente dal fatto che siano o meno applicate o prodotte in ambito nazionale,
purché il gestore possa utilizzarle a condizioni ragionevoli; 3) migliori: le tecniche più efficaci per ottenere un elevato livello di protezione dell'ambiente nel suo complesso.” Atteso tutto quanto fin qui illustrato risulta evidente che, alla luce della nuova normativa, si pone un problema di aggiornamento delle autorizzazioni. A tal proposito è opportuno ricordare in questa sede che la miscelazione, laddove rientrante nelle ipotesi di cui al comma 2 – e vale a dire quelle in deroga al divieto di cui al primo comma - non essendo un’operazione di smaltimento o recupero codificata esplicitamente con una sigla D o R, è stata, nel passato, disciplinata dagli Enti competenti al rilascio delle autorizzazioni nei modi più disparati: da alcune viene ricondotta al D9, da altri al D13 o al D14, e da altri ancora a nessuna D (o R), a seconda della destinazione del rifiuto miscelato. In altri termini, ogni Ente ha autorizzato la miscelazione con modalità differenti, tenendo tuttavia presente il riferimento sulla base del quale veniva vietata la miscelazione (e di conseguenza sulla base del quale veniva concessa l’autorizzazione in deroga), e vale a dire le categorie di rifiuti pericolosi. Tali categorie, tuttavia, ad oggi non esistono più, e diverso risulta il riferimento sulla base del quale viene vietata/concessa la miscelazione. Gli operatori – nonché gli Enti autorizzanti - si trovano pertanto ad oggi nella necessità di conformarsi ai nuovi criteri, in considerazione, peraltro, delle gravi responsabilità che conseguono alla violazione di quanto prescritto dall’art. 187 (Art. 256, 5 co., Chiunque, in violazione del divieto di cui all’art. 187 effettua attività non consentite di miscelazione di rifiuti è punito con la pena dell’arresto da sei mesi a due anni e con l’ammenda da duemilaseicento euro a ventiseimila euro se si tratta di rifiuti pericolosi). Si ritiene quindi opportuno – se non necessario - che tutti gli operatori si facciano parte diligente del rapporto autorizzatorio instaurato con l’ente competente, e si confrontino con gli stessi, al fine di verificare se sia necessario o meno adeguare (e in che modo) le proprie autorizzazioni. *Ambiente Legale s.r.l.
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a ss oc i a z i on e s t u d i amb ientali
Rifiuti inerti da C&d: un’opportunità per il comparto edilizio
Il settore italiano delle costruzioni si trova a fronteggiare una nuova sfida imposta dall’Unione Europea: entro il 2020, come stabilisce la Direttiva Europea 2008/98/CE, il recupero di materiali inerti dovrà raggiungere quota 70%. Un cammino lungo che deve subire un’accelerazione rapida se si considera che ogni anno vengono prodotte più di 40 milioni di tonnellate di rifiuti inerti e che la capacità di recupero sfiora a mala pena il 10%, con differenze significative tra regione e regione. L’Italia si trova così ad inseguire altri stati europei che già da tempo hanno politiche di riciclo che coinvolgono questa particolare categoria di rifiuti: l’Olanda con il 90% dei materiali recuperati è la
nazione più virtuosa, seguita da Belgio (87%) e Germania (86,3%). Proprio per delineare le linee guida del processo che dovrà portarci a raggiungere gli obiettivi europei, nel corso di Expoedilizia - la fiera professionale per l’edilizia e l’architettura (Fiera di Roma, 22 - 25 marzo 2012) - verrà organizzato un focus dal titolo “Rifiuti inerti da costruzione e demolizione” in collaborazione con Studi Ambientali, che punta a coinvolgere professionisti, pubblica amministrazione ed imprese, senza dimenticare il mondo della ricerca e dell’università. Oltre ad un’offerta di seminari e convegni che cercheranno di illustrare le soluzioni per riuscire a cogliere tutte le opportunità di crescita, verranno presentati studi condotti da enti certificati e università sull’uso di aggregati riciclati per il confezionamento di calcestruzzi e conglome-
