RECOVER magazine n. 35

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G I U G N O 2016

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Poste Italiane Spa - Sped. in a.p. - D. L. 353/2003 cov. in L. 46/2004, art1, c1 - CB-NO/Torino - Anno 9 n. 35 - ISSN 2421-2938 DEA edizioni s.a.s. Corso Tassoni 79/4 - 10143 Torino

T H E GREEN TE CH N O L O G I E S E X P O

RemTech expo: da 10 anni accompagna e sostiene lo sviluppo delle bonifiche e della tutela del territorio RICICLO DEGLI IMBALLAGGI IN ACCIAIO AL 73% E TREND POSITIVO PER GLI ALTRI MATERIALI IFAT AI BLOCCHI DI PARTENZA: LE NOVITÀ DEL PRINCIPALE SALONE INTERNAZIONALE Delle TECNOLOGIE PER L’AMBIENTE

CIRCULAR ECONOMY MARTEDÌ

VENERDÌ

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NOVEMBRE 2016 RIMINI ITALY

20A FIERA INTERNAZIONALE DEL RECUPERO DI MATERIA ED ENERGIA E DELLO SVILUPPO SOSTENIBILE

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E DI TO R I A L E

EDITORIALE TEMPO DI BILANCI… E DI RINGRAZIAMENTI Eccoci nuovamente giunti nel periodo dell’anno in cui si tirano le somme, in cui riceviamo rapporti, bilanci e dati che ci permettono di capire come si evolve il mondo e soprattutto il settore intorno a noi. Rapporti che in certi casi invitano all’ottimismo, come quelli che arrivano dalle filiere della raccolta differenziata dove i trend di crescita ci danno il polso della situazione anche relativamente all’incremento dell’immesso al consumo. O quelli delle aziende che nell’approvare i bilanci ritrovano, tra le righe, la voce di un mercato italiano in cerca di un’iniezione di fiducia. Dati che talvolta sono diversi da numeri, facilmente e oggettivamente interpretabili, ma che ci forniscono una fotografia di una green economy tutta italiana, spesso non agevolata dalle politiche governative o da normative idonee, ma che quasi inconsapevolmente trova la sua strada, e talvolta lo fa anche meglio rispetto a Paesi ben più virtuosi del nostro. Bilanci che in alcuni casi sono fatti di persone, come quelle che espongono o visitano le affollate fiere del settore di questo periodo o che, con ampio anticipo, si assicurano gli spazi per esporre in quelle che verranno in modo da fornirci la misura degli interessi, non solo economici, che ruotano intorno all’ambiente e alle tecnologie ad esso dedicate. E siccome anche noi non possiamo essere immuni da questo tipo di valutazioni, vogliamo farci prendere dall’aria fresca di questa di primavera, anche se inclemente, per riscontrare come in effetti nel settore si respiri un ritrovato ottimismo e quindi una maggior propensione all’investimento, come confermato anche dai dati relativi al settore dell’editoria specializzata. Anche se, metaforicamente parlando, non è ancora tempo di togliersi il cappotto noi il cambio di stagione l’abbiamo già fatto e siamo sempre presenti e pronti a divulgare le novità, le esperienze e le buone pratiche dei settori che da sempre supportiamo, approfittando di questo editoriale per ringraziare anche tutti quelli che, a loro volta, ci hanno supportato o che continuano a supportarci premiando l’impegno e la dedizione che mettiamo nel nostro lavoro. Grazie a chi pensa che la carta non si potrà mai sostituire e grazie a chi crede solo più nel digitale. Insomma grazie a tutti voi che avete compreso che la stampa vi sostiene e va sostenuta.

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S O M M A R I O S OM M A R I O

Rubriche

News 6 Reconnet 74 Vetrina 76 Appuntamenti 79

PRIMO PIANO di Daniela Modonesi

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Coming soon… 16 di Massimo Viarenghi

Ivory Crush Italia 18 di Laura Veneri

WORK IN PROGRESS di Laura Veneri

Tutto… tranne che ordinario

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In fase di completamento l’impianto di soil washing mobile e modulabile

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di Milena Bianchi

di Laura Veneri

di Maria Beatrice Celino

THe big eye

Dall’acciaio all’energia solare di Bruno Vanzi

FABBRICA DELLE IDEE

Gli sviluppi delle fuel cell di Laura Veneri

PANORAMA AZIENDE

Magnitudine di famiglia di Maria Beatrice Celino

L’efficienza energetica è la chiave per un futuro sostenibile

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L’impianto che coniuga geotermia e biomassa 53 di Bruno Vanzi

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PROGETTI E TECNOLOGIE

Bonifica dell’Area Collina dello stabilimento di Mantova 24

di Cecilia Presutti et al.

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Microemulsione a base di lecitina per il biorisanamento potenziato di acquiferi contaminati 60 27

di Alberto Leombruni e Mike Mueller

Modellazione numerica dei fenomeni di attenuazione naturale 64 30

di Fabiano Mussi et al.

Normativa

Terre e rocce da scavo. Quali nuove? 34

di Daniele Carissimi

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Il ravvedimento operoso 70 di Rosa Bertuzzi e Nicola Carboni

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Usata con cura 50

Distretto green delle Valli del Taro e del Ceno: un’opportunità per un’area montana

di Maria Beatrice Celino

di Laura Veneri

di Sara Ghanadi

Attualità

di Maeva Brunero Bronzin

Benvenuti nella piattaforma delle innovazioni per l’ambiente

Destinazione futuro 41

Tanti auguri RemTech Expo!

Aumenta ancora il riciclo degli imballaggi in acciaio

SPECIALE


ANALISI DI RISCHIO: IN ANTEPRIMA LE PRIME RIFLESSIONI SUL LIBRO SCRITTO DA IGOR VILLANI IN USCITA NEI PROSSIMI MESI

16 UN COMPLESSO INTERVENTO DI DEMOLIZIONE E DECOSTRUZIONE PER LA EX FABBRICA ALUMIX DI BOLZANO

44 I RISULTATI DELLE APPLICAZIONI DEL BIORISANAMENTO POTENZIATO PER LA BONIFICA DI COMPOSTI ORGANO-CLORURATI E CROMO ESAVALENTE

60 TERRE E ROCCE DA SCAVO, NOVITÀ E LIMITAZIONI DALL’ANALISI DEL DPR IN FASE DI APPROVAZIONE

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NEWS Petrolio nel Polcevera Un danno ambientale piuttosto rilevante quello causato, a Genova, dallo sversamento di petrolio nel torrente Polcevera. La rottura di una tubazione interrata dell’oleodotto Iplom ha fatto in modo che migliaia di litri di greggio si riversassero nel corso d’acqua e poi nel mare davanti al capoluogo ligure, con conseguenze ambientali facilmente immaginabili. Per fronteggiare l’emergenza sono intervenuti Vigili del Fuoco, Protezione Civile e Capitaneria di Porto che hanno cercato di arginare la fuoriuscita di petrolio tramite l’utilizzo di panne, mezzi autospurgo e di una briglia sifonata nel tratto terminale del Polcevera per trattenere il prodotto e assorbirlo. È stata avviata un’indagine per disastro colposo che è stata affidata all’Arpal, l’Agenzia per la Protezione dell’Ambiente Ligure, la quale dovrà stabilire cosa sia accaduto e di chi siano le responsabilità. Nei giorni successivi allo sversamento, a causa delle piogge cadute copiose su Genova, si è inoltre verificato il crollo di alcune dighe di contenimento che erano state create sul torrente e che sono attualmente in fase di ricostruzione.

Lo sversamento ha causato danni, oltre che alle acque del fiume, alla fauna che lì vi abita; molte specie di uccelli sono state colpite dall’onda di petrolio e anche per questo motivo si sono immediatamente attivate le associazioni ambientaliste e animaliste. A distanza di un mese dalla rottura dell’oleodotto, avvenuta il 17 aprile scorso, continuano le operazioni di depurazione, monitoraggio e prelievo di campioni delle acque del Polcevera per evitare il più possibile l’aggravarsi della crisi ambientale che, secondo l’opinione del Ministro dell’Ambiente Galletti, è ormai sotto controllo.

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Opportunità dal riciclo dei rifiuti È in crescita l’attività legata alla raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti e bonifica dei siti contaminati dall’amianto. I dati riportati dalla Camera di Commercio di Milano evidenziano una crescita costante di questo settore (+62% in 9 anni), solo per quanto riguarda la Lombardia che, con oltre 36 mila iscrizioni all’albo nazionale dei gestori ambientali, rappresenta quasi un quarto del totale italiano. Ma il comparto è in crescita in tutta Italia, soprat-

tutto per quanto riguarda lo smaltimento di rifiuti non pericolosi come i rifiuti organici. Il Consorzio italiano Compostatori, che da poco ha concluso la sua assemblea nazionale a Firenze, ha evidenziato che per il 2020 i produttori di biomasse arriveranno a trattare 8 milioni di rifiuti, con un giro di affari che crescerebbe di 300 milioni e la conseguente creazione di 5.000 posti di lavoro su tutta la filiera. Quella del rifiuto organico risulta essere la filiera del riciclo con maggiore potenziale futuro; secondo la ricerca “La filiera del rifiuto organico. Un patrimonio italiano da valorizzare”, effettuata dal CIC, il compostaggio potrebbe ancora crescere, fornendo ulteriori possibilità di occupazione e sviluppo, anche grazie alla novità del biometano. Nella logica di raggiungimento degli standard dei Paesi europei più sviluppati in ambito di riciclo dei rifiuti e rispetto dell’ambiente, il Consorzio pone l’obiettivo di arrivare entro pochi anni alla quota di 5-10% di rifiuti urbani non recuperabili portati in discarica.


Il Ministro dell’Ambiente Galletti al G7 di Toyama Vertice in Giappone, nella città di Toyama, per i ministri dell’ambiente dei 7 Paesi più industrializzati del pianeta. Il Ministro Galletti ha incontrato i suoi omologhi di Francia, Germania, Regno Unito, Stati Uniti, Giappone e Canada per confrontarsi sulle tematiche ambientali e per fare entrare in vigore in maniera concreta l’accordo di Parigi siglato lo scorso anno. Commentando l’incontro il Ministro si è dichiarato soddisfatto per l’intesa raggiunta e ha sottolineato l’importanza di ridurre le emissioni nocive nell’atmosfera. Sono soprattutto i Paesi industrializzati quelli ad avere l’obbligo di essere in prima linea per applicare i protocolli e per combattere i cambiamenti climatici. Dare il buon esempio nel rispettare i regolamenti è fondamentale per fornire un segnale forte alle imprese, all’economia e alla società nel suo complesso. Galletti ha portato come esempio virtuoso quello dell’Italia che, negli ultimi anni, ha investito sempre più nelle energie rinnovabili, ottenendo miglioramenti sul piano ambientale ma anche sul piano delle ricadute economiche; il Ministro ha infatti ricordato che, quando si parla di cambiamenti ambientali, non si parla solo di ambiente, ma di tutti i settori dell’attività sociale.

re manifatturiero in Italia sia in costante crescita e risulti essere un comparto trainante per l’industria e l’economia del nostro Paese. Si è voluto porre un’attenzione particolare all’internazionalizzazione, nell’ottica di favorire gli scambi di know how, per dare sempre maggiori opportunità alle imprese di dialogare e collaborare con Paesi esteri, all’interno di un mercato in continua evoluzione.

Le nuove tecnologie e la sperimentazione sono state al centro di MECSPE; dalla simulazione e progettazione in 3D all’internet delle cose (IoT), alla realtà aumentata, passando per la tracciabilità RFID e la logistica di magazzino, ovvero tutte quelle innovazioni tecnologiche che rendono le fabbriche intelligenti ottimizzando la produzione. All’interno di 85.000 mq di superficie espositiva, 24 isole di lavorazione e unità dimostrative, 10 quartieri tematici, 10 saloni tematici, 6 piazze d’eccellenza, si sono potute vedere macchine, utensili e attrezzature innovative. MECSPE è stata anche l’occasione per aprire confronti tra le aziende e il mondo delle associazioni e dell’università tramite convegni, seminari e corsi di formazione.

A Cremona il laboratorio della bioeconomia

L’Italia ospiterà il prossimo anno l’incontro del G7 e, anche in quell’occasione, verrà organizzata una riunione specifica sul tema dell’ambiente, per dare continuità sia al Protocollo di Parigi, sia al meeting di Toyama.

Mecspe: manifattura in crescita A MECSPE cresce la partecipazione di visitatori ed espositori. L’edizione 2016 di MECSPE, tenutasi a Parma dal 17 al 19 marzo, ha portato in fiera 1.592 espositori (+24% rispetto alla scorsa edizione) e 39.656 visitatori (+17%) dimostrando come il setto-

Nel corso di tre mostre-convegno, BioEnergy Italy, Green Chemistry Conference and Exhibition, e Food Waste Management Conference, sono state presentate le ricerche, i progetti, e le opportunità concrete della produzione di bioenergia, della chimica verde e del trattamento degli scarti agroindustriali. Durante i tre giorni di manifestazione sono stati organizzati congressi, workshop e seminari: una programmazione che ha visto la partecipazione di oltre 170 tra i più qualificati specialisti internazionali della bioeconomia, provenienti da diversi Paesi europei e non solo, tra cui Germania, Francia e Taiwan, e dai maggiori centri di ricerca e università italiane. Per gli imprenditori è stata una grande occasione per conoscere tutte le migliori innovazioni e le opportunità del settore, oltre che un’opportunità di aggiornamento professionale.

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NEWS Hanno collaborato all’evento realtà importanti come l’Istituto Italiano di Tecnologia, ENEA, CNR, IED, e altre istituzioni e associazioni che hanno contribuito a fornire una visione globale di come funziona il mondo della bioeconomia ma anche quali prospettive ci sono per il futuro. Soddisfatto per la buona riuscita dell’evento Antonio Piva, il presidente di CremonaFiere: “Con questa Manifestazione - ha dichiarato - abbiamo non solo creato l’ambiente ideale per presentare agli imprenditori tutte le opportunità del settore e ai tecnici gli ultimi aggiornamenti professionali, ma soprattutto abbiamo costruito un punto di incontro per avere spunti interessanti, sviluppare nuovi progetti, e allargare il proprio network professionale”. “Le tre mostre-convegno - ha aggiunto Piva - si sono ormai affermate come uno dei più importanti laboratori italiani della bioeconomia, e la partecipazione di così tante e qualificate realtà ci conferma che siamo sulla buona strada per conquistare la leadership nazionale in questo settore”.

Aumentano i pesticidi nelle acque italiane Emerge dal rapporto dell’Ispra, l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, un quadro critico per quanto riguarda il livello di contaminazione delle acque italiane. Secondo l’analisi relativa al biennio 2013-2014, nelle acque superficiali sono stati trovati pesticidi nel 63,9% dei casi e, per quanto riguarda le acque sotterranee, un terzo di queste risulta essere contaminato. Vi è un aumento notevole della presenza di fungicidi e insetticidi nelle acque analizzate ma risultano essere gli erbicidi quelli più presenti. Tra gli erbicidi, la sostanza che è stata rilevata maggiormente è il glifosato, oltre che il suo metabolita Ampa (acido aminometilfosforico), il diserbante più utilizzato al mondo, considerato dalla Iarc, l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro dell’Oms, potenzialmente nocivo per la salute. L’inquinamento delle falde acquifere e l’utilizzo in agricoltura di prodotti contenenti sostanze come bentazone, alaclor e terbutilazina comporta una contaminazione diretta per gli alimenti che vengo-

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no commercializzati. Un quadro critico quello che emerge dal Rapporto, poiché si tratta di una tipologia di inquinamento diffusa pressoché in tutta Italia, che causa danni ambientali per quanto riguarda la perdita della biodiversità, la riduzione della fertilità del terreno e l’accelerazione del processo di erosione del suolo. Una fotografia ancor più allarmante se si considera che il processo di ripristino delle condizioni naturali del suolo, dopo questo tipo di contaminazioni, risulta essere lungo e difficile.

Svolta ecologica per l’Emilia Romagna E’ stato approvato a maggio il nuovo Piano regionale per la gestione dei rifiuti in Emilia Romagna. La Regione punta all’azzeramento dello smaltimento dei rifiuti in discarica, al progressivo spegnimento degli impianti di incenerimento e a portare alla quota del 70% il riciclo di plastica, vetro, metalli, organico, legno e carta. L’obiettivo è quello di ridurre il numero di discariche entro il 2020, ottimizzando l’utilizzo degli impianti esistenti e chiudendo progressivamente quelli non più necessari. Con l’introduzione della tariffa puntuale i cittadini pagheranno in base a quanti rifiuti producono e non più in base al numero di componenti del nucleo famigliare o alle dimensioni della


abitazione. Verranno premiati i Comuni più virtuosi che ricicleranno di più e meglio, e anche le imprese green, quelle più rispettose dell’ambiente, che riceveranno incentivi e agevolazioni. I Comuni e i cittadini avranno quindi un ruolo centrale all’interno del progetto regionale: i Comuni dovranno gestire e controllare l’effettiva attuazione del Piano e ai cittadini verrà chiesto di collaborare attraverso scelte consapevoli e un consumo più attento, nell’ottica di ridurre la produzione di rifiuti.

I rifiuti diventano arte Un’opera d’arte particolare che trasforma gli scarti in qualcosa di più bello, in oggetti interessanti. L’artista britannico Stuart Haygarth ha percorso 500 miglia lungo la costa sud inglese per creare il suo lavoro; un lavoro di ricerca e di raccolta di oggetti abbandonati portati a riva dalla corrente. Li ha poi classificati per forma e colore, partendo dal bianco, passando attraverso il giallo, l’arancione, il rosso, il blu, fino ad arrivare al nero, creando delle composizioni e dando un senso estetico a ciò che prima era considerato come qualcosa di ormai inutile; un rifiuto. Il messaggio che l’artista vuole far passare tramite il progetto “Strand” è duplice: da una parte vuole raccontare un viaggio che parla della vita di persone sconosciute attraverso oggetti e frammenti dell’esistenza degli individui; dall’altra vuole dimostrare come tutto può avere un riutilizzo, una seconda vita, denunciando una società che inquina e spreca in modo sconsiderato. Un messaggio di riscatto dunque, comprensibile attraverso delle bellissime immagini.


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TANTI AUGURI REMTECH EXPO! LA 10a edizione DELL’EVENTO PER TRACCIARE LE PROSPETTIVE DI SVILUPPO LEGATE ALLE BONIFICHE E ALLA TUTELA DEL TERRITORIO di Daniela Modonesi*

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emTech Expo (Ferrara Fiere, 21-23 settembre) raggiunge quest’anno l’importante traguardo della decima edizione, al culmine di un percorso che ha portato l’evento di Ferrara Fiere Congressi a imporsi come punto di riferimento internazionale sui temi delle bonifiche, della tutela e della riqualificazione per il rilancio del territorio. “Le collaborazioni avviate con Confindustria, il Ministero dell’Ambiente, #italiasicura e la Commissione Europea – sottolinea Silvia Paparella, Project Manager di RemTech Expo – hanno dato vita a nuove sinergie, progetti e momenti di confronto, poi sfociati in altrettanti risultati concreti e misurabili. Basti pensare all’accordo recentemente siglato con il Commissario Straordinario per gli interventi urgenti di bonifica, ambientalizzazione e riqualificazione di Taranto, Vera Corbelli, per realizzare una piattaforma tecnologica e avviare campi prove dove le migliori tecnologie disponibili possano contribuire alla rigenerazione e allo sviluppo dell’area di crisi ambientale del capoluogo pugliese”. La RemTech Europe International Conference, in calendario il 22 settembre a Ferrara e promossa in partnership con la Commissione europea, consolida, poi, il prestigio sempre più internazionale della manifestazione, perché chiamerà a raccolta, per la prima volta intorno al tavolo delle bonifiche, amministrazioni, imprese, enti di controllo ed esperti da tutta Europa, allo scopo

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di condividere soluzioni e best practice sostenibili e replicabili, per riqualificare aree oggi fortemente compromesse e restituire porzioni di territorio ad usi produttivi. Profonda e articolata anche la sinergia tra RemTech e Confindustria: il 7 luglio, a Roma, si terrà il seminario sulla “Bonifica dei siti contaminati”, propedeutico agli “Stati Generali delle Bonifiche”, ai quali in settembre, alla Fiera di Ferrara, parteciperà il Ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti. In concomitanza con gli Stati Generali, organizzati insieme a Confindustria e patrocinati dal Ministero dell’Ambiente, sarà presentato in anteprima il primo position paper sulla remediation, di cui RemTech sta curando il capitolo sulle tecnologie. Con #italiasicura, la Struttura di missione di Palazzo Chigi contro il dissesto idrogeologico, RemTech ha organizzato a Roma, lo scorso 31 maggio, un workshop di formazione rivolto alle pubbliche amministrazioni sulle “Misure per la mitigazione del rischio idrogeologico”, in preparazione alla “Conferenza Nazionale sul Dissesto Idrogeologico 2.0”, che il 21 settembre, a Ferrara, segnerà uno step di avanzamento dei lavori iniziati lo scorso anno. In occasione del decennale di RemTech, che significativamente coincide con i dieci anni del Codice dell’ambiente, alcune autorevoli voci del settore intervengono per ricostruirne la nascita, delineare le prospettive di sviluppo ambientale, economico e

sociale legate alle bonifiche, tratteggiare il quadro giuridico in cui sono gestiti i siti contaminati e le aree dismesse, e focalizzare le recenti modifiche che riguardano il sistema portuale, tema caro a RemTech e strategico per l’Italia. *Ufficio stampa RemTech Expo


GIUSEPPE ROSSI, Presidente di Accredia, e LUCA SCANAVINI, Consiglio Nazionale dei Chimici RemTech Expo rappresenta oggi, in Italia, quanto di più eccellente e avanzato possa offrire il mercato delle bonifiche in termini di tecnologie, ricerca e comunità scientifica, confronto, crescita collettiva, sviluppo di occasioni di business per le imprese, risanamento del territorio e miglioramento delle condizioni di vita. Il territorio è una risorsa e lo sono anche i siti industriali storici, quasi sempre inquinati, che occupano vaste aree della penisola. La contaminazione del suolo è una delle principali problematiche ambientali in tutti i Paesi industrializzati, perché il terreno è un ecosistema in cui l’inquinamento può diffondersi, subire trasformazioni chimiche, fisiche o biologiche, trasmigrare nelle acque o in atmosfera e venire a contatto con l’uomo e le sue attività. Il D.Lgs. n. 22 del 5/2/1997, oltre a occuparsi principalmente di rifiuti, trattò per la prima volta anche la bonifica e il ripristino ambientale dei siti contaminati (art. 17). Successivamente il D.M. 471/99, entrato in vigore, dopo alcuni rinvii, alla fine di marzo 2001, fissò le procedure dettagliate per effettuare la caratterizzazione delle aree contaminate, definire i progetti di bonifica e le effettive attività di bonifica e ripristino. Emersero subito delle criticità nell’applicazione, evidenziate anche dalle imprese, che critiGiuseppe Rossi, Presidente di Accredia cavano i criteri adottati per determinare gli obiettivi finali di bonifica, contraddistinti da limiti tabellari rigidi e, in molti casi, più restrittivi di quelli indicati dalla normativa europea. Tra il 2001 e il 2005, nei poli industriali della chimica e soprattutto a Ferrara, in collaborazione con le imprese del Polo Chimico e con l’Università, si sviluppò un’intensa attività di convegni e tavole rotonde, per approfondire e interpretare le problematiche attinenti l’attività di bonifica dei suoli e della falda acquifera, e per valutare le migliori o più promettenti tecnologie di trattamento. Grazie anche al positivo atteggiamento delle autorità locali, il dibattito fu franco e aperto sulle modalità di procedere ai campionamenti, alle analisi e alle caratterizzazioni in genere, e la gestione del progetto di bonifica del Polo Chimico di Ferrara diventò un laboratorio di idee, di ricerca di soluzioni, di confronto e di crescita collettiva, sia tecnica che culturale. Parallelamente si sviluppò una forte attività legislativa per definire il Codice Ambientale, che fu approvato col D.Lgs. n. 152 dell’aprile 2006: le norme furono modificate, allineandosi alle procedure internazionali sulla messa in sicurezza, per impedire la propagazione della contaminazione al di fuori del sito inquinato (incluse le tecniche di isolamento del terreno), e sugli interventi di bonifica, per Luca Scanavini, Consiglio Nazionale dei Chimici eliminare le sorgenti di contaminazione, riducendo le concentrazioni dei contaminanti all’interno delle matrici ambientali al di sotto dei limiti stabiliti in base all’analisi di rischio e non più dai valori tabellari. In quel periodo, nacque l’idea di creare a Ferrara un appuntamento dedicato a questa tematica, che lasciava intravedere interessanti opportunità di sviluppo. Dai commenti critici a una generica fiera della Chimica, ormai superata perché troppo generalista, si arrivò, quindi, a ipotizzare una manifestazione settoriale molto specialistica, che diventasse un punto di incontro e di scambio, una fucina e un luogo di circolazione di idee e di proposte. E da questa ispirazione scaturì RemTech. Perché proprio a Ferrara? Per mettere a frutto l’esperienza maturata all’interno dello storico insediamento industriale ex Montedison. Inoltre, nel 2001 tutte le aziende, i sindacati, le autorità locali e regionali e l’allora Ministro dell’Industria avevano firmato l’accordo di programma sulla riqualificazione e compatibilità ambientale del Polo Chimico di Ferrara. L’accordo segnò la strada di una politica industriale che doveva partire dai controlli, dalle compatibilità e dall’impegno delle aziende a bonificare, aprendo un dialogo con la popolazione e con le istituzioni, e informandole dettagliatamente sull’impatto ambientale delle produzioni. Tutti elementi che hanno contribuito a catalizzare la nascita di RemTech. In occasione della prima edizione (settembre 2007), furono presentati lo stato delle bonifiche in Italia e il progetto preliminare di bonifica del Polo di Ferrara, e si parlò di “valore della bonifica” quale investimento per il futuro e di “rapporto di fiducia” tra industria e istituzioni al servizio del bene comune. A dieci anni di distanza, RemTech Expo coinvolge tutti i principali stakeholder – Governo, enti pubblici, associazioni, società private, università, centri di ricerca e professionisti – e ha visto aumentare progressivamente la partecipazione delle imprese di tecnologie e di servizi, dei visitatori specializzati, il numero dei convegni scientifici e dei relatori riconosciuti a livello nazionale e internazionale. E lo spazio di crescita per RemTech è ancora notevole, perché il tema della sostenibilità ambientale dello sviluppo costituisce uno dei principali nodi da affrontare nella prospettiva della ripresa economica. Il sistema industriale può contribuire al raggiungimento di questo obiettivo attraverso l’integrazione di produzioni di base, lo sviluppo di nuovi prodotti in un’ottica di rafforzamento delle filiere produttive e l’adozione di tecnologie volte a una maggiore compatibilità ambientale. Un percorso riformatore che necessita, comunque, di una corretta e diffusa informazione, per far crescere la consapevolezza delle potenzialità sottese alle politiche per lo sviluppo industriale sostenibile.

