RECOVER magazine n. 32

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IL MONDO DELLE BONIFICHE È PRONTO PER L’APPUNTAMENTO ANNUALE DI FERRARA RIFIUTI SPECIALI: CALA LA PRODUZIONE DEI NON PERICOLOSI E DEI RIFIUTI DA C&D micro diffusione di ossigeno in falda per il risanamento delle acque sotteRranee 5 NUOVI DELITTI CONTRO L’AMBIENTE NELLA TANTO ATTESA NORMA SUI REATI AMBIENTALI

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E DI TO R I A L E

EDITORIALE IL LATO OSCURO DEL MARMO BIANCO Tutti conoscono il caso dell’acciaio dell’Ilva e dell’Eternit di Casale, storie e vicende di industrie che hanno contaminato e avvelenato l’ambiente e le persone, e sicuramente tutti sanno delle vicende della terra dei fuochi tristemente famosa per i roghi dei rifiuti e le discariche abusive. Ma se vi dicessi che esiste un’altra zona dell’Italia ad essere messa peggio della terra dei fuochi probabilmente anche voi rimarreste stupiti e lo sareste ancor di più se vi dicessi che trova in Toscana sulle Alpi Apuane. In realtà non sono io a dirlo ma lo scrittore Giulio Milani nel suo libro “terra bianca marmo chimica ed altri disastri”. Il libro, uscito da poco più di un mese, come un fulmine a ciel sereno tratta i temi più spinosi dell’industria estrattiva e attraverso testimonianze e fatti abilmente romanzati denuncia gli scempi di una parte di Toscana famosa in tutto il mondo per la coltivazione del marmo, denuncia uno sfruttamento del territorio intensivo, un’industria estrattiva snaturata dalle sue origini, un inquinamento prodotto da industrie chimiche insomma una terra che, a quanto pare, non ha nulla da invidiare alla terra dei fuochi. Partendo dal lontano 1988 con l’incidente della Farmoplant, passa per i veleni prodotti per decenni dalla Ruminaca, fino ad arrivare ai giorni nostri ripercorrendo la storia della coltivazione del marmo. Si parla quindi di estrazione di blocchi, ma si parla soprattutto della polvere del marmo, il carbonato di calcio, che oggi rappresenta il prodotto principale dell’industria estrattiva, addentrandosi in tutti i problemi che gli scarti di lavorazione, la cosiddetta “marmettola”, generano sulla falda, senza dimenticare il consumo delle montagne e le ricadute sulla salute della popolazione. Questo editoriale non vuole essere una recensione di un libro, che comunque andrebbe letto in quanto molto interessante, ma uno stimolo a conciliare le esigenze di un sistema produttivo con quelle ambientali. Seppur consapevoli della complessità dei diversi aspetti coinvolti, economico, giuridico, tecnico, scientifico e ambientale, non bisogna scendere a compromessi con l’ambiente, con la salute e con il patrimonio naturalistico, in questo caso delle Alpi Apuane. Il sasso è stato lanciato, ora bisognerà attendere gli effetti che questo libro inchiesta avrà su un settore che ad oggi è considerato come un’eccellenza italiana. Perché tutte le industrie hanno i loro lati oscuri, anche quella del bianchissimo marmo di Carrara…

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S O M M A R I O S OM M A R I O

Rubriche

News 6 Reconnet 72 Vetrina 76 Libri 78 Appuntamenti 79

PRIMO PIANO

Il settore delle bonifiche si dà appuntamento a Ferrara di Massimo Viarenghi

Attualità

Suolo: una risorsa a rischio di Laura Veneri

Rifiuti speciali: produzione, recupero e smaltimento di Maeva Brunero Bronzin

di Bruno Vanzi

Risorse e clima nel centro della capitale francese di Maria Beatrice Celino

Europa e Africa insieme per valorizzare i RAEE di Laura Veneri

Il sito d’interesse nazionale “Brescia-Caffaro” di Marco Ciccarelli et al.

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La realizzazione di due impianti pilota per il trattamento dei rifiuti e la bonifica

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L’impianto per il recupero dei rifiuti da spazzamento stradale di Terni

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di Laura Veneri

di Milena Bianchi e Michele Notarnicola

di Laura Veneri

Progetti e tecnologie 16

Falde inquinate: il campionamento passivo delle acque e i suoi vantaggi

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Caratterizzazione e test di lavaggio in batch di sedimenti contaminati

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Il problema degli odori negli impianti di trattamento rifiuti

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Il biometano made in Bicocca

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di Gaetano Di Bella e Gaspare Viviani

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di Laura Veneri

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La tutela della riservatezza nella notifica del trasporto transfrontaliero di rifiuti

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È legge la nuova norma sui reati ambientali… finalmente!

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Non più punibili i reati di lieve entità

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di Daniele Carissimi

50 anni di conferme tinte di arancione di Laura Veneri

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Il trattamento dei rifiuti a Bordeaux

normativa

Speciale

di Maria Beatrice Celino

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di Michela Peroni et al.

di Paolo Di Giovanni

the big eye

Specialisti della filtrazione

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Iniezione di ossigeno per il risanamento delle acque sotterranee

di Angiolo Calì

L’Europa verso l’economia circolare?

Panorama aziende

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work in progress

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di Rosa Bertuzzi e Nicola Carboni

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di Rosa Bertuzzi e Nicola Carboni


Suolo: risorsa essenziale e sempre pi첫 a rischio a causa di errate scelte e mancanza di politiche idonee

12 Grande festa in Germania per i primi 50 anni del marchio Doppstadt in compagnia della Cesaro Mac Import

29 Caratterizzazione e test di trattamento mediante lavaggio dei sedimenti marini contaminati della Rada di Augusta

53 Smart upgrading: questo il nome della tecnologia low cost in fase di sperimentazione per la produzione di biometano dai rifiuti organici

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R UB R I CH E

NEWS Cambia la classificazione dei rifiuti radioattivi Il Ministero dell’Ambiente ha pubblicato, sulla Gazzetta ufficiale del 19 agosto 2015, il decreto ministeriale che sostituisce la classificazione definita dalla Guida Tecnica n. 26 del 1987. Il decreto, entrato in vigore dal 20 agosto 2015, organizza la classificazione dei rifiuti radioattivi associando, ad ogni categoria, dei requisiti specifici in base alle diverse fasi di gestione dei rifiuti stessi e facendo riferimento agli standard internazionali. La nuova classificazione si riferisce ai rifiuti radioattivi solidi condizionati: i rifiuti radioattivi solidi e liquidi, al momento della generazione, vengono classificati in relazione alla tipologia di condizionamento per essi prevista, nel rispetto dell’obiettivo di minimizzazione dei volumi finali dei rifiuti condizionati prodotti. Tale classificazione, però, non comprende i rifiuti radioattivi aeriformi e liquidi, smaltiti sotto forma di effluenti nell’ambiente, né ai residui contenenti radionuclidi di origine naturale, provenienti da alcune attività lavorative, che saranno oggetto di specifica disciplina di attuazione della direttiva per le attività industriali che utilizzano materie con radionuclidi naturali. Il Ministero classifica i rifiuti radioattivi in cinque categorie: a vita media molto breve, di attività molto bassa, di bassa attività, di media attività e di alta attività. Le modalità di gestione di ogni categoria saranno contenute in specifiche guide tecniche, come previsto dalla direttiva comunitaria n.70 Euraton del 2011, che delinea un quadro per la gestione responsabile e sicura del combustibile esaurito e dei rifiuti radioattivi.

Legambiente: rapporto Ecomafia 2015 La legge n.68 del 22 maggio 2015 ha introdotto nel Codice Penale i delitti contro l’ambiente. Il 2014 si è chiuso con un bilancio molto negativo: 29.293 reati accertati, con una media di 80 al giorno, quasi 4 ogni ora, per un fatturato complessivo di 22 miliardi di euro, 7 miliardi in più dell’anno successivo. L’incidenza criminale risulta essere cresciuta nelle quattro regioni a tradizionale presenza mafiosa

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(Puglia, Sicilia, Campania e Calabria), dove si è registrato più della metà delle infrazioni complessive (14.736). Sono calati i reati in Campania, mentre vi è stato un considerevole aumento degli illeciti in Puglia (15,4% dei reati accertati). In aumento anche i reati nel ciclo dei rifiuti (+ 26%) e le inchieste sul traffico organizzato di rifiuti. Sono aumentati anche gli illeciti collegati al ciclo del cemento, con un + 4,3%, soprattutto in Campania, seguita dalla Calabria, dalla Puglia e dal Lazio. Il 2015 potrebbe essere un anno positivo, grazie all’introduzione nel Codice Penale di uno specifico Titolo dedicato ai delitti contro l’ambiente, utile anche per combattere la zona grigia, in cui la corruzione è diventata il principale nemico del territorio, a causa di amministrazioni colluse, appalti pilotati e funzionari disonesti. Infatti, sono ben 233 le inchieste ecocriminali in cui la corruzione ha svolto un ruolo cruciale, portando all’arresto di 2.529 persone: la Lombardia è risultata come la prima regione in cui il fenomeno della corruzione si è maggiormente diffuso, seguita da Sicilia, Campania, Lazio e Calabria. Ecomafia 2015 evidenzia come il settore d e l l ’a g r o a l i m e n tare abbia rappresentato una fonte di reddito per le organizzazioni criminali, il cui fatturato ha superato i 4,3 miliardi di euro per 7.985 reati accertati. Anche il racket degli animali è stato protagonista di un triste aumento, collezionando 7.846 reati tra bracconaggio, commercio illegale di specie protette, allevamenti clandestini e maltrattamenti. Non mancano neanche i reati ai danni di aree tutelate da vincoli paesaggistici e archeologici, musei, archivi ed altri luoghi a rischio: l’attività più ricorrente legata all’archeomafia è risultata essere quella della ricettazione, con il Lazio capolista come regione in cui sono avvenuti più archeoreati, seguita da Emilia Romagna, Campania e Toscana.

“Nativi ambientali”: al via la campagna su rifiuti e riciclo È iniziata il 7 settembre 2015 la campagna di comunicazione “Nativi Ambientali”, presentata ad Expo il 13 luglio scorso. Promossa dal ministro dell’ambiente Gian Luca Galletti, in collaborazione con CO-


NAI (Consorzio Nazionale Imballaggi) e i 6 Consorzi di Filiera, ha l’obiettivo di sensibilizzare i cittadini a una corretta separazione dei rifiuti di imballaggio di acciaio, alluminio, carta, legno, plastica e vetro, per consentire il loro riciclo. Nello spot lanciato sui media, un girotondo di bambini e la testimonial dell’iniziativa Maria Grazia Cucinotta si passano di mano in mano dei rifiuti, facendo attenzione a non farli cadere. La campagna si concentrerà soprattutto su quelle regioni in cui si registrano bassi livelli di raccolta differenziata, come Lazio, Puglia, Calabria, Campagna Sicilia e Basilicata. Secondo i dati diffusi dal Conai, nel 2014 la media pro-capite del conferimento di rifiuti di imballaggio è di 49 Kg nel Sud e di 64 Kg al Centro, rispetto agli 84 kg del Nord e ai 68 kg della media nazionale. Grazie a un accordo quadro con ANCI, lo scorso anno 3 milioni e 650mila tonnellate di rifiuti di imballaggio sono state avviate a riciclo, pari al +7,2% a livello nazionale e +11% nelle regioni del Centro-Sud.

Annuario ISPRA dei dati ambientali Il 29 luglio è stato presentato dall’ISPRA l’Annuario dei dati ambientali, l’appuntamento con lo stato del nostro ambiente che risponde alle esigenze confermate dai dati dell’Eurobarometro 2014, secondo il quale per i cittadini italiani ed europei l’informazione ambientale è la seconda misura più efficace da attuare per affrontare le problematiche ambientali. L’elaborato è stato suddiviso in vari capitoli, in cui il tema dell’ambiente viene affrontato da diverse prospettive, dai rifiuti ai rischi per il territorio, sia naturali sia derivanti dall’azione dell’uomo. Solo nel 2014, infatti, si sono verificate 211 frane importanti, provocando la morte di 14 persone e danni alla rete stradale e ferroviaria. Le regioni maggiormente colpite sono state la Liguria, il Piemonte, la Toscana, il Veneto,

la Lombardia, la Campania e la Sicilia. Per quanto riguarda i rischi collegati ad attività antropiche, cioè la pericolosità, diretta o indiretta, per la vita umana e l’ambiente derivante da attività umane potenzialmente pericolose, l’Annuario fa convergere in questa definizione le attività industriali, siano esse costituite da piccole, medie o grandi industrie, la cui pericolosità è conseguente all’attività e alle sostanze che sono usate e/o detenute. Sul territorio italiano sono stati individuati 40 Siti di Interesse Nazionale (SIN): gli stabilimenti a Rischio di Incidente Rilevante (RIR) sono 1.104, di cui un quarto concentrato in Lombardia, seguita da Veneto, Piemonte ed Emilia Romagna, nelle quali si rileva un aumento della presenza di industrie a rischio (+9% in media).

FORLENER ’15, a Torino l’ottavo Salone dell’Energia dal Legno Forlener è il Salone dedicato alla filiera foresta – legno – energia: gestione forestale sostenibile, macchine forestali, biocombustibili solidi, apparecchi termici, teleriscaldamento e cogenerazione. La biennale dell’energia dal legno si presenta con un rinnovato programma di iniziative: aree dimostrative per macchine e attrezzature forestali, tour guidati agli impianti realizzati, 4a edizione del Premio Innovazione Forlener con le più importanti novità del mercato, formazione ed aggiornamento professionale, convegni e casi studio con associazioni di categoria ed aziende leader. L’8° edizione di Forlener si tiene dal 25 al 27 settembre 2015 nel prestigioso Lingotto Fiere di Torino, una vetrina con visibilità e centralità uniche sia a livello nazionale che internazionale. Forlener abbina i vantaggi di un evento di settore con un pubblico altamente qualificato e profilato di operatori, installatori e buyers a una fiera commerciale rivolta all’utenza composta da imprese boschive, hobbisti, imprenditori agricoli interessati alle biomasse agroforestali, industria ed artigianato del legno, committenza pubblica e privata.

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Il settore delle bonifiche si dà appuntamento a ferrara Si apre la nona edizione di remtech, evento divenuto ormai punto di riferimento per il mondo delle bonifiche e della riqualificazione del territorio di Massimo Viarenghi

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rriva settembre e come ogni anno il mondo delle bonifiche si ritrova a Ferrara per partecipare a convegni, per esporre in fiera o anche solo per incontrarsi all’interno di un evento che in questi nove anni si è ormai consolidato ed affermato come riferimento per l’intero settore. Stiamo ovviamente parlando di RemTech, il Salone sulle tecnologie di bonifica dei siti contaminati e sulla riqualificazione del territorio, che aprirà i battenti il 23 settembre nei padiglioni della Fiera di Ferrara. Tra le persone che contribuiscono attivamente alla buona riuscita di questo evento sin dalla sua nascita c’è sicuramente l’Ing. Daniele Cazzuffi, Cesi SpA, Milano, Coordinatore del Comitato Scientifico e di Indirizzo di RemTech, e che abbiamo deciso di intervistare per comprendere meglio qual è la situazione del settore e in che direzione si sta muovendo. Daniele, sei impegnato ormai da 9 anni nell’organizzazione dei convegni e degli eventi ufficiali RemTech. L’organizzazione della parte scientifica di una fiera sulle bonifiche consente di avere contatti e di conoscere il settore a 360 gradi. Quali sono gli sviluppi più significativi che hai notato? Dal punto di vista tecnico-scientifico l’organizzazione di RemTech sta di-

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ventando sempre più un riferimento nel mondo delle bonifiche; gli atti, ad esempio, vengono costantemente citati nelle conferenze nazionali e internazionali ed è quindi evidente che sia diventato l’appuntamento annuale più importante per gli specialisti del settore. Nel panorama internazionale è più difficile trovare un evento analogo anche dal punto di vista scientifico: in Francia si tiene una conferenza di due giorni, Intersol; in Spagna vi è qualche manifestazione trasversale; negli Stati Uniti l’AEHS organizza due volte all’anno un evento di carattere ambientale in cui il settore dei siti contaminati è però marginale; come curiosità nel panorama internazionale è presente anche un evento omonimo, RemTech, che si svolge in Ontario, in Canada, ma che è nato comunque qualche anno dopo il nostro evento di Ferrara. Per quanto riguarda l’aspetto fieristico, la svolta più significativa e che risale già al secondo anno della manifestazione, si può ricondurre al cambio di nome a “Salone sulle tecnologie di bonifica dei siti contaminati e sulla riqualificazione del territorio”. L’inserimento della riqualificazione del territorio ha infatti consentito di allargare il discorso nel settore ambientale a 360°, in particolare prima alle coste e alle opere

Ing. Daniele Cazzuffi, Cesi SpA Milano, Coordinatore del Comitato Scientifico e di Indirizzo di RemTech

marittime, come porti, costruzioni marittime e protezione dei litorali con Coast Expo e, successivamente, alle vie d’acqua interne e alla stabilizzazione delle frane, con Esonda. Esonda e Coast Expo si sono poi fuse tra loro ma restano sempre sezioni di RemTech e gli interlocutori sono comunque i principali organismi che si occupano della tutela e della difesa del territorio, del dissesto idrogeologico, delle opere marittime e dei corsi d’acqua. Dallo scorso anno poi, grazie al convegno internazionale sui sedimenti, anche il mondo delle dighe si è avvicinato molto alla nostra manifestazione. In questi nove anni possiamo dire di aver abbracciato un settore sempre più ampio, permettendo così di sod-


disfare anche gli interessi della parte espositiva, poiché vi sono molti espositori che hanno attività legate sia alle tematiche di bonifica dei siti contaminati sia alla difesa del territorio e al dissesto idrogeologico. La novità di quest’anno prevede che, nel cd degli atti, oltre a RemTech siano inseriti anche alcuni contributi dei convegni di Inertia, l’altra manifestazione di nicchia dedicata al settore del riuso degli aggregati riciclati, e dei convegni di Coast Expo e Esonda. Quali sono i principali cambiamenti a cui hai assistito nel corso di questi anni nel settore delle bonifiche, sia a livello normativo che per quanto riguarda eventuali innovazioni? A livello normativo nazionale ci sono stati in questi anni sin troppi cambiamenti: d’altro canto sono poche le persone che, a livello ministeriale, si occupano concretamente del settore e questo origina una contraddizione tipicamente italiana. In generale, un aspetto negativo che mi sento di evidenziare è che da parecchi anni si è in costante attesa, ci si aspetta sempre che il sistema decolli, che ci siano effettivi finanziamenti e che partano gli interventi sulle aree da bonificare, che sul nostro territorio sono ancora moltissime. Questo è un limite italiano evidente, anche se a livello di tecnologie siamo all’avanguardia e molti sviluppi e innovazioni sono avvenuti proprio nel nostro Paese tanto da essere, in alcuni casi, un punto di riferimento preciso della ricerca nel settore. D’altra parte come numero di applicazioni o di chilometri quadrati di territorio bonificati purtroppo siamo molto indietro rispetto a tanti altri Paesi europei. Peraltro, non esistono a livello europeo delle direttive precise, condivise e chiare nel settore delle bonifiche dei siti contaminati: ogni Paese ha i propri input nazionali, a livello ministeriale, mentre ad esempio, in altri settori affini come quello della geotecnica ambientale e dell’ingegneria dei geosintetici, a livello europeo, sono molte le norme EN emanate dal CEN (Comitato Europeo di Normativa).

Parlando invece del rapporto con le imprese del settore cosa puoi dirci? Il settore è chiaramente interdisciplinare: ci sono imprese di costruzione vere e proprie, altre che agiscono come subcontractor di imprese più generali; ci sono poi vari tipo di laboratori (chimici, geotecnici, relativi ai geosintetici e ambientali) oltre a società di progettazione e multinazionali. Negli ultimi anni abbiamo cercato anche di agevolare la partecipazione di rappresentanti della pubblica amministrazione: abbiamo introdotto i crediti formativi per i convegni principali, lasciando comunque gratuito sia l’ingresso alla manifestazione sia l’accesso ai vari convegni. RemTech cerca di migliorare sempre di più il rapporto con i media, qualificandosi come un evento che si svolge sì in settembre, ma che diventa poi un punto di riferimento per il settore per tutto l’anno. Questo grazie anche ad un progetto serio messo in piedi in questi anni da Ferrara Fiere e Congressi e da tutte le persone che collaborano attivamente per la buona riuscita della manifestazione. Spesso hai avuto la possibilità di confrontarti con realtà internazionali, sia per la tua professione di ingegnere al Cesi sia in veste di Coordinatore del Comitato Scientifico e di Indirizzo di RemTech. Quali sono le analogie e le diversità negli approcci alle tematiche ambientali? Cosa dovremmo imparare dall’estero? RemTech si configura come un evento, sia dal punto di vista fieristico che convegnistico, abbastanza originale ma per il quale il processo di internazionalizzazione non è agevole: il settore dei siti contaminati è infatti un settore peculiare di ogni singola nazione, mentre per il settore dell’ingegneria dei geosintetici non è così, poiché - ad esempio - i geosintetici possono essere prodotti in Italia e applicati per un intervento di bonifica di siti contaminati in Corea, o viceversa. E’ più facile esportare materiali piuttosto che esportare tecnologie nel settore: questa è la gran-

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de sfida e la principale differenza. A livello internazionale ad esempio, a parte l’evento europeo AquaConsoil, non c’è nessun altro evento di richiamo per il settore. Nell’ambito della geotecnica e dell’ingegneria dei geosintetici invece, che seguo da più di trent’anni, ci sono una serie di appuntamenti ben definiti: la conferenza europea ogni quattro anni e, sempre ogni quattro anni ma sfalsata, la conferenza mondiale. C’è una struttura internazionale come l’IGS (International Geosynthetics Society) che invece non è presente nel settore della bonifica dei siti contaminati. Sarebbe interessante che gli esperti italiani che si riconoscono in RemTech, si facessero parte proattiva e propositiva per concepire e far nascere un evento sulla bonifica dei siti contaminati a livello internazionale. Certo le forze che possiamo mettere in campo per ora non sono all’altezza di sostenere un impatto di questo genere, dal momento che non c’è un’associazione specifica di riferimento nell’ambito dei siti contaminati. È quindi molto difficile procedere in questo modo senza avere un’associazione di riferimento, con la sua membership e il suo Consiglio Direttivo. Questo non è un limite nostro italiano ma è un limite a livello internazionale. Parliamo anche della tua professione al Cesi e del ruolo che ricopri nel settore dell’ingegneria dei geosintetici. Quali sviluppi ci sono stati in questo ambito? Per i geosintetici non è un periodo molto positivo poiché, rispetto a venti anni fa, i margini che avevano i produttori erano molto più elevati e consentivano quindi di dedicare maggiori risorse alla sperimentazione e al settore ricerca e sviluppo in generale. Ora, anche con l’ingresso delle industrie cinesi nel settore, la concorrenza è spietata e a livello globale. Ciò nonostante, si cerca sempre di introdurre novità nel settore, con una grande fantasia nella produzione di nuovi materiali e nello sviluppo di nuove tecnologie. Attualmente, dopo essere stato per

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quattro anni Presidente dell’IGS mondiale, sono presidente della sezione italiana AGI-IGS: proprio recentemente con AGI-IGS assieme ad AGI (Associazione Geotecnica Italiana) abbiamo deciso di partecipare al bid per ospitare, nel 2020, la Conferenza Europea di Ingegneria dei Geosintetici in Italia, la settima da quando è iniziata la manifestazione. A settembre dell’anno prossimo EuroGeo si terrà ad Istanbul, vedremo se nel 2020 riusciremo ad ospitarla ancora, visto che si è già svolta a Bologna nel 2000. Le altre nazioni che dovrebbero presentare il bid per il 2020 sono Polonia, Finlandia e Norvegia. Nonostante la crisi, quindi, l’Italia c’è e vuole dare un segno importante di presenza nel settore. Per concludere parliamo di prospettive e sviluppi futuri… Pensando al futuro non possiamo non parlare di giovani. E’ per loro che abbiamo istituito i Premi RemTech, prima limitati alle tesi di laurea e da qualche anno allargati anche alle tesi di dottorato; una bella iniziativa che RemTech organizza con il supporto di associazioni e sponsor. In questo modo diamo visibilità ai giovani che, vincendo i Premi, ricevono un assegno variabile tra i 1.000 e i 2.000 € e hanno la possibilità di

pubblicare la tesi sulle riviste di settore, come la vostra. È un bel segno come presenza di RemTech nel mondo accademico, della ricerca e dello sviluppo. La giuria per l’assegnazione dei premi è sempre composta, oltre che da me, da un rappresentante del Comitato Scientifico e da un rappresentante del Comitato di Indirizzo che variano di anno in anno. Vi è quindi una valutazione oggettiva sia dal punto di vista scientifico che tecnico. Un’altra cosa importante, anche in prospettiva, è relativa alla composizione qualificata del Comitato Scientifico di RemTech in cui sono rappresentate sì tutte le Università più importanti in Italia, dal nord al sud, in maniera equilibrata e stimolante, ma in cui ogni anno si verifica una integrazione parziale dei membri. La comunità degli accademici si ritrova a Ferrara, contribuendo in vari modi alla manifestazione, con convegni, esposizioni, presentazioni, ma anche partecipando alla giuria dei Premi RemTech e stimolando la partecipazione delle imprese del settore. Ripetere l’evento di RemTech ogni anno contribuisce a far nascere e a mantenere questi contatti ed i relativi legami che si creano, in definitiva riesce a rendere vivo e stimolante il rapporto tra scienza e industria.


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A T T U A L I TÀ

Suolo: una risorsa a rischio Il suolo è una risorsa importantissima che l’uomo continua però a maltrattare, ad avvelenare e a sfruttare indiscriminatamente di Laura Veneri

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ontinua il nostro appuntamento con le tematiche di Expo. Abbiamo già parlato di aria sul numero di marzo e di acqua sul numero di giugno. Su questo numero parleremo dunque di suolo, di quanto è sfruttato e di come cercare di nutrirlo. Expo celebra il suolo nell’architettura del Padiglione Zero, il padiglione che dovrebbe essere la porta d’ingresso principale all’esposizione. La forma del Padiglione Zero, infatti, intende riprodurre una zolla terrestre con i vari strati di terreno e quindi anche il suolo che, lo ricordiamo, è la parte esterna superficiale della crosta terrestre.

Cemento e dissesto in Italia

Proprio Expo è stata la vetrina di presentazione del Rapporto sul consumo di Suolo dell’Ispra in occasione del convegno “Recuperiamo Terreno”. L’Italia descritta è una nazione “mangiata” ovunque e costantemente, basti pensare che il cemento ha invaso persino il 2% delle zone considerate non consumabili come montagne, aree a pendenza elevata e zone umide. Il suolo impermeabilizzato in Italia negli ultimi 70 anni è cresciuto del 158% e la velocità di consumo di suolo viaggia al una media di 6–7 m 2 al secondo. In prevalenza abbiamo perduto il 60% di aree

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agricole coltivate e il 19% di terre naturali vegetali e non. Stiamo cementificando anche alcune tra le aree più fertili al mondo, come la Pianura Padana, dove il consumo è salito al 12% e questo significa che, in un solo anno, oltre 100.000 persone hanno perso la possibilità di alimentarsi con prodotti italiani di qualità. Le città continuano ad ingrandirsi senza regole (sprawl urbano) e sono sempre più esposte al rischio idrogeologico. Lombardia e Veneto sono le regioni più “consumate” con percentuali intorno al 10%, mentre la Liguria è la regione che annovera più primati negativi: copertura di territorio entro i 300 metri dalla costa (40%), percentuale di suolo consumato entro

i 150 metri dai corpi idrici e aree a pericolosità idraulica, ormai impermeabilizzate (30%). Tra le zone a rischio idraulico è l’Emilia Romagna, con oltre 100.000 ettari, a detenere il primato in termini di superfici. Monza e Brianza, ai vertici delle province più cementificate, raggiunge il 35%, mentre i comuni delle province di Napoli, Caserta, Milano e Torino oltrepassano il 50%, raggiungendo anche il 60%. Il record assoluto, con l’85% di suolo sigillato, va al piccolo comune di Casavatore nel napoletano. Questi dati sono a nostro avviso drammatici perché, come ricorda la prima frase del Rapporto, “il suolo non è una risorsa rinnovabile”. Se continuiamo a consumarlo a questo ritmo, crescerà il rischio di dis-


sesto idrogeologico (36 le persone decedute lo scorso anno per frane e inondazioni) e perderemo la cosa che meglio ci caratterizza agli occhi del mondo, l’eccellenza dei prodotti alimentari italiani. L’Ispra ha anche effettuato una prima stima della variazione dello stock di carbonio, dovuta al consumo di suolo. In 5 anni (2008-2013), sono state emesse 5 milioni di tonnellate di carbonio, un rilascio pari allo 0,22% dell’intero stock immagazzinato nel suolo e nella biomassa vegetale nel 2008. Senza considerare gli effetti della dispersione insediativa, che provoca un ulteriore aumento delle emissioni di carbonio (sotto forma di CO 2), dovuto all’inevitabile dipendenza dai mezzi di trasporto, in particolare dalle autovetture.

2015: anno internazionale dei suoli

L’ONU ha dichiarato il 2015 l’anno internazionale dei suoli. “Suoli sani non solo costituiscono la base per la produzione di cibo, combustibili, fibre e prodotti medici, ma sono anche essenziali per i nostri ecosistemi, visto che ricoprono un ruolo fondamentale nel ciclo del carbonio, immagazzinano e filtrano l’acqua e aiutano a fronteggiare inondazioni e siccità”, ha sottolineato il Direttore Generale della FAO José Graziano da Silva in occasione della Giornata Mondiale del Suolo, che si è celebrata il 5 dicembre scorso. La FAO stima che un terzo dei terreni mondiali siano degradati, a causa dell’erosione, della compattazione, dell’impermeabilizzazione, della salinizzazione, dell’erosione di materiale organico e di nutrienti, dell’acidificazione, dell’inquinamento e di altri processi causati da pratiche insostenibili di gestione dei terreni. Se non vengono adottati nuovi approcci, nel 2050 l’ammontare globale di terreni arabili e produttivi pro capite sarà pari a solo un quarto del livello del 1960. “Possono volerci fino a 1000 anni per formare un centimetro di suolo, e con il 33% di tutto il suolo mondiale degradato e con le pressioni umane in

continua crescita, si stanno raggiungendo dei limiti critici che rendono la loro buona gestione una questione urgente”, ha detto Graziano da Silva. Definendo i suoli una “risorsa quasi dimenticata”, ha auspicato maggiori investimenti nella gestione sostenibile dei terreni, affermando che ciò sarebbe più economico di un loro ripristino. “I suoli sono necessari per il raggiungimento della sicurezza alimentare e della nutrizione, dell’adattamento e della mitigazione del cambiamento climatico, nonché di uno sviluppo sostenibile in generale”.