rati bituminosi e verranno mostrate le più moderne tecnologie e macchinari che permettono il recupero degli inerti limitando notevolmente i costi, con la possibilità di vederli in funzione e testarne la qualità, nell’area espositiva esterna. L’uso corretto dei materiali inerti porta con sé vantaggi di tipo economico e ambientale come ricorda Francesco Montefinese, delegato di Studi Ambientali, Associazione Europea studi per la tutela dell’ambiente: “Per imprese e pubblica amministrazione la scelta di utilizzare materiali inerti riciclati porta ad una riduzione delle spese, dato che grazie al loro recupero si riduce il costo dei trasporti, un fattore che pesa notevolmente sul costo finale dei materiali. Allo stesso tempo riciclare gli inerti provenienti da opere di costruzione o demolizione ha un notevole impatto ambientale: si risparmiano
Il rischio Radon negli ambienti di l avoro Il Radon è un gas radioattivo chimicamente inerte, incolore e inodore che deriva dal decadimento del 238U contenuto nella crosta terrestre. In atmosfera, il radon emesso dal suolo viene diluito a concentrazioni generalmente basse mentre si può accumulare all’interno degli edifici, essendo guidato dalla differenza di pressione o di temperatura fra il suolo che circonda la struttura e l’interno della costruzione. Se quest’ultimo è a pressione più bassa rispetto al terreno, il radon può, quindi, essere spinto attraverso fessure ed aperture a diretto contatto con il suolo. Essendo un gas radioattivo, produce, a sua volta, isotopi metallici radioattivi (figli del radon), alcuni dei quali decadono per la maggior parte nell’aria dell’ambiente in cui vengono prodotti. Questi si depositano sulle superfici dell’apparato respiratorio, in modo particolare nell’area tracheobronchiale, ove vengono assorbite le radiazioni alfa da loro emesse. Il Radon è, infatti, una delle poche sostanze di cui sia stata scientificamente stabilita la cancerogenicità, sulla base di studi epidemiologici, di laboratorio e ricerca sperimentale; è infatti un cancerogeno di gruppo 1 e gruppo A secondo la classificazione rispettivamente dell’Organizzazione Mondiale della Sanità/Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (WHO/IARC) e dell’Agenzia americana Protezione Ambientale (EPA). Questi studi hanno evidenziato inoltre l’azione sinergica tra Radon e fumo di sigaretta nell’aumento del rischio di tumore polmonare. Il Radon è infatti inquadrato al secondo posto, dopo il fumo, come causa per l’insorgenza di tumori polmonari.
La normativa di riferimento e gli obblighi di legge
L’esposizione al Radon in ambienti residenziali è attualmente esclusa dal quadro normativo nazionale; in ambito europeo è comunque vigente la Raccomandazione della CE 90/143/Euratom che fissa i valori di concentrazione al di sopra dei quali raccomandare (o imporre) di effettuare azioni per ridurre la concentrazione di Radon. Tali livelli sono: • 400 Bq/m³ per le abitazioni già esistenti, raccomandando altresì che l’adozione di provvedimenti correttivi avvenga con un’urgenza proporzionale al superamento di tale valore; • 200 Bq/m³ per le abitazioni di futura edificazione, da garantire utilizzando opportune tecniche preventive. Nel panorama italiano, il D.Lgs. 241/2000, che recepisce la Direttiva 96/29/Euratom, richiede il controllo ed il contenimento della concentrazione di attività del Radon nell’aria nei luoghi nei quali si svolgono attività lavorative che possono esporre i lavoratori o le persone del pubblico a sorgenti naturali e comprendono: a. tunnel, sottovie, catacombe, grotte, locali sotterranei o interrati; b. ogni altro ambiente di lavoro situato in zone individuate dalle regioni e province autonome come esposte ad alta attività di Radon; c. stabilimenti termali, con riferimento per questi ai soli lavoratori addetti. Coloro che eserciscono le pratiche indicate dal decreto, devono effettuare una verifica del livello di concentrazione ambientale medio annuale di Radon e confrontarla con i livelli di azione: 500 Bq/m3 per la concentrazione o 3 mSv/anno per la dose efficace annua. Se questi vengono superati, l’esercente deve progettare gli interventi di sanificazione, avvalendosi dell’Esperto Qualificato, e realizzarli entro tre anni (o con urgenza se il livello è alto). Al termine degli interventi migliorativi l’esercente deve chiedere una rivalutazione all’Esperto Qualificato in radioprotezione per verificare la buona riuscita del risanamento.