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LAURA D’APRILE, Dirigente della divisione “Bonifiche e Risanamento”, Direzione Generale Salvaguardia del Territorio e delle Risorse Idriche, Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare Il tema delle bonifiche è, tra i grandi temi ambientali, quello che più di ogni altro coinvolge aspetti di carattere tecnologico, economico e sociale. L’Italia è stata tra i primi Paesi europei a introdurre nel proprio ordinamento norme sulla bonifica dei siti contaminati, in assenza di un quadro comune europeo sul tema, anche se misure per la prevenzione della contaminazione del suolo e la riparazione del danno ambientale sono contenute in altre direttive comunitarie (cfr. Industrial Emission Directive 2010/75/EC, Environmental Liability Directive - 2004/35/EC). A distanza di quasi vent’anni dall’emanazione del primo regolamento tecnico in materia di bonifiche dei siti contaminati (D.M. 471/99) e di dieci anni dall’entrata in vigore del “Codice Ambientale” (D.Lgs. 152/06), che ha modificato le procedure del suddetto regolamento, il confronto tecnico avviato sia nelle sedi istituzionali che in quelle più “informali” – offerte in primis da RemTech, prima manifestazione interamente dedicata alle bonifiche dei siti contaminati – ha consentito di individuare le principali criticità nell’attuazione degli interventi a livello nazionale. Tali difficoltà possono essere così sintetizzate: a. criticità di individuazione dei soggetti responsabili che devono attuare gli interventi (soprattutto nel caso di contaminazioni “storiche”, risalenti alle attività industriali degli anni ’50-’60 o precedenti): le Province sono gli enti preposti per legge all’individuazione dei responsabili della contaminazione, laddove questi non si autodenuncino, ma solo in rari casi portano a termine le attività amministrative di competenza, a causa di carenza di risorse umane e finanziarie per concludere gli accertamenti, di un difficile contesto sociale, etc. I soggetti responsabili delle contaminazioni sono anche quelli dai quali lo Stato dovrebbe pretendere il risarcimento dei danni ambientali in termini di interventi di riparazione, misure di compensazione e, in ultimo, risarcimento monetario. Le difficoltà di individuazione di questi soggetti rendono anche le sanzioni (già basse) poco credibili; b. elevato numero di contenziosi: i soggetti responsabili spesso percepiscono l’attuazione degli interventi di bonifica necessari a eliminare i rischi sanitari e ambientali meramente come una passività economica e tendono a procrastinarne l’attuazione, utilizzando strumentalmente i ricorsi ai Tribunali Amministrativi Regionali e le richieste di sospensiva dei procedimenti. Un comportamento accentuato dalla crisi economica del settore industriale; c. scarsità di risorse finanziarie per l’attuazione degli interventi di competenza pubblica: ove il responsabile della contaminazione non sia individuabile o non provveda, gli interventi di bonifica devono essere attuati dagli enti pubblici (perlopiù Comuni o Regioni) con risorse pubbliche. In caso di indisponibilità di risorse, gli interventi non vengono attuati. Le risorse pubbliche ad oggi disponibili derivano prevalentemente da Fondi di Sviluppo e Coesione (FSC) comunitari, per i quali è stato stabilito un utilizzo dell’80% per il Sud Italia e del 20% per il Nord, mentre il livello di progettazione disponibile e l’utilizzo di tali risorse risponde a percentuali inverse; d. elevata conflittualità tra amministrazioni territoriali e/o tra amministrazioni territoriali e centrali: non di rado gli interventi non vengono attuati perché le amministrazioni territoriali non concordano sulla strategia di intervento

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ed esprimono pareri discordanti nelle conferenze di servizi convocate ai sensi della L. 241/90. In alcuni casi, il dissenso è di tipo “politico” e si manifesta tra amministrazioni territoriali e centrali. In tali situazioni, il procedimento si blocca; e. ipertrofia normativa e paralisi burocratica: nella convinzione di “semplificare” l’attuazione degli interventi, il legislatore è portato a emendare continuamente la normativa, con una conseguente stratificazione di regole spesso avulse da un quadro di insieme e non coerenti, che mettono in seria difficoltà gli operatori di settore. In tale quadro si registra anche un appesantimento “burocratico”, in quanto gli enti di controllo o applicano la norma secondo l’interpretazione più restrittiva possibile oppure, per quanto possono, evitano di applicarla, bloccando le attività autorizzative di competenza; f. diffidenza verso la Pubblica Amministrazione da parte dei cittadini e delle associazioni: a seguito dei recenti fatti di cronaca, che hanno portato alla luce gravi fenomeni di corruzione nella P.A., connessi proprio alla realizzazione di opere ambientali o di interventi di bonifica, la fiducia dei cittadini e delle associazioni è ai livelli minimi e anche le attività di controllo proprie delle Amministrazioni vengono messe in discussione, con grave rallentamento dei procedimenti amministrativi. Tale situazione è spesso attribuita alla scarsa trasparenza della P.A.; g. scarsa valutazione dei rischi sanitari e dei costi sociali connessi alla mancata bonifica: la popolazione ancora non avverte la mancata bonifica come un costo sociale o, comunque, non dà un valore immediato alle risorse danneggiate. Tale atteggiamento si riscontra anche, seppure in misura minore, per le conseguenze sanitarie. Tutte queste difficoltà non sono correlate, come alcuni esperti di settore sostengono, a una presunta arretratezza tecnologica o normativa dell’Italia rispetto ad altri Paesi europei, ma piuttosto a un’insufficiente comunicazione e informazione, nonché alla scarsa cooperazione tra amministrazioni. Per superarle, si ritiene che la P.A. possa utilizzare anche strumenti di gestione innovativi quali, ad esempio, quelli tipici della behavioural economics. Nello specifico: • l’utilizzo del nudging nella raccolta e pubblicazione di dati e informazioni sui siti contaminati: nell’ultimo anno e mezzo, anche sulla spinta delle normative comunitarie e nazionali in tema di divulgazione dei dati e delle informazioni ambientali, sono stati fatti grandi passi avanti in fatto di trasparenza, pubblicazione di dati e informazioni sulle bonifiche, specie per i Siti di Interesse Nazionale. Tuttavia, ciò è avvenuto senza un’architettura behavioural. L’implementazione e la sistematizzazione dei dati e delle informazioni disponibili, e la raccolta di nuovi dati secondo un frame consentirebbe: agli utenti/cittadini di acquisire consapevolezza delle problematiche (anche in termini di percezione del rischio); alle Amministrazioni di recuperare autorevolezza nei confronti di cittadini e associazioni; ai soggetti pubblici e privati impegnati in attività di bonifica di beneficiare di un effetto di “competizione”, che dovrebbe spingere a migliorare i propri comportamenti. Nonostante la normativa comunitaria e nazionale preveda la pubblicazione dei dati e delle informazioni ambientali, molte amministrazioni, soprattutto a livello territoriale e locale, ancora non li rendono disponibili. Peraltro, occorre rafforzare il concetto che non conta solo divulgare dati e informazioni, ma anche come essi vengono resi disponibili a fronte di una domanda diffusa di open data; • favorire l’introduzione di norme sociali di supporto all’applicazione normativa: poiché molti interventi sono effettuati da soggetti pubblici con risorse pubbliche, si potrebbe creare, a livello centrale, una banca dati aperta delle risorse assegnate, di quelle spese e dei risultati conseguiti, in modo tale che le amministrazioni locali siano stimolate a utilizzare al meglio le risorse e i fenomeni di free riding siano limitati. Il Ministero dell’Ambiente sta lavorando su questo; • introdurre le analisi comportamentali nella valutazione di impatto della normativa, che viene effettuata mediante gli strumenti dell’economia classica ed è avulsa da valutazioni di contesto. Nella maggior parte dei casi, essa serve solo a giustificare la necessità di un regolamento che comunque si vuole introdurre. Per questo, norme introdotte con spirito di “semplificazione” rimangono spesso inapplicate, per ragioni non riconducibili a schemi razionali. Si potrebbero, quindi, introdurre valutazioni sperimentali, anche attraverso la consultazione pubblica, per accertare l’effettiva necessità di una norma e i suoi possibili impatti reali; • introdurre sistemi di incentivazione degli interventi: nel campo delle bonifiche e del danno ambientale, le sanzioni sono molto basse (non comparabili ai costi di bonifica che il responsabile dovrebbe sostenere) e poco credibili (anche per la difficoltà di individuare il responsabile della contaminazione). Devono, perciò, essere introdotti dei sistemi di incentivazione che prevengano la contaminazione del suolo e delle acque sotterranee, essendo molto costosi gli interventi di riparazione dei danni che la P.A. dovrebbe sostenere in sostituzione del responsabile. Gli incentivi potrebbero essere volti anche a favorire la cooperazione tra amministrazioni, la cui carenza è una delle maggiori cause dei ritardi amministrativi nell’attuazione degli interventi. In tal senso potrebbero essere applicati sistemi di reversible rewards, pur tenendo conto della scarsità di risorse pubbliche (da anticipare come reward) in questo settore; • massimizzare l’efficacia dei controlli: gli interventi di “semplificazione” normativa effettuati dal 2012 a oggi sulla disciplina delle bonifiche si fondano su un sistema di controlli efficiente (riduzione degli step autorizzativi a fronte di un aumento delle attività di controllo diretto in campo). Il sistema dei controlli ambientali è oggi molto frammentato e poco efficiente, perché vi sono sovrapposizioni di competenze e scarsità di risorse umane e strumentali (basti pensare alla situazione di sottorganico di molte Agenzie Regionali per la Protezione dell’Ambiente rispetto ai compiti assegnati). Le evidenze sperimentali di applicazione della teoria dei giochi in un contesto reale potrebbero migliorare l’efficacia dei controlli. A tal proposito, si fa riferimento al bomb crater effect e all’echo effect riscontrati nella simulazione sperimentale del fenomeno dell’evasione fiscale: una concentrazione delle attività di controllo nelle fasi iniziali degli interventi dovrebbe produrre maggiori effetti positivi nel lungo termine rispetto a controlli randomizzati per l’intero periodo di attività. Si tratta di proposte di innovazione che saranno oggetto di discussione e approfondimento nell’ambito della prossima edizione di RemTech, che quest’anno festeggia, meritatamente, la sua decima edizione.

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PAOLO FERRANDINO, Segretario Generale di Assoporti Le attività portuali, come tutte le attività economiche (industriali, di servizio) che si svolgono sul territorio, “impattano” su di esso e su quelli circostanti in misura diversa a seconda del tipo di attività e delle caratteristiche dell’area direttamente impegnata per le attività portuali propriamente intese (il cosiddetto “ambito portuale”) e di quelle limitrofe. Queste considerazioni sono intuitive e legate alle dimensioni del porto, alla sua localizzazione – più o meno prossima ad aree antropizzate – e alla tipologia dei traffici che vi si svolgono. Varie motivazioni supportano queste considerazioni. Anzitutto i diversi sistemi giuridici e i conseguenti livelli di responsabilità dei soggetti che gestiscono un porto. Ma anche la natura del porto di nodo di una rete che non ha una dimensione nazionale. Anzi, di un nodo che, quanto più è grande e rilevante, tanto più rappresenta un punto di convergenza e di “concentramento” di direttrici e vettori internazionali, marittimi, stradali e ferroviari governati da regole non sempre omogenee. Inoltre, diverse attività produttive, per motivazioni tecniche ed economiche, sono storicamente e naturalmente sea-oriented, quindi localizzate a ridosso di porti o entro il perimetro portuale, se non addirittura esse stesse all’origine del concentramento di impianti di imbarco e sbarco di merce che hanno determinato la nascita del più complesso porto. Per quanto riguarda la realtà italiana, le caratteristiche del territorio (risorsa scarsa), la sua “delicatezza” (talvolta fragilità), la distribuzione costiera della popolazione, la ricchezza di risorse storiche e naturalistiche, la molteplicità dei porti (anch’essa risorsa), la tipologia prevalente di porti cittadini (meglio sarebbe dire “porticittà”) concorrono a delineare un quadro ampio e differenziato di possibili impatti ambientali di un porto inteso come ambito territoriale, nodo multimodale della rete logistica, sistema complesso di imprese che, salvo rare eccezioni, non ha regole ambientali specificamente riferite al porto stesso. Per questo motivo e per le diverse sensibilità territoriali e sociali, appare difficile tracciare una graduatoria di priorità ambientali portuali. Ciò è stato confermato dal lavoro svolto negli anni da ESPO (European Sea Ports Organization), di cui Assoporti è socio fondatore, riassunto nelle “Linee Guida Ambientali - Green Guide”, laddove si coglie come nell’arco di quindici anni, tra la metà degli anni ’90 e il primo decennio degli anni 2000, le priorità ambientali dei porti europei sono mutate e come se ne sono aggiunte di nuove. Tali diversità non possono, però, significare l’impossibilità di individuare un approccio condiviso dei porti alle tematiche ambientali, comunque affrontate da molte Autorità Portuali in relazione a specifiche esigenze e vocazioni locali. Riteniamo che tale approccio possa essere quello della sostenibilità, della costante considerazione della dimensione ambientale allorché si pianificano, si programmano e si gestiscono le diverse fasi della vita di un porto (dall’infrastrutturazione all’operatività), per contemperare un ragionevole equilibrio tra necessità, entrambi ineludibili, di sviluppo del porto e ambientali (non meramente conservative). In una simile direzione, come verrà tematizzato in settembre, a Ferrara, nel corso della “II Conferenza Nazionale dei Porti”, un ruolo essenziale possono svolgerlo – e già lo svolgono – le Autorità Portuali, enti di amministrazione dei porti, la cui azione sarà tanto più efficace quanto maggiore risulterà il coinvolgimento degli operatori in una cornice almeno nazionale di obiettivi e di indirizzi strategici, che oggi sembrano delinearsi nell’ambito del Piano Strategico Nazionale della Portualità e della Logistica. Anche di questo si parlerà in occasione della RemTech Europe International Conference, fissata per il 22 settembre alla Fiera di Ferrara.

ANA PAYA PEREZ, European Commission, Institute for Environment and Sustainability, Land Resources Management Fino ad oggi il suolo non è stato soggetto a regole complete e coerenti nell’ambito dell’Unione Europea. Il tema della protezione e dell’uso sostenibile del suolo è disseminato in varie politiche comunitarie, che contribuiscono in vari gradi soprattutto alla protezione indiretta del suolo, ad esempio attraverso le politiche ambientali su rifiuti, acqua, sostanze chimiche, prevenzione dell’inquinamento industriale, protezione della natura e della biodiversità, nitrati e pesticidi, fanghi di depurazione, strategia forestale, adattamento ai cambiamenti climatici e loro mitigazione, biocarburanti. Su scala nazionale, la situazione varia molto da uno Stato membro all’altro. Solo pochi dispongono di una legislazione specifica e completa sulla protezione del suolo, e molto spesso la legislazione nazionale è limitata agli aspetti della contaminazione e dell’impermeabilizzazione. Altri Stati si basano su disposizioni in materia di protezione del suolo nell’acquis giuridico ambientale. Sulla base di inventari nazionali non armonizzati, la contaminazione del suolo nei 33 Paesi dell’Area Economica Europea, più i 6 Paesi cooperanti, è stata recentemente stimata in 2,5 milioni di siti potenzialmente contaminati. Circa un terzo di un totale stimato in 342.000 siti contaminati è già stato identificato e circa il 15% di questi siti è stato risanato. La contaminazione del suolo è frequentemente percepita come un peso dai responsabili politici e decisionali, e come una minaccia dai cittadini. Per le autorità locali, lo sforzo di risanamento è spesso oneroso, sia in termini di costi che di complessità degli interventi. Tuttavia, l’Italia ha un numero di casi di successo che dimostra chiaramente come questa sfida possa essere affrontata con determinazione, a fianco dei partner locali e delle autorità cittadine, per offrire nuove opportunità di sviluppo. La bonifica dei siti contaminati offre chiaramente un potenziale significativo per la crescita verde e l’occupazione, che sono al centro dell’azione della Commissione Europea. Anche di questo si parlerà in occasione della RemTech Europe International Conference, fissata per il 22 settembre alla Fiera di Ferrara.

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COMING SOON… In anteprima le prime riflessioni sul libro sull’analisi di rischio scritto da Igor Villani edito da Dea edizioni in uscita nei prossimi mesi di Massimo Viarenghi

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gor Villani oltre ad essere un personaggio noto nel settore delle bonifiche, ed impegnato su numerosi fronti istituzionali e professionali, è un amico, ci conosciamo da tempo e sono stati numerosi i momenti di incontro professionali e le iniziative sia editoriali che convegnistiche che ci hanno portato a collaborare proficuamente in questi anni. In questo articolo vi voglio presentare in anteprima un progetto editoriale che Igor mi ha proposto ad inizio anno che riguarda la redazione di un libro sull’Analisi di Rischio, un libro di compendio alla materia sia per i professionisti che per gli Enti di controllo finalizzato a fornire una fonte interpretativa ad una materia che sovente rappresenta un empasse nei processi istruttori di bonifica. Il libro,

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ad oggi in progress, sarà pubblicato dalla nostra casa editrice la DEA edizioni e sarà in vendita tra pochi mesi, in queste pagine Igor Villani ci illustra le idee che stanno dietro a questo interessante progetto editoriale. Perché un libro sull’analisi di rischio? Le principali motivazioni che hanno portato all’idea del libro sono principalmente di carattere autoctono, nel senso che si tratta di una materia di assoluto interesse mondiale, oggi più che mai, e nel nostro Paese il concetto di rischio sito-specifico e l’analisi di rischio sanitario-ambientale sono entrate nel sistema tecnico-giuridico in maniera tanto repentina da portare con sé, oltre alle difficoltà applicative di uno strumento scientificamente avanzato e la complessità di inserirlo nel sistema amministrativo, una filosofia di gestione del territorio molto diversa da quella a cui eravamo abituati. Questo improvviso nuovo arrivo nel sistema paese ha colto impreparata la macchina governativa e amministrativa che, a dispetto degli anni medi necessari per costituire una prassi ed una giurisprudenza di supporto, aveva bisogno di indirizzi immediati. Certamente nella normale evoluzione di un Paese l’ingresso di novità gestionali è quasi all’ordine del giorno, ma l’analisi di rischio è una di quelle davvero ostiche da metabolizzare, difficili da apprendere in progress e richiedenti una formazione di base specifica abbastanza corposa, in sostanza ci vogliono gli specialisti. I tecnici e i funzionari pubblici si sono improvvisamente trovati davanti alla difficoltà di apprendere una materia

da specialisti in aggiunta al regime amministrativo ordinario e notoriamente con scarse risorse per avvalersi di esperti della materia, facendo conseguentemente passare molto tempo prima di acquisire l’abilità sufficiente a gestire correttamente un’analisi di rischio in un’istruttoria amministrativa. I testi sulla materia sono numerosi, puoi darci qualche anticipazione sui contenuti del tuo libro? Ad oggi sono passati diciassette anni dal D.M. 471/99 che, seppur in maniera marginale, aveva introdotto l’AdR nel sistema legislativo italiano, e sono trascorsi dieci anni dall’approvazione del testo unico ambientale, il D.Lgs. 152/06, che ha varato l’analisi di rischio in “comando” ai procedimenti di bonifica, quindi si potrebbe auspicare una certa maturità nella gestione dello strumento da parte del sistema nazionale, ma non è esattamente così. La macchina Paese è stata molto lenta ad assimilarne i meccanismi e soprattutto, come anticipato, troppo in difficoltà nell’approcciare la nuova filosofia di gestione territoriale, con la conseguenza che attualmente l’analisi di rischio è ancora fonte di grosse difficoltà se non addirittura di contenziosi nei procedimenti, causando ritardi, lungaggini e, in estremo, il fallimento dei processi di gestione territoriale. Qui torniamo all’idea del libro, questa empasse generale è perfettamente testimoniata dal fatto che la letteratura nazionale di settore sia incredibilmente scarsa, che la formazione sia affidata esclusivamente alla buona volontà di qualche accademico che allarga i mar-


gini dei programmi ordinari, e a rare iniziative di esperti del settore. Questo non sarebbe così strano se si trattasse di una delle numerose materie di nicchia che caratterizzano l’universo Ambiente, ma il punto è che l’AdR è camuffata ed erroneamente trattata da materia di nicchia ma non lo è affatto. Già la semplice osservazione che per fare una valutazione di rischio si passa attraverso chimica, geologia, ingegneria, tossicologia, biologia e urbanistica miscelate da modellistica e prove empiriche, con cui partire dai sistemi ambientali e finire a valutazioni di tipo sanitario, dovrebbe far sorgere il sospetto che non si tratti poi di una materia proprio così di dettaglio. La mia personale opinione è che, soprattutto nel sistema pubblico, ci si lascia troppo spesso andare alla conclusione che se una cosa è difficile e complicata allora è di nicchia, e che questa smania tutta politica della semplificazione sia spesso mal interpretata portando sulla strada sbagliata. Semplificare gli inutili artifici burocratici è fondamentale, ma non è possibile gestire problemi complessi con processi semplici, cosa che è al contrario garanzia di fallimento. Interessante questo concetto. Se ho capito bene l’importante non è solo semplificare un processo ma prima di tutto istruire correttamente gli attori a comprenderlo… Esattamente. Questo il libro vuole essere un tentativo di compendio della materia, un quadro allargato che possa rendere un’ottica multidisciplinare adeguata dell’analisi di rischio e soprattutto una fonte interpretativa per poterla calare correttamente nei complessi meandri del sistema amministrativo. Il percorso passerà dai primordi del concetto di sito specificità e alla sua associazione al principio di rischio, vedrà il suo iter di standardizzazione, la sua entrata nel sistema legislativo internazionale e nazionale, si curerà poi dell’evoluzione modellistica, della complessa applicazione ed associazione al mondo istruttorio-ammini-

IGOR VILLANI Igor Villani è funzionario della nuova agenzia ambientale dell’Emilia Romagna, l’ARPAE, nata dalla fusione dell’ARPA e dei rami ambientali delle ex Province, che vede la sperimentale unificazione del sistema dei controlli con quello autorizzativo, nello stile dell’agenzia americana EPA. Si occupa di siti contaminati e dell’orbita allargata inerente la contaminazione delle matrici ambientali con un background accademico e post laurea orientato sulle scienze ambientali e management delle problematiche ambientali, con specializzazione in analisi di rischio sanitario-ambientale. Ha partecipato a progetti europei e nazionali in tema di bonifica siti contaminati e riqualificazione, alla stesura di linee guida nazionali e locali, allo sviluppo del software Risknet, il software di analisi di rischio sanitario-ambientale più usato in Italia e di altri strumenti e documenti applicativi. Consapevole dell’importanza dell’attività di formazione tiene docenze per diverse università, corsi di specializzazione, con all’attivo oltre cinquanta interventi in convegni e seminari e oltre trenta pubblicazioni. E’ inoltre segretario della rete RECONNET (Rete italiana sulla bonifica dei siti contaminati), development manager di RemTech, la più grande fiera-congresso nazionale sulle bonifiche ambientali, e tra gli organizzatori dell’Alta scuola sulla Bonifica Siti Contaminati che si svolge a Ravenna nell’ambito della manifestazione “Fare i conti con l’ambiente”. strativo. Si passerà poi alle conseguenze sulla gestione territoriale, i legami con gli altri rami ambientali e le impalpabili relazioni con la pianificazione. Ovviamente parlando di Analisi di Rischio si dovrà parlare di software. Verranno analizzati i software esistenti e le loro caratteristiche, sia quelli presenti nello scenario italiano che i modelli utilizzati all’estero. Sarà chiaramente approfondita l’argomentazione sul Risknet, prodotto col supporto della rete RECONNET di cui sono segretario e al cui sviluppo ho personalmente partecipato. Soprattutto sarà importante chiarire bene la differenza tra gli applicativi e il perchè dei diversi comportamenti. Si toccherà anche l’avanzata frontiera del risk managment, fronte su cui si stanno spendendo molto i Paesi

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che applicano l’analisi di rischio da tanti anni e che ne hanno una gestione un po’ più matura, ad esempio gli Stati Uniti dove è nata. Non mancheranno valutazioni sugli sviluppi futuri, qualche possibile proposta e ovviamente una buona dose di casi studio, orientati per cercare di rendere chiari i tranelli dell’analisi di rischio e le sfumature che passano spesso inosservate ma che conducono a differenze valutative sostanziali. A chi è rivolto il libro? I possibili fruitori sono ad ampio spettro, da chi vuole avere un inquadramento generale della problematica, a chi necessita di indicazioni per l’applicazione specifica, ma anche come base per chi studia l’analisi di rischio a livello accademico e per supportare chi ha nuove idee di sviluppo.

