RECOVER magazine n.33

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Poste Italiane Spa - Sped. in a.p. - D. L. 353/2003 cov. in L. 46/2004, art1, c1 - CB-NO/Torino - Anno 8 n. 33 - ISSN 2421-2938 DEA edizioni s.a.s. Corso Tassoni 79/4 - 10143 Torino

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la sostenibilità di sistemi d’intervento a basso impatto ambientale

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E DI TO R I A L E

EDITORIALE Stiamo perdendo la retta via? Ormai da tempo, e con sempre maggior insistenza, uno degli aggettivi più utilizzati quando si parla di ambiente, rifiuti o risorse è “circolare”. Quasi sempre questo termine viene utilizzato in abbinamento con “economia” dando vita ad un concetto, quello di economia circolare appunto, che rappresenta una svolta risolutiva ma soprattutto una risposta concreta per trovare una soluzione ad un sistema ormai in crisi in cui la crescente domanda di risorse non tiene conto dei limiti del sistema stesso. L’economia lineare, la retta via appunto, ha mostrato la sua inapplicabilità nel mondo moderno e le sue devastanti conseguenze tanto da rendere sempre più urgente questo cambiamento di visione globale improntata sulla circolarità del sistema. Su questo, come su molti altri numeri di questa rivista, abbiamo raccontato numerosi esempi virtuosi di impianti e soluzioni che mettono in pratica il concetto di economia circolare minimizzando l’utilizzo di risorse e massimizzando il recupero dei rifiuti. Esempi che dimostrano una volontà di cambiamento che parte dagli imprenditori che investono nella ricerca e in tecnologie anche se spesso non supportati adeguatamente né dalla politica né dalla normativa vigente. Sebbene se ne parli ormai ovunque e sebbene ne parli ormai chiunque, addirittura Papa Francesco nella sua enciclica Laudato si’ si è espresso sul tema, il passaggio ad uno schema circolare presenta una serie di rischi e ostacoli che necessitano di politiche concrete a livello comunitario, se non globale, che supportino i consumatori nell’evoluzione dei comportamenti e delle abitudini e gli imprenditori nell’adeguarsi ai nuovi modelli. In questo contesto il mercato dei rifiuti assume una valenza fondamentale e luogo d’elezione per affrontare la tematica sarà anche Ecomondo, ove tutti gli operatori del settore si incontreranno senza farsi scoraggiare da un quadro normativo che talvolta ancora ostacola invece di favorire pratiche di prevenzione e recupero e nonostante azioni politiche e legislative prese a livello comunitario, nazionale o locale, che non sempre vanno nella direzione di favorire la libera circolazione dei rifiuti. Di economia circolare insomma si è parlato e si parlerà ancora e noi ci auspichiamo che questo obiettivo si possa raggiungere, prendendo in questo caso una strada dritta verso il cambiamento… senza, per così dire, girarci intorno.

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S O M M A R I O S OM M A R I O

Rubriche

News 8 Reconnet 66 Vetrina 68 Libri 78

Le attrezzature per i professionisti del waste management Professionisti nella dismissione di assets industriali

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Da oltre 40 anni di esperienza nel settore minerario una vasta gamma di macchine per la produzione di inerti e per il riciclaggio

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di Gianpiero Lento

PRIMO PIANO

La rivoluzione italiana verso l’economia circolare

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di Massimo Viarenghi

di Maria Beatrice Celino

Attualità

La lezione di Expo sui rifiuti

di Laura Veneri

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work in progress

Per fare nuova strada

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Il termovalorizzatore di San Zeno si dota di nuove tecnologie

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La bellezza del riciclo sforna un’opera d’arte: la “Vittoria Alata” 18

di Laura Veneri

Il progetto Green Lab Valley

di Antonio Boncompagni

di Roccandrea Iascone

di Bruno Vanzi

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In provincia di Udine il nuovo impianto di compostaggio 50

FABBRICA DELLE IDEE

Sistema Automatico per la Messa In Sicurezza di Gabriele Palmieri

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Economia circolare a km zero con un pizzico di ricerca e innovazione di Moreno Marionni e Walter Rossi

Un approcio innovativo per l’ottimizzazione dei costi operativi in ambito industriale di Alessandro Aresu

La forza del cambiamento di Maria Beatrice Celino

di Bruno Vanzi

Progetti e tecnologie

Speciale

Panorama aziende

Energia dalla depurazione delle acque

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Trattabilità e possibile riutilizzo delle acque di lavaggio della produzione di inchiostri

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Slurry injection per la bonifica di terreno e acque di falda

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di Laura Veneri

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di Andrea Capriati et al.

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di Pier Sante Testi et al.

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normativa

Il commercio ambulante dei rifiuti di Daniele Carissimi

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di Giorgio Galbiati

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EXPO: LA LEZIONE SUI RIFIUTI PARTE DALLA VERGOGNOSA COLLINA DEL CIBO SPRECATO

14 OTTIMIZZARE I COSTI OPERATIVI E AUMENTARE LA REDDITTIVITÀ PER LE RAFFINERIE CON STRATEGIE E STRUMENTI DI MIGLIORAMENTO DELLA PRODUTTIVITÀ

30 NUOVE TECNOLOGIE PER IL TERMOVALORIZZATORE DI SAN ZENO CHE SI DOTA DI UN NUOVO SISTEMA DI FILTRAZIONE CATALITICA DEI GAS DI COMBUSTIONE

47 L’ATTIVITÀ DI RACCOLTA E COMMERCIO AMBULANTE DEI RIFIUTI ALLA LUCE DELLA NORMATIVA VIGENTE

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R UB R I CH E

NEWS In arrivo il Green Act Il Green Act, il documento di indirizzo strategico sull’economia verde che il ministero dell’Ambiente dovrebbe varare, si propone di essere il nuovo piano eco-industriale del Paese, ponendo l’ambiente come elemento centrale di crescita, la cui valorizzazione può fare emergere anche opportunità di lavoro. Le linee guida, su cui il Ministro Galletti sta lavorando, toccano diversi temi, tra i quali: lo spalmaincentivi al fotovoltaico; la revisione delle norme contenute nel DL “Sblocca Italia”, relative alla strategicità dei rigassificatori, allo stoccaggio, ai gasdotti (art. 37) e alle trivelle (art. 38); il rilancio del DDL sul consumo del suolo e l’attuazione della delega fiscale in materia di fiscalità energetica e ambientale; la mobilità, dall’individuazione della quota massima di spostamenti individuali su mezzi privati a motore alla mobilità sostenibile; la green economy e il tema dei rifiuti. Il Ministro si ritiene soddisfatto del lavoro svolto, affermando che l’Italia, con questi provvedimenti, sta trasmettendo “una visione di ambiente diversa dal passato”.

Novità nell’ammissibilità dei rifiuti in discarica Lo smaltimento dei rifiuti in discarica è diventato più complicato e costoso: l’11 settembre 2015 è stato pubblicato sulla Gazzetta ufficiale il DM del 24 giugno scorso, che prevede una modifica del Decreto del 27 settembre 2010 relativo alla definizione dei criteri di ammissibilità dei rifiuti in discarica. Dopo i rilievi effettuati dall’Unione Europea, l’Italia prova ad allinearsi con la normativa comuni-

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taria per la terza volta in 10 anni, disponendo che: gli scarti di ceramica, mattoni, mattonelle e materiali da costruzione, sottoposti a trattamento termico, siano caratterizzati prima di accedere in discarica (eliminando il codice CER 101208); • per i rifiuti granulari debba essere valutata la capacità di neutralizzazione degli acidi, utilizzando i nuovi test Cen/Ts; • per i rifiuti pericolosi stabili e non reattivi debba essere garantita l’adeguata stabilità fisica e la capacità di carico, per consentirne l’ammissibilità in discariche per rifiuti non pericolosi; • venga eliminata la deroga al parametro Toc (Carbonio organico totale) per i criteri di ammissibilità dei rifiuti nelle sottocategorie di discariche per non pericolosi. Rimangono invariate le disposizioni per il campionamento, le determinazioni analitiche per la caratterizzazione di base e la verifica di conformità, dovendo essere effettuate dal detentore dei rifiuti o dal gestore della discarica, oppure dai produttori di rifiuti o dai gestori, qualora abbiano costituito un adeguato sistema di garanzia della qualità.

Europa: 500 mila siti in attesa di bonifica La direttiva 2004/35/CE, emanata dall’Unione Europea e ormai in vigore da nove anni, ha sancito il principio secondo cui “chi inquina paga”. Un concetto semplice ma ancora poco applicato, che fa ricadere i costi dei danni ambientali sul territorio e sulla salute dei cittadini che abitano e lavorano nei 500 mila siti inquinati d’Europa. I costi da contaminazione di questi territori, stimati dalla stessa UE nel 2006, si assestano tra i 2,4 e i 17,3 miliardi di euro l’anno, a cui devono aggiungersi gli indici di mortalità e la contrazione di gravi malattie da parte della popolazione di tali aree. In particolare per l’Italia, lo “Studio epidemiologico nazionale dei territori e degli insediamenti esposti a rischio da inquinamento” (in breve, “Sentieri”) ha esaminato la mortalità per 63 gruppi di cause, nel periodo tra il 1995 e il 2002, in 44 SIN (circa 6 milioni di persone in 298 comuni), rilevando oltre 9.969 vittime (quasi 1220 l’anno). Un tasso di “sovramortalità” che dimostra come l’inquinamento ambientale provochi tumori e altre gravissime malattie, nonché costi molto elevati per lo Stato: secondo i dati di Favo e Censis risalenti al 2009, l’Italia ha speso 8 miliardi e 400 milioni di euro in costi socio-economici per le patologie tumorali, equivalenti allo 0,58% del suo PIL. “Sentieri”


individua quindi nell’amianto, nelle emissioni delle raffinerie, nei poli petrolchimici e nelle industrie metallurgiche le principali cause di contaminazione, ponendo in correlazione le sostanze nocive con le criticità sanitarie riscontrate.

Global Waste Management Outlook Un’inadeguata gestione dei rifiuti è diventata uno dei maggiori problemi economici, di salute pubblica e ambientali, con la produzione di 7-10 milioni di tonnellate di rifiuti urbani ogni anno e 3 milioni di persone che hanno un accesso carente a servizi di smaltimento controllati. Alimentati dalla crescita della popolazione, dall’urbanizzazione e dal consumo crescente, i rifiuti raddoppieranno di volume entro il 2030, nei paesi a basso reddito di Africa e Asia: lo afferma il Global Waste Management Outlook, elaborato dal United Nations Environment Programme (UNEP) e dall’International Solid Waste Association (ISWA). Gli obiettivi del report sono la drastica riduzione dei gas serra, la creazione di milioni di posti di lavoro “green” e di benefici economici equivalenti a centinaia di milioni di dollari. Il Global Waste Management Outlook offre una soluzione globale integrata al problema dei rifiuti, richiedendo un miglioramento immediato della raccolta dei rifiuti e delle disposizioni in materia, prevenendo lo spreco e massimizzando il riuso e il riciclo delle risorse. Il report richiede inoltre un allontanamento dall’economia lineare “prendere-fare-usare-sprecare” per avvicinarsi ad un approccio circolare “ridurre-riusare-riciclare”. Questo studio rappresenta il primo vero report mondiale sui rifiuti, un lavoro enorme che ha coinvolto gli esperti dell’ISWA e dell’UNEP per due anni.


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La rivoluzione italiana verso l’economia circolare Si è da poco conclusa la seconda edizione del Forum Rifiuti, la conferenza nazionale sulle emergenze e le opportunità nella gestione del ciclo dei rifiuti, organizzata da Legambiente, Kyoto Club e La Nuova Ecologia di Massimo Viarenghi

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’edizione 2015 del Forum si è concentrata principalmente sui temi dell’innovazione tecnologica e gestionale, sul ruolo delle istituzioni e sulle opportunità ambientali, economiche e sociali di una gestione sostenibile dei rifiuti. In Italia la gestione dei rifiuti urbani è ancora molto subordinata all’uso della discarica, nel Centro Sud sono ancora pochi gli impianti per trattare e avviare a corretto riciclo i rifiuti, le politiche nazionali di prevenzione non sono incisive e i rifiuti speciali, anche pericolosi, continuano ad essere intercettati troppo spesso dalle ecomafie e dalla criminalità ambientale. Nonostante le emergenze e il grave ritardo di alcune regioni, l’Italia ha oggi tutte le carte in regola per fare da capofila nell’economia circolare europea grazie alle sempre più numerose esperienze di gestione sostenibile dei rifiuti fondate su riciclaggio, raccolta differenziata domiciliare, sistemi di tariffazione puntuale, politiche di riuso e prevenzione. Sul territorio italiano abbiamo eccellenze

che costituiscono modelli di green economy straordinari quali Comuni ricicloni, consorzi pubblici e aziende. L’innovazione impiantistica della valorizzazione dell’organico, degli ecodistretti e delle cosiddette fabbriche dei materiali rende possibile il riciclaggio anche delle frazioni fino ad oggi avviate a incenerimento e smaltimento, con nuove opportunità ambientali, economiche, sociali. Dopo i decenni caratterizzati dall’emergenza su buona parte del territorio italiano, il ciclo dei rifiuti è a una svolta. Al Forum hanno partecipato rappresentanti di associazioni a carattere nazionale, amministrazioni comunali e aziende pubbliche, tra cui: Stefano Ciafani, Vicepresidente Legambiente; Chiara Braga, Commissione Ambiente Camera dei Deputati; Federico Pizzarotti, Sindaco di Parma; Estella Marino, Assessore Ambiente e Rifiuti Comune di Roma; Francesco Ferrante, Vicepresidente Kyoto Club; Paolo Contò, Direttore Consorzio Priula; Giuseppe Giampaoli, Direttore Consorzio Cosmari; Demetrio De Stefano, Amministratore Unico Ambiente Ciampino, Furio

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Fabbri, Presidente Gorent; Francesco Girardi, Amministratore Delegato ASA Tivoli; Francesco Bertolini, Sda Bocconi School of Management; Roberto Sancinelli, Presidente Montello Spa; Daniele Fortini, Amministratore Delegato Ama Roma; Mauro Ragaini, Direttore Generale Sogenus e Marco Castagna, Presidente Amiu Genova. “Nonostante tante buone pratiche ed esperienze di successo l’Italia non riesce a superare completamente l’emergenza rifiuti, perché purtroppo non esiste una politica nazionale che punti con decisione sull’economia circolare - ha dichiarato il vicepresidente di Legambiente Stefano Ciafani - Questo settore oggi non viene considerato nelle politiche governative, e lo dimostra anche la recente pubblicazione della bozza di decreto sull’incenerimento dei rifiuti in attuazione dell’articolo 35 del decreto Sblocca Italia che prevede 12 nuovi inceneritori in Italia e che andrebbe sostituito con un nuovo testo per promuovere l’economia circolare sul territorio nazio-

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nale. L’Italia ha invece un gran bisogno di politiche e impianti per il riuso e il riciclaggio e di un nuovo sistema di incentivi e disincentivi che rendano la prevenzione e il riciclo più convenienti, anche economicamente, rispetto al recupero energetico e allo smaltimento in discarica”. “L’uso efficiente delle risorse - ha aggiunto Francesco Ferrante, vicepresidente del Kyoto Club - è la vera chiave di volta per rilancia-

re l’economia e permettere al nostro Paese di affrontare il futuro. Non è solo quindi la difesa dell’ambiente e della nostra salute che imporrebbero politiche intelligenti sui rifiuti sia a livello locale che nazionale. Politiche che a partire dalle migliori esperienze già presenti sul territorio puntino innanzitutto sul recupero di materia reso possibile anche dall’innovazione tecnologica”. Durante la prima giornata si è dibat-

tuto molto sul confronto tra due gestioni differenti di trattamento rifiuti: il compostaggio da una parte e l’incenerimento dei rifiuti dall’altra. Il raffronto effettuato dall’istituto di ricerca Meriam Research su due imprese del ciclo dei rifiuti, una che gestisce un impianto di termovalorizzazione di nuova costruzione e una che cura un impianto di compostaggio e digestione anaerobica, non lascia spazio ai dubbi:

L’esperienza di Parma sulla raccolta differenziata e la tariffazione puntuale Il sindaco di Parma, Federico Pizzarotti, ha illustrato il percorso sulla raccolta differenziata dal novembre 2012 a luglio 2015, quando è entrata in funzione la tariffazione puntuale (chi più produce rifiuti da smaltire più paga) e la differenziata è arrivata a toccare il 72%, rispetto al 48,5% del 2012, con l’effetto che nel 2014 ogni cittadino di Parma avvia a smaltimento una quantità di rifiuti pari esattamente a metà di un cittadino di Bologna. Pizzarotti ha quindi descritto le innovazioni introdotte per rendere più agevole ed efficace il sistema della raccolta porta a porta, con la raccolta notturna, la creazione delle Ecostation ai parcheggi scambiatori e l’arrivo dell’Ecowagon in centro. Anche sul versante acqua, soprattutto con riferimento al risparmio nell’utilizzo di materie plastiche, Parma è fra le città che fanno scuola: ne sono testimonianza le casette dell’acqua aperte nei parchi cittadini e ancor di più l’acqua in caraffa nelle scuole (rigorosamente controllata), che ha portato ad una riduzione di 219.000 bottiglie di plastica in un anno. Infine, Pizzarotti ha criticato lo “Sblocca Italia”, che rischia di vanificare gli sforzi dei territori più virtuosi, e ha parlato dell’informazione come leva essenziale, del metodo da utilizzare per rendere efficace l’intervento innovativo sui rifiuti e di responsabilità dei cittadini come fattore indispensabile per raggiungere i risultati sperati: “La raccolta differenziata - ha detto - non è un brand politico di qualcuno, ma una scelta di civiltà e un dovere delle amministrazioni”.

Rossella Muroni, direttrice generale di Legambiente “Un’Italia rifiuti free basata su un’economia circolare non è un sogno impossibile e la discussione che il Forum Rifiuti ha avviato in questi due giorni, raccontando le nuove frontiere impiantistiche e le esperienze di gestione sostenibile dei rifiuti da parte di territori e imprese, dimostra che il Paese è sulla buona strada. Nella Penisola sono 1.520 i comuni virtuosi campioni nella raccolta differenziata dei rifiuti, il 16% dell’Italia che oggi ricicla e differenzia i rifiuti alimentando l’industria virtuosa del riciclo e del riuso, la cosiddetta “economia circolare”. Una nuova Green Economy che nel settore del riciclo dei prodotti vede 150 mila occupati e che rappresenta una grande riforma anti-spreco. Per questo lanciamo un appello al Governo affinché definisca una strategia nazionale di gestione dei rifiuti che punti sull’economia circolare e non sugli inceneritori”.

Le opportunità economiche del riciclo - Duccio Bianchi Presidente ASM Pavia “L’Italia è uno dei leader europei nell’industria del riciclo. Nel 2012, nonostante gli effetti della recessione, l’Italia risultava ancora in valore assoluto di recupero non energetico, il secondo paese leader in Europa dopo la Germania (era il primo sulla frazione “riciclabili” nel 2010). In termini di riciclo pro-capite è il paese con la maggiore incidenza. Gli indicatori di efficienza tecnica ed economica dell’industria di preparazione al riciclo (le attività manifatturiere di produzione di prodotti di base a partire da materie seconde) sono largamente competitivi in un quadro europeo. Mentre il settore della raccolta, dominato dalla presenza di aziende di gestione dei rifiuti urbani largamente inefficienti, mostra evidenti segni di bassa produttività (i rifiuti raccolti per addetto sono circa la metà di quelli della Francia o della Germania), nel settore della preparazione al riciclo - molto competitivo e tutto rivolto al mercato - l’industria italiana ha tra i più alti indici di produttività europea in termini di tonnellate riciclate per addetto e di costo per tonnellata. Il valore della produzione dell’industria del riciclo è di circa 39 miliardi e impiega circa 86.000 occupati”.

Liguriacircular, un’esperienza di forum sull’economia circolare - Marco Castagna, Presidente Amiu GenovA “Amiu promuove il sistema di economia circolare, ossia rigenerante per intenzione, che intende utilizzare energie rinnovabili, che minimizza, traccia, e (auspicabilmente) elimina l’uso di sostanze chimiche tossiche, ed elimina i rifiuti attraverso un’attenta progettazione. In questo contesto le aziende della filiera della gestione dei rifiuti devono assumere un nuovo ruolo: da organizzazioni di servizi devono diventare sistemi industriali per gestire attività integrate finalizzate al recupero di materia ed energia. Amiu è l’unico soggetto del mercato locale in grado di poter sviluppare in Liguria questa evoluzione da società di servizi a società industriale a forte contenuto di innovazione lungo l’intero ciclo della gestione dei rifiuti e diventare il motore di una fase di sviluppo locale avviata da una diversa concezione di quelli che (fino ad oggi) abbiamo considerato solo “rifiuti”. Per questo motivo Amiu ha scelto di inserire la progettazione europea tra le leve strategiche del nuovo piano industriale e ha creato una struttura interna ad hoc - Amiu Smartlab - organizzata per mettere a sistema Amiu con il mondo dell’innovazione, della ricerca, dell’impresa e della formazione, e la cui attività è focalizzata proprio sulla progettazione europea. Amiu ha già partecipato in passato a progetti europei e attualmente: • è il partner principale, insieme al Comune di Genova, del progetto Weeenmodels, cofinanziato dal programma LIFE+ - dedicato ai temi ambientali - il cui fine è raggiungere un efficiente sistema logistico e di gestione dei servizi di raccolta dei RAEE. L’attività di Amiu in questo progetto è sotto osservazione del Ministero dell’Ambiente ai fini dei regolamenti attuativi del nuovo decreto legislativo 49/2014 sui rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche che recepisce nel nostro Paese la direttiva europea RAEE 2012/19/EU; • partecipa al progetto SCOW, del programma di cooperazione internazionale ENPI CBC MED, relativo al bacino del Mediterraneo, per realizzare un sistema integrato e sostenibile di raccolta e gestione dell’organico che assicuri metodi sostenibili di trattamento e pratiche di prevenzione in aree turistiche, attraverso la costituzione di impianti di compostaggio; • partecipa, insieme al Comune di Genova, al programma med3r, per lo sviluppo di sistemi integrati di gestione dei rifiuti urbani efficaci, virtuosi e adatti ai contesti locali, in particolare con due azioni pilota sulla raccolta dell’organico e della plastica. Amiu è inoltre stakeholder di altri progetti, ai quali contribuisce senza ritorno economico ma beneficiandone in termini di scambio e relazione. Ad es. il progetto Riciclolio, dedicato al tema degli oli vegetali esausti da utenze domestiche raccolti in modo differenziato per la produzione di biocarburanti. Al momento Amiu sta sviluppando diversi progetti europei, ai quali partecipa a vario titolo”.

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ad ogni occupato nell’impianto di incenerimento corrispondono tre occupati in quello di compostaggio; gli oneri finanziari al servizio dell’investimento per la costruzione del termovalorizzatore (400 milioni di euro) sono molti rilevanti (15 milioni di euro annui) e assorbono metà del risultato economico lordo; il costo di conferimento sopportato dalle amministrazioni locali per tonnellata conferita è mediamente di 103 euro per l’incenerimento (e senza il contributo dei certificati verdi inevitabilmente il costo di conferimento crescerebbe almeno sino a 115 euro), e di 83 euro per il compostaggio. Inoltre, gli oneri che la società che gestisce l’inceneritore deve sostenere per lo smaltimento di scorie (pari al 22%) e le acque di risulta ammontano a 9 mln di euro. La filiera del riciclaggio dell’organico, pertanto, batte l’incenerimento su tutti i fronti: fa crescere l’occupazione, diminuisce i costi di realizzazione e gestione degli impianti, fa bene all’ambiente ma anche alle tasche degli italiani. Nella seconda giornata è stato presentato un sondaggio realizzato da Lorien Consulting sulle abitudini di spesa degli italiani in tema di sostenibilità ambientale. Otto italiani su dieci si dichiarano disposti a spendere di più per acquistare prodotti e servizi che impattino meno sull’ecosistema e sono pronti a impegnarsi per migliorare la qualità ambientale. Gli italiani ritengono ancor più degli anni precedenti che i principali responsabili della salvaguardia dell’ambiente siano loro stessi (79% contro il 69% del 2014). “Il ‘Problema ambientale’ – spiega Antonio Valente, Amministratore Delegato della Lorien Consulting – è stato metabolizzato e non è più un’emergenza. Il ruolo degli operatori economici, culturali e associativi si riconfigura nel supportare individui e famiglie per adempiere a comportamenti (non tanto doveri) ritenuti normali”. Il sondaggio, realizzato su un campione qualificato di 1000 persone, rivela che l’attenzione dei cittadini sembra essersi legata alla crisi finanziaria: secondo il 75% ha contribuito a renderli più attenti alle esigenze dell’ambiente. Il 65% del campione ha chiaro almeno uno dei più recenti fatti d’attualità correlati a problematiche ambientali. Il più tristemente conosciuto riguarda le emergenze legate al maltempo e al rischio idrogeologico (41%); seguono il decreto del Governo sulle trivellazioni nei mari italiani (18%) e l’introduzione della normativa sugli eco-reati nel codice penale (14%). La ricerca rileva anche una modesta conoscenza della conferenza sul Clima di Parigi (29%) che potrà incidere positivamente sulle azioni sostenibili dei singoli Paesi e su quelle dei cittadini per il 69%.


A T T U A L I TÀ

La lezione di Expo sui rifiuti Rifiuti e lotta allo sperpero perché il viaggio ad Expo inizia proprio con la vergognosa collina del cibo sprecato di Laura Veneri

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he effetto fa trovarsi davanti alla collina dello spreco nel Padiglione Zero ad Expo? Crea disagio. Disagio perché tutti noi sprechiamo. Tutti gettiamo via cibo (e altro). Siamo in tanti, produciamo troppo e sprechiamo troppo. Compriamo cibo che non mangiamo, nelle mense scolastiche avanza ogni giorno troppo cibo che non viene consumato, nei supermercati gli alimenti scadono sugli scaffali… “Il 30% della produzione mondiale di cibo viene perduta o sprecata ogni anno, sia nei paesi in via di sviluppo che in quelli industrializzati, per un totale di 1,3 miliardi di tonnellate” recita il totem posto a fianco della collina. Pensiamoci. Dobbiamo iniziare a cambiare le nostre abitudini perché la sostenibilità è la chiave del futuro. Ma sembra che gli italiani siano già sensibili a queste tematiche. Infatti, secondo una ricerca Doxa, l’87% degli italiani

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considera il gesto della separazione domestica dei rifiuti un compito ormai entrato nella routine quotidiana, al pari di altre azioni anti-spreco in termini di consumo di energia, come lo spegnimento delle luci e l’utilizzo di lampadine più efficienti.