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Regione Toscana
mostra-convegno internazionale
così materiali vergini che possono essere usati per produzioni più nobili, riducendo l’attività estrattiva che deturpa i fianchi delle nostre montagne; inoltre, così facendo, si rispetteranno normative nazionali ed europee”. Un momento di riflessione quanto mai necessario che richiede la presenza e il coinvolgimento di tutta la filiera, partendo dalla pubblica amministrazione che, da un lato, è obbligata da una direttiva ministeriale del 2003 a coprire il proprio fabbisogno di materiali con almeno un 30% di rifiuti inerti recuperati e, dall’altro, è chiamata a vigilare sul percorso dei rifiuti e l’utilizzo dei materiali nella realizzazione di opere pubbliche e private, nonché a sostenere il riciclo, creando isole di raccolta ad hoc e sostenendo l’apertura di centri autorizzati per il recupero da parte di privati, che oggi sono meno di 300 in tutt’Italia. Le associazioni di categoria sono chiamate a sensibilizzare gli operatori sull’importanza di privilegiare l’uso di materiali riciclati rispetto a quelli naturali e le imprese a cogliere le implicazioni che i loro comportamenti hanno sull’ambiente e a scoprire nuovi comportamenti virtuosi. Progettisti e direttori dei lavori devono imparare come gestire correttamente i rifiuti e, soprattutto, devono essere spinti ad analizzare i processi di progettazione, costruzione e demolizione, per trovare meccanismi che incentivino comportamenti virtuosi. Centri di ricerca e università devono focalizzarsi sull’analisi di componenti dell’edilizia di maggior consumo per verificare la loro intrinseca potenzialità di riciclaggio e migliorarne le caratteristiche. Solo con uno sforzo collettivo si può raggiungere l’obiettivo base del Regolamento n. 305/2011 dell’UE, ovvero l’uso sostenibile delle risorse naturali, che per il comparto significherebbe un’importante ‘inversione di punto di vista’.
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Firenze - Fortezza da Basso 25/27 maggio 2012 IX edizione | ingresso libero Lavoriamo per il futuro. Lavoro, sostenibilità ed equità abitare produrre coltivare
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v e tr i n a
Dai rifiuti alle margherite: con Moretto si opera nel segno dell’ecosostenibilità
La storia dell’azienda Moretto Giuseppe comincia nel 1958, come ditta a conduzione famigliare, operante nel settore edile, con particolare attenzione alle opere di movimento terra quali scavi, demolizioni e trasporti. Per rispondere alle esigenze dei clienti dal 1995 l’azienda, con la gestione di Silvia e Michele Moretto, ha potenziato i suoi servizi nel settore ambientale nell’intento di fornire un interlocutore preparato ed in grado di gestire le varie richieste che vanno dalla demolizione allo sgombero di rifiuti, dal recupero di aree degradate alla messa in sicurezza di emergenza sino allo smaltimento di rifiuti industriali. Grazie agli impianti mobili Moretto può effettuare il recupero degli inerti derivanti dalle demolizioni fino al 99%, grazie ad un processo di frantumazione e selezione che ne consente il reimpiego per la formazione di sottofondi stradali ed industriali. La competenza e la specializzazione dell’azienda sono inoltre testimoniate dall’essere stata selezionata da varie amministrazioni pubbliche che in procedure d’urgenza avevano la necessità di demolire strutture danneggiate da calamità naturali o rese instabili a causa di crolli strutturali. Alle autorizzazioni di cui dispone da tempo Moretto, si è aggiunta di recente l’autorizzazioneper l’esecuzione di interventi con esplosivo. Un altro ambito operativo è quello degli smaltimenti di rifiuti speciali pericolosi e non pericolosi, affiancato dal servizio di trasporto rifiuti conto terzi per il quale l’azienda è stata la prima in Friuli Venezia Giulia ad avere l’autorizzazione. Moretto attualmente dispone di un impianto per lo stoccaggio e il trattamento di rifiuti speciali ed ha in gestione una ex cava interessata da ripristino morfologico attraverso l’uso di rifiuti inerti. “Abbiamo un animo ambientalista molto forte” queste le parole di Silvia Moretto, Amministratore Delegato dell’azienda “l’ultimo progetto in questo senso riguarda la costruzione della nostra nuova sede di Pordenone, di classe energetica A, che utilizza energia geotermica e fotovoltaica. Nostro altro obiettivo a breve è completare il riempimento dell’ex-cava, per restituire al territorio un ambiente completamente recuperato: dai rifiuti alle margherite!”.