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Ivory Crush Italia Grande successo di pubblico alla prima distruzione di avorio in Italia di Laura Veneri

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ono finiti in polvere, grazie a un frantoio a martelli della Impianti Industriali, 500 chili di avorio sottratto al mercato illegale nel corso del primo ‘Ivory Crush’ italiano organizzato da Ministero dell’Ambiente, Corpo Forestale dello Stato e dalla ‘Elephant Action League’, nella cornice del Circo Massimo di Roma. Dopo gli eventi a Times Square a New York e sotto la Torre Eiffel a Parigi, anche l’Italia ha aderito alla campagna internazionale di distruzione dell’avorio. Per la distruzione pubblica di avorio, Impianti Industriali di Dalmine (BG) ha fornito gratuitamente una macchina occupandosi delle spese di trasporto e di gestione. Ricordiamo che Impianti Industriali fornisce, anche a noleggio, impianti di vagliatura, impianti di frantumazione e nastri cingolati a marchio Powerscreen e Telestack. Il commercio internazionale di avorio, illegale dal 1989, è causa non solo del bracconaggio degli elefanti - ogni anno in Africa ne vengono massacrati per questo motivo oltre 35.000 - ma è anche una delle principali fonti di finanziamento delle criminalità organizzata, milizie e gruppi terroristici in Africa, con un enorme costo umano. Molti Paesi hanno simbolicamente di-

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strutto l’avorio confiscato negli anni durante cerimonie pubbliche nelle più importanti città del mondo e, in particolar modo, negli ultimi due anni questo “movimento” è diventato sempre più forte, nello sforzo di innescare cambiamenti a livello politico e di tenere alta l’attenzione dell’opinione pubblica e dei governi di tutto il mondo. I Paesi che hanno pubblicamente distrutto i propri stock di avorio (interamente o parzialmente) includono USA, Cina, Francia, Belgio, Filippine, Kenya, Gabon, Etiopia e ultimamente Sri Lanka e Malawi. “Il commercio illegale di avorio comporta un prezzo altissimo in termini di vite umane e rappresenta un’importante fonte di finanziamento per pericolosi gruppi criminali, milizie e organizzazione terroristiche come al-Shabaab o la LRA di Joseph Kony, oltre che favorire corruzione, riciclaggio di denaro e lo sfruttamento delle comunità locali” ha affermato Andrea Crosta, co-fondatore di EAL, Elephant Action League. EAL e il Ministero dell’Ambiente ripongono grande fiducia nell’#ItaliaIvoryCrush come mezzo per affermare che l’avorio non deve avere alcun valore commerciale e dare al mondo un chiaro e forte segnale: l’I-

talia attraverso l’azione costante del Corpo forestale dello Stato, continuerà a contrastare attivamente il traffico illegale di avorio, impegnandosi a difendere gli elefanti dall’estinzione e le comunità locali africane dallo sfruttamento di gruppi criminali e trafficanti di morte. Il Ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti ha spiegato: “Il valore di questa iniziativa è innanzitutto nel suo messaggio culturale: vogliamo accendere i riflettori sui numeri spaventosi e sulle pratiche barbare che caratterizzano il traffico illecito di avorio nel mondo. Di fronte a un fenomeno di questa portata, che mette a rischio la specie degli elefanti e foraggia le reti criminali, l’azione dell’Europa e dell’Italia sarà quanto mai determinata”. Così, anche Cesare Patrone, Capo del Corpo forestale dello Stato ha ricordato come: “da anni il Corpo forestale dello Stato si spende con impegno e competenza nel contrasto ai traffici di specie protette, anche utilizzando i beni confiscati in scuole e musei per veicolare il messaggio della Convenzione di Washington (CITES). L’iniziativa di distruggere una quantità rappresentativa di avorio, confiscato proprio grazie all’attività di polizia, assurge, tra l’altro, a simbolo della più ampia lotta


al bracconaggio, che vede tutte le autorità di enforcement della CITES collaborare insieme verso un unico comune obiettivo: fermare il wildlife crime”. “Siamo molto orgogliosi di aver ottenuto il sostegno del Governo italiano per questa iniziativa in cui è stata distrutta una quantità simbolica di avorio confiscato”, ha detto Gilda Moratti, co-fondatrice di EAL insieme ad Andrea Crosta e Francesco Rocca “il

nostro impegno e il valore del nostro progetto sono testimoniati dal sostegno diretto di istituzioni nazionali che credono nella causa e ne rinnovano il vigore”. “Ogni giorno almeno un centinaio di elefanti sono massacrati in Africa a causa del traffico d’avorio e centinaia di persone l’anno vengono uccise o gravemente ferite nell’intento di difendere o ammazzare un elefante”, ha dichiarato ancora Andrea Crosta

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“lasciando dietro di loro orfani, vedove e ancora più povertà”. All’inizio del XIX secolo, in Africa vivevano circa venticinque milioni di elefanti. All’inizio del XX secolo ne erano rimasti già solo cinque milioni. Oggi si stima che, in tutto il continente africano, rimangano circa 350.000 elefanti e, con circa 35.000 elefanti uccisi ogni anno, la loro fine è purtroppo vicina. Fotografie © Elephant Action League

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Aumenta ancora il riciclo degli imballaggi in acciaio Il riciclo dell’acciaio raggiunge nel 2015 il 73%. E gli altri materiali? Il trend è positivo per tutti di Maeva Brunero Bronzin

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resce ancora la quantità di imballaggi in acciaio immessi al consumo in Italia (+2,3%), e migliorano i tassi di raccolta (+3,2%) e di riciclo (+3,5%). Dalle scatolette ai barattoli per alimenti, dalle bombolette aerosol ai grandi fusti industriali, fino ai tappi corona e alle lattine, i contenitori in acciaio sono sempre più diffusi e amici dell’ambiente: nel 2015 in Italia è stato riciclato il 73,4% dell’immesso al consumo per un totale di 347.687 tonnellate, sufficienti per realizzare quattro copie del Golden Gate, il celebre ponte in acciaio di San Francisco. I dati sono stati resi noti da RICREA, il consorzio nazionale senza scopo di lucro per la raccolta e il riciclo degli imballaggi in acciaio, nel corso dell’assemblea annuale. “I risultati ottenuti - commenta Maurizio Amadei, presidente di RICREA che quest’anno conclude il secondo mandato - sono molto positivi, e confermano la validità degli sforzi compiuti in questi anni per promuovere e agevolare la raccolta, che è lo strumento con cui si realizza il riciclo degli imballaggi in acciaio. A cominciare dal supporto ai Comuni per diffondere a livello locale una corretta educazione ambientale”. Una delle attività principali di RICREA è proprio la promozione della raccolta differenziata degli imballaggi in acciaio, attraverso la stipula delle convenzioni con i Comuni sulla base dell’accordo quadro ANCI-CONAI, lo strumento attraverso il quale il sistema consortile garantisce ai Comuni italiani la copertura dei maggiori oneri sostenuti per fare le raccolte

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differenziate dei rifiuti di imballaggi. “Il 2014 ha visto il rinnovo dell’accordo quadro e dei vari allegati tecnici, ma è stato il 2015 l’anno in cui si è entrati nel merito dei rinnovi delle convenzioni e delle deleghe rilasciate ai gestori o soggetti terzi” spiega Amadei. “Come Consorzio abbiamo intensificato i nostri sforzi, sia dal punto di vista economico che per quanto riguarda le campagne di comunicazione, con l’obiettivo di migliorare i risultati di raccolta, soprattutto nel Centro e Sud Italia. Due scommesse in questo senso arrivano da Catania e Bari, dove si sta introducendo un nuovo modello di raccolta differenziata. Ed è in questa direzione che continueremo a lavorare nei prossimi anni”. Grazie all’attenzione dedicata allo sviluppo della copertura territoriale attraverso le convenzioni con RICREA, nel 2015 sono stati raggiunti oltre 48,8 milioni di abitanti pari all’80,3% della popolazione italiana, con un aumento di un punto percentuale rispetto all’anno precedente. Ma se la popolazione servita al Nord si attesta al 90%, al Centro la percentuale scende all’80% e al Sud è pari al 73%. Delle 127.899 tonnellate raccolte grazie alle convenzioni ANCI-CONAI, il 66% proviene dal Nord, il 13% dal Centro e il 21% dal Sud Italia. Sulla base dei quantitativi dichiarati dalle aziende produttrici ed utilizzatrici, il dato di immesso al consumo relativo agli imballaggi in acciaio indicato da CONAI per il 2015 è pari a 473.840 tonnellate, in aumento del 2,3% rispet-

to al consuntivo 2014. Una conferma dell’inversione di tendenza evidenziata nell’ultimo biennio, che ha portato a riguadagnare parte dei volumi persi negli anni precedenti. Inoltre, nel corso del 2015 è entrata in vigore la riduzione del Contributo Ambientale CONAI, che per gli imballaggi in acciaio è passato da 26 a 13 Euro/ ton: un segnale positivo per le imprese produttrici e utilizzatrici in un contesto economico difficile come quello attuale. Le tonnellate di rifiuti d’imballaggio raccolte nel 2015 sono state 410.085, pari al peso di circa 5.118 locomotive ferroviarie. La quota pro-capite di imballaggi in acciaio raccolti in un anno è stata in media di 3,82 kg per abitante. “L’acciaio è il materiale più riciclato in Europa: è facile da differenziare e viene riciclato all’infinito senza perdere le proprie intrinseche qualità - conclude Amadei -. Grazie alla separazione magnetica, gli imballaggi in acciaio possono essere recuperati anche dalla raccolta indifferenziata: stiamo lavorando con i Comuni per migliorare la percentuale di recupero anche dall’indifferenziata, evitando così che queste risorse non vadano perdute. Tutto l’acciaio riciclato dagli imballaggi può tornare infatti a nuova vita, trasformato ad esempio in binari, travi, chiavi inglesi, telai di biciclette, chiodi, bulloni”. Grazie alle 347.687 tonnellate di acciaio recuperato dagli imballaggi in Italia nel 2015 si è ottenuto un risparmio diretto di 660.605 tonnellate di minerali di ferro e di 208.612 tonnellate di carbone, oltre che di 622.359 tonnellate di CO2.


LEGNO

RIFIUTI TECNOLOGICI

Su oltre 2 milioni 672 mila tonnellate di imballaggi di legno immessi al consumo, in Italia oltre 1 milione 715 mila tonnellate di rifiuti sono stati recuperati e destinati prevalentemente al riciclo. Si tratta del 64% dell’immesso al consumo che si trasforma in pannello truciolare, semilavorato per l’industria del mobile, un vero ‘nutrimento’ per il comparto dell’arredo nazionale, numero uno nel mondo per fatturato e stile. I dati positivi dipendono anche da un potenziamento dell’intero sistema Rilegno capillarmente diffuso su tutto il territorio nazionale, con oltre 700 convenzioni sottoscritte con operatori privati, comuni, aggregazioni di comuni e gestori ambientali. Ogni anno il Consorzio Rilegno investe circa 20 milioni di euro per co-finanziare le attività di raccolta dei Comuni, di lavorazione delle piattaforme e di trasporto dei rifiuti di legno. Due milioni di euro sono stati erogati a favore delle raccolte differenziate in tutta Italia, 8 per incentivare l’attività delle piattaforme e oltre 10 milioni per il sostegno ai trasporti dei rifiuti di legno verso le industrie del riciclo a pannelli concentrate nella Pianura padana. Le buone pratiche di Rilegno nutrono la green economy garantendo il riciclo dei rifiuti da imballaggio di legno (pallet, cassette per l’ortofrutta, casse e gabbie industriali) e, grazie all’accordo sottoscritto con l’Anci (Associazione Nazionale Comuni Italiani), anche di altri rifiuti legnosi che provengono dal circuito domestico. Rilegno attraverso le sue convenzioni garantisce il ritiro dei rifiuti di legno in 4.272 Comuni italiani per un numero di abitanti serviti pari a 38,5 milioni ovvero il 65% dell’intera popolazione.

Oltre 146 milioni di chili di rifiuti tecnologici raccolti nel 2015. Una montagna di smartphone, tablet, elettrodomestici e batterie che, vittime dell’usura o dell’incessante innovazione tecnologica, sono stati gettati e successivamente trasformati in nuove materie prime. Sono i dati di Cobat – Consorzio Nazionale Raccolta e Riciclo, che ha presentato a Roma il Rapporto di attività 2015. Cobat si conferma il Sistema d’eccellenza in Italia nella raccolta e riciclo di pile e accumulatori esausti, con il 53% dell’immesso al consumo nel settore degli accumulatori industriali e per veicoli (più di 126 milioni di kg) e il 29% in quello delle pile e degli accumulatori portatili (1 milione 150 mila kg). Il Molise è la Regione che registra il maggiore incremento dei quantitativi di raccolta (+912,2%), mentre in termini assoluti è la Lombardia, seguita da Emilia Romagna e Campania, a raggiungere i migliori risultati con oltre 18 milioni. Nel 2015, i 1.176 punti di raccolta in tutta Italia, cresciuti del 34% rispetto al 2014, hanno generato una raccolta di circa 19 milioni di kg di RAEE (+151% sull’anno precedente). Gli incrementi più significativi si sono avuti nei Raggruppamenti R2 (grandi bianchi) e R4 (piccoli elettrodomestici). Il maggiore quantitativo raccolto appartiene al Raggruppamento R3 (TV e monitor) con più di 11 milioni e mezzo di kg. Cobat ha raccolto inoltre circa 56 mila kg di moduli fotovoltaici giunti a fine vita.

PLASTICA

ALLUMINIO

Nel 2015 sono state raccolte circa 900.000 ton di imballaggi in plastica, 15,1 kg per abitante all’anno (erano 13,9 nel 2014), un primato notevole dovuto alla crescita del servizio al Sud e all’aumento avvenuto nelle zone “consolidate” (come il Veneto, passato da 21 a 23 kg circa procapite). Grazie all’innovazione tecnologica, oltre alla raccolta differenziata, cresce notevolmente anche il riciclo: nel 2015 sono state riciclate 540.000 ton di rifiuti di imballaggio in plastica, mentre solo lo 0,8% del materiale raccolto è stato avviato a discarica dove, grazie al recupero della materia, si è evitato di immettere 29 milioni di metri cubi di rifiuti. Grazie al riciclo, nel 2015 sono stati risparmiati oltre 9.500 GWh di energia. La raccolta e il riciclaggio degli imballaggi in plastica rappresentano quindi una nuova ma già consolidata frontiera industriale, in grado di aumentare posti di lavoro e contribuire a uno sviluppo tecnologico innovativo e pulito, a vantaggio dell’ambiente. Giorgio Quagliuolo, presidente Corepla, ha commentato: “Contiamo di raggiungere il milione di tonnellate raccolte nel 2017. E se guardiamo il dato del Sud, +14% nel 2015, possiamo veramente essere orgogliosi di questi numeri e di un sistema che ha scelto, tra i primi in Europa, di estendere il riciclo a tutti gli imballaggi in plastica. Perché operando in una logica no profit, Corepla non si è fermata al riciclo degli imballaggi di maggior valore, ma negli anni ha lavorato anche su altre tipologie di imballaggi che sul piano strettamente economico, molti Paesi europei non riciclano, avviandoli a recupero energetico o discarica. Tale scelta ci ha permesso di sperimentare la selezione di nuove tipologie di imballaggi arrivando a creare un’importante filiera del riciclo ad elevato tasso di automazione, che crea nuovi posti di lavoro, divenuta oggi eccellenza a livello europeo. Infine un altro aspetto che ci rende protagonisti nella creazione di un’economia circolare all’interno dell’Unione Europea: Corepla ha scelto di fornire il suo materiale selezionato solo ad aziende riciclatrici in territorio europeo, sottoposte ad audit e certificazione europea Eucertplast”.

Il 2015 è stato un anno positivo, in tendenza con gli ultimi anni. Un risultato reso possibile grazie alla collaborazione dei cittadini e agli accordi stipulati fra CiAl e gli enti locali di riferimento. Ad oggi, sono infatti 6.607 i Comuni italiani nei quali è attiva la raccolta differenziata degli imballaggi in alluminio (l’82% del totale) con il coinvolgimento di circa 52,6 milioni di abitanti (l’88,5% della popolazione italiana). I trend confermano l’Italia al primo posto in Europa con oltre 895 mila tonnellate di rottami riciclati (considerando non soltanto gli imballaggi). Il recupero totale degli imballaggi in alluminio in Italia (quota di riciclo + quota di imballaggi avviati a recupero energetico) è stato di 50.200 tonnellate, pari al 75,5% dell’immesso nel mercato: • riciclo: 46.500 tonnellate di imballaggi in alluminio, pari al 69,9% del mercato; • recupero energetico: 3.700 tonnellate (quota di imballaggio sottile che va al termovalorizzatore). Grazie al riciclo di 46.500 tonnellate di imballaggi in alluminio sono state evitate emissioni serra pari a 345 mila tonnellate di CO2 e risparmiata energia per oltre 148 mila tonnellate equivalenti petrolio.

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A T T U A L I TÀ

Distretto green delle Valli del Taro e del Ceno: un’opportunità per un’area montana SI PARTE DALLA GESTIONE DEL SERVIZIO IDRICO INTEGRATO PER ARRIVARE ALLA CREAZIONE DI UNA GREeN COMMUNITY di Maria Beatrice Celino

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ontagna 2000 è la società che gestisce il servizio idrico integrato di un vasto territorio che abbraccia le valli del Taro e del Ceno in Provincia di Parma. Si occupa della captazione, potabilizzazione e della distribuzione di acqua potabile, oltre che della fognatura e della depurazione delle acque nei Comuni soci. È una società in house che svolge servizi per il territorio in cui opera e collabora per sviluppare opportunità di lavoro finalizzate all’aumento della qualità del servizio per gli utenti serviti, che nel 2015 sono stati oltre 27.000. Emilio Guidetti, direttore di Montagna 2000 S.p.a. dallo scorso anno, sta lavorando per dare un nuovo impulso all’azienda e guidarla verso i valori della green economy. Quali sono le criticità e le possibilità che si possono sviluppare nelle aree montane? Gli ultimi anni sono stati contrassegnati da una forte crisi economica nel territo-

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rio di Montagna 2000 con una tendenza allo spopolamento dell’area a seguito della chiusura delle attività economiche e una conseguente migrazione verso la città. Recentemente, però, si è tornato ad investire ed alcuni imprenditori hanno creduto nel territorio inaugurando un nuovo polo ceramico e uno stabilimento di riciclaggio di pneumatici fuori uso che sicuramente potranno portare beneficio

al territorio. Io credo che la montagna sia naturalmente dotata di punti di forza che debbono essere maggiormente valorizzati. Le risorse naturali e la possibilità di avere acqua, legna e vento è da valutare in un’ottica di investimenti sulle energie rinnovabili e di “sfruttamento” di queste opportunità come sviluppo di business. Montagna 2000, ad esempio, intende realizzare una piccola centrale idroelettrica

Cerimonia di donazione di una cisterna per il trasporto dell’acqua potabile ed antincendio boschivo da parte di Montagna 2000 S.p.A. al Gruppo di Protezione Civile di Borgotaro


su un tratto del proprio acquedotto per produrre energia rinnovabile e sta lavorando anche sullo sfruttamento delle biomasse nonché su piccoli impianti fotovoltaici che possano consentire di ridurre la spesa energetica e far funzionare i propri impianti con energia verde. Orientarsi sulle rinnovabili significa anche avere tariffe più competitive… I nostri impianti sono alimentati tutti con energia elettrica proveniente da fonti energetiche rinnovabili. Abbiamo infatti da poco attivato un contratto con un fornitore di energia che permetterà una riduzione sulla tariffa di

fornitura cogliendo i risparmi generati dall’attuale prezzo dell’energia e consentirà, compreso nel prezzo, di effettuare un audit energetico specifico sui principali impianti della società al fine di individuare azioni di ulteriore contenimento della spesa energetica. La scelta di orientarsi verso fonti alternative di energia si inserisce nella volontà di cogliere le disposizioni delineate nella Legge 221/15 (ex collegato ambientale) che promuove un nuovo modello di sviluppo basato sui principi di sostenibilità ambientale anche attraverso misure di semplificazione e incentivi diretti a premiare comportamenti virtuosi.

Quali sono i settori per i quali le aree di montagna possono offrire un apporto importante alla green economy? Gli apporti maggiori da parte del sistema montano alla green economy possono derivare da progetti di distretto territoriale. Dall’individuazione di macro aree che vadano al di fuori del semplice territorio comunale, alla scrittura di progetti all’interno dei quali ogni Comune segua un aspetto specifico e nell’insieme il distretto diventi di fatto una green community di pregio attrattiva per un turismo verde qualificato tipico del Nord Europa ma in fase di sviluppo anche in Italia.


T H E

B I G

EY E

Dall’acciaio all’energia solare A Buffalo, nello stato di New York, dalle fondazioni di una vecchia acciaieria dismessa sorgerà il più grande stabilimento per la produzione di paNnelli solari degli Stati Uniti di Bruno Vanzi

I

l nuovo stabilimento SolarCity per la produzione di pannelli solari, in costruzione a Buffalo (Stato di New York) nella ex area industriale di Riverbend, una volta terminato sarà il più grande degli Stati Uniti. Il progetto - una delle ultime iniziative di Elon Musk, fondatore di PayPal, SpaceX e Tesla - è di particolare importanza per la città, perché è strettamente legato al suo rilancio economico e fa parte di un più ampio piano definito “Buffalo billion dollar initiative”, che intende portare nella zona industriale dismessa aziende hightech di vario tipo. Il nuovo polo industriale, che con gli spazi accessori occuperà un’area complessiva di ben 29,4 ettari su cui prima sorgeva un’acciaieria, produrrà ogni anno pannelli solari di ultima generazione in quantità sufficiente per generare un Gigawatt, e sarà quindi il più esteso del suo genere nel mondo occidentale. Una volta avviato a pieno regime, il moderno stabilimento occuperà più di duemila persone e altre mille nell’indotto. I lavori per la riconversione del sito e la costruzione delle strutture sono stati assegnati a LPCiminelli, importante impresa di Buffalo che opera in tutta la East Coast.

Sorprese “underground”

L’acciaieria Republic Steel, rimasta in funzione per oltre settant’anni, era stata progressivamente smantellata a partire dagli anni settanta, fino a quando, negli anni ottanta, fu chiusa in modo definitivo; successivamente tutte le strutture in elevazione furono demolite, lasciando l’area nelle condizioni di brownfield, cioè non

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ancora pronta per un cambio di destinazione d’uso. Nel 2007 il terreno era stato finalmente bonificato, ma non era sgombro e pronto alla costruzione. Quando è stato messo a punto il progetto SolarCity è infatti risultato evidente che si sarebbe resa necessaria la rimozione delle strutture rimaste interrate negli oltre 93.000 metri quadrati occupati dall’impronta di pianta dei nuovi edifici, e di quelle che si trovavano al di sotto di tutta l’area interessata ai lavori per la realizzazione dell’ampia rete di sotto servizi, delle zone a verde e di parcheggio. Si trattava infatti di rimuovere spesse platee di fondazione, muri di sostegno e strutture miste di acciaio e cemento di cui non si conosceva completamente la posizione e l’esistenza. Un intervento che non avrebbe potuto certo essere eseguito esclusivamente con l’impiego di escavatori dotati di sola benna, ma che avrebbe richiesto l’impiego di martelli idraulici in grado di demolire strutture che si trovavano anche a due o tre metri al di sotto del piano campagna. Quello che inizialmente era dunque apparso come un passaggio necessario, ma secondario rispetto alla vera e propria costruzione dei nuovi edifici, si è presto dimostrato un aspetto centrale del cantiere. A maggio 2015, dopo un anno di lavoro, erano infatti stati demoliti e rimossi circa 25.000 metri cubi di calcestruzzo, cui si devono inoltre aggiungere circa 3.000 tonnellate di materiali ferrosi di varia natura (oltre alle armature annegate nei vari getti di calcestruzzo sono stati infatti asportati dal terreno elementi di vari impianti, vecchi carrelli,

rotaie, loppa d’alto forno e altri scarti di lavorazione).

Indeco campione di energia

Fin dalla fase progettuale era apparso chiaro che la rimozione delle strutture ancora presenti nel terreno sarebbe stato un intervento necessario per permettere la costruzione del nuovo stabilimento, ma come già accennato, solo una volta iniziati i lavori, i tecnici del LPCiminelli hanno realizzato a pieno come questa fase fosse di fatto più complicata ed estesa di quanto previsto. Essendo stata attiva per decenni, l’acciaieria, nel tempo, era stata soggetta a una serie di modifiche e ampliamenti che era impossibile mappare con esattezza. L’individuazione preventiva era inoltre resa ancora più difficile dal fatto che tutte le strutture in elevazione erano già state demolite quasi trent’anni prima dell’inizio dei lavori e quindi non esistevano riferimenti visivi sufficientemente estesi ed evidenti per individuare con esattezza la presenza di elementi in cemento armato quali appunto le fondazioni, le pavimentazioni e i rinforzi strutturali necessari per il sostegno dei pesanti impianti dell’acciaieria. Per la demolizione LPCiminelli ha utilizzato quattro martelli Indeco (un HP 8000, due HP 13001 e un HP 16000). Le attrezzature sono state impiegate in modo esteso, sia per la demolizione necessaria all’asportazione dei vari elementi in cemento armato e dei getti che occupavano le aree dove dovevano essere realizzate le nuove fondazioni, sia per gli scavi e le trincee necessari al passaggio dell’ampia rete di sotto servizi. Il lavoro si è dimostrato molto impegnativo, perché,


in quasi sei mesi, i martelli sono stati impiegati in modo intenso, dimostrandosi produttivi e affidabili, nonostante le condizioni operative si siano dimostrate difficili e, a volte davvero proibitive. Si è trattato infatti di rimuovere un calcestruzzo di notevole durezza che in alcuni casi si è dimostrata superiore ai 70 MPa (70 KN/ m² o 10.000 Psi) spesso gettato con armature di diametro 36 o 34 (cioè 12 e 10 in misura americana). In non pochi casi nel getto sono state rinvenute anche vere e proprie travi e altri tipi di armature in ferro che hanno richiesto un lavoro molto intenso per essere rimosse. A complicare ulteriormente l’operazione si è poi aggiunto il fatto che lo scorso inverno a Buffalo (una delle città più fredde degli Stati Uniti) per giorni si è arrivati a toccare temperature al di sotto di 25 gradi centigradi sotto zero, con il conseguente congelamento del terreno; una condizione che spesso ha richiesto l’impiego del martello anche per poter raggiungere e scoprire le strutture in calcestruzzo nascoste. Una volta terminati tutti gli scavi si stima che dal sito dove sorgerà il nuovo stabilimento SolarCity saranno demoliti ed asportati oltre 30.000 metri cubi di calcestruzzo. Così ha commentato Keegan Lachut, direttore di cantiere dell’impresa LPCiminelli: “Il lavoro di demolizione è stato davvero una sfida, sia per la quantità di materiale che abbiamo rimosso dal terreno, sia perché non sapevamo davvero cosa aspettarci, man mano che l’operazione proseguiva. Tutti i martelli Indeco hanno dato ottime prestazioni, ma in certe situazioni il più risolutivo è stato indubbiamente l’HP 16000; non

credo di aver mai visto un martello con quelle prestazioni. Con il senno di poi se avessimo intuito da subito le difficoltà e le reali capacità dell’HP 16000 ne avremmo noleggiati cinque al posto degli altri modelli. Come dicevo, questi hanno comunque dato ottime produzioni, ma visto l’impiego gravoso hanno ovviamente richiesto tempi di lavoro più lunghi, specie nelle situazioni più difficili”. I martelli Indeco, e buona parte delle macchine impiegate dall’impresa, sono state noleggiate da Anderson Equipment, una delle più importanti realtà distributive di macchine e attrezzature della East Coast, con 21 sedi dalla West Virginia fino al Maine. Anderson Equipment, oltre ad essere distributore dei prodotti Indeco, possiede una flotta di noleggio di ben 70 martelli, dal piccolo HP 350 all’HP

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16000. Nella filiale di Buffalo abbiamo incontrato il responsabile della divisone noleggio Rod Dabolt: “Credo che Indeco oggi offra fra i martelli più affidabili e produttivi disponibili sul mercato; Indeco è inoltre l’unico produttore ad avere nella propria gamma martelli quali l’HP 16000 e l’HP 25000; veri e propri colossi che, come nel caso dell’HP 16000 utilizzato nel cantiere di Riverbend, possono davvero fare la differenza nelle condizioni di lavoro più difficili. Come responsabile della flotta noleggio di questa filiale ritengo che i martelli Indeco offrano il doppio vantaggio di avere una gamma molto estesa e di accoppiarsi senza problemi agli escavatori Komatsu da noi distribuiti. Altri aspetti vincenti sono senz’altro la longevità e la costruzione modulare che permette una facile manutenzione”.