La lezione di Milano e di Amsa

Milano è una metropoli con un primato mondiale, quella del maggior numero di abitanti serviti dalla raccolta dell’umido. Tra il 2012 e il 2013 il capoluogo lombardo ha completato l’estensione della raccolta differenziata della frazione organica a tutte le utenze domestiche del territorio cittadino. Da giugno 2013, oltre 1,3 milioni di abitanti separano regolarmente lo scarto di cucina. In ciascuna delle zone di Milano il sistema di raccolta è andato a regime nell’arco di 3-4 settimane attestandosi tra i 90-92 kg di rifiuto raccolto per

abitante all’anno, riuscendo ad avviare a recupero quasi 120.000 t/anno. Milano è perciò una grande città già abituata ad una raccolta differenziata di qualità, ma non per questo dobbiamo pensare che un evento di portata mondiale come Expo sia stato preso con leggerezza. Occupandosi della raccolta dei rifiuti e della pulizia del sito espositivo di Expo ed essendo istituzionalmente l’azienda che gestisce i servizi ambientali per la città di Milano, che dal 1° maggio 2015 ha visto aumentare considerevolmente turisti e visitatori, Amsa ha dovuto sostenere un grosso sforzo organizzativo e programmatorio per gestire efficacemente i servizi di propria competenza. Per il periodo di durata di Expo Milano 2015, l’azienda ha assunto, con contratti a tempo determinato, circa 400 lavoratori, impegnati sia sul sito espositivo che sul territorio di Milano. Sul sito espositivo sono impe-


gnati complessivamente, su diversi turni di lavoro, 150 operatori di Amsa. A partire dal 1° gennaio 2015, nell’ambito del periodico e progressivo rinnovamento del parco automezzi, in considerazione dei servizi aggiuntivi per Expo e per le necessità connesse all’assegnazione all’azienda di servizi di pulizia e raccolta rifiuti in Comuni di nuova acquisizione, Amsa ha acquistato 103 nuovi automezzi operativi (autocompattatori, autospazzatrici, automezzi con vasca ribaltabile, ecc.). L’ultimo dato disponibile sulla raccolta differenziata dei rifiuti a Milano, relativo al primo semestre del 2015, vede una percentuale del 53,3% di rifiuti riciclabili sul totale dei rifiuti raccolti, percentuale che pone Milano al primo posto in Italia e ai primissimi posti in Europa fra le metropoli con popolazione superiore al milione di abitanti. Potendo contare su contratti aperti per le filiere delle diverse tipologie di rifiuti riciclabili con i rispettivi consorzi di recupero e con una società proprietaria di un impianto per il trattamento dei rifiuti organici e disponendo il Gruppo A2A, di cui Amsa fa parte, del termovalorizzatore Silla 2 per l’incenerimento dei rifiuti indifferenziati con contestuale recupero di energia e calore, non è stato necessario stipulare nuovi contratti per il trattamento e lo smaltimento dei maggiori quantitativi di rifiuti prodotti nel periodo di Expo. Sin dalle settimane immediatamente successive all’inaugurazione dell’evento e all’apertura al pubblico del 1° maggio, il livello di raccolta differenzia-

ta all’interno del sito espositivo aveva già superato la quota del 60%. L’impegno degli addetti impiegati nelle operazioni quotidiane di pulizia e ritiro dei rifiuti, la qualità delle tecnologie messe in campo e l’organizzazione scrupolosa del servizio hanno permesso di far crescere l’efficienza della raccolta di giorno in giorno fino a raggiungere e superare il tetto del 70% di raccolta differenziata, l’obiettivo di qualità stabilito da Expo 2015 Spa e Amsa nella fase di pianificazione della gestione del ciclo dei rifiuti per l’Esposizione universale. Con il 24% sul totale, l’umido rappresenta la frazione principale dei rifiuti riciclabili avviati a recupero, seguono carta e cartone, con il 16% del totale raccolto, il vetro a quota 14% e gli imballaggi in plastica e metalli per un 10%. Nei viali di comunicazione e negli spazi comuni dell’area espositiva sono stati collocati circa 2.000 cestini stradali per la raccolta di carta, vetro, organico e plastica. Amsa ha operato ogni giorno, 24 ore su 24, con i suoi addetti all’interno del sito espositivo. Le attività sono state divise in tre fasce temporali. Dalle 6 del mattino all’apertura al pubblico sono stati eseguiti diversi servizi di lavaggio e spazzamento meccanico e manuale delle aree pubbliche, durante il giorno gli operatori si occupavano del mantenimento della pulizia e dello svuotamento dei cestini, mentre nella notte si effettuava la raccolta differenziata “porta a porta” presso i padiglioni. Un’isola ecologica era disponibile ai confini del sito espositivo per lo stoccaggio temporaneo delle

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frazioni differenziate di rifiuti raccolte nell’esposizione.

La lezione dei Consorzi

Parlare ai milioni di visitatori di Expo di raccolta differenziata e recupero di materia è stata una sfida che il Consorzio Conai ha voluto affrontare con una video installazione interattiva. Il Recycling Tube ha mostrato il percorso compiuto dai rifiuti di imballaggio dal contenitore della raccolta differenziata fino all’avvio a riciclo attraverso i Consorzi di Filiera e alla completa trasformazione in un nuovo prodotto. L’installazione richiamava nel profilo lo skyline di una metropoli e si articolava in un tunnel interattivo di 12 metri, diviso in sei sezioni rivestite nei diversi materiali di imballaggio. All’interno di Recycling Tube trovavano ampio spazio il Decalogo per la raccolta differenziata di qualità e le rilevazioni aggiornate del contatore ambientale sul riciclo dei rifiuti all’interno di Expo 2015.

La lezione del Consiglio Nazionale delle Ricerche

Il CNR ha organizzato in concomitanza dell’Expo diversi Convegni e workshop su vari temi tra cui l’ambiente e le ultime novità in tema di rifiuti e recupero di materia. Uno di questi eventi è stata la conferenza “Da scarto a risorsa: il concetto di bioraffineria applicato alle produzioni alimentari”. “Il concetto di economia circolare si può applicare all’agroindustria. Residui e scarti di questa filiera possono essere utilizzati per realizzare materiali di significativo valore aggiunto, non solo per la produzione di energia” spiega Nicoletta Ravasio, ricercatrice dell’Istituto di scienze e tecnologie molecolari (Istm-Cnr) e coordinatrice della conferenza. “La vera sfida nel settore è rappresentata dalla possibilità di ottenere prodotti chimici di largo impiego quali fluidi idraulici, tensioattivi o materie plastiche, completamente biodegradabili in virtù della loro origine naturale”. Nel corso dell’evento è stata illustrata una mappa interattiva (Cost Eubis) che riporta per ogni paese la quantità di scarti alimentari prodotti e la loro possibile valorizzazione, aggiornata con dati

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Eurostat. La mappa on line, consultabile per scarto o per paese, consente di decidere tra l’altro che tipo di attività imprenditoriale impiantare o dove approvvigionarsi delle materie prime occorrenti e in quale stagione: “Per esempio, selezionando ‘passata di pomodoro non concentrata’ compariranno nell’ordine Italia, Spagna, Portogallo e Grecia con le corrispondenti quanti-

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tà di scarti, per l’Italia circa 150.000 tonnellate/anno. Selezionando ‘patate surgelate crude’ apparirà invece un hot spot sulla Germania, seguita da Italia, Spagna e Finlandia, con le quantità di bucce relative. Cliccando sulla Francia, compariranno gli scarti più importanti, come quelli da produzione di zucchero da barbabietola e formaggi, e le quantità reperibili”, continua Ravasio. A livello mondiale, si segnala soprattutto la problematica dei paesi in via di sviluppo: nell’Asia industrializzata, ben 317 milioni di tonnellate annue vengono perse nei processi dalla produzione alla distribuzione agro-alimentare, contro i 141 sprecati direttamente nel consumo. Proporzioni che si mantengono nell’Asia meridionale e del Sud Est con rispettivamente 327 e 28 milioni di tonnellate, nell’Africa subsahariana con dimensioni minori ma addirittura 123 milioni persi tra produzione e distribuzione contro 5 sprecati e in America Latina con 90 contro 17 milioni di tonnellate. La situazione si inverte

in America del Nord e Oceania, con 63 milioni persi contro ben 110 sprecati al consumo mentre in Europa la situazione è più equilibrata con 80 milioni persi e 62 sprecati. La ricerca è concentrata su alcune specifiche filiere: succhi di frutta, riso, industria casearia, pane e prodotti da forno, pomodoro e vino. Alcuni scarti hanno un particolare impatto sull’ambiente. “Si pensi, ad esempio, alla paglia di riso, caratterizzata da un altissimo contenuto in Silice (SiO2) che la rende inadatta per l’alimentazione animale e di difficile utilizzo nella produzione energetica, in cui si rischia la formazione di ceneri e fenomeni erosivi nei condotti: viene reinterrata dagli agricoltori per non affrontare i costi di rimozione dal campo e questa pratica genera 60 kg di metano (90 m3) per tonnellata interrata e contribuisce su scala mondiale per il 10-15% al totale delle emissioni antropogeniche di questo gas clima-alterante”, conclude Ravasio. Investire sulla filiera circolare è la sfida del futuro.


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A T T U A L I TÀ

la bellezza del riciclo sforna un’opera d’arte: la “Vittoria Alata” al Festival dell’Innovazione Supernova un omaggio alla città di Brescia e un inno al riciclo dell’acciaio di Roccandrea Iascone*

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na matassa d’acciaio indefinita e multiforme. Ma se la si guarda da un determinato punto di vista, eccola trasformarsi in un fantastico monumento. Perché, come diceva Confucio nel VI secolo a.C., “C’è bellezza ovunque, ma non tutti riescono a vederla”. E’ la magia della “Vittoria Alata”, l’opera d’arte voluta da Siderweb, la principale community dell’acciaio, in occasione della sua partecipazione al Festival dell’Innovazione Supernova, svoltosi a Brescia all’inizio di ottobre. L’installazione, come ha spiegato l’architetto Oliviero Baldini, autore dell’opera, “si richiama all’anamorfosi, una tecnica pittorica del ‘500 per la quale la statua appare visibile solo da un determinato punto di osservazione, mentre negli altri punti appare come una matassa di acciaio indefinita”. Il tutto, appunto, per richiamare il concetto di bellezza, di ricerca e per esaltare le proprietà dell’acciaio, materiale versatile, riciclabile all’infinito, che consente di realizzare da infrastrutture ad opere d’arte di valore, senza soluzione di continuità. La “Vittoria Alata”, concepita come omaggio alla città di Brescia, nasce dalla fusione tra lavoro artigiano e computer, ed è stata ideata e realizzata grazie all’impiego di materiali forniti dal Consorzio RICREA e da Feralpi Group. La statua, infatti, somma a sé l’irregolarità e l’imprecisione del lavoro manuale necessario per realizzare le forme, e l’assoluta precisione chirurgica e asettica del disegno elettronico. Senza quest’ultimo non sarebbe stato possibile concepirne la logica di connessione e di posizionamento per realizzare la figura finale. La sfida dell’opera, quindi, è stata quella di superare la contrapposizione tra manualità e progettazione elettronica, sommando questi due momenti in una realizzazione armonica. Il risultato finale è un monumento del quale si ha una precisa comprensione solo tramite l’osservazione da uno specifico punto di osservazione, così come dettano le regole cinquecentesche dell’anamorfosi. Per costruire ed assemblare la “Vittoria” sono stati utilizzati 5 km di filo piegato, arrotolato, attorcigliato, aggrovigliato, tagliato e saldato a blocchi, poi collegati tra di loro come se fossero pixel su 30 piani/layer distanti 20 cm l’uno dall’altro. “Sono il risultato di un lavoro manuale e paziente realizzato inventando-

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si spine e matrici per poter produrre i prototipi. I manufatti sono stati montati su una rete elettrosaldata che forma il basamento ed è indispensabile per il fissaggio dei vari ‘tentacoli/sostegno’ della struttura” ha spiegato Baldini “la rete - ha aggiunto l’architetto - viene celata da una distesa di dischi pressati di imballaggi d’acciaio (fusti, secchi e scatolette) che servono, oltre alla stabilizzazione della statua, come piano zero simbolico dal quale si innalza l’acciaio rigenerato e suggerisce metaforicamente il ciclo di un recupero sostenibile di questo metallo”. D’altronde, diciamocela tutta: c’è più bellezza nel colpo dello scalpello dello scultore o nel gettare una lattina d’acciaio vuota nella campana della raccolta differenziata dei metalli? A prima vista la risposta sembrerebbe ovvia, palese. Il colpo dello scalpello. Quello in grado di liberare da una massa informe una figura, una composizione. Il colpo che sottrae l’inutile e lascia l’essenziale, forgia l’emozione. Eppure, se indaghiamo più in profondità, la risposta non è poi così scontata. Prendiamo ad esempio proprio questa “Vittoria Alata”. Senza l’artista le verghe di acciaio che la compongono non avrebbero mai preso la forma che poi hanno assunto. Ma è pur vero che, per l’architetto Baldini non sarebbe stato possibile provocare emozioni senza il materiale. E questo materiale, l’acciaio, è stato prodotto e ri-prodotto (grazie al riciclo della materia prima) in impianti che, grazie ad anni di investimenti, grazie a decenni di studi, di miglioramenti e di lavoro, riescono a “recuperare” al 100% i rottami. Ora, quindi, il collegamento appare più evidente: senza il lavoro ignaro e silenzioso di migliaia di persone che hanno deciso di riciclare le lattine d’acciaio, di imprenditori che hanno recuperato il rottame e di operai e tecnici che lo hanno fuso, dandogli nuova vita, sarebbe venuto a mancare il presupposto stesso per l’opera. Ovvero il materiale. La sua vera anima: l’acciaio riciclato. L’opera d’arte, quindi, finisce certamente col il tocco dello scultore, ma inizia con un elementare e semplice gesto: recuperare una lattina vuota invece di gettarla via. E’ questo il primo vero passo che ci conduce verso la bellezza. Durante la conferenza stampa di presentazione della “Vitto-

ria Alata”, Emanuele Morandi, presidente di Siderweb, ha anche spiegato le ragioni della partecipazione della community dell’acciaio al festival Supernova. “Siamo al bivio. O l’industria incorporerà il digitale o il digitale si mangerà l’industria. Per questo motivo siamo qui, insieme a Consorzio RICREA, Alfa Acciai, Aso, Bicomet, Feralpi, Ferriera Valsabbia, Franchini Acciai, Intel, Morandi, ORI Martin, Tecnofil, Tenova e Turboden, per cercare di stabilire un ponte tra il mondo delle start-up e quello dell’industria tradizionale, al fine di crescere ed evolverci verso un nuovo modello”.Giuseppe Pasini, presidente del Gruppo Feralpi, ha aggiunto un altro aspetto importante per il futuro, ovvero quello della sostenibilità. “Anche un prodotto considerato vecchio come il mondo si può fare in maniera moderna e sostenibile. A Brescia, con il consorzio Ramet, lo stiamo dimostrando. Abbiamo però il compito, come imprenditori, di aprire le aziende e mostrare a tutti come lavoriamo, al fine di far crescere la consapevolezza del nostro lavoro nella popolazione”. Lo stesso tasto è stato toccato anche da Roccandrea Iascone,

responsabile Comunicazione del Consorzio RICREA. E’ necessario, ha spiegato Iascone: “dire basta al luogo comune per il quale l’acciaio è un prodotto inquinante. Il nostro lavoro e quello delle acciaierie garantisce il recupero ed il riciclo di milioni di tonnellate di acciaio all’anno, con benefici economici ed ambientali incalcolabili”. “L’innovazione nasce da un processo culturale - ha rilanciato Lorenzo Maternini, ideatore di Supernova - in questo senso la presenza di Siderweb, community che ha nel DNA la conoscenza e l’innovazione, a Supernova è importante e avvicina l’industria tradizionale e il mondo delle start-up”. Infine Laura Castelletti, vicesindaco di Brescia, è tornata sulla statua “Vittoria Alata”, spiegando che “oltre ad essere uno dei simboli più prestigiosi della città di Brescia, ritengo che rappresenti un esempio calzante dell’innovazione e del linguaggio dei giovani incarnato da Supernova. Solo, infatti, da una giusta angolazione si possono comprendere i linguaggi delle nuove generazioni”. *Consorzio Ricrea

DAL RICICLO DEGLI IMBALLAGGI IN ACCIAIO 6 MILIONI DI EURO PER LE AZIENDE ITALIANE Il riciclo non fa bene soltanto all’ambiente, ma anche all’economia. Grazie alla riduzione del Contributo Ambientale Conai per gli imballaggi in acciaio le imprese utilizzatrici risparmieranno quasi 6 milioni di euro. È questa la stima di Anfima, l’associazione aderente a Confindustria che raggruppa i Fabbricanti di Imballaggi Metallici ed Affini Italiani. “La riduzione del Contributo Ambientale Conai da 26 a 13 euro/ton è un segnale davvero positivo per le imprese che utilizzano imballaggi in acciaio, e in ultima analisi per gli stessi consumatori – spiega Giovanni Cappelli, direttore generale di Anfima - Lattine, scatolette, barattoli e bombolette oltre a essere i contenitori più sicuri e robusti sono di acciaio, materiale che si ricicla all’infinito con grande beneficio per l’ambiente”. Il Contributo Ambientale Conai (CAC), stabilito per ciascuna tipologia di materiale di imballaggio, rappresenta la forma di finanziamento attraverso la quale Conai ripartisce tra produttori e utilizzatori il costo per i maggiori oneri della raccolta differenziata, per il riciclaggio e per il recupero dei rifiuti di imballaggi. Per quanto riguarda l’acciaio il CAC è passato da 26 a 21 euro/ton il 1° aprile 2015 e dal 1° ottobre 2015 è stato ulteriormente ridotto a 13 euro/ton. “Si tratta di un traguardo importante – aggiunge Federico Fusari, Direttore Generale di Ricrea, il Consorzio Nazionale Riciclo e Recupero Imballaggi in Acciaio - 13 euro/ton è il valore più basso dalla costituzione di Ricrea, e oltre a un importante fattore competitivo per le imprese consorziate rappresenta la misura dell’efficienza gestionale raggiunta dal Consorzio. L’ulteriore riduzione dei costi per le imprese infatti permetterà comunque di garantire il ritiro dei rifiuti urbani di imballaggio sull’intero territorio nazionale e il riconoscimento ai Comuni dei corrispettivi previsti dal nuovo Accordo Quadro Anci-Conai”. In Italia le aziende che producono contenitori in acciaio danno lavoro a oltre tremilacinquecento dipendenti, per un fatturato annuo complessivo di 1,6 miliardi di euro. La produzione si concentra principalmente in sei settori merceologici: dalle scatole cosiddette “Open Top” per prodotti alimentari, ai contenitori “General Line” per vernici e prodotti industriali in genere; dalle bombolette aerosol alle chiusure metalliche come capsule e tappi corona, fino ai grandi fusti in lamierino d’acciaio. I contenitori in acciaio sono facili da differenziare e possono essere riciclati un numero infinito di volte senza dare origine a scarti, mantenendo intatte le proprie qualità. Nel 2014 in Italia sono state avviate al riciclo 335.854 tonnellate di imballaggi in acciaio, sufficienti per realizzare ben 2.239 copie dell’Albero della Vita, icona del Padiglione Italia e simbolo di Expo 2015. Il tasso di recupero, pari al 74,3% rispetto alle quantità immesse a consumo, conferma il nostro Paese tra i migliori in Europa.

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Il progetto Green Lab Valley Il laboratorio di ricerca consortile per la produzione di prodotti chimici di nicchia da biomasse residuali di Bruno Vanzi

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a sfida del futuro è riuscire a trasformare in modo economicamente conveniente i rifiuti in risorse. Le biomasse residuali sono una delle tipologie di rifiuto che più si presta alla chiusura dei cicli produttivi: scarti organici derivanti dell’industria agroalimentare, dalla manutenzione del verde pubblico o dalla raccolta differenziata possono essere utilizzati come materia prima rinnovabile per la produzione di bioplastiche. In Emilia-Romagna, anche se la disponibilità di biomasse residuali è altissima, il loro effettivo utilizzo è complicato dalla distribuzione disomogenea e in piccole concentrazioni. Inserendosi in questo contesto, il progetto strategico Green Lab Valley, coordinato da ASTER, agenzia Regionale per l’innovazione dell’EmiliaRomagna, ha l’obiettivo di costituire un laboratorio di ricerca consortile focalizzato sulla sperimentazione di tecnologie per la produzione di monomeri, polimeri e intermedi chimici (plastiche) da biomasse residuali. Tali prodotti potranno poi essere utilizzati da aziende interessate ad en-

trare o a potenziare la loro presenza nelle diverse fasi della filiera, che va dalla disponibilità di biomasse a tutte le più complesse trasformazioni per ottenere, da risorse rinnovabili, prodotti di interesse industriale e bioplastiche biodegradabili e compostabili. Lo sfruttamento di biomasse residuali per la produzione di prodotti chimici “di nicchia” offre, a piccole e medie aziende, l’opportunità di entrare nel settore della biochimica e, alle grandi imprese, materie prime a costi competitivi, utilizzando le forti competenze a livello di ricerca e sviluppo nel settore biomasse e polimeri già presenti in regione. Il laboratorio consortile sarà localizzato a Ferrara, sede del Laboratorio Giulio Natta, eccellenza nel campo dell’analisi dei polimeri, e vedrà nella flessibilità il suo punto di forza: flessibilità nel tipo di biomasse in ingresso, nei processi di trattamento delle biomasse e quindi nei prodotti ottenuti. Gli obiettivi del progetto sono: • validazione della formulazione a livello di produzione pilota scalabile rapidamente a dimensioni industriali;

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riduzione o ottimizzazione dei costi del prodotto; • collaborazione con alcune delle aziende per la valutazione delle modalità di interazione con il mercato. Il progetto Green Lab Valley ha avuto inizio con una fase pilota a scala di laboratorio, definita Prototype, finanziata dalla Regione Emilia-Romagna, utile ad ottenere elementi iniziali per valutare la fattibilità tecnica ed economica dell’hub. La fase Prototype, avviata a settembre 2015, coordinata da ASTER e dal Consorzio Ferrara Ricerche, vede coinvolti il Dipartimento di Scienze della Vita e Biotecnologie e quello di Scienze Chimiche e Farmaceutiche dell’Università di Ferrara, il Centro Interdipartimentale Energia Ambiente dell’Università di Bologna, il laboratorio della Rete Alta Tecnologia della Regione Emilia-Romagna e APM, spin-off dell’Università di Ferrara. I risultati della fase Prototype, nella quale verranno già attivate le potenziali aziende interessate, getteranno le basi su cui fondare il laboratorio consortile obiettivo del progetto Green Lab Valley.

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F A BB R I C A

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Sistema Automatico per la Messa In Sicurezza Saranno esposti a ecomondo i prototipi del sistema progettato per bloccare immediatamente il rilascio di inquinanti nell’ambiente di Gabriele Palmieri*

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l SAMIS, acronimo di Sistema Automatico di Messa In Sicurezza, è un sistema totalmente automatico ed intelligente, innovativo, finalizzato alla tutela dell’ambiente con un campo di applicazione industriale. Il Samis, premiato all’ultimo forum Start up - Nuove idee nuove imprese Rimini - Repubblica di San Marino, ed inoltre selezionato da Confindustria Emilia Romagna per la partecipazione e rappresentanza a Expo 2015, è un sistema ideato per rilevare e quindi proteggere dalle fuoriuscite accidentali di idrocarburi, recettori ambientali ed umani. Il principio di funzionamento è il confinamento e il conseguente recupero automatico e immediato, delle sostanze tossico-nocive, infiammabili o comunque pericolose rilasciate accidentalmente. Il Samis si compone di 3 sistemi: 1. una sentinella di guardia attiva 24 h; 2. un sistema automatico di blocco degli inquinanti; 3. un sistema automatico di recupero degli inquinanti. I campi di utilizzo sono vari: dall’in-

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gresso nei depuratori a protezione del sistema chimico fisico del depuratore stesso; dai punti vendita carburanti, depositi di raffineria per la protezione dell’ambiente; a monte di aree protette connesse con fiumi o canali; dai sistemi di canali e chiaviche di irrigazione; a darsene e porti a protezione delle stesse e del mare a seguito di incidenti e perdite di carburante. Il Samis oltre a garantire tempi di intervento rapidissimi essendo completamente automatizzato e già posizionato in punti strategici, esclude anche l’intervento di operatori in aree resesi insalubri e spesso ad elevato rischio di incendio ed esplosione a causa delle sostanze disperse. L’intervento preventivo del dispositivo permette al personale addetto alle emergenze, di intervenire con cautela e perizia in uno scenario in cui ormai la propagazione delle sostanze è già bloccata. Questo sistema può avere largo impiego in tutti quegli impianti industriali che, per necessità produttive o di trasporto, sorgono in prossimità di corpi idrici come canali, fiumi, laghi, porti, ecc.; è inoltre adatto ad un impiego di caratte-

re industriale, per pulire ed evitare l’accumulo potenzialmente pericoloso di idrocarburi, nelle vasche di disoleazione e di raccolta acque contaminate delle raffinerie o depositi petrolchimici ed essendo estremamente versatile risulta adattabile a qualsiasi struttura e luogo di applicazione. Tra le varie configurazioni possibili vogliamo citare quella denominata “a chiusura e doppio controllo in condotta chiusa”. Si tratta di un sistema che in realtà ne comprende due in serie: il primo con effetto a blocco e recupero (degli idrocarburi ad esempio), seguito da un secondo a blocco totale del fluido. Qualora il primo sistema non trattenga completamente la sostanza, quello successivo, attivandosi mediante altra sonda posta a valle del primo, serra completamente la condotta. In questo caso il sistema prevede un polmone per raccogliere il fluido dirottato (acqua o contaminante), dimensionato in modo da dare il tempo alle maestranze di intervenire per la normale manutenzione. I prototipi del Samis saranno esposti in fiera a Ecomondo. *Heureka


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Economia circolare a km zero con un pizzico di ricerca e innovazione Il recupero degli inerti nel territorio gestito dalla Valle Umbra Servizi SpA: la chiusura del ciclo nella gestione post-terremoto del 1997 di Moreno Marionni e Walter Rossi*

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’innalzamento degli obiettivi in materia di rifiuti nelle direttive esistenti con la visione della “società del riciclo” [1], rientra nell’ambizioso sforzo di realizzare una transizione fondamentale da un’economia lineare a una più circolare. Si propone un modello economico diverso, dove le materie prime non vengono più estratte, utilizzate una sola volta e gettate via. In un’economia circolare [2] il riutilizzo, la riparazione e il riciclaggio diventano la norma (vedi fig. n.1). Non è forse un caso che anche il Santo Padre Papa Francesco abbia centrato la prima Enciclica nella cura del nostro Ambiente, e per chi ha la fortuna di vivere nel proprio quotidiano le terre di San Francesco d’Assisi migliore citazione non poteva introdurre questo articolo. Dopo questa prima parte introduttiva e qualche elemento di storia del recupero che ci ricorda come il tema è una filiera che inizia ad essere affrontata già agli inizi del ‘900, la seconda parte evidenzia come su alcuni flussi di materiali generati da emergenze si può realizzare un’economia circolare a km zero. E’ il caso degli inerti da costruzione e demolizione (C&D) nel territorio gestito dalla VUS S.p.A. dopo il terremoto del 1997. La VUS S.p.A. in maniera analoga ha sviluppato accordi sul flusso delle raccolte differenziate di carta e cartone con una cartiera locale per chiudere il ciclo sul territorio.