Il CNR sul consumo di Suolo

Expo è stato teatro dell’Evento “Il consumo di suolo: strumenti per un dialogo” organizzato dall’Istituto di Biometeorologia (IBIMET) del CNR e coordinato da Teodoro Georgiadis: una tavola rotonda incentrata sulla proposta di legge sul consumo di suolo per l’analisi e la diagnosi degli elementi che caratterizzano l’interazione con tutti i diversi aspetti del problema: dalla definizione stessa di suolo, all’analisi storica, alle interazioni con il paesaggio e l’economia, alla sostenibilità dell’edilizia, all’approntamento di opere infrastrutturali ed il loro impatto con il territorio. Numerosi gli interventi degli esperti. Ad introdurci nell’argomento, il dr. Georgiadis ha descritto l’influenza del consumo di suolo sul riscaldamento globale e su quello delle città in cui viviamo: “Rispetto all’aumento di temperature ascritto ai cambiamenti climatici, che secondo le proiezioni potrebbe essere di poco

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più di un grado in cento anni, l’urbanizzazione provoca innalzamenti di temperature anche di 15 gradi. Per fare un esempio, in una megalopoli come Città del Messico si arrivano a misurare spesso variazioni di temperatura tra città e campagna che superano i 12°C”. Angelo Basile, dell’Istituto per i Sistemi Agricoli e Forestali del Mediterraneo ISAFOM CNR ha proposto un intervento su “Il suolo e la misura del consumo” in cui ha descritto l’importanza della misurabilità dei processi (del consumo di suolo, degli interventi, delle situazioni ex-ante ed ex-post per capire i cambiamenti del territorio) presentando gli strumenti attualmente disponibili per monitorare e valutare il consumo di suolo: un portale italiano e uno europeo. A livello italiano ritroviamo Soil Sealing Geospatial Cyber Infrastructure (SS-GCI) il portale per la valutazione e la contabilità del consumo di suolo a scala nazionale; mentre a livello europeo esiste SOILCONSWEB per valutare la perdita di funzioni ecosistemiche del suolo. A prendere la parola è stato successivamente Franco Salvatori, Università degli Studi di Roma Tor Vergata con un intervento su “Le ragioni storiche del consumo di suolo in Italia” in cui ha delineato l’evoluzione storica italiana dei fenomeni di territorializzazione. Tra gli altri interventi il Prof. Paolo Pileri ha descritto le dinamiche strutturali del consumo di suolo evidenziando quanto poco sappiamo del suolo, di come viene usato e de-

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gli effetti che il suo utilizzo produce sulla vita dei nostri abitanti, degli ecosistemi e dell’economia. “Di fatto – dice il Prof Pileri - il monitoraggio oggi è scarsissimo e questo non fa che minimizzare o addirittura rimuovere un problema solo perché non si hanno gli occhiali per vederlo. Sulla conoscenza occorrono investimenti: occorre avere carte di uso del suolo comuni per tutte le regioni (non ci sono!), occorrono standard di realizzazione comuni (non ci sono!), occorrono report e relazioni scandite nel tempo e soprattutto legittimate nel dire ai governi locali come comportarsi. Questo sistema conoscitivo manca e manca anche il componente successivo che è ciò che trasforma la conoscenza in azione. Di ciò non si ha traccia nel nostro Paese. Insomma se ISPRA dice che si consumano 7 m 2/sec di suolo agricolo e questo produce certi effetti, manca il dispositivo che traduca queste rivelazioni in strategie e in azioni concrete capaci di non peggiorare la situazione. Senza questo secondo livello è tutto evidentemente inutile e pernicioso”.

Infine l’Onorevole Samuele Segoni ha presentato un intervento su “La necessità di dialogo tra il mondo tecnico-scientifico e il mondo della politica nell’ambito della proposta di legge sul consumo del suolo”, in cui ha ricordato che è in discussione presso le Commissioni Ambiente ed Agricoltura della Camera dei Deputati il disegno di legge per il contenimento del consumo di suolo, il riuso del suolo edificato e la tutela del suolo agricolo.

A Trento fermare il consumo di suolo è legge

È di fine luglio la notizia che la Provincia di Trento ha approvato una nuova legge in materia di governo del territorio, che intende fermare il consumo del suolo e riqualificare l’esistente, confermare e potenziare la centralità del paesaggio e migliorare la qualità del costruito. L’Assessore Carlo Daldoss ha commentato così la nuova legge “Si tratta di una scelta di responsabilità verso il futuro della comunità trentina, che punta a valorizzare il paesaggio attraverso la riqualificazione, anche

energetica, del patrimonio esistente, attraverso demolizioni e ricostruzioni per arrivare, nel 2020, all’obiettivo del consumo zero di territorio”. La nuova legge provinciale per il governo del territorio sposta la prospettiva delle politiche territoriali, puntando sul recupero e la riqualificazione del costruito rispetto all’espansione insediativa e alla realizzazione di nuovi interventi edilizi. La nuova impostazione si rifà ai principi del Piano urbanistico provinciale e li declina ulteriormente sia a livello urbanistico – attraverso gli strumenti di pianificazione chiamati all’analisi prioritaria della disponibilità di utilizzo del patrimonio edilizio esistente – sia a livello edilizio, mediante la nuova definizione di ristrutturazione edilizia che amplia le possibilità di intervento sul patrimonio esistente, l’incentivazione volumetrica anche da utilizzare mediante crediti edilizi ed economica attraverso la determinazione del contributo di costruzione che risulta differenziato tra un’aliquota minima, per gli interventi di recupero, e massima, per la nuova costruzione.

Una buona notizia: il suolo si può ricostruire La lotta al degrado del suolo possiede una tecnologia che è oggetto di un prestigioso finanziamento dell’Unione Europea (Life + 2010) denominato Newlife. Il co-finanziamento (4.025.473€) vede la società M.c.m. Ecosistemi capofila di un gruppo composto dall’Università di Agraria di Piacenza, dalla Provincia e dal Comune di Piacenza. Il progetto sperimenta ed applica il brevetto della società Ecosistemi su una superficie di 20 ha (200.000 mq) di suoli degradati in un sito sul quale negli anni ‘70 e ‘80 era stata realizzata una discarica per RSU. L’intervento sviluppa l’unica tecnologia che opera contrastando la desertificazione mediante un impianto chimicomeccanico che produce suoli fertili operando sulla struttura del suolo e sull’incorporazione della sostanza organica. Questa tecnologia, già attiva dal 2006, ha già prodotto risultati nel campo dell’agricoltura restituendo alla produttività vaste superfici agricole che avevano perduto la loro fertilità a causa dei tipici processi di degrado. Le attività, da sempre seguite dal laboratorio di ricerca della società, riconosciuto dal Ministero dell’Università, dell’Istituto di Chimica del Suolo di PC e di Bologna, e le sperimentazioni agricole su campo hanno permesso una continua ricerca attestando la positiva azione contro i principali problemi legati al degrado dei terreni: la fertilità chimica e fisica restituita ha consentito di incrementare le dotazioni di sostanza organica stabile, di aumentare l’aggregazione dei suoli diminuendo la loro erosione, di incrementare la capacità di ritenzione idrica, migliorare la struttura dei terreni, le proprietà termiche e la disponibilità dei nutrienti. Le opere effettuate nel progetto sono state caratterizzate da un’intensa attività di ricerca, di sperimentazione e la realizzazione di una copertura di circa 1 metro di suolo fertile ricostituito che consentirà la piantumazione di specie arboree e arbustive che allo stato originario non potevano attecchire nonostante i numerosi tentativi effettuati nel corso dei decenni. La tecnologia sta avendo un forte riscontro scientifico e tecnologico grazie alla continua partecipazione a convegni e alla pubblicazione su riviste scientifiche dei risultati raggiunti e degli studi sui suoli prodotti; anche a livello internazionale, ad aprile di quest’anno, la tecnologia di M.c.m. Ecosistemi è stata esposta all’Università di Rabath (Hassan V) per future applicazioni nelle zone aride del Marocco. Documentazioni sui siti: www.mcmecosistemi.com e www.lifeplusecosistemi.eu.

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Operazioni di studio su campo

Campi sperimentali di terreni ricostituiti



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Rifiuti speciali: produzione, recupero e smaltimento La crisi economica colpisce anche il settore dei rifiuti speciali, provocando principalmente una diminuzione della produzione dei non pericolosi e soprattutto dei rifiuti generati dalle attività di costruzione e demolizione di Maeva Brunero Bronzin

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’Ispra, istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, ha pubblicato il Rapporto 2015 sui rifiuti speciali delineando lo scenario relativo al 2013. La produzione nazionale dei rifiuti speciali si attesta, nel 2013, a 131,6 milioni di tonnellate. Tra il 2012 ed il 2013, rispetto al precedente biennio, si segnala una diminuzione nella produzione totale di rifiuti speciali di quasi 2 milioni di tonnellate, pari in termini percentuali all’1,5%, dovuta maggiormente alla riduzione dei rifiuti speciali non pericolosi prodotti. Rispetto al 2012, infatti, sia la produzione di rifiuti speciali non pericolosi sia quella di rifiuti pericolosi, mostrano una flessione corrispondente, in termini quantitativi, rispettivamente, a 1,7 milioni di tonnellate (-1,4%) e 228 mila tonnellate (-2,6%).

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Il quantitativo di rifiuti speciali pericolosi, nel 2013, si attesta a quasi 8,7 milioni di tonnellate, di cui circa 1,2 milioni di tonnellate relativi ai veicoli fuori uso. Nel 2013, la maggiore tipologia di rifiuti speciali non pericolosi è definita dal settore delle costruzioni e demolizioni con una percentuale pari al 39,8% del totale prodotto, corrispondente a quasi 49 milioni di tonnellate. Seguono le attività di trattamento di rifiuti e quelle manifatturiere con percentuali del 25% circa per entrambe, corrispondenti in termini quantitativi, rispettivamente, a quasi 30,6 milioni di tonnellate comprensivi dei quantitativi di rifiuti derivanti dal trattamento dei rifiuti urbani, e a 30,4 milioni di tonnellate. Alle restanti attività, prese nel loro insieme, corrisponde il 10,5% del totale di rifiuti non pericolosi prodotti.

I maggiori valori di produzione totale dei rifiuti speciali si concentrano nel nord Italia con 80,4 milioni di tonnellate nel 2013 (pari, in termini percentuali, al 61,1% del dato complessivo nazionale). La produzione del Centro si attesta a oltre 22,6 milioni di tonnellate (17,2% del totale nazionale), mentre quella del Sud a circa 28,5 milioni di tonnellate (21,7%). Al Nord si rileva, tra il 2012 ed il 2013, un incremento della produzione totale dei rifiuti speciali, pari a quasi 2,3 milioni di tonnellate (+2,9%), ascrivibile all’aumento della produzione di rifiuti non pericolosi. La produzione dei rifiuti pericolosi, invece, registra una lieve flessione pari a circa 126 mila tonnellate (-2,1%). Al Centro, la produzione totale diminuisce di quasi 1,2 milioni di tonnellate (-5%), registrando una diminuzione sia dei rifiuti non pericolosi,


pari a oltre 1 milione di tonnellate (-5%) che di quelli pericolosi (oltre 50 mila tonnellate, -4%). Al Sud si evidenzia una rilevante flessione della produzione, pari a circa 3 milioni di tonnellate (-9,7%) in controtendenza al biennio precedente. Il calo più consistente si registra per i rifiuti non pericolosi (-10%), attribuibile in prevalenza ai rifiuti da costruzione e demolizione (circa 2,6 milioni di tonnellate); i rifiuti pericolosi diminuiscono di 51 mila tonnellate (-3%). L’analisi dei dati regionali mostra come la Lombardia, nel 2013, produca da sola 27,8 milioni di tonnellate, pari al 34,6% circa del totale dei rifiuti speciali generati dal nord Italia (80,4 milioni di tonnellate), seguita dall’Emilia-Romagna con 15,5 milioni di tonnellate (19,3%), dal Veneto con 14,7 milioni di tonnellate (18,3%), e dal Piemonte con oltre 10,6 milioni di tonnellate (13,2%). Nel 2013 i rifiuti speciali complessivamente gestiti in Italia sono 129,5 milioni di tonnellate, di cui 121,8 milioni di tonnellate (94% del totale gestito) sono non pericolosi e i restanti 7,7 milioni di tonnellate (6% del totale gestito) sono pericolosi.

Smaltimento dei rifiuti speciali

Il quantitativo totale di rifiuti speciali recuperato energeticamente nel 2013 è pari a circa 2,2 milioni di tonnellate, con un aumento, rispetto al 2012, dell’7,2%. I rifiuti utilizza-

ti come fonte di energia sono stati: i rifiuti della lavorazione del legno, carta ed affini con un quantitativo di circa 765 mila tonnellate (35,1%), il biogas con oltre 736 mila tonnellate (33,8%), i rifiuti prodotti dal trattamento meccanico di rifiuti con 178 mila tonnellate (8,2%) e il combustibile solido secondario con quasi 170 mila tonnellate (7,8%). Seguono i rifiuti dell’attività agroalimentare con oltre 88 mila tonnellate (4%), i rifiuti prodotti da trattamento chimico-fisico di rifiuti industriali e delle acque reflue con oltre 62 mila tonnellate (2,9%) e gli oli esausti e di scarto con 61 mila tonnellate (2,8%). Nel 2013, gli impianti di incenerimento in esercizio che hanno trattato rifiuti speciali sono stati 76, di cui 36 destinati principalmente al trattamento di rifiuti urbani. La gran parte è localizzata al Nord (50), al Centro sono presenti 11 impianti, al Sud 15. Il numero delle discariche operative che hanno smaltito rifiuti speciali passa da 418 del 2012, a 404 del 2013, facendo registrare un calo più rilevante al Centro (-7 discariche). La riduzione non risulta riconducibile unicamente alla chiusura definitiva di impianti ma è anche attribuibile alla temporanea non operatività di discariche soprattutto di medie e piccole dimensioni. Nel 2013, la maggior parte delle discariche è localizzata al Nord con 231 impianti, 59 al Centro e 114 al Sud. Tra i rifiuti pericolosi smaltiti

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in discarica - oltre 1 milione di tonnellate (10,1% del totale di cui il 59% smaltito in discariche per rifiuti non pericolosi e il 41% in discariche per rifiuti pericolosi) - quelli contenenti amianto e allocati in discarica sono circa 167 mila tonnellate. Il 90,7% è rappresentato da materiali da costruzione contenenti amianto e il restante 9,3% è costituito da altri rifiuti contenenti amianto.

Esportazione ed importazione dei rifiuti speciali

La quantità totale di rifiuti speciali esportata nel 2013 è pari a 3,4 milioni di tonnellate, di cui il 70% (2,4 milioni di tonnellate) è costituito da rifiuti non pericolosi ed il restante 30% (un milione di tonnellate) da rifiuti pericolosi. Rispetto al 2012 si registra una flessione del 16,7%. Si esportano in maggior misura, tra i rifiuti non pericolosi, quelli prodotti da processi termici, circa 1,3 milioni di tonnellate, mentre tra quelli pericolosi, la quantità maggiore inviata oltre confine proviene dagli impianti di trattamento (574 mila tonnellate). I paesi verso cui si esportano maggiormente i rifiuti speciali sono Germania e Cina. I rifiuti speciali importati in Italia nel 2013, circa 5,7 milioni di tonnellate, sono costituiti quasi esclusivamente da rifiuti non pericolosi; i rifiuti pericolosi, infatti, sono 153 mila tonnellate, il 2,7% del totale importato.

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L’Europa verso l’economia circolare? Economia e ambiente andranno a braccetto nell’ottica di riduzione delle risorse? di Bruno Vanzi

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’Economia circolare è un modello economico che prevede una riduzione dell’uso delle materie prime in favore del riutilizzo dei materiali e dell’energia per la produzione di nuovi prodotti. Nel modello di economia circolare, il ciclo di vita dei prodotti è esteso grazie ad un eco-design che permette di riparare e riutilizzare i prodotti più facilmente, una maggiore durabilità dei prodotti, una migliore gestione dei rifiuti, un nuovo modello di business basato sul leasing e la condivisione. La transizione verso un’economia più circolare è al centro dell’agenda per l’efficienza delle risorse stabilita nell’ambito della strategia Europa 2020 per una crescita intelligente e sostenibile. Utilizzare le risorse in modo più efficiente e garantire la continuità di tale efficienza non solo è possibile, ma può apportare importanti benefici economici. Nei sistemi di economia circolare i prodotti mantengono il loro valore aggiunto il più a lungo possibile e ci sono pochi rifiuti. Una transizione verso un’economia più circolare implica un vero e proprio cambiamento sistemico e un forte impulso innovativo, non solo sul piano della tecnologia, ma anche dell’organizzazione, della società, dei metodi di finanziamento e delle politiche. L’unione Europea sta affrontando il complesso tema dell’economia circolare sia in Parlamento che in Commissione Europea. All’inizio di luglio il Parlamento Euro-

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peo ha votato e approvato una risoluzione dal titolo “Efficienza delle risorse: transizione verso un’economia circolare” in cui si sostiene che nuovi obiettivi in materia di riduzione dei rifiuti consentirebbero di creare 180.000 posti di lavoro ed invita pertanto la Commissione a presentare una nuova proposta entro il 2015, che proponga obiettivi vincolanti di riduzione dei rifiuti e la riduzione graduale di tutti i tipi

di smaltimento in discarica. I deputati dichiarano che, per affrontare il problema delle scarse risorse, l’estrazione e l’uso di quest’ultime devono essere ridotti e il legame tra la crescita e l’uso delle risorse naturali deve essere interrotto. Per ottenere un uso sostenibile delle risorse entro il 2050, l’Unione Europea deve richiedere una riduzione dei consumi di risorse a livelli sostenibili, l’impiego crescente delle energie rinnovabili e la soppressione delle sostanze tossiche.

Nel testo si afferma inoltre che l’uso degli indicatori relativi all’efficienza delle risorse e alla misurazione del consumo di risorse, comprese le importazioni e le esportazioni, dovrebbe essere obbligatorio a partire dal 2018. I deputati del Parlamento chiedono infine di stabilire l’obiettivo di aumentare l’efficienza delle risorse a livello di Unione del 30% entro il 2030 (rispetto al 2014), così come singoli obiettivi per ciascuno Stato membro. L’economia globale usa, in termini di risorse, l’equivalente del valore di 1,5 pianeti per produrre a livello globale e assorbire i rifiuti e si stima che tale cifra raggiungerà l’equivalente di due pianeti entro il 2030. Il miglioramento dell’uso delle risorse potrebbe garantire un risparmio netto considerevole alle imprese dell’Unione Europea, alle autorità pubbliche e ai consumatori, dell’ordine di 600 miliardi di euro secondo le stime, equivalente all’8% del fatturato annuo, anche in considerazione del fatto che l’Europa è la regione al mondo che dipende maggiormente dalle risorse importate rispetto a qualunque altra. Un aumento della produttività delle risorse del 30% entro il 2030 potrebbe produrre un aumento del PIL di circa l’1% e creare 2 milioni di nuovi posti di lavoro sostenibili. La Commissione Europea dovrà presentare un piano d’azione per il transito ad un’economia circolare entro la fine dell’anno. Il Vecchio Continente sarà in grado di accettare la sfida?


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Risorse e clima nel centro della capitale francese Prima edizione per il world efficiency, l’incontro biennale per gli attori economici e politici in cerca di soluzioni per il pianeta e per le imprese di Maria Beatrice Celino

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uest’anno le porte di Parigi si aprono verso al ricerca di soluzioni per le risorse naturali e per il clima. Dal 13 al 15 ottobre si terrà infatti, presso il Parco delle Esposizioni di Parigi Porte de Versailles, la prima edizione del salone World Efficiency, nato dalla volontà degli organizzatori di Pollutec di offrire un luogo di incontro per tutti i soggetti impegnati nello sviluppo di soluzioni che servono sia gli interessi del pianeta sia quelli delle imprese. Per comprendere meglio cosa si aspettano gli organizzatori del salone e cosa dovremo aspettarci noi come visitatori abbiamo intervistato Stéphanie Gay-Torrente, direttrice di Pollutec e World Efficiency. Quali saranno i temi di questa prima edizione di WE e quali sono le attese degli organizzatori? Per la prima volta in assoluto, World Efficiency proporrà un insieme di soluzioni internazionali per la riduzione dell’impatto dell’attività umana sulle risorse e il clima attraverso un inedito formato di mostre e congressi internazionali. Saranno presenti oltre 300 aziende operanti nel settore dell’ambiente (acqua, aria, riciclaggio), dell’edilizia, della produzione energetica, dei trasporti, dell’agricoltura, dell’alimentazione e del commercio con progetti

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di soluzioni alternative. I 20.000 decisori e consulenti attesi, desiderosi di trovare soluzioni a impatto ambientale ridotto per i loro progetti territoriali o industriali, avranno la possibilità di partecipare alle 150 conferenze previste. Il 30% della superficie del salone è dedicato all’internazionale, con la presenza di aziende provenienti da Paesi Bassi, Germania, Argentina, Cina, Spagna, Gran Bretagna, Corea, Belgio, Svezia, Danimarca, Norvegia, Islanda e, ovviamente, Italia. Per quanto riguarda i visitatori, sono attesi una sessantina di paesi tra Africa, Asia, America Latina, Stati Uniti, Canada ed Europa. Il salone avrà un’importante parte espositiva oltre a congressi ricchi di dibattiti. Quali saranno i punti forti delle diverse sessioni? Questo evento si rivolge a tutti coloro che presentano progetti che apportano soluzioni concrete alla riduzione dell’impatto sulle risorse e sul clima, ma anche un reale e immediato beneficio economico. World Efficiency utilizza un metodo innovativo. In primo luogo intende favorire scambi trasversali tra le filiere per accelerare lo spiegamento e l’attuazione di soluzioni per le risorse e il clima nella nostra economia mondiale. Quest’occasione sarà colta grazie

Stéphanie Gay-Torrente, Direttrice di Pollutec e World Efficiency

all’Eco-innovation Summit, riunioni dedicate all’innovazione nell’area congressi, che rappresenteranno il primo incontro esclusivo tra i cluster internazionali. Il congresso riveste un duplice ruolo. In un primo tempo presenterà le sfide incrociate dei diversi mercati e governance pubbliche e private attraverso conferenze plenarie che permetteranno agli attori economici e politici di esprimere la propria opinione; in seguito metterà in valore esempi concreti di soluzioni che rispondono a tali sfide. I visitatori potranno partecipare a circa 150 conferenze. Un evento particolarmente esclusivo è organizzato dai paesi del Nord Europa: il Nordic Efficiency. Per la prima


PRODURRE DIVERSAMENTE

volta in Francia, i cinque paesi nordici (Danimarca, Finlandia, Islanda, Norvegia e Svezia) si riuniscono per creare un padiglione comune sotto la guida del Nordic Council. Per l’occasione, il 13 ottobre verranno organizzate numerose conferenze e atelier ai quali parteciperanno i portavoce dei paesi nordici presenti al congresso. Il problema del cambiamento climatico è sentito sempre di più dalla popolazione: potrebbe anticiparci alcune delle soluzioni che i visitatori ritroveranno al salone? La manifestazione intende apportare delle soluzioni adeguate a problematiche territoriali differenti, indipendentemente da che siate ad Abidjan, Kuala Lumpur, Rio, Parigi o New York. Ciò significa fornire delle soluzioni appropriate alle risorse disponibili, alle specificità del clima, ai diversi livelli di sviluppo economico e ai differenti modelli di governance in ogni regione del mondo. A tal fine il salone

proporrà numerose aree dedicate ai progetti e alle soluzioni dell’emisfero sud, ma anche uno spazio ultra-marino, che riunirà progetti e decisori di numerosi paesi emergenti. Come è vissuto in Francia il tema dell’“efficienza” e a cosa viene abitualmente associato? In Francia il termine è principalmente associato, dai professionisti del settore dell’ambiente e dell’edilizia, a una riduzione dei consumi energetici. Tuttavia World Efficiency intende abbordare la tematica dal punto di vista della performance economica e ambientale in termini di riduzione dell’impatto sulle risorse e sul clima: “Resource Efficiency & Energy Efficiency”. Pertanto è fondamentale che i nostri modelli di governance, sia pubblici che privati, evolvano verso pratiche circolari con emissioni di carbonio ridotte più adatte alle attuali sfide dei territori e delle industrie.

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COSTRUIRE DIVERSAMENTE

PIANIFICARE GESTIRE E SFRUTTARE DIVERSAMENTE

TRASPORTARE DIVERSAMENTE

ALIMENTARE DIVERSAMENTE

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T H E

B I G

EY E

Europa e Africa insieme per valorizzare i RAEE Grazie al progetto Ewit sarà possibile arginare l’export illegale e aumentare le quantità di RAEE avviati a un corretto riciclo in Africa, con un potenziale valore economico di almeno 300 milioni di euro di Laura Veneri

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uando pensiamo alla gestione dei rifiuti in Africa ci vengono in mente immagini di bambini e persone che rovistano tra montagne di rifiuti alte come palazzi. Persone che cercano quanto si può recuperare per rivenderlo per pochi spiccioli. Queste immagini ce le vogliamo dimenticare. L’Africa è una terra che ha tutto da imparare sulla raccolta e sul trattamento dei rifiuti, ma grazie a progetti internazionali come Ewit, poco alla volta, può iniziare a sviluppare una cultura del recupero. Ewit, letteralmente “e-waste implementation toolkit”, significa assistere alcune città africane nella realizzazione di sistemi di gestione dei rifiuti elettronici efficaci per le loro comunità. Il progetto, coordinato dal Consorzio Remedia, il sistema collettivo italiano no-profit per la gestione eco-sostenibile dei RAEE, dei rifiuti da pile e accumulatori esausti, è iniziato a febbraio 2015 e avrà termine a gennaio 2017. Il progetto Ewit è finanziato dall’Unione Europea con 1,6 milioni di euro nell’ambito del suo programma di finanziamenti Horizon 2020. Il progetto realizza il gemellaggio di quattro aree metropolitane africane con quattro europee e si propone di condividere le best practices di queste ultime, per sviluppare sistemi efficaci di gestione e di valorizzazione dei RAEE nelle corrispondenti africane. Oltre alle quattro città europee partecipano 24 prestigiosi partner internazionali, appartenenti

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al mondo della ricerca accademica, delle istituzioni locali e dell’industria. Firenze in Italia, Anversa in Belgio, Oporto in Portogallo e Vienna in Austria sono le quattro città europee che porteranno la propria esperienza nella gestione dei rifiuti elettrici ed elettronici nelle aree metropolitane africane di Choma in Zambia, Abidjan in Costa d’Avorio, Johannesburg in Sud Africa e Kisii in Kenya. Le realtà europee sono state scelte perché negli ultimi anni hanno sostenuto nuovi investimenti nel recupero dei RAEE o perché hanno sviluppato campagne di comunicazione importanti nell’ambito della raccolta dei RAEE e si ritiene che le amministrazioni comunali e le società dedicate alla raccolta dei rifiuti nelle singole realtà possano esportare la loro esperienza positiva ad altre amministrazioni. Queste competenze saranno raccolte in un portale che le renderà utilizzabili e, grazie alla sua messa a punto, Ewit punta a offrire benefici concreti in termini sia ambientali sia di tutela della salute dei lavoratori impiegati nel settore. Il piano di lavoro comprende diverse fasi che vanno dalla mappatura dei dati a disposizione della capacità delle aree africane coinvolte nella gestione dei rifiuti tecnologici alla raccolta ed analisi dei casi di eccellenza, da processi e strumenti in grado di generare valore fino alla realizzazione del portale informativo a guida e supporto

Danilo Bonato, Direttore Generale di ReMedia

“Il progetto Ewit è stato scelto dalla Commissione Europea come iniziativa di eccellenza sulla gestione dei RAEE e rappresenta un’importante opportunità per valorizzare l’esperienza sviluppata negli ultimi 10 anni nel nostro continente, adattandola alle necessità delle grandi aree metropolitane africane, Consorzio ReMedia è orgoglioso di coordinare questo progetto e di poter così testimoniare la capacità italiana di guidare un’iniziativa strategica di alto livello, che coinvolge stakeholder di primo piano, pubblici e privati, nei due continenti”. dell’implementazione di un sistema efficace e sostenibile di riciclo. Lo scopo è aiutare i Comuni africani sia a sviluppare sistemi di gestione e trattamento dei rifiuti tecnologici sia a


definire obiettivi a medio termine legati all’aumento delle opportunità di riciclo e capaci di portare miglioramenti economici considerevoli e calcolabili. Il cambiamento degli stili di vita e di consumo della classe media in Africa sta accrescendo la composizione e il flusso di rifiuti nel continente. In Africa il tasso di produzione di rifiuti cambia da Paese a Paese, da 1 kg/ abitante/anno (Zambia) a 7 kg/abitante/anno (Sud Africa). Se consideriamo una media di 2 kg/abitante/anno, la quantità totale di rifiuti generati si aggira intorno a 2 milioni di tonnellate annue. Secondo le previsioni, entro il 2020 la quantità di rifiuti tecnologici generati in Africa raggiungerà 4 milioni di tonnellate all’anno. Di queste, solo 200.000 vengono gestite correttamente da un punto di vista ambientale, della salute e del recupero di materie prime. Il progetto coordinato da ReMedia si propone di migliorare questo dato almeno del 30%. In prospettiva, si punta ad avviare a un corretto riciclo 1 milio-

ne di tonnellate di questi rifiuti, con un potenziale economico di almeno 300 milioni di euro. Saranno coinvolte nelle aree pilota tra 30 e 50 milioni di persone, incrementando il tasso di raccolta

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di un fattore pari a 5 e generando una quantità significativa di RAEE aggiuntiva disponibile per il business locale del riciclo (da 20.000 a 30.000 tonnellate). Tale incremento annuo potrebbe portare a un recupero di 25.000 tonnellate di materie prime seconde da reinserire nel ciclo produttivo, il cui valore economico associato potrebbe essere superiore ai 5 milioni di euro. Un altro degli obiettivi di Ewit è quello di contrastare l’export illegale, riconvertendo i flussi provenienti dall’Europa in business legali. Secondo recenti studi il 3-5% dei rifiuti tecnologici prodotti in Europa viene esportato illegalmente in Africa: 300.000 tonnellate di RAEE che potrebbero generare almeno 1.500 nuove opportunità lavorative. Il progetto Ewit è un’opportunità per le aziende italiane ed europee perché si potranno creare concrete partnership lavorative ed esportare competenze e tecnologie europee e/o italiane per contribuire a riciclare in modo efficace questi rifiuti.