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F A BB R I C A

DE L L E

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Gli sviluppi delle fuel cell La tecnologia innovativa delle celle a combustibile ad ossidi solidi è tra le più efficienti per la conversione di miscele combustibili in energia di Laura Veneri

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e celle a combustione sono dispositivi elettrochimici che permettono di ottenere elettricità da gas combustibili, tipicamente utilizzando una combinazione di idrogeno e ossigeno. Il tutto avviene senza alcun processo di combustione “classica”. Le fuel cell ad ossidi solidi possono usare direttamente metano (o biometano) nel loro processo di funzionamento. Le SOFC (solid oxide fuel

cell) si prestano in modo particolare ad applicazioni di cogenerazione, funzionando con un processo elettrochimico. Le pile a combustibile possono essere utilizzate anche per produrre calore per usi residenziali (riscaldamento e acqua calda sanitaria). Solidpower è un’azienda trentina che produce fuel cell ed è un gioiello di avanguardia tecnologica, tutta made in Italy. L’azienda produce pile a combustibile caratterizzate dall’elettrolita

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usato: in questo caso le SOFC impiegano un elettrolita a ossido solido (zirconia drogata con ossido d’ittrio). Questa tipologia di celle opera a temperatura molto più alta di quelle polimeriche. Gli ioni d’ossigeno vengono trasferiti attraverso un materiale elettrolita solido (un ossido) ad alta temperatura per reagire con gas combustibile sull’anodo. Alcune sperimentazioni delle fuel cell in ambito rifiuti sono state il progetto

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F A BB R I C A

D EL L E

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Vega e il progetto Biowaste for Sofcs. Il progetto Vega è stato sviluppato da Solidpower nel biennio 2010-2012 in collaborazione con Fondazione Edmund Mach – Istituto Agrario di San Michele all’Adige. Il nome assegnato al progetto ne descrive l’obiettivo stes-

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so: valorizzazione energetica di biogas da digestione anaerobica tramite fuel cells. Lo scopo era quello di alimentare un apparecchio sperimentale di piccola taglia a celle a combustibile a ossidi solidi (SOFC) con biogas ottenuto dalla digestione anaerobica a

secco di biomasse fermentescibili, per poter testare le potenzialità e le possibili problematiche di questo tipo di alimentazione per le SOFC, in un’ottica di ricerca e miglioramento. Per la realizzazione del progetto è stato utilizzato un digestore anaerobico (messo a disposizione da F.E.M.) ed è stato creato un impianto di trattamento e filtraggio per la depurazione del biogas da tracce (anche minime, si parla di una su milione) di sostanze potenzialmente velenose per una cella a combustibile, quali per esempio, i mercaptani, fortemente inquinanti anche a livello odorifico. Come materia fermentescibile è stata principalmente impiegata la FORSU. Al fine di poter garantire un’alimentazione costante e regolare di biogas ed evitare fluttuazioni di potenza, condizioni ottimali per un funzionamento prolungato e performante dei sistemi a celle a combustibile, è stato implementato anche un sistema di accumulo del biogas generato dal digestore. Il progetto ha avuto un seguito, BioWaste for SOFCs (BWS), avviato nel 2015 in collaborazione con Fondazione Edmund Mach e Politecnico di Torino. Solidpower ha inoltre siglato da pochi mesi un accordo con Gesta S.p.a. (azienda facente parte del Gruppo Coopservice) per offrire un impulso nuovo al settore dell’efficientamento energetico grazie proprio all’utilizzo dei nuovi sistemi di micro-cogenerazione a fuel-cell. L’obiettivo è quello di partecipare ad un progetto bandiera in Italia per sviluppare impianti integrati con pile a combustibile nel settore residenziale e nelle PMI. L’idea è quella di affiancare la produzione da fotovoltaico, che in Italia conta già oltre 600.000 impianti di cui il 66% con potenza inferiore ai 20 kW, con la micro-produzione di energia elettrica e termica dalle fuel-cell. Questo garantirebbe in auto-consumo un’efficienza doppia rispetto alla produzione con sistemi tradizionali (motori, turbine), una riduzione del 50% delle emissioni di CO2, l’annullamento dell’emissioni di NOX ed SOX (rispetto alle caldaie a combustione) e, con una certificazione di prodotto idonea, l’installazione in tutta Europa.


“Barattoli, scatolette, tappi, secchielli, fusti e bombolette....Oltre a proteggere e conservare in modo sicuro i prodotti, sono riciclabili al 100% e all’infinito! Per questo ti chiediamo di separare gli imballaggi in acciaio dal resto dei rifiuti contribuendo al loro riciclo, ottenendo così nuova materia prima per la realizzazione di binari ferroviari, lamiere per auto o navi, pentole, biciclette… Chiedi al tuo Comune le informazioni sulla raccolta differenziata degli imballaggi in acciaio oppure visita il sito www.consorzioricrea.org.

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MAGNItudine di famigliA La famiglia Magni ha fondato da pochi anni la Magni Telescopic Handlers, ma CON alle spalle una storia che nasce oltre 50 anni fa e non ha ancora smesso di brillare di Maria Beatrice Celino

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a magnitudine è la misura della luminosità di un corpo celeste. Sicuramente il paragone è azzardato ma la storia che Eugenio Magni ci ha raccontato della sua famiglia e soprattutto di suo padre Riccardo ci fa venire in mente le stelle che illuminano il cielo e che grazie alla vastità dell’universo diffondono la loro luce in tutte le direzioni. Da come ci è stato descritto Riccardo Magni è una supernova, un’esplosione di idee incontenibili che concepisce innovazioni e trova soluzioni in ambiti nuovi. Ma andiamo per ordine e ripercorriamo le tappe fondamentali della famiglia. Sig. Eugenio Magni, ci può descrivere la storia della sua azienda? Magni TH nasce nel 2012 ma ha già cinquant’anni di storia alle spalle. Negli anni ’70 mio nonno Pietro Magni aprì una società a cui diede il nome Fargh. Inizialmente era un’officina di ripara-

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zione per trattori agricoli, che in pochi anni si trasformò in un’azienda per produrre grosse gru idrauliche. Negli anni ‘80 mio nonno Pietro e mio padre progettarono il primo sollevatore telescopico con braccio fisso in Europa continentale e lo esposero al Samoter di Verona nel 1982. Grazie a quel prototipo e ai successivi modelli sviluppati da Riccardo Magni, iniziò una jointventure con il gruppo Manitou durata oltre 27 anni e terminata a maggio del 2009. In seguito ci siamo dedicati per qualche anno a mercati diversi, abbiamo sviluppato dei macchinari che ancora oggi vendiamo in tutto il mondo: una macchina per sollevare le barche dall’acqua e stoccarle in un sistema di porto a secco e una macchina per la raccolta e la coltivazione del dattero da palma. Nel 2012 ci siamo dedicati nuovamente al settore dei telescopici ed è stata fondata la Magni Telescopic Handlers con Riccardo Magni alla

guida e i figli Carlo, Eugenio, Carlotta e Chiara nel team. Abbiamo costruito un capannone di 6.000 m2 con due linee di assemblaggio ad avanzamento automatico e una capacità produttiva tra le 800 e le 1000 macchine all’anno. Abbiamo iniziato con una squadra di 20 persone e oggi siamo circa 120. Siamo partiti con dei progetti nuovi e una gamma completa di 6 modelli di rotativi dai 18 ai 30 m e una gamma pesante dedicata alle grosse portate. In un periodo in cui tutto il settore versava in crisi profonda voi avete avuto l’audacia di iniziare... Sicuramente l’investimento del capannone e del magazzino (siti in Castelfranco Emilia in provincia di Modena) è stato importante ma la struttura aziendale all’inizio era snella. Forse la nostra fortuna è stata data anche dal fatto che non avevamo una realtà complessa da trascinarci dietro. Ma


siamo stati premiati perché le nostre macchine sono di qualità e presentano innovazioni tecnologiche. Alla fine del primo anno abbiamo prodotto più di 100 macchine, arrivando già ad essere il terzo produttore a livello mondiale. Nel 2013 ci siamo presentati al bauma destando parecchia curiosità e i riscontri positivi si sono visti fin da subito garantendoci una crescita esponenziale. Sempre quell’anno abbiamo concluso degli accordi importanti con un costruttore di macchine movimento terra che ci ha permesso di guadagnare ulteriori mercati.

Smart ha il telaio compatto mentre della S ha gli stabilizzatori a forbice. È quindi una serie intermedia tra quella professionale e quella a noleggio. Poi c’è la famiglia S che è quella per cui produciamo le macchine più prestanti fino al 35 e al 39 m che abbiamo appena presentato al bauma 2016.

Uno sviluppo molto rapido che vi ha permesso di ritagliarvi una bella fetta di mercato. Ma come nasce un sollevatore telescopico? Il fulcro dell’azienda è mio padre. I brevetti che portano il suo nome sono moltissimi. Sue sono le innovazioni che permettono alle nostre macchine di precedere i trend del mercato e suoi sono i progetti delle nostre macchine.

Si è da poco conclusa l’ultima edizione del bauma di Monaco, una fiera che ad ogni edizione continua a stupire. Siete rimasti soddisfatti della vostra partecipazione? Il bauma non si smentisce mai e la nostra partecipazione è stata anche quest’anno estremamente soddisfacente. La soddisfazione maggiore è stato il feedback positivo che ci hanno portato i nostri clienti, a distanza di soli 3 anni dalla precedente edizione. Si lavora per un ritorno economico ma si lavora anche per passione. Una passione che ci ha permesso di innalzare i livelli prestazionali di queste macchine e di risvegliare l’interesse dei clienti.

Ci può descrivere la gamma Magni? La nostra gamma si divide in tre famiglie. La gamma Smart è dedicata prettamente al noleggio ed è dotata di un telaio compatto, uno stabilizzatore semplice pivotante a compasso e un rapporto prestazioni/prezzo contenuto. Nel 2015 dalla gamma Smart è nata la serie Smart S, che presenta parti in comune con la famiglia Smart e parti in comune con la famiglia S. Della

Quali sono le principali novità di quest’anno? Il telescopico da 39 metri di altezza è una novità di prodotto, ma avete anche novità che riguardano l’azienda? In occasione del bauma abbiamo presentato l’RTH 5.39S, che è attualmente il sollevatore telescopico con la più elevata altezza di lavoro al mondo. Il braccio di questo modello è brevettato ed è costituito da 6 elementi con 2

cilindri di sollevamento all’esterno del braccio stesso, così che all’interno ci sono solamente i tubi. In questo modo, si ha più spazio a disposizione durante lo sfilo e il rientro del braccio e si evita la rottura accidentale dei tubi. Inoltre abbiamo da poco concluso un accordo con Dingli Machinery, il più grande produttore di piattaforme aeree in Cina. Dingli e Magni TH nel nuovo centro ricerca e sviluppo europeo si occuperanno della progettazione di una gamma completa di piattaforme aeree articolate e telescopiche. Questa nuova gamma proporrà nuovi concept nella progettazione per migliorare sostanzialmente le prestazioni di questi prodotti per farli diventare i migliori AWP sul mercato. Dingli venderà attraverso la propria rete di distribuzione in Cina la gamma completa di prodotti Magni TH. La produzione rimarrà tutta in Italia? Certo, la produzione è e rimarrà 100% Made in Italy. Le nostre macchine vengono prodotte nel nostro stabilimento in Provincia di Modena. Nelle sedi estere (Germania, Inghilterra, USA, Canada) abbiamo sviluppato un servizio di assistenza e abbiamo depositi con magazzini ricambi. Qui a Castelfranco Emilia, la produzione e il magazzino sono gestiti da due moderni software che consentono la gestione “just in time” dei componenti e la visualizzazione dei manuali di montaggio su schermo “touch screen”

Eugenio e Carlo Magni nel loro stabilimento di Castelfranco Emilia

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P A NO R A M A

A Z IEND E

standard che offre pressurizzazione con filtrazione dell’aria in entrata al 100%, aria condizionata, ampio parabrezza panoramico, due joystick elettro-proporzionali CAN BUS, certificazione ROPS e FOPS. Le cabine sono inoltre dotate di Magni Combi Touch System (MCTS) un’interfaccia operatore touch screen che consente di gestire l’intera macchina attraverso 5 videate principali, guida l’operatore con messaggi scritti durante l’uso della macchina ed è estremamente efficiente per l’autodiagnosi nella risoluzione dei guasti elettrici ed elettronici.

sul quale è possibile segnalare eventuali problemi. L’azienda dispone inoltre di un proprio ufficio tecnico interno che, avvalendosi delle più moderne attrezzature, è in grado di progettare sollevatori telescopici estremamente innovativi, sia in termini di performance che di sicurezza operativa. Ad oggi siamo in grado di produrre una macchina ogni 5 ore e mezza. Dal vostro punto di vista, si inizia a vedere una ripresa del mercato italiano? Quando siamo partiti il nostro obiettivo principale era l’estero, tant’è che l’estero copriva il 90% del fatturato. Dallo scorso anno, invece, abbiamo riscontrato segnali di ripresa del mercato italiano, che torna ad essere interessante e prevediamo di vendere molte più macchine in Italia quest’anno (soprattutto nel settore del noleggio). Per questo motivo, abbiamo investito nel mercato interno e ci siamo strutturati con un direttore commerciale, Stefano Nicoli, che ha un’esperienza di livello. Abbiamo costruito una rete commerciale che ora copre tutto il territorio italiano. Il 39 metri è oggi il telescopico con l’altezza di lavoro più elevata al mondo. Perché vi state specializzando su macchine con altezze così importanti? Perché in alcuni mercati specialmente quelli nordici, quali l’Olanda, e in particolar modo gli USA sono macchine che vendiamo molto. Ad esempio negli Stati Uniti, dove l’occupazione del suolo ha dei costi molto

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alti, il nuovo RTH 5.39S con il braccio da 39 metri è in grado di sostituire, nei lavori nei centri abitati, le autogrù da 80 tonnellate, che risultano molto ingombranti. Per questo motivo, molte aziende del New Jersey hanno comprato le nostre macchine risparmiando sia in termini di costi iniziali della macchina che di utilizzo. Pensate che questo modello, se equipaggiato con la nostra piattaforma speciale porta persone, può raggiungere un’altezza di lavoro di 51 m. Oggi nella progettazione è sempre più tenuto in considerazione il comfort dell’operatore che trascorre molte ore al lavoro in cabina. Cosa può dirci di questo aspetto? Il benessere dell’operatore è per noi di primaria importanza, infatti le nostre cabine sono estremamente confortevoli e godono di un equipaggiamento

Avete venduto una macchina anche per un progetto di ricerca ambientale? Si, siamo molto orgogliosi di dichiarare che abbiamo venduto una macchina a Google, il motore di ricerca, che la utilizzerà per il progetto Google Makani, per lo sviluppo dell’energia rinnovabile eolica. Il progetto prevede di portare in quota un kite legato tramite un cavo conduttore ad un pilone. Una volta in aria, il kite, dotato di eliche, gira sopra al pilone con un movimento continuo. Le eliche catturano l’energia del vento che tramite il cavo viene trasmessa al pilone e immagazzinata. Il costo di produzione del progetto è molto più contenuto rispetto ad un parco eolico. Il compito del nostro telescopico è portare il kite all’altezza dei 35 metri del pilone, da cui poi andrà in quota tramite le eliche del kite stesso. Siamo stati scelti da Google per il livello di tecnologia che presentano le nostre macchine e questo ci fa molto piacere.


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P A NO R A M A

A Z IEND E

L’efficienza energetica è la chiave per un futuro sostenibile Ci sono prodotti che permettono di migliorare la nostra qualità di vita in termini di spesa e impatto ambientale di Maria Beatrice Celino

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n occasione della Mostra Convegno Expocomfort 2016 a Milano, Xylem ha esposto le ultime novità e un’ampia gamma di nuovi prodotti. Sono stati presentati tra gli altri la nuova generazione di Hydrovar, il sistema di controllo intelligente per pompe, e il nuovo “Smart Pump” range Lowara, una gamma di pompe equipaggiate con motori ad alta efficienza e un variatore di velocità integrato che può essere utilizzato in combinazione con quasi tutte le pompe Lowara.

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È Giovanni Mugnolo, Technical Training Manager, che ci ha mostrato i nuovi prodotti di innovazione per l’efficienza energetica: “Portiamo come prodotti di punta il nuovo Hydrovar, un convertitore di frequenza, che è alla quinta generazione ed è stato il primo convertitore di frequenza progettato per applicazioni con acqua e ha un brevetto dal 1994”. Capace di gestire sistemi fino a otto pompe, Hydrovar è caratterizzato dalla funzione “multimaster”, che consente a ciascuna pompa di prendere il controllo nel caso in cui una o più pompe o sensori non siano attivi. La funzione multimaster assicura un funzionamento costante dei gruppi di pressione, e la massima affidabilità in ogni applicazione commerciale e residenziale. Il mondo delle applicazioni dell’acqua sta cambiando e sta diventando sempre più smart, cosicché anche le pompe devono a loro volta diventare intelligenti integrando sempre più il comparto elettronico. Hydrovar non è solo un variatore di velocità, bensì un sistema di controllo intelligente che si adatta alle richieste dell’impianto, consentendo agli utilizzatori di ottenere risparmi sia in

termini energetici che economici e garantendo al contempo l’ottimizzazione delle prestazioni dell’impianto. “È l’elettronica - continua Mugnolo che decide autonomamente la velocità della pompa permettendo un notevole risparmio energetico. Il risparmio medio in un impianto di riscaldamento si attesta tra il 50 e il 70%”. L’altro settore di punta dell’azienda è quello del trattamento acque e disinfezione senza utilizzo di elementi chimici. “Abbiamo un’azienda in Germania, Wedeco - ci spiega Mugnolo -, che sviluppa sistemi con ultravioletti e ozono. Senza l’uso di alcun additivo chimico si può depurare l’acqua e renderla potabile. Come esempio posso riportare il caso della città di Stoccolma che già da sei anni ha convertito il suo sistema di potabilizzazione grazie a questi sistemi”. Ma le novità e le eccellenze studiate e applicate sono anche altre e si trovano in settori nuovi, in cui ancora le idee giocano un ruolo importante. È il caso del Burj Khalifa di Dubai, attualmente il grattacielo più alto del mondo, progettato dall’architetto britannico Adrian Smith, che vanta ben 162 piani e 828 metri d’altezza. La più peculiare delle sue caratteristi-


che riguarda il sistema di raccolta della condensa, che utilizza l’aria esterna calda e umida, combinata con i requisiti di condizionamento dell’edificio. In questo modo il sistema si traduce in una notevole quantità di acqua di condensa dall’aria. L’acqua di condensa viene raccolta e scaricata in un serbatoio situato nel parcheggio interrato. Quest’acqua viene poi utilizzata nel sistema di irrigazione del parco sottostante l’edificio. Grazie a questo sistema è possibile recuperare 12 milioni di galloni d’acqua all’anno, pari a quasi 15 piscine olimpioniche piene d’acqua. Un altro progetto smart sviluppato dall’azienda è il riciclo dell’acqua al nuovo Levi’s® Stadium di Santa Clara in California. Lo stadio è un modello di sostenibilità con un tetto verde da 2.500 mq e suite private realizzate in legno di recupero a km zero. Ma nessuna delle caratteristiche ecologiche è più rilevante per lo

stadio dell’uso dell’acqua riciclata per gli impianti di scarico ed irrigazione. L’impianto preleva l’acqua da quello di riciclaggio del Santa Clara Valley Water District e soddisfa l’intero fabbisogno di acqua potabile dello stadio, dai servizi igienici all’irrigazione del campo

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da gioco, dal tetto verde ad altre aree, un aspetto particolarmente rilevante in considerazione dei problemi di siccità della California. Secondo le prime valutazioni, l’84% di tutta l’acqua utilizzata è riciclata, il che equivale ad oltre 158 milioni di litri all’anno.

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S PE C I A L E

Benvenuti nella piattaforma delle innovazioni per l’ambiente Ai blocchi di partenza la diciannovesima edizione di Ifat, il principale salone internazionale di tecnologie per l’ambiente di Laura Veneri

I

fat, la fiera per eccellenza del settore acque primarie, acque reflue, rifiuti solidi e materie prime secondarie, celebra l’anniversario dei 50 anni. La prima edizione risale al 1966 a Monaco di Baviera e fu orientata prevalentemente al settore delle acque. Il Professor Dott. Ing. Hermann H. Hahn (insignito di una laurea honoris causa e di un dottorato di ricerca) ricorda bene il contesto socio-economico degli anni Sessanta: “La prima edizione di Ifat si svolse quando il concetto di ambiente non era ancora sulla bocca di tutti. La manifestazione ha contribuito a promuovere l’importanza delle sfide ambientali per il mondo intero”. Il Professore ricorda ancora con stupore il debutto di Ifat: “per la prima volta mi resi conto che ciò che avevo studiato ad Harvard poteva avere rile-

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vanza mondiale e richiamare un pubblico internazionale di esperti scientifici e tecnici qualificati”. Manfred Fischer, che nel 1966 partecipò alla prima edizione come ingegnere edile con due anni di esperienza nella professione, aggiunge: “L’evoluzione di IFAT in questi 50 anni è stata incredibile. Al debutto del salone i visitatori erano una piccola comunità di esperti tedeschi di trattamento delle acque, mentre oggi giungono decine di migliaia di operatori da tutto il mondo”. Lo stesso Fischer torna sempre volentieri a IFAT: “In effetti ho partecipato a tutte le 18 edizioni. Peccato che l’edizione del cinquantenario sia la numero 19 e non faccia cifra tonda”. I temi dei rifiuti e del riciclaggio, furono presto introdotti nell’edizione del 1970 e così, poco a poco, tutti gli altri

argomenti per arrivare ad abbracciare l’intero settore dell’ambiente. L’edizione precedente di Ifat, che ha cadenza biennale, ha visto la partecipazione di oltre 3.000 espositori da 59 Paesi e oltre 135.000 visitatori. Quest’anno la fiera si terrà a Monaco di Baviera dal 30 maggio al 3 giugno.

Temi

Un appuntamento fisso a Ifat sono le presentazioni e i convegni di attualità socio-politica. L’associazione dell’industria tedesca di smaltimento, acque e materie prime (BDE) organizza quest’anno una serie di speciali sui temi “Incendi negli impianti di riciclaggio: riduzione di rischi e danni”, “Riciclare dall’inizio: la gestione pratica dei rifiuti commerciali” e “L’importanza della termovalorizzazione dei rifiuti in Germania: fra ecologia ed


economia”. Fra gli eventi speciali del BMUB, oltre a “Sponge City - Prevenire le inondazioni e la siccità: la città idrosensibile”, è da segnalare “Il pacchetto UE sull’economia circolare”, la “Legge sulle materie preziose”, “Iniziativa export per le tecnologie ambientali” e “Riciclaggio del fosforo dai fanghi di depurazione: stato dell’arte e prospettive future”. L’associazione dei costruttori tedeschi di macchine e impianti (VDMA) tratterà nelle sue presentazioni di “Tecnologie per rifiuti e riciclaggio alla conquista dei mercati mondiali” e “Valorizzazione del legno usato: la Germania in un vicolo cieco”. Anche il tema “Waste to Energy” verrà affrontato. Il Ministero Tedesco dell’Istruzione e della Ricerca (BMBF) sfrutterà la vetrina di Ifat per presentare il suo programma sulla “Gestione sostenibile dell’acqua” (NaWaM). Nel suo convegno la International Water Association (IWA) affronterà il tema “Water & Clean Tech: The innovations and technologies putting water and wastewater at the forefront of the Cleantech agenda”.