Prolungare l’uso produttivo dei materiali, riutilizzarli e aumentarne l’efficienza serve anche a rafforzare la competitività di un Paese. Secondo le previsioni l’UE dovrebbe già aumentare la produttività delle risorse del 15% tra il 2014 e il 2030. L’industria europea con tale modello circolare potrebbe realizzare notevoli risparmi sul costo delle materie e innalzare potenzialmente il PIL dell’UE fino al 3,9%, con la creazione di nuovi mercati e nuovi prodotti, nuovi posti di lavoro (WRAP 2015) [3]. E’ necessaria una visione di filiera di gestione e recupero dello scarto che si origina dall’utilizzo delle risorse, un approccio sistemico che parte dalla sua minimizzazione all’origine, al controllo durante i

processi produttivi, al massimo recupero a valle del flusso di materia/energia. Concetto oggi ripreso ed esteso dal cosiddetto “urban mining” [4] che riguarda tutte le attività e i processi di bonifica di composti, energia ed elementi da prodotti, edifici e rifiuti generati dal cataboli-

Figura 1. Economia Circolare (Commissione UE, 2014)

Lettera Enciclica Laudato Si’ “Inquinamento e cambiamenti climatici” “Inquinamento, rifiuti e cultura dello scarto. Questi problemi sono intimamente legati alla cultura dello scarto, che colpisce tanto gli esseri umani esclusi quanto le cose che si trasformano velocemente in spazzatura. Rendiamoci conto, per esempio, che la maggior parte della carta che si produce viene gettata e non riciclata. Stentiamo a riconoscere che il funzionamento degli ecosistemi naturali è esemplare: le piante sintetizzano sostanze nutritive che alimentano gli erbivori; questi a loro volta alimentano i carnivori, che forniscono importanti quantità di rifiuti organici, i quali danno luogo a una nuova generazione di vegetali. Al contrario, il sistema industriale, alla fine del ciclo di produzione e di consumo, non ha sviluppato la capacità di assorbire e riutilizzare rifiuti e scorie. Non si è ancora riusciti ad adottare un modello circolare di produzione che assicuri risorse per tutti e per le generazioni future, e che richiede di limitare al massimo l’uso delle risorse non rinnovabili, moderare il consumo, massimizzare l’efficienza dello sfruttamento, riutilizzare e riciclare. Affrontare tale questione sarebbe un modo di contrastare la cultura dello scarto che finisce per danneggiare il pianeta intero, ma osserviamo che i progressi in questa direzione sono ancora molto scarsi.” Santo Padre Papa Francesco

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S PE C I A L E

La filiera del recupero un tema che parte da lontano… Nel periodo tra l’anno 1000 e 1825 le città manifatturiere dell’Europa Occidentale riguardano una composizione merceologica inerente le lavorazioni di tessili (lana, tele, cotone) e dei metalli non preziosi, concerie (pelli, cuoio, pergamena), cartiere (dal XV secolo), fabbricazione della polvere da sparo (dal XIV sec.), e altre manifatture (laterizie e ceramiche, metalli preziosi, lavorazione del legno, fabbriche di candele, di colla, ecc..) esauriscono quasi tutto il panorama produttivo di questo periodo di oltre 800 anni (Sori,1999). Elevati livelli di industrializzazione hanno introdotto delle novità importanti sulla quantità e qualità degli scarti [6]: • la svolta energetica e la crescente mineralizzazione del XIX secolo, incrementa i rifiuti prodotti nella produzione di energia e nelle miniere; • la comparsa di fonti praticamente inedite di rifiuti come gli inerti e i fanghi di depurazione; • la trasformazione dell’agricoltura da settore autarchico (oggi anche consumatore di “scarti extra-agricoli”) a settore che importa rilevanti quantità di energia prodotta al di fuori del sistema agrario (con una controtendenza odierna nell’impiego delle fonti di energia rinnovabili f.e.r.), ed esporta nell’ambiente scarti che nei sistemi tradizionali sarebbero risorse da reimpiegare (fertilizzanti e liquami organici). La Classificazione delle materie di rifiuto all’inizio del ‘900 era così rappresentato (Spataro,1909) [7]: Le materie di rifiuto solide sono: 1. le feci di uomini e di animali; 2. i rifiuti solidi e le spazzature delle abitazioni private e collettive e delle aree corrispondenti; 3. i rifiuti solidi e le spazzature delle piazze e strade e dei giardini; 4. i rifiuti solidi delle arti, dei mestieri e delle industrie, di stabilimenti pubblici; 5. la neve; 6. i cadaveri degli animali. Le materie di rifiuto liquide sono: 1. le urine di uomini e d’animali; 2. le acque di lavaggio e della economia domestica; 3. le acque di lavatura ed inaffiamento stradale; 4. le acque di scolo di lavatoi, bagni, stabilimenti pubblici, ecc; 5. le acque di sopravanzo della casa, delle fontanelle, ecc; 6. le acque di rifiuto delle industrie; 7. le acque meteoriche. Il problema tecnico-sanitario comprendeva due quesiti: a. la raccolta delle materie di rifiuto; b. il loro smaltimento. La raccolta e lo smaltimento delle materie di rifiuto devono essere fatti in modo da non inquinare l’aria che si respira, né il suolo su cui viviamo, né l’acqua che dovremo bere (Spataro,1909). Ma già si comprendeva chiaramente la stretta correlazione tra recupero a valle dei materiali con il sistema di raccolta adottato infatti sempre Spataro agli inizi del ‘900 riferisce “…Per quel che diremo a proposito dello smaltimento delle immondizie si consiglia oggidì di praticare fin dalle case la divisione dei rifiuti secondo la loro natura. A New-York ad esempio i cittadini devono tenere un recipiente per gli avanzi di cucina e per le materie umide, un altro recipiente per le ceneri e le spazzature della casa, e infine un altro per la carta. Il sistema divisore è consigliato fortemente dai fautori della utilizzazione agricola”. Come del resto riportato da Ruata [8] nel 1916 “un sistema di raccolta cosiddetto “separatore”, con il quale le immondizie vengono raccolte separatamente per categorie in tre modi diversi: I. a) resti di cucina, b) altri residui, spazzature, ceneri; II. a) resti di cucina, b) ceneri, c) altri residui, spazzature; III. a) resti di cucina, b) spazzature e ceneri c) altri residui. In certo modo esso si pratica in Roma in quanto che le ossa, la carta, gli stracci vengono tenuti in sacchi e ceduti a stabilimenti ed opere pie (la Sacra famiglia, ecc.) e solo le spazzature e gli avanzi di cucina sono consegnati agli spazzìni municipali…”. Un efficace ed efficiente sistema di recupero dei rifiuti deve essere progettato nella sua filiera gestionale dall’origine al recupero ed effettivo riutilizzo, come ha dimostrato anche l’esperienza del recupero degli inerti nella fase post-terremoto della Regione Umbria.

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smo urbano (Di Maria, 2013). In economia Wiliam Baumol negli anni ’60 studiò la teoria della “malattia dei costi” che affligge tutte le attività ad alto contenuto di lavoro manuale e presenza di personale, come i servizi assistenziali e quelli artigianali (si pensi alle attività di riparazione). Tali attività hanno una dinamica dei costi inesorabilmente crescente per unità di prodotto per cui o scompaiono, o sono surrogate dalle innovazioni o altrimenti avranno un costo notevolmente superiore; riparare un PC portatile che si guasta può costare in termini di ore di lavoro di un tecnico specializzato un terzo del suo costo di acquisto, come rammendare un calzino in termini di ore di lavoro è lo stesso del secolo scorso ma se confrontiamo il costo di acquisto odierno con il costo del lavoro attuale la convenienza è nell’acquistare nuove paia (Massarutto 2009) [5].

La gestione integrata dei rifiuti inerti DA C&D nelle aree del terremoto

L’evento sismico che ha interessato la fascia Appenninica tra Marche e Umbria del 1997 ha comportato enormi problemi di trattamento degli inerti da demolizione necessitando di iniziative che ancora oggi, dopo aver superato la fase critica, sono al servizio della collettività, permettendo un efficace recupero con risparmio di materiale vergine derivante dalle attività estrattive. La crisi sismica iniziata il 26 settembre 1997 ha interessato la fascia appenninica a cavallo tra Marche e Umbria dove già in passato si sono registrati terremoti distruttivi. I comuni umbri che hanno maggiormente risentito degli eventi sismici sono stati quelli territorialmente compresi, parzialmente o totalmente, nella fascia appenninica e preappenninica (24 Comuni), collocati in fascia A: quella ove i danni sono stati più consistenti. Le caratteristiche edilizie ed architettoniche degli edifici presenti nelle zone maggiormente colpite sono quelle tipiche dei centri storici medioevali, dei borghi e delle residenze monofamiliari degli insediamenti rurali di collina e/o di montagna Umbro-Marchigiani.

Intensità dell’evento

L’intensità del maggiore evento, verificatosi il 26 settembre 1997, è stato pari al IX grado della scala Mercalli e magnitudo Richter 5.8. I danni maggiori sono stati registrati nei comuni di Assisi, Foligno, Gualdo Tadino, Nocera Umbra, Preci, Sellano e Valtopina, nei quali risiedono oltre l’80 per cento delle famiglie che furono costrette ad abbandonare la propria abitazione.

Danni Prodotti • • • • • • •

Nuclei familiari sgomberati (n.) n. 9.285 Popolazione sgomberata (ab.) n. 22.604 Edifici danneggiati (n.) Privati n. 69.707 Pubblici n. 2.545, inagibili totalmente 461 Beni culturali n. 2.316, inagibili totalmente 945 Ordinanze di demolizione nella sola area della Flaminia oltre 1500


Il recupero degli inerti in Umbria e materiali inerti derivanti dal terremoto

Dopo il terremoto, nel 1998, la Regione Umbria ha messo a punto la direttiva tecnico-operativa relativa alla “Rimozione delle macerie, demolizione di edifici e recupero materiali”. La direttiva definisce la metodologia operativa con lo scopo di uniformare il comportamento degli Enti interessati sia sul piano gestionale che su quello operativo. E’ stata approvata la Legge per disciplinare la “Ricostruzione” degli edifici comunque danneggiati dal terremoto (L.R. 61/98). Nei 24 Comuni di “Fascia A” sono state emesse ordinanze di demolizione e sono stati presentati progetti di ricostruzione per edifici danneggiati dal terremoto: • ordinanze di demolizione oltre 1.600; • progetti di ricostruzione su edifici danneggiati oltre 20.000 con concessione edilizia.

La stima quantitativa dei rifiuti inerti derivanti dal terremoto

I rifiuti inerti derivanti dal terremoto sono originati da: • macerie, relative ai crolli e/o alle ordinanze di demolizione di edifici; • ricostruzione, relativi ai programmi di ricostruzione avviati e/o conclusi. Il totale dei rifiuti inerti nelle aree interessate pertanto è stato così stimato con buona approssimazione in: • inerti da macerie mc 500.000 • inerti da ricostruzione mc 450.000 TOTALE mc 950.000

elementi di pregio edilizio presenti nelle macerie. La Direttiva Regionale ha stabilito i seguenti criteri operativi: • individuazione di 5 aree operative (Nocera Umbra; Gualdo Tadino Gubbio; Foligno; Assisiate - Perugino; Valnerina); • trasporto delle macerie presso appositi siti di stoccaggio individuati dai Sindaci; • organizzazione, presso i siti provvisori, delle operazioni di stoccaggio, cernita e recupero mediante lavorazione di inerti da riutilizzare; • invio dei rifiuti non recuperabili presso impianti autorizzati di smaltimento finale. La Regione con Delibera Regionale 6218/98 ha fissato che i materiali inerti recuperati dalle macerie previo trattamento, dovranno essere reimpiegati, almeno per un quantitativo pari al 50 per cento del totale, per opere civili pubbliche e/o private compatibili e legate alla ricostruzione. L’esperienza più significativa vede ancora oggi protagonista la Valle Umbra Servizi S.p.A. con l’impianto di selezione, trattamento e recupero inerti in loc. Casone di Foligno. Lo scopo è quello di: • fornire un servizio certo ai Comuni terremotati;

eseguire con correttezza e sicurezza le operazioni di trattamento e recupero; • organizzare tutte le iniziative per il riutilizzo del materiale. L’impianto è stato realizzato a Foligno nelle adiacenze dell’impianto di selezione, trattamento e compostaggio TMB R.S.U. e Compostaggio Qualità già esistente. Il processo di recupero inizia a monte del conferimento con le seguenti fasi del sistema integrato: • raccolta presso i cantieri/deposito; • stoccaggio; • trattamento; • analisi e controllo del processo. Il sistema è composto da tre componenti principali: a. il rifiuto da trattare; b. il processo produttivo di selezionetrattamento e recupero; c. il prodotto: gli aggregati riciclati recuperati ed utilizzabili in forma legata o non legata. Per ogni componente del sistema si evidenziano i principali aspetti tecnici e normativi alla luce dell’esperienza postterremoto. Il sistema di recupero dei rifiuti inerti che tratta l’impianto di Foligno sono la categoria dei rifiuti speciali da C&D non pericolosi propriamente detti comprendenti le cosiddette macerie (calcestruzzo, mattoni, cemento, laterizi, ecc.), ed i

Obiettivi e Criteri Operativi

Con la Direttiva sono stati fissati i seguenti criteri e obiettivi del recupero: • contenimento e qualificazione dell’azione demolitoria; • promozione del recupero e reimpiego degli inerti contenuti nelle macerie; • cernita e recupero degli

Figura 2. Il gruppo Valle Umbra Servizi nel territorio su circa 160.000 abitanti e n. 22 Comuni

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S PE C I A L E

Innovazione e Ricerca sulla qualità dei materiali recuperati Al fine di quantificare le prestazioni meccaniche offerte dai materiali è stata eseguita una vasta indagine sperimentale dal 2005 ad oggi con il “Laboratorio di Strade Ferrovie ed Aeroporti” VIARIA del Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale dell’Università di Perugia con sede in Foligno. Questa parte dell’articolo è frutto dell’ottimo lavoro svolto dal gruppo di lavoro costituito nelle fasi di sperimentazione oltre che dagli Autori, dal Prof. Ing. Gianluca Cerni del Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale di Perugia, dell’ Ing. Giuseppe Scasserra progettista, e sempre della VUS SpA l’Ing. Loredana Lattanzi, il Geom. Stefano Benedetti, Sig. Simone Mariani e Raffaele Sposini.

Fasi realizzative e di prova

In località S.Orsola di Spoleto è stato realizzato un rilevato sperimentale costituito da materiale da C&D, all’interno dell’area in cui si estende la discarica di S.Orsola (Terzo La Pieve – Spoleto), in prossimità dell’impianto di trattamento del biogas. Lo scopo è stato quello di verificare l’idoneità dei materiali provenienti dalle attività di costruzione e demolizione di edifici, prodotti dalla VUS nell’impianto di Casone, nella realizzazione del consolidamento dell’argine della discarica. Al fine di garantire l’orizzontalità del piano d’appoggio è stato realizzato un sottofondo con materiale C&D 40-70. Successivamente è stato realizzato uno strato di base con un materiale 0-30 modificato 1 ottenuto dalla miscelazione dello 0-30 e del sabbione 0-10 nelle proporzioni di 1 a 2. L’altezza dello strato è stata fissata a 40 cm: tale spessore è stato posto in opera in due strati, in ognuno dei quali il materiale è stato preventivamente umidificato e successivamente compattato tramite rullo vibrante. Per un controllo orientativo dell’acqua da impiegare per la fase di umidificazione, si è sfruttata la portata nota dell’idrante utilizzato e le dimensioni dell’area d’interesse in termini di larghezza, lunghezza e spessore. I 20 cm di materiale sono stati compattati ponendo particolare attenzione alla parte centrale del rilevato in cui il rullo ha percorso 3 strisce adiacenti di larghezza 1.65 m e sovrapposte di 20 cm. Al fine di valutare l’omogeneità del costipamento dello strato di base sono state eseguite una serie di prove su piastra dinamica. Al di sopra dello strato di base è stato posto in opera un primo strato di spessore pari a 25 cm e realizzato per metà della sua lunghezza con materiale 0-30 modificato 2 e per metà con materiale 0-40. E’ stato posto in opera uno 0-30 modificato 2 in quanto dall’analisi granulometrica si era riscontrata un’elevata quantità di fino nel modificato 1, per cui si è preferito miscelare lo 0-30 con il sabbione 0-10 nelle proporzioni di 1 a 1. Inoltre per motivi di quantità ed omogeneità di produzione sono state impiegate reti di selezione di 40 mm in modo da produrre un materiale 0-40. Da questo step in poi, si è cercato di porre in opera il materiale con la massima accortezza al fine di ottenere dalle prove in sito informazioni attendibili sulla concreta utilizzabilità del materiale C&D. Sono state innanzitutto realizzate tre fasce centrali (successivamente sottoposte alle prove in sito) della larghezza di 1,65 m e sovrapposte per 0,2 m, sulle quali sono stati eseguiti un numero differente di passaggi del rullo (8-10-12 rullate) al fine di investigare gli effetti che la compattazione induce sulla risposta del materiale. I due materiali a disposizione sono stati inoltre posti in opera con contenuti d’acqua differenti. In particolare si sono volute investigare le condizioni di posa in opera del materiale con elevato contenuto d’acqua (“a saturazione”) per lo 0-30 modificato 2; mentre lo 0-40 è stato steso con bassa umidità, ossia quella posseduta dai cumuli in cui lo stesso viene stoccato (condizione “a secco”). Tali situazioni estreme sono state investigate considerando che un buon esito delle prove, sul materiale posto in opera in una delle due modalità, avrebbe mitigato in fase di realizzazione del consolidamento dell’argine della discarica i problemi legati al raggiungimento di una specifica umidità di costipamento. Durante la compattazione si sono tuttavia evidenziate per lo 0-30 modificato 2 notevoli problematiche in quanto il rullo è stato spesso soggetto ad un effetto di “pattinamento” che ne ha ostacolato l’avanzamento. Il materiale 0-40 è stato invece messo in opera agevolmente. Sullo strato I sono state realizzate prove di piastra statica e dinamica, nonché prove penetrometriche e di controllo della densità raggiunta. I risultati delle prove condotte sullo strato I hanno evidenziato un ruolo chiave svolto dall’umidità con cui il materiale viene posto in opera ed hanno pertanto indirizzato la realizzazione dello strato II nell’ottica di esaminare in dettaglio gli effetti di tale variabile. Un secondo strato di altezza pari a 25 cm è stato realizzato con materiale 0-40.

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Tale frazione può essere infatti prodotta in impianto più agevolmente (la produzione è completamente automatizzata) ed in maggiori quantità. Inoltre i dati ottenuti dalle prove condotte sul primo strato non hanno evidenziato sostanziali differenze tra le due pezzature in termini di proprietà meccaniche. Lo strato è stato diviso in tre zone sulla sua lunghezza, in ognuna delle quali il materiale è stato messo in opera con un differente contenuto d’acqua. Un controllo in laboratorio di campioni prelevati il giorno stesso della realizzazione dello strato ha mostrato un’umidità del settore lato entrata pari al 14,5%, del settore centrale pari al 13,2% e del settore sul lato dell’impianto di trattamento del biogas pari al 14,2%. I tre valori di umidità appena citati sono stati raggiunti sfruttando l’azione di un idrante presente in prossimità del rilevato e differenziando i tempi di umidificazione dei diversi settori (Fig. 4). Anche questa volta sono state realizzate tre fasce centrali soggette ad un numero diverso di passaggi del rullo. La realizzazione delle piste è stata organizzata come nel caso dello strato I ma il numero di passaggi è stato fissato rispettivamente pari a 8, 12 e 16. Analogamente a quanto fatto per lo strato I, sono state eseguite prove di piastra statica e dinamica, prove penetrometriche, prove di valutazione della densità in sito nonché nuove prove di piastra dinamica con funzione di controllo e svolte oltre che nella giornata in esame anche successivamente per comprendere l’evoluzione nel tempo.

Resoconto complessivo dei risultati ottenuti

Alla luce dei risultati ottenuti dalle prove svolte sia in laboratorio che in sito è stato possibile valutare le possibilità di impiego del materiale C&D 0-40 prodotto dalla VUS nell’impianto di Casone. Dalle prove di laboratorio è emerso che il materiale C&D 0-40 presenta buone caratteristiche per essere messo in opera in quanto risulta non plastico, è costituito principalmente da calcestruzzo, elementi di muratura e aggregati e contiene pochi elementi vetrosi e conglomerati bituminosi. Inoltre mostra una buona portanza (CBR) ed un trascurabile rigonfiamento in acqua. Il coefficiente Los Angeles (LA) pari al 43%, testimonia invece una non buona resistenza all’usura e al degrado però comprensibile data la presenza di elementi teneri come il laterizio, piastrelle, ecc. Dalla realizzazione del rilevato in sito si sono potute trarre considerazioni sulle modalità operative di messa in opera del materiale. In particolare vengono riportate di seguito sinteticamente le osservazioni dedotte dalla sperimentazione. • Dalla realizzazione dello strato I è emerso come l’umidità di stesa rappresenti un elemento chiave in fase di esecuzione dell’opera. Gli eccessi di acqua in fase di compattazione hanno infatti evidenziato problemi legati alla lavorabilità del materiale, nonché valori di modulo dinamico subito dopo il costipamento non soddisfacenti. • La messa in opera “a secco”, cioè nelle condizioni in cui il materiale viene stoccato all’impianto, ha garantito una buona lavorabilità del materiale ma valori dei moduli dinamici sensibilmente inferiori rispetto a quelli ottenuti sullo strato II incrementando il contenuto d’acqua. • Le prove penetrometriche non hanno evidenziato variazioni di resistenza al variare delle condizioni realizzative dello strato II (variazione del contenuto d’acqua, aumento del numero di passaggi del rullo, ecc.). Lo stesso risultato non si è però riscontrato nelle prove su piastra statica e dinamica. • Sullo strato II i valori di modulo dinamico più elevati si sono riscontrati nel settore con w=13.2% (mediamente 40,4 MPa). Tale valore di umidità potrebbe essere utilizzato come contenuto d’acqua di riferimento per l’impiego del materiale in sito. Una tale scelta viene avvalorata anche dal fatto che l’umidità ottimale ottenuta dalla prova di compattazione in laboratorio (14.2%) è relativa al materiale con granulometria limitata a d<25mm, mentre il 13.2% valutato in sito si riferisce all’intera granulometria 0-40mm, per la quale è plausibile un valore di umidità ottima inferiore al dato Proctor. • I test di analisi della densità in sito hanno evidenziato che nel caso dell’umidità presa come riferimento (w=13.2%) sono necessari almeno 12 passaggi di rullo per ottenere valori superiori al 95% dell’ottimo. Il contenuto d’acqua w=13.2% appare anche da questi risultati quello più adeguato al raggiungimento del livello di compattazione richiesta. • Dai risultati delle prove su piastra statica effettuate, sono emersi valori di modulo più elevati di quelli ottenuti con la piastra dinamica. I dati ottenuti sono risultati sempre superiori ai 50 MPa e hanno fornito un valore medio prossimo ai 60 MPa . • Dal confronto dei valori dei moduli ottenuti tra piastra statica e dinamica si è ricavato un valore medio del rapporto pari a: Estat/Edinam=1.5.


cantieri dove si produce il rifiuto devono tener conto già di questa separazione.

Le Caratteristiche dell’Impianto

Qualunque tipologia impiantistica deve poter suddividere il materiale in entrata in tre flussi di materia: • materiale lapideo riutilizzabile; • frazione leggera (carta, plastica, legno, impurità); • frazione metallica. I passi comuni ai vari protocolli di trattamento sono i seguenti: • frantumazione (che può essere primaria e a volte secondaria); • classificazione/selezione; • vagliatura; • stoccaggio; • controllo qualità (marcatura CE) che interessa tutta la filiera, dalla raccolta all’uscita del materiale pronto per la vendita, oltre ai previsti test di cessione della normativa ambientale. La frantumazione, dopo il controllo della qualità del materiale in ingresso correlata ad una corretta differenziazione dei rifiuti prodotti in cantiere, rappresenta la fase importante del processo di riciclaggio in quanto il primo stadio di recupero delle macerie presso l’impianto avviene proprio nel frantoio. Gli impianti di frantumazione principalmente impiegati sono: • frantoi a mascelle - i frantoi a mascelle vengono in genere utilizzati per effettuare la frantumazione primaria; la riduzione granulometrica avviene tramite il passaggio del materiale lapideo attraverso una mascella fissa e una in

Figura 4. Realizzazione e umidificazione dello strato II (a sinistra) prova con piastra dinamica sullo strato di base (a destra)

movimento; mulini ad urto (o a martelli) - i mulini a martelli sfruttano per la frantumazione l’urto a cui vengono sottoposti i materiali contro particolari martelli rotanti ad alta velocità fissati ad un volano. La qualità del prodotto in uscita e la sua distribuzione granulometrica dipendono dal materiale da trattare e dalla regolazione della mascella fissa/corazze d’urto e dalla velocità. Il materiale viene venduto per essere impiegato nella realizzazione di rilevati (piazzali e strade), sottofondi stradali, riempimento in genere, opere di drenaggio, riempimenti di scavi di opere (fognature ecc.). Le opere e gli interventi sono realizzati in larghissima parte nelle stesse zone terremotate ed hanno consentito il recupero presso l’impianto di Foligno circa 500.000 tonnellate di rifiuti da C&D dal 1998 ad oggi [9].

Quanta strada da fare...