Liebherr: un grande gruppo con grandi numeri Fondato nel 1949 da Hans Liebherr il gruppo opera su tutti i continenti con 120 società, circa 33.000 dipendenti e un fatturato nel 2010 di poco inferiore a 8 mld di €. La società, interamente di proprietà della famiglia Liebherr, è organizzata in 7 divisioni: macchine movimento terra (MMT), autogru, gru a torre, gru portuali/marittime, macchine utensili, elettrodomestici, macchine utensili ed aerospace. MMT e varie tipologie di gru, paritetici in termini di fatturato, ne rappresentano, congiuntamente, oltre il 70%. Aspetto di grande rilievo, a livello sociale, è stata la volontà del gruppo di preservare i livelli occupazionali in Occidente (Europa e Stati Uniti costituiscono a tutt’oggi il 90% della forza lavoro) pur destinando importanti risorse allo sviluppo delle operazioni nei Paesi emergenti. A metà 2011, a fronte di un investimento di circa 100 mil di €, è stato messo in produzione a Colmar in Alsazia (Francia) a pochi km dallo stabilimento storico inaugurato nel 1961, che ha da poco celebrato i 50 anni, un centro tecnologico all’avanguardia per la costruzione dei grandi escavatori destinati alle maggiori attività estrattive su scala mondiale. A Nizhny Novgorod in Russia, è invece in corso l’approntamento di un complesso produttivo “multi-divisione” in grado di soddisfare le enormi potenzialità del mercato locale. La realizzazione “made in Liebherr” di larga parte dei componenti chiave delle macchine (motori termici, pompe, ralle, argani, sistemi elettronici di controllo e componenti idraulici) consente un accoppiamento ottimale degli stessi traducendosi inoltre in una pronta disponibilità “aftermarket”. La “tecnologia integrata” si è spinta fino al concepimento di nuovi oli e lubrificanti ad elevate prestazioni, al monitoraggio delle macchine mediante sistemi satellitari per la trasmissione dei dati di tipo proprietario, alla realizzazione di cilindri per il recupero dell’energia e motori caratterizzati da ridotte emissioni. Grazie al proprio know-how di costruttore, Liebherr offre servizi integrati e personalizzati per la propria clientela, con realizzazioni in grado di soddisfarne puntualmente le esigenze, potendo contare anche sulle sinergie tra le varie divisioni.
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Komatsu presenta i nuovi escavatori Serie 10 “Class of excellence”
Si è svolto a Newcastle, presso lo stabilimento produttivo di Komatsu UK, il lancio ufficiale della nuova, prestigiosa Serie 10 degli escavatori idraulici Komatsu. Davanti a una platea di 750 invitati, l’azienda ha presentato la tecnologia da primato che caratterizza l’evoluta ed attesissima serie di macchine. “Con questo lancio – ha affermato Alberto Caletti, Amministratore Delegato di Komatsu Italia – Komatsu si prepara ad affrontare un’importante sfida. Dopo il successo della Serie 8, che aveva fatto della nostra azienda la numero uno, nel mondo, nel segmento degli escavatori idraulici, Komatsu punta ora con la Serie 10 a un nuovo primato.” A Paolo Danieli, Product Manager Komatsu Italia, abbiamo chiesto di illustrarci le peculiarità tecniche che, a livello prestazionale, rendono unici gli escavatori idraulici PC240NLC-10, PC290NLC-10, PC360LC-10 e PC490LC-10. “Sono sei – ha esordito Paolo Danieli – i plus da evidenziare: basse emissioni, riduzione dei consumi, sicurezza al vertice, maggiore produttività, riduzione dei costi operativi e comfort ulteriormente migliorato. Innanzitutto – ha puntualizzato il Product Manager – le nuove macchine sono dotate di motori certificati in base alle normative EU Stage 3B ed EPA Tier 4 Interim. Tali motori common-rail, caratterizzati da un sistema di controllo idraulico della valvola di ricircolo gas di scarico (EGR – Cooled Exhaust Gas Recirculation System), da un filtro antiparticolato (KDPF – Komatsu Diesel Particulate Filter) in grado di catturare più del 90% di particolato e da un sistema di recupero dell’olio e delle emissioni dallo sfiato del motore (KCCV – Komatsu Closed Crankcase Ventilation), possono garantire non solo ridotte emissioni di NOx e PM, ma anche prestazioni d’eccezione in termini di produttività e bassi consumi”. Un ulteriore, fondamentale plus che caratterizza la Serie 10 è la sicurezza al top. “Questi nuovi escavatori montano innanzitutto una nuova cabina ROPS conforme alle ultime normative ISO12117-2:2008, progettata per resistere agli impatti più elevati e per offrire la massima protezione in caso di ribaltamento. L’ampia superficie vetrata anteriore, i finestrini laterali, il tettuccio apribile e gli specchietti posteriore e laterali assicurano la miglior visibilità e aumentano il comfort e soprattutto la sicurezza tanto per l’operatore quanto per le persone o le cose che potrebbero trovarsi attorno la macchina. I modelli della Serie 10 presentano inoltre un interruttore secondario di emergenza – azionabile da terra e protetto da attivazioni accidentali – per lo spegnimento del motore; la telecamera posteriore è ora ben protetta, in quanto integrata nella zavorra, e dotata di un angolo di visualizzazione ampliato, in grado di ridurre ulteriormente i rischi in tutta l’area di lavoro. Infine, anche la manutenzione è stata migliorata ai fini della sicurezza grazie a un cofano motore incernierato posteriormente e ai corrimano addizionali”. Per concludere il Product Manager di Komatsu precisa che “anche il comfort è stato ulteriormente incrementato. All’interno della cabina, l’operatore potrà svolgere il proprio lavoro su un nuovo sedile pneumatico riscaldabile ad alto schienale e troverà la console con i manipolatori integrata col sedile, nonché un nuovo tecnologico monitor da 7 pollici a colori ad alta risoluzione con ben 25 lingue selezionabili”.