CESARO MAC IMPORT

B3 stand 321

La Nuova Tiger HS640 brevettata dalla Cesaro Mac Import è la macchina separatrice per eccellenza, nata per risolvere il difficile problema di separare la frazione organica da diverse tipologie di rifiuti. Oggi le sue applicazioni sono molte, in primis in impianti di compostaggio e biogas, nel trattamento dei rifiuti derivanti da supermercati, mense, grande distribuzione e fabbriche alimentari. Tiger HS 640 è una macchina all in one con dimensioni compatte e un’altezza regolabile che le permettono di essere posizionata in qualsiasi impianto già funzionante, per adattarsi alle caratteristiche della produzione esistente. La macchina è in grado di separare le frazioni organiche da molteplici materiali quali tetra pak, vasetti, buste, plastica, bottiglie, lattine e carta, operando sia con cicli a secco che ad umido. Ad oggi l’utilizzo all’interno degli impianti di digestione anaerobica, è in grado di aumentare la matrice organica da immettere nel digestore ottenendo così una maggiore quantità di gas prodotto e una notevole riduzione dei materiali destinati allo smaltimento; all’interno degli impianti di compostaggio inoltre assicura un compost finale privo di impurità che non necessita quindi di raffinazione finale. La macchina è totalmente elettrica e priva di qualsiasi dispositivo idraulico. Tiger HS 640 tratta in media dalle 8 alle 12 tonnellate/ora di materiale in ingresso.

Le principali novità

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S PE C I A L E

A5 stand 537

KELLER

KELLER AG für Druckmesstechnik, uno tra i primi produttori al mondo a riconoscere il potenziale offerto dalla combinazione tra la comunicazione in prossimità ed i trasmettitori di pressione industriali, ha ora lanciato due nuove serie, la serie 21 D RFID e la 21 DC RFID. I transponder di pressione passivi della serie 21 D RFID sono autonomi dal punto di vista del fabbisogno energetico e possono pertanto essere utilizzati indefinitamente senza manutenzione, mentre la serie 21 DC RFID vanta come caratteristica fondamentale il data logger integrato, che funziona grazie ad una speciale batteria a lunga durata. In entrambi i prodotti, l’energia necessaria per trasmettere le misurazioni è fornita senza fili attraverso l’interfaccia RFID. Le potenziali applicazioni di questi transponder di pressione sigillati ermeticamente comprendono i sistemi mobili, le strutture su larga scala e la sostituzione dei misuratori di pressione convenzionali con quadrante. I transponder di pressione della serie 21 D(C) RFID sono basati sui trasmettitori di pressione KELLER Serie 7 LD, estremamente resistenti e dall’eccellente stabilità nel lungo periodo. La sofisticata tecnologia transponder è frutto del lavoro degli specialisti RFID di Microsensys GmbH. Un transponder RFID stampato, realizzato in plastica antiurto, sostituisce l’abituale spina per le connessioni elettriche, mentre l’acciaio inox è utilizzato per tutte le parti che vanno a contatto con il mezzo di trasmissione. I transponder di pressione della serie 21 D(C) sono pertanto immuni dalle influenze ambientali e dagli atti di vandalismo. Un lettore RFID consente una rapida e facile rilevazione delle misurazioni, che possono essere trasferite direttamente ad un computer portatile tramite USB. Alternativamente, è possibile utilizzare un lettore tascabile a batteria, in grado di visualizzare le misurazioni, memorizzarle nella propria memoria e metterle a disposizione in un file .xml da trasferire tramite USB.

FORREC

C1 stand 316

MOLINARI

C2 stand 308

La fiera Ifat sarà l’occasione per confermare i successi di un’azienda, presentare le proprie novità, incontrare clienti, partner, concorrenti e rimettere in discussione le proprie certezze per continuare a crescere e rispondere adeguatamente alle necessità del mercato internazionale. Ifat è anche una vetrina per molte società che lavorano nel settore e l’occasione di presentare quel prodotto che sa fare la differenza, Forrec esibirà presso lo stand 316 hall C1 il multi-laceratore FR, progetto innovativo, tecnologia all’avanguardia, soluzione efficace nel pre-trattamento del RSU e ingombranti. Il know-how innovativo adottato nella progettazione di questa macchina garantisce una riduzione dei costi di manutenzione e semplifica la gestione. Il ciclo di rotazione degli alberi gestito da PLC consente di lavorare con elevate quantità di materiale senza necessità di installare ulteriori optional, inoltre la struttura indeformabile e robusta conferma l’affidabilità di una macchina che può essere impiegata in diversi ambiti con la massima resa.

Il trituratore MT3000 nasce come evoluzione del tradizionale rotore cavo a lame sfalsate che già contraddistingue i Granulatori Molinari. È stato rivisitato per ottenere espressamente CDR/CSS e combustibili alternativi come pallet, biomasse di vario genere, balle di paglia e prodotti di plastica di grandi dimensioni, riducendoli ad una dimensione omogenea adatta alla termovalorizzazione o altri processi. Dotato dell’innovativo sistema “Release System” regolabile con semplicità, si presta ad ogni necessità richiesta dal cliente. Oggi, infatti è già molto apprezzato dal mercato per la sua robustezza, la facilità di manutenzione e la grande produttività su un’ampia gamma di materiali. Un’altra importante particolarità di questa macchina consta nella speciale tramoggia di alimentazione forzata posta sopra la camera di macinazione. È costituita da due rulli dentati, che hanno la funzione di sfaldare e aprire le balle o eventuali agglomerati voluminosi di materiale. Lo stesso consente anche di regolare, in base all’assorbimento energetico del rotore della camera di macinazione, l’afflusso del materiale in ingresso, consentendo così di rimanere nei parametri di consumo energetico ottimale e lavorando in continuo.

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WRS Italia

C1 stand 505

BHS

B2 stand 351/450

WRS Italia, brand commerciale legato al Gruppo Steel, focalizza la sua attenzione sulla progettazione e realizzazione di trituratori industriali. Si tratta di un dipartimento di R&D, una realtà snella dove coesistono esperienze trentennali nel settore e giovani professionalità. Il Gruppo Steel costituisce una realtà industriale attiva dai primi anni ‘80, specializzata nelle lavorazioni meccaniche e nel trattamento degli acciai. Tale know-how consente di offrire lavorazioni di altissima finitura e precisione. Il progetto WRS rappresenta l’ultimo step di una filiera produttiva, unica nel suo genere, dove l’esperienza del gruppo si trasferisce nella realizzazione del trituratore. Ogni modello è progettato per soddisfare specifiche esigenze; le molteplici configurazioni della camera di taglio li rendono adattabili al materiale da triturare. Gli acciai utilizzati, le lavorazioni meccaniche e il trattamento termico realizzati internamente, insieme al laboratorio certificato, anch’esso interno, che consente di eseguire analisi chimico/ fisiche approfondite, chiudono il cerchio di una filiera produttiva che va dalla scelta del materiale, al prodotto finito. I mercati di riferimento per l’azienda sono il settore del trattamento e riciclaggio di scarti industriali e tutte quelle realtà particolari, navi da crociera, rifiuti speciali e pericolosi, dove convergono le competenze nell’utilizzo degli acciai e il design del trituratore.

In occasione di Ifat BHS presenterà il nuovo trituratore universale serie NGU. Questo nuovo prodotto amplia la gamma dei trituratori monoalbero della società. È una macchina progettata per l’utilizzo in impianti di riciclaggio convenzionali e nell’industria manifatturiera. È adatto per tutti i materiali ed è caratterizzato da una struttura robusta e da un facile funzionamento. Il nuovo trituratore universale è disponibile in diverse versioni e trita il materiale caricato ad una dimensione compresa tra 20 e 100 mm. Può essere utilizzato da riciclatori convenzionali per la triturazione di vari materiali, per esempio, per il taglio di carta e rotoli, per distruggere file e supporti di dati, così come prodotti in plastica, pelle e tessuti, scarti di legno o cavi. È anche adatto ad aziende di produzione che generano grandi volumi di rifiuti. In questo campo di applicazione, riduce il materiale in modo che possa essere elaborato ulteriormente nello stesso impianto o per facilitarne il trasporto verso società di recupero.

C2 stand 214

ECOSTAR

Ecostar ha rinnovato il brand, con lo slogan “The next recycling tecnologies”, cioè tecnologia proiettata nel futuro. Il segreto di Ecostar è ascoltare i bisogni ed i consigli dei clienti e credere fortemente nei propri progetti. L’azienda è presente con ufficio commerciale anche a Dubai e produzione dedicata al mercato USA & Canada a Lancaster, (PA). Il board dell’azienda è costituito dalla famiglia Cappozzo con Domenico, Fabio Filippo ed Emma, che hanno saputo formare un team efficiente, motivato e dinamico. L’azienda punta molto sulla continua innovazione, passione per il proprio lavoro ed alta qualità nei prodotti, combinazione vincente che sta portando soddisfazioni e soluzioni in 18 diversi settori con oltre 350 vagli dinamici consegnati in 37 Paesi di tutto il Mondo. Questo ha portato Ecostar a diventare fornitore di aziende tra le più importanti a livello mondiale nel settore riciclaggio/energia. Ifat 2016 a Monaco, la più importante fiera internazionale del settore, sarà l’occasione per lanciare il nuovo vaglio dinamico e l’innovativa applicazione aeraulica, brevettata con il nome di “Ecostar Cleaner”. Questo sistema innovativo, grazie ad una tecnica di flussi d’aria, crea un vortice, pulisce i materiali pesanti dai leggeri, valorizzandoli, come ad esempio: compost, plastica, legno per biomasse, parti leggere nei metalli e RSU. Sono ridotte quindi al minimo le quantità da portare in discarica e i costi per i clienti. Il tutto nello stesso spazio del vaglio dinamico Ecostar, con risultati di performance ed economici mai visti prima. www.eco-star.it

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L’evento italiano sulla Cogenerazione In concomitanza con

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PR O G RE SS

Destinazione futuro Inaugurato l’impianto di Ambiente in provincia di Napoli che permetterà alla Campania di diventare una regione all’avanguardia nella raccolta differenziata di Laura Veneri

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San Vitaliano, in provincia di Napoli, è operativa una delle piattaforme per il recupero dei rifiuti più innovative d’Europa. Ambiente S.p.A., parte del gruppo GreenEnergy Holding S.p.A., ha inaugurato il nuovo impianto nel mese di aprile. “Abbiamo deciso - ha dichiarato l’Amministratore Unico di Ambiente S.p.A. Bruno Rossi - di realizzare un impianto che fosse ai vertici della tecnologia esistente, capace anche di essere flessibile pur nella sua completa innovazione, rappresentando in tal modo un’eccellenza europea nel panorama delle aziende che si dedicano al recupero di materia prima derivante dai rifiuti”. L’impianto è stato realizzato grazie ad una partnership con le aziende francesi Pellenc ST e Vauchè SA. Tale impianto è il solo in Europa ad avere su un’unica linea venti selettori ottici, capaci di riconoscere e trattare fino a centomila tonnellate per anno di materiale proveniente dalla raccolta differenziata, contribuendo in questo modo alla tutela del nostro ambiente. “Ogni anno, noi della Pellenc ST, - dichiara il Direttore delle Vendite di Pellenc ST Jeremie Garbe - gestiamo più di 100 nuovi progetti, che riguardano i centri di trattamento e di riciclaggio dei rifiuti in quasi tutto il mondo. Devo, però, dire che questo progetto è davvero unico. Il Cliente voleva infatti raggiungere il tasso di automazione più alto possibile, in modo da migliorare sensibilmente la qualità dei prodotti recuperati, ridurre significativamente lo stress subito dal personale coinvolto e minimizzare i costi di esercizio. Il risultato ha dato vita a un design unico che rappresenta, sicuramente, la più sofisticata linea esistente del suo tipo in Europa”.

Le caratteristiche tecniche dell’impianto

L’impianto di selezione del multi materiale di Ambiente S.p.A. rappresenta una realtà di innovativa concezione. Esso è in grado di selezionare, con sistema automatico, il multi materiale proveniente dalla raccolta differenziata in frazioni omogenee, con successiva suddivisione del PET – in base al colore - in un solo passaggio. L’idea fondamentale, che ha guidato l’innovazione nel campo specifico, è stata quella di spingere il recupero al massimo livello possibile non solo dei componenti di pregio ma anche per le frazioni più povere e, più in generale, verso tutti i sottoprodotti aventi comunque valore intrinseco, in quanto recuperati dalla frazione di scarto, resa in questo modo minima con una riduzione concreta del materiale da conferire a discarica. L’inclinazione dei nastri, così come la loro larghezza e le differenti velocità, ripartitori specifici del flusso per ottenere la massima dispersione possibile del materiale, il numero e le dimensioni dei silos di accumulo dei materiali re-

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cuperati, i lettori ottici di nuova generazione e le unità presenti in impianto di tali lettori consentono di trattare oltre 100.000 tonnellate per anno di multi materiale. Le macro fasi dell’impianto sono le seguenti: • apertura sacchetti, • vagliatura con vagli a tamburo, • separazione balistica, • separazione dei metalli, • correzione della separazione balistica con separatore eolico, • separazione ottica: • separazione della parte piatta in tipologie omogenee (plastica /carta), • separazione della parte rotolante in tipologie omogenee, PET/HDPE/carta/PS/tetrapak/IPP/MPO (misto poliolefine), • controllo qualità, • accumulo in nastri silos per tipologie omogenee, • pressatura.

Apertura sacchetti

L’apertura dei sacchetti avviene con un

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viene anche una ulteriore cernita, con eliminazione del materiale di piccole dimensioni che non può essere recuperato (polveri, parti umide). Ciascun separatore può essere regolato cambiando l’inclinazione della tavola e la velocità di oscillazione. Il separatore balistico utilizzato è dotato anche di tre ventole di soffiaggio per ottenere una separazione più precisa.

Separazione dei metalli

aprisacco installato a monte dell’impianto di cernita. Tale macchina permette l’apertura e lo svuotamento dei sacchi e dei sacchetti in plastica contenenti il multi materiale. L’alimentazione dell’aprisacco avviene per mezzo di una pala gommata. La velocità della rotazione e la pressione dei bracci dell’aprisacco determinano la quantità di materiale che arriva all’impianto di selezione, dando alla macchina anche la funzione di dosatore per l’impianto, con una potenzialità fino a 15 tonnellate per ora.

Vagliatura

Separazione balistica

Il vaglio a tamburo rotante effettua la vagliatura del materiale sfruttandone la diversa pezzatura (massima dimensione lineare) ed ha la funzione di separare il flusso di alimentazione in due correnti. I materiali aventi pezzature inferiori al diametro dei fori della rete vagliante cadono verso il basso della macchina, le parti aventi pezzatura superiore avanzano, viceversa, verso l’uscita del cilindro. Sottoponendo il multi materiale al passaggio in due vagli rotanti successivi, posizionati tra loro in cascata, si selezionano i materiali in funzione della loro pezzatura e si eliminano anche le parti piccole, ottenendo tipologie omogenee pronte per il passaggio successivo. Il materiale entrante nel vaglio è suddiviso in due flussi distinti:

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sotto vaglio (la frazione pesante) che viene raccolto nelle tramogge sottostanti, • sopra vaglio (la frazione leggera detta anche sovvallo) che rimane sopra le maglie di separazione, giungendo all’estremità del separatore. La frazione pesante contiene lattine in metallo, bottiglie, carta e plastiche pesanti di piccole dimensioni. La frazione leggera è invece costituita da film superiori ad A3 e materiale ingombrante eterogeneo.

Tale separazione, che avviene su due linee in parallelo, è di tipo meccanico e sfrutta il diverso comportamento del materiale, in funzione della sua forma (bidimensionale o tridimensionale), mediante un piano inclinato che si muove in modo eccentrico. Il sotto vaglio proveniente dai vagli a tamburo viene così raffinato. I corpi piatti bidimensionali, quali gli shopper di dimensione inferiore ad A3 tendono, rispetto al movimento delle tavole, a galleggiare e dirigersi verso l’alto, mentre i corpi tridimensionali rotolanti, quali ad esempio le bottiglie tendono a scendere verso il basso. Pertanto dopo questo passaggio si avranno due frazioni distinte: bottiglie su un canale e film inferiori ad A3 insieme a carta sull’altro. Essendo il piano oscillante forato, nello stesso av-

Gli oggetti costituiti in materiali contenenti ferro vengono separati mediante un separatore magnetico a nastro che li attrae e li convoglia dapprima al nastro di controllo qualità e successivamente al cassone di stoccaggio. Il metallo non ferroso (alluminio) viene selezionato da un nastro a correnti indotte che induce ai metalli una corrente di un determinato polo e, successivamente, alternando il polo del rotore finale respinge le lattine verso una tramoggia e, quindi, ad un nastro che le convoglia in un cassone di raccolta.

Separazione ottica

La separazione ottica avviene con selettori di ultima generazione in grado di: • suddividere gli oggetti bidimensionali per tipologia (plastica/ carta); • separare gli oggetti rotolanti (tridimensionali) in tipologie omogenee, PET/HDPE/carta/PS/tetrapak/IPP/MPO (misto poliolefine). L’impianto di Ambiente Spa è considerato, nell’ambito della selezione automatica, quanto di più innovativo oggi esistente in Europa. La fase di separazione ottica si avvale di 20 lettori ottici. Il flusso bidimensionale, proveniente dal separatore balistico nella parte alta, viene convogliato a 6 selezionatori ottici, che separano il film (PET in foglia) dalla carta. Le tipologie omogenee vengono convogliate ai silos di accumulo. Per il flusso tridimensionale, la parte bassa del separatore balistico, vi è una linea di separazione composta da 14 lettori. I primi due lettori separano il flusso in due tipologie principali: PET e non PET. Le bottiglie in PET vengono successi-


agli operatori di effettuare (per tutti i materiali valorizzati) un controllo qualità, prima del convogliamento degli stessi ai rispettivi silos di stoccaggio.

Accumulo in nastri silos per tipologie omogenee

vamente divise per colore con un’alternanza positiva negativa di 6 lettori. La parte non PET viene separata nei differenti componenti, con una successiva serie di 6 lettori, eseguendo sempre una sequenza in cascata dove il primo lettore seleziona in positivo e

il secondo corregge gli errori del primo lavorando in negativo.

Controllo qualità

L’impianto è dotato di 3 cabine per il controllo qualità. In queste una serie di nastri, a velocità variabile, consentono

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I materiali suddivisi per tipologie omogenee vengono inviati ai rispettivi 18 nastri per i silos di accumulo. Una volta pieni attraverso dei nastri convogliatori in modo automatico il materiale viene inviato alla pressa per la formazione dei colli. Tutti i silos sono dotati di un sistema di riempimento automatico e hanno un sistema di pesatura, da cui si evince la quantità di materiale prodotto. Lo stesso consente di decidere il taglio in kg delle balle da stoccare.

Pressatura

Tutto l’impianto di selezione è integrato con la pressa compattatrice, la quale interagisce con lo stesso tramite dei nastri di collegamento.

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TUTTO... TRANNE CHE ORDINARIO Un intervento di demolizione e decostruzione complesso e delicato per la ex fabbrica Alumix di Bolzano di Sara Ghanadi

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’impresa Bresciana Corbat srl ha completato da qualche mese un importante intervento di demolizione a Bolzano di un ex fabbricato industriale che è oggetto di un complesso progetto di ripristino e riqualificazione. La demolizione ha riguardato i fabbricati industriali della fabbrica Alumix, in

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particolare due corpi di fabbrica, una palazzina uffici alta 10 m con facciate soggette a vincolo architettonico e un corpo principale della fabbrica con altezze fino a 30 m, anch’esso da demolire, o meglio decostruire per alcuni elementi strutturali mantenendo in opera facciate e intere porzioni di struttura. “Durante i primi sopralluoghi,

ancora in fase di offerta è stato subito chiaro che non si trattava di un lavoro semplice - ci spiega il geom. Roberto Setaro, direttore tecnico di Corbat - in pratica si trattava di mettere in campo diverse tecniche di demolizione operando in modo chirurgico sul fabbricato in tempi molto stretti perché le nostre lavorazioni, nella maggioranza dei


casi, vincolavano l’avanzamento dei lavori di costruzione e ripristino”. L’intervento ha previsto diverse operazioni, tagli e svari, demolizioni tradizionali e smontaggi su tutti i volumi dei corpi di fabbrica, le attività principali erano concentrate in due zone del fabbricato principale, identificate con i codici zona 1 e zona torre, e nella palazzina uffici.

Interventi in zona 1

La zona 1 era una porzione di fabbricato a travi e pilastri in c.a. su due livelli per un’altezza di 16 m, i solai erano in cemento armato e le travi ribassate organizzate in 13 campate. Tra la seconda e la terza campata era presente un giunto strutturale. Nella campata 10 inoltre, su un muro di tamponamento, vi era un opera d’arte da preservare con un’opera di protezione realizzata ad hoc. “La zona 1 risultava collegata staticamente al corpo di fabbrica principale le cui strutture invece erano da preservare; era necessario quindi - continua Setaro - sviluppare una procedura sicura e veloce allo stesso tempo che consentisse di garantire la sicurezza di una demolizione controllata con tagli e sollevamenti con i tempi di una demolizione meccanica”. Corbat, dopo aver studiato il problema con il supporto di DEAM ingegneria, ha deciso di operare con un escavatore cingolato Liebherr 924 B attrezzato con braccio da demolizione e pinza NPK22 in avanzamento per campi successivi, che consentiva di operare agevolmente su un’altezza operativa di 16 m dal piano dei cingoli. L’intervento ha previsto di procedere alla demolizione di 2 campate successive su entrambi gli orizzontamenti, i solai e le travi, per evitare qualunque trasmissione di sollecitazione alle parti di struttura da preservare, sono stati preventivamente puntellati e sezionati nelle zone in aderenza con le parti di struttura da preservare. Per le puntellazioni, viste le altezze tra gli interpiani oltre i 5 m, sono stati usati puntelli da alto carico Peri multiprop 360 sia singoli sia organizzati in torri da 4 con gli elementi di giunzione MP. I lavori di demolizione meccanica sono avvenuti con notevole perizia da

parte dell’operatore di Corbat in modo da ridurre ogni tipo di trasmissione di vibrazioni alla porzione di edificio da preservare. Per la riduzione della diffusione delle polveri, sia all’interno del cantiere che all’esterno, sono stati installati dei cannon-fog posizionati di volta in volta in funzione sia dell’avanzamento delle demolizioni che della direzione del vento. L’opera d’arte, una scultura in un muro di mattoni è stata oggetto di un intervento di rinforzo e protezione preventiva finalizzato a stabilizzare un tamponamento che sarebbe stato poi privato dalle strutture portanti in cls. Il pratica è stato realizzato un telaio in carpenteria controventato con puntoni

te tutte le strutture portanti interne mantenendo tutti i muri perimetrali. Il piano di demolizione, o meglio di decostruzione, ha previsto di tagliare e rimuovere in sequenza dall’alto verso il basso tutti gli elementi di travi e solette utilizzando la gru a torre a servizio del cantiere procedendo in parallelo con l’installazione delle opere di sostegno in carpenteria che dovevano essere montate con il progredire delle demolizioni. Gli spazi operativi erano di fatto già condizionati dal graticcio di travi da rimuovere e il tutto era complicato dalla presenza delle opere di sostegno, puntoni trasversali che limitavano le operazioni di sollevamento delle travi e delle solette.

dotato di un sistema di spinotti su lastre in legno su entrambe le facce del muro.

Per questo motivo alcune travi e porzioni di soletta non potevano essere sollevate perché il sistema di imbrago con le catene interferiva con le travi in carpenteria che venivano di volta in volta installate subito al di sopra del livello da demolire. In pratica per risolvere il problema di interferenza ed incastro alcuni elementi di trave sono stati dotati di bilancini, calati, ruotati al livello inferiore e successivamente riagganciati alle catene per essere risollevati in una nuova posizione senza interferenze sovrastanti. Tutti i livelli intermedi dove

Interventi in zona torre

La zona torre era chiamata con questo nome per identificare la zona più alta dell’intero fabbricato, in pratica un parallelepipedo di circa 25 metri di altezza su tre livelli interamente in c.a. con una struttura portante a travi e pilastri. Setaro ci spiega che questa zona era quella che presentava le difficoltà tecniche maggiori perché si trattava in sostanza di rimuovere integralmen-

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erano presenti i graticci di travi erano raggiungibili grazie ad un sistema di ponteggi a tubo giunto e multi direzionali che ha consentito di raggiungere tutte le zone di taglio mentre sulle solette sono state montate delle linee vita per proteggere gli operai dal rischio di caduta dall’alto. Il ponteggio era ancorato ad ogni livello sulle pareti laterali e in corrispondenza dei livelli delle travi da demolire e veniva smontato con il progredire della demolizione verso il basso fino al solaio del primo livello. Nel complesso, a causa delle ridotte portate della gru a torre sono stati necessari 165 svari complessivi per decostruire l’intero corpo torre. Con una media di 12 sollevamenti al giorno l’intervento in questa zona è stato completato in sole 3 settimane considerando anche i tempi di

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montaggio dei rinforzi delle facciate.

Interventi sulla palazzina uffici

La palazzina uffici era un edificio di due piani fuori terra, libero su 4 lati per una superficie per ciascun piano di 1400 mq, niente di complicato sennonché 3 delle 4 facciate risultavano assoggettate a vincolo architettonico e dovevano essere preservate. Anche qui la tecnica adottata è stata quella di staccare preventivamente tutte le parti da demolire dalle facciate che erano state dotate di ponteggio esterno strutturale messo in opera dal cliente, per poi procedere con una demolizione meccanica con escavatore Yanmar da 100 qli con braccio da 10 m che, grazie ad un carro di ridotte dimensioni e a una portata operativa elevata, ha

consentito di operare internamente al fabbricato garantendo una buona produzione. Per non slegare troppo la struttura è stato eseguito un intervento a step successivi di taglio e demolizione con preventivo puntellamento delle porzioni di solaio. Conclude Setaro “quest’intervento è stato molto stimolante e interessante, non per i volumi demoliti, non per la quantità di attrezzature messe in gioco ma per le capacità tecniche e operative che abbiamo messo in campo dimostrando al cliente che Corbat è sempre in grado di operare bene anche in contesti complicati e non ordinari e, soprattutto, di rispettare i tempi adempiendo a tutte le richieste sopravvenute in corso d’opera che hanno consentito anche di anticipare alcune lavorazioni del progetto di costruzione”.