Figura 3. Impianto di frantumazione e selezione di Foligno

NOTE

[1] Termine introdotto dalla Direttiva CE 98/2008 recepita nel D.lgs. 152/06 [2] Bruxelles, 2.7.2014 COM(2014)398 final. Verso un’economia circolare: programma per un’Europa a zero rifiuti [3] WRAP UK,2015.Economic Growth Potential of More Circular Economies [4] Di Maria et .Al. (2013) Urban Mining. Sardinia Symposium 2013. - Baccini P., Brunner P.H., 2012, “The term urban mining describes the exploration and explotation of material stocks in urban systems for anthropogenic activities…Urban mining is urban geology combined with urban engineering” [5] A.Massarutto,2009, “I rifiuti” Ed.Il Mulino [6] Sori E., 1999, Il Rovescio della produzione. Il Mulino [7] Tratto da Spataro D., 1909, Trattato Generale teorico pratico dell’arte. Vallardi [8] Tratto da Ruata G.,1916, “Trattato di igiene per gli ingegneri”. Hoepli [9] Marionni-Cerni. “Emergency following the 1997 earthquake in the Umbria region (Italy): from problem to opportunity of development” ISWA Firenze 2012

In Italia la pratica del recupero dei rifiuti da attività di costruzione e demolizione presenta ritardi rispetto alla realtà Europea. La Direttiva n.98/2008CE, recepita nel nostro ordinamento nazionale nel D.Lgs. 152/06, pone nuovi obiettivi e in particolare per i rifiuti inerti all’art 11 “Riutilizzo e riciclaggio” al c.2 individua: “2. Al fine di rispettare gli obiettivi della presente direttiva e tendere verso una società europea del riciclaggio con un alto livello di efficienza delle risorse, gli Stati membri adottano le misure necessarie per conseguire i seguenti obiettivi: a) omississ… b) entro il 2020 la preparazione per il riutilizzo, il riciclaggio e altri tipi di recupero di materiale, incluse operazioni di colmatazione che utilizzano i rifiuti in sostituzione di altri materiali, di rifiuti da costruzione e demolizione non pericolosi, escluso il materiale allo stato naturale definito alla voce 17 05 04 dell’elenco dei rifiuti, sarà aumentata almeno al 70 % in termini di peso”. Il raggiungimento di tale obiettivo non può che essere ottenuto tramite politiche di sostegno nazionale e locale. Il solo mercato senza regolamentazioni non è in grado soprattutto nel caso di materiali sostanzialmente poveri di favorire tale percorso virtuoso. L’esperienza della gestione degli inerti post-terremoto Umbro ed in particolare della VUS SpA con l’impianto di Foligno è un esempio verso un economia circolare locale a km Zero. *Valle Umbra Servizi S.p.A.

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UN APPROCcIO INNOVATIVO PER OTTIMIZZAre I COSTI OPERATIVI IN AMBITO INDUSTRIALE Strategie e strumenti per pianificare, controllare e migliorare la produttività con una forte contrazione dei costi operativi e un aumento della redditività per le raffinerie di Alessandro Aresu*

L

’approccio tradizionale per la riduzione delle spese operative in ambito industriale si basa, solitamente, sulla riduzione tout court dei costi operativi, sulla diminuzione della produzione o su singoli aspetti specifici che vengono valutati separatamente. Arcadis introduce un approccio innovativo per l’ottimizzazione degli oneri operativi e il mantenimento della sostenibilità. Questa strategia, incentrata su 7 aree tra loro collegate (manutenzione impianti, efficienza energetica, consumo idrico, ottimizzazione luoghi di lavoro, procedure relative a Salute e Sicurezza e Ambiente, infrastrutture), ha permesso di ottenere risultati notevoli in diversi settori industriali, con un importante ritorno economico in breve tempo.

L’ottimizzazione dei costi di manutenzione nelle raffinerie

In tutto il mondo le raffinerie vengono spinte sempre di più a ridurre i costi di gestione; a livello europeo, la maggior parte delle raffinerie ha avuto una ripresa dei profitti all’inizio del 2014, ma i margini rimangono comunque contenuti ed i profitti possono essere compromessi da piccole variazioni del prezzo del petrolio grezzo e da altri costi operativi. Negli Stati Uniti e in Canada il margine è maggiore grazie ai prezzi più bassi per il greggio e alla maggior scorta di gas.

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Nel Medio Oriente, la disponibilità di petrolio grezzo e l’utilizzo di raffinerie più grandi, ammortizza in qualche modo le criticità legate ai margini di raffinazione e alle condizioni del mercato petrolifero. In generale, comunque, la pressione per abbattere i costi ed aumentare i margini è tutt’ora cruciale. Nelle raffinerie i costi di manutenzione, che si aggirano in media fra i 35 e i 65 milioni di euro all’anno, rappresentano solitamente la terza spesa subito dopo l’acquisto di materiale grezzo ed i costi per l’energia. La maggior parte delle compagnie petrolifere non massimizza pienamente la produttività delle squadre di manutenzione; ogni euro risparmiato sulla manutenzione ha un impatto diretto e positivo sul bilancio e ogni ora di maggiore operatività aumenta la capacità produttiva senza ulteriori investimenti di capitale. Per raggiungere una performance di

prim’ordine, le raffinerie devono mantenere i costi di manutenzione al di sotto dell’1.4% del Plant Replacement Value (PRV) e la disponibilità meccanica sopra il 96.7%, con un livello di produttività di 60÷65%. Tuttavia, in molte raffinerie, i livelli di produttività delle attività di manutenzione raggiungono solo il 30–40%. Questo significa che le squadre di manutenzione passano soltanto 17 ore, di una settimana lavorativa di 40 ore, “sulle attrezzature”. Alla base di questa diffusa scarsa produttività delle squadre di manutenzione c’è il fatto che poche compagnie petrolifere hanno una conoscenza accurata del tempo ottimale necessario per lo svolgimento dei vari compiti o un controllo accurato della produttività delle proprie squadre di manutenzione. I tentativi per misurare la produttività solitamente hanno la forma del tipico studio “Time and


Motion”; sapendo che verranno sottoposti a verifica e monitoraggio delle proprie performance, le squadre operative in quel periodo tendono ad essere più produttive. Il risultato di questi studi è un quadro approssimativo della produttività. Senza studi accurati, non ci sono le basi per sviluppare un piano di incremento della produttività o per monitorare i progressi sulla base di target di miglioramento. Quindi, anziché migliorare, le prestazioni ristagnano. Inoltre, la mancanza di misure accurate rende difficile incentivare gli appaltatori a migliorare la produttività. I contratti sono solitamente stipulati su una base rimborsabile, senza tener conto dell’efficienza e pertanto in assenza di uno stimolo concreto verso il miglioramento continuo. A ciò si aggiunge il fatto che, controlli inadeguati e la mancanza di chiarezza sui tempi necessari per svolgere i vari compiti, portano spesso le compagnie petrolifere a programmare, per gli interventi di manutenzione, tempi maggiori del necessario. L’effetto collegato è che le squadre di lavoro impiegano solo una piccola parte del tempo utilizzato per il ciclo di manutenzione sul lavoro diretto. Senza dati precisi e affidabili e un processo prioritario di miglioramento legato al raggiungimento di obiettivi misurabili, il tempo necessario per il ciclo del lavoro non può essere ridotto adeguatamente per ottenere il giusto livello di produttività. Come possono quindi le raffinerie affrontare e prendere il controllo della produttività per ottenere la desiderata riduzione dei costi di manutenzione? Utilizzare le Work Activity Norms (WAN) come mezzo per misurare e migliorare la produt-

tività può fare una grande differenza. Lo sviluppo delle WAN comporta la suddivisione in sotto-task e la definizione delle attività che una squadra di manutenzione o un appaltatore deve svolgere per completare un specifico incarico. Inoltre, stabilisce una serie di misure per specificare le tempistiche “necessarie” per il completamento di ogni attività. Chiaramente, ci possono essere variazioni nei tempi “necessari”; ad esempio, le condizioni atmosferiche, le norme locali su salute e sicurezza, l’accessibilità dei siti, possono influire sulla durata dell’incarico, così come sul rendimento dell’appaltatore. In sostanza, a parità di attività di manutenzione da svolgere, questi tempi saranno differenti a seconda del sito in cui ci si trovi ad operare. Queste variazioni possono essere raggruppate e definite come “fattori contrattuali”. Moltiplicando le WAN con un fattore contrattuale, le compagnie petrolifere possono generare un insieme di regole generali ed utilizzarle per: • analisi comparativa, in termini di produttività, del proprio posizionamento nel mercato; • prevedere con successo e accuratezza i livelli di produttività perseguibili e le aree a maggiore chance di implementazione; • analisi dei costi-benefici e dei tempi di ritorno degli eventuali investimenti legati alle azioni da intraprendere ai fini dell’aumento dei livelli produttivi; • incentivare gli appaltatori al raggiungimento di tali livelli basandosi su uno strumento accurato e oggettivo; • migliorare continuamente grazie agli standard stabiliti.

Le WAN forniscono alle compagnie petrolifere la conoscenza necessaria per prendere il controllo della propria produttività e per pianificare e mantenere nel tempo miglioramenti duraturi. Il punto di partenza per migliorare la produttività attraverso le WAN è misurare la produttività “così com’è”. Per assicurare la precisione, le misure devono basarsi su controlli random eseguiti nel corso della giornata lavorativa. Quindi, confrontando l’attuale produttività con i dati WAN, le compagnie petrolifere possono identificare le aree che offrono la maggior possibilità di miglioramento e quantificare il potenziale risparmio. Il miglioramento del processo di pianificazione e gestione delle attività di manutenzione mediante l’approccio WAN può aumentare la produttività di oltre il 30%. Basandosi su una squadra di manutenzione di 100 persone, un tale aumento di produttività può rappresentare un risparmio annuale potenziale di 2÷3 milioni di euro. Secondo l’esperienza di Arcadis, maturata in anni di partnership con le maggiori compagnie dell’Oil&Gas, l’utilizzo di una strategia produttiva basata sulle Work Activity Norms permette un aumento della produttività pari al 10–20%; in alcuni casi è stato possibile fornire le stesse attività di manutenzione con una riduzione delle squadre di manutenzione del 20%, con un risparmio annuale di circa 3 milioni di euro, destinando il tempo in “esubero” a ordini supplementari di lavoro, a vantaggio dell’efficienza e della redditività del ciclo produttivo. In estrema sintesi, l’adozione di una strategia basata sulle Work Activity Norms fornisce alle raffinerie uno strumento importante per pianificare, controllare e migliorare la produttività delle squadre di manutenzione, con una forte contrazione dei costi operativi grazie all’ottimizzazione delle risorse e delle attività. *Arcadis Italia S.r.l.

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PA NOR AMA

A Z I E N DE

La forza del cambiamento La capacità di rinnovarsi e rimanere al passo con i tempi è certamente una delle caratteristiche di Trevi Benne, che da quest’anno, per la terza volta nella sua storia, affronta una metamorfosi del proprio logo di Maria Beatrice Celino

C

ambiare a volte è naturale, accade nello scorrere degli eventi della vita. Cambiare per scelta è altra cosa, vuole dire essere consapevoli di chi si è, di cosa si vuole diventare e dei passi da compiere a quel fine. Soprattutto il cambiamento va interpretato al momento giusto. E’ così che Trevi Benne, nata nel 1992, dopo il primo settenario, ha affrontato la prima metamorfosi, come un bambino che, dopo avere imparato a camminare e a conoscere il proprio mondo, inizia ad espandere le proprie conoscenze trasformando gli eventi della vita in opportunità di continua crescita. Ed è così che oggi, con la consapevolezza dell’età adulta, Trevi Benne è pronta per un nuovo cambiamento di immagine e per affrontare nuove avventure! Insieme a Christian Tadiotto, Responsabile marketing di Trevi Benne, proviamo a comprendere i motivi di questa scelta. Mi sono permessa di interpretare con una metafora il vostro percorso aziendale perché posso dire di avervi visto crescere… Il logo è una componente fondamentale della comunicazione aziendale. Quel piccolo simbolo riportato ovunque è un facile mezzo per far ricordare la propria identità e, se fatto bene, può incidere sul successo della stessa. Cambiare o modificare l’identità di un marchio costituisce un passo fondamentale nella strategia di rilancio dell’immagine aziendale. Ecco quindi che abbiamo nuovamente deciso di rompere con il passato e rilanciare completamente il nostro brand. Come si affronta il cambiamento? La volontà di cambiare e lo studio grafico del nuovo marchio sono iniziati due anni fa, l’idea di fondo era quella di rimanere sempre e comunque riconoscibili, ma allo stesso tempo di adattarsi alle nuove tendenze di marketing in modo da aumentare l’appetibilità del nostro prodotto. Non è semplicemente un’operazione di svecchiamento del marchio ma una vera e propria trasformazione dell’azienda in termini di obiettivi, di messaggio e di cultura. Quindi una nuova consapevolezza, una presa di coscienza di nuovi obiettivi? E’ un segnale di maturità, di positività, di volontà di riposizionarsi sul mercato e di propensione verso il futuro. E, come in tutti i cambiamenti, è necessaria una buona dose di coraggio, di consapevolezza e di abilità strategica della Proprietà. Dal 1992 ad oggi Trevi Benne cambia veste per la terza volta: un rinnovamento che negli anni non ha intaccato i valori che da sempre ci caratterizzano: passione per il nostro lavoro, inesauribile energia e la ricerca della soddisfazione del cliente che si affida a noi.

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Le attrezzature per i professionisti del waste Management Grazie alla propria gamma di attrezzature specificamente sviluppate per il settore della gestione rifiuti, JCB Wastemaster rappresenta oggi un punto di riferimento per questo comparto in forte espansione di Giorgio Galbiati

L

’individuazione di nuovi ambiti applicativi e, di conseguenza, di nuovi mercati rappresenta oggi più che mai un fattore di successo per ogni costruttore. Coerentemente con la propria filosofia di innovazione costante e attenzione nei confronti delle esigenze del mercato, JCB ha sviluppato una gamma di macchine con caratteristiche di versatilità e allestimenti ad hoc, denominata Wastemaster, che ne esaltano prestazioni e produttività nelle applicazioni della raccolta e riciclaggio dei rifiuti. Fanno parte di questa gamma escavatori e movimentatori, pale e minipale, movimentatori telescopici, carrelli telescopici Teletruk; queste tipologie di macchine, sviluppate a partire dal consolidato know-how della produzione JCB per il movimento terra - da cui si contraddistinguono per la sigla WM sono specificatamente sviluppate per la gestione e la movimentazione dei rifiuti solidi e si caratterizzano per le dotazioni aggiuntive che permettono, per lavori negli impianti di trattamento rifiuti e nel settore del riciclaggio di metalli o altri materiali, di incrementare prestazioni e versatilità operativa e, soprattutto, assicurano l’incolumità del mezzo e dell’operatore.

Il movimentatore JS20 MH

Modello di punta della gamma JCB Wastemaster è il movimentatore di

materiali JS20 MH da 20 t, macchina appositamente sviluppata per il settore dei rifiuti che sfrutta al meglio l’esperienza dell’azienda nella produzione di escavatori gommati ad alte prestazioni, affidabili e durevoli e ne incrementa, specializzandole, le prestazioni e la versatilità. Questo nuovo modello affianca gli escavatori gommati JCB JS in configurazione Wastemaster, opportunamente adattati per soddisfare le esigenze del settore di movimentazione dei rottami e rifiuti. Il nuovo JS20 MH sfrutta al meglio l’esperienza dell’azienda nella produzione di escavatori gommati ad alte prestazioni, affidabili e durevoli. Il carro è stato completamente riprogettato e il telaio presenta una torretta di rotazione in posizione centrale che offre una maggiore stabilità a 360º rispetto ai tradizionali escavatori cingolati. Ne consegue un azionamento costante con caratteristiche da vero movimentatore di materiali,

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P A NO R A M A

A ZIEND E

ulteriormente rafforzate da un riduttore di rotazione che assicura una maggiore precisione durante le operazioni di carico. Appositamente realizzata per il settore della raccolta e riciclaggio dei rifiuti, la macchina è dotata di cabina sollevabile idraulicamente per il caricamento dei container, offrendo così una migliore visibilità e sicurezza durante il lavoro. Alimentato da un motore da 97 kW e dotato di un braccio diritto di 5,7 m, il JS20 MH verrà opportunamente personalizzato per offrire eccellenti prestazioni nella raccolta dei materiali. Lo speciale braccio diritto da 5,7 m può essere dotato di avambraccio a collo d’oca da 4 m per offrire lo sbraccio massimo o di un avambraccio per movimentazione materiali da 3,6 m per la massima efficienza delle attrezzatu-

re. Lo sbraccio al perno massimo è di circa 9,5 m.

La terna 5CX WM

Altra novità della gamma è la speciale 5CX Wastemaster, che amplia ulteriormente la consolidata gamma di proposte JCB nel settore della raccolta e del riciclaggio di rifiuti, che offre livelli impareggiabili in termini di efficienza, versatilità e risparmio. La terna 5CX WM offre una versatilità senza pari a un prezzo inferiore a quello di un escavatore gommato del tipo spesso impiegato in cantiere. La sua capacità di svolgere svariate funzioni elimina anche la necessità di disporre di altre macchine, quali carrelli elevatori a forche o transpallet, consentendo un ulteriore risparmio sui costi. Questo

nuovo modello speciale comprende stabilizzatori posteriori più lunghi e un telaio anteriore o una pala multipla per rifiuti con pinza superiore, in entrambi i casi con piedini idraulici. Questa combinazione consente di sollevare da terra l’intera macchina, permettendo di vedere perfettamente all’interno del cassonetto, del frantumatore o della pressa durante l’operazione di compattazione o carico dei materiali con una pinza di cernita, una benna mordente o una ruota compattatrice dedicata. Attrezzature aggiuntive garantiscono tuttavia la massima efficienza del modello JCB 5CX WM anche per applicazioni molto diverse dal carico o dalla compattazione. La gamma di benne speciali ne consente l’impiego per diverse attività tipiche di rimovimentazione dei rifiuti. Sul lato pala, gli utenti possono scegliere tra benne universali ad alta capacità, 6-in-1 o con pinze superiori, a seconda dell’applicazione e della tipologia del carico. Sul lato escavatore, una benna mordente idraulica, le pinze di cernita o una griffa meccanica offrono prestazioni ottimali nella movimentazione dei materiali. La sicurezza in situ è migliorata dalla straordinaria visibilità a 360 gradi della cabina, dalle strisce antinfortunistiche rosse e bianche applicate sugli stabilizzatori, dagli specchi convessi, dal lampeggiante e dall’allarme di retromarcia. La macchina inoltre è garantita dall’introduzione di una protezione del braccio supplementare, di una protezione antiurto per lunotto, di protezioni delle luci e di pneumatici antiforatura. La 5CX WM è dotata del potente motore JCB EcoMAX da 81 kW e comprende innovazioni quali l’Advanced EasyControl e il cambio Powershift a 4 velocità con sistema TorqueLock.

La nuova pala JCB 457 WM

Chiude il tris di novità JCB Wastemaster la grande pala gommata 457 WM, un modello caratterizzato dal design completamente rinnovato: nella cabina, nel cofano motore e nel contrappeso posteriore, elementi ed accorgimenti costruttivi che contribuiscono a una migliore visibilità, a livelli di rumore ancora più bassi, all’aumento dello spazio interno e a un miglioramento

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generalizzato dell’ambiente di lavoro per l’operatore. La JCB 457 WM è tutta nuova per quanto riguarda la motorizzazione: monta un potente motore diesel MTU che eroga la potenza necessaria alle funzioni a cui è destinata la macchina, e soddisfa i requisiti di legge sulle emissioni Tier 4 Final/Stage IV. Oltre a fornire potenza e garantire prestazioni, il nuovo motore contribuisce a un massiccio risparmio di carburante di circa il 16% rispetto al modello precedente. Rispettando la filosofia in tema di motori delle altre macchine JCB, anche il motore della nuova 457 WM raggiunge i livelli Tier 4 Final/Stage IV senza la necessità di un costoso filtro antiparticolato diesel (DPF). La pala 457 WM è tra le prime macchine JCB di nuova generazione a montare la cabina JCB CommandPlus, costruita direttamente dal costruttore britannico. La struttura ROPS è completamente nuova, con i montanti che sono stati spostati verso la parte posteriore della cabina, fornendo un interno più grande con un parabrezza panoramico dall’eccezionale visibilità. Tutti gli interruttori e i comandi ausiliari sono stati posizionati sul lato destro della cabina, in modo da rendere ancora più facile per l’operatore l’accesso a tutti i controlli della macchina. La 457 WM è dotata di serie di due schermi LCD a colori. Gli operatori beneficeranno anche della illuminazione completamente a LED, oltre che della possibilità di montare vetri riscaldabili e regolabili elettricamente, per la massima visibilità in tutte le condizioni operative. Gli specchietti retrovisori sono montati davanti ai montanti principali, incrementando la visibilità tutto intorno alla macchina. La porta della cabina è incernierata nella parte anteriore, consentendo accesso e uscita dalla macchina dai gradini più agevoli e sicuri. Questo rende anche più facile per i tecnici l’accesso al motore per la regolare attività di manutenzione. La nuova cabina, in combinazione con il motore MTU, l’azionamento idraulico della ventola di raffreddamento e il riposizionamento del sistema di condizionamento sono tutte soluzioni costruttive che contribuiscono ad una considerevole riduzione della rumoro-

sità interna, dai precedenti 71 dB(A) ai 67 dB(A) del nuovo modello, nuovo riferimento assoluto sul mercato. Altra novità evidente della 457 WM è la carena spiovente del monoblocco mo-

tore. La nuova cofanatura del motore, che può essere sollevata elettricamente dalla cabina, offre un migliore accesso al motore per una manutenzione più agevole.

Le altre macchine della gamma La gamma JCB Wastemaster comprende diverse tipologie di macchine: escavatori e movimentatori, pale e minipale, movimentatori telescopici, carrelli telescopici Teletruk. Macchine affidabili, versatili e sicure ideali per le applicazioni impegnative a cui sono destinate. Tra i modelli più interessanti della gamma, vale la pena di citare il movimentatore telescopico 550-80 WM, la minipala cingolata 260T WM, e il carrello elevatore con braccio telescopico Teletruk 35D 4x4.

Il sistema satellitare JCB LiveLink Tutte le macchine JCB sono fornite di serie con il sistema telematico JCB LiveLink. Il sistema fornisce ai gestori di flotte e proprietari l’accesso in remoto e in tempo reale ai principali dati di posizionamento della macchina, consumi e ore di lavoro, informazioni sul funzionamento e codici di errore. JCB LiveLink consente inoltre ai clienti di impostare fasce orarie di lavoro, oppure aree di limitazione geografica per impedirne il funzionamento, localizzare la macchina in caso di furto, ecc.

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PROFESSIONISTI NELLA DISMISSIONE DI ASSETS INDUSTRIALI Dal 1994 MEDI opera nel campo delle mega dismissioni, dallo smantellamento di stabilimenti industriali alla compravendita di impianti completi di Gianpiero Lento*

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EDI s.r.l. si occupa prevalentemente di smantellamenti di stabilimenti industriali e compravendita di impianti completi o singole macchine di processo in tutti i settori industriali in Italia e all’Estero. I servizi offerti prevedono, oltre allo smontaggio, smantellamento e ritiro di tutti i beni acquistati (sia vendibili che invendibili), anche la bonifica totale dei siti nei quali sono contenuti, al fine di renderli presentabili per essere convertiti ad altri usi, locati o venduti. Acquisto di interi stabilimenti, impianti completi o singoli cespiti, montaggi e smontaggi selettivi, revisioni totali e parziali, smantellamento, demolizione, bonifica e riqualificazione di interi siti o aree industriali, trasferimenti con l’ausilio di trasporti ordinari ed eccezionali, smaltimenti e rottamazioni,

Area prima dell’intervento (in alto l’area dopo l’intervento)

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bonifiche ambientali totali: questi sono solo alcuni dei servizi che MEDI offre. MEDI è inoltre specializzata nella rimozione “chirurgica” di materiali contenenti amianto. Le opere di smantellamento e bonifica rappresentano qualcosa di “inusuale” in aziende tipicamente votate alla produzione. Quando si deve intraprendere un progetto di dismissione industriale parziale o totale si tende ad affidare i lavori a più soggetti con complicanze ambientali, di sicurezza e gestione che sottraggono all’azienda risorse produttive. MEDI si propone come operatore unico in grado di soddisfare queste esigenze operando a 360 gradi ed offrendo un servizio “chiavi in mano”. Assumendosi l’intera responsabilità del lavoro MEDI si fa carico di tutte le problematiche inerenti il cantiere, dal coordinamento, alla sicurezza, allo smaltimento dei rifiuti. L’azienda che sceglie MEDI in pratica avrà un solo interlocutore e soprattutto non dovrà dedicare risorse umane al controllo e coordinamento dei lavori previsti. MEDI vanta il 100% di performance di successo, con zero incidenti ambientali e zero infortuni, e può mettere a disposizione la sua ventennale esperienza nel settore, creando valore aggiunto per la società cliente. MEDI è in grado di: • valutare il valore degli impianti di processo, dei singoli macchinari così come il puro ricavo dalla rottamazione e recupero dei materiali metallici; • valutare gli aspetti e gli impatti am-

bientali, calcolarne i costi di bonifica e smaltimento, così come è in grado di quotare eventuali costi di demolizione delle opere edili. Dunque MEDI può agevolare il cliente nel prendere la corretta decisione attraverso la presentazione e valorizzazione dei variegati aspetti sopra descritti. MEDI ha di fatto l’esperienza per progetti completi che includano: • smontaggio, smantellamento e rottamazione di impianti industriali; • ricollocazione di macchinari ed impianti (compreso il collaudo se richiesto); • smaltimento dei materiali di risulta e bonifica degli impianti, dei suoli e sottosuoli; • demolizioni edili. MEDI dispone di capacità e forza di intervento e coordinamento con personale diretto fino ad oltre 100 tecnici specializzati e formati allo scopo . Al fine di garantire il migliore risultato, tutte le offerte, sia a corpo che a misura, prevedono l’intervento in esclusiva, in quanto, per motivi di sicurezza, logistica e manleva delle responsabilità, MEDI non è mai stata propensa a condividere i cantieri di lavoro con altri appaltatori, inoltre le offerte tengono conto dei tempi di esecuzione che sono stati sempre rispettati in tutti gli interventi in cui è stata chiamata ad intervenire e durante i quali la qualità di esecuzione è risultata essere ineccepibile. *MEDI s.r.l.