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S PE C I A L E

IL SITO D’INTERESSE NAZIONALE “BRESCIA-CAFFARO” Risultati delle indagini svolte dall’ARPA sui suoli contaminati dall’industria Caffaro di M. Ciccarelli, M.L. Tedesco, S. Zaniboni, E. Alberico e M. Paolo Confalonieri*

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l Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio, con proprio Decreto del 24 febbraio 2003, ha definito il perimetro del Sito di Interesse Nazionale (SIN) “Brescia-Caffaro”, che comprende i suoli l’area dello stabilimento, del quartiere I° Maggio e delle adiacenti aree agricole ad ovest nel comune di Brescia. Indagini successive hanno evidenziato una contaminazione dei suoli, riconducibile alla Caffaro, su un’area ben più vasta rispetto a quella perimetrata. Il progetto nasce a completamento di queste indagini, per definire l’effettiva estensione areale dovuta all’attività dell’industria Caffaro e per comprendere le possibili relazioni fra la contaminazione dei vari comparti ambientali. Lo studio dell’Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale della Lombardia (di seguito ARPA) si compone di più fasi operative integrate tra loro

e strettamente connesse, quali l’analisi dei suoli, delle acque superficiali, dei sedimenti delle rogge e dello scarico dello stabilimento Caffaro. Nel corso dell’anno 2013 il Dipartimento di Brescia dell’ARPA confermava la diffusione di Policlorobifenili (PCB) e di Policlorodibenzodiossine e Policlorodibenzofurani (PCDD-PCDF) a valle del sito di interesse nazionale fino al confine del comune di Brescia. Risultava quindi necessario integrare la conoscenza sullo stato di eventuale contaminazione di terreni, rogge, acque superficiali e sedimenti dell’area posta anche nei comuni a sud di Brescia (Flero, Castelmella, Poncarale e Capriano del Colle). Questo articolo tratta in particolare lo studio dei suoli a sud dell’industria Caffaro, nel comune di Brescia e nelle aree agricole dei comuni limitrofi.

Figura 1. Ubicazione dello stabilimento Caffaro nel tessuto urbano della città di Brescia

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L’elaborazione dei dati ha previsto il confronto delle concentrazioni dei parametri inorganici ed organici analizzati con le concentrazioni soglia di contaminazione (CSC), di cui al D.Lgs. 3 aprile 2006, n.152 e s.m.i.

L’AZIENDA CAFFARO

L’attività dell’azienda chimica Caffaro è iniziata nel 1906 con la produzione di soda caustica e di vari composti, fra cui fitofarmaci e pesticidi. A partire dal 1938, l’azienda ha avviato la produzione di PCB su licenza Monsanto, terminata poi nel 1984. La Caffaro ha inoltre utilizzato altri composti chimici nel ciclo produttivo, tra cui il cloro, il mercurio, l’arsenico e il tetracloruro di carbonio. Inizialmente, lo stabilimento Caffaro era esterno al contesto urbano di Brescia, in quello che era conosciuto ai tempi come “Borgo San Giovanni”, una zona agricola nei pressi del cimitero. Con lo sviluppo dell’area urbana, l’insediamento è stato progressivamente inglobato nel tessuto cittadino (fig. 1). L’inquinamento provocato dall’attività produttiva della Caffaro, oltre ad aver contaminato i terreni sottostanti lo stabilimento, si è diffuso nelle aree a sud dell’azienda, mediante le rogge che erano e sono ancora alimentate dallo scarico delle acque industriali e della barriera idraulica; anche la movimentazione dei rifiuti prodotti dall’azienda ha contribuito a generare nel territorio bresciano aree contaminate quali, ad esempio, la discarica Vallosa di Passirano (perimetrata all’interno del SIN “Brescia – Caffaro”). Dalle indagini ambientali dell’ARPA Lom-


centrazioni notevoli di metalli (arsenico e mercurio) e di inquinanti organici persistenti (PCB e diossine). Le indagini effettuate hanno mostrato che la contaminazione rilevata all’interno del Sito Nazionale non si esaurisce nei confini indicati nel decreto di perimetrazione.

IL NUOVO STUDIO (2013-2014)

Figura 2. Aree indagate nelle precedenti campagne con indicato l’anno di esecuzione dei campionamenti

bardia avviate nel 2000 sull’area dello stabilimento Caffaro e nelle sue immediate vicinanze è emerso un inquinamento del suolo con valori ben al di sopra dei limiti (CLA ora CSC) stabiliti dalla normativa (prima dal D.M. 471/99 ed ora dal D.Lgs. 152/06) per le diverse destinazioni d’uso (residenziale/verde pubblico e industriale/commerciale), in particolare per i metalli, PCB e PCDD-PCDF. Nell’area dello stabilimento, inoltre, gli inquinanti (in particolare PCB, PCDDPCDF, mercurio, arsenico, fitofarmaci e alifatici clorurati) si sono spinti nel sottosuolo fino ad una profondità di oltre 40 metri, determinando di conseguenza anche la contaminazione della risorsa idrica sotterranea.

STATO DELLE CONOSCENZE PREGRESSE (2002-2006)

Nel Sito di Interesse Nazionale “Brescia – Caffaro” il Dipartimento di Brescia dell’ARPA ha svolto, nel corso degli anni, cinque campagne di monitoraggio dei suoli e delle altre matrici (sedimenti e rogge) all’esterno dello stabilimento, per una superficie totale di circa 3,4 km2. Le attività condotte dall’Agenzia hanno indagato aree via via più lontane dal perimetro industriale dell’azienda Caffaro, accertando la presenza di inquinanti riconducibili allo stabilimento fino ad una distanza di circa 5 km a sud, come visibile nella fig. 2. I risultati delle analisi hanno messo in evidenza che le attività dello stabilimento hanno pesantemente impattato l’ambiente circostante con metalli, solventi clorurati, PCB e Diossine. In particolare, le aree agricole esterne presentano con-

Alla luce delle conoscenze illustrate, tenuto conto dell’intervallo di tempo trascorso dalle precedenti indagini e degli ulteriori elementi emersi negli ultimi anni, è stata svolta una nuova campagna d’indagine a partire da novembre 2013 incentrata, per i terreni, sui seguenti punti fondanti: • riesecuzione dei campionamenti e delle analisi in alcune maglie già analizzate, utilizzando metodi analitici che sfruttano tecniche strumentali di alta risoluzione (HR); • campionamento di porzioni di territorio non verificate in precedenza; • determinazione di 33 congeneri di PCB ad alta risoluzione (sia diossina simili che non), comprensivi dei congeneri generalmente ricercati secondo le indicazioni dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) e di congeneri specifici della produzione Caffaro: i congeneri sono stati scelti integrando quelli normalmente ricercati, che costituiscono un maggiore fattore di rischio per la salute, con quelli peculiari della produzione dell’azienda Caffaro. Il nuovo studio riguarda una vasta porzione di territorio (indicativamente un’area di 3,3 km²) posta a sud del Sito Nazionale “Brescia – Caffaro” (fig. 3). Alla luce della probabilità che il fiume Mella e il vaso fiume delle Fornaci – vaso Garzetta costituiscano una barriera idrologica alla diffusione ulteriore della contaminazione, l’area di studio è delimitata: • ad ovest dal fiume Mella; • ad est dal canale fiume Grande – vaso Garzetta; • a sud dalla confluenza del fiume Grande – vaso Garzetta nel fiume Mella. In coerenza con le precedenti campagne di indagini effettuate dal dipartimento di Brescia, e nel rispetto di quanto stabilito dal D.M. 13 settembre 1999 “Metodi

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Figura 3. Aree indagate (in verde le aree della campagna 2013-2014)

Ufficiali di Analisi dei suoli”, per le indagini eseguite si è utilizzato il “Campionamento non sistematico a X” (molto utile per superfici vaste), che ha il vantaggio di mediare la possibilità di falsi positivi o negativi, in quanto ogni campione è costituito da più prelievi semplici. Con tale metodica, si suddivide l’area in maglie regolari di opportuna dimensione, identificando i punti di prelievo ai vertici delle maglie e al loro centro (vedi fig. 4). Sono state quindi identificate sulla Carta Tecnica Regionale delle maglie quadrate con lato di 150 metri; per ogni maglia sono stati identificati indicativamente 5 punti di prelievo, di cui 4 ai vertici e 1 al centro (nel caso di maglie adiacenti i prelievi ai vertici coincidono). È stata effettuata, prima delle attività di campo, l’individuazione logistica delle maglie da campionare, riportandole tramite GIS su cartografia, denominandole e identificando i punti di prelievo. Nella fase operativa vera e propria sono stati eseguiti i prelievi di tutti i terreni. I nuovi punti di prelievo sono stati memorizzati

Figura 4. Metodo utilizzato per formare i campioni significativi delle maglie

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S PE C I A L E

Figure 5. Esecuzione delle indagini in campo

sul ricevitore GPS per poi essere riportati sulla cartografia ufficiale. I prelievi hanno riguardato i primi 30 cm di terreno dal p.c., sulla base di informazioni pregresse sulla distribuzione verticale degli inquinanti, scartando l’eventuale strato vegetale superficiale. Per evitare fenomeni di “cross-contamination” dei campioni si è inoltre proceduto al lavaggio della strumentazione con acqua demineralizzata alla fine di ogni singolo prelievo. In seguito sono stati ricostituiti in laboratorio i campioni rappresentativi delle singole maglie. Ogni campione rappresentativo della maglia è perciò formato dalla somma, in egual misura, del materiale dei singoli prelievi che gli appartengono. Indicativamente, sono stati presi 400 g di terreno da ogni prelievo per formare un campione di almeno 2 kg di materiale, diviso in due aliquote, di cui una utilizzata per le analisi e una utilizzata come campione da porre in deposito.

IL MODELLO CONCETTUALE DELLA DIFFUSIONE DEI CONTAMINANTI

Alla luce delle conoscenze del ciclo produttivo dell’Azienda Caffaro, i modelli ipotizzati di diffusione dei contaminanti sono stati i seguenti: • emissioni in atmosfera (convogliate, diffuse, incidenti, ecc.): non è compatibile con l’inquinamento ritrovato (in quanto la direzione prevalente dei venti nell’area è essenzialmente est-ovest, mentre gli inquinanti riscontrati si sono prevalentemente diffusi a sud dello stabilimento;

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smaltimento di rifiuti solidi (discariche, riporti, ritombamenti, ecc.): non giustifica la diffusione areale dell’inquinamento, anche se sono state ritrovate alcune aree limitate con presenza di rifiuti prodotti dalla “Caffaro” (discarica Vallosa) o riconducibili alle produzioni “Caffaro” (discariche di via Caprera); • diffusione degli inquinanti nelle acque sotterranee (ed eventuale loro reimmissione sulle aree agricole tramite pozzi): sicuramente avvenuta, come dimostrano i dati qualitativi delle acque sotterranee, ma poco probabile la loro reimmissione sui terreni, in quanto i PCB e le Diossine sono insolubili in acqua; • scarico di acque di processo nelle rogge (prima senza depurazione, poi con depurazione): è il processo principalmente indiziato sulla modalità di diffusione dell’inquinante, soprattutto con i fenomeni di trasporto solido dei sedimenti pesantemente contaminati. Relativamente a quest’ultimo punto, all’interno dello stabilimento venivano utilizzati ingenti quantitativi di acqua nei processi produttivi (più di 10 milioni di m3/anno), che venivano scaricati nelle rogge e, di conseguenza, nelle aree agricole a valle dello stabilimento per l’irrigazione delle stesse (si evidenzia che attualmente l’azienda ha uno scarico autorizzato con portata di 1000 m3/h).

CONCLUSIONI

Lo studio effettuato ha confermato che, come già in precedenza accertato, la pe-

rimetrazione del SIN “Brescia – Caffaro” non comprende in maniera esaustiva l’area effettivamente coinvolta dall’inquinamento prodotto dallo stabilimento Caffaro, in quanto nelle aree poste a sud dello stesso è emersa la presenza di contaminanti caratteristici della sua produzione (Antimonio, Mercurio e PCB), oltre le CSC corrispondenti. La comparazione fra risultati delle analisi sui PCB in alta e bassa risoluzione ha mostrato che, pur variando di poco (indicativamente del 10%) il risultato sui PCB totali, ci sono notevoli differenze sulla distribuzione dei singoli congeneri (a tal proposito, si veda “Determinazione di PCB nei siti contaminati: approccio comparato GC\MS in alta e bassa risoluzione”). Le analisi delle aree campionate nella campagna del 2013-2014 hanno consentito di ottenere i seguenti risultati: • Antimonio e Nichel sono assenti nelle aree campionate, con qualche isolata anomalia; • Piombo, Rame, Zinco e Cadmio sono presenti nella maggior parte delle nuove aree indagate al di sotto

Figura 6. Distribuzione dei valori di Arsenico e Mercurio

Figura 7. Distribuzione dei valori di PCB e Diossine

delle CSC per le aree residenziali verde pubblico o appena al di sopra delle stesse in alcune zone isolate; Arsenico e Mercurio sono diffusamente presenti con concentrazioni superiori alle CSC delle aree residenziali - verde pubblico e talvolta


in concentrazioni superiori alle CSC delle aree industriali – commerciali (fig. 6); • i PCB totali sono stati rilevati nella maggior parte delle aree indagate, con concentrazioni al di sopra delle CSC delle aree residenziali - verde pubblico; si riscontrano valori superiori alle CSC delle aree industriali - commerciali in alcune maglie isolate in prossimità di una discarica abusiva in via Caprera (fig. 7); • PCDD e PCDF sono presenti in modo abbastanza diffuso con concentrazioni superiori alle CSC delle aree residenziali - verde pubblico e in alcune aree in concentrazioni superiori alle CSC delle aree industriali – commerciali (fig. 7). Ciò ha permesso di consolidare le at-

tuali conoscenze sulla specificità della contaminazione Caffaro: relativamente ai PCB, il congenere 209 è quello maggiormente presente in percentuale fra quelli indagati, con valori mediamente del 37% del valore totale del PCB (fig. 8), con punte di oltre il 70% circa. Relativamente ai PCDD-PCDF, il profilo medio dei singoli congeneri in percentuale di peso sul totale (fig. 9) ha evidenziato una notevole presenza di Octaclorodibenzodiossine (OCDD) e Octaclorodibenzofurani (OCDF), mentre per gli altri congeneri si nota una evidente prevalenza dei Furani (in verde nel grafico) rispetto alle corrispondenti Diossine (in blu nel grafico). I campionamenti dei suoli hanno confermato il modello concettuale secondo cui l’inquinamento è stato portato dalle rog-

Figura 8. Profilo di concentrazione dei singoli congeneri di PCB (% di peso sul totale - con * sono indicati i PCB diossina-simili)

ge, con il probabile mescolamento tra il reticolo minore e quello che riceveva storicamente gli scarichi della Caffaro. Infine sono previste ulteriori elaborazioni dell’enorme mole di dati ricavati concernenti le indagini sui suoli, sui sedimenti delle rogge, sulle acque superficiali e sui terreni limitrofi alle rogge. Tali risultati permetteranno un’ulteriore conferma del modello concettuale di diffusione della contaminazione e consentiranno nuove valutazioni relative alla problematica studiata, permettendo il giudizio su possibili tecniche di bonifica. Ulteriori approfondimenti sul sito www. arpalombardia.it (area ex-Caffaro). *Arpa Lombardia, Dipartimento di Brescia

BIBLIOGRAFIA

[1] ARPA Lombardia - Dipartimento di Brescia (2002). Piano di integrazione e approfondimento delle indagini sullo stato del suolo, sottosuolo, falde idriche e acque superficiali nella porzione sud occidentale del comune di Brescia in un intorno significativo dello stabilimento Caffaro S.p.A., ARPA Lombardia Dipartimento di Brescia. [2] Calace N., Fratini M., Guerra M., Pascarella F., Zampetti F.(2006). Manuale APAT per le indagini ambientali nei siti contaminati, 43/2006. [3] Kieth L.H. (1996). Principles of Environmental Sampling, ASC Professional Reference, American Chemical Society, Washington D.C. [4] Ministro per le Politiche Agricole (1999). D.M. 13/09/1999 - Approvazione dei Metodi ufficiali di analisi chimica del suolo, Gazz. Uff. Suppl. Ordin. n.° 248 del 21/10/1999. [5] Oneda G.P., Dalmiglio A. (2006). Caratterizzazione dei suoli agricoli a sud del quartiere Chiesanuova, ARPA Lombardia Dipartimento di Brescia. [6] Oneda G.P., Dalmiglio A., Berna V., Filini L. (2005). Relazione sulle indagini di caratterizzazione dei suoli del sito nazionale “Brescia – Caffaro”, ARPA Lombardia Dipartimento di Brescia. [7] Ruzzenenti M. (2001). Un secolo di cloro e…PCB, Storia delle Industrie Caffaro di Brescia, Ed. Jaka Book SpA, Milano. [8] Scaglia M., Bernardello M., Scolari S., Rinaldi P., Cividati M., Volante M., Muchetti S. (2014). Determinazione di PCB nei siti contaminati: approccio comparato GC\MS in alta e bassa risoluzione, atti del XXXIV Congresso nazionale UN.I.D.E.A. – Rimini 8-9 maggio 2014.

Figura 9. Profilo di concentrazione dei singoli congeneri di PCDD-PCDF (% di peso sul totale)

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50 anni di conferme tinte di arancione Grande festa in Germania per i primi 50 anni del marchio Doppstadt in compagnia dI Cesaro Mac Import di Laura Veneri

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n’organizzazione impeccabile ha accompagnato i festeggiamenti per celebrare i 50 anni di attività del marchio Doppstadt: oltre 1.500 persone al giorno per tre giorni consecutivi hanno potuto visitare lo stabilimento di Calbe, vedere le

macchine al lavoro e festeggiare con la famiglia Doppstadt. Il gruppo italiano, poco meno di un centinaio tra amici, clienti e stampa tecnica ospiti della Cesaro Mac Import, è partito con un aereo privato alla volta dello stabilimento tedesco Doppstadt di Calbe,

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dove ha potuto prendere parte ai festeggiamenti.

Passato e presente della famiglia Doppstadt

Alla cena di gala, allietata da spettacoli di danza e corpo libero eccelsi, i padro-

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S PE C I A L E

ni di casa hanno ringraziato gli invitati e presentato i dealer provenienti da ogni parte del mondo. Ferdinand e Josef Doppstadt hanno ripercorso i successi familiari, presentando attraverso immagini e video la loro storia dalla nascita ai recenti successi. Era il 1965 quando i fratelli Werner (padre dell’attuale amministratore delegato Ferdinand), Josef (mente creativa dell’azienda) ed Hedwig Doppstadt intrapresero la loro attività nel settore agricolo e iniziarono a produrre i primi macchinari. Nel 1970 Werner Doppstadt creò e perfezionò il primo PUMA (Putzmaschine, ossia macchina che pulisce) dando il via alla scalata dell’azienda nel settore dell’ecologia. Oggi l’azienda dispone di impianti di produzione in varie parti del mondo e, grazie alla sua rete di distributori e partner, serve clienti in oltre 40 paesi al mondo. “WE CARE - Fit for Future” è il nuovo motto dell’azienda. Per

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chiarire meglio il significato del nuovo slogan aziendale, Ferdinand ha affermato: “Siamo sia leader tecnologici che pionieri ambientali. Siamo sulla buona strada per essere fornitori completi in grado di offrire la tecnologia appropriata per ogni sfida ambientale nei mercati di riferimento. O, se necessario, possiamo inventare e sviluppare nuovi prodotti per partner e clienti”. L’attenzione al futuro e l’adattamento, inteso come necessità di mettersi in gioco per concepire nuove tecnologie e non rimanere ancorati al passato è quindi per l’azienda un punto fermo nei piani di sviluppo futuri.

L’esposizione e lo stabilimento di Calbe

Calbe è lo stabilimento Doppstadt che ha ospitato l’esposizione. Un’area di circa 220.000 m2 è stata attrezzata per la grande esibizione: la visione di macchine all’aperto e al coperto, in

funzione o ferme, ma soprattutto la visita guidata allo stabilimento hanno permesso di conoscere più da vicino la tecnologia tedesca all’avanguardia nel settore. Hard Noflatscher, direttore dello stabilimento, ha accompagnato il gruppo italiano nella visita allo stabilimento che guida da inizio anno. I clienti hanno seguito un percorso che li ha accompagnati a osservare tutto il processo di produzione e assemblaggio delle macchine. Grande cura e attenzione in ogni reparto permettono di ottenere i macchinari finiti che tutti conosciamo. La visita all’interno dello stabilimento ha seguito la linea della produzione, prendendo il via dal magazzino delle materie prime, passando dalla produzione delle lamiere, attraverso il reparto dei semilavorati e della lavorazione dell’acciaio, percorrendo in


seguito i reparti della saldatura e della fresatura, che vanta macchinari di ultima generazione, per arrivare infine al montaggio, alla verniciatura e al magazzino ricambi. Lo stabilimento di Calbe è attualmente in fase di modernizzazione e sono in atto trasferimenti di reparti all’interno dello stesso che permetteranno ottimizzazioni logistiche e nuovi standard di produzione. Ad oggi sono necessari circa 2 mesi per avere una macchina pronta per essere consegnata. Tuttavia i tempi di consegna dalla data dell’ordine variano da 4 a 6 mesi. Per questo motivo Cesaro Mac Import ordina le macchine prima di venderle, al fine di avere a disposizione macchine in pronta consegna riducendo così i tempi di approvvigionamento. “Attualmente - ci spiega Noflatscher -

montiamo circa 40 macchine al mese grazie alle 8 postazioni di cui disponiamo. Ma stiamo studiando un nuovo sistema di montaggio che ci permetterà di incrementare molto la nostra produzione, arrivando a 14 postazioni di montaggio per raggiungere le 600 macchine finite all’anno”. Hard Noflatscher ci illustra inoltre che ogni stabilimento Doppstadt è dedicato alla produzione di una definita tipologia di macchine: a Calbe si producono le macchine mobili, a Velbert si realizzano le macchine fisse a motori elettrici e a Wülfrath c’è uno stabilimento che segue la manutenzione e i pezzi di ricambio. In occasione dell’esposizione, oltre 100 macchine sono state messe in esposizione per la visione. Di queste,

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più della metà è stata vista in azione in un’area demo dedicata. Grazie alle dimostrazioni dal vivo, accompagnate da una puntuale descrizione tecnica delle macchine, i visitatori hanno potuto vedere all’opera le ultime novità tra cippatori, vagli e frantumatori. Tra i cippatori, è stato possibile ammirare le nuove versioni del DH 812 e del DH 910 E (elettrico) e il nuovo DH 910 Super Panter, dotato di motore Volvo. Tra le novità dei vagli serie SM abbiamo osservato il SM 518 Plus che è dotato di un sistema di rotazione del tamburo ammortizzato che lo rende particolarmente silenzioso e il SM 620 Plus disponibile dal prossimo anno. Tra i pre-trituratori per la frantumazione grossolana di rifiuti organici, ri-

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S PE C I A L E

fiuti industriali, scarti di legno e rifiuti da costruzione e demolizione, il nuovo DW 308 Rhino impone nuovi standard di efficienza. Il nuovo AK 560 BIO POWER, in mostra nell’area demo e disponibile dal 2016, è il perfezionamento della già testata tecnologia della serie AK. Durante la festa, inoltre, è stato possibile vedere all’opera la nuova tecnologia brevettata Splitter. Frutto dell’accordo di collaborazione tra Doppstadt e Gunther Gmbh, la tecnologia di vagliatura Splitter è composta da diversi alberi a spirale rotanti paralleli che permettono la separazione di differenti materiali (fino a quattro flussi) in un’unica selezione. Anche i materiali più difficili possono essere separati con precisione garantendo così una resa ottimale della materia prima. La nuova tecnologia trova applicazione in più modelli di macchine Doppstadt. In esposizione anche il Tiger HS 640, il separatore della Cesaro Mac Import che divide la frazione organica dalle confezioni su diverse tipologie di rifiuti alimentari e trova applicazione in impianti di biogas e compostaggio.

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INTERVISTA a FERDINAND DOPPSTADT AMMINISTRATORE DELEGATO di doppstadt Doppstadt è un’azienda familiare fondata nel 1965. È presente in oltre 40 paesi nel mondo e ha uffici a Velbert, Wülfrath e Calbe, Wilsdruff, Vienna, Bethesda (Maryland) e Washington. Oggi è guidata dalla seconda generazione e precisamente da Ferdinand Doppstadt, figlio del pioniere Werner, che dirige il gruppo internazionale di circa 700 dipendenti assieme al suo staff esecutivo. In occasione delle celebrazioni dei 50 anni, abbiamo avuto il piacere di poter intervistare Ferdinand Doppstadt, che ci ha gentilmente dedicato parte del suo tempo.

Dottor Doppstadt, ci può descrivere cosa significa essere a capo di un’azienda di famiglia che è diventata un gruppo apprezzato e conosciuto in tutto il mondo? Posso dirvi che la nostra storia è caratterizzata da momenti molto belli, ma anche da momenti di difficoltà, ma nonostante tutto siamo riusciti a realizzare quello che oggi è sotto gli occhi di tutti: siamo un gruppo affiatato e soprattutto ci divertiamo a fare il nostro lavoro. La nostra filosofia di lavoro è considerare i nostri dealer non come distributori dei nostri prodotti, ma come partner di un’avventura commerciale: ci deve essere una fiducia reciproca e una collaborazione continua e costante attraverso la quale miglioriamo i prodotti e la gamma.

Il mondo oggi cresce rapidamente, la popolazione aumenta e con essa i consumi. La vostra azienda come sta affrontando questi problemi legati alla rapida crescita di quantità di rifiuti da trattare?

Le sfide ecologiche del 21° secolo sono proprio quelle di far fronte ad un mondo sempre più caotico che cresce ad un ritmo insostenibile. Vogliamo soddisfare le richieste sempre più esigenti del business e dei nostri partner e clienti con prodotti e metodi che sono tecnologicamente all’avanguardia, ecologici ed economicamente efficienti. A tal fine, le nostre soluzioni devono essere flessibili e mutevoli, devono poter interagire e consentire allo stesso tempo processi di trattamento indipendenti. In breve: devono essere innovative, intelligenti e si devono poter adattare. Insieme ai nostri partner e clienti riusciamo a stabilire nuovi standard nella tecnologia ambientale. Molto spesso le nostre soluzioni rivoluzionano gli standard tecnologici ed ecologici prevalenti e questo ci rende molto orgogliosi.

Può descriverci il rapporto che vi lega alla Cesaro Mac Import, il vostro dealer italiano?

Ci lega un rapporto di lavoro ma anche una profonda amicizia. La Cesaro, come la Doppstadt, è guidata ora dalla seconda generazione e anche questo ci accomuna. Lavoriamo insieme per cercare di capire che trend seguirà il mercato italiano del futuro, per cui ora stiamo lavorando congiuntamente soprattutto nel settore delle energie rinnovabili e del recupero energetico dei rifiuti: non si rimane fermi ma si lavora sempre investendo nel domani.