Il nuovo Frantumatore Multi Kit Serie MK di Trevi Benne Come il classico “coltellino svizzero”, il Frantumatore Multi Kit è l’attrezzatura ideale per affrontare tutte le fasi di demolizione, separazione, bonifica e riqualificazione ambientale di un cantiere industriale.Già a partire dalla fine degli anni ‘90 Trevi Benne aveva sviluppato il concetto di multifunzione. L’evoluzione delle tecniche di demolizione e la richiesta di attrezzature sempre più performanti hanno spinto Trevi Benne a rivalutare il proprio parco macchine proponendo un’attrezzatura che si avvicinasse maggiormente alle performance di una macchina dedicata, fosse “tagliata” su misura per il mercato del noleggio e permettesse un cambio kit semplice e rapido in cantiere operando in sicurezza. Ricerca, progettazione e sviluppo sono gli ingredienti che portano alla realizzazione del nuovo Multi Kit Processor Serie MK che unisce la potenza della Serie FR all’intercambiabilità dei diversi kit della Serie MF. L’innovazione del sistema sta nella tipologia di sgancio dell’utensile dal corpo: non più manuale ma con un principio idraulico senza dover rimuovere perni strutturali. Questo sistema a sgancio idraulico applicato ad un’attrezzatura da demolizione rivoluziona il concetto di intercambiabilità portando benefici tangibili e riscontrabili nella vita quotidiana di un cantiere: cambio kit in 3-5 min; sostituzione kit idraulica; un operatore per il cambio kit; cambio kit direttamente in cantiere e totale sicurezza nelle operazioni di sgancio. La struttura della macchina, la semplicità e la rapidità di sostituzione hanno aumentato la richiesta di kit personalizzati progettati per la singola esigenza portandoli dai 3 standard di origine (kit frantumatore, kit cesoia, kit combi) ai 6 attuali, offrendo soluzioni dedicate ad ogni applicazione e condizione lavorativa.
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L’impegno del Gruppo Cosmo per le energie rinnovabili
Le Fonti Energetiche Rinnovabili stanno vivendo una fase di grande sviluppo a livello mondiale, assumendo un peso sempre maggiore nella produzione di energia. Il gruppo Cosmo, sensibile alla questione energetica è dotato di efficienti tecnologie in ambito di energia rinnovabile infatti presso il sito di Via Mestrina a Noale (VE) sono presenti un impianto fotovoltaico e un impianto di cogenerazione a biomassa. La tecnologia del solare fotovoltaico converte direttamente l'irradiazione solare in energia elettrica. I pannelli sono composti da unità di base, le celle fotovoltaiche, che si comportano come delle minuscole batterie in seguito all’irraggiamento solare. La tecnologia della cogenerazione assicura l’approvvigionamento energetico, il risparmio di energia, la riduzione delle perdite di cambio di tensione e trasporto in rete e il contenimento delle emissioni di gas serra e altri gas inquinanti. La cogenerazione permette quindi benefici economici e maggiore competitività aziendale. L’impianto di cogenerazione a biomassa presente nel sito di Via Mestrina dispone delle più avanzate tecnologie per la produzione simultanea di energia elettrica e termica ed utilizza come combustibile biomasse derivanti da: materiale vegetale prodotto da interventi selvicolturali, da manutenzione forestale e da potatura; materiale vegetale prodotto dalla lavorazione esclusivamente meccanica di legno vergine e costituito da cortecce, segatura, trucioli, chips, refili, tondelli, granulati e cascami di legno vergine, granulati e cascami di sughero vergine, tondelli non contaminati da inquinanti; platani infetti da cancro colorato da avviare ad incenerimento mediante combustione. Cosmo Ambiente, offre un’opportunità di sviluppo della filiera BOSCO-LEGNO-ENERGIA e si occupa della gestione del paesaggio. Tutto il materiale vegetale derivante dalla manutenzione delle strade, abbattimento di alberi, potatura può essere sfruttato per produrre energia riducendo in modo significativo la quantità da avviare a discarica. L’azienda offre inoltre sviluppo e opportunità per le coltivazioni mirate nel settore agricolo dedito alla produzione di energia. L’impianto di cogenerazione, progettato per un funzionamento di 7.500 ore all’anno è impiegato per il trattamento di un quantitativo di biomassa nella misura di 13.500 t/anno. L’impianto è in grado di erogare una potenza elettrica netta pari a 950 kW che sono interamente ceduti alla rete mentre l’energia termica, recuperata dai fumi di scarico (300 kW sotto forma di aria calda pulita alla temperatura di 250°C e per un totale di circa 3.250 Nm³/h) è direttamente avviata al forno rotante di essicazione delle terre. L’impianto di cogenerazione è autorizzato con Prot. n. 370 del 23/02/2010 con Deliberazione della Giunta Regionale del Veneto. I principali vantaggi del processo di cogenerazione sono: un minore spreco nella distribuzione dell'energia elettrica; incentivi economici Certificati Verdi; produzione energia elettrica e calore utilizzabile in altri processi produttivi; sicurezza di corretto funzionamento e manutenzione programmata; costi di gestione, manutenzione pianificabili e programmabili; valorizzazione aziendale in correlazione a strategie legate a piani di sviluppo sostenibile; riduzione di combustibili fossili (petrolio, carbone, etc.) per esigenze di riscaldamento; diminuzione dell’emissione di CO2 (responsabile primaria dell’effetto serra) e conseguente diminuzione dei costi sociali dell’inquinamento; convergenza alle prescrizioni del Protocollo di Kyoto.