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Da oltre 40 anni di esperienza nel settore minerario una vasta gamma di macchine per la produzione di inerti e per il riciclaggio Una panoramica sulle soluzioni RHT e BHS per il riciclaggio e il trattamento di svariate tipologie di rifiuti di Maria Beatrice Celino

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a oltre 40 anni RHT opera nel settore del trattamento dei rifiuti solidi: dagli urbani agli assimilabili, dagli impianti di “soil washing” al trattamento delle scorie di acciaierie e termovalorizzatori, dai sistemi di classifica aeraulica alla produzione di CDR. RHT collabora da tempo con la società tedesca BHS-Sonthofen sul mercato italiano e del Nord Africa per la commercializzazione dei suoi mulini ad asse verticale (VSI) utilizzati nella produzione di aggregati e sabbie di alta qualità per il settore dei calcestruzzi e dei conglomerati bituminosi. Negli ultimi anni BHS è entrata, con pesanti investimenti, nel settore del riciclaggio e trattamento rifiuti con una vasta gamma di macchine “top class” in continua evoluzione ed ha recentemente affidato a RHT il mercato italiano. RHT, con la sua esperienza nel settore e le sue capacità ingegneristiche e realizzative, è in grado di studiare e proporre soluzioni e impianti completi, anche chiavi in mano. Di seguito è riportata una panoramica delle macchine costruite da BHS. www.rht.it - www.bhs-sonthofen.de

Rotorshredder RS E‘ uno shredder ad asse verticale ad alte prestazioni per l’industria del riciclaggio. Frantuma, libera e disgrega materiali. Le mazze di frantumazione esercitano un intenso stress sul materiale in ingresso attraverso una combinazione di urti, attrizione e forze di lacerazione. Ciò comporta una riduzione selettiva delle dimensioni dei materiali trattati con le seguenti particolarità: • le dimensioni vengono ridotte in modo mirato; • i materiali compositi vengono separati; • i materiali duri e fragili subiscono una elevata riduzione granulometrica; • i metalli vengono separati e puliti; • i materiali inclusi vengono liberati. Può essere utilizzato come primario o come secondario a seconda delle applicazioni e può trattare i materiali più disparati: • RAEE, • ASR (residui della frantumazione automobili), • rottami d’alluminio, • scorie, • accoppiati, • frigoriferi e lavatrici. Caratteristica peculiare di questa macchina è la sua elevata flessibilità e la tipologia di aggressione al materiale da trattare che consente la massima differenziazione delle varie componenti. Questo grazie agli utensili di frantumazione snodati ed alla riduzione granulometrica progressiva nel corso della discesa dal punto di ingresso alla griglia di uscita in basso.

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Rotor Shredder in fase di montaggio

Particolare mazze snodate a riposo

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Cesoie bialbero VR

Pre Shredder VSR

Le cesoie rotanti BHS sono degli shredder bialbero, a bassa velocità e con elevato momento torcente, idonei per la triturazione di materiali voluminosi (rifiuti domestici, commerciali e ingombranti) o materiali flessibili (pneumatici, cavi, film plastici, carta e cartone, tessili) che utilizzano degli utensili di taglio (coltelli rotanti). Le cesoie VR possono ridurre pezzi molto voluminosi e con elevato peso unitario e raggiungono rapporti di riduzione molto elevati. Costruite in tre taglie con Cesoia VR potenze da 2x55kW a 2x160kW, sono macchine di eccezionale robustezza ed affidabilità destinate agli impieghi più duri e disparati ed in particolare alla triturazione di pneumatici, anche di grandissime dimensioni come quelli delle macchine movimento terra, ma anche, con idoneo equipaggiamento, allo smembramento di lavatrici e grossi elettrodomestici per le successive linee di cernita.

I pre-shredder BHS sono macchine a bassa velocità e con elevato momento torcente, i cui alberi sono equipaggiati con particolari utensili rotanti che agganciano e dilacerano i rifiuti in modo molto efficace. Sono costruiti in tre dimensioni da 2x90 kW a 2x250 kW. La macchina è idonea per la prefranPreshredder VSR- Assieme funzionale tumazione di materiali particolarmente voluminosi o a basso peso specifico (rifiuti urbani, industriali e commerciali assimilabili, ma anche scarti del legno e macerie). Sono utilizzati come primo step nei trattamenti meccanici di selezione o nella termovalorizzazione dei rifiuti per ridurre ed omogeneizzare le dimensioni dei materiali alimentati e renderle idonee ai successivi trattamenti. La dilacerazione avviene tra gli utensili di strappo rotanti e la culla statica di contrasto per cui anche la rotazione solo parziale di un albero causa una efficace riduzione di pezzatura. Durante il funzionamento la macchina esegue automaticamente una sequenza di rotazioni differenziate, con rotazioni parziali orarie ed antiorarie dei due alberi; questa modalità di lavoro produce un effetto di shredding molto marcato, anche con materiale grosso e voluminoso.

Granulatori NG (NGV, NGU)

Granulatore NG

I mulini granulatori NGH sono trituratori monoalbero ad alta velocità e alte prestazioni con coltelli intercambiabili a settori e statore mobile (o fisso) e con griglia di controllo. Costruiti in differenti taglie con rotore diametro 800 o 1000mm e lunghezze da 1200mm a 2800mm in funzione delle applicazioni e delle produzioni richieste. Applicazioni per cavi elettrici, pneumatici pretriturati di qualsiasi natura, alluminio, circuiti stampati, carta cartone e plastiche.

Mulini ad asse verticale con rotore a impatto RPMV Il mulino VSI con rotore ad impatto BHS è stato progettato specificatamente per l’industria del riciclaggio e in particolare per il trattamento dei metalli di recupero. L’esclusivo rotore ad eiettori, in combinazione con la corazzatura periferica d’impatto a profilo dentato, garantisce uno stress intensivo del materiale in ingresso. I materiali compositi subiscono una frantumazione selettiva e vengono differenziati, i materiali segregati sono liberati mentre quelli duri e fragili subiscono una fortissima riduzione granulometrica. Contemporaneamente i metalli presenti vengono appallottolati e puliti per attrizione. Il rotore ad eiettori di questo mulino BHS è assolutamente unico nel suo genere. L’alta velocità periferica del rotore genera forze centrifughe che trasmettono al materiale alimentato una grande energia cinetica che viene liberata dalle forze d’urto e RPMV- Dettaglio rotore e martelli a ferro di cavallo di dilacerazione imposte dai martelli di frantumazione e dalle corazze di impatto. La rotazione genera uno spazio semi permanente tra le teste dei martelli a ferro di cavallo e l’anello di corazze periferiche; non appena il materiale è diventato abbastanza piccolo da passare attraverso la fessura, abbandona la camera di frantumazione e cade verso il nastro trasportatore di evacuazione. Le parti metalliche che subiscono uno stress multiplo prima di uscire dalla macchina si appallottolano e puliscono.

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Mulini ad asse verticale a rotore centrifugo RSMX I Mulini VSI a rotore centrifugo RSMX sono usati per frantumare e correggere la forma di qualsiasi tipo di minerale, roccia o scoria, tenera o dura, moderatamente o estremamente abrasiva. Tutto il materiale che viene introdotto nella macchina, viene fortemente accelerato e proiettato ad alta velocità contro una parete di impatto costituita da uno strato dello stesso materiale o da corazze in lega. Il risultato è un prodotto frantumato con un grado di cubicità ottimale. Inoltre la particolare modalità di lavoro del mulino fa sì che il prodotto in uscita abbia caratteristiche costanti in termini di forma e curva granulometrica indipendentemente dal livello di consumo delle parti di usura (eiettori e corazze). Come risultato di una proiezione precisa e di un esatto impatto, la comminuzione di ogni singola particella con caratteristiche di resistenza e durezza inferiori a quelle del resto dell’alimentazione, verrà ottenuta più facilmente. Questo permette la frantumazione di rocce e materiali friabili in maniera mirata e, come risultato, di migliorare sensibilmente la qualità del prodotto finito (LA, resistenza al gelo, etc.). In caso di materiali agglomerati contenenti componenti di diversa durezza la loro liberazione con questa frantumazione selettiva sarà molto facile, caso tipico è quello delle scorie da acciaieria e da termovalorizzatori. RSMX


Mulino “Biogrinder” RBG

Eco-Impact Impianto di riciclaggio modulare su skid Il modulo compatto “Eco-Impact” è stato progettato per il riciclaggio di rifiuti industriali con una portata fino a 2 t/h e, grazie alla sua mobilità, può facilmente servire diversi siti di raccolta. L’Eco-impact è utilizzato per la frantumazione di apparecchiature elettriche ed elettroniche dismesse. È equipaggiato di separatore magnetico e di impianto di aspirazione polveri con filtro a tasche ed eventualmente di una completa linea di cernita manuale. L’Eco-impact consiste di due moduli montati su piattaforme container (“Flat rack”) che ne rendono estremamente semplice il trasporto via camion o via mare. Il primo modulo è costituito dall’alimentatore a nastro e dal Rotor shredder RS 1109 mentre il secondo dal gruppo di cernita.

Preshredder VSR- Assieme funzionale

Il Biogrinder brevettato da BHS è una macchina concepita per lo sfibramento delle biomasse prima del trattamento di gassificazione. Il materiale in ingresso al mulino viene triturato, omogeneizzato e intensamente sfibrato dalle forze d’urto, di taglio e di sfregamento del rotore del mulino. L’utilizzo del Biogrinder rende disponibile ai batteri anaerobici una superficie di attacco ai nutrienti molto maggiore di quella derivante dai trattamenti di triturazione standard con cippatori etc. garantendo così un forte incremento della produttività di biogas. L’effetto è particolarmente evidente in caso di utilizzo di substrati molto fibrosi. Inoltre l’introduzione di zolle di terreno o di sassi, non presenta inconvenienti in quanto anche questi vengono disintegrati, risolvendo un difficile problema per le linee di trattamento successive.

Bio Grinder con porte ispezione aperte

TEST CENTER BHS Un aspetto fondamentale del servizio che RHT può offrire ai propri clienti potenziali è quello relativo alle prove sulle diverse macchine di trattamento della vasta gamma BHS. All’interno del moderno stabilimento di produzione di Sonthofen, è allestito un complesso centro di prova in cui si possono testare tutti i diversi shredder e trituratori con le più diverse alimentazioni. Si tratta di prove sulle macchine industriali (quelle a catalogo) e non di prove a livello laboratorio; vengono controllate le portate in alimentazione, gli assorbimenti di corrente, le curve granulometriche in uscita o il risultato del trattamento. In questo modo si possono certificare e garantire i risultati.

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Per fare nuova strada Il nuovo impianto per il trattamento di pneumatici fuori uso di Borgo Val di Taro di Laura Veneri

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erniEnergia ha inaugurato da pochi mesi il nuovo impianto di recupero pneumatici fuori uso a Borgo Val di Taro, in provincia di Parma, al confine tra le regioni Emilia Romagna, Liguria e Toscana. L’impianto tratterà a regime fino a un massimo di 26.400 tonnellate all’anno (3,5 tonnellate/ora) di PFU riducendoli in granuli e polverino e separando la gomma dall’acciaio e dalla fibra di poliestere. L’impianto in provincia di Parma è il secondo impianto di trattamento PFU di proprietà di TerniEnergia, che ora è in grado di poter convogliare circa il 20% dell’intera domanda nazionale del settore del trattamento e del recupero degli pneumatici fuori uso. “La localizzazione strategica nel Centro-Nord del nuovo impianto – ci illustra Stefano Neri, presidente e amministratore delegato di TerniEnergia - ci rende confidenti di poter intercettare importanti flussi di materiale destinati alla filiera del riciclo. Sono, infatti, in fase di definizione accordi commerciali con realtà della provincia per la vendita dell’ac-

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ciaio recuperato dagli pneumatici e con primari operatori del Nord Italia per la vendita del granulato di gomma”. L’investimento complessivo sostenuto dall’azienda è stato di 5,5 milioni di Euro. L’impianto sorge in un’area a ridosso del paese; in quello che prima era un ex cementificio abbandonato, e dove ora lavora un impianto all’avanguardia per il riciclaggio dei rifiuti ambientalmente sostenibile e non inquinante, in quanto tutto il processo è a freddo e di tipo esclusivamente meccanico. Anche il Sindaco del Paese, Diego Rossi, si dice soddisfatto della collaborazione: “L’intervento realizzato da TerniEnergia ha per noi diverse valenze positive. Prima di tutto, si è concretizzato un recupero ambientale importantissimo: è stato bonificato e recuperato un immobile che era completamente coperto di amianto, in stato di abbandono, scongiurando così gravi rischi per l’ambiente ed il territorio. Nel recupero di quest’area c’è stata anche una grande attenzione da parte dell’investitore alle realtà artigiane e produttive locali, coinvolte

da subito nel cantiere: altro elemento di non poco conto. Infine, la possibilità di creare nuove occasioni di lavoro in un settore, quello dell’economia “verde”, che sempre di più ci deve vedere impegnati per coniugare creazione di reddito e salvaguardia dell’ambiente naturale”. Complessivamente sono stati smaltiti oltre 6.600 m2 di eternit e bonificato il terreno circostante il capannone. È Daniele Cappanera, capo impianto, che ci accompagna nella visita e che ci descrive le varie fasi a cui è sottoposto il materiale che deve essere riciclato. Gli pneumatici fuori uso arrivano quotidianamente all’impianto tramite camion di raccolta del consorzio Ecopneus e vengono stoccati in un’area all’aperto per essere dopo poco trattati. Il bacino di provenienza dei PFU di Borgo Val di Taro è ampio in quanto comprende Emilia Romagna, alta Toscana, bassa Liguria e Piemonte. L’impianto, che complessivamente occupa un’area di circa 10.000 m2, è in parte all’aperto e in parte al chiuso. La prima fase di riduzione volumetrica è


effettuata all’aperto, mentre la separazione dei materiali e lo stoccaggio delle materie prime seconde avviene al chiuso. “Tutta la lavorazione a cui sono sottoposti gli pneumatici fuori uso – sottolinea Cappanera – non prevede alcuna immissione di polveri in atmosfera in quanto è unicamente meccanica e quindi non inquinante per la popolazione circostante”. Le gomme vengono alimentate su un nastro trasportatore da una pala gommata o da un movimentatore telescopico e convogliate in un trituratore per la riduzione volumetrica. Il prodotto frutto della prima triturazione è chiamato “chip”, termine tecnico con cui si definisce un pezzo di gomma delle dimensioni di circa 6-7 cm. In questa prima parte dell’impianto è previsto, oltre al trituratore, anche un vaglio che permette di smistare la pezzatura idonea per la successiva fase di trattamento da quella non idonea che viene indirizzata nuovamente al trituratore per una nuova riduzione.

Dopo aver ottenuto i “chips”, la lavorazione si sposta tramite nastri trasportatori dentro il capannone dove ha luogo la separazione dei componenti di cui è composto lo pneumatico in origine: gomma, acciaio e fibra tessile. Il ciabattato viene immesso in quello che è il cuore dell’impianto, la pressa, che agendo come una grande macina, riduce i “chips” in frammenti più piccoli e suddivide gomma, acciaio e fibre tessili. L’acciaio armonico viene estratto tramite dei tamburi magnetici; mentre la separazione della tela avviene successivamente tramite aspirazione. La gomma pulita è ora pronta per l’ultima fase: la vagliatura per la selezione dimensionale. Viene infatti triturata nuovamente per ottenere materiali di dimensioni minori, granuli e polverini, destinati al recupero di materia. Sono tre le tipologie di granulo che si ottengono e che vengono stoccate in big bags: • polverino: dimensioni 0.2-0.8 millimetri;

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intermedio: dimensioni 0.8–2.5 millimetri; • granulato grande: dimensioni 2.5– 4 millimetri. Una volta terminato l’insacchettamento, il big bag viene avviato e commercializzato a ditte esterne. Le applicazioni del polverino e del granulato sono varie. Il granulo di gomma può essere impiegato per la costruzione di campi da calcio in erba sintetica o nelle piste di atletica; può essere utilizzato negli asfalti modificati garantendo alto potere fonoassorbente e drenante; può essere impiegato come sottofondo antiurto nei parchi giochi dei bambini, ecc. L’acciaio armonico, la cui produzione si attesta intorno alle 10 tonnellate al giorno, viene acquistato da acciaierie o da fonderie. Solo la tela non ha (ancora) una destinazione quale materia prima seconda ed è un rifiuto che deve essere smaltito. Tutto l’impianto è gestito tramite software e monitorato costantemente da computer.

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PR O G RE SS

Il termovalorizzatore di San Zeno si dota di nuove tecnologie L’impianto di termovalorizzazione in Provincia di Arezzo si è corredato di un nuovo sistema di filtrazione catalitica dei gas di combustione di Antonio Boncompagni*

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ttivo da più di un decennio, l’impianto integrato di San Zeno, già certificato ISO 9001, 14001 e 18001, si sta sempre più orientando verso un processo di recupero integrale di materia ed energia. Oggi svolge funzioni di smaltimento e recupero dei rifiuti urbani del bacino aretino, attraverso i processi di selezione, compostaggio e incenerimento con recupero di energia elettrica. L’impianto è infatti dotato di una linea di compostaggio della parte organica proveniente dalla selezione di rifiuti compostabili selezionati all’origine e una linea di smaltimento rifiuti solidi urbani tramite selezione e incenerimento con produzione di energia elettrica della parte inorganica. Ogni anno vengono trattate oltre 121mila

tonnellate di rifiuti provenienti da Arezzo e Comuni limitrofi. Relativamente al termovalorizzatore, i dati diffusi dall’Agenzia Regionale per l’Ambiente (ARPAT) dimostrano che le emissioni di inquinanti sono tra le più basse in Italia, in particolare per le polveri ed i microinquinanti organici (diossine, furani, ecc.). Nonostante ciò Aisa Impianti, in un’ottica di costante aggiornamento delle tecnologie applicate ed incremento del grado di sicurezza ambientale dello stabilimento, ha investito nell’installazione di una filtrazione catalitica dei gas di combustione, in grado non solo di “intrappolare” (come fanno i sistemi “tradizionali”) ma di disgregare le molecole delle diossine sfruttando le temperature stesse dei gas di combustione. Questo sistema

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all’avanguardia, non necessitando di elettricità e di reagenti, non genera costi aggiuntivi e rimane attivo anche in caso di black out. La nuova tecnologia non ha sostituito quella già esistente per l’abbattimento dei microinquinanti organici, costituita da due linee di iniezione di carboni attivi, una di back-up all’altra, ma è andata ad aggiungersi, con lo scopo, appunto di incrementare il grado di sicurezza ambientale dello stabilimento.

Caratteristiche tecniche dell’impianto integrato

L’impianto integrato di trattamento rifiuti urbani di San Zeno è costituito dalle seguenti sezioni principali: • ricevimento e selezione meccanica dei rifiuti urbani indifferenziati;

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combustione della frazione selezionata con più alto potere calorifico; • ciclo termico e recupero energetico; • trattamento dei fumi di combustione; • stabilizzazione della frazione organica da rifiuto urbano indifferenziato; • compostaggio dei rifiuti compostabili derivanti dalle raccolte differenziate (organico, sfalci, potature). La sezione di incenerimento è dotata di una camera di combustione del tipo a griglia mobile e prevede tre moduli (essiccamento, accensione, combustione). Il flusso termico di progetto del forno è di 12,5 Gcal/h (14,5 MWt) cui corrisponde una quantità di rifiuto di circa 120-130 t/g. Le ore di lavoro annue sono circa 8.200. La camera di post-combustione ha la funzione di completare l’ossidazione dei composti incombusti volatili. I fumi estratti dalla camera primaria, ad una temperatura di circa 1000-1100°C, transitano nella camera di post-combustione dimensionata in modo da avere un tempo di permanenza maggiore di 2 secondi ad una temperatura maggiore di 900°C, la cui funzione principale è quella di abbattere diossine e ossidi di azoto.

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Nella caldaia posta a valle della camera di post-combustione si producono circa 15 t/h di vapore surriscaldato a 380°C e alla pressione di 40 bar. Dalla caldaia il vapore è inviato ad una turbina multistadio collegata ad un alternatore sincrono trifase per una potenza elettrica ai morsetti massima di 3,1 MW. Vengono prodotti circa 19 milioni di kilowattora annui, di cui oltre 10 milioni ceduti ad Enel, mentre la restante parte viene riutilizzata nello stabilimento, rendendo così il sistema completamente autosufficiente da un punto di vista energetico. Viene così prodotta elettricità sufficiente per un paese di oltre 18.000 abitanti ed in grado di far risparmiare, ad oggi, oltre 60.000 tonnellate di petrolio. La linea di trattamento dei gas di combustione è composta da varie tecnologie per neutralizzare al meglio gli inquinanti: • iniezione di urea a valle della camera di post combustione (metodo SNCR): in un range di temperatura compresa fra 900°C e 1.000°C viene iniettata una soluzione acquosa di urea che provoca la riduzione degli ossidi di azoto (NOx) con formazione di azoto, acqua ed anidride carbonica; • reattore evaporativo a semisecco: la neutralizzazione della componente acida dei gas (Cloro, Fluoro, acido solforico, ecc.) e il raffreddamento complessivo dei fumi avviene ad opera di latte di calce atomizzato; • venturi-iniezione di carbone attivo: all’uscita del reattore evaporativo i fumi raffreddati entrano nel condotto Venturi, in cui i microinquinanti organici (PCDD-PCDF, IPA, PCB, ecc.) ed i metalli pesanti (Hg, Cd, ecc.) vengono adsorbiti dal carbone attivo in polvere; • filtro a maniche: il filtro trattiene le polveri e i reagenti solidi. Il filtro a maniche, considerato il miglior sistema per filtrare i gas, è stato dimensionato con velocità di filtrazione relativamente modesta per ottenere ottimi rendimenti di separazione delle polveri (0,9 m/ min, capacità di filtrazione superiore al 99,999%). Il filtro inoltre

agisce come reattore di accumulo dei reagenti (calce, carbone attivo) sulle maniche.

La nuova tecnologia di filtrazione catalitica

Il filtro a maniche ha subito da poco un completo restyling con la “muta” completa del sistema filtrante. Cestelli, piastre forate, telai e coibentazioni sono stati sostituiti per poter sostenere temperature di processo più alte e alloggiare le nuove maniche filtranti. Le maniche sono composte da due strati di materiale filtrante, il più esterno, molto sottile, è una membrana che ferma le polveri; lo strato interno, più spesso, è feltro in PTFE su cui sono stati introdotti alcuni ossidi metallici (ossidi di zirconio, titanio, ecc.) che permettono il processo di catalizzazione. Tali catalizzatori, a determinate temperature (comprese fra i 140°C ed i 200°C) permettono lo svolgimento di processi chimici “senza consumarsi” e senza alcun reagente additivo, che trasformano diossine e furani principalmente in anidride carbonica e acqua. Tale sistema di processo ha solo due nemici in grado di “inquinare” il feltro: l’umidità durante i periodi di manutenzione del termovalorizzatore e lo Zolfo durante l’esercizio. Il primo viene evitato con un impianto di termoresistenze che garantiscono temperature sempre superiori a 100°C, il secondo viene eliminato nel reattore evaporativo. Il termovalorizzatore è stato segnalato dal Ministero dell’Ambiente alle Commissioni UE quale impianto “di riferimento” per l’applicazione di tecnologie innovative, da inserire nella prossima edizioni delle BAT (best available technologies) comunitarie. A garanzia della popolazione residente nelle aree limitrofe, è stato realizzato un orto (“Orto ricettivo”), sul quale vengono coltivate a rotazione tutte le specie di ortaggi e frutta che hanno sviluppo sul territorio toscano, che, una volta giunte a maturazione vengono sottoposte ad analisi per valutare le concentrazioni di metalli pesanti. Ad oggi tutte le analisi eseguite hanno individuato concentrazioni di metalli inferiori ai limiti previsti dalle normative comunitarie sulla immissione nel mercato dei prodotti agri-


coli. Contemporaneamente, sempre a garanzia della popolazione residente, è stato attivato un monitoraggio continuo della corte ai fini sanitari.