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PA NOR AMA

A Z I E N DE

Specialisti della filtrazione Filtri adatti ad ogni situazione grazie all’esperienza trentennale e multisettoriale di incofin di Maria Beatrice Celino

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a quando è nata, nel 1982, Incofin ha costantemente sviluppato ed incrementato la propria offerta di prodotti estendendosi a tutte le applicazioni industriali, nautiche e veicolari ed arricchendo costantemente la propria gamma con filtri avvitabili e ad immersione per le diverse applicazioni: gasolio, olio, olio idraulico, aria, separatori aria-olio, depolverizzatori, filtri per colonnine di carburante, per compressori, etc. Per conoscere meglio questa realtà e avere una panoramica dei prodotti dedicati alle attività eseguite all’interno di contesti con presenza di inquinanti o con problematiche legate alla sicurezza e alla salute degli operatori, abbiamo intervistato Fabrizio Zaninello, Responsabile Vendite Incofin. Chi è Incofin e in che contesto opera? Incofin è un’azienda attiva da più di trent’anni nel settore della filtrazione, porta in dote una conoscenza, un know how e un’esperienza abbastanza importante legata a questo settore. Il nostro focus storico è la filtrazione motore, ma ciò non toglie che abbiamo sviluppato anche altri ambienti di utilizzo dei filtri. Incofin è mandataria in esclusiva di alcuni brand molto importanti e specifici nel settore della filtrazione; un esempio è rappresentato da Racor, un brand di Parker Hannifin. Inoltre è esclusivista anche di un altro tipo di prodotto, inerente ai filtri ma che si lega bene al nostro mercato, che sono le molle a gas Stabilus. In più, da un paio d’anni, abbiamo introdotto delle applicazioni per gli automezzi, i veicoli, e in genere tutti i

macchinari che lavorano all’interno di ambienti piuttosto inquinati con problematiche legate alla salute e alla sicurezza del personale che lavora sulle macchine: si tratta di sistemi di pres-

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surizzazione e filtrazione delle cabine, chiamate Brofil. Brofil è un prodotto che arriva dai Paesi Bassi, dove la legislazione è piuttosto severa e puntuale in fatto di sicu-

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P A NO R A M A

A ZIEND E

rezza e salvaguardia della salute negli ambienti di lavoro, e specificatamente quando si parla di operatori all’interno dei mezzi d’opera. Questo ha portato a creare dei sistemi che noi proponiamo al mercato italiano, che sono appunto dei gruppi di pressurizzazione e filtrazione da installare su mezzi come pale, escavatori, muletti, autocarri, gru e tutto ciò che può stare in un ambiente inquinato e che ha una cabina dentro la quale l’operatore deve respirare aria pulita. Questo principio viene soddisfatto attraverso due soluzioni: la pressurizzazione della cabina e la filtrazione con

particolari tipologie di filtri, filtri-polveri di tipo assoluto oppure carboni attivi per l’abbattimento di gas e tutto ciò che è inquinante. I sistemi hanno un’adattabilità e una flessibilità estrema e sono quindi replicabili su tutti i mezzi esistenti. La varietà di tipologie di filtrazione ci permette di coprire una gamma di sostanze tossiche e inquinanti estremamente ampia. Ci può fare un esempio di cantieri di bonifica in cui sono stati impiegati i vostri sistemi di filtrazione? Nel settore delle costruzioni e delle bo-

Alliance Port Service Alliance Port Service nasce nel 2005 come società di servizi ed assistenza tecnica per i mezzi e le attrezzature portuali. La sede aziendale, ubicata all’interno del porto di Ravenna, è strutturata per divisioni quali: reparto gru mobili, macchine movimento terra, attrezzature ed impianti, revisioni speciali e ricambi oltre al reparto formazione, ispezioni e verifiche. Ivan Gardellini, Coordinatore responsabile Alliance Port Service, ci ha dato il suo punto di vista sulla collaborazione con Incofin. Come l’incontro con BROFIL costituisce un plusvalore alle vostre attività dedicate all’attenzione per l’ambiente e la sicurezza? L’attenzione ai valori della sicurezza sul lavoro e il rispetto dell’ambiente sono i fondamenti sui quali si basa l’attività e la politica aziendale di Alliance Port Service. Pertanto è importante che accanto alla formazione e all’informazione dei lavoratori, vengano mantenuti ed implementati gli standard di sicurezza raggiunti attraverso la ricerca continua e l’adozione di soluzioni tecniche all’avanguardia, come i sistemi di filtrazione e pressurizzazione cabine BROFIL, recentemente installati su macchine operanti in ambito portuale. Come le vostre aspettative hanno trovato risposta con questa soluzione? Nell’ottica di garantire la massima professionalità tecnica e disponibilità nei confronti del Cliente, Alliance Port Service ha collaborato con la 3BTechnology, la quale, grazie all’esperienza e alla qualità dei prodotti offerti, ha contribuito al miglioramento delle condizioni lavorative degli operatori, minimizzando l’esposizione a sostanze pericolose per la salute eventualmente presenti nell’ambiente circostante e garantendo un monitoraggio continuo della situazione ambientale.

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nifiche abbiamo avuto esperienza, lo scorso anno, con un’azienda satellite del gruppo Salini Impregilo, la CMT Copenaghen Metro Team - che sta effettuando i lavori di ampliamento della metropolitana di Copenaghen. Nel suolo che stanno scavando hanno trovato alcuni gas particolarmente nocivi, ma grazie alla conoscenza che avevamo di Salini Impregilo abbiamo potuto fornirgli la consulenza necessaria per trovare la giusta soluzione per la filtrazione dei mezzi. Un altro tipo di applicazione nel settore bonifiche è rappresentato dalla costruzione dell’alta velocità Milano-Genova, da parte del Consorzio COCIV: buona parte dell’area interessata è compromessa dalla presenza di amianto e indirettamente, attraverso i costruttori e i fornitori dei mezzi operativi, siamo arrivati a fornire una serie di impianti per la filtrazione delle fibre di amianto. Siete stati impegnati anche nel settore siderurgico. Cosa può dirmi a proposito? Uno dei più importanti stabilimenti italiani da anni presentava problematiche legate alla salubrità dell’ambiente lavorativo, poiché lo sfiato del camino di decapaggio dell’acciaio era posto alla stessa altezza delle gru utilizzate per lo scarico dei materiali dalle navi, causando un’aspirazione di acido cloridrico all’interno dell’abitacolo in cui opera l’operatore della gru. Inizialmente, insieme al produttore della gru Liebherr, avevano ricercato una soluzione di pressurizzazione della colonna d’ingresso del macchinario, ma l’impegno economico risultava troppo elevato. Quindi con la nostra consulenza, attraverso la collaborazione con 3B Technology, azienda di Ravenna introdotta nel settore, ed Alliance Port Service (assistenza Liebherr Cranes) abbiamo testato per un anno il sistema Brofil su una delle gru interessate da questa problematica e possiamo dire che dopo questo periodo di test gli operatori e il Responsabile Salute, Sicurezza e Ambiente hanno deciso di completare l’allestimento di tutte le gru presenti, per un totale di quattro gru Liebherr allestite con i sistemi Brofil.


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INIEZIONE DI OSSIGENO PER IL RISANAMENTO DELLE ACQUE SOTTERRANEE I Risultati della prima fase di bonifica di un punto vendita carburanti mediante sistema di micro diffusione di ossigeno puro in falda di M. Peroni*, E. Pasinetti* E G. Bissolotti*, M. Paolucci**, M. Benedettini**, C.Balducci** e G. Minarini**

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’inquinamento degli acquiferi nel sottosuolo delle stazioni di rifornimento carburante rappresenta un annoso problema per l’ambiente. Nel presente articolo vengono descritte le attività eseguite per il risanamento di un tipico sito impattato da idrocarburi mediante una tecnologia innovativa come la micro diffusione di ossigeno puro. La tecnologia di micro diffusione di ossigeno rientra nelle tecnologie di bioremediation degli acquiferi contaminati. Tale tecnologia ha assistito ad una recente affermazione nelle applicazioni a scala reale, a riprova della sua efficacia e competitività grazie al suo minimo ingombro ed agli efficaci risultati ottenuti. Essa consiste nell’utilizzare un sistema di micro diffusione di ossigeno gassoso nelle acque di falda al fine di stimolare e velocizzare i processi di biodegradazione aerobica naturalmente presenti in sito. L’impiego di ossigeno puro, trasferito in falda mediante membrane microporose, consente di raggiungere nei punti di iniezione concentrazioni di ossigeno fino a valori di 30-50 mgO2/l stimolando così l’attività della microflora autoctona per la degradazione dei contaminanti disciolti. L’ossigeno, iniettato secondo flussi molto ridotti dell’ordine di 0,6-1 Nl/h, rende trascurabili gli effetti di volatilizzazione dei contaminati ed elimina la produzione di rifiuti. I flussi ridotti ren-

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dono l’installazione molto compatta e compatibile all’impiego in siti operativi.

DESCRIZIONE DEL SITO Caratterizzazione idrogeologica

Il sito in esame è un punto vendita carburanti in attività, che si estende in tratto morfologicamente pianeggiante in un’area caratterizzata dalla presenza di attività commerciali e residenziali. Le indagini ambientali svolte in sito hanno permesso di ricostruire la stratigrafia del sottosuolo del sito che al di sotto del terreno rimaneggiato di tipo antropico presenta alternanze di limi sabbiosi, sabbie e limi argillosi. Per quanto riguarda l’idrogeologia del sito le rilevazioni freatimetriche hanno evidenziato la presenza di una falda superficiale che si attesta ad una profondità media di circa 2,4 m e che non ha una direzione ben univoca. Prove idrauliche eseguite in sito hanno mostrato una permeabilità di questo acquifero pari a circa 10-6 cm/s. Le acque sotterranee descrivono complessivamente una situazione di attività di biodegradazione dei contaminanti potenzialmente accelerabile mediante l’impiego della tecnica di ossigenazione delle acque sotterranee.

della zona satura non impattante la parte insatura. In particolare, relativamente all’acquifero, il sito risultava essere impattato da una contaminazione di natura idrocarburica, riscontrando superamenti diffusi dei limiti di accettabilità in acqua di falda per idrocarburi totali, composti aromatici, MtBE ed EtBE. Si evidenzia come, prima dell’intervento di bonifica, le concentrazioni di idrocarburi totali si attestassero su concentrazioni dell’ordine di 500-25.000 μg/l, prevalentemente costituiti dalla frazione pesante. Per quanto riguarda gli idrocarburi aromatici le concentrazioni si dimostravano dell’ordine di 100-1.000 μg/l, con punte

Caratterizzazione contaminazione

Il sito in esame risulta essere caratterizzato da una contaminazione diffusa

Figura 1. Planimetria del sito con la distribuzione della contaminazione


di 230 μg/l di Benzene, 75 μg/l di Toluene, 180 μg/l di Etilbenzene e 450 μg/l di p-Xilene. L’acquifero infine evidenziava il superamento dei limiti fissati (10 μg/l) per MtBE ed EtBE in quasi tutti i punti di monitoraggio, con concentrazioni di 40-300 μg/l di MtBE e di 40-500 μg/l di EtBE. In Figua 1 si riporta la planimetria del sito con l’indicazione della distribuzione della contaminazione.

INSTALLAZIONE DEL SISTEMA DI BONIFICA Perforazioni propedeutiche all’installazione del sistema di bonifica

L’installazione dei punti di micro diffusione di ossigeno è avvenuta sia in piezometri già esistenti che in piezometri realizzati con diametro di 4”, diametro più consono alla funzionalità del sistema, e spinti fino ad una profondità di circa 6 metri ubicati sulla base dell’estensione della contaminazione rilevata in sito.

Installazione del sistema di microdiffusione di ossigeno puro (GROUND BIO2®)

L’intervento di bonifica mediante il sistema GROUND BIO2® ha previsto l’iniezione di ossigeno puro in 20 piezometri fenestrati nella zona satura. L’insufflazione di ossigeno avviene mediante diffusori microporosi posizionati sul fondo dei piezometri. I 20 diffusori risultano essere collegati mediante una rete di distribuzione ad un unico punto di stoccaggio-alimentazione di ossigeno puro (configurazione a rastrelliera). Lo stoccaggio di ossigeno puro è costituito da un pacco bombole da 16 bombole. Il flusso di gas viene regolato mediante dispositivi di regolazione automatica installati in un quadro di controllo principale posizionato in corrispondenza del pacco bombole. I 20 punti di iniezione sono stati suddivisi in 4 linee di alimentazione, ciascuna fornita di proprio dispositivo di controllo del flusso principale. In Figura 2 si riporta la planimetria del sito con il dettaglio dei punti di iniezione e delle 4 linee di distribuzione dell’ossigeno. In corrispondenza di ogni testa-

Figura 2. Planimetria del sito con dettaglio punti di iniezione ossigeno suddivisi nelle 4 linee di distribuzione del gas

pozzo è installata un valvola di regolazione secondaria in grado di derivare dal flusso principale una portata dell’ordine di 0,6-1,0 Nl/h di ossigeno. Complessivamente il sito viene alimentato con un flusso dell’ordine di circa 500 Nl/d di ossigeno. Tali flussi consentono di avere un’autonomia del pacco bombole dell’ordine di 10 mesi. Si evidenzia come l’installazione sia molto compatta, con un ingombro fuori terra

dato dal pacco bombole e dal quadro di regolazione, entrambi posizionati in apposito box di contenimento di dimensioni di 1,5 x1,5 x h 2,5 m. Le linee di distribuzione in uscita dal quadro di regolazione, realizzate in materiale polimerico flessibile con diametro di 6 mm, risultano essere interamente alloggiate in tracce interrate. L’installazione e avviamento del sistema GROUND BIO2® ha richiesto circa un paio di giorni di attività, per l’installazione del pacco bombole e del quadro di regolazione, la stesura e collegamento delle linee di distribuzione, l’allestimento delle teste pozzo, la calata dei diffusori e la regolazione/calibrazione dei flussi. Il sistema di bonifica è stato avviato ad inizio giugno 2014 ed attualmente è in funzione in sito operativo.

RISULTATI CONSEGUITI Contaminanti specifici

Figura 3. Installazione GROUND BIO2®: box contenente il pacco bombole ossigeno e il quadro di regolazione e dettaglio allestimento testa pozzo

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Dopo circa un anno dall’avviamento del sistema di micro diffusione di ossigeno in falda, l’effetto di risanamento del sito risulta evidente, riscontrando la riduzione significativa del contenuto dei diversi contaminanti. Nei grafici in Figura 4 si riporta l’andamento delle diverse specie contaminanti nel tempo. Dai grafici si evince come dopo l’avviamento del sistema di bonifica si sia registrato l’abbattimento del contenuto degli idrocarburi totali, fino al raggiungimento del rispetto dei limiti di accettabilità in tutti i punti di monitoraggio già dopo 2 mesi di funzionamento. Anche per i composti monoaromatici si registra una sen-

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Figura 4. Andamento dei contaminanti specifici durante l’attività di bonifica. Dall’alto a sinistra in senso orario: idrocarburi totali, BTEX, EtBE e MtBE

sibile riduzione, raggiungendo il rispetto dei limiti di accettabilità in tutti i punti di monitoraggio per Toluene, p-Xilene ed Etilbenzene. Per il Benzene, le rese di abbattimento hanno raggiunto valori superiori al 90%, determinando in molti punti il rispetto dei limiti di accettabilità. In alcuni punti si riscontrano ancora residui dell’ordine di 2-30 μg/I. Si ritiene che il proseguo dell’attività di bonifica, stimata da pogetto in 36 mesi, consentirà di raggiungere l’abbattimento del Benzene in tutti i punti presumibilmente in anticipo rispetto quanto previsto. Rispetto al contenuto di MtBE e EtBE, si riscontra un andamento diversificato nei vari punti di monitoraggio, evidenziandone sensibili riduzioni in alcuni punti e persistenza in altri. In generale si riscontra una tendenza in diminuzione e anche per tali composti. Si ritiene che il proseguimento dell’attività di bonifica consentirà di raggiungere gli obiettivi di risanamento nel rispetto dei termini previsti da progetto.

Parametri idrochimici

In merito ai parametri idrochimici si evidenzia come rispetto ai valori originari

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cibilità nel corso delle attività di bonifica del sito, a seguito dell’avviamento del non si rilevano variazioni significative. In sistema di micro diffusione di ossigeno particolare il valore di pH è oscillato tra puro si sia riscontrato un significativo incremento dell’ossigeno disciolto in falda e del potenziale redox. In particolare l’ossigeno disciolto da valori iniziali prossimi a zero, ha raggiunto valori dell’ordine di 10-40 mgO2/l, mentre il potenziale redox da valori di -50/-150mV ha raggiunto in tutti i punti tranne uno (MW5) valori positivi di +50/+150 mV, evidenziando punte anche di +300 mV. Nei grafici a seguire si riportano gli andamenti di ossigeno disciolto e potenziale redox, riscontrati prima e durante l’attività di bonifica. Relativamente ai pa- Figura 5. Andamento dell’ossigeno disciolto e del potenziale redox prima e durante rametri di pH e condu- l’attività di bonifica.


valori di 6,8 e 7,1 unità in tutto il sito mentre il valore di conducibilità si è attestato su valori dell’ordine di 1,1-1,2 mS/cm. Per la temperatura si riscontrano valori dell’ordine di 15-19°C in funzione della stagione.

Analisi microbiologiche

Le attività di bonifica hanno previsto il monitoraggio nel tempo di alcuni parametri microbiologici ed in particolare delle conte batteriche aerobiche a 22°C e a 36°C e le conte dei batteri MtBE ossidanti. Nei grafici di Figura 6 si riporta l’andamento delle conte batteriche medie del sito riscontrate in corrispondenza delle diverse campagne analitiche. Dall’analisi dei dati si evidenzia come il sito dimostri un valore iniziale di 104 UFC/ml per le conte batteriche totali aerobiche a 22°C e 36°C e di circa 103 MPN/ml per i batteri MtBE ossidanti. Tali valori risultano essere tipici di un sito contaminato. A seguito dell’avviamento del sistema di bonifica mediante micro diffusione di ossigeno puro, si riscontra un incremento delle conte batteriche aerobiche di circa un ordine di grandezza. In particolare tale incremento si è mantenuto per circa 6 mesi per le conte a 22°C ad indicazione dell’instaurarsi di processi degradativi ad opera di specie ambientali autoctone. Nelle ultime due campagne si osserva un trend in lieve diminuzione anche per le conte aerobiche a 22°C, ad indicazione della graduale riduzione dei substrati organici disponibili all’attività batterica. Le conte batteriche a 36°C non evidenziano significative variazioni temporali a meno di un lieve incremento al primo campionamento a seguito dell’avvio delle attività di bonifica. In merito alle specie MtBE ossidanti si riscontra come queste si siano mantenute su valori dell’ordine di 103 MPN/ml per tutto il periodo in esame. Nell’ultima campagna analitica si evidenzia una lieve riduzione.

CONCLUSIONI

Nel presente lavoro si sono esposti i risultati ottenuti nella prima fase di bonifica di un punto vendita carburanti mediante sistema GROUND BIO2® di

micro diffusione di ossigeno puro in falda. Il sito risultava impattato nella zona satura da idrocarburi totali (500-25.000 μg/l), BTEX (100-1000 μg/l), MtBE (40-300 μg/l) e EtBE (40-500 μg/l). La bonifica ha previsto l’installazione di un sistema di iniezione in 20 punti, secondo una configurazione a rastrelliera con un unico punto di stoccaggio/alimentazione di ossigeno puro. Dopo un anno di esercizio, l’attività di bonifica ha consentito di abbattere entro i limiti di accettabilità idrocarburi totali, Toluene, Etilbenzene e p-Xilene. Per il Benzene si osserva una rimozione superiore al 90%, per MtBE ed EtBE si rileva un generale trend di decrescita. Figura 6. Andamento delle conte batteriche aerobiche a 22°C e 36°C (sopra) e Il monitoraggio dei parame- dei batteri MtBE ossidanti (sotto). Conte batteriche medie del sito riscontrate in tri idrochimici danno ripro- corrispondenza delle campagne analitiche. va dell’incremento dell’ossigeno disciolto in falda da valori iniziali prossimi a zero a valori di 10-40 mgO2/l BIBLIOGRAFIA e dell’aumento del potenziale redox da [1] Di Nauta S., Pagliarani V., Passarino S., valori iniziali negativi a valori positivi di Bissolotti G., Pasinetti E., Peroni M., Ferraro P., Mancini M. - Bonifica di un acquifero +50/+150 mV. contaminato da idrocarburi mediante microLe analisi microbiologiche avvalorano diffusione di ossigeno puro - SICON 2010, l’instaurarsi dei processi di bioremediaBrescia, Italy. tion evidenziando, a seguito dell’avvia[2] Bissolotti G., Pasinetti E., Peroni M., Di mento del sistema di iniezione di ossigeNauta S., Pagliarani V.,Montanari A. – Pure no, la crescita di un ordine di grandezza oxygen microdiffusion in ground water, a case delle conte batteriche autoctone di origihistory – SIDISA, Milano 2012 ne ambientale. [3] D’Anna A., Gigliuto A., Vaccari R., BissoComplessivamente, le indagini eseguite lotti G., Pasinetti E., Peroni M. - Rimozione della contaminazione da idrocarburi in falda dall’installazione del sistema di micro con sistema di microiniezione di ossigeno diffusione di ossigeno puro ad oggi, dopo puro GROUND BIO2® - SICON 2014, Brescia, un anno di esercizio, hanno mostrato un Italy generale decremento delle concentra[4] D’Anna A., Gigliuto A., Vaccari R., Biszioni degli inquinanti sito sito-specifici, solotti G., Pasinetti E., Peroni M. - Bioremecon risultati apprezzabili. Tali evidendaition con microiniezione di ossigeno puro ze dimostrano l’efficacia del sistema di (GROUND BIO2®) in falda: un caso di studio. micro diffusione di ossigeno per il risaIngegneria dell’Ambiente, Vol.2, N.1, 2015. namento di siti impattati da composti di [5] D’Anna A., Brutti R., Gigliuto A., Bissolotti G., Pasinetti E., Peroni M. - Micro-Bubbles natura idrocarburica e che ben si presta Oxygen Injection in Groundwater Contamia situazioni che richiedono di mantenere nated by Organic Biodegradable Compounds inalterata l’operatività del sito. and Metals – Batelle, Miami 2015. *SIAD S.p.A. ** PETROLTECNICA S.p.A.

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Il trattamento dei rifiuti a Bordeaux Visita all’impianto Astria di Bordeaux, città francese che sta vivendo un importante progetto di riqualificazione di Laura Veneri

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i stima che la popolazione mondiale nel 2050 raggiungerà i 9,6 miliardi di persone, di cui due terzi vivranno nelle città. L’urbanizzazione crescente e i cambiamenti demografici hanno bisogno di nuovi modelli di sviluppo sostenibile che prevedano una riduzione del consumo di risorse naturali, perché sempre più scarse. Suez Environnement, il gruppo francese leader nel trattamento e depurazione delle acque e nella gestione dei rifiuti, sta lavorando con la comunità di Bordeaux per creare una città nella città, Bordeaux-Euratlantique, che sia all’avanguardia in termini di sostenibilità ambientale ed economia circolare.

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Bordeaux è una città francese che conta poco più di 200.000 abitanti, ma la cui area metropolitana è la quarta più

popolosa della Francia e registra oltre 1.200.000 abitanti. La città sta vivendo uno sviluppo esponenziale ed entro il


2030, saranno costruiti un centro business e nuovi quartieri (uffici, retail e servizi governativi, così come 15.000 20.000 abitazioni). Suez Environnement ha assistito l’area metropolitana di Bordeaux in questo progetto di sfida strategica ed energetica, sia in termini di riqualificazione del quartiere e sia in termini di distribuzione di energia rinnovabile o di recupero e trattamento dei rifiuti all’interno della città. Gli esperti in rifiuti, riciclaggio e recupero di Suez hanno lavorato al progetto per cinque anni, tra il 2010 e il 2015, definendo diversi scenari di approvvigionamento energetico e lavorando ad un sistema di teleriscaldamento, che vede il fulcro nell’impianto di termovalorizzazione Astria. Astria non è solo un impianto per la produzione di energia da combustione dei rifiuti, ma è anche un centro di selezione e trattamento rifiuti moderno, che tratta ogni anno oltre 300.000 tonnellate di rifiuti. L’impianto Astria è dotato di un centro di selezione rifiuti e di un inceneritore in cui lavorano complessivamente 108 addetti. Tratta i rifiuti di origine domestica da raccolta differenziata porta a porta e i rifiuti delle attività industriali dell’area metropolitana di Bordeaux. I rifiuti da raccolta differenziata che arrivano all’impianto vengono inviati nell’impianto di selezione che provvede a smistarli ulteriormente in base alla tipologia. Mentre i rifiuti industriali e il residuo prodotto dai cittadini vengono convogliati nel termovalorizzatore per la produzione di energia. Nonostante l’impianto di selezione e trattamento sia stato inaugurato alla fine del 1997, vanta una tecnologia all’avanguardia ed è uno degli impianti più performanti della Francia. L’impianto è in grado di separare oltre 50.000 tonnellate all’anno di rifiuti. A valle della separazione automatizzata, 50 persone lavorano per ottenere materiale puro da poter essere reimmesso sul mercato. I rifiuti che non sono destinati a ritornare nuove materie prime, vengono avviati a combustione e consentono la produzione di energia elettrica necessaria per 70.000 abitanti e la riduzione del 98% del volume dei rifiuti.

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La realizzazione di due impianti pilota per il trattamento dei rifiuti e la bonifica Dalla collaborazione tra baioni e il dipartimento Dicatech del politecnico di bari nascono impianti innovativi che consentono il recupero di materia dai rifiuti di Milena Bianchi* e Michele Notarnicola**

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’identificazione, la caratterizzazione, la bonifica e il recupero di aree contaminate costituiscono oggi un problema ambientale di prioritaria importanza, sia a livello europeo sia a livello nazionale. Nei maggiori Paesi industrializzati il problema dei terreni contaminati si è evidenziato in tutta la sua gravità alla fine degli anni Settanta quando, a fronte di un diffuso risveglio della coscienza ambientale, si sono manifestati numerosi casi di grave inquinamento. Di conseguenza, in molti Paesi europei ove il territorio rappresenta una risorsa limitata, la presenza di aree industriali dismesse e degradate e di siti contaminati da di-

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scariche abusive, oltre a rappresentare un pericolo per l’ambiente, costituisce un danno economico. Negli ultimi anni, la crescente diffusione delle attività industriali dovuta alla domanda, sempre maggiore, di prodotti e servizi da parte dei Paesi Industrializzati, se da un lato ha permesso lo sviluppo economico, dall’altro ha determinato l’inquinamento delle aree di insediamento degli impianti. Col tempo, quindi, è cresciuta sempre di più la necessità sia di ridurre le emissioni solide/liquide/gassose degli impianti esistenti e di nuova costruzione, sia di riportare le condizioni fisico-chimiche dei siti inquinati a quelle originarie. La normativa vi-

gente, quindi, si basa su queste due strade: limitare le emissioni e gestire le bonifiche dei siti inquinati. In Italia la situazione su questo argomento è abbastanza impietosa, infatti da uno studio condotto nel 2014 da Legambiente sulle bonifiche dei SIN emerge la necessità di un forte cambiamento, addirittura una svolta. I Siti di Interesse Nazionale (SIN) da bonificare complessivamente istituiti in Italia dal Ministero dell’Ambiente sono 57, molti dei quali ancora attendono di essere sottoposti a verifiche e accertamenti della misura e dell’estensione territoriale dell’inquinamento. Inoltre, sulla base dei dati presenti nelle anagrafi


regionali, in Italia i siti potenzialmente inquinati ammontano a circa 15.000 di cui 4.300 già dichiarati contaminati. Anche la Commissione europea ha evidenziato la situazione critica del nostro Paese deferendo l’Italia alla Corte di Giustizia UE in data 24/10/2012. Sono ancora troppi i problemi che ancora oggi emergono in questo settore ma non ci si può rassegnare all’idea che nel nostro Paese non si possa fare quello che è stato realizzato con successo in altri Paesi industrializzati. Per questo concordiamo con la serie di proposte avanzate appunto da Legambiente per sbloccare l’ingessata situazione del risanamento ambientale, dette proposte prevedono di garantire maggiore trasparenza sul programma nazionale di bonifica, stabilizzare la normativa e approvare una direttiva europea sul suolo, rendere più conveniente l’applicazione delle tecnologie di bonifica in situ, potenziare il sistema dei controlli ambientali, introdurre i delitti ambientali nel codice penale, applicare il principio chi inquina paga anche all’interno del mondo industriale. “Come azienda privata costruttrice di macchine e impianti per il risanamento ambientale, riteniamo che sia fondamentale sostenere i progetti di ricerca e di sviluppo di oggi per quelle innovazioni tecnologiche che daranno vita a realtà concrete del domani” spiega Pietro Baioni, Amministratore Delegato Baioni. Innovazione nei processi e nei prodotti, ricerca, integrazione con le filiere locali e con le Università: questa è la strada intrapresa negli ultimi anni da Baioni per nobilitare e preservare il manifatturiero made in Italy dalle minacce di una globalizzazione dei mercati che non comprende più il modello novecentesco di produzione.La collaborazione di Baioni con il Dipartimento di Ingegneria Civile, Ambientale, del Territorio, Edile e di Chimica (DICATECh) del Politecnico di Bari nasce proprio da una forte spinta all’innovazione per la creazione di un intreccio fruttuoso tra competenze scientifiche, tecnologiche, progettuali e produttive con l’obiettivo di offrire uno strumento valido ed efficace ai tempi e costi delle bonifiche e soprattutto di rendere gestibili e fattibili le opere di bonifica di fronte a tanta

rigidità tecnica e amministrativa del Paese. “Ed è sulla base delle sinergie di diverse competenze professionali che possiamo oggi elaborare un’offerta completa relativa alle tematiche ambientali con particolare riferimento a contaminazione e protezione del suolo e acque inquinate”, conclude Baioni. Baioni Crushing Plants ha già sviluppato e realizzato in Italia diverse tipologie di impianti mirati al trattamento e al recupero dei rifiuti, l’azienda è tra le poche realtà in Italia a impegnarsi sia sul fronte progettuale sia su quello produttivo degli impianti di trattamento terreni e fanghi, offrendo soluzioni tecnologiche complete poichè, sfruttando la pluriennale esperienza maturata nel settore minerario, dispone pienamente del know-how tecnologico ed è in grado di garantire una corretta progettazione della linea in funzione delle caratteristiche dei terreni da bonificare, nonché supporto tecnologico e adeguata formazione del personale. Il DICATECh è nato, sulla scia della riforma universitaria, dalla fusione di diverse anime dell’Ingegneria Civile, Ambientale, dei Trasporti, Edile e di Chimica del Politecnico di Bari. Il nuovo Dipartimento, sin dall’inizio, ha perseguito un disegno unitario in grado di coagulare i numerosi gruppi di ricerca attivi e di indirizzare il lavoro dei ricercatori verso il raggiungimen-

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to di obiettivi condivisi, ed ha avviato in tale ottica diversi progetti di ricerca interdisciplinari in campo ambientale, con particolare riferimento alla gestione dei rifiuti, al trattamento delle acque reflue, alla bonifica dei siti contaminati. Nell’ambito del Progetto PON 00298 “Potenziamento delle strutture e delle dotazioni scientifiche e tecnologiche del Polo Scientifico Tecnologico Magna Grecia” del Politecnico di Bari, nel mese scorso sono stati avviati i due impianti pilota facenti parte del Lotto 1 e Lotto 2 dell’appalto pubblico, aggiudicati da Baioni, che prevedeva l’affidamento della fornitura e installazione di attrezzature e strumentazioni scientifiche e tecnologiche per il potenziamento del Laboratorio di Chimica e Tecnologia per la Tutela Ambientale, presso la ex Facoltà di Ingegneria di Taranto del Politecnico di Bari, e della Piattaforma Tecnologica Pilota (PTP), ubicata presso il depuratore municipale di Taranto Bellavista. In particolare, per il Lotto 1 era previsto un impianto pilota di inertizzazione di fanghi/terreni/rifiuti e per il Lotto 2 un impianto pilota di soil washing di fanghi/terreni contaminati.