CRH440: ecco l’ultima nata in casa Mantovanibenne Si chiama CRH440 ed è una delle ultime attrezzature nate in casa Mantovanibenne. Questa pinza, del peso di 290 kg e con un’apertura di 440 mm, può essere applicata ad escavatori da 3 a 6 t e sprigiona alle punte una forza di 440 kN. Le caratteristiche della CRH440 sono notevolmente importanti perché danno la possibilità all’utilizzatore di lavorare con prestazioni che sarebbero proprie di pinze di taglia superiore. Il tutto è stato reso possibile grazie al grande lavoro di progettazione fatto dal reparto di R&D della Mantovanibenne che ha permesso la realizzazione di un nuovo concetto di moltiplicatore di pressione interno ai cilindri (questa applicazione ha ricevuto un premio per l’innovazione durante l’ultima edizione del Samoter ed una nomination al Demolition Summit 2011). Grazie a questa soluzione interna agli attuatori idraulici non sono presenti linee ad alta pressione esterne rendendo questa pinza estremamente sicura ed affidabile. La CRH440 è fornita con rotazione libera a 360° e quindi non è richiesta la presenza dell’impianto di rotazione sul mini escavatore (come optional può essere fornita anche con rotazione idraulica a 360°), inoltre possono essere applicate differenti tipologie di punte intercambiabili o allargatori opzionali per adattarsi ad ogni tipologia di demolizione. È possibile anche fornire speciali filtri per l’impianto del mini escavatore a garantire un’elevata efficienza in ogni condizione di lavoro. Gli operatori che hanno utilizzato la nuova pinza Mantovanibenne si sono dimostrati notevolmente soddisfatti per l’enorme forza sprigionata e l’eccellente velocità di utilizzo.
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E COAP P U N TA ME N TI
intermat
PARIGI, dal 16 al 21 APRILE
Dal 16 al 21 aprile la fiera di Paris-Nord Villepinte alzerà per la nona volta dal 1988 le bandiere dell'Intermat, alla presenza dei costruttori di macchine più importanti del settore. Nonostante un contesto economico ancora segnato da preoccupazioni, le case costruttrici stanno infatti dimostrando di credere nel mercato, e quindi nella più importante fiera europea del 2012 del comparto. Secondo le stime, Intermat 2012 richiamerà oltre 200.000 visitatori grazie al lavoro di internazionalizzazione fatto verso i nuovi espositori asiatici e al coinvolgimento di imprese costruttrici di Nord Africa, Est Europa e Medio Oriente. www.intermat.fr
METALRICICLO
VERONA, dal 18 al 21 aprile
Metalriciclo e Recomat sono le uniche rassegne espositive in Europa dedicate alle tecnologie per il recupero e il riciclo dei metalli ferrosi e non ferrosi e dei materiali industriali, la Qualità dell'ambiente e l’Efficienza energetica. Manifestazioni a carattere internazionale, vedono protagonista l'imprenditoria legata al mondo degli impianti, macchine, attrezzature e prodotti per il recupero e il riciclo di rottami metallici e dei materiali industriali. Quest’anno, dopo 4 edizioni, Metalriciclo-Recomat fa il grande passo e, in parallelo a Metef-Foundeq - Expo Internazionale dei Metalli, si sposta a Veronafiere. www.recomatexpo.com
IFAT ENTSORGA
monaco, dal 7 all'11 maggio
IFAT ha celebrato la sua prima edizione seguita all’intesa con ENTSORGA conquistando il ruolo di salone leader internazionale nel settore delle tecnologie per l'ambiente. IFAT ENTSORGA conferma così la scelta del passaggio da una frequenza triennale ad una biennale. Anticipando le tendenze del futuro il salone offre una panoramica completa nel campo delle tecnologie ambientali vantando il più alto numero di visitatori e la maggiore superficie espositiva nel panorama delle manifestazioni dedicate al settore. Con un alto profilo qualitativo nella presenza internazionale, IFAT ENTSORGA offre un programma collaterale di presentazioni aziendali, simposi, panel special su diversi Paesi nei settori acque primarie, acque reflue e rifiuti solidi. www.ifat.de
SOLAREXPO
verona, Dal 9 all'11 maggio
Solarexpo, l’appuntamento leader in Italia dedicato alle fonti rinnovabili, si terrà a maggio ma già si può dire che ad oggi si contano oltre 800 espositori diretti partecipanti. Undici i padiglioni per oltre 100mila mq espositivi dedicati alle 1.000 aziende espositrici, il 40% delle quali provenienti da 30 nazioni europee ed extraeuropee, e ad oltre 70.000 visitatori professionali qualificati. Il programma convegnistico si articola su 60 appuntamenti, con oltre 6.000 partecipanti e 350 relatori nazionali e internazionali. Nonostante il periodo difficile il settore ha buone prospettive per il futuro e gli operatori hanno davanti a sè importanti sfide da affrontare per superare il periodo di difficoltà, per questo il claim per la 13° edizione di Solarexpo sarà: “Nuove sfide, Nuove energie”. www.solarexpo.com