Nuove frontiere

Aisa Impianti, consapevole che gli impianti di trattamento rifiuti non possono non essere oggetto di un costante aggiornamento e di un adeguamento alle esigenze del mercato e della collettività, soprattutto in tema di recupero, risparmio energetico e sicurezza, vuole trasformare l’attuale polo tecnologico, destinato sia allo smaltimento che al recupero, in un impianto dedicato interamente al recupero di energia e di materia. Pertanto ha attivato i seguenti progetti: • incremento del compostaggio; • digestione anerobica per la produzione di biometano; • incremento del rendimento termodinamico del termovalorizzatore; • trasformazione dell’impianto di selezione meccanica in un im-

pianto per la produzione di materie prime seconde, tra cui combustibile solido secondario. Infatti l’armonia dell’impianto è garantita dall’integrità del ciclo che vede nella selezione meccanica il punto

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di forza per l’estrazione dai rifiuti indifferenziati delle materie ancora recuperabili e contemporaneamente la produzione di combustibile per il termovalorizzatore. *Aisa Impianti

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In provincia di Udine il nuovo impianto di compostaggio Tecnologia a biocelle nel nuovo impianto di codroipo per la produzione di compost di qualità ed energia di Bruno Vanzi

È

in arrivo un nuovo e moderno impianto che porterà il Friuli ai livelli dei paesi del Nord Europa, in tema di produzione di compost di qualità e di energia pulita. Nel Comune di Codroipo, provincia di Udine, sono infatti terminati i lavori per la costruzione del nuovo impianto di compostaggio di A&T 2000 S.p.A., realizzato dal concessionario Desag Ecologia scarl (soggetto individuato con gara pubblica) tramite una procedura di project financing. A&T

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2000, uno dei maggiori gestori del servizio pubblico relativo ai rifiuti urbani della regione Friuli Venezia Giulia, con un bacino di utenza di oltre 200.000 abitanti e 50 comuni serviti, in questi anni ha sviluppato la raccolta differenziata spinta con metodo “porta a porta” ottenendo ottimi risultati sia per quanto riguarda la percentuale di raccolta differenziata (in media il 77,19% nel 2014) sia sul fronte della qualità dei materiali da avviare a recupero, caratterizzati da bassissime percentuali di impurità (meno dell’1% per la carta e l’organico umido; 0,018% per il vetro; 12% per gli imballaggi in plastica contro una media nazionale di oltre il 40%). Grazie a questi risultati, trainata anche da una forte spinta all’innovazione, la società ha deciso di realizzare un moderno impianto di compostaggio per la produzione di compost di qualità a

partire dai rifiuti organici raccolti prevalentemente con il sistema porta a porta, caratterizzati appunto da un’elevata purezza che garantisce l’elevata valenza qualitativa del compost. Inoltre, il rifiuto in ingresso sarà pretrattato al fine di produrre biogas per poi ottenere energia elettrica. L’investimento complessivo, che ammonta a circa 15 milioni di euro, non viene realizzato con denaro pubblico, ma con finanziamento privato che sarà remunerato tramite le tariffe di conferimento dei rifiuti già predefinite fino al 2030. L’impianto, i cui lavori di realizzazione sono iniziati alla fine del 2013, è stato recentemente completato. Il progetto originale, approvato dalla provincia di Udine a giugno 2009, che prevedeva il solo compostaggio della frazione organica, è stato successivamente modificato in quanto nel frattempo la tecnologia di trattamento della matrice organica si era evoluta ed era diventata matura per consentire anche il recupero energetico. Pertanto, a marzo 2011 è stata


presentata un’istanza di variante sostanziale, autorizzata dalla provincia di Udine a giugno 2012. Successivamente a settembre 2013 è stata ottenuta l’autorizzazione unica ai sensi del decreto legislativo 387/2003 (Promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili) consentendo così l’inizio dei lavori del nuovo impianto. A opera ultimata, ora seguirà la prevista fase dedicata ai collaudi. L’entrata in funzione dell’impianto a pieno regime è così prevista per i prossimi mesi. L’impianto, della potenzialità di 31mila tonnellate l’anno, con una potenzialità giornaliera di 99 tonnellate e una potenza elettrica di 998 Kwe, oltre a trattare tutta la frazione organica raccolta nel bacino di A&T 2000 (circa 15.000 tonnellate annue) potrà ricevere anche i rifiuti organici raccolti in tutta la provincia di Udine. Dal punto di vista ambientale, la nuova struttura consentirà il miglior recupero possibile del rifiuto organico umido raccolto che sarà così trasformato in compost raffinato (in una quantità stimata di circa 10.000 tonnellate all’anno), ottimo ammendante per uso agricolo, che presenterà una qualità tale da poter essere venduto sul mercato. Un importante aspetto qualificante di questo impianto in materia di tutela ambientale è l’elevato contenuto tecnico che lo renderà all’avanguardia nell’attuale scenario impiantistico regionale. Il suo funzionamento, infatti, si basa, sia per la produzione di biogas che per il successivo compostaggio, sulla tecnologia “a biocelle”, già ampiamente utilizzata nel Nord Europa. Questa tecnologia prevede che le prime fasi del trattamento dei rifiuti (la biodegradazione anaerobica e la bi-ossidazione aerobica)

avvengano in un capannone mantenuto in depressione mediante aspirazione dell’aria interna che viene trattata in apposito bio-filtro per renderla inodore. All’interno del capannone, le due fasi avvengono a loro volta in ambienti confinati separati, le biocelle appunto, che tra l’altro limiteranno l’emissione degli odori, che risultano più consistenti nelle prime fasi di trattamento. In particolare, nella prima fase “anaerobica con trattamento a secco”, dalla frazione organica trattata sarà ricavato il biogas, che verrà successivamente utilizzato per la produzione di energia elettrica mediante l’utilizzo di turbine. Durante la successiva fase “aerobica”, verrà ricavato del compost che sarà quindi posto a maturazione in apposite aie all’interno di un attiguo capannone chiuso. L’intero ciclo di trattamento della frazione organica avverrà in 90 giorni. Il trattamento a secco della frazione organica anche nella fase anaerobica, tecnologia di nuovissima generazione, eviterà inoltre la produzione di liquami e i conseguenti oneri di depurazione. A&T 2000 sarà, quindi, tra i primi in Italia a utilizzare questa avanzata tecnologia. Grazie all’utilizzo delle migliori tecnologie disponibili, oltre a ridurre l’impatto ambientale del trattamento dei rifiuti organici urbani, l’impianto porte-

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rà anche importanti risultati economici. Consentirà infatti di contenere i costi di gestione della frazione umida dei rifiuti urbani e, quindi, di assicurare tariffe di conferimento molto competitive e significativamente inferiori a quelle attualmente praticate dagli impianti di cui al momento si avvale la società, a tutto vantaggio dei Comuni serviti e dell’intera comunità. Anche la vendita del compost e dell’energia elettrica prodotta contribuiranno positivamente al piano finanziario dell’impianto. La struttura è stata costruita nel Comune di Codroipo (provincia di Udine) su un lotto di 23.000 mq, in una zona industriale situata a più di

un chilometro dall’abitato. Il progetto di questo impianto è stato realizzato con la condivisione dei soggetti coinvolti negli atti autorizzativi mentre la popolazione, a suo tempo informata, ha dimostrato di accettarlo senza alcuna rimostranza. Al termine del periodo di concessione del project financing, previsto per la fine del 2030, l’impianto diventerà a tutti gli effetti di proprietà di A&T 2000.

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Energia dalla depurazione delle acque A Torino il prototipo di valorizzazione energetica del biogas da digestione anaerobica dei reflui urbani di Laura Veneri

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arà installato nell’impianto di trattamento acque reflue di SMAT di Collegno (Torino) il primo impianto di taglia industriale in Europa che consentirà di ottenere energia ad alta efficienza sfruttando la tecnologia delle celle a combustibile ad ossidi solidi (SOFC), nonché il primo al mondo alimentato dal biogas ottenuto dalla depurazione delle acque. Nell’impianto di Collegno ad oggi il biogas è prodotto dalla digestione anaerobica dei fanghi di depurazione delle acque reflue urbane. Grazie al progetto Demosofc, sarà collocato un impianto a fuel cell che garantirà la fornitura di

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circa il 30% del fabbisogno elettrico del sito (attualmente coperto interamente dalla rete) e del 100% del fabbisogno termico. L’impianto vedrà impiegati tre moduli fuel cell in grado di produrre in cogenerazione 175 kW elettrici e 90 kW termici, con un’efficienza elettrica del 53%. L’impianto utilizzerà la tecnologia SOFC (Solid Oxide Fuel Cell), ovvero le celle a combustibile ad ossidi solidi che funzionano a circa 800°C e che possono essere alimentate anche direttamente a gas metano o a biogas. Le SOFC rappresentano la tecnologia più efficiente tra le varie tipologie di fuel cell disponibili.

Il progetto ha un budget complessivo di circa 5.9 milioni di euro, ed è finanziato dall’Unione Europea con 4.2 milioni di euro nell’ambito del programma Horizon 2020. Coordinato dal Politecnico di Torino il progetto prevede un partenariato di 5 istituti di ricerca e aziende europei: Politecnico di Torino e Gruppo SMAT per l’Italia, l’azienda finlandese Convion Oy, produttrice di sistemi SOFC, il centro di ricerca finlandese VTT ed infine l’Imperial College of Science, Technology and Medicine di Londra. Demosofc prende avvio dai risultati del progetto Sofcom da poco terminato e sempre coordinato dal Politecnico di


Torino, che nasceva dalla necessità di rendere produttivo dal punto di vista energetico il processo di depurazione delle acque di scarico. Un processo che, applicando il procedimento messo a punto dal progetto (che ha visto la realizzazione di un primo prototipo funzionante a scala ridotta), permette non solo di ottenere energia elettrica e calore, ma anche altri due “prodotti”: acqua pulita e il ri-fissaggio del contenuto di Carbonio del combustibile primario (biogas) in forma di biomassa (alghe) che può essere reimpiegata. Partendo dal biogas - un combustibile rinnovabile - si procede alla separazione dello zolfo e di altri contaminanti, per poi avviare la reazione negli elettrodi di cella che permette di produrre energia elettrica ad alta efficienza (fino al 50% quando di solito a pari condizioni di taglia una macchina termica si attesta intorno al 30-35%). Il sistema è cogenerativo, in quanto consente inoltre il parziale recupero del calore prodotto dalla cella. Da un punto di vista di strategia energetica, il prototipo dimostra come i sistemi Smart Fuel Cell possano rappresentare una importante chiave di volta per i sistemi energetici del futuro, basati su combustibili rinnovabili, altissima efficienza di conversione elettrica e recupero totale delle sostanze utilizzate (carbonio, idrogeno, ossigeno), potenzialmente tendenti a realizzare un concetto di poli-generazione (heat&power + chemicals). Inoltre, mentre i fumi, ad esempio, di

una macchina a motore termico, vedono la CO2 “annegata” in un grande volume di azoto, con conseguenti maggiori difficoltà per la sua sequestrazione, in una cella SOFC gli esausti anodici, cioè gli scarti del processo, sono già privi di azoto. Questo permette un recupero più semplice della CO2 che può essere separata facilmente dall’acqua con cui è miscelata. Il flusso di CO2 viene così recuperato per il ri-fissaggio del carbonio in forma di biomasse. Demosofc si propone di portare la tecnologia sviluppata da Sofcom alla scala industriale. A livello di utilizzo finale, questa specifica applicazione tecnologica trova la sua collocazione prin-

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cipale negli impianti per il trattamento delle acque reflue. Attualmente sono già in funzione degli impianti similari soprattutto in California, tali impianti però utilizzano gas naturale (principalmente metano) e non biogas (gas che deriva dal trattamento delle acque la cui composizione è variabile) considerato fino ad oggi come scarto di questi impianti. Proprio questo elemento innovativo, unitamente all’aspetto ecologico, rende il progetto Demosofc strategico per l’Europa i cui risultati attesi potranno essere replicabili e facilitare così lo sviluppo ed il potenziamento del settore industriale e scientifico attinente.

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“Barattoli, scatolette, tappi, secchielli, fusti e bombolette....Oltre a proteggere e conservare in modo sicuro i prodotti, sono riciclabili al 100% e all’infinito! Per questo ti chiediamo di separare gli imballaggi in acciaio dal resto dei rifiuti contribuendo al loro riciclo, ottenendo così nuova materia prima per la realizzazione di binari ferroviari, lamiere per auto o navi, pentole, biciclette… Chiedi al tuo Comune le informazioni sulla raccolta differenziata degli imballaggi in acciaio oppure visita il sito www.consorzioricrea.org.

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PR OGE TTI

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Trattabilità e possibile riutilizzo delle acque di lavaggio della produzione di inchiostri La ricerca della giusta combinazione di trattamenti chimico-fisici per il riutilizzo dei reflui derivanti dal reparto inchiostri ad acqua di A. Capriati*, G. Costa**, D. Zingaretti**, R. Baciocchi** e P. Brami***

I

l presente studio sperimentale ha avuto l’obiettivo di valutare la possibilità di trattare, presso lo stabilimento de La Sorgente S.p.A., le acque di lavaggio derivanti dal reparto di inchiostri ad acqua. A oggi tali acque sono stoccate in un serbatoio interrato e periodicamente smaltite mediante autobotte. A fronte del notevole sforzo economico sostenuto annualmente da La Sorgente S.p.A. (circa 64’000 €), la Golder Associates S.r.l., in collaborazione con il Laboratorio di Ingegneria Ambientale del Dipartimento di Ingegneria Civile e Ingegneria Informatica dell’Università di Roma “Tor Vergata”, ha valutato la possibilità di trattare tali acque in sito, effettuando una sperimentazione a scala di laboratorio per individuare una o più soluzioni tecnicamente ed economicamente idonee, che permettessero almeno di scaricare le acque trattate nella pubblica fognatura presente in prossimità del sito.

Caratterizzazione delle acque da trattare

Le acque vengono prodotte in quantità pari a 15 m3 per ogni settimana lavorativa, corrispondenti a una portata da trattare in continuo pari a circa 2 m3/d. Tali acque derivano dal lavaggio dei

sospensione, e quindi insolubile, e una fusti utilizzati per la preparazione degli frazione residua solubile imputabile inchiostri a base acqua. alla presenza dei polimeri in soluzione. Gli inchiostri a base acqua sono soLe acque da trattare presentano le castanzialmente delle dispersioni di pigratteristiche riportate in Tabella 1. menti organici e inorganici in emulsioni di resine acriliche e stiUnità di Limite scarico in rol-acriliche e Parametro misura Valore pubblica fognatura additivi vari. I pigmenti colo- pH 7,0 5,5-9,5 rati, macinati fino a raggiun- COD 28’400 mg/l 500 gere le dimen1’575 mg/l 250 sioni compre- BOD5 se fra 10 nm e mg/l 1,64 10 5 μm, immessi Fosforo totale in un solvente (acqua nel caso in oggetto), con gli additivi, vengono mescolati agli altri componenti. Di conseguenza le acque di lavaggio presentano un elevato contenuto di sostanza organica, in gran parte in

Azoto ammoniacale

mg/l

504

30

TKN

mg/l

660

-

Idrocarburi totali

mg/l

<LR*

10

Ferro

mg/l

4,9

4

Rame

mg/l

2,0

0,4

Zinco

mg/l

2,8

1

Colore

-

Nero

non percettibile con diluizione 1:40

*LR = Limite di Rilevabilità Tabella 1. Caratteristiche analitiche principali delle acque da trattare (in grassetto sono riportati i valori dei parametri risultati non conformi con i limiti allo scarico in pubblica fognatura)

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Una prima considerazione sulle acque da trattare ha riguardato la biodegradabilità del carico inquinante. Questa è risultata piuttosto scarsa, infatti è sufficiente osservare che il rapporto COD/BOD5 ≈ 18 fornisce un valore di molto maggiore rispetto a quello caratteristico di reflui con carico inquinante ad alta biodegradabilità, pari a 2, come possono essere i reflui di natura domestica. Per individuare una o più soluzioni di trattamento cui sottoporre le acque di lavaggio, è stato effettuato su di esse un test preliminare, che è consistito nel destabilizzare la sospensione mediante l’aggiunta di acido solforico (H2SO4)

l’eventuale applicabilità di un trattamento di tipo biologico. Considerando il rapporto in peso richiesto per il trattamento biologico tra carbonio e nutrienti, C:N:P=100:5:1, l’azoto risulta presente in quantità eccessiva rispetto al carbonio, mentre il fosforo deficitario. Pertanto il trattamento biologico non è sembrato direttamente applicabile a meno della somministrazione dall’esterno di substrato carbonioso biodegradabile (ad es. etanolo C2H6O) e di acido fosforico (H3PO4) per bilanciare il rapporto C:N:P. Infine è stata posta l’attenzione sulla presenza dei metalli derivanti dal processo di lavorazione degli inchiostri e sul colore del refluo. I metalli presenti in soluzioCODf [mg/l] Rimozione [%] pHi pHf t [h] ne in quantità non trascurabili sono 3’633 14% 2,53 2,60 1 risultati ferro, rame 3’326 21% 2,53 2,83 1 e zinco. Il colore del refluo tal quale 2’163 39% 2,66 2,48 1 è risultato sostan1’857 48% 2,66 2,48 1 zialmente nero anche dopo diluizione 1’744 43% 2,70 9,00 1 1:40, come permes1’927 43% 2,64 2,64 2 so dalla normativa vigente per valutare 1’943 42% 2,64 2,64 1 il rispetto del limite 2’008 40% 2,64 12,37 1 allo scarico (colore 1’912 37% 2,70 2,70 1 non percettibile con diluzione 1:40). 1’641 54% 2,64 8,55 1

al 98% in peso. Ciò che si è osservato, dopo circa 8 ore di decantazione, è stata la precipitazione di gran parte del materiale insolubile presente in sospensione, pari a circa il 50% del volume inziale. Sulla fase acquosa residua, a valle del processo di acidificazione, è stato misurato nuovamente il COD che è risultato pari a circa 3’000 mg/l. Di conseguenza è possibile affermare che il COD presente nelle acque di lavaggio è al 90% in forma particolata e al 10% in forma solubile. Oltre alla scarsa biodegradabilità del refluo, ulteriori analisi hanno riguardato la presenza di nutrienti, nello specifico azoto e fosforo, per valutare

% H2O2

FeSO4∙7H2O [g]

Fe:H2O2

CODi [mg/l]

0,005%

0,025

1:1

4’245

0,050%

0,250

1:1

4’245

0,100%

0,050

10:1

3’571

0,100%

0,100

5:1

3’571

0,100%

0,100

5:1

3’040

0,100%

0,100

5:1

3’357

0,100%

0,100

5:1

3’357

0,100%

0,100

5:1

3’357

0,100%

0,100

5:1

3’040

0,100%

0,250

2:1

3’571

0,100%

0,250

2:1

3’571

1’775

50%

2,66 2,48

1

0,100%

0,500

1:1

4’245

1’980

53%

2,53 2,84

1

0,100%

0,500

1:1

3’571

1’869

47%

2,65 12,50

1

0,100%

1,000

1:2

3’571

1’837

48%

2,66 2,48

1

0,200%

1,000

1:1

2’870

1’631

43%

2,72 2,72

1

0,300%

1,500

1:1

2’870

1’564

45%

2,72 2,72

1

0,500%

0,500

5:1

3’357

1’845

45%

2,68 2,68

1

0,500%

2,500

1:1

4’245

3’082

27%

2,53 2,56

1

1,000%

0,500

10:1

2’870

732

74%

2,72 9,00

1

1,000%

0,500

10:1

2’870

815

72%

2,72 2,72

1

2,000%

0,500

20:1

2’870

216

92%

2,72 9,00

1

2,000%

0,500

20:1

2’870

399

86%

2,72 2,72

1

2,000%

1,000

10:1

2’870

316

89%

2,72 9,00

1

2,000%

1,000

10:1

2’870

333

88%

2,72 2,72

1

2,000%

1,000

10:1

2’870

341

88%

2,72 2,72

1

Tabella 2. Risultati dei test di ossidazione chimica effettuati con differenti dosaggi di reagenti, riferiti a 100 g di soluzione

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Descrizione dei trattamenti testati

Una volta caratterizzate le acque di lavaggio, basandosi anche su riferimenti di letteratura [1], [2], [3] e [4], è stato possibile selezionare i trattamenti da testare a livello sperimentale al fine di raggiungere i limiti allo scarico in pubblica fognatura imposti dalla Tabella 3 dell’Allegato 5 alla Parte Terza del D.Lgs. 152/06 e s.m.i. Data l’elevata componente par-


valore alcalino del pH della soluzione (pHf) potesse comportare un’ulteriore riduzione della concentrazione di CODf. Terminate le prove preliminari di ossidazione, sono state investigate nel dettaglio le seguenti opzioni di trattamento: • Opzione 1: acidificazione seguita da ossidazione chimica tipo Fenton con perossido di idrogeno H2O2 al 2% in peso rispetto alla massa di soluzione da trattare e rapporto in peso ferro:perossido di idrogeno = 1:20 (Figura 1); • Opzione 2: acidificazione seguita da ossidazione chimica tipo Fenton con perossido di idrogeno H2O2 allo 0,1% in peso rispetto alla massa di soluzione da trattare e rapporto in peso ferro:perossido di idrogeno = 1:5, filtrazione a sabbia e adsorbimento su carboni attivi (Figura 2); • Opzione 3: acidificazione, filtrazione a sabbia e adsorbimento su carboni attivi (Figura 3).

Figura 1. Schema di flusso Opzione 1

Figura 2. Schema di flusso Opzione 2

Risultati

Figura 3. Schema di flusso Opzione 3

ticolata del COD, è stata prevista una sezione di trattamento primaria per separare gran parte del materiale in sospensione. Nei test sperimentali ciò è stato ottenuto acidificando le acque con acido solforico (H2SO4) al 98% in peso, in quantità pari a 1 ml per 1 l di refluo tal quale. In questo modo il pH è stato portato dal valore iniziale, pari a circa 7,0, a un valore intorno a 2,5 e ciò ha provocato la separazione e successiva sedimentazione di tale materiale. A valle del trattamento primario, considerando la scarsa biodegradabilità del carico inquinante da trattare, si è deciso di analizzare l’applicabilità di trattamenti di tipo chimico-fisico quali l’ossidazione chimica, la filtrazione e l’adsorbimento su carboni attivi [5]. Per quanto concerne l’ossida-

zione chimica, sono state effettuate prove di ossidazione chimica basate su reattivo di Fenton, ossia utilizzando perossido di idrogeno (H2O2) come agente ossidante e ferro, somministrato in forma di solfato ferroso eptaidrato (FeSO4•7H2O), come catalizzatore per aumentare la cinetica di reazione. Nella Tabella 2 sono riportati i parametri testati, la concentrazione di COD (CODi) e il pH (pHi) nella soluzione prima del trattamento e i risultati ottenuti in termini di concentrazione finale di COD (CODf) e di efficienza di rimozione, sempre in termini di abbattimento del COD. Alcune soluzioni dopo ossidazione chimica sono state basificate con NaOH, trattamento necessario per rientrare nei limiti allo scarico relativi al pH, ma anche per verificare se un

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Nel presente paragrafo vengono riportati i risultati ottenuti dalle sperimentazioni effettuate per le tre opzioni di trattamento descritte. Dalla Tabella 2 si può osservare come il COD prima del processo di ossidazione chimica e dunque a valle dell’acidificazione sia passato da circa 30’000 mg/l a circa 3’000 mg/l, con un’efficienza di rimozione pari al 90% mediante l’unità di trattamento primario di sedimentazione assistita. Per quanto concerne gli altri contaminanti (NH4+, ferro, rame e zinco), non si sono osservate riduzioni apprezzabili di concentrazione a valle dell’acidificazione. Infine in merito al colore, a valle dell’acidificazione, questo è risultato leggermente rosato con diluzione 1:40.

Opzione 1 – Ossidazione chimica

Per tale opzione è stata riscontrata un’efficienza di rimozione pari al 92%, ovvero un COD in uscita pari a circa 200 mg/l (limite allo scarico in pubblica fognatura: 500 mg/l). Tale trattamento ha permesso anche di eliminare quasi completamente il

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carico inquinante dovuto all’NH4+, che è passato dai circa 500 mg/l iniziali a valori prossimi allo zero (0,52 mg/l) (limite allo scarico in pubblica fognatura: 30 mg/l). Per quanto concerne i metalli, le analisi effettuate sull’effluente hanno fornito i seguenti risultati: • Ferro: 0,557 mg/l (limite allo scarico in pubblica fognatura: 4 mg/l); • Rame: 0,183 mg/l (limite allo scarico in pubblica fognatura: 0,4 mg/l); • Zinco: <0,005 mg/l (limite allo scarico in pubblica fognatura: 1 mg/l). Per quanto concerne il colore, questo è risultato non percettibile con diluizione 1:40, così come testimoniato in Figura 4.

Opzione 2 – Ossidazione chimica, filtrazione a sabbia e adsorbimento su carboni attivi

Il valore di COD ottenuto a valle della filtrazione a sabbia e dell’adsorbimento su carboni attivi è risultato pari a circa 900 mg/l, e quindi ancora superiore al limite previsto per lo scarico in fognatura. Si ritiene comunque che mediante un’opportuna ottimizzazione dei parametri del processo di adsorbimento, ad esempio, impiegando un maggiore quantitativo di carbone, il limite di scarico in pubblica fognatura, pari a 500 mg/l, possa essere raggiunto. L’efficienza complessiva del trattamento testato (ossidazione chimica + adsorbimento su carboni attivi) è risultata pari al 70%, inferiore rispetto a quanto avuto con l’opzione 1. Per quanto concerne l’NH4+ la concentrazione in uscita è stata pari a circa 4 mg/l, anche in questo caso inferiore al limite allo scarico in pubblica fognatura (30 mg/l). Relativamente ai metalli, sono stati ottenuti i seguenti risultati: • Ferro: 10,757 mg/l (limite allo scarico in pubblica fognatura: 4 mg/l); • Rame: 0,356 mg/l (limite allo scarico in pubblica fognatura: 0,4 mg/l); • Zinco: 1,526 mg/l (limite allo scarico in pubblica fognatura: 1 mg/l). Il ferro e lo zinco sono entrambi risultati in concentrazione maggiore rispetto al limite allo scarico. Il valore misu-

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rato per il ferro è imputabile al dosaggio di F e S O 4• 7 H 2O utilizzato per la reazione di ossidazione chimica che si è dimostrata, come descritto sopra, poco efficace. Per quanto riguarda lo zinco la riduzione in concentrazione, rispetto al valore iniziale, Figura 4. Andamento del colore durante il trattamento descritto nell’opzione 1 è risultata inferiore rispetto all’opzione Relativamente ai metalli, sono stati ot1 e tale fatto potrebbe essere imputatenuti i seguenti risultati: to, anche in questo caso, alla minore • Ferro: 3,852 mg/l (limite allo scaefficacia del trattamento di ossidaziorico in pubblica fognatura: 4 mg/l); ne chimica testato. • Rame: 0,555 mg/l (limite allo scaPer quanto riguarda il colore, è stato rico in pubblica fognatura: 0,4 confermato quanto già ottenuto con mg/l); l’opzione 1, ovvero non percettibile con • Zinco: 1,993 mg/l (limite allo scadiluizione 1:40, rispettando di fatto il rico in pubblica fognatura: 1 mg/l). limite allo scarico. In questo ultimo caso, il rame e lo zinco sono entrambi risultati in concentrazione maggiore rispetto al limite allo Opzione 3 – Filtrazione a sabbia e adsorbimento su carboni attivi scarico. Questo aspetto è riconducibile alla Con questa configurazione, il COD in scarsa capacità di rimozione dei caruscita è risultato pari a circa 1’000 boni attivi nei confronti dei metalli. mg/l, con un’efficienza di rimozione Pertanto per rimuovere i metalli, se pari al 67%, valore analogo a quello non si propende per l’ossidazione chiconseguito con l’opzione 2 (70%). Per mica descritta nell’opzione 1, occorre la rimozione del COD, non risulta perprevedere un trattamento aggiuntivo tanto conveniente impiegare un’ossiad esempio a base di resine a scambio dazione chimica a basso dosaggio di ionico, che andrebbero ad aggiungersi reagenti, in quanto sono state ottenua quella necessaria per l’abbattimento te le medesime prestazioni inviando dell’NH4+. l’effluente dall’acidificazione direttamente ai carboni attivi. Per quanto Per quanto riguarda il colore, è stato concerne l’NH4+, la concentrazione in confermato quanto già ottenuto con le opzioni 1 e 2, ovvero non percettibile uscita è risultata superiore a 4 mg/l, con diluizione 1:40, rispettando di fatto anche con diluizione 1:2 con acqua di il limite allo scarico. rete. Ciò indica che la concentrazione nell’effluente potrebbe essere prossima o superiore al limite allo scarico Conclusioni in pubblica fognatura (30 mg/l). Per Sulla base di quanto sopra, l’opzione 1 diminuire la concentrazione di azoto è l’unica che, alle condizioni testate, ha ammoniacale NH4+, evitando il trattapermesso di ottenere un effluente che rispettasse tutti i limiti allo scarico in mento di ossidazione chimica, potrebpubblica fognatura. L’opzione 2 impiebero essere utilizzate alternativamente ga una minore quantità di reagenti per resine a scambio ionico, cui è nota una l’ossidazione chimica, ma non rispetta significativa capacità di rimozione nei il limite allo scarico per quanto riguarconfronti di questo composto.


Opzione

costi di realizzazione [€]

costi di gestione [€]

tempo di ritorno [anni]

1

25’000

90’000

n.a.