Descrizione delle tipologie delle opere

Entrambi gli impianti pilota sono stati realizzati per migliorare specifiche

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competenze e servizi con partners industriali, Enti pubblici e privati locali, attraverso l’utilizzo come campo di prove (“test facility” secondo l’approccio americano) su diverse tipologie di fanghi/terreni/rifiuti. Ciascun impianto ha una capacità produttiva di circa 5 t/h ed è stato pensato, progettato e costruito sia per l’inertizzazione il trattamento dei rifiuti sia per la bonifica di terreni siti contaminati. In particolare l’impianto di inertizzazione Baioni è un impianto di trattamento rifiuti solidi, i quali, se provenienti da altri processi a monte quale la depurazione, sono carichi di inquinanti, pertanto l’obiettivo è quello di diminuire la possibilità di dispersione degli stessi e la pericolosità del rifiuto. Il trattamento di inertizzazione viene utilizzato per trattare i rifiuti pericolosi e non, nelle diverse forme, liquidi, fanghi, morchie, melme, solidi, singolarmente o in miscela tra loro. Lo scopo del trattamento è di modificare “fisicamente” e “chimicamente” le sostanze contenute nel rifiuto. La tecnica del Soil Washing invece consiste nel far circolare nel suolo acqua pura o additivata con solventi organici, tensioattivi, acidi o basici, allo scopo di desorbire dalla matrice del suolo una parte dell’inquinante in modo che passi in soluzione o sospensione.

Il processo di soil washing

Il materiale che arriva in big bags di circa 2 m³ viene scaricato nella tramoggia, da qui estratto tramite nastro al vaglio disidratatore dotato di pannelli in poliuretano con fori da 3 mm: il materiale mescolato ad acqua viene lavo-

rato, il +3 mm viene mandato a stoccaggio, mentre lo 0-3 mm cade nella prima metà della vasca grande. Una prima pompa rilancia al primo ciclone, posizionato sopra la cella d’attrizione. Il materiale ciclonato passa alla cella d’attrizione, dove viene mescolato con reagenti chimici e poi da questa passa nella cassa di stabilizzazione per mescolarsi con acqua pulita. Una seconda pompa spinge il materiale al secondo ciclone, posizionato sopra il vaglio, per il trattamento finale. La sabbia pulita 0-3 mm cade nella seconda metà del vaglio e viene disidratata, in seguito messa a stoccaggio. L’acqua in eccesso veicolata alla cassa di stabilizzazione è mandata a trattamento. Le fasi di lavoro più rilevanti dell’impianto sono: • ricezione materie prime, • vagliatura, • ciclonatura, • separazione da materiale contaminante.

Il processo di inertizzazione

L’inertizzazione permette di riclassificare il rifiuto, si può ottenere un inerte non più contaminato e pericoloso e pertanto cedibile come materia prima seconda oppure si destina alla successiva fase di smaltimento in discarica o di recupero. Il processo di trattamento che Baioni progetta è totalmente automatico, gestito da un sistema di controllo totale dell’impianto; la gestione e il monitoraggio avviene attraverso quadri elettrici di controllo con funzionalità touch screen. L’impianto pilota è stato progetta-

to e costruito per miscelare terreni contaminati con i necessari reagenti chimico-fisici, atti a ottenere la stabilizzazione-solidificazione del rifiuto. Le fasi di lavoro più rilevanti dell’impianto sono: • ricezione materie prime, • miscelazione dei materiali, • stoccaggio. Il cuore dell’impianto è rappresentato dal reattore-miscelatore tipo orizzontale cilindrico a vomeri, il cui albero e le pale sono state dimensionate per evitare qualsiasi tipo di bloccaggio del materiale e per lavorare ad alte temperature. L’insieme degli “additivi”, quali calce, cemento, catalizzatori e fanghi carbonatici aggiunti al materiale da trattare fornisce una grande quantità di energia in reazioni esotermiche durante il trattamento di rifiuti. Su entrambi gli impianti sono previste strumentazioni per la messa in sicurezza degli operatori, progettate e costruite in ottemperanza alle leggi vigenti e alle normative tecniche armonizzate UNI EN ISO 12100:2010 par. 6.3.5.6 e UNI EN 14122 -1/2/3.

Considerazioni finali

L’approccio che Baioni e l’Ateneo pugliese stanno adottando attraverso la creazione e la gestione dei due impianti pilota situati presso il depuratore municipale di Taranto è del tutto innovativo rispetto ad impianti analoghi che operano su rifiuti pericolosi. La gestione integrata dei flussi di materie e della qualità del prodotto finale è infatti appannaggio degli impianti che producono materie prime o prodotti finiti ma è, di fatto, una novità per gli impianti che si occupano della riduzione della pericolosità dei rifiuti o del loro recupero. L’obiettivo finale del lavoro svolto sarà la creazione di un sistema esperto che consenta di ottenere materiali inertizzati/decontaminati da recuperare o, in alternativa, da conferire in discarica, con qualità e sicurezza adeguati agli standard indicati dalla normativa europea, con costi compatibili con una sana gestione aziendale, nel pieno rispetto dell’ambiente. *Baioni Crushing Plants ** Politecnico di Bari

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L’impianto per il recupero dei rifiuti da spazzamento stradale di Terni Inaugurato il primo impianto industriale umbro per il trattamento dei rifiuti stradali che eviterà lo smaltimento in discarica di migliaia di tonnellate di rifiuti all’anno di Laura Veneri

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ra i rifiuti che si recuperano dallo spazzamento stradale può finire di tutto: dalle polveri ai mozziconi di sigaretta, dalle foglie ai fazzoletti di carta, dai residui oleosi degli autoveicoli alle lattine. Il rifiuto da spazzamento stradale è caratterizzato da una composizione eterogenea e variabile ed è costituito sia da frazione inorganica sia da frazione organica. Oggi sono disponibili solu-

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zioni impiantistiche (ancora poche in Italia) che riescono a recuperare questo genere di rifiuti e proprio a Terni, in Umbria, ne è stato inaugurato uno da pochi mesi. È Andrea Sabatini, Amministratore Delegato di R.M.T., Recupero Materiali Terni srl, che ci racconta perché è nato l’impianto: “Precedentemente i rifiuti raccolti dallo spazzamento delle strade finivano in discarica. D’ora in poi,

invece, si ricicleranno anche questi. Sembravano la cosa più inutile e ingombrante di questo mondo, inadatti persino all’inceneritore e destinati solo a riempire le discariche. Nella regione Umbria se ne raccolgono oltre 25.000 tonnellate all’anno e, come per magia, grazie ad un innovativo impianto, realizzato dalla R.M.T., queste tonnellate di rifiuti raccolti dalla pulizia stradale vengono trasformati in materiali edili come sabbia e ghiaia”. Sito nella zona industriale di Maratta a Terni, l’impianto è entrato in funzione nel mese di giugno ed è il primo impianto del genere del centro-sud d’Italia. L’impianto consente infatti il recupero di oltre il 70% del rifiuto in ingresso e avrà un bacino di utenza potenziale con un raggio di circa 300 km. L’investimento sostenuto dalla società per la sua realizzazione è stato di circa 3,5 ML €, non usufruendo di alcun finanziamento pubblico. “L’impianto – continua Sabatini - è costituito da un linea industriale che è in grado di trattare in completa automazione i rifiuti provenienti, oltre che dalla spazzatura delle strade, anche dalla pulizia delle caditoie e dall’eliminazione delle sabbie dei depuratori. I rifiuti vengono conferiti all’impianto da auto-


MILANO • 23-25 SETTEMBRE 2015

La fiera internazionaLe DeDiCata a ChimiCa, strumentazione, ControLLo Di proCesso, sistemi Di automazione e impiantistiCa per L’inDustria e i Laboratori

mezzi con cassoni che provvedono allo scarico nell’area adibita allo stoccaggio, successivamente la pala meccanica provvede ad alimentare una tramoggia di carico che dosa il rifiuto all’impianto, che esegue un trattamento in soil-washing. Oltre a caratterizzarsi per una notevole valenza ambientale, l’impianto attua i principi contenuti nelle direttive comunitarie, regionali e provinciali, prevedendo una riduzione del quantitativo di rifiuti da avviare in discarica e permettendo anche alle Pubbliche Amministrazioni di ridurre i costi di smaltimento e, contestualmente, contribuire al raggiungimento delle percentuali di recupero previste dalle normative vigenti per la raccolta differenziata”. A formare la R.M.T. sono quattro aziende umbre: Cosp Tecno Service, Csc Calcestruzzi, Morellino e All Foods. La società sta lavorando alacremente su più progetti e collaborazioni per il recupero e il corretto trattamento dei rifiuti ed ha anche depositato un brevetto PCT europeo, presso l’ufficio europeo brevetti di Monaco di Baviera, per il riciclo e la valorizzazione delle scorie di acciaieria.

organizzato da

in collaborazione con

in contemporanea con

www.chem-med.eu


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Falde inquinate: il campionamento passivo delle acque e i suoi vantaggi Il campionamento passivo delle acque sotterranee come alternativa alle tradizionali tecniche di spurgo e campionamento in modalità dinamica di Angiolo Calì*

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a caratterizzazione e il monitoraggio dei siti contaminati richiedono il prelievo di campioni rappresentativi della qualità della falda. Questa operazione, spesso “routinaria” e ripetuta più volte nel corso dell’anno, viene eseguita in Italia su decine di migliaia di pozzi realizzati in aree potenzialmente contaminate. La modalità tradizionale di campionamento, tramite pozzi di monitoraggio, comporta una preliminare operazione di spurgo, finalizzata a rimuovere l’acqua cosiddetta “stagnante” presente nel pozzo e a permettere l’ingresso di acqua “fresca” proveniente dalla formazione satura che lo circonda. Più nello specifico, il campionamento avviene secondo una delle seguenti procedure: • spurgo di un volume d’acqua pari a 3/5 volte quella contenuta all’interno del tubo piezometrico e del dreno e successivo campionamento; • spurgo fino alla stabilizzazione dei parametri chimico-fisici (pH, temperatura, potenziale redox, conducibilità elettrica, torbidità, ossigeno disciolto, ecc.) e successivo campionamento; • low flow purging, eseguito con pompa a bassa portata (solitamente 0,10,5 l/min) fino alla stabilizzazione dei parametri chimico-fisici, e successivo campionamento. Il campionamento tradizionale presenta il vantaggio di avere una diffusa e consolidata accettabilità da parte degli organi di

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Figura 1. Case study 1 (Italia) - Confronto tra campionamento tradizionale (dinamico con spurgo) e campionamento passivo con grab sampler (HydrasleeveTM). Contaminazione da alifatici clorurati su 15 pozzi campionati

controllo e della comunità scientifica. Tuttavia, il pompaggio esercitato per spurgare il pozzo potrebbe presentare alcune controindicazioni: • può alterare la qualità del campione a seguito dell’aerazione indotta dalla pompa; • può desaturare l’intervallo fenestrato del pozzo; • può causare torbidità [1] o creare mescolamento nelle acque sotterranee da strati posti al di sotto o al di sopra dell’intervallo fenestrato; • non consente un’agevole acquisizio-

ne di informazioni sulla distribuzione verticale della contaminazione; • necessita di una sorgente d’energia esterna; • comporta un costo per la necessaria gestione come rifiuto delle acque spurgate [2]. Il “campionamento passivo” delle acque sotterranee costituisce una metodologia alternativa al più consolidato e tradizionale campionamento dinamico. Diversi studi hanno dimostrato che lo spurgo non è necessario per ottenere un campione rappresentativo. Le acque sot-


acqua deionizzata e a intervalli fissati all’interno del pozzo, sigillati, posti all’incon conseguente determinazione dei terno del pozzo. profili verticali di contaminazione nel Nel tempo i conpozzo; taminanti presenti • riduzione dei rifiuti prodotti perché nell’acquifero si difnon occorre spurgare il pozzo e, confondono attraverso seguentemente, non serve stoccare o una membrana, fino smaltire acque emunte; al raggiungimento • non occorrono sorgenti esterne d’edelle condizioni di nergia e non ci sono limitazioni alla equilibrio (cioè fino profondità di campionamento (cosa a quando la concenche alcune pompe hanno), fattore trazione all’interno che rende il campionamento passivo del campionatore è particolarmente vantaggioso in aree uguale alla concendi difficile accesso. trazione nelle acque Per contro, sono emerse alcune controinFigura 2. Case study 2 (Stati Uniti d’America) – Trend delle concentrazioni in uno dei 45 pozzi dicazioni: osservati. Il campionamento passivo con diffusion sampler (Polyethylene Diffusion Bag - PDB), sotterranee); la concentrazione misu• se devono essere monitorate diverse eseguito dal 2011 in poi, non modifica il trend precedente delle concentrazioni di alifatici clorurati definito con campionamento tradizionale low flow rata nel campione è classi di contaminanti è probabile l’urappresentativa della concentrazione so di più campionatori, dato che queterranee possono infatti migrare attravernelle acque sotterranee al momento sti sono solitamente contaminantso l’intervallo fessurato del pozzo, con un del recupero del campionatore, o negli specific; moto generalmente orizzontale e lamiultimi giorni del periodo in cui il camnare, e non si mescolano con acque sta• la presenza di intense attività biolopionatore è stato installato in campo; gnanti presenti superiormente [3, 4, 5, 6]. giche può ridurre i livelli di concenIn quest’ottica, il campionamento passivo trazione misurati nel caso di alcuni • integrative sampler: si tratta di dispodelle acque sotterranee, che non necessispecifici campionatori passivi; sitivi che permettono la diffusione e ta dello spurgo del pozzo, mostra effettivi l’assorbimento del contaminante nel • è fondamentale la corretta e complevantaggi sia in termini di semplicità d’uso campionatore, senza raggiungere le ta conoscenza delle condizioni idrosia come risparmio economico [7]. condizioni di equilibrio; il campione è geologiche del punto di campionaL’Interstate Technology and Regulatory rappresentativo della concentrazione mento e, in particolare, della presenza Council, ITRC, definisce il campionatore media nel punto di campionamento di flussi naturali verticali delle acque, passivo per acque sotterranee come quelnell’intero periodo di esposizione. soprattutto nel caso di campionalo strumento in grado di prelevare un camL’applicazione in campo dei campionatori menti multilivello [12]; pione d’acqua da un pozzo, a profondità passivi si è rivelata vantaggiosa per i se• l’integrative sampler consente sì il fissata o a intervalli discreti, in condizioni guenti aspetti: calcolo della concentrazione a partire indisturbate, senza il trasporto attivo asdalla massa assorbita, ma in manie• facilità d’uso: l’installazione è agesociato all’azione di una pompa o di uno vole, basta posizionare il spurgo [8, 9]. campionatore nel pozzo Molte tipologie di campionatori passivi alla profondità desidesono già disponibili sul mercato, altre sono rata e, successivamenin via di sviluppo, ma tutte possono essere te, recuperarlo tirandolo classificate in uno dei seguenti tre gruppi fuori dal pozzo stesso; [8, 10]: • tempistiche ridotte rispetto al campiona• grab sampler: sono dispositivi che mento tradizionale, fino vengono installati, vuoti, all’interno al 70% [11], con evidenti del pozzo; trascorso il tempo necesvantaggi economici; sario per il ristabilirsi delle condizioni di equilibrio dell’acquifero, i campio• riduzione dei rischi da natori sono recuperati, assicurando il cross contamination, in prelievo di un sufficiente quantitativo quanto nei diversi pozd’acqua per le successive analisi chizi si utilizzano diversi miche. La concentrazione misurata campionatori e, di concostituisce una rappresentazione seguenza, non occorre istantanea delle condizioni del punto applicare un protocollo di campionamento; di decontaminazione alla Figura 3. Case study 3 (Australia) - Confronto tra campionamento strumentazione; • diffusion sampler: si tratta di cam(low flow) e campionamento passivo con grab sampler pionatori riempiti solitamente con • possibilità di campionare tradizionale (HydrasleeveTM) – parametro benzene, ricercato in 28 pozzi

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ra laboriosa e a patto di conoscere molti fattori (durata dell’installazione, temperatura dell’acqua, profondità di campionamento, ecc.). E’ inoltre fondamentale menzionare due ulteriori aspetti che limitano l’uso dei campionatori passivi in Italia: da un lato la diffusa presenza di regolamenti e procedure consolidate che prescrivono la modalità di campionamento dinamico e, dall’altro, la scarsa conoscenza circa la confrontabilità dei risultati ottenuti con un metodo o con un altro. Rammentiamo che la modalità di campionamento dinamico è indicata sia a livello normativo [13] (il D.Lgs 152/06 precisa che a meno della presenza di fase pura o acquiferi poco produttivi “si intende rappresentativo della composizione delle acque sotterranee il campionamento dinamico”) sia a livello di procedure tecniche [14] “ogni operazione di campionamento deve essere preceduta da un corretto spurgo del piezometro”. Per tale motivo è possibile usare il campionamento passivo per controlli più routinari, mantenendo la procedura dinamica con spurgo, ad esempio, solamente per i campionamenti in contraddittorio di collaudo. Quanto alla scarsa conoscenza circa la

Figura 4. Case study 4 (Canada) - Confronto tra campionamento tradizionale (low flow, micropurge, bladder pump) e campionamento passivo con grab sampler (bailer, HydrasleeveTM), e campionamento passivo. Contaminazione da idrocarburi su 8 pozzi campionati (HydrasleeveTM) – parametro benzene, ricercato in 28 pozzi

confrontabilità tra i diversi metodi di campionamento (attivo/passivo), l’esperienza maturata da Golder in diversi contesti mostra una soddisfacente correlazione tra i risultati ottenuti. In sintesi, le tecniche di campionamento passivo della falda costituiscono una valida alternativa alle più consolidate tecniche tradizionali che prevedono lo spurgo e il

campionamento in modalità dinamica. Numerosi studi di campo confermano la buona confrontabilità dei risultati usando un metodo o un altro, ma il campionamento passivo lascia intravedere numerosi vantaggi, sia come facilità d’uso sia in termini di tempi d’esecuzione e di costi. *Golder Associates s.r.l.

RINGRAZIAMENTI

I dati presentati in questo documento e i risultati ottenuti sono stati raccolti ed elaborati da professionisti Golder che hanno operato in diversi contesti e località: Arcidiacono P. (Australia), Bentivoglio N. (Italia), Chiarbonello D. (Italia), Davit J.P. (Italia), Kane A. (USA), Medd J. (Australia), Robinson M. (Canada).

BIBLIOGRAFIA

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Caratterizzazione e test di lavaggio in batch di sedimenti contaminati Analisi e investigazione dei sedimenti marini provenienti dalla Rada di Augusta di Gaetano Di Bella* e Gaspare Viviani**

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e operazioni di dragaggio dei sedimenti, applicate in passato al solo fine di mantenere o garantire la corretta funzionalità operativa di porti e canali idrici, hanno recentemente assunto, a causa della frequente contaminazione di natura organica e inorganica dei materiali dragati, la connotazione aggiuntiva di interventi di risanamento ambientale. In tal senso, le operazioni di dragaggio devono essere oggi condotte in maniera tale da garantire il mantenimento di adeguati standard di qualità dell’ambiente acquatico. Gli ingenti quantitativi di materiale dragato possono presentare infatti significativi livelli di contaminazione organica e da metalli pesanti (D.Lgs. 152/06). Le problematiche evidenziate negli ultimi anni e gli ingenti quantitativi di sedimenti derivanti dalle attività di dragaggio rendono necessario il ricorso a destinazioni diverse da quelle dello scarico in mare e dello smaltimento in discarica controllata, incluso il ricorso al riempimento di bacini conterminati che, se non inclusi in un percorso virtuoso di recupero, rischiano di divenire mere discariche costiere di materiali portuali. Nelle aree portuali la contaminazione dei sedimenti è associata alle molteplici attività industriali che in esse trovano luogo. La movimentazione navale ha così ripercussioni sull’ambiente marino e sul biota in generale. In questo contesto è importante notare che non c’è tutt’oggi uniformità di vedute sulla scel-

ta delle migliori modalità di gestione dei sedimenti marini, dal punto di vista sia delle tecnologie di trattamento/smaltimento adottabili, sia della sostenibilità economica delle stesse. Infatti, è usuale rilevare notevoli differenze da caso in caso, per via delle variazioni anche notevoli delle caratteristiche fisiche e mineralogiche dei sedimenti e degli inquinanti in essi presenti; ciò comporta la frequente necessità di associare fra loro differenti processi di trattamento, ciascuno dei quali caratterizzato da un proprio impatto sull’ambiente, a causa dei residui concentrati prodotti, del consumo di energia e della necessità di superfici e volumi disponibili. Tra le tecniche oggi di maggiore interesse, grazie alle grandi potenzialità gestionali ed economiche evidenziate, vanno citate quelle di estrazione e/o lavaggio dei sedimenti. I processi di estrazione con solventi sono usati per separare i sedimenti contaminati in tre frazioni: particolato solido, acqua e composti organici concentrati. I contaminanti sono disciolti o separati fisicamente usando un solvente, che è miscelato minuziosamente con i sedimenti contaminati. Uno dei vantaggi più interessanti del processo è legato al fatto che la maggior parte dei contaminanti sono trasferiti dalla fase solida a quella liquida, più facilmente trattabile. I solventi impiegati in queste tecnologie sono estremamente costosi: per questo risulta di primaria importanza il loro

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recupero e reimpiego in altri processi estrattivi. Sulla base del processo di estrazione, il lavaggio dei sedimenti si basa sull’azione estraente chimica e meccanica che un liquido svolge nei confronti della matrice solida contaminata. Questo liquido è in genere acqua, eventualmente addizionata di chemicals idonei a rendere i contaminanti più affini alla fase liquida piuttosto che alla fase solida. Generalmente gli impianti concepiti per il lavaggio dei terreni e sedimenti inquinati (sediment washing) sono in grado di effettuare anche una separazione granulometrica del solido, scomponendolo nelle sue varie frazioni costituenti; in questa maniera è possibile condurre una decontaminazione più mirata, in quanto le frazioni più grossolane risultano generalmente meno affette da contaminazione rispetto a quelle a granulometria più fine. Nella nota sono riportati i risultati di una ricerca condotta sui sedimenti della Rada di Augusta (Sicilia), ricadente lungo la costa orientale della Sicilia, che rientra nella perimetrazione marina del Sito di Interesse Nazionale (SIN) di Priolo. I campioni sono stati sottoposti a una fase iniziale di separazione delle frazioni granulometriche; di ciascuna delle frazioni è stata quindi eseguita la caratterizzazione chimica prima e dopo l’esecuzione di test di lavaggio in batch, finalizzata a valutare l’efficienza di estrazione di particolari agenti nei confronti degli inquinamenti organici

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e inorganici riscontrati nei sedimenti. Lo studio rientra all’interno delle attività relative al progetto di ricerca SIBSAC (Sistema Integrato per la Bonifica e il trattamento di Sedimenti e Acque Contaminate ad elevata salinità), finanziato all’Università di Enna “Kore” nell’ambito del Programma Operativo Nazionale “Ricerca e Competitività 2007-2013” (Di Bella et al., 2014 e 2015).

Descrizione del caso di studio

La Rada di Augusta ricade nella costa orientale della Sicilia, all’interno dell’omonima Baia; essa si sviluppa tra Capo Santa Croce e Punta Magnisi, per una lunghezza di circa 8 km e una distanza dalla linea di costa di circa 4 km, raggiungendo un’estensione superficiale di circa 23,5 km2 e una profondità media di 14,9 m s.l.m. In passato, parte dell’insenatura naturale è stata separata dal mare aperto mediante la costruzione di una diga foranea, mirata a formare un ampio bacino portuale comunicante con il mare attraverso due strette imboccature (est e sud), in corrispondenza delle quali si registra una profondità massima di circa 30 m s.l.m. La Rada di Augusta risulta pertanto suddivisa in tre zone principali: • Porto Xifonio (Rada esterna), compreso fra Punta Izzo e Punta Carcarella; • Porto Megarese (Rada interna), compreso fra la costa nord e ovest della Rada e le dighe nord, centrale e sud; • Seno del Priolo, compreso tra la diga sud e la penisola di Magnisi. Il porto di Augusta è uno dei più importanti centri costieri del Mediterraneo, per via delle ingenti operazioni di bunker, cambio equipaggio, riparazioni e manutenzione navi, carico/scarico merci che in esso hanno luogo. L’area commerciale è localizzata a Nord Ovest nella Rada. Le operazioni più frequenti in essa svolte sono: carico di zolfo in pillole, cemento e merce varia come marmo e legno, parti meccaniche e pezzi speciali che non potrebbero essere spostati via terra. A causa del ridotto ricambio delle acque, dell’intensa urbanizzazione e delle numerose attività industriali presenti all’interno del bacino,

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si è determinato un notevole stato di degrado all’interno dello stesso. Inoltre, l’intera area della Rada di Augusta risulta fortemente antropizzata: sul Golfo di Augusta infatti si affaccia un polo industriale di dimensioni rilevanti, costituito da numerosi insediamenti produttivi, quali raffinerie, stabilimenti petrolchimici e cementifici. In Figura 1 è riportata una vista della Rada, in cui sono stati indicati gli insediamenti produttivi e gli scarichi civili e industriali che si riversano su essa (ICRAM, 2008).

Figura 1. Mappa della Rada di Augusta con ubicazione degli scarichi civili e industriali e delle aree di interesse (immagine riadattata da ICRAM, 2008)

Attività di caratterizzazione dei sedimenti

La caratterizzazione della contaminazione dei sedimenti nella Rada di Augusta è stata già affrontata da un accurato lavoro prodotto dall’ICRAM nel biennio 2006-2008 (ICRAM, 2008). In particolare, la caratterizzazione è stata finalizzata alla definizione della qualità dell’ambiente acquatico, con riferimento alla componente biotica e alla definizione di “limiti di intervento”, individuati dall’ICRAM come obiettivo di risanamento. Tuttavia, la caratterizzazione chimica dei sedimenti “tal quale”, senza nessuna caratterizzazione granulometrica, non risulta completamente esaustiva per la progettazione degli interventi di bonifica ex-situ dei sedimenti eventualmente dragati. Infatti, ove si voglia ricorrere al riutilizzo

dei sedimenti dragati, piuttosto che al loro smaltimento, occorre procedere alla caratterizzazione, oltre che del sedimento tal quale, anche di singole frazioni granulometriche, al fine di verificarne il rispetto dei limiti previsti dalle norme in materia (D.Lgs. 152/06) e quindi l’immediata riutilizzabilità o, al più, la necessità di trattamenti di minor impegno rispetto alle rimanenti frazioni. In particolare, alcune tecniche di bonifica ex-situ, come il sediment washing (BIOGENISIS, 2008), richiedono il pretrattamento dei sedimenti contaminati mirato alla separazione delle frazioni granulometriche che li compongono. Tale intervento può ridurre la quantità di sedimenti da sottoporre a trattamento, che può essere limitato solo alla frazione più fine (limo e argilla), in cui tende a concentrarsi la maggior parte degli inquinanti a causa della sua maggiore superficie specifica; per contro, la frazione più grossolana (sabbia, ghiaia) può risultare non contaminata e quindi riutilizzabile senza alcun trattamento. Al fine di perseguire tale obiettivo, la ricerca ha quindi previsto il prelievo e la caratterizzazione in laboratorio di 8 campioni in due differenti aree della Rada, quattro per ciascuna di esse (Figura 2): • Area 1: a sud-est dei pontili Esso ed Enel e della foce del Torrente Canterra che, sulla base delle analisi condotte dall’ICRAM (2008) su campioni tal quale, è risultata af-

Figura 2. Ubicazione dei carotaggi


ca idrocarburica (Total Hydrocarbon Petroleum, TPH); • per il Rame e lo Zinco si rileva il superamento dei “limiti di intervento” fissati dall’ICRAM, sia nei campioni TQ, sia, come attendibile, nella frazione fine; • per il Cromo e il Nichel, nonostante il sedimento originale TQ non evidenzia contaminazioni che superano i limiti di intervento dell’ICRAM, tuttavia la frazione fine <63 µm presenta superamenti anche consistenti, a seguito evidentemente dell’effetto di concentrazione dovuto alla suddivisione granulometrica; • per tutti gli inquinanti monitorati, la frazione grossolana ha evidenziato livelli di contaminazione inferiori ai limiti dell’ICRAM, circostanza questa che non ne richiederebbe il trattamento; fa eccezione il caso del Rame, che anche in tale frazione presenta concentrazioni prossime al limite; • la concentrazione di TPH, per la quale l’ICRAM non ha individuato un limite di intervento, è nettamente inferiore ai limiti normativi del D.Lgs. 152/06 (750 mg/kgSS): in ogni caso, la concentrazione di idrocarburi risulta non trascurabile e in linea con l’analisi eseguita nel 2008. Discorso a sé merita il Mercurio, per il quale è Figura 3. Caratterizzazione dei campioni di sedimenti nellle Aree di indagine stato riscontrato il supe(TQ e frazionati a 63 µm) ramento in tutte le fraziosedimento prelevato. I risultati ottenuti ni (TQ, grossolana e fine) sia dei limiti evidenziano aspetti interessanti, con ridi intervento fissati dall’ICRAM (1 mg/ ferimento sia all’interpretazione genekgSS), sia di “rischio ecologico sanitarale delle forme di inquinamento da cui rio”, fissati dal D.Lgs. 152/06 (5 mg/ sono affetti i sedimenti, sia alla possibikgSS), sia infine “di smaltimento” selità di valutare l’applicabilità dei procescondo l’allegato D del suddetto decreto, si di trattamento e le reali prestazioni riferito proprio allo smaltimento in diche devono essere da queste garantite. scarica per rifiuti non pericolosi. In parIn particolare si può osservare che: ticolare, tutti i campioni TQ presentano • per tutti i campioni la contamina- differenze di concentrazione di mercurio abbastanza rilevanti, anche se tutte zione risulta principalmente conricadenti nel range di concentrazione centrata nella frazione fine; tale riportato dall’analisi ICRAM (2008) sui aspetto è particolarmente marcato campioni tal quali, anch’esse caratteper quanto riguarda l’inquinamenrizzate da un’ampia variabilità. A diffeto derivante dalla frazione organifetta da un carico inquinante prevalentemente inorganico (metalli pesanti); • Area 2: ricadente leggermente più a Nord della precedente e caratterizzata, sulla base delle analisi condotte dall’ICRAM, dalla presenza di un inquinamento organico mediamente alto. L’analisi granulometrica ha evidenziato che tutti i campioni sono classificabili come “limo con sabbia argillosa”. La caratterizzazione è stata condotta su tutti i campioni tal quali (TQ), sulla frazione grossolana (>63 µm) e su quella fine (<63 µm), che è risultata la frazione granulometrica predominante (oltre il 70% sulla frazione totale in quasi tutti i campioni, con punte anche del 90%) (Di Bella et al., 2014). In Figura 3 sono riportati i valori delle concentrazioni degli inquinanti di maggiore interesse, con riferimento alla massa di contaminante (in mg) contenuta in 1 kg di sedimento secco e riferite ai primi 30 cm di

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renza del comportamento medio degli altri inquinanti, specialmente inorganici, non esiste un’evidente concentrazione nella frazione fine dell’inquinante; addirittura in alcuni campioni il mercurio si è ritrovato quasi tutto nella frazione grossolana (Orecchio e Polizzotto, 2013). Questa estrema variabilità è stata addebitata alla differente forma in cui il mercurio si trova legato: solubile, debolmente o fortemente legato. In questo contesto, poiché il problema della variabilità del mercurio non è stata oggetto di una ricerca approfondita in questa fase di sperimentazione, si può solo ipotizzare che: 1. le differenti forme di mercurio presenti nei sedimenti interagiscono diversamente con le differenti frazioni granulometriche dei sedimenti; 2. dato che le metodiche utilizzate per le analisi sui metalli pesanti riguardano una quantità esigua di campione (0,5 g), è probabile che la natura estremamente variabile del mercurio (rispetto ad altri metalli) sia condizionata maggiormente da una non perfetta omogeneizzazione; 3. è possibile che i risultati siano stati influenzati da una differente movimentazione pregressa del sedimento in situ: infatti, alla luce delle analisi e delle ricerche svolte, è possibile ipotizzare anche che la porzione solubile del mercurio è presente solamente quando le concentrazioni di questo nel campione TQ superano qualche decina di mg/kgSS.