In fase di completamento l’impianto di soil washing mobile e modulabile La tecnologia di baioni nel primo impianto MOBILE di bonifica di terreni inquinati di Milena Bianchi*

C

on il progressivo esaurimento delle risorse e l’aumento dell’inquinamento del suolo, la preoccupazione di oggi è rivolta agli effetti sull’ecosistema e sulla salute dell’uomo. L’orientamento è quindi quello di ridurre gli inquinanti come prodotti chimici, materiali tossici, agenti patogeni, materiali radioattivi ma in primis una corretta gestione “a monte” dei rifiuti, dell’utilizzo di agenti chimici in agricoltura e nell’industria, ovvero delle attività umane potenzialmente dannose. L’azienda Baioni è pronta ad accogliere

questa sfida e a misurarsi con questa importante scommessa di valenza ambientale. Nel mese di aprile 2016 infatti l’azienda marchigiana, già leader nella produzione di macchine e impianti per la frantumazione, selezione e lavaggio di materiali inerti, nonché nella realizzazione di macchinari per il riciclaggio di materiali da demolizione, ha consegnato una commessa molto importante. Si tratta di un impianto mobile per il trattamento di terreni contaminati attraverso la tecnica del soil washing; ‘mobile’ perché

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completamente concepito e costruito utilizzando moduli container, progettato per performance efficienti e per una produzione complessiva di 30 t/h. Una commessa così importante e la realizzazione meticolosa di questa tipologia di impianto sono il frutto di un lavoro che ha permesso a Baioni di diventare unica realtà su scala nazionale a impegnarsi sia sul fronte progettuale sia su quello produttivo degli impianti di trattamento terreni e fanghi, offrendo soluzioni tecnologiche complete poiché, sfruttando la pluriennale esperienza maturata nel settore degli aggregati, dispone pienamente del know-how tecnologico ed è capace di garantire una corretta progettazione della linea in funzione delle caratteristiche dei terreni da bonificare, nonché supporto tecnologico e adeguata formazione del personale addetto alla gestione degli impianti. Questo impianto è stato interamente costruito sulle specifiche ed esclusive esigenze del cliente, il quale aveva espressamente richiesto un trattamento di bonifica attraverso la tecnica del soil washing, con l’obiettivo di recuperare la parte pregiata del terreno mediante un processo di separazione fisica dell’inquinante.

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Modularità e trasportabilità per un abbattimento dei costi

Nel 2015 Baioni è stata scelta per la progettazione e la realizzazione di un impianto di soil washing mobile e modulabile da poter incorporare a una piattaforma di trattamento rifiuti esistente. L’azienda ha accolto con grande entusiasmo questa opportunità e si è impegnata in prima linea conducendo un primo studio di fattibilità tecnica dal quale è emersa la possibilità concreta di realizzare un impianto totalmente flessibile, adatto a varie tipologie di rifiuti/ terreni (elenco ricette) senza dover modificare le macchine in quanto costruito su moduli container, totalmente indipendenti, facilmente trasportabili e dotati di un proprio quadro elettrico.

I servizi

Le attività principali svolte da Baioni sono state le seguenti: • sviluppo dell’impianto in 3D; • studio di ottimizzazione dei processi per determinare la configurazione ottimale; • redazione di tutte le fasi del processo; • stima del costo dell’impianto; • redazione di tutte le fasi di progettazione dell’intera linea tecnologica; • preparazione di tutte le specifiche relative alla fornitura delle macchine; • redazione di tutte le funzionalità dell’impianto e dei relativi manuali per la formazione; • fornitura di tutte le istruzioni per il “commissioning” e l’avviamento dell’impianto; • formazione degli operatori; • collaudo e avviamento.

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Soluzioni integrate - descrizione delle tipologie delle opere e processo

L’intera progettazione e le specifiche relative alla fornitura delle macchine sono state approvate nei primi mesi del 2015, le attività di “commissioning” e collaudo sono attese per la primavera di quest’anno. L’intervento consiste nell’introduzione di un’attività di grande valenza ambientale che permette il trattamento di rifiuti contaminati da vari inquinanti finalizzata al recupero di una parte molto pregiata di terreno che altrimenti andrebbe persa.I rifiuti in ingresso sono infatti suoli/melme contaminate mentre in uscita si hanno materiali puliti e riutilizzabili, come sabbia e ghiaia, che verranno reimpiegati come materie prime secondarie, ad esempio come stabilizzante per sottofondi stradali, come filler per conglomerati bituminosi o, addirittura, come materiale impermeabilizzante e coibentante nelle discariche, mentre la frazione residua saranno fanghi da destinare allo smaltimento in impianti autorizzati. La bonifica attraverso la tecnica del soil washing ha come obiettivo la massimizzazione del recupero delle materie prime dai rifiuti, in un’ottica di sviluppo sostenibile. Il tutto nel pieno rispetto della normativa di riferimento per le attività specifiche dell’Unità Operativa Ambiente rappresentata dal D.Lgs. 152/06 “Norme in materia ambientale”, testo che disciplina a livello nazionale la gestione dei rifiuti, le bonifiche del sottosuolo, la gestione degli scarichi idrici e delle emissioni in atmosfera, nonché dalle delibere regionali e dai regolamenti tecnici che dettagliano e integrano le leggi nazionali a livello locale. Il funzio-

namento dell’impianto di trattamento di soil washing Baioni sfrutta le diverse proprietà chimico fisiche delle particelle che compongono il suolo e di quelle dei contaminanti presenti, per ottenere il lavaggio della frazione granulometrica più grossolana (ghiaia e sabbia) da riutilizzare e l’addensamento della contaminazione in quella più fine, eventualmente da conferire a discarica. Tale impianto è costituito principalmente dalle seguenti stazioni di processo, assemblate tra loro su moduli container: • tramoggia di carico e gruppo di alimentazione; • unità di lavaggio e selezione; • unità di lavaggio della ghiaia; • gruppi di idrociclonatura e frizionatura; • impianto di trattamento acque (chimico-fisico); • impianto di trattamento fanghi (chiarificatori e filtropressa). Il terreno viene inviato allo skid di sfangamento dove, per mezzo della sfangatrice a tamburo ST200 a doppia camera di lavaggio in lamiera antiusura, con finitura conforme alla norma ISO 12944 per ambienti corrosivi C4, viene energicamente lavato e frizionato. Il materiale di risulta viene classificato in sabbia, ghiaia, e materiale organico; questi procede poi su un separatore vibrante dove viene asciugato e convogliato in un punto di raccolta per l’ulteriore smaltimento. Il materiale più grossolano >5 mm passa invece allo skid lavaggio: qui infatti le ghiaie vengono trasferite a una recuperatrice a coclea RC90 per subire un ulteriore controlavaggio e infine vengono stoccate per il loro recupero. Si procede in seguito allo skid di ciclonatura composto da due idrocicloni, uno primario e uno secondario; i ma-


teriali più fini 0-5mm vengono introdotti in una prima unità di lavaggio sabbia GRF1 e separati con un taglio intorno ai 70 micron. Il >70 micron passa poi alla cella di attrizione BAIBAC dove i contaminanti vengono liberati dalle superfici delle particelle più fini tramite attrito e frizionatura. Il materiali in uscita dalla cella di attrizione, le sabbie appunto, vengono introdotti in una seconda unità di lavaggio GRF2 dove subiscono un ulteriore lavaggio, vengono vagliati, disidratati e infine stoccati. Segue lo skid trattamento torbida: le acque contaminate in uscita dal primo ciclone passano al trattamento chimico-fisico in cui subiscono un processo di trattamento di depurazione totale con lavaggi speciali composti da acqua, additivi e reagenti chimici. Lo skid dell’impianto del chimico-fisico è qui composto da tre vasche – coagulazione, neutralizzazione e flocculazione – e da contenitori dotati di pompe dosatrici per reagenti chimici. Dal trattamento chimico-fisico le torbide contengono ancora gli inqui-

nanti, pertanto si procede al processo di trattamento dei fanghi e delle acque attraverso due sedimentatori/chiarificatori. La separazione fra le particelle e il chiarificato viene accelerata con l’aggiunta di agenti flocculanti. Il fango viene ispessito sul fondo della vasca. Il fango in uscita verrà quindi avviato a una filtropressa affinché il materiale solido e l’inquinante vengano opportunatamente disidratati per essere conferiti verso siti di smaltimento autorizzati. La filtrazione consente, rispetto alla sedimentazione, una maggiore concentrazione finale della torbida (anche 70% di SS). L’acqua chiarificata a questo punto è depurata e quindi viene utilizzata per la sua reintroduzione nel ciclo produttivo dell’impianto. La realtà Baioni è in continua evoluzione, sempre attenta e sensibile alle tematiche ambientali e alle strategie tematiche per la protezione del suolo e del waste management prescritte dall’Unione Europea. Sostiene quella che è stata definita “economia circolare” volta al recupero e al riutilizzo

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come base di un nuovo modello di sviluppo economico, capace di proteggere l’ambiente, limitare i rifiuti, creare posti di lavoro e riusare le materie prime preziose. Per questo, sfruttando gli anni di esperienza nel settore minerario, la società è in grado di garantire la corretta concezione di qualsiasi linea tecnologica sulla base delle specifiche del suolo da bonificare ed è capace di fornire un adeguato supporto per la gestione e per la formazione del personale grazie al suo specifico staff di tecnici. Baioni è convinta che, assieme a ciascun partner o cliente, si possono creare le basi per un’economia a tutela del territorio, per creare lavoro, per difendere l’ambiente, per risparmiare, abbassando i costi per lo smaltimento dei rifiuti, mantenendo sempre alti standard qualitativi. L’esperienza dell’impianto mobile di trattamento con soil washing e i futuri impianti concepiti secondo questa logica, sono un esempio di approccio verso una “economia circolare” in Italia. *Baioni Crushing Plants

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Usata con cura Prendersi cura delle proprie cose perché la passione e il rispetto per il proprio lavoro SONO ciò che lega il passato al futuro di Laura Veneri

A

lla Fercart di Montagnana, in provincia di Padova, c’è un cartello che non passa inosservato: “L’attrezzatura e gli automezzi sono un bene di chi li usa. Usali con cura”. È stato messo perché per la famiglia Paolieri, trattare bene le cose che si possiedono è il principio guida del loro modo di lavorare. Un mestiere di famiglia, che è iniziato appena terminata la seconda guerra mondiale, quando il nonno Tiberio Paolieri, si è trasferito in provincia di Padova dalla Toscana in cerca di fortuna. E qui è rimasto iniziando la sua attività di recupero carta da macero, stracci e rottami. Poi, nel corso degli anni, i figli hanno indirizzato il settore di attività soprattutto sul recupero dei ferrosi e dei metalli, che specialmente negli anni ’80 poteva dare maggiori

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opportunità di sviluppo. Oggi il business si concentra per la maggior parte nel reperimento degli sfridi di lavorazione della lamiera o da attività di torneria metalmeccanica e da recupero del materiale proveniente da raccolta differenziata (isole ecologiche). “Lavoriamo molto – ci spiega Davide Paolieri, nipote del fondatore - grazie ai container scarrabili che forniamo alle aziende produttrici di sfrido di lamiera. Abbiamo una piccola parte del nostro lavoro che è dedicata all’autodemolizione, però è un settore marginale, che abbiamo tenuto per dare un servizio in più all’ambito locale”. L’azienda si occupa anche di decommissioning di impianti industriali e di demolizione e smantellamento di strutture presso terzi. Tra i cantieri più importanti che hanno effettuato si può ricordare la demoli-


zione dello stabilimento De Longhi di Treviso nel 2007 e, più recentemente, la dismissione della Zincatura a caldo di Loreo (RO). Davide Paolieri lavora in azienda con il cugino Cristiano e i rispettivi padri, Enzo e Tiziano, figli del fondatore. L’azienda è estremamente pulita e ben organizzata: nei piazzali i cumuli sono ordinati e i cassoni per i rifiuti sono catalogati. Ma d’altronde come potrebbe essere altrimenti con il monito che è scritto all’ingresso? Ci soffermiamo durante la nostra visita alla Fercart per vedere all’opera una vecchia cesoia che lavora in azienda da ben 12 anni. È Cristiano Paolieri che guida il cingolato e ci mostra come, nonostante gli anni di lavoro, la cesoia sia ancora precisa nel taglio. Ma questi sono i suoi ultimi giorni di lavoro perché verrà a breve sostituita con una nuova e più performante. “Abbiamo deciso di sostituirla - ci spiega - con un prodotto più moderno, con nuove caratteristiche tecniche ma rinnovando sempre la fiducia in Trevi Benne, che ci ha proposto una cesoia di ultima generazione con alcune specifiche adattate alle nostre esigenze di lavoro quotidiano. Abbiamo chiesto delle modifiche nella parte idraulica, suggerendo di spostare le valvole per i tubi dell’olio sul retro, per una maggiore praticità operativa. Siamo stati subito ascoltati e l’azienda ci ha affiancato un disegnatore per qualche giorno per studiare insieme le opportune variazioni. Una personalizzazione che ci ha dimostrato ancora una volta quanto Trevi Benne sia attenta alle esigenze dei propri clienti”. Ma, ci chiediamo, tutte le attrezzature hanno una vita così lunga? A risponderci è Christian Tadiotto, marketing manager Trevi Benne Spa, che ci spiega che questa cesoia è un’eccezione, ma che conferma la regola che se si curano gli strumenti, durano molto di più: “è stata tenuta sempre con il massimo rispetto ed è sempre stata eseguita una manutenzione costante seguendo scrupolosamente il manuale d’uso, grazie anche alla vicinanza del cliente con la nostra azienda. Abbiamo stabilito una stretta collaborazione per tenerla sempre efficiente soprat-

Da sinistra Davide Paolieri, Christian Tadiotto e Cristiano Paolieri

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tutto perché la cesoia è una macchina molto delicata. Durante la lavorazione ogni materiale da tagliare è a sé ed è l’esperienza dell’operatore a fare la differenza: individuare il punto di nervatura più debole per effettuare un taglio efficace e lineare evitando di danneggiare le lame”. La nuova cesoia Fercart è una Marilyn modello CS 55RS studiata per i professionisti del riciclaggio dei rottami e materiali di ferro. È stata presentata in anteprima allo stand Trevi Benne al Bauma di Monaco e mostra una nuova verniciatura di colore grigio - verde militare. Ogni anno passano alla Fercart oltre 60.000 tonnellate di rottami da differenziare e valorizzare. “Oltre al ritiro presso le aziende che ci forniscono gli sfridi di lavorazione di materiali definiti, - spiega Davide - quando ritiriamo dalle isole ecologiche, abbiamo materiali molto disomogenei tra loro. Molti prodotti sono composti da diverse leghe, come ad esempio alluminio o rame e questi rifiuti per poter essere valorizzati devono essere cerniti a mano”.

Un operatore seleziona ogni pezzo di provenienza non industriale, lo taglia, lo separa a seconda delle varie leghe di composizione e lo differenzia in appositi cassoni per il successivo recupero. “Pensiamo ad esempio all’antenna della Tv - continua Davide - è tutta in alluminio ma il supporto è in ferro e dentro c’è del filo di rame che alimenta la corrente. Quindi abbiamo tre materiali in un unico prodotto che vanno selezionati. Solo con una selezione manuale riusciamo a valorizzare materiali nobili che hanno un valore economico. Quando non è possibile fare questo trattamento, il materiale viene invece trattato in un impianto di macinazione”.

CESOIE CS 55RS

Peso

kg.

5900

A

mm.

780

B

mm.

690

C

mm.

1000

L

mm.

3905

X

t.

700

Y

t.

290

Z

t.

160

Pressione di esercizio

bar

340

Portata olio

l/min.

400 / 500

Pressione rotazione max

bar

140

Portata olio rotazione max

l/min.

30

CESOIE IDRAULICHE MARILYN SERIE CS Le cesoie Marilyn sono pensate ad hoc per i cantieri di demolizione industriale, che necessitano di forze di taglio rilevanti ad altezze considerevoli e per i professionisti del riciclaggio dei rottami e materiali di natura ferrosa. La gamma di cesoie Serie CS vanta 14 modelli, dalla più piccola del peso di 300 kg alla imponente CS 200RS di 19.160 kg. Oltre alle dotazioni standard – rotazione idraulica a 360°, valvola moltiplicatrice di velocità, lame reversibili e regolabili mediante spessori – il modello CS 55RS presenta le caratteristiche tecniche delle cesoie CS di ultima generazione. Eccole nello specifico: 1. profilo aggressivo per avere maggiore penetrazione, 2. sistema di regolazione pattino reggispinta rinforzato, 3. lavorazione protezione lama, 4. piastra di protezione antiusura, 5. protezione totale flangia.

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L’impianto che coniuga geotermia e biomassa A fianco della centrale geotermica “Cornia 2” sorge un impianto a biomassa forestale di filiera corta che integra la produzione con 5 MW di potenza aggiuntiva di Bruno Vanzi

P

resso la centrale elettrica “Cornia 2”, nel Comune di Castelnuovo Val di Cecina, Enel Green Power ha inaugurato il primo impianto al mondo che integra geotermia e biomassa. L’impianto, allacciato alla rete elettrica nel luglio 2015, utilizza la biomassa per surriscaldare il vapore geotermico incrementando l’efficienza energetica e la produzione elettrica del ciclo geotermico. All’impianto esistente è stata infatti affiancata una piccola centrale alimentata a biomasse vergini di “filiera corta”, di origine forestale prodotte in un raggio di 70 km calcolato in linea d’aria dalla collocazione dell’impianto: grazie alla biomassa, il vapore in ingresso alla centrale è surriscaldato per passare da una temperatura iniziale compresa tra 150 - 160°C a una di 370 - 380°C, co-

sicché aumenta la potenza netta per la produzione di elettricità sia per la maggiore entalpia del vapore, sia per il rendimento del ciclo legato alla minore umidità nella fase di produzione. L’investimento di Enel Green Power è stato di oltre 15 milioni di euro. Si tratta di un’innovazione tecnologica di grande valore perché è a impatto ambientale vicino allo zero, integra un insediamento industriale già esistente, mantiene la totale rinnovabilità della risorsa e del ciclo e anzi coniuga due fonti rinnovabili per una produzione che apre nuovi scenari a livello internazionale. La potenza di 5 MW incrementa la producibilità di oltre 30 GWh/anno e complessivamente l’operazione consente un risparmio ulteriore di CO2 che supera le 13.000 tonnellate annue. Molto importante anche la ricaduta

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occupazionale che, tra gestione diretta e indiretta per il reperimento della risorsa nel processo di filiera corta, conta dai 35 ai 40 addetti. Altri benefici derivano dall’uso efficiente dei sottoprodotti agricoli e agroindustriali, dalla manutenzione ottimale del patrimonio forestale con conseguente prevenzione del rischio idrogeologico, dallo sviluppo sostenibile delle colture energetiche e dalla significativa disponibilità di calore di tipo coogenerativo. “Questo impianto ha molti punti a favore - ha commentato l’Assessore all’Ambiente della Regione Toscana Federica Fratoni - per prima cosa coniuga due tecnologie che partono da fonti rinnovabili, geotermia e biomasse, che migliorano le performance e sviluppano una economia tutta locale legata alla filiera corta del legno riducendo le emissioni in atmosfera”. “La fase dello sviluppo in grandi numeri della geotermia è finita. Per questo ha sottolineato l’assessore - dobbiamo puntare sull’innovazione tecnologica e consentire, dove ci siano le condizioni, e in perfetta sintonia con i territori, lo sviluppo di nuove frontiere come la media e la bassa entalpia”. “Lo sforzo di tutti non può che essere quello di favorire una diffusione della geotermia che faccia da motore ad uno sviluppo economico adeguato. Questo - ha concluso - partendo dall’assunto che la geotermia è una fonte rinnovabile e controllata e il suo utilizzo avviene nel pieno rispetto dell’ambiente”.

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PR OGE TTI

E

TE CNO L O G I E

BONIFICA DELL’AREA COLLINA DELLO STABILIMENTO DI MANTOVA PROGETTAZIONE DI UN INTERVENTO COMPLESSO FINALIZZATO AL CONFINAMENTO IDRAULICO E ALLA RIMOZIONE DI RIFIUTI E TERRENI CONTAMINATI di C. Presutti*, C. Montella*, C. Belforti**, A. Piazza**, A. Pengo** e M. Polli**

L

o stabilimento multisocietario di Mantova, realizzato a partire dai primi anni ’60, è stato caratterizzato da molteplici attività produttive tra cui lo stoccaggio di idrocarburi aromatici, la produzione di polimeri stirenici e la presenza di impianti cloro-soda. L’area denominata “Collina”, situata all’estremo sud dello stabilimento, venne utilizzata da Montedison dai primi anni ’60 fino alla fine degli anni ’70 per l’accumulo di residui di lavorazione del petrolchimico, ed è diventata successivamente proprietà di Syndial (Eni) che si sta occupando dell’intervento di risanamento ambientale. Syndial ha ereditato quest’area e molti altri siti inquinati, derivanti da attività industriali storiche assegnate a Eni ex Lege negli anni ’80, con lo scopo di bonificarli e restituirli a nuova vita. Syndial a partire dal 1999 ha presentato per l’Area Collina diversi progetti di bonifica, il più recente dei quali (novembre 2007) è stato autorizzato, il 14 giugno 2011 in via provvisoria e con prescrizioni, con Decreto del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare.

Nello specifico, l’intervento è finalizzato alla completa asportazione dei rifiuti allocati e dei terreni contaminati e al loro conferimento in impianti esterni autorizzati. Le indagini di caratterizzazione, eseguite sin dal 1998, hanno permesso di definire in circa 265.000 mc (circa 330.000 ton), il volume dei materiali che dovrà essere rimosso con profondità massima dello scavo, in alcune porzioni dell’area, pari a circa 11 metri dal piano campagna. Questi materiali sono costituiti essenzialmente da residui e scarti di lavorazioni industriali. Syndial, a fronte del decreto autorizzativo e per dar seguito alle prescrizioni

in merito agli approfondimenti geotecnici, ha eseguito una serie di successive campagne di indagine, durante le quali sono state condotte prove di sito e di laboratorio finalizzate a caratterizzare dal punto di vista geologico/geotecnico i depositi costituenti la successione stratigrafica dell’area Collina entro i primi 25 m di profondità da piano campagna e i rifiuti e i terreni di riporto che costituiscono lo strato più superficiale dei depositi presenti in Area Collina; inoltre, acquisire informazioni di dettaglio sull’assetto morfologico e piezometrico dell’area, tramite l’esecuzione di attività di rilievo topografico e la realizzazione di piezometri. La progettazione esecutiva è stata su-

INQUADRAMENTO GENERALE DELL’INTERVENTO

L’area “Collina” ha un’estensione di circa 5 ettari ed è costituita da 4 subaree: area Cratere, area Nord Cratere, area Est Cratere e area Depressa.

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P ROG ETTI

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TE CNO LO GIE

getto della successiva attività di bonifica e garantire, durante la successiva attività di rimozione del materiale contaminato, la stabilità del fronte di scavo sul perimetro delle diverse aree suddivise dai palancolati stessi. DESCRIZIONE DEL PROGETTO Il confinamento idraulico è stato reL’intervento di rimozione dei materiali alizzato con la costruzione di un papresenti in Area Collina, prevede 5 fasi: lancolato metallico continuo. I punti di • allestimento del cantiere; • realizzazione della palancolatura unione tra i singoli elementi metallici (gargami) sono stati trattati con l’inperimetrale e delle opere di sosteserimento di giunti in materiale poligno propedeutiche allo scavo; • realizzazione del nuovo impianto merico impermeabile. Il confinamento idraulico delle aree è stato poi comdi trattamento acque; pletato alla base infiggendo la barriera • scavo e smaltimento; • rinterro e ripristino dello stato dei (lunghezza pari a 25 m) per almeno 70 cm nello strato continuo di limi argilloluoghi. si a bassa permeabilità presenti a una Le attività, iniziate a fine 2014 con l’aprofondità massima di -24 m rispetto pertura del cantiere e la realizzazione al livello del piano campagna. delle piste di cantiere propedeutiche A seguito dei risultati delle indagini gealle fase successive, saranno compleotecniche eseguite a partire dal 2011, è tate entro il 2022. stato quindi possibile ottimizzare il paIl palancolato di conterminazione, che lancolato dimensionando, a seconda è stato completato a fine dicembre della profondità di scavo prevista, tre 2015, ha il duplice scopo di confinare diverse tipologie: idraulicamente l’area contaminata og• tipo 1: utilizzato per IL PROGETTO IN NUMERI profondità di scavo attese fino a -6,00 m rispetto al piaEstensione area Collina ca. 5,5 ettari no campagna; Lunghezza del palancolato infisso ca. 1.700 m • tipo 2 (combi-wall): utilizzato per profondità di Altezza elementi metallici 25 m scavo fino a -9,00 m rispetto al piano campagna, costituito Elementi metallici infissi ca. 1.250 da una parete combinata rePeso totale del palancolato ca. 9.200 ton alizzata con tubi e palancole; pervisionata e validata dal Prof. Ing. Mario Manassero, Professore Ordinario di Geotecnica del Politecnico di Torino.