2

45’000

50’000

4

3

50’000

46’000

3

BIBLIOGRAFIA [1] Bharat Lodha, Sanjeev Chaudhari, Optimization of Fenton-biological treatment scheme for the treatment of aqueous dye solutions, Journal of Hazardous Materials, 148 (2007) 459-466

N.B. I costi attuali di gestione per lo smaltimento delle acque di lavaggio ammontano a circa 64’000 € Tabella 3. Costi di realizzazione e di gestione delle varie opzioni esaminate

da COD, ferro e zinco. L’opzione 3 non contempla l’impiego dell’ossidazione chimica per la riduzione del carico inquinante, ma utilizza solamente l’adsorbimento su carboni attivi. Ciò comporta una riduzione della concentrazione del COD, con valori però superiori al limite allo scarico in pubblica fognatura. Ulteriori superamenti rispetto ai limiti di legge sono stati registrati per il rame e lo zinco e probabilmente per l’NH 4+. Per la valutazione economica, come costi di gestione sono stati considerati quelli derivanti dallo smaltimento fanghi (tutte le opzioni), dai reagenti chimici necessari per il trattamento

delle acque (tutte le opzioni) e dalla sostituzione dei mezzi filtranti (opzioni 2 e 3). Il tutto è riportato nella Tabella 3. Dalla Tabella 3, si evince che l’opzione 1, seppur fornisca i risultati tecnicamente migliori, non è economicamente percorribile, mentre le opzioni 2 e 3 appaiono percorribili entrambe, con l’opzione 3 che permette un tempo di ritorno più breve rispetto alla 2 ed ha una maggiore facilità di gestione, in quanto non richiede l’impiego di acido solforico H 2SO 4 e di ossidante chimico. *Golder Associates S.r.l. **Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” ***La Sorgente S.p.A.

[2] Xiang Juan Ma, Hui Long Xia, Treatment of water-based printing ink wastewater by Fenton process combined with coagulation, Journal of Hazardous Materials, 162 (2009) 386-390 [3] Lichao Ding, Yunnen Chen, Jingbiao Fan, An overview of the treatment of print ink wastewaters, Journal of Environmental Chemistry and Ecotoxicology, 3(10) (2011) 272-276 [4] A. Metes, D. Kovacevic, D. Vujevic, S. Papic, The role of zeolites in wastewater treatment of printing inks, Water Research, 38 (2004) 3373-3381 [5] Metcalf&Eddy, Wastewater engineering, treatment and reuse, Ed McGraw-Hill, 4aEd.

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slurry injection per la bonifica di terreno e acque di falda Iniezione di soluzioni microbiche per la biodegradazione di una contaminazione da idrocarburi pesanti di Pier Sante Testi*, Federico Del Gaia** e David Maccari**

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resso una stazione di servizio a Sansepolcro nel corso degli anni si sono verificate diverse perdite di carburante dai serbatoi interrati di cui non è possibile quantificare con precisione l’entità. Per intervenire sull’inquinamento generato sono stati eseguiti diversi interventi per il trattamento delle acque di falda ma, ciononostante, risulta ancora presente in varie zone una contaminazione da idrocarburi che interessa sia il terreno che le acque sotterranee. Volendo escludere l’ipotesi di procedere con la bonifica scavando e rimuovendo il terreno inquinato, sia per il fatto di dover rimuovere la contaminazione sino a circa 8 metri di profondità, sia per i costi associati allo smaltimento di tali quantitativi di terreno, si è deciso di optare per un trattamento in situ con la tecnica dello “slurry injection”. Questa tecnologia di bonifica consente inoltre di trattare contemporaneamente sia il terreno che l’acqua di falda. Prima di procedere all’iniezione delle soluzioni è stata effettuata da parte di Geuro Geoambiente un’accurata caratterizzazione del sito, che ha consentito di poter definire, tramite l’utilizzo dei dati acquisiti, la corretta distanza delle perforazioni necessarie all’esecuzione del trattamento. Per una valida realizzazione dell’intervento è infatti necessario accertare che l’inoculo si distribuisca correttamente nella parte di terreno contaminato e in falda. Il trattamento è stato quindi effettuato nei tre piezometri realizzati nella zona

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Fase della fermentazione La soluzione viene preparata seguendo il capitolato della BioFuture Ltd che prevede ossigenazione in acqua con l’aggiunta di nutrienti e altro per la produzione dei bio surfattanti, indispensabili nella prima fase della degradazione in quanto rompono la tensione superficiale facilitando la funzione degli enzimi e successivamente dei microrganismi. La fase di preparazione va seguita attentamente pertanto non viene fatta in sito e la soluzione viene preparata con un quantitativo di prodotto inferiore al dosaggio in modo da avere un ottimo rapporto secco (prodotto) liquido (acqua). Solo con il corretto rapporto si è in grado di produrre i bio surfattanti necessari al trattamento. Al termine della fase di fermentazione il prodotto viene portato in sito per iniziare la fase di inoculo.

La diminuzione del DO da 8,30 ppm a 2,30 ppm, è rappresentativa di un notevole incremento della conta microbica che crescendo, consuma ossigeno. La produzione di schiuma avvalora l’incremento dei bio surfattanti.

La schiuma microbica estremamente compatta segnala una concentrazione microbica che si è sviluppata notevolmente rispetto al giorno prima.

OPERAZIONI SVOLTE 1.

Inseriti circa 70 l di soluzione su 900 l di acqua per un totale di 970 l di acqua miscelata 2. Miscelazione e omogeneizzazione della soluzione con l’ausilio di una pompa 3. Iniezione nei piezometri del seguente quantitativo di soluzione: • PZ12 (2”) - 300 litri • S19 (4”) - 150 litri • PZ15 (2”) - 200 litri • PZ7 (2”) - 300 litri


contaminata e in un piezometro presente dall’altro lato della strada in cui sono stati registrati i maggiori carichi inquinanti. L’intervento in questo piezometro, ci ha consentito, dapprima di ridurre la concentrazione di inquinante, quindi evitare il suo trasferimento nella zona da trattare. Complessivamente il volume di terreno da trattare è di circa 250 mc perciò, considerando una concentrazione d’uso di 200 g/mc, sono stati utilizzati 50 kg di soluzione BFL 6000HC. Il quantitativo, distribuito sui quatto piezometri, è stato iniettato in quattro fasi, per un quantitativo di 50 g/mc per ogni applicazione. Prima dell’inoculo la soluzione è stata fatta fermentare in modo da avere una performance migliore nel trattamento. Successivamente ad ogni iniezione, è stata insufflata aria nei piezometri per incrementare la qualità della vita dei microrganismi. Dopo quattro interventi sia nelle acque di falda sia del terreno, la tecnologia BioFuture Ltd applicata dalla Geuro Geoambiente per la progettazione e dalla G.R.A. Ambiente per l’esecuzione ha consentito di far rientrare le concentrazioni di idrocarburi entro i limiti di legge per un terreno con destinazione d’uso commerciale/industriale. *BioFuture Ltd **Geuro Geoambiente

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NOR M AT I V A

IL COMMERCIO AMBULANTE DEI RIFIUTI L’attività di raccolta rifiuti e commercio ambulante alla luce della normativa vigente di Daniele Carissimi*

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l cosiddetto “commercio ambulante dei rifiuti” fa riferimento a coloro che, dotati di rudimentali mezzi operativi, raccolgono rifiuti facendone poi oggetto di commercio. Il pensiero va a quei mestieri, retaggio di un lontano passato, come i «cenciaioli, robivecchi» e via dicendo [1]. Ai sensi e per gli effetti dell’art. 266, quinto comma 5 del Codice dell’Ambiente le disposizioni relative al catasto dei rifiuti, registri di carico e scarico, trasporto dei rifiuti e Albo nazionale gestori ambientali non si applicano alle attività di raccolta e trasporto di rifiuti effettuate dai soggetti abilitati allo svolgimento delle attività medesime in forma ambulante, limitatamente ai rifiuti che formano oggetto del loro commercio. Sulla base della disposizione normativa citata viene previsto che i soggetti abilitati allo svolgimento di attività in forma ambulante e che raccolgono e trasportano i rifiuti che formano og-

getto del loro commercio siano esonerati da alcuni rilevanti adempimenti prescritti dalla normativa sui rifiuti e vale a dire, dal richiedere idoneo titolo abilitativo all’Albo Nazionale Gestori Ambientali (art. 212), dal tenere il registro di carico e scarico (art. 190), dall’accompagnare il trasporto con FIR (art. 193) e dal presentare il MUD annuale (art. 189). Nonostante l’apparente chiarezza dell’articolo, le cose non sono affatto semplici. In base alla disposizione sopra riportata, la cifra che contraddistingue questi soggetti è lo svolgimento di un’attività di raccolta e trasporto di rifiuti in forma ambulante mediante un apposito titolo abilitativo. La legge specifica (forse superfluamente) che la deroga opera a condizione che i rifiuti gestiti siano quelli “che formano oggetto del (loro) commercio”. Ai fini dell’individuazione dell’ambito di applicazione della normativa, occorre preliminarmente com-

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prendere cosa si intenda per “attività in forma ambulante dei rifiuti che formano attività oggetto del loro commercio”. Ebbene, come affermato da una concorde giurisprudenza sul punto “la deroga prevista dall’art. 266, comma 5 d.lgs. 152 del 2006 per l’attività di raccolta e trasporto dei rifiuti prodotti da terzi, effettuata in forma ambulante opera qualora ricorra la duplice condizione che il soggetto sia in possesso del titolo abilitativo per l’esercizio di attività commerciale in forma ambulante ai sensi del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 114 e, dall’altro, che si tratti di rifiuti che formano oggetto del suo commercio” [2]. Ciò posto, si procederà di seguito analizzando le due condizioni richieste dalla Suprema Corte. Quanto alla prima condizione richiesta, si ritiene che il soggetto che intende avvalersi di tale esenzione debba essere in possesso dell’autorizzazione prevista dall’art. 28 del D.Lgs. 114 del

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1998, il quale impone agli ambulanti di munirsi di una apposita autorizzazione comunale, sulla base della normativa di attuazione, che ogni regione deve emanare entro un anno dalla data di pubblicazione del decreto stesso. Per completezza, si rammenta che la SCIA (Segnalazione Certificata di Inizio Attività) è regolata dall’art. 19 della l. 241 del 1990 e consiste in una dichiarazione che consente alle imprese di iniziare, modificare o cessare un’attività produttiva (artigianale, commerciale, industriale), senza dover attendere i tempi e l’esecuzione di verifiche e controlli preliminari da parte degli enti competenti. La stessa produce, infatti, effetti immediati e sostituisce le autorizzazioni, licenze o domande di iscrizioni non sottoposte a valutazioni discrezionali o al rispetto di norme di programmazione e pianificazione, così come di vincoli ambientali, paesaggistici, culturali, ecc. Ricorrendo tali presupposti, alle imprese è sufficiente presentare il relativo modello SCIA, correttamente compilato e completo in ogni sua parte per avviare la propria attività. La pubblica amministrazione destinataria di una SCIA deve poi accertare, entro 60 giorni dal ricevimento, il possesso e la veridicità dei requisiti dichiarati, adottando, in caso negativo, i dovuti provvedimenti per vietare la prosecuzione dell’attività e sanzionare, se necessario, l’imprenditore che si fosse reso responsabile delle dichiarazioni mendaci. Onde comprendere quale sia

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l’estensione della seconda condizione anche in questo caso è utile far riferimento alle pronunce della Cassazione sul punto, e nello specifico, alla recente sentenza n. 2864 del 22 gennaio 2015. La Suprema Corte sul fenomeno del “commercio ambulante di rifiuti” ha chiaramente delimitato l’ambito di efficacia della deroga di cui all’art. 266, co. 5 D.Lgs. 152 del 2006 alle sole ipotesi in cui sia effettivamente applicabile la disciplina sul commercio ambulante di cui al D.Lgs. 114 del 1998 e tale applicabilità sia dimostrata dall’interessato ed accertata in fatto dal giudice del merito, escludendosi, conseguentemente, che l’attività di raccolta e trasporto di rifiuti urbani e speciali prodotti da terzi possa rientrare nella nozione di commercio ambulante come individuata dal menzionato D.Lgs. 114/98. La disciplina del D.Lgs. 114 del 1998 non si attaglia, infatti, ai raccoglitori itineranti di rifiuti i quali svolgono un’attività del tutto diversa (come precisato dalla stessa Corte nella sentenza n. 272 del 2015) anche laddove tale attività venga “svolta anche di fatto o in modo secondario o consequenziale all’esercizio di un’attività primaria”. Ulteriore conseguenza di tale interpretazione è che l’ambito di operatività della deroga è proprio limitata ad ipotesi residuali quali quelle della vendita su aree pubbliche di cose. A tal proposito, peraltro, si rileva che la sentenza in analisi richiama – su indicazione del Pubblico Ministero ricorrente – una proposta di legge (non

meglio precisata), che prevede che “il comma 5 dell’art. 166 debba essere interpretato nel senso che le disposizioni di cui agli artt. 189, 190, 193 e 212 non si applicano esclusivamente a coloro che ai sensi delle disposizioni del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114 e delle relative disposizioni regionali di attuazione sono autorizzati dal comune al commercio al dettaglio in aree pubbliche di beni usati ovvero di oggetti di antiquariato e da collezioni non aventi valore storico – artistico. Le disposizioni dei citati articoli 189, 190, 193 e 212 si applicano all’attività di raccolta e trasporto di rifiuti, ovunque prelevati, per il loro successivo conferimento, anche a fronte del versamento di un corrispettivo, agli impianti di gestione di rifiuti”. È d’uopo precisare che tale provvedimento, non essendo completato l’iter legislativo di adozione, non è utile a spiegare effetti vincolanti. Alla luce della normativa e della giurisprudenza esaminate, si può concludere che le deroghe sul commercio ambulante dei rifiuti operano laddove vengono rispettate le condizioni previste dalla normativa speciale sul commercio ambulante, ex D.Lgs. 114/98, le relative normative regionali attuative, che prevedono il rilascio di una licenza comunale al commercio ambulante e l’iscrizione alla C.C.I.A.A. di competenza territoriale, in cui deve essere specificato l’oggetto dell’attività e la tipologia di rifiuti raccolti, trasportati e commercializzati. Senza le condizioni indicate, l’attività condotta in mancanza delle autorizzazioni, iscrizioni o comunicazioni ambientali previste dallo stesso D.Lgs. 152/06, integra il reato di “gestione di rifiuti non autorizzata” (art. 256, comma 1, D.Lgs. 152/06). *Ambiente Legale

NOTE

[1] http://www.ptpl.altervista.org/dottrina_contributi/2014/paone_vincenzo_03072014_la_raccolta_e_il_trasporto_dei_rifiuti_in_forma.pdf [2] Cass. Pen., sez. III, sent. N. 2864 del 2015., Cass. Pen. Sez. III, sent. N. 29992 del 2014, Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 26-112014) 07-01-2015, n. 79; Cass. pen. Sez. III, 02/05/2013, n. 39774 (rv. 257590).


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R E C O N N E T BONIFICHE e GREEN ECONOMY

di Claudio Albano*, Renato Baciocchi** e Igor Villani***

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a bonifica e gestione dei siti contaminati può rappresentare uno degli elementi fondanti di un nuovo modo di immaginare la politica ambientale del nostro Paese. Lo sviluppo di una maggiore consapevolezza nell’utilizzo di approcci moderni alla gestione di siti contaminati e l’esperienza acquisita a livello internazionale nello sviluppo e applicazione di tecnologie di bonifica più efficaci ha già consentito di mettere le basi per superare e sostituire in misura crescente approcci semplicistici e poco sostenibili alla bonifica di siti contaminati. Ciononostante, allo stato attuale, le statistiche disponibili a livello nazionale continuano a raccontarci di un mercato delle bonifiche dove gli approcci tradizionali di bonifica (scavo e smaltimento e Pump &Treat) continuano a rappresentare le soluzioni di gran lunga maggiormente applicate. Inoltre, per molte aree dismesse (Brownfields) continuano a mancare adeguati piani di riqualificazione, soprattutto laddove non sia riscontrabile un ritorno economico immediato per gli eventuali investitori. Lo scollamento esistente tra potenzialità del sistema bonifiche nazionale di offrire soluzioni innovative e la realtà fattuale potrebbe essere sanato adottando approcci di tipo olistico, che introducano nel processo gestionale di un sito valutazioni non solo di natura ambientale ma anche economica e sociale. Elementi chiave della “green economy” sviluppati su scala europea, come quelli di “circular economy” o “industrial simbiosys” dovrebbero diventare centrali anche nel settore delle bonifiche, trasformando il sito contaminato o l’area dismessa da mera passività ambientale ad elemento vitale dell’economia, in grado di fornire servizi ad altri comparti o settori civili e industriali. Ovviamente, ciò richiede un cambio di paradigma,

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che preveda ad esempio di introdurre elementi di sostenibilità nella valutazione e selezione delle pratiche di gestione e bonifica di un sito contaminato e di inquadrare la bonifica in un ambito più ampio, tenendo conto delle opportunità di riqualificazione del sito stesso, ma anche delle opportunità più ampie che il sito potrebbe potenzialmente offrire su scala locale o regionale. Il concetto di bonifica sostenibile nasce circa un decennio fa, come tema specifico nel campo delle bonifiche, proprio dalla consapevolezza che l’implementazione di una attività di risanamento di un sito contaminato può comportare, come qualsiasi attività antropica, un impatto (positivo o negativo) su numerosi aspetti ambientali, sociali ed economici. Se da un lato infatti gli interventi di bonifica consentono di traguardare l’obiettivo di proteggere la salute umana e garantire la salvaguardia dell’ambiente dai rischi connessi alla presenza di contaminazione, in accordo alla normativa di riferimento (in Italia, il D.Lgs. 152/06 e s.m.i.), la loro implementazione implica tipicamente un notevole consumo di risorse naturali, energetiche e monetarie, numerosi impatti “indotti” sugli operatori, sulle comunità e gli ecosistemi (salute e sicurezza, impiego, traffico, rumore, polvere, emissioni) in prossimità del sito, nonché produzione di altri residui (rifiuti, emissioni, scarichi idrici). In un normale iter di bonifica, la scelta della tecnologia più idonea applicabile ad un sito, non beneficia in modo esplicito né di questa visione complessiva, né del coinvolgimento informato dei soggetti interessati (definiti stakeholders), portando spesso all’adozione di soluzioni risolutive, ma non necessariamente sostenibili. Nel settore non appare infatti comune o particolarmente incentivata l’adozione di pratiche ormai diffuse in altri settori

economici, quali le energie rinnovabili, il riutilizzo dei materiali e l’adozione di approcci a “km zero”. In questo modo, la scelta dell’opzione di bonifica finisce spesso per orientarsi verso tecnologie consolidate e cautelative, ma spesso più impattanti. Questo sembra in forte antitesi rispetto all’immagine “green” e sociale che le aziende cercano di offrire sul mercato e alla spinta alla sostenibilità di molte iniziative pubbliche e normative. Sulla base di queste considerazioni, sono sorti ed operano a livello internazionale diversi gruppi di lavoro, tra cui i principali SuRF - Sustainable Remediation Forum, NICOLE - Network for Industrially Contaminated Land in Europe, Common Forum, USEPA), composti da industria, autorità, enti di ricerca, operatori del settore. Questi gruppi promuovono la definizione di principi, protocolli e strumenti di supporto alla valutazione multicriteria degli indicatori ambientali, sociali ed economici prioritari, finalizzata alla selezione delle migliori tecnologie, nonché alla diffusione dei risultati concreti della loro applicazione, a conferma del beneficio apportato alla gestione di siti contaminati (dalla caratterizzazione iniziale alla riqualificazione finale). Tra questi soggetti si inserisce a livello nazionale il gruppo di lavoro della rete RECONnet sulla sostenibilità nelle bonifiche (SuRF Italy), impegnato ad identificare e promuovere criteri operativi di applicazione dei concetti di sostenibilità e best management practices, adeguati al contesto delle bonifiche nel nostro Paese. E’ auspicabile che tutti i soggetti coinvolti, siano essi i responsabili dei siti, i progettisti o le autorità preposte all’approvazione e controllo, condividano l’importanza dei principi di sostenibilità e utilizzino, in modo proattivo e collaborativo, detti strumenti decisionali e cri-


teri operativi, a supporto della selezione e applicazione di scelte tecnologiche e gestionali lungo tutto l’iter di bonifica, al fine di massimizzare il beneficio complessivo dell’intervento, tra cui la valorizzazione dell’area stessa nel contesto urbanistico di riferimento. A tale proposito, uno degli ambiti in cui risulta più assente una visione olistica rivolta al raggiungimento della sostenibilità è proprio la gestione territoriale associata alla bonifica dei siti contaminati. L’ordinamento italiano tende a rendere ogni singolo sito contaminato come un’entità autonoma separata dal contesto territoriale, governata da norme specifiche e con un regime economico chiuso. Questo assetto gestionale è in realtà in controtendenza rispetto a quello tecnico-scientifico che pone frequentemente limiti sulla fattibilità di una bonifica rispetto agli obiettivi prefissati, sia da un punto divista operativo che finanziario. Sia che si tratti di finanze pubbliche o private, l’ossessivo lega-

me giuridico che si instaura tra un sito ed i soggetti coinvolti si ritorce contro quella che è la vera natura del patrimonio ambientale, cioè l’appartenenza alla collettività. Soprattutto per le grandi contaminazioni, non è affatto inusuale che, facendo stime esemplificative, bonificare l’ultimo 10% di inquinamento impieghi il 60% del budget totale dell’intervento di bonifica, lasciando probabilmente anche delle pendenze sulle possibilità dell’effettivo raggiungimento degli obiettivi. Facendo un’altra stima esemplificativa accade che con i fondi investiti per quell’ultimo 10% si potrebbero bonificare completamente diversi altri siti mediamente contaminati, ma, a dispetto dell’univocità della risorsa pubblica, il dislocamento di finanze e risorse da un sistema “sito” all’altro e da un assetto giuridico all’altro è attualmente fuori da qualsiasi immaginario gestionale, con la conseguenza di ostacolare gli investimenti in campo ambientale e ridurre notevolmente il rendimento dei pochi

stanziati, soprattutto in regime di crisi come quello attuale. Sostenibilità non vuol dire semplicemente “bonificare risparmiando”, ma vuol dire gestire i siti contaminati in un sistema a rete bidirezionale che porti tutte le informazioni ad un quadro generale centrale in grado di valutare in maniera più efficace come erogare le risorse verso il territorio e come pianificarne lo sviluppo in maniera efficace e conservativa. Il primo grande scoglio da superare per originare questa visione integrata è colmare il gap esistente tra il mondo urbanistico e quello ambientale, auspicando la produzione di norme che non rimangano rigorosamente all’interno delle singole discipline, tendendo ad una visione globale dello stato di qualità del sistema territorio ed uscendo dal concetto di sito contaminato come singolarità. *CH2M ** Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” *** Provincia di Ferrara


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ECOMEDIT: PROVE DI TENUTA IDRAULICA VASCHE E SERBATOI INTERRATI

La tutela del territorio e dell’ambiente in cui viviamo passa anche attraverso delle semplici azioni di controllo e monitoraggio che consentono di gestire in anticipo qualsiasi imprevisto rispettando così anche gli standard di qualità richiesti dalla norma ISO 14000. A tal proposito la prova periodica di tenuta di tutti i manufatti interrati adibiti allo stoccaggio di prodotti liquidi inquinanti come acque di processo, emulsioni, composti chimici e idrocarburi in genere può risultare un intervento economico ma determinante per evitare spese impreviste. Le tecnologie “non distruttive” certificate EPA a livello internazionale e riconosciute UNICHIM, concesse in uso esclusivo sul territorio Italiano alla EcoMedit s.r.l., permettono in modo certo e sicuro a tecnici appositamente preparati e qualificati di effettuare ricerca di perdite su vasche e serbatoi in esercizio senza interrompere le normali attività produttive. Iscritta all’Albo Nazionale delle imprese che effettuano la Gestione dei rifiuti cat. 5, 8, 9, certificata ISO 9001:2008 per la qualità, ISO 14001:2004 per l’ambiente, qualificata ad operare in ambienti sospetti di inquinamento o confinati DPR 177/11 per la pluriennale esperienza nel settore petrolchimico, offre servizi quali: controlli spessimetrici delle lamiere norme UNI473 e ISO 9712, elaborazione di tabelle metriche di taratura norma API 255 e ISO 7507, bonifica gas-free, risanamento lamiere interne e dismissione serbatoi con una severa applicazione dei protocolli di sicurezza e formazione definiti dal Sistema di Gestione interno, in ottemperanza al D.Lgs. 81/08 e smi.

PRESSE DI COMPATTAZIONE PER RIFIUTI SOLIDI TEUMAN La pressa di compattazione è stata studiata per risolvere problemi derivanti dallo stoccaggio e dal trasporto di notevoli quantità di rifiuti. Questa macchina, infatti, ha la funzione di compattare e ridurre in balle di peso regolabile i rifiuti solidi urbani e assimilabili riducendone il volume e facilitandone la movimentazione abbattendo i costi del trasporto. L’allestimento comprende: un tunnel di compattazione all’interno del quale scorre una pala o pressore che comprime il materiale contro un portellone anteriore e un portellone orizzontale o ghigliottina che isola il tunnel dalla tramoggia. L’intera struttura è supportata da quattro stabilizzatori, due dei quali sono regolabili idraulicamente. Il carico normalmente avviene tramite nastri che, scaricando per caduta dentro una tramoggia riempiono la bocca di carico della pressa. Al momento della compattazione, un portellone orizzontale, mosso da un cilindro oleodinamico denominato ghigliottina, isola il tunnel di compattazione dalla tramoggia. La compattazione dei rifiuti avviene mediante una pala mobile collegata ad un cilindro oleodinamico di compattazione. Nella parte anteriore si trova il portellone di compattazione, dove la pala esercita la massima pressione per la formazione di una “balla” di rifiuto compattato. Tale portellone viene alzato oleodinamicamente lasciando completamente libera l’intera sezione interna della pressa, e quindi facilita il trasbordo della “balla” sui mezzi adibiti per la ricezione. Teuman offre ai suoi clienti una tecnologia adeguata alle necessità, soluzioni flessibili per l’ottimizzazione dei trasporti, un servizio veloce e qualificato, professionalità e competenza.