Test di lavaggio in batch

Le prove di lavaggio dei sedimenti sono state effettuate con test in batch a scala di laboratorio sulla frazione fine di sedimento preventivamente setacciato (<63 µm). Sono stati scelti quali agenti estraenti (Di Bella et al., 2015): • acqua, che ha permesso di valutare il solo lavaggio della componente solubile; • EDTA, agente diffusamente studiato per le applicazioni su sedimenti contaminati, che ha dimostrato una buona efficienza di estrazione per molti metalli pesanti;

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Figura 4. Confronto tra i rendimenti di estrazione dei diversi chelanti nei confronti dei metalli pesanti

acido citrico, per la sua elevata biodegradabilità, trattandosi di un prodotto naturale, derivante dal metabolismo di gran parte degli organismi viventi; • acido acetico, poiché più naturale dell’EDTA, ma avente caratteristiche chimiche ossidative similari e a minor costo. Sono state condotte diverse prove spe-

Figura 5. Confronto tra i rendimenti di estrazione dei diversi chelanti nei confronti dei TPH e a differenti pH

rimentali volte alla valutazione della cinetica di estrazione e dell’influenza del tipo e della concentrazione dell’agente chelante. Tutte le prove sono state eseguite in triplicato, con un rapporto solido/liquido pari a 1/10; le concentrazioni iniziali adottate per i chelanti sono state di 0,05, 0,10 e 1 M. Le soluzioni sedimento-chelante sono state poste in agitazione con una velocità pari a 200 rpm per tempi di contatto (tc) di 3 h, al fine di valutare la cinetica del processo di rimozione dei principali inquinanti presenti. Al termine di ciascuna prova in batch si è provveduto alla separazione solido/liquido mediante centrifugazione; quindi il campione solido e la soluzione liquida sono stati trattati con le diverse metodiche standard di

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riferimento per la determinazione dei diversi inquinanti. Dal confronto tra i diversi chelanti selezionati (Figura 4) si rileva che il chelante più performante, in termini di efficienza di rimozione, risulta essere l’acido citrico. Per quanto riguarda invece l’influenza della molarità, essa varia in funzione dell’agente chelante e della specie da complessare. In generale, confrontando le performance in funzione della molarità del chelante migliore (che risulta tra l’altro alquanto economico), si evince che a 0,05 M le efficienze risultano più che soddisfacenti. Sulla base di questi risultati, per le successive prove è stata adottata come concentrazione di riferimento quella a molarità pari a 0,05 M. In particolare, i test di lavaggio in batch sono proseguiti con l’investigazione delle performance potenziali ottenibili sull’inquinamento organico, misurato in modo globale in termini di TPH. In questo caso, i test sono stati condotti a pH controllato, in modo da valutarne l’effetto sull’efficienza di processo. I risultati, riportati in Figura 5, evidenziano che i migliori rendimenti si sono ottenuti con EDTA a pH=9: in generale l’ambiente basico favorisce la dissoluzione degli inquinanti (vedi risultati in acqua deionizzata), con eccezione dell’acido citrico che sembra poco influenzato dall’ambiente alcalino. È importante notare che anche in questo caso l’acido citrico risulta essere soddisfacente e affidabile nella maggior parte dei casi: solamente il batch test condotto in ambiente fortemente alcalino con EDTA ha mostrato un incremento di prestazioni. In ogni caso, un’analisi costi-benefici risulterebbe utile per integrare l’indagine, con lo scopo di valutare sia la semplificazione gestionale derivante da un trattamento a pH neutro, sia il risparmio economico

legato all’utilizzazione dell’acido citrico senza recupero di solventi. L’analisi successiva ha riguardato la valutazione dei tempi di contatto di 3 h e 48 h, al fine di valutarne l’influenza sull’efficienza di estrazione. I risultati così ottenuti, riportati in Figura 6, evidenziano che globalmente non si riscontra alcun beneficio evidente a seguito dell’aumento dei tempi di contatto: solamente nel caso dello Zinco e dei TPH, rispettivamente per l’Acido Acetico e EDTA, si è riscontrato un aumento significativo delle performance. In particolare, nel caso

BIBLIOGRAFIA

[1] BIOGENESIS (2008) Sediment washing technology - Bench-Scale Treatability Study Report. http://www.biogenesis.com/files/Documents_References_in_Final_Report. [2] D.Lgs. 152/2006 “Norme in materia Ambientale”, G.U. n. 88 del 14 aprile 2006, Supplemento ordinario n.96 e s.m.i. [3] Di Bella G., De Marchis M., Freni G., Giustra M.G., Mancini G., Viviani G.(2014). “Caratterizzazione dei sedimenti marini contaminati della rada di Augusta”. SiCon 2014 Workshop su: Siti Contaminati. Esperienze negli interventi di risanamento. Brescia (Italia). 6-8 Febbraio 2014 ISBN: 88-7850-014-3 [4] Di Bella G., Di Prima N., Giustra M.G., Viviani G. (2015). “Trattamento di sedimenti marini contaminati nella Rada di Augusta: prove di lavaggio in batch”. SiCon 2015 Workshop su: Siti Contaminati. Esperienze negli interventi di risanamento. Taormina, Messina (Italia). 5-7 Febbraio 2015 ISBN: 88-7850-015-1 [5] ICRAM 2008. Istituto Centrale per la Ricerca scientifica e tecnologica Applicata Al Mare. Progetto preliminare di bonifica della rada di augusta inclusa nel sito di bonifica di interesse nazionale di Priolo fase I e II elaborazione definitiva Giugno 2008. [6] Orecchio, S., Polizzotto, G. (2013). Fractionation of mercury in sediments during draining of Augusta (Italy) coastal area by modified Tessier method. Microchemical Journal 110, 452–457


dell’inquinamento organico, un aumento del tempo di contatto da 3 a 24 ore ha ridotto il gap di performance dell’EDTA in ambiente acido rispetto a quelli rilevati a pH=9.

Conclusioni

Figura 6. Confronto tra i rendimenti di estrazione per differenti tempi di contatto

L’analisi preliminare di caratterizzazione dei sedimenti ha evidenziato il differente ruolo che gli inquinanti possono avere, in funzione delle caratteristiche granulometriche delle frazioni in cui essi possono ritrovarsi. Ciò risulta di particolare interesse nelle fasi preliminari di valutazione dei possibili interventi di trattamento, recupero

o smaltimento a cui sottoporre i sedimenti stessi; infatti, anche nei casi in cui sia possibile separare una frazione grossolana non contaminata da avviare al recupero, rimane la necessità di trattare o smaltire la frazione fine, il cui stato di contaminazione sarà tanto più elevato quanto maggiore sarà la frazione grossolana preventivamente separata. In questo contesto, i processi di lavaggio basati sull’utilizzo di agenti chelanti sono considerati promettenti ai fini di una decontaminazione di matrici solide contaminate, per quanto riguarda l’inquinamento sia organico che inorganico. L’ottimizzazione del processo, ovviamente, richiede in ogni caso una preventiva fase di analisi e approfondimento di numerosi aspetti: scelta dell’agente estraente e della sua concentrazione, influenza del tempo di contatto e del pH; rapporto solidoliquido; pre-trattamento e separazione granulometrica iniziale. *Università degli Studi di Enna “Kore” **Università degli Studi di Palermo


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Il problema degli odori negli impianti di trattamento rifiuti La biofiltrazione dell’aria negli impianti di compostaggio e digestione anaerobica di Paolo Di Giovanni*

L

a biofiltrazione dell’aria è un trattamento di depurazione delle emissione gassose basato sul processo di ossidazione biochimica effettuata da parte di microrganismi aerobici sui composti inquinanti aerodispersi in particolare quelli odorigeni. Il sistema di biofiltrazione si adatta bene al trattamento di grandi portate di aria aventi concentrazioni di sostanze odorigene rilevanti. L’aria da trattare viene fatta filtrare attraverso del materiale organico poroso (detto anche letto filtrante) che serve

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da supporto, e in parte da nutrimento, per microrganismi aerobici. Le sostanze inquinanti trasportate dal flusso entrano in contatto con i microrganismi i quali le metabolizzano e le trasformano in prodotti di reazione non più odorigeni, producendo acqua e anidride carbonica come sostanze di scarto. Per poter garantire un opportuno funzionamento del processo è necessario garantire condizioni ambientali favorevoli alla vita dei microrganismi. La moltiplicazione batterica dipende da diversi fattori quali:

• • •

• • •

il contenuto di sostanze nutritive; il tenore di ossigeno disciolto nel biofilm; la temperatura che agisce sui meccanismi metabolici; infatti i microrganismi presenti nel biofilm sono mesofilli pertanto la loro temperatura ottimale è compresa tra 15 e 40°C; il pH che influenza in particolare il fenomeno riproduttivo, il range ottimale è compreso tra 7 e 8; l’assenza di composti tossici per la flora batterica; il grado di umidità.


Quest’ultimo fattore è molto importante perché i microrganismi sono in grado di assorbire nutrienti solamente dalla fase acquosa e se l’umidità si riduce, muoiono o sporificano, di fatto si inattivano. L’umidità forma un film liquido attraverso il quale avviene il contatto inquinante/flora batterica. Anche la saturazione può essere dannosa, infatti in questa situazione si occludono i pori del filtrante, con interruzione degli scambi gassosi (anossia). Il valore ottimale nel caso di cippato di legno deve essere compreso tra 50 e 75% in peso del substrato filtrante. In funzione della premessa il cippato, che costituisce il letto di filtrazione del bio-filtro, è stato analizzato allo scopo di misurare le condizioni di vita dei microrganismi. A tal fine è stato eseguito un prelievo alla profondità di un metro dalla superficie (l’altezza totale del materiale biofiltrante è 2 m) in più punti della vasca del biofiltro, il materiale prelevato è stato rimescolato e quartato fino a dar origine ai campioni per il laboratorio. Il cippato è stato prelevato dai biofiltri dell’impianto di digestione anaerobica e compostaggio della Sogliano Ambiente. Tecnicamente la prova è stata condotta con lo scopo di valutare ciascuna delle condizioni vitali del bio-filtro anticipate in premessa, attraverso analisi chimico-fisiche specifiche, per ottenere dei dati in grado di dare ampia evidenza delle condizioni che i biofiltri dell’impianto hanno raggiunto nei circa due anni di funzionamento. I dati ottenuti mostrano come i due biofiltri assolvono egregiamente il loro lavoro di adsorbimento delle sostanze odorigene presenti nel flusso gassoso che quasi immediatamente entrano nel processo di degradazione esercitato dai microrganismi depositati sul materiale del biofiltro. Parallelamente si verifica un elevato trattenimento dell’ammoniaca, mediante nitrificazione e successiva organificazione dell’azoto. Risulta evidente la corretta condizione di funzionamento, sono infatti ottimali sia l’umidità che il pH che permettono una diffusione microbica molto elevata, nonostante il prelievo dei campioni

Cippato Biofiltro Nord

Cippato Biofiltro Sud

17/12/2014

17/12/2014

Parametro

u. m.

Data campionamento

-

Nitrati (ione nitrato)

mg/kg

5025

1036

Nitriti (ione nitrito)

mg/kg

6862

5572

Fosforo totale (come P)

mg/kg

216

311

Solfati (ione solfato)

mg/kg

45

36

Azoto ammoniacale (come N)

mg/kg

3089

730

Azoto organico

%

1,1

0,98

Potassio

mg/kg

16

7

pH

unità pH

7,36

7,08

Umidità a 105°C

%

65,1

66,3

Ceneri a 600°C

% s.s.

19,6

17,0

Sostanza organica

% s.s.

80,4

83

Azoto totale

%

1,9

1,3

Rapporto C/N organico

-

43,1

71

Acidi umici (come C)

%

7,2

6,3

Acidi fulvici (come C)

%

0,8

0,8

Indice di respirazione dinamico (come O2,potenziale)

mg/kg S.V. h

635

528

Carica batterica a 22°C

UFC/g

5,0 x10^7

3,5 x10^7

Muffe

UFC/g

1,5 x10^4

1,2 x10^4

Lieviti

UFC/g

6,0 x10^3

8,0 x10^3

Microrganismi nitrificanti (Nitrosomonas-Nitrosobacter)

UFC/g

2,8 x10^5

7,0 x10^4

Risultati delle determinazioni analitiche del contenuto di nutrienti eseguite sul cippato prelavato dai biofiltri dell’impianto di sogliano ambiente

del biofiltro sia stato eseguito in inverno con temperatura esterna inferiore a 10°C, non ottimale per lo sviluppo dei microrganismi. L’azoto ammoniacale, che sfugge all’abbattimento della torre di lavaggio (scrubber con acido) viene perciò rapidamente ossidato a nitrito, poi a nitrato dai microrganismi nitrificanti (Nitrosomonas-Nitrosobacter) e la sostanza organica, come ci indica l’in-

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SETTEMBRE

dice di respirazione, viene progressivamente elaborata (prima da muffe e lieviti saprofite, poi da microrganismi umificatori) e trasformata in acidi umici e fulvici che contengono mediamente il 10% di azoto organico. Questo processo, che richiede molta energia biologica, ossida la sostanza organica responsabile degli odori fino alla totale degradazione con liberazione di anidride carbonica e acqua, da

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qui il formarsi progressivo di frazione mineralizzata (ceneri). I risultati ottenuti rendono evidente l’ottimale condizione di funzionamento dei due biofiltri che oltre ad avere elevata efficacia nei confronti dell’ammoniaca esercitano un effetto particolarmente rilevante anche nei confronti degli altri componenti odorigeni che vengono adsorbiti dal biofiltro e rapidamente degradati dall’abbondante flora microbica esistente.

materiale biofiltrante

La buona scelta del materiale bio-filtrante risulta fondamentale se si vogliono raggiungere obiettivi di rilievo. Riportiamo a tale scopo nelle tabelle a lato le caratteristiche del materiale biofiltrante utilizzato presso l’impianto di Sogliano Ambiente. *Sogliano Ambiente S.p.A.

Descrizione materiale

Prodotto legnoso composto da essenze assortite provenienti da specie forestali da governo a ceduo (quercia, faggio, castagno), sfibrate e sfilacciate con eliminazione delle frazioni fini

Procedura di ottenimento

Il prodotto è triturato e sfibrato a mezzo di biotrituratori e sottoposto ad un breve ciclo di compostaggio per l’attivazione microbiologica. Segue omogeneizzazione e calibratura ottenuta a mezzo di vagli (maglie di 30 e 40 mm) per l’eliminazione delle parti fini.

Provenienza

Italia (Lombardia, Piemonte)

Durata

3/4 anni in funzione delle condizioni di impiego ed, in particolare, della temperatura ed umidità dell’aria trattata. Il materiale è da considerarsi esausto quando le perdite di carico indotte dal materiale superano i 250 mm c.a. < 2 cm

Granulometria (%) valori medi Caratteristiche fisico chimiche

2-5 cm

2

5-15 cm

5

15-20 cm

20-30 cm

30-50 cm

30

10

3

50

Na

% ss

600

Sostanza organica

% ss

>60

Materiale inerte (litoidi)

% ss

<5%

Presenza frazione < 10 mm

%

<10

Perdita naturale di massa

%

10-15%

mm

< 50

°C

<40

u.m.

Valore medio

%

45

Densità apparente

kg/m3

350

Superficie specifica

m /g

350

Perdite di carico, in condizioni di 100 Nmc-ora/mq

8,0

Temperatura di gestione

Umidità

pH

60

2


sicomunica

c s re

c r e

r o f

p i rs

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a m

In collaborazione con:

14•16 ottobre 2015 • Bologna INGRESSO RIDOTTO

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Il biometano made in Bicocca Sperimentazione e prototipazione di una tecnologia per la produzione low cost di biometano dai rifiuti organici di Laura Veneri

P

rodurre biometano dai rifiuti organici con costi inferiori a quelli attuali, utilizzando composti a basso impatto ambientale in grado di catturare la CO2. Tutto questo grazie a un nuovo impianto per la produzione di biometano da immettere in rete e da utilizzare per dare gas, luce e riscaldamento a circa 5mila abitazioni del territorio, per un controvalore economico di 3,5 milioni di euro. Si potrà realizzare grazie alla tecnologia “Smart upgrading”, sviluppata dai ricercatori del Dipartimento di Scienza dei Materiali dell’Università di MilanoBicocca che hanno concluso la sperimentazione presso la ex discarica di CEM Ambiente a Cavenago in provincia di Monza e Brianza, in seguito a un accordo di collaborazione tra l’azienda e l’Università. Finita la fase sperimentale, ora si parte con la realizzazione di un prototipo di impianto industriale. “Smart upgrading” è una tecnologia, sperimentata con un piccolo impianto prototipo, che consente il “lavaggio”

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del biogas ottenuto dalla fermentazione dei rifiuti della ex discarica. Rispetto alle tecnologie tedesche e statunitensi attualmente impiegate in questo campo, ha il vantaggio di lavorare con una sostanza di trasformazione biodegradabile e dal costo contenuto, e di richiedere, per il suo funzionamento, una quantità di energia molto bassa, producendo un gas made in Italy. La sperimentazione è partita nel mese di aprile del 2014 e oggi ci sono i risultati scientifici, eseguiti per verificare “sul campo” la fattibilità della tecnologia messa a punto in 5 anni di lavoro di laboratorio. Le informazioni ottenute permetteranno ora di realizzare il primo prototipo di impianto industriale, che sarà in grado di produrre biometano dai rifiuti organici con questa nuova tecnologia. “Ancora una volta – spiega Virginio Pedrazzi, amministratore unico di CEM Ambiente Spa – la nostra società si dimostra attenta a cogliere e anticipare le politiche di sostenibilità, speri-

mentando nuove soluzioni innovative. In questo caso abbiamo accolto con favore e compartecipato economicamente alla proposta dell’Università di utilizzare il gas prodotto dai nostri rifiuti per produrre BioMetano, andando incontro anche a un indirizzo di Legge che chiede espressamente di produrre questo gas, che ha già una rete e può essere utilizzato meglio e di più del biogas”. “Grazie all’accordo di collaborazione con CEM Ambiente – dice Maurizio Acciarri, professore associato di fisica sperimentale del Dipartimento di Scienza dei Materiali e responsabile del progetto per l’Università di MilanoBicocca - è stato possibile verificare dal vivo l’efficacia di questa nuova tecnologia su un gas reale, ossia su una miscela di anidride carbonica, metano e altre sostanze che costituiscono normalmente il prodotto ottenuto dalla fermentazione batterica dei rifiuti umidi. Siamo riusciti a mettere a punto la tecnologia “Smart upgrading” grazie alla presenza, nel Dipartimento di Scienza dei Materiali, di competenze e conoscenze trasversali, da quelle chimiche e fisiche fino a quelle ingegneristiche”. L’impianto pilota lavora attraverso un particolare “lavaggio” del biogas, in grado di trattenere solo le impurità indesiderate, lasciando fluire liberamente il metano pulito. In questo modo si ottiene un gas di qualità paragonabile, se non superiore, al metano che l’Italia acquista dalla Russia e dal Nord Africa. Si stima che il biometano prodotto dal trattamento di tutti i rifiuti organici e scarti vegetali sarebbe in grado di coprire più del 20% del fabbisogno nazionale, con un notevole risparmio per le casse dello Stato.


E tutto nel pieno rispetto degli impegni per la riduzione del gas serra.

L’impianto pilota

I composti testati in laboratorio che hanno mostrato le migliori performance, sia nella capacità di assorbire la CO2 sia nell’energia richiesta per il suo rilascio, sono stati verificati su un gas reale attraverso un impianto sperimentale a due colonne in continuo su portate da 0,5 a 1 m3/h di biogas installato presso la discarica di Cavenago Brianza di CEM Ambiente. L’impianto è formato da una prima colonna di assorbimento con corpi di riempimento ad anelli rashig con una capacità di riempimento pari a 7 litri di soluzione. Il biogas non trattato procede in controcorrente rispetto al flusso della soluzione assorbente. Il liquido carico di CO2 passa, quindi, nella seconda colonna dove subisce un primo riscaldamento nella testa della colonna. La colonna, sempre riempita con anelli rashig, ha una capacità di circa 6 litri di soluzione. L’anidride carbonica viene quindi strippata con un flusso di aria mentre la soluzione attraversa una seconda parte calda posta ai piedi della colonna. Infine il liquido viene raffreddato con uno scambiatore ad acqua. Dalla testa della colonna di rilascio, il gas di stripping viene convogliato in un secondo scambiatore ad acqua per condensare i vapori trascinati dal flusso di aria. Tutti i flussi delle soluzioni tra le due colonne e tra le colonne ed i serbatoi sono gestiti da un’unica pompa peristaltica a tre teste per uniformare le portate. Le concentrazioni di anidride carbonica e metano sono monitorate in continuo con un rivelatore a cella IR,

mentre la basicità della soluzione in ingresso delle due colonne è misurata con un pHmetro. Il riscaldamento della soluzione, in testa e ai piedi della colonna calda, viene effettuato con due fasce riscaldanti esterne con regolatori di temperatura a termocoppia. Le soluzioni, normalmente incolori, vengono colorate con indicatori di pH, come ad esempio la fenoftaleina. A pH inferiore a otto la soluzione è incolore mentre a pH maggiore di otto si colora di rosso (con un’intensità crescente). Questo permette di valutare anche visivamente l’assorbimento della CO2, il quale riduce la basicità della soluzione attenuando la colorazione. Man mano che la soluzione assorbe anidride carbonica si schiarisce, mentre nella fase di rilascio torna progressivamente a colorarsi di rosso. Il gas prelevato dalla linea a monte del compressore è composto da metano (25-30%), anidride carbonica (7-12%), azoto (40-50%), ossigeno (2-10%) e tracce di composti solfurati, silossani, ammoniaca e vapor acqueo. La quantità di gas prelevato per i test varia da 0,5 a 1 m3/h. Il campionamento del gas viene eseguito all’uscita della colonna di assorbimento mentre la misura del pH viene effettuata in uscita della colonna di assorbimento (pH A) e di quella di rilascio, dopo il passaggio nello scambiatore (pH B). I liquidi assorbenti impiegati per i test di upgrading sono soluzioni acquose delle molecole sperimentali a concentrazione variabile tra il 15 e 20%, con o senza l’aggiunta di molecole attivanti e sostanze che riducono la forza ionica della soluzione (ovvero che ne diminuiscono la polarità). Il liquido ionico di un amminoacido salificato con la colina, derivato dalla

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lecitina di soia, è utilizzato come attivatore; mentre un polisaccaride naturale viene utilizzato come inibitore della forza ionica. I test di upgrading hanno tutti una durata di due ore. Le molecole assorbenti scelte per i test presso CEM Ambiente sono tra le meno efficaci tra quelle sintetizzate e verificate presso il laboratorio del Dipartimento. Si è voluto, con questa scelta, analizzare l’efficacia della tecnologia sulla base delle peggiori condizioni operative. Anche l’uso dell’acqua come solvente segue questa filosofia. Infatti, a fronte di un costo pressoché nullo, l’acqua presenta numerosi svantaggi nella fase di assorbimento (bassa solubilità della CO2) e nella fase di rilascio (elevata forza ionica e alta tensione di vapore). La sperimentazione conferma che le miscele testate sono in grado di sostituire l’uso di alchilammine per efficacia nell’assorbimento dell’anidride carbonica. I vantaggi rispetto alle ammine lineari riguardano sia l’aspetto energetico che ambientale. Infatti, la tecnologia sperimentata permette di rilasciare la CO2 a temperature nettamente inferiori alle ammine: 120°C per le ammine, 75°C per la miscela sperimentata. Il secondo punto, non meno importante, riguarda le caratteristiche ambientali. I composti testati presso il CEM sono di origine naturale e non costituiscono pericoli per l’ambiente. Inoltre sono tutte molecole con temperatura di ebollizione superiore ai 200°C e tensioni di vapore molto basse. Questo fa sì che la dispersione nell’atmosfera di queste molecole, dovuta al flusso di gas in fase di stripping, sia praticamente nulla.