ACCADUEO
ferrara, dal 23 al 25 maggio
Accadueo è la Mostra Internazionale delle tecnologie per il trattamento e la distribuzione dell'acqua potabile e il trattamento delle acque reflue che, edizione dopo edizione, si è affermata quale momento d'incontro tra le aziende espositrici e l'imprenditoria pubblica e privata con un occhio di riguardo alle novità del mercato. Un evento da non perdere per l'importanza delle tematiche dibattute nell'ambito del programma convegni, per la rilevanza e il prestigio delle aziende coinvolte e della completezza dell'offerta espositiva. La rassegna offrirà un fitto calendario di convegni e seminari tecnici con relatori di rilievo internazionale a conferma del ruolo di sede altamente qualificata per un confronto e un proficuo scambio di opinioni tra gli operatori del settore. www.accadueo.com
terra futura
firenze, dal 25 al 27 maggio
Dal 25 al 27 maggio 2012 la Fortezza da Basso, a Firenze, ospita Terra Futura, mostra convegno internazionale delle buone pratiche di sostenibilità ambientale, economica e sociale. Al centro della nona edizione della manifestazione il tema del lavoro e quindi la conversione-riconversione ecologica e sociale dell'economia. Numerosi i settori rappresentati nella rassegna espositiva: tutela dell'ambiente, energie alternative, finanza etica, commercio equo, agricoltura biologica, edilizia e mobilità sostenibili, turismo responsabile e molti altri ancora. Come sempre, l'evento si contraddistingue anche per il suo calendario culturale di alto livello, con convegni, dibattiti e seminari che vedono l'intervento di esperti e testimoni dei diversi ambiti. www.terrafutura.it
EIRE
PARIGI, dal 5 al 7 giugno
Expo Italia Real Estate, tra le più importanti fiere internazionali dedicate al settore immobiliare, si concentra sulla gestione, la valorizzazione, lo sviluppo e la riqualificazione dei patrimoni immobiliari pubblici e privati. Attraverso una manifestazione estremamente qualificata Expo Italia Real Estate è l’evento privilegiato per pubbliche amministrazioni o privati che desiderano inserirsi e farsi conoscere sul mercato immobiliare. Quest’anno EIRE introdurrà il tema dell’attrazione degli investimenti internazionali in Italia. Prosegue, infatti, l’organizzazione degli Investors’ Days, tre giorni di incontri one-to-one che coinvolgeranno oltre cento investitori favorendo il matchmaking tra le opportunità private e pubbliche, le professionalità e gli investitori italiani ed esteri. www.italiarealestate.it
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libri
DEMOLIZIONI CIVILI E INDUSTRIALI A cura di Nicola Mordà
EPC Editore (pagine 558 - € 33,00) L’elevato livello di rischio associato agli interventi di demolizione conferma l’importanza di questo volume che, rivolto principalmente ai Coordinatori della Sicurezza ed ai soggetti responsabili, si inserisce nello scenario normativo e giurisprudenziale del D.Lgs. 81/08 indicando in modo preciso tutti gli aspetti che è necessario analizzare durante la fase di progettazione e che vanno riportati nell’apposito Piano delle Demolizioni. Articolato in sette capitoli e completato da un allegato contenente numerose schede di sicurezza di macchine e attrezzature, questo volume fornisce un’utile linea guida per l’applicazione della normativa nel settore delle demolizioni, tenendo conto che le problematiche connesse a questa tipologia di attività prescindono dalla scala dell’intervento e quindi possono ritenersi valide sia che si parli di minimi lavori di ristrutturazione sia che si tratti di grandi opere di demolizione in cui il contenuto tecnologico ha una peso decisamente importante. Interessante per gli addetti ai lavori sarà inoltre il capitolo dedicato ai casi applicativi dove sono inoltre descritti criticamente alcuni incidenti verificatisi durante interventi di demolizione eseguiti per lo più all’estero. Nell’attesa che anche in Italia il settore delle demolizioni venga regolamentato con norme, linee guida o protocolli specifici, questo manuale mette a disposizione di chi opera nel settore l’esperienza maturata dall’autore a da aziende specializzate per affrontare al meglio le criticità di queste tipologie di interventi.