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ECOSTAR THE NEXT RECYCLING TECHNOLOGIES

I vagli a dischi prodotti da Ecostar a Sandrigo (VI) e negli USA a Lancaster (PA), sono ora combinati con un nuovo sistema aeraulico brevettato. Ecostar si sta affermando con i suoi vagli a dischi come una tra le più dinamiche aziende per una continua innovazione, con idee concrete, alta qualità e nuove soluzioni. Ora il nuovo logo e lo slogan “the next recycling technologies” significa come sia proiettata al futuro e rappresenta esattamente la mission dell’azienda. Il CDA, costituito dalla famiglia Cappozzo con Domenico, Fabio, Filippo ed Emma, ha saputo formare una squadra efficiente, motivata e dinamica in tutti i comparti dell’azienda. Il segreto della conquista di nuovi mercati ai più alti livelli è sviluppare idee semplici ma funzionali, chiave del risultato di quest’anno: vendite raddoppiate in Italia e nei 34 Paesi in cui sono presenti i nostri vagli dinamici. Un successo della tecnologia Italiana nel Mondo e tutto il team è orgoglioso di tenere alta la nostra bandiera Italiana. Nella prossima edizione di Ecomondo, Ecostar presenterà un’importante novità tecnologica nella separazione, quindi valorizzazione dei vari tipi di materiali da riciclare. Questo nuovo sistema, permetterà di combinare ai già affermati vagli dinamici la separazione dei materiali leggeri, durante il loro saltellamento sul vaglio, tramite un vortice d’aria, innovazione che prende il nome di “Ecostar Cleaner”. www.eco-star.it

EUROVIX: LEADER NEL MERCATO DELLE BIOTECNOLOGIE APPLICATE ALL’AMBIENTE Eurovix produce direttamente presso i propri stabilimenti i complessi enzimatico–microbici, i “bioattivatori”, che trovano applicazione nei seguenti campi: • ambiente, • agricoltura, • zootecnia, • acquacoltura ed ecosistemi acquatici. L’ambiente rappresenta il core business dell’azienda ed i bioattivatori trovano largo impiego nei diversi ambiti, ogni qual volta ci siano da migliorare processi biodegradativi a carico di materiali organici: • trattamento delle acque reflue civili ed industriali; • raccolta, trattamento e smaltimento dei rifiuti; • bonifiche dei siti contaminati; • riduzione degli impatti olfattivi; • impianti di codigestione anaerobica delle biomasse. Per ognuno dei settori sopra indicati esiste una linea dedicata di specifici bioattivatori a base enzimatico-microbica che, in abbinamento a speciali nutrienti-sinergizzanti, é in grado di favorire l’immediata disponibilità dell’inquinante all’attacco biologico, velocizzare i tempi di degradazione, ottimizzare le cinetiche e ridurre l’impatto olfattivo. I microrganismi utilizzati, opportunamente selezionati (non OGM), sono biofissati su supporti minerali allo scopo di proteggere i microrganismi stessi contro i rischi di natura fisica e chimica, aumentarne il tempo di contatto col substrato da demolire, favorire la loro crescita. I microrganismi utilizzati sono assolutamente naturali, selettivamente specifici per le varie sostanze da degradare e sono utilizzabili direttamente in campo. La formulazione dei bioattivatori è completata da complessi enzimatici, fattori di crescita microbica, micronutrienti e idonei supporti atti a garantire una ottimale conservazione, con lunga shelf-life, fino al momento dell’applicazione.

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Forrec: la valorizzazione dei RAEE Gli impianti per il trattamento dei RAEE fanno parte del core business di Forrec che ha maturato un’invidiabile esperienza in questo settore. Nel corso degli anni, gli impianti Forrec per il trattamento dei RAEE si sono evoluti, con un costante miglioramento delle loro prestazioni. Efficienza e qualità riconosciute in tutto il mondo dove, il modello di business sta trovando canali più che concreti. Recentemente Forrec ha messo a punto un nuovo impianto che rappresenta un’ulteriore e interessante evoluzione dei tradizionali impianti RAEE. Questo nuovo impianto colma una lacuna e chiude il cerchio, per così dire, poiché svolge il suo lavoro partendo da dove gli impianti tradizionali si fermavano. Provvede, infatti, al trattamento e alla separazione dei materiali ferrosi e non, provenienti dalla cernita dei RAEE come, per esempio, motorini, trasformatori e componenti elettrici. Lo scopo del nuovo processo è proprio la massima valorizzazione dei materiali risultanti dalla cernita: ferro, rame, ottone, bronzo, zama, alluminio e plastica. Grazie ad un sistema che combina mulini a martelli e mulini a lame, l’impianto produce materiali puliti al 99% da vernici o altri componenti che ne compromettono la purezza. L’impianto ha una capacità di circa 3 ton/h in entrata, per un materiale in uscita dalle dimensioni di circa 3 mm. Naturalmente questo nuovo impianto può andare ad integrare impianti RAEE che si fermavano alla cernita ma può operare anche come linea a sé stante. Forrec ha già installato due di questi impianti ed è prevista l’entrata in funzione di altri due nei prossimi mesi.

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L’ ESPERIENZA E’ ALLA BASE DEL FUTURO Scavi, demolizioni e bonifiche Impianti di cava per inerti Infrastrutture stradali e sportive Recupero di aree dismesse

PERINO PIERO s.r.l. 72

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MANTOVANIBENNE A ECOMONDO 2015 L’arrivo dell’autunno coincide, per Mantovanibenne come per tantissime altre imprese italiane, con i preparativi per Ecomondo. La fiera, che è riconosciuta come il più grande evento della Green Economy dell’area mediterranea, è ormai tappa obbligata per il gruppo mirandolese che del riciclaggio ha fatto l’essenza della propria produzione. Infatti la gamma Mantovanibenne da decenni perfeziona il concetto di attrezzature per la demolizione e il riciclaggio, coniugando le soluzioni tecniche più all’avanguardia con gli standard produttivi tipici del Made in Italy. Quest’anno, le attrezzature sullo stand stupiranno non solo i nuovi visitatori ma anche quelli che ci conoscono e ci seguono in ogni edizione. Facendo una breve carrellata delle macchine in esposizione, troviamo subito due linee che da sempre hanno grande successo presso la clientela italiana e internazionale: i frantumatori rotanti RP e le pinze selezionatrici/demolitrici GR. Entrambe sono attrezzature estremamente versatili, proprio perché possono svolgere tanto attività di demolizione quanto di riciclaggio e movimentazione; inoltre sono dotate di rotazione idraulica a 360°, per una capacità di manovra eccellente. Muovendoci sul settore del rottame metallico, Mantovanibenne ha sviluppato una serie di soluzioni ottime per le esigenze più varie, dalle grandi imprese di smaltimento ai rottamai e autodemolitori con piccoli parchi-macchine. La linea di polipi BP, classico strumento per la movimentazione del rottame, troverà posto assieme ad una delle novità di quest’anno, mai esposta ad Ecomondo: le nuove gambe per Multisystem MS, dedicate al taglio delle rotaie. In questo modo si acquista una macchina multi-funzione, con molte possibilità di impiego, che diventa specifica e dedicata al taglio delle rotaie aumentando così la produttività. Infine, lo spazio maggiore verrà dedicato alla linea che è ormai simbolo dell’eccellenza Mantovanibenne: le cesoie SH Eagle II. Riconosciute meritatamente fra le migliori cesoie idrauliche per rottame al mondo, ogni loro dettaglio tecnico è concepito per ottimizzare la resistenza della macchina e la produttività con ogni materiale. Per citarne qualcuno: rotazione idraulica 360°, valvola di velocità, cilindro rovesciato con alesaggio aumentato, lame sulle ganasce intercambiabili, e così via. In più quest’anno i visitatori potranno ammirare un modello speciale di cesoia, mai mostrato in nessuna fiera prima: non vi resta che venire a trovarci! Saremo nel Padiglione C3, stand 114.

Ecotec Solution: nuovo trituratore rifiuti intelligente UNTHA XR e tour dimostrativo in Italia Con il rilancio dell’affermata serie XR, UNTHA definisce nuovi standard nel trattamento di rifiuti urbani, industriali e ingombranti. Costi operativi minimi con il massimo delle prestazioni, rendono il nuovo trituratore di rifiuti una vera innovazione, sottolineata dall’utilizzo di una tecnologia intelligente. Introducendola sul mercato, UNTHA intende ampliare ulteriormente la propria leadership in qualità di innovatore nel settore del trattamento dei rifiuti. Il concetto di propulsione completamente nuovo “UNTHA EcoDrive”, garantisce una riduzione del consumo energetico fino al 50 % rispetto a propulsioni elettro-oleodinamiche tradizionali. L’impiego di attuali motori sincroni garantisce il massimo rendimento, rendendo UNTHA Eco Drive uno dei sistemi di propulsione energeticamente più efficienti sul mercato. Inoltre possono essere abbassati al minimo i costi di gestione, in quanto accoppiamenti, cinghie, pompe idrauliche e mozzi rotore non sono più necessari. Per esaudire le esigenze individuali dei clienti, la nuova serie XR può essere attrezzata con “sistema Ripper o Cutter”. In combinazione con il brevettato sistema barre a griglia XR o le diverse griglie forate sono possibili pezzature definite da 400 mm fino a 30 mm. Durante lo sviluppo è stata posta particolare attenzione agli aspetti di servizio e manutenzione. Così il sistema evacuazione intriturabili rende possibile la rapida evacuazione di intriturabili dal vano di triturazione, tutti i lavori di manutenzione e servizio possono essere eseguiti in piena sicurezza e in posizione eretta con attrezzatura comune. Il modo di costruzione robusto e compatto con profili massicci e resistenti alla torsione rendono possibili condizioni difficili e un esercizio con basse vibrazioni. La macchina è facile da integrare in impianti esistenti e nuovi. Per l’inizio del 2016 il distributore esclusivo per l’Italia Ecotec Solution sta organizzando un grande tour dimostrativo sugli impianti italiani. I gestori avranno la possibilità di testare il nuovo trituratore Untha XR in ogni situazione dai rifiuti solidi urbani agli ingombranti a qualsiasi altro tipo di rifiuto. Le possibilità di prova saranno individuali perché il trituratore verrà configurato sulla base delle esigenze del gestore e un tecnico Untha si occuperà dello svolgimento delle prove. Le adesioni al tour dimostrativo possono essere fatte presso lo stand Ecotec Solution Srl a Ecomondo (Padiglione A3 Stand 172), via email (info@ecotecsolution.com), sul sito www.ecotecsolution.com oppure telefonicamente (Tel. 0473 562437).

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KELLER: TRASMETTITORI DI PRESSIONE DI CLASSE SUPERIORE Con i trasmettitori di pressione delle Serie 33 X e Serie 35 X Keller ha ridefinito lo stato attuale della tecnica manometrica. Celle di misurazione alloggiate in posizione flottante, elaborazione digitale generalizzata del segnale, compensata con precisione matematica, microprocessore altamente dinamico – tutto ciò produce precisioni di riferimento fino allo 0,05%FS della fascia di errore complessivo. L’elemento sensore piezoresistivo – alloggiato in posizione flottante – è esente da forze non definibili di tipo meccanico e termico che agiscono sull’attacco di raccordo della pressione. Il trasduttore A/D del processore di segnale funziona con una risoluzione a 16 bit e in pochi millisecondi trasforma i segnali provenienti dal sensore di pressione e dal sensore di temperatura integrato in valori di misurazione esatti e compensati. L’uscita analogica del trasmettitore è aggiornata almeno 400 volte al secondo – e questo con una precisione complessiva di 0,05%FS (incluso l’influsso della temperatura nel campo 10°C …40°C). Nel medesimo campo di temperatura è disponibile in opzione un’esattezza pari a 0,01%FS rispetto ai valori di riferimento degli standard primari (precisione 0,025%). Nel campo di temperatura di -10°C…+80°C tipico del processo – dunque uno scarto di 90 K – i trasmettitori di pressione 33 X e 35 X forniscono i rispettivi valori digitali di misurazione con una fascia di errore complessivo pari allo 0,1%FS. L’uscita digitale consente tra l’altro di visualizzare i valori di misurazione della pressione direttamente su un Laptop o su un PC, e rende anche possibile collegare serialmente in rete fino a 128 trasmettitori. A seconda del modello della spina ovvero del numero dei contatti disponibili, i trasmettitori presentano un’uscita digitale (RS485) e in più un’uscita analogica di corrente o di tensione – ad esempio 0…10 V (a 3 conduttori); 4…20 mA (a 2 conduttori). I campi di misurazione compresi tra 0,8 bar…1000 bar, per misurazioni di pressione assoluta e di sovrappressione, sono disponibili in base alla configurazione di costruzione – attacco di raccordo filettato, membrana affacciata o pressione differenziale. Attraverso l’interfaccia digitale (RS485) si possono allargare i campi di misurazione base in maniera specifica per le applicazioni e si può spostare il valore zero. Sono disponibili gratuitamente due programmi PC per i trasmettitori di precisione della Serie 30 X. Con il PROG30 tra l’altro gli apparecchi sono parametrizzati sul posto e sono rilevati i singoli valori di misurazione. Il READ30 consente agli utenti di combinare insieme tutti i dispositivi di rilevazione dei valori misurati, unitamente alla visualizzazione del segnale sotto forma di grafico, per un massimo di sedici trasmettitori. Gli utenti possono scegliere fra tre connettori elettrici a spina. E’ possibile sostituirli facilmente agendo sulle parti scomponibili. Qualora sia richiesta la classe di protezione IP68 (standard nella sonda di livello 36 X W), è disponibile anche una versione con collegamento a cavo.

Baioni: tecnologia mobile di bonifica come sfida per il futuro del pianeta Con il progressivo esaurimento delle risorse e l’aumento dell’inquinamento del suolo, la preoccupazione di oggi è rivolta agli effetti sull’ecosistema e sulla salute dell’uomo. L’orientamento è quindi quello di ridurre gli inquinanti come prodotti chimici, materiali tossici, agenti patogeni, materiali radioattivi ma in primis una corretta gestione “a monte” dei rifiuti, dell’utilizzo di agenti chimici in agricoltura e nell’industria, ovvero delle attività umane potenzialmente dannose. L’azienda Baioni è pronta a raccogliere la sfida e a misurarsi con questa importante scommessa di valenza ambientale, a Ecomondo 2015 presenterà infatti i primi impianti mobili di soil washing e bonifica suoli contaminati, frutto di un lavoro che ha permesso all’azienda di diventare unica realtà su scala nazionale a impegnarsi sia sul fronte progettuale sia su quello produttivo degli impianti di trattamento terreni e fanghi, offrendo soluzioni tecnologiche complete poiché, sfruttando la pluriennale esperienza maturata nel settore minerario, dispone pienamente del know-how tecnologico ed è capace di garantire una corretta progettazione della linea in funzione delle caratteristiche dei terreni da bonificare, nonché supporto tecnologico e adeguata formazione del personale addetto alla gestione degli impianti. Entro la fine dell’anno Baioni consegnerà e avvierà importanti impianti mobili di trattamento fanghi e terreni, costruiti su skid standard e montati su container, gli impianti potranno essere utilizzati in diverse applicazioni, a seconda del layout del sito e delle esigenze di progetto.

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IPAF: il valore aggiunto della qualità IPAF (International Powered Access Federation) è una federazione internazionale di membri associati, senza scopo di lucro, un’organizzazione di proprietà dei suoi soci, che comprende produttori, noleggiatori e distributori di piattaforme di lavoro elevabili. È nata nel 1983 in Gran Bretagna su iniziativa del HSE (Health and Safety Executive) mediante la fusione di due associazioni di costruttori, per promuovere la sicurezza, creare degli standard di costruzione e di utilizzo per sviluppare il settore nell’ambito della legislazione vigente. La mission di IPAF è dunque quella di promuovere la cultura della sicurezza nella produzione e utilizzo dei mezzi mobili di accesso aereo e l’applicazione dei mezzi più idonei e sicuri nonché fornire consulenza, dare le giuste informazioni, interpretare in modo corretto le norme, supportare e sviluppare iniziative e campagne per la sicurezza e programmi di formazione, per una efficace prevenzione dei rischi e incidenti nei lavori in quota. Nel mondo IPAF è presente in più di 40 nazioni, con 1100 soci e 550 centri di formazione. In Italia IPAF ha 100 soci in costante aumento, oltre 40 centri di formazione autorizzati e 120 istruttori accreditati IPAF. Attraverso i 40 centri, capillarmente disseminati sul territorio, vengono istruiti gli operatori con rigide modalità formative, con un programma sviluppato da professionisti leader del settore e certificato dal TÜV (ISO 18878 Mobile elevating work platforms – Operator (driver) training). IPAF propone corsi per Operatore PLE, per Dimostratore PLE, per Istruttore PLE, corso H Imbragature, corso Carico-scarico e corso Gestori PLE. Al termine dei corsi viene rilasciata la cd. CARTA PAL (Powered Access Licence) riconosciuta e accettata in molte nazioni dalle maggiori industrie del mondo come prova di formazione al più elevato standard degli operatori di PLE. Ma la formazione è solo una delle attività di IPAF: è tra i nostri compiti infatti promuovere la cultura della sicurezza, supportando e sviluppando iniziative e campagne dedicate, per una efficace prevenzione dei rischi e incidenti nei lavori in quota. A tal fine, IPAF ha creato all’interno del proprio sito una banca dati sugli incidenti, un apposito spazio in cui IPAF invita tutti i produttori, le società di noleggio, le imprese di costruzione e gli utilizzatori a segnalare qualsiasi incidente che coinvolga le piattaforme di lavoro elevabili/aeree in tutto il mondo. Dall’analisi delle informazioni e segnalazioni – che ricordiamo sono trattate in maniera estremamente confidenziale e vengono utilizzate esclusivamente a scopo di analisi – conosciamo il tipo di incidenti e di lesioni; solo allora possiamo cominciare a ragionare su come gestire e prevenire tali incidenti, su quali misure adottare e quali campagne mettere in atto.

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VAUCHÉ BIOMA ITALIA PROTAGONISTI DELL’AMBIENTE

Parte del Gruppo Vauché Europa, Vauché Bioma Italia progetta e realizza impianti per la selezione e il trattamento dei rifiuti. Presente sul mercato dal 1996, Vauché Bioma Italia è in grado di progettare e fornire impianti chiavi in mano per la selezione, il trattamento e il riciclaggio dei rifiuti urbani e industriali. Plastica, carta, imballaggi, rifiuti da raccolta differenziata e di derivazione industriale vengono valorizzati per tornare a nuova vita grazie agli impianti di trattamento proposti dall’azienda. Gli impianti realizzati da Vauché Bioma Italia sono presenti su tutto il territorio nazionale. L’esperienza e la conoscenza dei diversi tipi di rifiuto permettono la realizzazione di impianti anche in spazi ristretti senza inficiare la qualità del prodotto finito o l’affidabilità generale dell’impianto. Vauché Bioma Italia è inoltre in grado di proporre impianti modulari in grado di evolversi per adattarsi al tipo di rifiuti in ingresso con minimi investimenti. La competenza acquisita in molti anni di lavoro sul campo, permette di trovare le migliori soluzioni impiantistiche alle diverse richieste dei clienti. Vauché Bioma Italia fornisce anche singoli macchinari, quali lacerasacchi, selettori ottici, vagli, separatori balistici o ad aria, nastri trasportatori, da inserire in impianti già operativi per renderli ancora più performanti. L’azienda offre inoltre un servizio di assistenza per affiancare il cliente finale. Vauché Bioma Italia è protagonista dei principali e più moderni impianti pubblici e privati per la selezione dei rifiuti inaugurati in Italia negli ultimi anni. L’economia circolare, ossia la nuova scommessa europea per la riduzione dell’utilizzo delle materie prime, è realtà anche grazie agli impianti Vauché che permettono la valorizzazione dei rifiuti per avviarli a nuova vita.

BROKK: stesso nome, più potenza Dal suo debutto nel 2013, Il Brokk 60 è diventato un partner insostituibile in vari progetti nel mondo. Abbiamo sentito però l’esigenza di migliorarci e siamo riusciti ad ottenere il 10% in più di potenza effettiva. Questo è solo uno dei miglioramenti ottenuti. La novità più importante nel Brokk 60II è l’aggiornamento del sistema idraulico che aumenta sostanzialmente la potenza dell’utensile, diventando così la macchina più piccola della gamma Brokk avente un rapporto peso-potenza da super campione. In aggiunta, la manovrabilità della macchina è stata migliorata per le attività in ambienti molto ristretti. I movimenti del nuovo Brokk 60II sono più fluidi e precisi rispetto al precedente. “Siamo molto felici di annunciare l’introduzione della versione aggiornata del Brokk 60. Siamo continuamente al lavoro per migliorarci con le nostre macchine e vogliamo sempre proporre ai nostri clienti i migliori prodotti che riusciamo ad ottenere. Quindi per questo motivo abbiamo deciso di realizzare una versione aggiornata subito nei primi anni di vita del Brokk 60”, dice Martin Krupicka, Presidente e CEO di Brokk. Le migliori prestazioni ottenute dall’aggiornamento sono ottenute senza sacrificare nulla nella compattezza che ha permesso alla macchina da demolizione più piccola al mondo di essere così popolare. Il peso rimane di 500 kg. le misure generali rimangono invariate - solo 597 mm di larghezza e solo 874 mm in altezza. Questa macchina viene utilizzata maggiormente nel settore dell’edilizia, ma è anche ideale per altre applicazioni dove gli spazi sono limitati e confinati tipo piccole gallerie (micro-tunneling), miniere, nucleare e nelll’industria dei processi ferrosi. Brokk si avvale dei 40 anni di esperienza nel design, nell’ingegneria e nella costruzione di macchine radiocomandate, per una sicura, efficiente e proficua demolizione a beneficio dei propri clienti. Il nuovo Brokk 60II è, con orgoglio, l’ultima di una lunga serie di macchine realizzate proprio per concretizzare questi obiettivi.

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LIBRI ACQUE DI PRIMA PIOGGIA DA INSEDIAMENTI PRODUTTIVI Caratterizzazione e depurazione A cura di Nicola Giovanni Grillo

Il concetto di “acque di prima pioggia” comprende tutte le acque che, attraversando sotto forma di goccioline l’atmosfera, catturano gli elementi volatili dispersi e li trascinano al suolo, dove con l’azione di ruscellamento si arricchiscono di tutte le impurità depositate sulle superfici nei periodi asciutti. Risultano quindi essere acque doppiamente inquinate. “Acque di prima pioggia da insediamenti produttivi” spiega come mitigare gli effetti negativi di queste acque sull’ambiente in quanto, quando in natura si rompe un equilibrio, si ha un danno ecologico che deve essere risolto. Il “carico inquinante” delle acque di prima pioggia dipende essenzialmente dalla qualità dell’aria attraversata e dalle superfici dilavate, sulle quali sono presenti sostanze e materiali di varia natura. Lo scopo dell’opera è illustrare l’approccio idoneo nel rilevare e progettare sistemi di trattamento adatti, poiché è compito dello studioso individuare e studiare i fenomeni dannosi derivanti dagli squilibri che l’attività umana provoca all’ambiente.

Geva Edizioni (138 pagine – € 24,00)

CODICE CER Attribuzione e casi particolari

A cura di Nicola Giovanni Grillo e Stefano Bernardi

La legislazione vigente in materia ambientale subisce un’evoluzione continua, alle volte talmente rapida da non avere il tempo di assimilarne le modifiche; ma attribuire un codice CER appropriato, per catalogare correttamente un rifiuto, è essenziale per la gestione delle fasi successive. Un’operazione semplice come quella della codifica diviene quindi ardua e quando si tratta di tabelle, elenchi e cataloghi il problema diventa ancor più evidente, in quanto i contenuti sono stati modificati da normative comunitarie, nazionali e locali. Un esempio lampante è costituito dalla ricerca nel Catalogo Europeo dei Rifiuti del corretto codice da attribuire ai rifiuti: la stessa definizione di “rifiuto” rende difficile stilare un catalogo completo di tutta la casistica che si può ritrovare nella realtà operativa. “Codice Cer. Attribuzione e casi particolari” si pone come obiettivo quello di essere un riferimento, chiaro e di facile consultazione, per chi necessita di un Catalogo Europeo dei Rifiuti siano essi Professionisti, Consulenti, Imprenditori o Enti di controllo.

Geva Edizioni (147 pagine – € 15,00)

IL DEPOSITO ITALIANO DELLE SCORIE RADIOATTIVE 18 anni di tentativi A cura dI Piero Risoluti

L’Italia diventa protagonista del nucleare civile all’inizio degli anni ’60, abbandonandolo quasi 25 anni fa, sia per una questione di sicurezza, sia per il problema dei costi effettivi dell’energia prodotta. Oggi è rimasta però aperta la partita della gestione delle scorie prodotte e immagazzinate nei siti degli impianti e dei centri di ricerca da cui derivano. Per risolvere il problema è necessario localizzare un sito in cui poter smaltire e depositare tutti i materiali radioattivi, nonostante siano ancora incerte le prospettive scientifiche e tecnologiche per questa sfida di portata inedita. L’opera affronta tutte le vicende, tecniche e politiche, che hanno riguardato la sistemazione delle scorie radioattive negli ultimi 18 anni, dal tentativo del Governo Berlusconi di scegliere d’autorità il sito di Scanzano in Basilicata, fino alla nuova legislazione che prevede la scelta di un Deposito nazionale, coinvolgendo Regioni e Comuni, con una riflessione sulla possibilità di trovare un sito idoneo, evitando conflitti sociali e con il consenso delle popolazioni coinvolte.

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Anno 8 - Numero 33 – Dicembre 2015 ISSN 2421-2938

Direttore responsabile: Massimo Viarenghi Direttore commerciale: Maria Beatrice Celino Coordinamento editoriale: Maeva Brunero Bronzin Collaboratori: Claudio Albano, Alessandro Aresu, Renato Baciocchi, Antonio Boncompagni, Piermario Brami, Andrea Capriati, Daniele Carissimi, Maria Beatrice Celino, Giulia Costa, Federico Del Gaia, Giorgio Galbiati, Roccandrea Iascone, Gianpiero Lento, David Maccari, Moreno Marionni, Gabriele Palmieri, Selene Perotto, Walter Rossi, Pier Sante Testi, Laura Veneri, Igor Villani, Daniela Zingaretti

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solo 40€ per 1 anno e 75€ per 2 anni

Comitato Scientifico: Maria Rosaria Boni (Sapienza Università di Roma) Daniele Cazzuffi (CESI spa – RemTech) Laura D’Aprile (MATTM, Roma) Luciano De Propris (Consulente ambientale) Ennio Forte (Università degli studi di Napoli) Luciano Morselli (Università di Bologna) Andrea Quaranta (Giurista ambientale – Cuneo) Gian Luigi Soldi (Città Metropolitana di Torino) Federico Vagliasindi (Università di Catania) Maria Chiara Zanetti (Politecnico di Torino)

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Ufficio commerciale - Vendita spazi pubblicitari: Maria Beatrice Celino Tel. 011 7497964 Cell. 335 237390 e-mail: b.celino@deaedizioni.it

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Grafica, disegni e impaginazione: Roberto Fatiga - email: grafica.advespa@gmail.com Abbonamenti: Italia annuo € 40,00 - estero annuo € 75,00 copia singola € 12,00 - arretrati € 14,00 Per abbonarsi è sufficiente fare richiesta a info@deaedizioni.it

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4 Inquadra il codice • Abbonamento annuale alla rivista (4 numeri) • Abbonamento biennale alla rivista (8 numeri) • Cd “Atti dei convegni nazionali” Remtech 2015 • Cd “Atti dei convegni nazionali” Remtech 2014 • Cd “Atti dei convegni nazionali” Remtech 2013 • Cd “Atti dei convegni nazionali” Remtech 2012 • Cd “Atti dei convegni nazionali” Remtech 2011 • Cd “Atti dei convegni nazionali” Remtech 2010

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