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LA TUTELA DELLA RISERVATEZZA NELLA NOTIFICA DEL TRASPORTO TRANSFRONTALIERO DI RIFIUTI Analisi di normativa e giurisprudenza per verificare quali dati debbano essere obbligatoriamente forniti e quali possAno non essere divulgati di Daniele Carissimi*

C

on il presente contributo si vuole indagare – in caso di notifica di una spedizione transfrontaliera di rifiuti, che coinvolge soggetti produttori di rifiuti diversi dal soggetto notificatore/organizzatore della spedizione – se: • sussiste un obbligo normativo, in capo al notificatore, di trasferire all’autorità competente all’autorizzazione della spedizione i nominativi dei produttori di rifiuti; • in caso di risposta affermativa, se sussistono delle possibilità di tutela dei nominativi forniti senza che gli stessi, vengano quindi divulgati a vantaggio dei concorrenti del notificatore. La presente analisi non può che prendere le mosse da una digressione sulla normativa di riferimento disciplinante il trasporto transfrontaliero di rifiuti, rappresentata dal Regolamento del Parlamento Europeo n. 1013 del 2006 del 14 giugno 2006. Lo stesso prevede, nello specifico, gli adempimenti che devono essere posti in essere in caso di spedizione di rifiuti tra diversi stati. All’art. 4

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infatti viene stabilito che “Il notificatore che intende spedire rifiuti … trasmette una notifica scritta preventiva all’autorità competente di spedizione…. Le notifiche rispondono ai seguenti requisiti. 1. Documenti di notifica e di movimento La notifica dovrà essere effettuata mediante i seguenti documenti: • il documento di notifica che figura nell’allegato I A; e • il documento di movimento che figura nell’allegato I B. […] 2. Informazioni e documenti che corredano i documenti di notifica e di movimento Il notificatore fornisce sul documento di notifica, o vi allega, le informazioni e i documenti elencati nell’allegato II, parte 1. Il notificatore fornisce sul documento di movimento, o vi allega, le informazioni e i documenti elencati di cui all’allegato II, parte 2, nei limiti del possibile al momento della notifica. […] 3. Informazioni e documenti aggiuntivi Se richiesto da una delle autorità com-

petenti interessate, il notificatore fornisce informazioni e documenti aggiuntivi. L’elenco delle informazioni e dei documenti aggiuntivi che possono essere richiesti figura nell’allegato II, parte 3. […]”. Ebbene, dalla normativa riportata si evince che il notificatore dovrà in primo luogo notificare all’autorità competente i dati indicati nei documenti di notifica di cui all’allegato IA e IB, i quali entrambi richiedono i seguenti dati relativi al produttore di rifiuti: n. di registrazione, nome, indirizzo, persona da contattare, telefono, fax, email, luogo e Processo di produzione. Il Notificatore dovrà poi indicare, ovvero allegare nei rispettivi documenti, le informazioni di cui all’allegato II parte 1 e parte 2, i quali quanto al produttore richiedono l’inserimento dei seguenti dati: • Allegato II parte I “Informazioni e documenti che corredano la notifica” • Se il notificatore non è il produttore: nome, indirizzo, numero di telefono, numero di


fax, indirizzo e-mail del(dei) produttore(i) e persona da contattare. • Una copia del contratto o prova dell’esistenza (o dichiarazione che ne certifichi l’esistenza) del contratto tra il produttore, il nuovo produttore o il raccoglitore e l’intermediario o il commerciante, qualora l’intermediario o il commerciante agisca come notificatore. • Allegato II parte II “Informazioni da fornire sul, o allegare al, documento di movimento” • Fornire tutte le informazioni elencate alla parte 1, aggiornate conformemente ai punti indicati di seguito, e le altre informazioni aggiuntive specificate. Infine, se richiesto, potrà essere chiamato a fornire le indicazioni di cui all’allegato II, parte II, che quanto al produttore richiede: • Analisi chimica della composizione dei rifiuti. • Descrizione del processo di produzione dei rifiuti. • Qualsiasi altra informazione pertinente per la valutazione della notifica in conformità del presente regolamento e degli obblighi imposti dalla normativa nazionale. All’articolo 18 “Rifiuti che devono essere accompagnati da determinate informazioni” viene previsto, inoltre, che “1. I rifiuti di cui all’articolo 3, paragrafi 2 e 4, destinati ad essere spediti sono soggetti ai seguenti obblighi procedurali: a. per facilitare il monitoraggio delle spedizioni di tali rifiuti, il soggetto posto sotto la giurisdizione del paese di spedizione che organizza la spedizione assicura che i rifiuti siano accompagnati dal documento contenuto nell’allegato VII; b. il documento contenuto nell’allegato VII è firmato dal soggetto che organizza la spedizione prima che questa abbia luogo e dall’impianto di recupero o dal laboratorio e dal destinatario al momento del ricevimento dei rifiuti in questione. Anche tale norma prescrive pertanto l’indicazione di alcuni dati, qua-

li quelli relativi al produttore di rifiuti. Il comma 4 del predetto articolo tuttavia prevede che: “4. Le informazioni di cui al paragrafo 1 sono soggette ai vincoli di riservatezza eventualmente previsti dalla normativa comunitaria e nazionale”. Si riporta infine l’articolo 21 “Accesso del pubblico alle notifiche” del Regolamento nel quale viene stabilito che “Le autorità competenti di spedizione o destinazione possono rendere di pubblico dominio con idonei mezzi, quali Internet, informazioni su notifiche di spedizioni da esse autorizzate, purché tali informazioni non siano soggette a vincoli di riservatezza in forza delle disposizioni normative nazionali o comunitarie”. Ebbene, svolta tale preliminare e prioritaria premessa normativa, si deve evincere, in primo luogo, dell’esistenza di un vero e proprio obbligo normativo di indicare alcuni dati, quali quelli relativi al produttore di rifiuti, ai soggetti indicati dal Regolamento (autorità pubblica autorizzante il trasporto e agli altri operatori coinvolti). Vero è, tuttavia, che la normativa prevede che tali dati vengano trattati nel rispetto dei principi a tutela della riservatezza. Per comprendere la portata di siffatto obbligo – sia quello del notificatore di fornire dati, sia dei soggetti che ricevono i predetti dati di non divulgarli – ci si riporta ad una sentenza della Corte di Giustizia che, nella causa C-1/11, veniva investita dal giudice tedesco a pronunciarsi pregiudizialmente sull’inter-

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pretazione dell’articolo 18 sopra citato e, nello specifico: • se l’art. 18, comma 4 – relativo alla tutela della riservatezza- sia applicabile anche ai soggetti coinvolti nella spedizione; • se in caso di risposta negativa se l’articolo 18, comma 1, del citato regolamento, che prevede un obbligo di comunicazione dei dati, trovi un limite nel diritto comunitario primario relativo alla tutela dei segreti commerciali. Ed invero, il giudice tedesco, necessitava, da parte del giudice comunitario, di un’interpretazione della normativa richiamata, per procedere a decidere un caso in cui una nota società di intermediazione di rifiuti tedesca (Interseroh) ometteva di indicare, nell’allegato VII, il nominativo dei produttori dei rifiuti poiché riteneva che la comunicazione al destinatario di tale dato fosse idonea a generare dei danni alla predetta società. Vero è, infatti che secondo tale società, prevedere un obbligo in capo ad un commerciante/intermediario di rifiuti di svelare ai propri clienti le sue fonti di approvvigionamento (mediante l’indicazione dei dati relativi ai produttori) consentiva ai clienti del predetto intermediario di avere la possibilità di mettersi direttamente in contatto tra loro e di concludere i contratti successivi, facendo a meno della prestazione dell’intermediario di commercio. Ebbene, sul punto la Corte di Giustizia si è espressa nel senso di ritenere che

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ca di detta disposizione risulta che gli obblighi di riservatezza ai quali quest’ultima fa rinvio possono gravare su qualsiasi soggetto in possesso delle informazioni in questione, comprese sia le autorità del luogo di spedizione e di destinazione che tutte le persone “L’articolo 18, paragrafo 4, del regolafisiche o giuridiche che partecipano alla mento n. 1013/2006 dispone che le inspedizione di rifiuti. formazioni di cui al paragrafo 1 di tale Tuttavia, dall’articolo 18 del regolamenarticolo, ossia quelle contenute nel doto n. 1013/2006 si deduce parimenti cumento di spedizione, sono soggette ai che gli obblighi di riservatezza ai quali vincoli di riservatezza quando ciò è prefa riferimento l’articolo 18, paragrafo 4, visto dalle normative comunitaria e nanon possono essere opposti alla comuzionale. Per quanto concerne l’identità nicazione, tra le imprese che partecipadei soggetti che possono essere vincono all’operazione di spedizione, delle inlati al rispetto degli obblighi di riservaformazioni menzionate dall’allegato VII tezza cui fa rinvio l’articolo 18, paragrafo 4, del regolamento n. 1013/2006, da RECOVER_CV15_210x1485col 13/07/15 17.20 Pagina 1a tale regolamento. La portata di siffatti obblighi di riserun’interpretazione letterale e sistemati-

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vatezza è necessariamente limitata ai rapporti che si instaurano tra i soggetti terzi rispetto alla spedizione e quelli che possono accedere al documento di spedizione, ossia le competenti autorità amministrative e i soggetti che partecipano a detta spedizione”. Alla luce della sentenza riportata, che seppur si è espressa in ordine al solo articolo 18, ma i cui principi possono essere estesi all’intera questione sottoposta alla presente riflessione, si può pertanto concludere che: • il notificatore è obbligato, dal regolamento sul trasporto transfrontaliero (Reg. 1013/2006) ad indicare i dati relativi al produttore di rifiuti tanto ai soggetti coinvolti nella filiera quanto alle autorità competenti all’autorizzazione del trasporto; • tuttavia lo stesso può richiedere che tali soggetti non divulghino a terzi non interessati dal trasporto transfrontaliero i dati a tutela dei segreti commerciali. *Ambiente Legale

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è LEGGE LA NUOVA NORMA SUI REATI AMBIENTALI… FINALMENTE! Sono cinque i nuovi delitti contro l’ambiente contenuti nella Legge 22 maggio 2015, n. 68 di Rosa Bertuzzi* e Nicola Carboni**

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opo la novità circa la non procedibilità per i reati di lieve entità, che colpivano quasi tutti i reati ambientali, è stata pubblicata, a distanza di pochi giorni, la L. 68/2015 in tema di delitti contro l’ambiente. Tale ultima norma non contrasta con la precedente di cui al D.Lgs. 28, in quanto riguarda una tipologia di reati diversi, tutti puniti con una pena detentiva superiore a quella prevista dal predetto Decreto (5 anni). In Gazzetta Ufficiale n.122 del 28-52015 è stata pubblicata la Legge 22 maggio 2015, n. 68 “Disposizioni in materia di delitti contro l’ambiente” in materia di ecoreati. La Legge n. 68/2015 entrata in vigore il 29 maggio 2015, prevede (art. 1) l’inserimento nel Codice Penale del “Titolo VI-bis - Dei delitti contro l’ambiente” con 5 nuovi reati contro l’ambiente introdotti con gli articoli 452 bis, fino al 452 terdecies ). I 5 nuovi delitti contro l’ambiente sono: • inquinamento ambientale; • disastro ambientale; • traffico e abbandono di materiale ad alta radioattività; • impedimento del controllo; • omessa bonifica

Inquinamento ambientale

Spiega il Senato che il delitto di inquinamento ambientale (articolo 452-bis CP) punisce con la reclusione da 2 a 6 anni e la multa da 10.000 a 100.000

euro chiunque, abusivamente, cagiona una compromissione o un deterioramento significativi e misurabili dello stato preesistente: 1) delle acque o dell’aria, o di porzioni estese o significative del suolo o del sottosuolo; 2) di un ecosistema, della biodiversità, anche agraria, della flora o della fauna (primo comma). Il secondo comma prevede un’ipotesi aggravata quando il delitto sia commesso in un’area naturale protetta o sottoposta a specifici vincoli, ovvero in danno di specie animali o vegetali protette. In caso di morte o lesioni come conseguenza del delitto di inquinamento ambientale (articolo 452-ter), si prevede per l’inquinamento ambientale aggravato dall’evento un catalogo di pene graduato in ragione della gravità delle conseguenze del delitto ovvero: • la reclusione da 2 anni e 6 mesi a 7 anni se dall’inquinamento ambientale derivi ad una persona una lesione personale (escluse le malattie di durata inferiore a 20 gg: è il caso in cui la lesione personale è punibile a querela); • la reclusione da 3 a 8 anni se ne derivi una lesione grave;

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la reclusione da 4 a 9 anni se ne derivi una lesione gravissima; • la reclusione da 5 a 12 anni in caso di morte della persona. Ove gli eventi lesivi derivati dal reato siano plurimi e a carico di più persone si applica la pena che dovrebbe infliggersi per il reato più grave aumentata fino al triplo, fermo restando tuttavia il limite di 20 anni di reclusione.

Disastro ambientale

Il delitto di disastro ambientale (articolo 452-quater CP), raccogliendo l’auspicio formulato dalla Corte Costituzionale (Sentenza 327 del 2008) in ordine alla tipizzazione di un’autonoma figura di reato, punisce con la reclusione da 5 a 15 anni chiunque, abusivamente, cagiona un disastro ambientale. Il delitto è definito, alternativamente, come: un’alterazione irreversibile dell’equilibrio di un ecosistema; un’alterazione dell’equilibrio di un ecosistema la cui eliminazione risulti particolarmente onerosa e conseguibile solo con provvedimenti eccezionali; l’offesa all’incolumità pubblica determinata con riferimento sia alla rilevanza del fatto per l’estensione della compromissione ambientale o dei suoi effetti lesivi, sia al numero delle

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persone offese o esposte al pericolo. La definizione del delitto si avvicina a quella elaborata dalla Cassazione, che per la configurazione del disastro ambientale ha affermato che “è necessario e sufficiente che il nocumento abbia un carattere di prorompente diffusione che esponga a pericolo, collettivamente un numero indeterminato di persone” (Cass., Sez. V, sent. n. 40330 del 2006). Successivamente, conformemente a tale orientamento, la Cassazione è pervenuta ad isolare alcuni requisiti che caratterizzano la nozione di disastro specificamente nella potenza espansiva del nocumento e nell’attitudine a mettere in pericolo la pubblica incolumità (Cass, Sez. III, sent. n. 9418 del 2008). La nuova disposizione codicistica reca infine una clausola di salvaguardia “fuori dai casi previsti dall’articolo 434”, in materia di crollo di costruzioni o altri disastri dolosi (cd. disastro innominato) che finora, in assenza del delitto di disastro ambientale, ha assolto ad una funzione di supplenza e chiusura del sistema. Il disastro ambientale è aggravato ove commesso in un’area protetta o sottoposta a vincolo o in danno di specie animali o vegetali protette.

Traffico e abbandono di materiale ad alta radioattività

Il delitto di traffico ed abbandono di materiale ad alta radioattività (articolo 452- sexies CP), che punisce con la reclusione da 2 a 6 anni e la multa da 10.000 a 50.000 euro chiunque abusivamente “cede, acquista, riceve, trasporta, importa, esporta, procura ad altri, detiene, trasferisce, abbandona o si disfa illegittimamente di materiale ad alta radioattività” (primo comma). Si tratta di un reato di pericolo per il quale il secondo ed il terzo comma prevedono aggravanti: la pena è aumentata quando si verifica l’evento della compromissione o del deterioramento delle acque o dell’aria, o di porzioni estese o significative del suolo o del sottosuolo; ovvero di un

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ecosistema, della biodiversità, anche agraria, della flora o della fauna; se dal fatto deriva poi un pericolo per la vita o l’incolumità delle persone, la pena è aumentata fino alla metà. Per la presenza di tale delitto nel provvedimento in esame, è stato espunto dal disegno di legge di Ratifica ed esecuzione degli Emendamenti alla Convenzione sulla protezione fisica dei materiali nucleari del 3 marzo 1980, adottati a Vienna l’8 luglio 2005 - approvato definitivamente dalla Camera il 22 aprile 2015 - l’art. 10, che prevedeva una corrispondente fattispecie e le relative aggravanti, all’interno del Titolo VI (Delitti contro la pubblica incolumità), capo I (Delitti di comune pericolo mediante violenza) del codice penale.

Impedimento del controllo

ll delitto di impedimento del controllo (articolo 452-septies CP), punisce con la reclusione da 6 mesi a 3 anni, sempre che il fatto non costituisca più grave reato, chiunque impedisce, intralcia o elude l’attività di vigilanza e controllo ambientale e di sicurezza e igiene del lavoro ovvero ne compromette gli esiti. L’impedimento deve realizzarsi negando o ostacolando l’accesso ai luoghi, ovvero mutando artificiosamente lo stato dei luoghi. Questa fattispecie non costituisce un semplice corollario di quanto disposto dagli articoli precedenti perché è destinata a trovare applicazione ogniqualvolta sia ostacolato un campionamento o una verifica ambientale. Laddove l’ostacolo sia posto, ad esempio, con mezzi meccanici, in base al successivo articolo 452-undecies deve esserne disposta la confisca.

Omessa bonifica

Il delitto di omessa bonifica (articolo 452-terdecies CP) punisce, salvo che il fatto costituisca più grave reato, con la reclusione da 1 a 4 anni e con la multa da 20.000 a 80.000 euro chiunque, essendovi obbligato, non provvede alla

bonifica, al ripristino e al recupero dello stato dei luoghi. L’obbligo dell’intervento può derivare direttamente dalla legge, da un ordine del giudice o da una pubblica autorità. La nuova fattispecie non pare sovrapporsi a quella di cui all’articolo 257 del Codice dell’ambiente, che prevede una contravvenzione (arresto da sei mesi a un anno o ammenda da 2.600 euro a 26.000 euro) per chiunque cagiona l’inquinamento del suolo, del sottosuolo, delle acque superficiali o delle acque sotterranee con il superamento delle concentrazioni soglia di rischio, se non provvede alla bonifica. Inoltre, l’articolo 257 del Codice - come modificato dal disegno di legge - prevede la salvaguardia delle più gravi fattispecie di reato. Il Senato ricorda poi la soppressione dell’articolo 452-quaterdecies del codice penale, volto a punire con la reclusione da 1 a 3 anni l’illecita ispezione di fondali marini: si sanzionava, in particolare, l’utilizzo della tecnica dell’air gun o altre tecniche esplosive per le attività di ricerca e di ispezione dei fondali marini finalizzate alla coltivazione di idrocarburi. Tale tecnica di ispezione finalizzata all’analisi della composizione del sottosuolo marino, riporta il Senato, consiste in spari di aria compressa ad alta intensità sonora, esplosi a determinata distanza l’uno dall’altro. Tale tecnica genera onde riflesse da cui estrarre dati sulla composizione dei fondali marini. L’articolo 2 della Legge n. 68/2015 apporta modifiche anche alla Legge 7 febbraio 1992, n. 150 “Disciplina dei reati relativi all’applicazione in Italia della convenzione sul commercio internazionale delle specie animali e vegetali in via di estinzione, firmata a Washington il 3 marzo 1973, di cui alla legge 19 dicembre 1975, n. 874, e del regolamento (CEE) n. 3626/82” aumentando le sanzioni per i reati previsti dal Regolamento UE che applica le disposizioni della Convenzione di Washington. *Ambienterosa, Consulenze Legali Ambientali **Vice Comandante Polizia Provinciale di Cagliari


NON PIù PUNIBILI I REATI DI LIEVE ENTITà Seconda parte dell’articolo dedicato al D.Lgs. n. 28/2015 e alle modifiche che intervengono sul casellario giudiziale di Rosa Bertuzzi* e Nicola Carboni**

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ella scorso numero di Recover si era affrontata l’analisi del recente Decreto legislativo, in vigore dal 2 aprile 2015, che riguarda i reati di lieve entità. Il D.Lgs. 28/2015 consente ai giudici, qualora valutino che il reato sia di lieve entità, di pronunciare sentenza di non doversi procedere. Il fatto può riguardare tutti i reati in materia ambientale (ad eccezione dei reati gravi, quali le attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, l’associazione a delinquere, la truffa aggravata ai danni dello stato, qualora sia in concorso con altri reati, sempre in materia ambientale). Infatti la norma stabilisce che “nei reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena, la punibilità è esclusa quando, per le modalità della condotta e per l’esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell’articolo 133, primo comma, l’offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale”. Dopo avere analizzato, nella scorsa edizione, le ipotesi, che l’azienda deve provare, al fine di consentire al giudice di applicare la norma, e quindi “assolvere”, anche se il reato si è realizzato, che non era mai stato commesso quel reato, che non erano stati superati limiti edittali, che non si rientra nelle ipotesi del delinquente abituale, ecc. in questo numero ci

soffermeremo sulle modifiche al Testo Unico sul casellario giudiziale e sulla tenuità dell’offesa, elemento centrale della riforma.

Le modifiche al T.U. sul casellario giudiziale

Di interesse per un soggetto titolare di azienda, o Delegato ambientale in azienda, o rappresentante legale della stessa, è sicuramente non avere carichi penali nel casellario giudiziale (la c.d. fedina penale). In questo caso non è possibile illustrare modifiche soddisfacenti agli autori di reati. Infatti il Testo Unico dispone che devono essere iscritti per estratto nel casellario giudiziale “i provvedimenti giudiziari definitivi che hanno prosciolto l’imputato o dichiarato non luogo a procedere per difetto di imputabilità, o disposto una misura di sicurezza, nonché quelli che hanno dichiarato la non punibilità ai sensi dell’art. 131-bis cod. pen.”. La neo introdotta lett. d-bis) dell’art. 5, c. 2 sancisce che devono essere eliminate le iscrizioni relative “ai provvedimenti giudiziari che hanno dichiarato la non punibilità ai sensi dell’art. 131-bis cod. pen., trascorsi dieci anni dalla pronuncia”. Parallelamente, l’art. 24, c. 1 dispone, alla lett. f-bis), che nel certificato generale del casellario giudiziale sono riportate le iscrizioni esistenti nel casellario giudiziale ad eccezione di quelle relative “ai prov-

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vedimenti giudiziari che hanno dichiarato la non punibilità ai sensi dell’art. 131-bis cod. pen., quando la relativa iscrizione non è stata eliminata”. Infine, la nuova lett. f-bis) dell’art. 25, c. 1 prevede che nel certificato penale del casellario giudiziale sono riportate le iscrizioni esistenti nel casellario giudiziale ad eccezione di quelle relative “ai provvedimenti giudiziari che hanno dichiarato la non punibilità ai sensi dell’art. 131-bis cod. pen., quando la relativa iscrizione è stata eliminata”. Cercando di schematizzare le novità apportate al T.U. sul casellario giudiziale, le sentenze di proscioglimento pronunciate ai sensi dell’art. 131-bis cod. pen. devono essere iscritte per estratto nel casellario giudiziale e sono eliminate trascorsi dieci anni dalla loro pronuncia. Queste sentenze non compaiono però nel certificato generale e nel certificato penale del casellario giudiziale richiesto dall’interessato. Ne risulta quindi che l’esclusione dalla punibilità del reato non rappresenta un intervento di depenalizzazione, prevede invece l’accertamento in via definitiva della commissione del reato da parte del soggetto (indagato o imputato) che sarà però dichiarato non punibile ex art. 131bis cod. pen. In base a questa premessa si spiega la previsione dell’iscrizione nel casellario giudiziale dei provvedimenti che abbiano dichiarato la non punibilità

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ai sensi dell’art. 131-bis cod. pen. Questa iscrizione, del resto, permette al giudice di conoscere il trascorso giudiziario del soggetto ed eventualmente escludere (qualora questi commetta un ulteriore reato e ricorrano le condizioni che abbiamo analizzato) l’applicazione dell’art. 131-bis cod. pen. per abitualità del comportamento.

La tenuità dell’offesa, analisi giurisprudenziale

Occorre a questo punto soffermarci con maggiore attenzione sull’elemento centrale della riforma, la tenuità dell’offesa. Come abbiamo visto, il giudice, per rico-

noscere la tenuità dell’offesa, dovrà considerare due aspetti: 1) le modalità della condotta; e 2) l’esiguità del danno o del pericolo. E’ opportuno dar conto della prassi giurisprudenziale in materia, facendo riferimento ad alcuni casi particolari in cui la tenuità dell’offesa è prevista (rectius, compariva all’interno dei codici penale e di procedura penale già prima del D.Lgs. n. 28/2015) come circostanza attenuante (comune ex art. 62, n. 4) cod. pen., ovvero speciale cioè prevista in riferimento ad alcuni specifici reati come il delitto di ricettazione ex art. 648, c. 2) o come causa di non procedibilità (nel processo minorile o nel processo davanti

al giudice di pace), precisando tuttavia che occorrerà attendere qualche mese per comprendere quale sarà la concreta applicazione dell’art. 131-bis cod. pen. da parte dei giudici. In riferimento a pronunce giurisprudenziali relative alla tenuità del fatto, in materia ambientale, la Corte di Cassazione (Cass. Pen., sez. III, 08/10/2008, n. 41855) ha ritenuto la sussistenza di un danno di lieve entità al bene giuridico tutelato (l’ambiente e la regolare edificazione del territorio) “perché le opere avevano avuto un impatto di basso rilievo in quel tratto di alveo”. *Ambienterosa, Consulenze Legali Ambientali **Vice Comandante Polizia Provinciale di Cagliari

DECRETO LEGISLATIVO 16 marzo 2015, n. 28 Disposizioni in materia di non punibilità per particolare tenuità del fatto, a norma dell’articolo 1, comma 1, lettera m), della legge 28 aprile 2014, n. 67. Art. 1 - Modifiche al codice penale

«Art. 131-bis. - (Esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto). Nei reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena, la punibilità è esclusa quando, per le modalità della condotta e per l’esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell’articolo 133, primo comma, l’offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale. L’offesa non può essere ritenuta di particolare tenuità, ai sensi del primo comma, quando l’autore ha agito per motivi abietti o futili, o con crudeltà, anche in danno di animali, o ha adoperato sevizie o, ancora, ha profittato delle condizioni di minorata difesa della vittima, anche in riferimento all’età della stessa ovvero quando la condotta ha cagionato o da essa sono derivate, quali conseguenze non volute, la morte o le lesioni gravissime di una persona. Il comportamento è abituale nel caso in cui l’autore sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza ovvero abbia commesso più reati della stessa indole, anche se ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di particolare tenuità, nonché nel caso in cui si tratti di reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate. Ai fini della determinazione della pena detentiva prevista nel primo comma non si tiene conto delle circostanze, ad eccezione di quelle per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato e di quelle ad effetto speciale. In quest’ultimo caso ai fini dell’applicazione del primo comma non si tiene conto del giudizio di bilanciamento delle circostanze di cui all’articolo 69. La disposizione del primo comma si applica anche quando la legge prevede la particolare tenuità del danno o del pericolo come circostanza attenuante».

Art. 2 Modifiche al codice di procedura penale

1. All’articolo 411 sono apportate le seguenti modificazioni: a. al comma 1, dopo le parole: «condizione di procedibilità» sono inserite le seguenti: «, che la persona sottoposta alle indagini non è punibile ai sensi dell’articolo 131bis del codice penale per particolare tenuità del fatto»; b. dopo il comma 1 è aggiunto il seguente: «1-bis. Se l’archiviazione è richiesta per particolare tenuità del fatto, il pubblico ministero deve darne avviso alla persona sottoposta alle indagini e alla persona offesa, precisando che, nel termine di dieci giorni, possono prendere visione degli atti e presentare opposizione in cui indicare, a pena di inammissibilità, le ragioni del dissenso rispetto alla richiesta. Il giudice, se l’opposizione non è inammissibile, procede ai sensi dell’articolo 409, comma 2, e, dopo avere sentito le parti, se accoglie la richiesta, provvede con ordinanza. In mancanza di opposizione, o quando questa è inammissibile, il giudice procede senza formalità e, se accoglie la richiesta di archiviazione, pronuncia decreto motivato. Nei casi in cui non accoglie la richiesta il giudice restituisce gli atti al pubblico ministero, eventualmente provvedendo ai sensi dell’articolo 409, commi 4 e 5.».

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RECONNET a REMTECH: l’evento speciale organizzato dalla rete per presentare le sue attività di Renato Baciocchi*

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iunta al quarto anno di attività, la rete Reconnet si è notevolmente ampliata, giungendo a quasi 50 membri associati, ed è attualmente strutturata in diversi gruppi di lavoro che stanno sviluppando documenti o strumenti operativi in diversi settori di interesse per la gestione e bonifica di siti contaminati. La rete ha quindi deciso di organizzare un convegno Reconnet nell’ambito di RemTech, giunto alla nona edizione e che sempre di più si afferma come il principale evento nazionale sulle bonifiche dei siti contaminati e la riqualificazione del territorio. L’evento Reconnet, previsto per la mattina del 25 settembre 2015, ha come obiettivo quello di mettere a conoscenza dell’ampia platea di partecipanti a RemTech le motivazioni che hanno condotto alla costituzione della rete, i suoi obiettivi, le attività in corso, i principali documenti e prodot-

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ti elaborati o in corso di elaborazione da parte dei diversi gruppi di lavoro.

Sostenibilità delle bonifiche (Sustainable Remediation Forum / SuRF Italy)

Il gruppo di lavoro, coordinato dall’Ing. Claudio Albano di CH2M e dall’Ing. Paola di Toppa dell’ISPRA, nasce da una iniziativa di un gruppo di esperti, attivi a livello nazionale nel mondo delle bonifiche dei siti contaminati e sensibili al tema della sostenibilità, che nel 2012 comincia a ragionare sull’opportunità di lavorare insieme per diffondere la pratica della Sustainable Remediation tra gli addetti ai lavori e per promuovere iniziative simili a quelle già avviate in altri Paesi e a livello internazionale. All’inizio del 2013, il gruppo formalizza l’avvio di SuRF Italy, che si costituisce come Gruppo di Lavoro tematico della rete Reconnet. La finalità proposta dal gruppo di lavoro è quella di costituire

un tavolo permanente di confronto, a livello nazionale, tra gli attori coinvolti nella gestione e bonifica di siti contaminati, per la definizione ed applicazione di pratiche ed approcci condivisi di sostenibilità degli interventi. SuRF Italy ha in primo luogo fornito la definizione di bonifica sostenibile come “Il processo di gestione e bonifica di un sito contaminato, finalizzato ad identificare la migliore soluzione, che massimizzi i benefici della sua esecuzione dal punto di vista ambientale, economico e sociale, tramite un processo decisionale condiviso con i portatori di interesse”. Il GdL SuRF Italy ha già prodotto un primo documento, il Libro Bianco sulla sostenibilità nelle bonifiche, che dopo una panoramica delle iniziative internazionali in tema di Sustainable remediation, del contesto nazionale dal punto di vista normativo e dello sviluppo del mercato in Italia, discute i principi, l’ambito di applicazione e le


principali linee di attività ritenute necessarie per l’implementazione di un approccio sostenibile ai processi di bonifica in Italia. Infine, il documento presenta una decina di casi di studio principalmente legati a siti italiani, ma anche con alcuni casi internazionali. Attualmente, è in fase avanzata di elaborazione un secondo documento - Criteri Operativi per la Sostenibilità nelle Bonifiche in Italia – che si propone come documento di carattere operativo, volto ad offrire una linea guida, a base volontaria, che i responsabili di un iter di bonifica, siano essi i soggetti responsabili dell’area o le autorità di controllo, possano adottare per approcciare il processo secondo le migliori prassi della Sustainable Remediation. Il GdL SuRF Italy ha infine attivamente contribuito alla promozione ed organizzazione di SustRem2014, terza conferenza Internazionale sulla Sustainable Remediation, ospitata a Ferrara a settembre 2014 e sta partecipando attivamente nell’ambito del comitato scientifico del prossimo SustRem2016, che si svolgerà a Montreal, Canada ad aprile 2016.

Interazione tra bonifiche e discarica

Il gruppo di lavoro che si occupa delle problematiche legate alla interazione tra discarica e procedimenti di boni-

fica, coordinato dal Dott. Igor Villani della Provincia di Ferrara e dall’Ing. Andrea Forni dell’Ordine degli Ingegneri della Provincia di Bologna, ha elaborato un documento dal titolo “Determinazione e gestione dei livelli di guardia per il monitoraggio delle discariche e relazione con i siti contaminati”, di prossima pubblicazione sul sito della rete. Nel documento si percorre la sottile linea che passa tra impatto dell’impianto di discarica ed evento di inquinamento, tra intervento di bonifica e opere di manutenzione straordinaria, tra matrici potenzialmente contaminate ed annessi impiantistici “sporcati” dai contaminanti. Lo studio si snoda attraverso l’analisi delle emissioni delle discariche sia in relazione alle acque sotterranee che alle emissioni in atmosfera, concentrandosi sulle metodiche di monitoraggio al fine di individuare con chiarezza il punto cruciale delle valutazioni, vale a dire l’identificazione di una reale anomalia nelle matrici ambientali e, soprattutto, il nesso causale con l’attività della discarica. Sono state inoltre elaborate alcune strategie gestionali, integrabili nell’Autorizzazione Integrata Ambientale, con la funzione di incanalare gli eventi nella corretta cornice amministrativa, evitando le commistioni procedurali tra istruttorie autorizzative e di bonifica. A completamento è stato anche inserito un caso

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studio a cura di ARTA Abruzzo per una discarica nel territorio di competenza. La metodologia presentata nel documento consente di mettere a punto un sistema di supporto alle decisioni, per la gestione di eventi significativi sicuramente riconducibili a perdite di percolato e di gas dal corpo della discarica. Per le acque di falda, oltre ad essere sensibile e tempestivo nel rilevare anomalie (valore delle soglie di un ordine di grandezza più basse rispetto a quelle normalmente impiegate in circostanze simili), consente un utilizzo razionale di risorse economiche, in quanto basato sul semplice controllo di pochi parametri (di norma pari a tre) selezionati in base alla mobilità degli stessi nel mezzo insaturo/ saturo e dalla significativa presenza nel percolato. Questo ultimo aspetto, la “significativa” presenza nel percolato, è di particolare importanza per evitare di associare plume di contaminazione generati da sorgenti estranee all’impianto di discarica, e di attivare inutilmente eventuali procedimenti di bonifica, onerosi sia per il gestore dell’impianto che per gli enti di controllo. Per la matrice aria vengono fornite utili indicazioni per la determinazione ed identificazione di limiti di riferimento, rappresentanti attualmente l’aspetto più cruciale della tematica sia per i soil gas che per l’aria ambiente. In parallelo ai lavori del GdL è sta-

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RECONNET

to anche sviluppato il secondo software della rete RECONnet, chiamato LEACH8 e programmato per la determinazione dei criteri di accettabilità in discarica. Autore del software è l’ing. Iason Verginelli, come per il Risk-net, supportato da un gruppo di sviluppo. L’applicativo è costruito in linea con le norme e le direttive nazionali, comprendendo chiaramente tutti i margini di opzionabilità in funzione del caso specifico e delle decisioni amministrative dei diversi territori. Il software sarà a breve disponibile in versione beta sul sito della Rete RECONnet.