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tipo 3 (combi-wall): utilizzato per profondità di scavo fino a -11,00 m rispetto al piano campagna, costituito da una parete combinata realizzata con tubi e palancole. Per l’infissione del combiwall è stata utilizzata una guida in profilato metallico (dima di posizionamento). Tale tipologia di guida è stata concepita in modo da essere auto-centrante: infatti, essa presenta tre alloggiamenti per l’inserimento dei pali, due dei quali servono per posizionarla e sostenerla mediante l’appoggio su due pali già infissi, mentre il terzo individua la sede per l’infissione del palo in avanzamento. Ciascun alloggiamento è dotato di rulli in teflon per consentire lo scorrimento in asse del palo evitando danneggiamenti. Sono inoltre presenti anche una coppia di rulli metallici che scorrono lungo i gargami saldati al palo, e che vincolano il palo impedendogli la rotazione attorno al suo asse principale durante l’infissione: in tal modo, si garantisce la posizione da disegno dei gargami, per il successivo inserimento della palancola. Le operazioni di infissione dei palancolati sono state condotte in prossimità di elementi sensibili dello stabilimento (tubazioni per il trasporto di sostanze chimiche, colonna di processo, vasche interrate, linea antincendio, serbatoi). Per questo motivo è stato eseguito un attento monitorag-


gio delle vibrazioni durante la fase di infissione. Il monitoraggio è stato continuo proprio per permettere il risettaggio o l’arresto dell’attività d’infissione ogni qual volta la velocità di vibrazione nel terreno, in adiacenza agli elementi sensibili, avesse oltrepassato la soglia di sicurezza. L’infissione degli elementi è avvenuta mediante l’impiego di vibroinfissori ad alta frequenza (HF) e ad alta frequenza variabile (HFV). Tra le attività propedeutiche necessarie allo sviluppo della progettazione, particolare rilevanza ha rivestito la ca-

ratterizzazione in situ dei rifiuti/terreni contaminati (eseguita nel 2013), che ha permesso di conoscere le caratteristiche chimico-fisiche e merceologiche del materiale oggetto di scavo prima della sua “messa a giorno”, nonché di aggiornare le planimetrie e le volumetrie dei materiali da scavare mediante la verifica dei quantitativi di rifiuti/terreni da conferire in impianti di smaltimento/recupero off site. Tutto ciò ha permesso quindi di individuare i possibili impianti idonei allo smaltimento/recupero finale localizzati sia sul territorio italiano, sia in Euro-

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pa (soprattutto per i rifiuti destinabili a incenerimento).

L’AREA CRATERE

L’area denominata “Cratere” (R1c) costituisce una delle macroaree in cui è stata suddivisa l’area “Collina”. L’area Cratere è caratterizzata da alcune peculiarità, tra le quali una delle più limitanti dal punto di vista operativo è l’impossibilità di accedere con mezzi d’opera al suo interno a causa della bassa consistenza e portanza degli strati superficiali di rifiuto e terreni riportati, il cui spessore medio risulta

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pari a circa 8 metri. Il comportamento meccanico del rifiuto/riporto qui presente, assimilabile a quello di un materiale plastico/viscoso, e le sue caratteristiche di portanza estremamente ridotte comportano, quindi, vincoli significativi in termini di apparecchiature utilizzabili per la rimozione, mentre la presenza di sostanze pericolose pone problematiche in materia di mitigazione degli impatti ambientali degli interventi. Inoltre, le caratteristiche del rifiuto richiedono l’adozione di accorgimenti tecnici particolarmente complessi e articolati per la gestione dei materiali.

Soluzione di progetto

La soluzione di progetto per lo scavo, lavorazione e confezionamento dei terreni/rifiuti prevede l’impiego di strutture portanti in palancolati e travi in acciaio per il sostegno delle pareti di scavo e per il supporto delle piattaforme di lavoro dei mezzi di infissione e di scavo. Il progetto prevede, per la rimozione dei rifiuti, l’impiego di opere provvisionali complesse, realizzate con criteri tecnologici mutuati dall’ingegneria marittima, necessarie per consentire il transito e l’operatività dei

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mezzi d’opera e al tempo stesso per confinare il materiale durante le attività di scavo, al fine di minimizzare gli impatti dell’attività sull’ambiente. La realizzazione delle opere provvisionali consiste nell’infissione in avanzamento di pareti combinate in pali in acciaio e palancole a tenuta, con montaggio, in sovrapposizione ai pali, di un impalcato metallico che ha funzione di sostegno delle macchine per l’infissione e per lo scavo, che operano dalla sommità dello stesso. Tutte le attività di scavo, movimentazione e confezionamento del materiale estratto verranno poi eseguite in un’area confinata dinamica attraverso la realizzazione di una tendostruttura mobile che confina l’area di scavo. La soluzione individuata consente di operare in sicurezza e di effettuare tutti gli scavi senza conseguenze per le opere limitrofe.

Esecuzione prova pilota

Data la complessità progettuale dell’intervento e il suo contenuto di innovazione, è emersa la necessità di valutare in campo la fattibilità delle scelte progettuali effettuate. Infatti, tra ottobre 2014 e febbraio 2015, è stata eseguita una prova pilota

per la valutazione e sperimentazione delle tecnologie di scavo, lavorazione e confezionamento del rifiuto presente in quest’area. La prova in campo ha permesso di: 1. verificare l’efficacia delle opere di sostegno previste; 2. individuare modalità di scavo e movimentazione dei materiali; 3. individuare i mezzi più idonei all’operatività; 4. definire le condizioni di sicurezza, da adottare nel progetto “fullscale”; 5. individuare le modalità di confezionamento del rifiuto allineate con le successive attività di trasporto e di smaltimento per il conferimento finale; 6. caratterizzare i rifiuti e i terreni contaminati presenti nell’area di interesse sia da un punto di vista ambientale che meccanico.

TEAM DI PROGETTO SYNDIAL

Cecilia Presutti, Program Manager Area Nord Carlo Montella, Project Manager Mantova Vincenzo Mastromauro, Delegato Lavori Mantova Umberto Bracchi, Delegato lavori Mantova *Syndial S.p.A. **MWH S.p.A.


Intervista a Carlo Montella, Project Manager Syndial (Eni) dell’intervento “Collina” Può spiegarci quali sono le peculiarità di questa complessa bonifica? La complessità e le dimensioni dell’intervento Collina possono essere descritte iniziando con un po’ di numeri: 1.100 sondaggi di caratterizzazione ambientale e geotecnica, 330.000 tonnellate di rifiuti che andranno a smaltimento e oltre 1,7 km di palancolati infissi nel terreno. Il progetto di bonifica autorizzato dal Ministero dell’Ambiente è dunque caratterizzato da un elevato grado di complessità, non solo dal punto di vista delle tecnologie applicate, ma anche per i forti vincoli operativi ambientali e di sicurezza, derivanti dalla tipologia di contaminazione presente in sito e dall’adiacente Parco del Mincio. Ad esempio, relativamente alla fase di rimozione dei rifiuti/terreni (330.000 tonnellate), con la supervisione tecnica dell’Università delle Marche e con la collaborazione di un team di igienisti ambientali, è stato elaborato un approfondito studio modellistico, di notevole peso scientifico, con lo scopo di valutare la potenziale diffusione di sostanze inquinanti nelle zone circostanti l’area di lavoro. Alla luce dei risultati acquisiti, già illustrati preliminarmente agli enti locali, in considerazione anche della durata dell’intervento, Syndial ha deciso di affrontare l’attività di scavo in ambiente confinato, con lo scopo di assicurare la salute e la sicurezza dei lavoratori e la tutela dell’ambiente. Si scaverà quindi in area confinata? Si, è prevista la realizzazione di una tendostruttura delle dimensioni di circa 70x75 metri, per un’altezza di circa 12 metri. La particolarità di questa tendostruttura è che non sono previsti ripetuti montaggi e smontaggi, ma un sistema di movimentazione in parallelo all’avanzamento dei lavori di scavo mediante binari mobili spinti da martinetti idraulici. Per quanto concerne la sicurezza, questo cantiere aderisce al “Patto della Sicurezza Syndial”. Di cosa si tratta esattamente? Il progetto Collina, come altri cantieri di Syndial, aderisce al Patto della Sicurezza, un vero e proprio impegno con le imprese terze che vi lavorano. Il Patto è finalizzato a ottimizzare la sicurezza degli operatori impegnati e garantire l’obiettivo “zero infortuni”. Il Patto che abbiamo stipulato non è un atto simbolico ma un insieme di regole e controlli volti a ridurre i pericoli del personale addetto attraverso numerosi strumenti pratici tra i quali: sicurometro, informazioni in ingresso, check list di verifica delle condizioni di sicurezza, verifica dei mezzi operativi, patente per le mansioni “critiche”, campagne di prevenzione e un sistema di interviste per lavoratori e preposti. Questa iniziativa, che richiede un attento coordinamento da parte di Syndial, ha dato ottimi risultati in quanto mira a responsabilizzare e a coinvolgere nella gestione della sicurezza tutta la filiera, dall’operatore in campo, ai preposti, fino al datore di lavoro. Inoltre, preliminarmente all’inizio delle attività, sono stati redatti e condivisi con gli Enti Competenti il piano di monitoraggio ambientale (attraverso l’allestimento di postazioni multifunzione di monitoraggio ambientale fisse e misurazioni puntuali mediante strumentazione portatile), che è finalizzato a individuare ed eventualmente quantificare eventuali impatti generati dalle attività, e il piano di monitoraggio biologico, a cui è sottoposto tutto il personale operante nelle aree di cantiere, al fine di monitorare l’eventuale accumulo organico. Lei è il project manager dell’intervento, ci può fornire qualche dato sull’impegno economico del progetto? Syndial nel sito di Mantova ha speso circa 46 milioni di euro, non solo per il progetto Collina, ma anche per operazioni di messa in sicurezza di emergenza, per le misure di prevenzione della falda e la realizzazione dell’impianto di trattamento acqua, nonché per altri interventi di bonifica presenti nelle aree di proprietà. Per il progetto Collina a oggi sono stati spesi circa 25 milioni di euro; al termine dei lavori si prevede di arrivare a una spesa complessiva di circa 150 milioni di euro. Come è strutturata la gestione del cantiere e il rapporto con gli enti preposti? In cantiere sono mediamente presenti, oltre allo staff Syndial, 10 imprese con una media giornaliera di 30 persone. La complessità del progetto ha comportato la necessità di strutturare un team tecnico e di controllo con diverse figure professionali. È importante ricordare che il progetto Collina è inserito nell’Area del SIN Mantova perciò tutto l’iter è stato assoggettato ad approvazione da parte del Ministero e degli Enti territoriali. È un progetto particolarmente complesso: dal 2011, anno dell’emissione del decreto ministeriale di autorizzazione, al 2014, sono state svolte una serie di indagini preliminari in sito, senza le quali non avremmo potuto iniziare le attività, compreso il procurement per la scelta dell’impresa. Dopo aver completato a dicembre scorso, in nove mesi di lavoro, il confinamento perimetrale dell’area, mediante un sistema di palancolatura, a fine aprile è stata conclusa la realizzazione dei setti interni, necessari al sostegno per la successiva fase di scavo; in particolare, sono stati infissi ulteriori 376 elementi metallici di 25 m di lunghezza, per un tracciato di 514 m; pertanto, il numero complessivo di elementi infissi nel sottosuolo è pari a 1.244, per un tracciato totale pari a 1.718 m. Syndial ha anche aggiornato il Piano di monitoraggio delle acque di falda, nel rispetto di quanto previsto dal Progetto Operativo di Bonifica e delle osservazioni formulate da Arpa nell’ambito della reportistica trasmessa relativamente ai monitoraggi periodici; il documento prevede la realizzazione di ulteriori punti di controllo con lo scopo di verificare l’efficacia delle opere realizzate e garantire il mantenimento delle condizioni di protezione ambientale. Entro il mese di maggio, nel rispetto delle prescrizioni del decreto autorizzativo, sarà trasmesso agli Enti locali per approvazione, il “Piano Scavi”, contenente, oltre alla sintesi degli studi modellistici elaborati, la descrizione delle modalità operative con cui si intende realizzare la rimozione rifiuti; in particolare, dopo una fase preliminare di scotico, necessaria a installare le opere civili, sarà montata una tendostruttura mobile, che si sposterà in coerenza con l’avanzamento progressivo del fronte di lavoro; l’opera sarà dotata di un opportuno sistema di aspirazione e trattamento dell’aria, che assicurerà l’assenza di fuoriuscite di vapori. Si prevede di completare l’implementazione del confinamento dinamico entro febbraio 2017. È in corso, inoltre, l’installazione dei nuovi moduli di trattamento acque, previsti dal progetto di bonifica; il 10 maggio scorso è stato avviato l’impianto nel quale saranno convogliate le acque meteoriche di ruscellamento superficiale dell’area Collina, mentre entro il mese di luglio sarà attivo anche il modulo di trattamento delle acque di dewatering/aggottamento, al fine di garantire lo scavo dei rifiuti in ambiente asciutto. Si evidenzia che, grazie a un confronto proattivo e a una proficua collaborazione instaurata con gli Enti locali, per tali impianti sono state acquisite, in tempi compatibili con il programma lavori, tutte le autorizzazioni necessarie sia alla realizzazione che alla gestione, tra cui il giudizio positivo alla valutazione di impatto ambientale.

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MICROEMULSIONE A BASE DI LECITINA PER IL BIORISANAMENTO POTENZIATO DI ACQUIFERI CONTAMINATi I RISULTATI DELLE APPLICAZIONI IN CAMPO PER LA BONIFICA DI COMPOSTI ORGANO-CLORURATI E CROMO ESAVALENTE di Alberto Leombruni e Mike Mueller*

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l giorno d’oggi, i processi di riduzione chimica In Situ (ISCR) e di declorurazione riduttiva potenziata (ERD) rappresentano delle tecnologie di bonifica economicamente vantaggiose e altamente efficienti dal momento che sono in grado di trattare con successo le concentrazioni di contaminanti, anche elevate, presenti in acquiferi contaminati da composti organo-clorurati. In generale, l’aggiunta di un substrato organico carbonioso, nella zona satura di un acquifero, è una tecnica ben conosciuta atta a favorire le reazioni enzimatiche riduttive convenzionali; questo fenomeno accade dal momento in cui nel sottosuolo il substrato tende a supportare la crescita di batteri autoctoni in falda. I batteri, infatti, nutrendosi del substrato in soluzione, favoriscono il consumo dell’ossigeno disciolto e degli altri elettro-accettori generando una riduzione del potenziale ossido-riduttivo dell’acquifero e, quindi, supportando anche le attività batteriche di declorurazione riduttiva potenziata (ERD). Nel settore delle bonifiche in situ di acquiferi contaminati da composti organo-clorurati, il processo di trattamento ERD rappresenta un approccio molto vantaggioso da un punto di vista economico rispetto ad

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uno di tipo ISCR, che invece si rivela più conveniente nel caso di condizioni sito-specifiche iniziali particolari (es. elevate concentrazioni di ossigeno disciolto o di solfati, elevate concentrazioni di contaminanti, etc.). Durante il processo di selezione del substrato elettro-donatore da utilizzare per ERD, il costo, la facilità di gestione e la longevità in falda del reagente costituiscono alcuni degli elementi principali di selezione da tenere in considerazione. Recentemente, la società americana PeroxyChem LCC ha introdotto, sul mercato delle bonifiche, sia un substrato emulsionato a base di lecitina (ELSTM Microemulsion) per applicazioni di tipo ERD sia il prodotto EHC® Liquid per applicazioni di tipo ISCR. Entrambi i prodotti si basano su una microemulsione brevettata (ELSTM Microemulsion) a base di lecitina, polisaccaridi e fosfolipidi, in grado di fornire un rilascio graduale e controllato di

Figura 1. Struttura della fosfatidilcolina

idrogeno in fase acquosa, via fermentazione anaerobica, sia nel breve (zuccheri e polisaccaridi) che nel medio (lecitina) e lungo periodo (fosfolipidi/ acidi grassi), determinando un ambiente ottimale anaerobico-riducente per un periodo superiore a 3 anni, con una sola iniezione e accelerando i naturali processi di dealorespirazione riduttiva e di riduzione-precipitazione del cromo esavalente in trivalente. Inoltre, fermentando la microemulsione ELSTM, i batteri liberano anche una varietà di acidi grassi volatili (VFAs), come l’acido lattico, propionico, valerico e butirrico, i quali tendono poi a diffondersi dalla zona di applicazione e, quindi, di fermentazione al pennacchio di contaminazione eventualmente presente a valle, fungendo, quindi, a loro volta da elettro-donatori per altri batteri, compresi quelli dealogenatori. Il prodotto EHC® Liquid per ISCR risulta, invece, composto di due parti, una


Figura 2. Struttura molecolare di ELSTM Microemulsion (sinistra) e immagine al microscopio elettronico delle microgoccioline di lecitina al 25% di emulsione (destra)

a base di lecitina (Microemulsione ELSTM) ed un’altra a base di ferro ferroso opportunamente ingegnerizzato alla nanoscala al fine di favorirne la miscelazione con ELS e, quindi, l’iniettabilità. La parte a base di ferro ferroso favorisce il potenziamento dei processi biologici di trattamento dal momento che funge da veicolo di scambio elettronico. In particolare, il ferro ferroso genera, in combinazione con i solfuri che derivano dalla riduzione dei solfati, solfuri di ferro come pirite e macknawite. Quest’ultimi presentano la proprietà di degradare abioticamente i composti organo-clorurati attraverso i percorsi di ß-eliminazione (In situ Chemical Reduction).

fospolipidi, una volta metabolizzati dai batteri, sono in grado di rilasciare stabilmente e nel tempo nutrienti essenziali come azoto e fosforo, favorendo, quindi, la proliferazione microbica nelle applicazioni di tipo ERD. Pertanto, la lecitina offre dei vantaggi sostanziali rispetto ad altre tipologie

da caratteristica importante dei fosfolipidi è rappresentata dalla loro attività superficiale; infatti, dal momento che i fosfolipidi sono anfifilici, ossia simultaneamente idrofilici e lipofidici, risultano facilmente emulsionabili in acqua ed, inoltre, consentono la formazione di emulsioni stabili con micelle di piccole

CHE COSA È LA LECITINA?

La lecitina è una molecola complessa (Fig. 1) a base di fospolipidi (il principale costituente), trigliceridi, acidi grassi, carboidrati complessi, polisaccaridi e antiossidanti, come i tocoferoli (es. vitamina E). Questi elementi sono tutti presenti nelle cellule degli esseri viventi e fungono in natura da principali agenti a superficie attiva. Inoltre, classificata come GRAS (“Generalmente Riconosciuta come Sicura”) dalla “U.S. Food and Drug Administration”, la lecitina viene ampiamente utilizzata nell’industria alimentare, come ad esempio nei preparati per neonati, nella cioccolata e nei prodotti caseari. In particolare, i

Figura 3. Pennacchio di contaminazione da PCE (µg/L) e posizione dei punti di iniezione diretta DP (A÷R)

di substrati carboniosi fermentabili, soprattutto in acquiferi scarsamente ricchi di nutrienti, dal momento che presenta un quantitativo di nutrienti organici superiore ad altri substrati per ERD, che uniscono semplicemente lattato o olio vegetale a forme inorganiche di azoto e fosforo; infatti, i nutrienti organici vengono consumati rapidamente, precipitando come elementi non biodisponibili, oppure semplicemente lisciviati dal flusso di falda al di fuori della zona di trattamento. Una secon-

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dimensioni (60% <1μm e 85% <2μm). Queste caratteristiche permettono di applicare agevolmente il prodotto e di ottenere una buona distribuzione sotterranea nella zona di trattamento (Fig. 2). Pertanto, l’elevato peso molecolare e la struttura ramificata dei fosfolipidi rappresentano una fonte, durevole nel tempo, di carbonio e nutrienti nel caso di applicazioni ERD e ISCR. Il peso molecolare dei principali componenti della lecitina, fosfatidilcolina (PC) e fosfatidilinositolo (PE), risulta

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RISULTATI

Gli obiettivi di bonifica (PCE e TCE ≤1 µg/L) sono stati rapidamente raggiunti in 9÷12 mesi, ad eccezione di un piezometro (MW8) che presentava ancora valori di PCE≈5 µg/L dopo 1 anno di trattamento (Fig. 4 e Fig. 5). In generale, una riduzione di PCE superiore al 95% è stata osservata nelle zone di applicazione della microemulsione. I cometaboliti anaerobici di degradazione (es. 1,2 DCE e VC) sono rimasti al di sotto dei limiti previsti (≤10 µg/L) durante l’intero periodo di trattamento. Monitoraggi eseguiti per due anni consecutivi dall’applicazione hanno evidenziato l’assenza di fenomeni di rebound delle concentrazioni contaminanti e la tendenza dei parametri geochimici dell’acquifero a ristabilirsi secondo le condizioni pre-trattamento. Figura 4. Influenza di ELSTM Microemulsion sulle concentrazioni di PCE in falda

infatti pari a 760 g/mole e 744 g/mole rispettivamente, ossia circa il 300% maggiore rispetto ai principali componenti dell’olio di soia (acido linoleico: peso molecolare di 280 g/mole). Gli altri fosfolipidi contenuti nella molecola della lecitina presentano pesi molecolari simili. La ottime caratteristiche distributive del prodotto in falda, unitamente alla longevità e alla capacità di creare rapidamente condizioni riducenti, mostrano come i prodotti a base di lecitina siano assolutamente appropriati nel caso di applicazioni di tipo ERD e ISCR, presentando un’elevata resa tecnicoeconomica. Inoltre, le proprietà antiossidanti della lecitina, proteggendo i composti organici (es. enzimi e DNA) e inorganici (es. ferro ferroso, Fe+2) da reazioni ossidative indesiderate, rendono adatta la molecola anche in applicazioni di tipo ISCR dal momento che favoriscono l’aggiunta del ferro ferroso e, quindi, la creazione di una miscela liquida ISCR facile da applicare.

APPLICAZIONE IN CAMPO

Sia in Europa che in Italia sono state effettuate con successo applicazioni del reagente ELSTM Microemulsion e di quello EHC-Liquid. In particolare, di seguito si riportano i dettagli tecni-

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ci e i risultati di trattamento ottenuti mediante un’applicazione di ELSTM Microemulsion presso una lavanderia industriale dismessa, la cui falda presentava principalmente contaminazione residua da tetracloroetilene e tricloroetilene (Fig. 3); infatti, nonostante la sorgente primaria fosse stata asportata mediante scavo, le zone a valle (ca. 550 m2) presentavano ancora un pennacchio di contaminazione residuo con concentrazioni massime di PCE dell’ordine di 1.400 µg/L e di TCE pari a ca. 21.000 µg/L ed, inoltre, non erano presenti cometaboliti anaerobici di degradazione (es. DCE e CV). La matrice solida dell’acquifero era costituita principalmente da sabbie limose scarsamente permeabili e il livello piezometrico di falda si attestava indicativamente intorno a 3 m da piano campagna; la base dell’acquifero era rappresentata da argilliti poste a circa 4,3 metri dal piano campagna. Si è proceduto ad iniettare mediante tecnica “direct push” un totale di ca. 800 kg di ELSTM microemulsione concentrata, ugualmente ripartita verticalmente attraverso i 18 punti di iniezione previsti (Fig. 3) secondo un rapporto di diluzione di circa 1 kg di prodotto concentrato in 10 litri di acqua. Le attività di cantierizzazione sono durate circa 4 giorni.

*PeroxyChem Environmental Solutions, USA

Figura 5. Effetto di ELSTM Microemulsion sul pennacchio di contaminazione (concentrazioni prima del trattamento, 3 mesi e 9 mesi dopo il trattamento mediante ELSTM Microemulsion). Punti iniezione (arancione) / Curve isoconcentrazione di PCE (μg/L)


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Modellazione numerica dei fenomeni di attenuazione naturale Studio della contaminazione dell’acquifero in corrispondenza della discarica per rifiuti urbani non pericolosi di Zuclo (TN) di Fabiano Mussi*, Alberto Bellin** e Oscar Cainelli***

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dotato esclusivamente di un capping superficiale, ed un secondo utilizzato dal 1993 al 2015, costituito da un catino impermeabilizzato sul fondo. La superficie complessiva occupata dalla discarica è di circa 80.000 m2, equamente distribuiti tra i due lotti. Dal 2006, con il monitoraggio delle matrici ambientali nell’ambito del piano di sorveglianza e controllo previsto dal D.Lgs. 36/03, è emerso lo stato di contaminazione dell’acquifero sottostante la discarica. In particolare le analisi chimiche delle acque di falda hanno mostrato il superamento delle concentrazioni soglia previste dal D.Lgs. 152/06 per ferro e manganese. Di conseguenza è stata progressivamente potenziata la rete di monitoraggio della falda fino all’attuale configurazione di 24 piezometri distribuiti nell’intorno della discarica. Gli studi di caratterizzazione hanno evidenziato che tale contaminazione può essere attribuita a sostanza organica o percolato e, pur non riuscendo ad individuare né la reale posizione né le Comunità delle Giudicarie in Trentino e localizzazione della discarica di Zuclo caratteristiche della

a discarica per rifiuti urbani non pericolosi di Zuclo si trova al centro delle Valli Giudicarie nella piana in cui si congiungono la Valle Rendena, la Valle del Chiese e le Giudicarie Esteriori, tra gli abitati di Preore, Saone e Zuclo (Comuni di Tre Ville, Tione e Borgo Lares), sulla destra orografica del fiume Sarca. L’impianto raccoglie dal 1974 i rifiuti urbani prodotti nella Comunità delle Giudicarie (ex Comprensorio delle Giudicarie) a servizio di una popolazione residente di circa 38.000 abitanti. La discarica si compone di due distinti lotti: il primo, utilizzato fino al 1993,

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Discarica di Zuclo, lotto I e lotto II

sorgente, hanno indicato il lotto I della discarica come probabile responsabile. Oltre al problema ambientale, è stato evidenziato anche un problema gestionale relativamente alla produzione di percolato dal II lotto. Infatti dalla seconda metà degli anni 2000, senza cause apparenti, la quantità di percolato estratto ha subito un significativo aumento (da 11.000 tonn a 40.000 tonn in 5 anni), con ovvie conseguenze sui costi di gestione. Lo scopo dello studio è stato quello di riorganizzare tutte le informazioni disponibili per approfondire e migliorare la conoscenza delle problematiche ambientali e gestionali della discarica. Per questo fine è risultata fondamentale la modellazione numerica con la quale è stato possibile costruire uno strumento sito specifico di indubbia utilità anche per un eventuale progetto di messa in sicurezza e/o bonifica.