INTERMEDIAZIONE DEI RIFIUTI SENZA DETENZIONE A cura di Nicola Grillo
Geva Edizioni (pagine 142 - € 17,00) L’intermediazione è un tassello fondamentale nel ciclo di gestione dei rifiuti ed è per tale motivo che l’autore ha deciso di dedicare alla figura dell’Intermediario dei rifiuti senza detenzione un intero volume. Fungendo da anello di congiunzione tra produttore, trasportatore e destinatario finale, l’intermediario è un ruolo ricoperto da figure professionali in possesso di capacità tecniche, operative, commerciali e legislative ma è anche un soggetto su cui ricadono obblighi e responsabilità ben definite. Il testo si pone quindi l’obiettivo di analizzare riferimenti normativi, compiti, autorizzazioni obblighi e adempimenti cui è soggetto chi si occupa di intermediazione di rifiuti evidenziando in modo particolare quali siano le effettive responsabilità che ricadono su tali soggetti che si trovano di fatto ad avere un ruolo di gestione dei rifiuti ben definito senza però venirne mai a contatto. Dopo un preciso esame di norme e disposizioni di legge che trattano l’intermediazione dei rifiuti, l’autore passa ad esaminare le autorizzazioni e le iscrizioni necessarie per svolgere tale attività approfondendo inoltre le novità conseguenti all’entrata in vigore del Sistri. Il volume si conclude con un capitolo dedicato ad un rapido esame degli altri soggetti coinvolti nella filiera dello smaltimento dei rifiuti finalizzato prevalentemente ad individuare le sanzioni previste dalla normativa vigente fornendo in tal modo utili spunti di riflessione per lo svolgimento di tali attività.
IL TESTO UNICO AMBIENTALE COMMENTATO DAGLI ESPERTI A cura di S. Maglia, G. Gallotto e A. Sillani
Irnerio Edizioni e Servizi Editoriali (pagine 453 – € 38,00) Fa parte della Collana Eco questo testo che, dopo cinque anni dall’entrata in vigore del D.Lgs. 152/06, si propone di fornire una guida alla lettura del testo normativo reso sempre più complesso anche alla luce delle numerose modifiche e riforme. L’opera, curata da autorevoli esperti nelle tematiche del diritto ambientale, si articola in una prima parte dedicata al commento della normativa suddivisa nelle cinque tematiche; VIA, VAS, IPPC; tutela delle acque e difesa del suolo; rifiuti e bonifiche; tutela dell’aria e riduzione delle emissioni; danno ambientale. Segue quindi una seconda parte che, sempre suddivisa per tematiche, offre un’aggiornata rassegna della giurisprudenza raggruppata per argomenti in modo da fornire al lettore un’immediata panoramica sulle sentenze maggiormente significative. Il volume si chiude con il testo integrale del D.Lgs. 152/06 modificato ed integrato con l’ultima proroga Sistri operata con il decreto sulla “manovra economica”.
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Anno 5 - Numero 18
PeVmedia.com
dal 16 al 21 aprile 2012 Parigi - Nord Villepinte - Francia
Esposizione Internazionale delle Attrezzature e Tecnologie per le Industrie dell’Edilizia e dei Materiali
Together let’s build
the future
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■ demolizioni tradizionali ■ decommissioning di impianti ■ demolizioni con esplosivi ■ smontaggi strutturali ■ simulazione del crollo ■ modellazione strutturale ■ verifiche delle fasi transitorie ■ previsione impatti ambientali ■ monitoraggi rumore e vibrazioni ■ ottimizzazione dei costi di intervento
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marzo 2012 anno v numero 18
Azienda certificata Cert. N° 501005936
Rapporto RIFIUTI 2011 in italia si producono meno rifiuti e si differenzia di più ANALISI DI RISCHIO VALIDAZIONE DEL NUOVO SOFTWARE RISK-NET DISMISSIONE IMPIANTI INTERVENTI DI PRECISIONE ALL’INTERNO DI SITI IN ATTIVITÀ
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LICENSE TO DEMOLISH marzo 2012