Intrusione di vapori

Il gruppo di lavoro sull’intrusione di vapori, coordinato dall’Ing. Simona Berardi di INAIL e dall’Ing. Iason Verginelli dell’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” ha in primo luogo predisposto un questionario su “Criteri e metodologie di analisi del soil-gas nell’ambito di procedimenti di bonifica, inviato alle società private appartenenti alla rete RECONnet che operano nel settore”. Tale questionario ha consentito da un lato di evidenziare le modalità con le quali viene tipicamente gestito il percorso di intrusione di vapori nell’ambito dei procedimenti di bonifica, ma anche di evidenziare le principali criticità, consentendo di individuare alcune delle tematiche oggetto di studio e approfondimento da parte del GdL RECONnet. Le principali problematiche individuate sono: la procedura per la valutazione del rischio associato all’inalazione di vapori nel caso in cui si effettuino campagne di indagine diretta dell’aria o del soil-gas; le concentrazioni di riferimento utili per il confronto con i valori analiticamente determinati nei comparti ambientali aria o soilgas; le concentrazioni di riferimento nel suolo insaturo e nella falda (CSR) a partire dalla concentrazione in aria o nel soil gas; le metodiche e tecniche di campionamento e di analisi di soil-gas o aria; l’assenza di criteri utili per differenziare i contributi provenienti dalle diverse matrici ambientali; la modellistica analitica attualmente utilizzata; i parametri di esposizione e sito specifici ad oggi utilizzati per l’applicazione della modellistica. Su questa base, è

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in fase di elaborazione un documento sulla “Vapor Intrusion”, strutturato in quattro capitoli che affronteranno i criteri di utilizzo del dato misurato, i metodi di campionamento e di misura per il soil gas e l’aria ambiente, proposte di implementazione della modellistica analitica ed infine proposte di aggiornamento dei parametri sito specifici e di esposizione.

La nuova release del software Risk-net: versione 2.0

Il software Risk-net v. 2.0 è stato sviluppato dall’Ing. Iason Verginelli nell’ambito della rete RECONnet su iniziativa del Dipartimento di Ingegneria Civile e Ingegneria Informatica dell’Università di Roma “Tor Vergata”. La nuova release del software, attualmente il tool di riferimento a livello nazionale per l’applicazione dell’analisi di rischio, e il relativo manuale d’uso sono scaricabili gratuitamente dal sito della rete Reconnet (www.reconnet. net), unitamente al documento di validazione prodotto dalla rete, nel quale viene riportato un esame più dettagliato del processo di validazione del software. Rispetto alla versione precedente, Risk-net 2.0 presenta diverse novità ed aggiornamenti. Tra queste, si segnalano: l’implementazione di default della nuova banca dati ISSINAIL (2015); la possibilità di utilizzare dati di soil-gas per la stima del rischio da inalazione outdoor e indoor e delle corrispondenti CSR; la possibilità di stimare le CSR anche non tenendo conto delle condizioni di saturazione, introdotta per consentire eventuali valutazioni supplementari potenzialmente utili nell’inquadramento generale del sito; l’inclusione di recettori off-site, esposti ad inalazione outdoor prevedendo sia il trasporto in falda e la successiva volatilizzazione o la volatilizzazione da falda e il successivo trasporto in atmosfera; la possibilità di includere una lente a bassa permeabilità tra sorgente e piano campagna nel percorso di volatilizzazione; il calcolo automatico delle CSR per idrocarburi (totale, C<12 e C>12) sulla base delle CSR calcolate usando speciazione TPH WG o MADEP; introduzione del

fattore di aggiustamento (ADAF) da applicare ai parametri tossicologici di alcune sostanze cancerogene utilizzati per il recettore bambino; vincolo all’applicazione dei modelli basati sul bilancio di materia, per tenere conto della presenza della fase separata. Prima di essere pubblicato, il software Risk-net è stato distribuito in versione di valutazione (beta version) e sottoposto ad una prima validazione da parte di alcuni membri della rete Reconnet applicando alcune specifiche metodologie al fine di verificare la correttezza del modello, l’individuazione di eventuali errori di implementazione e la verifica della funzionalità del sistema. Tale validazione ha evidenziato che il software Risk-net 2.0 restituisce risultati pressoché coincidenti a quelli ottenuti con RBCA Tool Kit, RACHEL e Risk-net 1.0 per tutte le vie di esposizione, mentre per le vie di esposizione volatilizzazione in/outdoor da SS, SP e GW e per il rischio per la risorsa idrica RISC5 e Giuditta forniscono dei risultati in alcuni casi significativamente diversi rispetto a quelli ottenuti con il software Risk-net 2.0.

Analisi di rischio ecologico

Il gruppo di lavoro “Analisi di rischio ecologico: attività propedeutiche alla elaborazione di criteri e approcci da adottare per la sua applicazione, con riferimento ad approcci internazionali”, coordinato dall’Ing. Guia Agostini e dal Prof. Renato Baciocchi dell’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” si pone come obiettivo la definizione, sulla base delle esperienze internazionali già consolidate, di una possibile procedura per l’applicazione dell’analisi di rischio ecologico in Italia. Al momento, è in fase di definizione un primo documento, che riporta una analisi delle principali procedure di ERA adottate a livello internazionale. Dall’analisi degli standard internazionali è emerso che tutte le procedure analizzate propongono un approccio graduale basato su livelli successivi (“tiered approach”). Tale approccio consiste in livelli successivi di approfondimento, con un incremento di dati sito specifici al crescere del livello e quindi con il progressivo abbandono delle ipotesi


conservative iniziali formulate in base a dati sito-generici. Sulla base dello studio effettuato è stato sviluppato un indice delle attività che verranno svolte all’interno del gruppo di lavoro ERA della rete Reconnet, con la produzione di documentazione tecnica per l’applicazione della procedura di ERA. In analogia con la scelta fatta dal legislatore di fare riferimento allo standard RBCA in materia di analisi di rischio sanitario, si è scelto di seguire l’approccio contenuto nello standard eco_RBCA (ASTM E2205/E2205M 2002 – reapproved 2009). Tale standard prevede un approccio suddiviso in quattro livelli; pertanto è stato scelto di redigere dei documenti specifici per i singoli livelli, preceduti da un documento generale di inquadramento delle procedure di ERA. I documenti elaborati dal gruppo di lavoro saranno gradualmente pubblicati sul sito della rete Reconnet, con l’auspicio che possano essere di utilità e di riferimento per l’applicazione dell’analisi di rischio ecologico.

Le fitotecnologie nella bonifica dei siti contaminati

Il gruppo di lavoro, coordinato dall’Ing. Andrea Sconocchia di ARPA Umbria, nasce con l’intento di creare un polo scientifico di riferimento per l’applicazione delle fitotecnologie al settore delle bonifiche dei siti contaminati. Il crescente interesse per questo approccio e l’assenza di un polo di riferimento per confrontarsi sulle problematiche connesse ha avuto come conseguenza il permanere di criticità, di dubbi di natura tecnico-legale e di disomogeneità di approccio. Le finalità del gruppo sono quindi quelle di collaborare nello studio e approfondimento delle problematiche di natura tecnologica e normativa che rallentano l’affermarsi dell’impiego delle fitotecnologie per la bonifica dei siti contaminati. L’obiettivo è quindi quello di elaborare proposte per la soluzione degli elementi ostativi allo sviluppo anche attraverso la condivisione e la raccolta sistematica delle esperienze dirette e/o indirette dei partecipanti al gruppo. Contestualmente, il gruppo provvederà a diffondere i risultati delle

proprie attività mediante eventi e materiale formativo/informativo. Il GdL, che ha completato la sua strutturazione nei primi mesi del 2015, intende affrontare i seguenti temi: l’inquadramento normativo degli interventi di fitorimedio; aspetti tecnico-applicativi con particolare riferimento all’impiego dei vegetali per la caratterizzazione ed il monitoraggio dei siti contaminati e alle fitotecnologie rispettivamente per la bonifica e messa in sicurezza di siti contaminati; valutazione degli strumenti per la valutazione della sostenibilità comparata dell’approccio “Fito”; valorizzazione di prodotti e sottoprodotti della filiera attraverso l’uso delle biomasse e tecniche di chimica verde (as es. phytomining) e del capitale naturale.

Siti Contaminati e gestione del territorio in termini urbanistico-edilizi

Il gruppo di lavoro, coordinato dal Dott. Igor Villani della Provincia di Ferrara e dall’Ing. Jean Pierre Davit di Golder, si prefigge di esaminare le problematiche connesse al rapporto tra la disciplina dei Siti Contaminati e la gestione del territorio, con un focus sulla riqualificazione in connessione al consumo di suolo. Il ripristino e la salvaguardia del territorio rappresentano i temi di punta della odierna pianificazione ma gli strumenti a disposizione non sono evoluti al pari delle esigenze. Obiettivo è quello di chiarire la natura e le caratteristiche delle principali problematiche e di studiare nuove strategie, ed eventualmente di sviluppare appositi tools, a supporto del governo del territorio per la rigenerazione e riqualificazione dei siti contaminati. Il gruppo di lavoro all’interno della Rete RECONnet è di nuova formazione ed il documento è attualmente in elaborazione.

Attività del gruppo di lavoro sui Persistent Organic Pollutants

Il gruppo di lavoro sui Persistent Organic Pollutants (POP), coordinato dall’Ing. Elisabetta Bemporad di INAIL, si pone come obiettivo primario quello di redigere un documento che possa costituire un riferimento condiviso

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in merito alla problematica dei POP e degli inquinanti emergenti nell’ambito delle bonifiche. Dall’analisi del quadro normativo attuale, deriva che i suoli e le acque sotterranee in cui si presume la presenza di livelli significativi di POP via via inclusi nel Regolamento CE n.850/2004, da ultimo modificato nel dicembre 2014 (Regolamento UE n.1342/2014), debbano essere sottoposti ad accertamento al fine di verificarne l’eventuale contaminazione. Ad oggi però il D.Lgs. 152/06, Parte IV, Titolo V, fornisce i valori delle Concentrazioni Soglia di Contaminazione (CSC) soltanto per alcuni dei POP regolamentati. Non sono invece previste soglie per gli altri POP, con particolare riferimento a quelli di recente regolamentazione. Da tale carenza è scaturita l’opportunità di istituire il Gruppo di Lavoro, il cui l’ambito di interesse in futuro potrebbe essere esteso a tutti i cosiddetti inquinanti emergenti. Il documento attualmente in fase di elaborazione si propone principalmente di identificare le specifiche sostanze che rientrano nella definizione di “POP” e/o di “inquinanti emergenti” e le loro caratteristiche; proporre valori soglia, inizialmente per il comparto ambientale suolo, per siti a destinazione d’uso, sia industriale/commerciale, sia residenziale; divulgare gli strumenti normativi esistenti ed in corso di elaborazione a livello internazionale ed europeo e come questi si interfacciano e possano impattare sulla normativa nazionale; confrontare tali valori soglia con gli analoghi definiti da altri Paesi; identificare potenziali sorgenti (storiche) e livelli antropici di fondo e fornire indicazioni sulle possibili tecniche di bonifica.

Ringraziamenti

L’articolo è stato scritto sulla base dei contributi preparati dai coordinatori dei gruppi di lavoro della rete Reconnet per gli Atti dei Convegni Remtech 2015. Un ringraziamento particolare va pertanto a tutti i coordinatori, ma ovviamente anche a tutti i membri dei GdL che hanno dato un contributo rilevante all’elaborazione dei documenti e degli strumenti di calcolo. *Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”

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VETRINA

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EUROVIX: TRATTAMENTO BIOLOGICO DI TERRENI CONTAMINATI DA PCB

Eurovix, primaria azienda italiana nel settore delle biotecnologie applicate all’ambiente presenta un importante lavoro riguardante il trattamento biologico di terreni contaminati da PCB (Policlorobifenili) attraverso l’allestimento di biopile statiche e con l’ausilio di bioattivatori enzimatico–microbici e di nutrienti al fine di accelerare le cinetiche di reazione e di garantire il giusto apporto di nutrienti. L’area oggetto dell’intervento è situata nel comune di Verona ed in passato vi era localizzata una cartiera che ha operato a partire dagli inizi del secolo scorso fino agli anni ’80 dello stesso. La contaminazione deriva dalle operazioni di demolizione e smantellamento degli impianti. In particolare i trasformatori elettrici furono saccheggiati con conseguente perdita di olio diatermico che ha originato la suddetta contaminazione. Attualmente l’area è oggetto di un progetto di trasformazione per la realizzazione di edifici commerciali e residenziali. La scelta di effettuare un trattamento biologico deriva da considerazioni tecniche ed economiche premesso che i livelli di contaminazione riscontrati non permettevano lo smaltimento dei terreni tal quali. Il lavoro ha previsto il trattamento di circa 4500 mc di terreni con contaminazione media superiore ai 100 ppm. Ad oggi, dopo circa 9 mesi di trattamento, si è ottenuta una riduzione media di oltre il 50% ed è plausibile aspettarsi il raggiungimento degli obiettivi prefissi cioè di ridurre la contaminazione al di sotto dei 50 ppm.

Amsa e le trasmissioni Allison al lavoro ad Expo 2015 Una città in fibrillazione. Circa 100.000 visitatori al giorno. Expo 2015 non è solo un evento storico per Milano; è anche un’enorme sfida per Amsa, l’azienda milanese che gestisce il ciclo integrato dei rifiuti, la pulizia delle strade e i servizi ambientali della città. Per affrontare e superare questa sfida, con l’inizio di Expo sono entrati in operatività 55 nuovi mezzi Iveco. Daily, Eurocargo e Stralis utilizzati per la pulizia stradale delle zone centrali di Milano, la raccolta rifiuti nelle zone limitrofe a Expo e la raccolta dell’umido. Di questi, ben 33 (spazzatrici e compattatori medi Eurocargo e compattatori pesanti Stralis) sono allestiti con trasmissioni completamente automatiche Allison, che vanno ad aggiungersi ai 400 veicoli con gli automatici Allison già in flotta. Coerentemente con il tema di Expo 2015, la sostenibilità, i mezzi sono tutti a trazione alternativa; l’abbinamento agli automatici Allison consente di sfruttare al meglio il combustibile, notoriamente meno scattante allo spunto: grazie al convertitore integrato che moltiplica la coppia e trasferisce la potenza alle ruote in maniera continua e dolce, prestazioni e produttività sono sempre al massimo livello, anche con coppie motore ridotte. L’ing. Mauro Colombo, Responsabile Ingegneria e Manutenzione Automezzi di Amsa racconta: “I principali vantaggi nell’utilizzo di trasmissioni automatiche sono legati alla ridotta necessità di manutenzione in confronto a cambi meccanici o robotizzati, soprattutto per la mancata presenza della frizione, considerato l’impiego “Stop & go”. Per noi è fondamentale avere automezzi efficienti e che necessitino di limitati interventi manutentivi, oltre che efficaci per il servizio stesso. I guasti e le rotture incidono molto sul rischio di alterare la programmazione del servizio svolto e i risultati operativi. La scelta tecnologica è stata fatta anche per offrire la massima continuità di servizio in un momento così topico per Milano”. Simona Pilone, responsabile OEM di Allison Transmission racconta: “Con Amsa abbiamo un rapporto di altissima collaborazione. L’ingegneria di Amsa ha una grande lungimiranza tecnologica e abbiamo più volte collaborato per la messa a punto di soluzioni dedicate, a volte anche create appositamente perchè non in produzione nello standard dei costruttori. In Amsa c’è una grande curiosità di apprendere e migliorare e questo è di stimolo anche per noi a fare del nostro meglio”. Perfette per Expo, perfette per ogni città!

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Doosan punta al primo posto nel mercato mondiale delle macchine compatte Doosan Infracore Bobcat Holding (DIBH) ha inaugurato il suo nuovo Centro per l’Innovazione nello stabilimento di Dobris, in Repubblica Ceca. Il nuovo Centro per l’Innovazione è parte integrante del Campus Doosan di Dobris, che integra nello stesso sito R&D, produzione, logistica e formazione in una combinazione unica che, nelle intenzioni dell’azienda, contribuirà a fare di Doosan il Numero Uno al mondo nel mercato delle macchine compatte. La cerimonia di apertura del Centro per l’Innovazione è stata presentata da Jose Cuadrado, Vicepresidente del settore macchine compatte per Europa, Medio Oriente e Africa (EMEA) e ha visto la partecipazione di Scott Park, Presidente e CEO di Doosan Infracore Bobcat Holdings (DIBH) e Martin Knoetgen, Presidente di DIBH per l’area EMEA. All’evento ha partecipato anche l’ambasciatore coreano in Repubblica Ceca, Sua Eccellenza l’Ambasciatore Hayong Moon. Jose Cuadrado ha dichiarato: “Il nuovo Centro per l’Innovazione dimostra l’impegno a lungo termine di Doosan e il coraggio con il quale l’azienda ha deciso di investire nel mondo sull’elemento umano e sull’introduzione di soluzioni industriali e aziendali innovative mentre l’Europa e il resto del mondo affrontavano una grave crisi economica. Integrando ogni aspetto delle nostre operazioni e delle procedure di sviluppo dei prodotti in un unico sito - ideazione, progettazione, fornitura di componenti, produzione, marketing, aftermarket, distribuzione e formazione per i clienti e le concessionarie EMEA - il Campus Doosan apporterà enormi vantaggi all’intera azienda”.

CAPSTONE SUPPORTER UFFICIALE DEL 55° ANNIVERSARIO DELLE FRECCE TRICOLORI Capstone, leader mondiale nelle microturbine a gas con tecnologia oil free, brevetto che consente alle macchine di operare senza liquidi lubrificanti al loro interno con un principio di funzionamento simile a quello di un jet aeronautico, insieme a IBT Group, distributore esclusivo per l’Italia dell’azienda americana specializzato in soluzioni per il risparmio energetico, è tra i supporter ufficiali del 55° Anniversario della Pattuglia Acrobatica Nazionale, la manifestazione aerea organizzata dall’Aeronautica Militare il 5 e 6 settembre 2015 sull’aeroporto militare di Rivolto (Udine). Non è un caso che Capstone abbia scelto di diventare supporter delle Frecce Tricolori: non solo, infatti, la nascita del principale brevetto della tecnologia Capstone, i cuscinetti ad aria, deriva dalla ricerca aerospaziale USA, ma l’azienda americana ha annunciato anche l’imminente lancio di un particolare modello di turbina, funzionante con combustibili JetA, JetA1 e JP-8. Una nuova applicazione che potrebbe rivoluzionare, in un’ottica di sostenibilità ambientale, l’impiego del combustibile di scarto usato per gli aerei, rendendolo quindi utile ad alimentare un impianto di cogenerazione all’interno di un aeroporto/base aerea. La tecnologia con turbina a gas oil-free è oggi leader consolidata nel mercato per la creazione di sistemi di autoproduzione energetica che assicurano, in alcuni specifici settori dove le caratteristiche uniche delle turbine – in primis i fumi pulitissimi e la capacità di modulare – fanno sì che sia il miglior investimento tra le tecnologie presenti sul mercato, contribuendo a far risparmiare almeno il 30% di energia primaria e migliaia di tonnellate di CO2 alle aziende che hanno installato questa tecnologia. Questi tipi di impianti di cogenerazione, alimentati a gas, consentono infatti di risparmiare energia primaria ottenendo al tempo stesso vettore termico gratuito che può essere usato in assetto trigenerativo anche per produrre acqua fredda per l’impianto di condizionamento. Vantaggi di cui potrebbero beneficiare presto anche le basi aeree, sia militari che civili: questo perché il combustibile di scarto potrebbe, infatti, essere riutilizzato in loco per alimentare una turbina a gas oil free e produrre quindi energia con notevoli benefici sia in termini economici che ambientali.

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LIBRI IL PELLET

A cura di Alessandro Guercio e Giuseppe Toscano In Italia milioni di persone utilizzano il pellet, ma molte altre sono interessate, pensando di installare una stufa a pellet nella propria abitazione oppure diventandone produttori. Il volume tratta di questi biocombustibili densificati, dal pellet di legno all’agripellet da residui agricoli, analizzati dal punto di vista economico, tecnologico ed ambientale. Il volume sviluppa questi concetti in tre parti, la prima parte fornisce una lettura del mercato del pellet nella sua interezza, valutando gli aspetti normativi, le tendenze in atto e gli sviluppi del mercato; la seconda riguarda il processo di produzione del pellet, definendo un quadro completo delle tecnologie produttive disponibili e degli equilibri ambientali ed economici di tutto il processo dando inoltre spazio all’agripellet; infine l’ultima riguarda l’utilizzo del pellet, soprattutto nelle stufe domestiche in Italia. Il volume offre anche una serie di spunti sugli utilizzi finali, principalmente riferiti al riscaldamento, oltre ad una panoramica sugli usi cogenerativi e industriali.

Dario Flaccovio Editore (190 pagine – € 28,00)

MANUALE PER IL GESTORE DELL’IMPIANTO BIOGAS A cura di Mario A. Rosato

Nell’ultimo decennio il forte sviluppo del biogas in Italia ha portato il nostro Paese ad essere il secondo mercato europeo e il terzo al mondo, dopo Germania e Cina. Il volume offre tre strategie, indipendenti, ma complementari, per ottimizzare il rendimento di un impianto di digestione anaerobica: il disegno ottimale dell’impianto, gli impianti non sempre sono progettati in modo ottimale, per svariate ragioni; l’aumento della quantità netta di metano per tonnellata di substrato per l’alimentazione del digestore; la gestione ottimale del processo in modo da massimizzare la quantità di metano per metri cubi di digestore. L’obiettivo del volume è di fornire un’idea chiara su quali grandezze misurare, e con quali strumenti, per dare indicazioni utili alla pianificazione delle prove di laboratorio funzionali alla strumentazione posseduta. Il libro ha un taglio pratico, per consentire al lettore di imparare a ottimizzare un impianto di biogas in modo semplice, veloce e con un investimento marginale rispetto ai costi dell’impianto e dell’assistenza fornita da terzi.

Editoriale Delfino (183 pagine – € 28,00)

PRONTUARIO DEI LIMITI E PARAMETRI AMBIENTALI 2015 A cura di Marcello Franco

Il volume rappresenta un appuntamento annuale con il “Prontuario dei limiti e parametri ambientali”, che fornisce tabelle e schede fissanti i limiti e i parametri di riferimento sulle principali tematiche ambientali. Il libro è suddiviso in nove sezioni, in ognuna delle quali viene affrontato un tema inerente l’ambiente: gli scarichi idrici, dagli scarichi di acque reflue urbane agli scarichi idrici derivanti dalla depurazione di fumi da incenerimento e coincerimento; le emissioni in atmosfera, dai limiti di accettabilità delle emissioni in atmosfera alle emissioni degli impianti di incenerimento e coincenerimento dei rifiuti; la classificazione e codifica dei rifiuti, dalle caratteristiche di pericolo all’elenco europeo (CER); lo smaltimento e recupero dei rifiuti, dalle operazioni di smaltimento e recupero ai criteri di ammissione in discarica, secondo il D.M. 27 settembre 2010; la bonifica dei siti contaminati; l’inquinamento acustico; l’inquinamento elettromagnetico; l’autorizzazione integrata ambientale (IPPC-AIA) e la valutazione di impatto ambientale; le sostanze pericolose: dalla direttiva 67/548/CEE ai consigli di prudenza.

Hyper Edizioni (112 pagine – € 29,00)

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APPUNTAMENTI Forlener

Torino, dal 25 al 27 settembre

Forlener è il Salone dell’Energia dal Legno, l’unica manifestazione che propone prodotti, servizi e tecnologie secondo una logica di filiera di gestione forestale, colture legnose, raccolta e prima trasformazione del legno. Forlener nella città delle Alpi diventa la principale manifestazione dell’energia dal legno trovando a Torino la sua collocazione più naturale. Inoltre, la possibilità di mettere in funzione e in piena sicurezza macchinari, attrezzature e impianti termici, offre all’espositore un’opportunità in più per convincere gli acquirenti.

www.forlener.it

ROMA, dal 1° al 2 ottobre

Forum CompraVerde

La IX edizione di CompraVerde-BuyGreen, Forum Internazionale degli Acquisti Verdi, si propone come sede privilegiata in cui conoscere, aggiornarsi e confrontarsi sull’importante comparto degli acquisti verdi e delle produzioni sostenibili nel nostro Paese. In questa edizione viene riproposta la formula innovativa e vincente di una due giorni ricca di approfondimenti e opportunità di business per gli operatori della Green Economy.

www.forumcompraverde.it

Sardinia

Santa Margherita di Pula, dal 5 al 9 ottobre

Sardinia si preannuncia come l’evento più importante dell’anno nel campo della gestione sostenibile dei rifiuti e dello scarico controllato. Il programma si articolerà in otto sessioni parallele con incontri, workshop e una sessione poster. Prima dell’inizio del Simposio si svolgeranno alcuni corsi di aggiornamento organizzati dall’IWWG. Durante la conferenza si terrà un’esibizione nella quale istituzioni, organizzazioni e ditte promuoveranno servizi e tecnologie. www.sardiniasymposium.it

PARIGI, dal 13 al 15 ottobre

World Efficiency

World Efficiency è il primo evento biennale per gli attori politici ed economici alla ricerca di soluzioni per le risorse e il clima. Questo nuovo evento scaturisce dal desiderio degli organizzatori di Pollutec di creare uno spazio per gli attori coinvolti nello sviluppo di soluzioni al servizio del pianeta e delle aziende. Il congresso crea una cornice ideale per la realizzazione di progetti verdi, permettendo a uomini d’affari e a politici di imparare e di discutere degli obiettivi e delle sfide per la conservazione delle risorse e la lotta contro il cambiamento climatico.

www.world-efficiency.com

VERONA, DAL 27 AL 28 OTTOBRE

Acquaria

Acquaria - Mostra Convegno Tecnologie per l’Analisi, la Distribuzione e il Trattamento dell’Acqua e dell’Aria - è un evento verticale giunto alla sesta edizione che unisce una parte espositiva a una componente formativa. Sarà presente un’area espositiva dove incontrare i principali leader di settore e saranno organizzati numerosi workshop di approfondimento, seminari, corsi di formazione con casi applicativi a cura delle aziende partecipanti.

www.expoacquaria.com

Ecomondo

RIMINI, dal 3 al 6 novembre

Ecomondo è il luogo ideale dove connettersi con gli operatori dell´industria della Green economy e dell´economia circolare, chiudere accordi commerciali, generare valore e acquisire clienti. Rappresenta, nell’area mediterranea, la vetrina più completa sulle soluzioni tecnologiche avanzate e sostenibili per la corretta gestione e valorizzazione del rifiuto (in tutte le sue tipologie), la gestione e la valorizzazione dell’acqua (delle acque reflue e dei siti e comparti marini inquinati), l’efficienza nell’uso e nella trasformazione delle materie prime e seconde e l’utilizzo di materie prime rinnovabili.

www.ecomondo.com

mcT Petrolchimico

San Donato Milanese, 25 novembre

mcT Petrolchimico - Mostra Convegno Tecnologie per l’Industria Petrolchimica - è la vera iniziativa verticale di riferimento per i professionisti impegnati nel settore del Petrolchimico e dell’industria di Processo. Giunto quest’anno alla settima edizione l’evento, organizzato da EIOM, oltre alla sessione congressuale, prevede un’importante area espositiva e una serie di workshop tecnico-applicativi pomeridiani di approfondimento, così da consentire agli operatori partecipanti di esaminare in modo specifico le tecnologie del momento.

www.eiomfiere.it/mctpetrolchimico_milano

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Anno 8 - Numero 32 – Settembre 2015 ISSN 2421-2938

Direttore responsabile: Massimo Viarenghi Direttore commerciale: Maria Beatrice Celino Coordinamento editoriale: Maeva Brunero Bronzin Collaboratori: Enrico Alberico, Renato Baciocchi, Cristina Balducci, Michel Benedettini, Rosa Bertuzzi, Milena Bianchi, Giorgio Bissolotti, Angiolo Calì, Nicola Carboni, Daniele Carissimi, Maria Beatrice Celino, Marco Ciccarelli, Massimiliano Paolo Confalonieri, Gaetano Di Bella, Paolo Di Giovanni, Gianlorenzo Minarini, Michele Notarnicola, Michele Paolucci, Eleonora Pasinetti, Michela Peroni, Maria Luigia Tedesco, Laura Veneri, Gaspare Viviani, Sandro Zaniboni

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Comitato Scientifico: Maria Rosaria Boni (Sapienza Università di Roma) Daniele Cazzuffi (CESI spa – RemTech) Laura D’Aprile (MATTM, Roma) Luciano De Propris (Consulente ambientale) Ennio Forte (Università degli studi di Napoli) Luciano Morselli (Università di Bologna) Andrea Quaranta (Giurista ambientale – Cuneo) Gian Luigi Soldi (Città Metropolitana di Torino) Federico Vagliasindi (Università di Catania) Maria Chiara Zanetti (Politecnico di Torino) Ufficio commerciale - Vendita spazi pubblicitari: Maria Beatrice Celino Tel. 011 7497964 Cell. 335 237390 e-mail: b.celino@deaedizioni.it Grafica, disegni e impaginazione: Roberto Fatiga - email: grafica.advespa@gmail.com Abbonamenti: Italia annuo € 40,00 - estero annuo € 75,00 copia singola € 12,00 - arretrati € 14,00 Per abbonarsi è sufficiente fare richiesta a info@deaedizioni.it

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