Percolato stimato con WBM a confronto con percolato smaltito (volumi cumulati)

Bilancio idrologico

In una prima fase lo studio si è concentrato sul bilancio idrologico del lotto II, con lo scopo di valutare se l’anomala produzione di percolato sia fisiologica e quindi dipendente dalle precipitazioni, oppure se sia scorrelata da queste ultime, per motivi non noti e da indagare. Con il Water Balance Method [1, 2], una metodologia semplificata basata sullo sviluppo di un bilancio idrologico riferito al bacino di discarica, è stata stimata la produzione mensile di percolato nell’ipotesi di un catino a perfetta tenuta, per gli anni dal 2004 al 2013. I volumi stimati sono stati quindi posti a confronto con i volumi effettivamente smaltiti, osservando che possono essere distinti due periodi con comportamento diverso: il primo quinquennio (2004-2008) ed il secondo quinquennio (2009-2013). Ponendo i volumi in forma cumulata si è osservato che il WBM descrive con buona approssimazione la produzione di percolato fino al 2009. Dopo il 2009 invece il percolato smaltito cresce con velocità maggiore rispetto alla stima, per cui il modello WBM non è più corretto. Questi risultati hanno indotto a mettere in discussione l’ipotesi di perfetta tenuta del catino di discarica del lotto II. Di conseguenza è anche possibile ipotizzare che il vecchio lotto di discarica (lotto I) non sia il solo responsabile della contaminazione dell’acquifero, ma anche il lotto II abbia un ruolo attivo, a causa della fuoriuscita di percolato dal fondo del catino.

Modellazione numerica (flusso e trasporto)

falda, attraverso un processo di calibrazione automatizzata (PEST – Model Indipendent Parameter Estimation) sono state individuate le conducibilità idrauliche dei vari materiali costituenti il sottosuolo che consentissero la migliore aderenza dei risultati numerici del livello freatico rispetto ai valori osservati. La soluzione numerica più vicina allo stato osservato, in termini di stato medio essendo una soluzione stazionaria, è stata assunta come soluzione di riferimento per il modello di flusso, e base di calcolo per la costruzione del modello di trasporto reattivo, volta a descrivere i processi di degradazione biologica della sostanza organica che avvengono in falda. Numerosi autori hanno descritto i processi ossidoriduttivi che avvengono in un acquifero contaminato da sostanza organica, per opera di microrganismi sia aerobi che anerobi [3, 4, 5, 6]. In relazione alla specie di elettron-accettore utilizzato per la degradazione della sostanza organica viene liberata una diversa quantità di energia (G°). In falda tali reazioni avvengono in forma sequenziale poiché i batteri degradatori innescano per prime le reazioni che liberano maggiore energia e successivamente, in cascata, altre reazioni meno efficienti. Si vengono così a creare successioni di zone redox lungo la direzione principale del flusso. Tale situazione è stata riscontrata nel presente caso di studio, dove, nella parte interna dell’area contaminata, le concentrazioni di inquinante sono mag-

Note le caratteristiche dell’area e le relative criticità, è stato elaborato un modello concettuale del sito sulla base del quale è stato creato il modello digitale utilizzato per le modellazioni numeriche. Innanzitutto sono stati definiti i limiti del domino, sulla base dell’orografia e dell’idrografia dell’area. La risoluzione della griglia orizzontale è stata fissata a 4x4 m mentre in verticale il dominio è stato suddiviso in tre layer. Come strumento per la costruzione del dominio e la successiva modellazione è stato utilizzato il software GMS (Aquaveo). La funzionalità Solids ha consentito, a partire dalle indagini stratigrafiche, la ricostruzione nel continuo della struttura geologica fino al substrato roccioso attraverso operazioni di interpolazione; dopodiché è stato possibile adattare il dominio di calcolo (griglia numerica) al modello geologico costruito con Solids. Il dominio così costituito è stato utilizzato per l’elaborazione del modello di flusso in regime stazionario dell’acquifero attraverso il codice MODFLOW (McDonald & Harbaug, 1988). Fissate le condizioni al contorno per quanto riguarda il livello di Dominio di calcolo con stratigrafia

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P ROG ETTI

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TE CNO LO GIE

Modello concettuale di zonazione redox di un acquifero contaminato

giori e sono attivi processi anaerobici come la metanogenesi e la riduzione di solfati, ferro e manganese. Al margine del plume, invece, la diffusione e la dispersione di ossigeno e nitrati alimentano le zone di degradazione aerobiche e anossiche. Per la modellazione dei fenomeni di trasporto e degradazione che avvengono nell’acquifero in studio, si è adottato il modello proposto da Rolle et al. 2008. A questo scopo si è ricorsi al modulo SEAM3D disponibile in GMS adattandolo alla modellazione del trasporto reattivo di 10 sostanze chimiche (di cui 8 mobili), attraverso un sistema di equazioni differenziali che simulano il consumo degli accettori di elettroni e la formazione dei loro sottoprodotti metabolici. L’adattamento di SEAM3D al modello cinetico di Rolle ha richiesto una fase di calibrazione prima dei parametri cinetici di ciascun analita, e poi dei parametri di trasporto legati al modello quali la diffusione molecolare e le dispersività orizzontale e verticale. La calibrazione dei parametri di trasporto è stata effettuata approntando un modello di trasporto non reattivo con il modulo MT3DMS utiliz-

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zato per un analita non reattivo (boro). Una volta regolati tutti i parametri necessari, si è proceduto allo studio del modello di trasporto reattivo per valutare dove possa avere origine la contaminazione e se vi siano ulteriori indicazioni a suffragio dell’ipotesi di fuoriuscita di percolato dal catino del lotto II.

Applicazione del modello

Il modello calibrato è stato utilizzato per valutare la probabile localizzazione della sorgente della contaminazione e se questa sia attribuibile esclusivamente al lotto I di discarica, come sostenuto dagli studi idrogeologici precedenti, oppure se vi sia un contributo anche da parte del lotto II. Operativamente sono state eseguite una serie di simulazioni modificando continuamente la posizione del punto sorgente. La posizione della sorgente che ha prodotto la soluzione numerica più simile alla contaminazione osservata sul campo è stata ritenuta la più probabile. Inoltre è stato valutato prima disgiuntamente e poi congiuntamente l’effetto di sorgenti di contaminazione poste nel lotto I e nel lotto II. In un primo momento si è valutato

l’effetto di una sorgente di contaminazione localizzata nel lotto I di discarica, come suggeriscono i precedenti studi commissionati dal gestore della discarica, notando che vi è sì una similitudine con i valori osservati, ma non completa. In particolare viene correttamente modellato il lato orientale del plume, ma non quello occidentale. Quindi si è passati a valutare l’area di influenza di una possibile contaminazione localizzata nel lotto II della discarica, dovuta ad una non perfetta tenuta del catino di fondo. In questo caso si è osservato che le concentrazioni generate descrivono con buona approssimazione le concentrazioni osservate solo nel lato occidentale del plume. Di conseguenza, si può ragionevolmente ritenere che la contaminazione osservata sia dovuta a due sorgenti: la prima, quella prevalente, localizzata nella pare di valle del lotto I; e la seconda, minoritaria, posta nella parte sud del lotto II. La modellazione dell’effetto cumulato delle due sorgenti ha confermato la bontà dell’ipotesi. *Comunità delle Giudicarie – Servizio Tecnico **Università degli Studi di Trento ***Smart Hydrogeological Solutions s.r.l.


Risultati Si propone l’esito della modellazione posta a confronto con i valori osservati in campo per ossigeno disciolto (OD), nitrati (NO3-), Manganese (Mn2+) e Ferro (Fe2+). Si nota che, in condizioni stazionarie, l’ossigeno disciolto risulta completamente consumato nella parte interessata dalla contaminazione. Coerentemente con il modello proposto da Rolle et al. anche i nitrati risultano degradati e in un’area leggermente inferiore rispetto a quella dell’ossigeno disciolto. Per quanto riguarda Fe(II) e Mn(II) si nota che il modello riesce a cogliere i due picchi di concentrazione con buona approssimazione sia in termini di valori assoluti di concentrazione che a livello spaziale. L’esito della modellazione può essere ritenuto buono, sebbene vi sia una certa incertezza da tenere in considerazione legata prevalentemente ai dati di partenza e alle semplificazioni adottate per la costruzione del modello concettuale, in particolare relativamente alle condizioni al contorno del modello di flusso.

Ossigeno disciolto, confronto tra soluzione numerica (sinistra) e valori osservati (destra)

Nitrati, confronto tra soluzione numerica (sinistra) e valori osservati (destra)

Manganese(II), confronto tra soluzione numerica (sinistra) e valori osservati (destra)

Ferro(II), confronto tra soluzione numerica (sinistra) e valori osservati (destra)

Conclusioni e ulteriori sviluppi

La modellazione numerica dei processi di attenuazione naturale ha rappresentato uno strumento molto importante per l’interpretazione delle problematiche della discarica di Zuclo. Da notare che in questo caso la modellazione non ha avuto come scopo primario la descrizione dei fenomeni biochimici, ma ha rappresentato un elemento funzionale ad un diverso scopo, cioè l’individuazione dell’origine della contaminazione. La corretta descrizione dei processi degradativi infatti, risulta subordinata al corretto posizionamento della sorgente. Le conclusioni più significative possono essere sintetizzate aggregando tutti gli approfondimenti eseguiti e riguardanti la produzione di percolato nel lotto II, la soluzione del modello di flusso e la soluzione del modello di trasporto. Confrontando la soluzione del modello di flusso (stazionario) e la quota del piano di imposta del catino del lotto II si è osservato che una parte di quest’ultimo si trova ad un livello inferiore, e quindi soggetto, almeno in una frazione dell’anno, a sottospinta idraulica. Se si ipotizza una non perfetta tenuta dell’impermeabilizzazione del fondo, si potrebbero verificare delle infiltrazioni nel catino di acqua di falda, spiegando di conseguenza il notevole incremento nella produzione di percolato. In caso di basso livello di falda, al contrario, il percolato potrebbe uscire verso l’esterno aggravando lo stato di contaminazione da sostanza organica che ha come principale responsabile il vecchio lotto di discarica (lotto I). È quindi il differenziale tra il livello freatico ed il livello del percolato all’interno del catino del lotto II che determina di volta in volta l’incremento del percolato stesso per infiltrazione o la fuoriuscita di percolato in falda. Per cui risulta importante, al fine di minimizzare entrambi gli impatti, la gestione del percolato. A tal proposito si è proposto di regolare l’estrazione di percolato dalla discarica in relazione alla quota della falda, in modo da minimizzare il differenziale tra i livelli interno ed esterno e quindi il flusso transitante da quella che si ipotizza essere una fessura nell’impermeabilizzazione. Per completare lo studio e confermare o meno la presenza di un flusso entrante/uscente sono state eseguite delle prove con traccianti ottici (fluoresceina sodica e tinopal) tuttora in corso di svolgimento. Ad oggi è stato possibile verificare che in determinate condizioni idrauliche è possibile che si abbiano infiltrazioni dalla falda al catino di discarica, in corrispondenza della superficie di contatto tra i due lotti. Ulteriori prove dovranno essere effettuate per meglio caratterizzare il fenomeno.

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NOTE

[1] McBean, E. A., Rovers, F. A. & Farquhar, G. J., 1995. Solid Waste Landfill Engineering and Design. In: Prentice Hall PTR. New Jersey: Englewood Cliffs [2] Thornthwaite, C. W., 1948. An Approach Toward a Rational Classification of Climate. In: Geographical Review, Vol. 38. s.l.:s.n [3] Baedecker, M. & Back, W., 1979. Hydrogeological processes and chemical reactions at a landfil. Ground Water, 17(5) [4] Christensen, T. et al., 2001. Biogeochemistry of landfill leachate plumes. Applied Geochemistry, Volume 10, pp. 659-718 [5] Ludvigsen, L. et al., 1998. Anaerobic microbial redox processes in a landfill leachate contaminated acquifer (Grinsted, Denmark). Journal of Contaminant Hydrology, Volume 33, pp. 273-291 [6] Rolle, M., Clement, T., Sethi, R. & Molfetta, A., 2008. A kinetic approach for simulating redox-controled fringe and core biodegradation processes in groundwater: model development and application to a landfill site in Piedmont, Italy. Hydrological Processes, Volume 22, pp. 4905-4921

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TERRE E ROCCE DA SCAVO. QUALI NUOVE? Novità e limitazioni nel travaglio di una annunciata semplificazione dall’analisi del DPR in fase di approvazione di Daniele Carissimi

L

o Schema di decreto del Presidente della Repubblica [1] concernente il Regolamento recante la “Disciplina semplificata della gestione delle terre e rocce da scavo, ai sensi dell’articolo 8 del Decreto Legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164”, (atto di governo n. 279) ha di recente ricevuto il parere favorevole della Commissione Ambiente della Camera. L’iter di approvazione del Regolamento, volto alla primaria finalità della semplificazione [2], ha previsto significative novità nella disciplina tuttavia incontrando i limiti formali delle osservazioni derivanti dalla consultazione pubblica [3] prima e, per ciò che allo stato attuale ci occupa, delle condizioni poste dalla stessa Commissione poi. I profili di inno-

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vazione che l’approvando DPR introduce, in termini di semplificazione, si sostanziano nel riordino in un testo unico di tutte le disposizioni normative oggi vigenti per quanto riguarda la gestione e l’utilizzo delle terre e rocce da scavo qualificate come sottoprodotti, il deposito temporaneo delle terre e rocce da scavo qualificate come rifiuti e la loro gestione nei siti oggetto di bonifica. Nello specifico, gli aspetti più significativi toccano i seguenti punti: 1. l’allineamento della normativa italiana a quella europea e un più stretto raccordo, proprio in termini normativi, con le procedure di valutazione di impatto ambientale; 2. la semplificazione delle procedure e la fissazione di termini certi per con-

3.

cludere le stesse, anche prevedendo meccanismi in grado di superare eventuali situazioni di inerzia da parte degli Uffici pubblici. In questo modo dovrebbero evitare i lunghi tempi di attesa cui erano costretti i soggetti richiedenti che operano nel settore delle terre e rocce da scavo, obbligati, talvolta, ad attendere la preventiva approvazione del piano di utilizzo delle terre e rocce da parte delle autorità competenti; una stretta interazione tra i soggetti che operano nel settore delle terre e rocce da scavo e le strutture deputate ai controlli, prevedendo che, fin dalla fase di predisposizione del piano di utilizzo delle terre e rocce da scavo, i primi possano interagire con le Agen-


zie regionali e provinciali di protezione ambientale per le preliminari verifiche istruttorie e tecniche, anticipando lo svolgimento dei controlli previsti per legge; 4. procedure più veloci per attestare che le terre e rocce da scavo soddisfano i requisiti stabiliti dalle norme europee e nazionali per essere qualificate come sottoprodotti e non come rifiuti; 5. il rafforzamento del sistema dei controlli e una disciplina più dettagliata ed efficace per il deposito intermedio delle terre e rocce da scavo qualificate come sottoprodotti. Più in dettaglio, oltre ai requisiti analoghi a quelli già previsti dal D.M. 161/2012, è stabilito che il sito in cui può avvenire il deposito intermedio deve rientrare nella medesima classe di destinazione d’uso urbanistica del sito di produzione, e ciò al fine di impedire che il deposito intermedio possa essere impropriamente volano per un trasferimento di agenti contaminanti. Inoltre, si conferma che il deposito intermedio non può avere durata superiore a quella del Piano di utilizzo e, decorso tale periodo, viene meno la qualifica quale sottoprodotto, con conseguente obbligo di piena applicazione delle disposizioni sui rifiuti di cui al D.Lgs.152/06 [4]; 6. tempi certi in cui ARPA e APPA svolgano le attività di analisi: 60 giorni, per l’effettuazione delle attività di analisi affidate alle ARPA/APPA per la verifica della sussistenza dei requisiti dichiarati nel Piano di utilizzo delle terre e rocce da scavo generate nei cantieri di grandi dimensioni (attualmente, il D.M. 161/2012 non stabilisce il termine entro il quale debbano essere ultimati tali accertamenti tecnici) [5]. Sullo sfondo di un formale parere favorevole, tuttavia l’Ottava Commissione Ambiente ha posto pesanti ed importanti condizioni [6] che molto presumibilmente comporteranno una battuta d’arresto per la rapida approvazione definitiva del provvedimento, quali, nello specifico, la valutazione da parte del Governo de: 1. l’opportunità di riformulare l’articolo 2, comma 1, lettera b) stabilendo un valore soglia per l’amianto pari 1000 mg/kg a fronte dei 100 mg/kg, corrispondente al limite di classificazione

previsto per le sostanze/miscele non pericolose; 2. l’opportunità di prevedere una definizione per i «microcantieri», intesi quali cantieri nei quali sono prodotte terre e rocce da scavo in quantità non superiori a 300 metri cubi; 3. l’opportunità di introdurre una disciplina semplificata per i cantieri di micro dimensioni, ovvero i cantieri la cui produzione non superi i trecento metri cubi per singolo cantiere, con esclusione di quelle provenienti da siti contaminati ai sensi del titolo V, parte IV, del D.Lgs. 152/06; 4. la possibilità di ricomprendere la stabilizzazione a calce nel novero dei trattamenti di normale pratica industriale in linea con la direttiva europea onde evitare che si finisca per introdurre requisiti, standard, obblighi e oneri non necessari all’attuazione delle stesse (gold plating) [7]; 5. in relazione a quanto previsto dall’Allegato 4, l’opportunità di sopprimere il riferimento, nella caratterizzazione ambientale, alla esecuzione previa porfirizzazione totale del campione in modo da ottenere la concentrazione totale o assoluta e di prevedere, in attesa dell’emanazione attuativa della nuova disciplina, l’applicazione delle attività di preparazione analitiche classiche come previste dal vigente regolamento di disciplina sull’utilizzo di terre e rocce da scavo (D.M. 161/2012) [8]. Alle condizioni accolte si assommano inoltre ventitré osservazioni tra le quali oggetto di attenzione sono, ad esempio, il potere attributo all’Istituto Superiore di Sanità, nella formulazione attuale, di stabilire i limiti di riferimento per le concentrazioni di inquinanti anche in deroga al Testo Unico Ambientale; rileva inoltre l’invito a semplificare le procedure di dichiarazione di avvenuto utilizzo, avvalendosi eventualmente della possibilità di affidare al Comune destinatario delle terre e rocce da scavo la trasmissione del dato agli altri Enti [9]. Alla luce della panoramica tracciata, lo scenario che si profila all’orizzonte del percorso di approvazione del Regolamento su terre e rocce da scavo, pur restando ancorato al principio ispiratore della semplificazione, appare imbrigliato in notazioni tec-

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niche che, se da un lato sono certamente indice dell’attenzione e dell’accuratezza di intervento sul provvedimento dimostrate dai vari stakeholders coinvolti, tuttavia possono esporlo al rischio di un appesantimento della relativa disciplina oltre ad un ulteriore slittamento dei tempi per il varo definitivo del testo, vanificando così la logica di fondo che lo anima. *Ambiente Legale s.r.l.

NOTE

[1] Schema di DPR recante la “Disciplina semplificata della gestione delle terre e rocce da scavo, ai sensi dell’articolo 8 del Decreto Legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164”. [2] L’art. 8 del D.L. 133/2014, al fine di agevolare la realizzazione degli interventi che comportano la gestione di terre e rocce da scavo, ha rinviato ad un decreto riguardante l’adozione di nuove disposizioni di riordino e di semplificazione della materia in base a precisi principi e criteri direttivi, quali, in particolare, il coordinamento formale e sostanziale delle disposizioni vigenti, apportando le modifiche necessarie per garantire, aggiornare e semplificare il linguaggio normativo; la previsione di specifici criteri e limiti i per il deposito temporaneo delle terre e rocce da scavo; l’indicazione esplicita delle norme abrogate; il divieto di introdurre livelli di regolazione superiori a quelli previsti dall’ordinamento europeo ed, in particolare, dalla Direttiva 2008/98/UE; la razionalizzazione e semplificazione del riutilizzo nello stesso sito di terre e rocce da scavo provenienti da cantieri di piccole dimensioni, finalizzati alla costruzione o manutenzione di reti e infrastrutture, con esclusione di quelle provenienti da siti contaminati. Così in www.legislazionetecnica.it/2229761/ prd/news-normativa/terre-e-rocce-da-scavolo-schema-del-dpr-semplificazione. [3] La bozza di regolamento di riordino e semplificazione della disciplina delle terre e rocce da scavo,secondo quanto previsto dal Decreto Sblocca Italia (DL 133/2014), è stata approvato dal Consiglio dei Ministri in data 6 novembre 2015 e sottoposto per 30 giorni ad una consultazione pubblica. [4] www.legislazionetecnica.it/2229761/prd/ news-normativa/terre-e-rocce-da-scavo-loschema-del-dpr-semplificazione [5] ut supra [6] www.casaeclima.com/ar_26753__decretoterre-rocce-da-scavo-via-libera-commissioneambiente-camera.html [7] www.riciclanews.it/normative/terre-e-rocce-da-scavo-parere-favorevole-a-montecitorio_4972.html [8] www.riciclanews.it [9] ut supra

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IL RAVVEDIMENTO OPEROSO Parte seconda sulla prescrizione di alcuni reati contravvenzionali introdotta dalla Legge 68/2015 di Rosa Bertuzzi* e Nicola Carboni**

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el numero precedente di Recover è stata pubblicata la prima parte dell’articolo relativo al ravvedimento operoso, ovverosia i casi in cui un illecito penale di natura ambientale si estingue a seguito della rimozione dell’illecito e del pagamento di un onere. Si affrontano ora le parti mancanti. Ma chi è l’ente al quale il professionista si deve rivolgere per poter avere l’asseverazione delle prescrizioni? Con questa norma non è più il professionista incaricato, ma un soggetto pubblico. In molte realtà si è individuata genericamente l’Arpa. La scelta non

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sempre è corretta, nel senso che l’Ente specializzato non è sempre o solo l’Arpa e ciò dipende dalla natura delle prescrizioni. Per Ente specializzato in primo luogo deve essere individuata l’autorità competente ad assumere l’autorizzazione ambientale che eventualmente disciplina quella particolare attività o regola quel determinato impatto. Se le prescrizioni sono relative ad uno scarico di reflui in ambiente, chi dovrà asseverare le prescrizioni formulate dall’organo accertatore sarà necessariamente l’autorità competente al rilascio dell’autorizzazione di cui all’art.

124 del D.Lgs. 152/06. Se si tratta di un’attività regolata da un’autorizzazione integrata ambientale, l’Ente specializzato dovrà essere individuato necessariamente nell’Autorità competente al rilascio di quell’autorizzazione. Altrimenti si potrebbe verificare che l’organo di controllo impartisce una prescrizione asseverata da Arpa che potrebbe non essere condivisa dall’Autorità competente a definire le prescrizioni ambientali su quel tema. Pertanto l’Ente competente all’asseverazione può essere diverso a seconda della tipologia di prescrizioni. Richiamando la casistica precedente


potremmo sinteticamente avere diverse ipotesi. Nell’eventualità che la fattispecie sanzionatoria attenga ad attività soggette ad un’autorizzazione ambientale, l’Ente specializzato di cui al primo comma dell’art. 318 ter non può che essere l’autorità competente a rilasciare l’autorizzazione, sia nelle ipotesi in cui il contravventore sia già in possesso dell’autorizzazione, sia nelle ipotesi in cui non sia in possesso dell’autorizzazione. Nel primo caso la prescrizione dell’organo di controllo non potrà che fare riferimento alle stesse norme dettate dall’autorizzazione nel quadro prescrittivo, così come formulate dall’autorità competente che ha rilasciato il provvedimento. L’organo accertatore dovrà pertanto proporre, per l’asseveramento all’autorità competente, delle prescrizioni coerenti con quanto contenuto sostanzialmente nel quadro prescrittivo dell’autorizzazione già in possesso del contravventore. L’autorità competente in fase di asseveramento potrà semplicemente confermarle se le ritiene corrette ed esaustive per il ripristino delle normali condizioni di gestione dell’impianto così come autorizzato, altrimenti potrà procedere ad una loro integrazione o modifica, magari in contraddittorio con l’organo accertatore. Saranno pertanto le prescrizioni così definite che costituiranno il contenuto del verbale di cui all’art. 318 ter, poi notificato al contravventore per l’adempimento delle prescrizioni. Diverso è il caso in cui la condotta illecita consista nell’aver espletato un’attività in assenza di autorizzazione. In questa ipotesi la prescrizione non potrà che essere quella di interrompere l’attività e provvedere a presentare l’istanza di autorizzazione all’autorità competente. Non vi è dubbio che anche in questo caso l’asseverazione non possa che essere effettuata dall’autorità competente al rilascio di quella determinata autorizzazione ambientale. Al contravventore sarà pertanto prescritto di presentare l’istanza di autorizzazione corredata da tutti i documenti necessari entro un determinato termine asseverato dall’autorità com-

Il procedimento L’organo accertatore una volta riscontrata una fattispecie illecita che rientri nell’ambito di applicazione dell’art. 318 bis deve procedere all’applicazione del procedimento di cui alla parte sesta bis del D.Lgs. 152/06. Tuttavia occorre osservare che l’eventuale decisione di non procedere alla sua applicazione, quindi formare e trasmettere all’autorità giudiziaria la CNR ai sensi dell’art. 347 del C.p.p, non è censurabile né dal P.M. né dal contravventore. Ci si è chiesti se, laddove sussistano le condizioni per l’applicazione del procedimento di regolarizzazione, la sua attivazione costituisca una condizione necessaria di procedibilità dell’azione penale. La recente giurisprudenza formatasi sul D.Lgs. 758/1994 si è orientata nel senso che la mancata attivazione del procedimento non costituisca condizione di procedibilità dell’azione penale. In tal senso deve essere richiamato il contenuto della recente sentenza della Cassazione Penale Sez. III del 21.04.2015 n. 20562 la quale, pur prendendo atto del fatto che la giurisprudenza della stessa Cassazione ha avuto spesso sullo specifico tema delle opinioni differenti, ritiene di condividere il contenuto delle pronunce Sez. 3, n. 26758 del 5/5/2010; Sez. 3, n. 5864 del 18/11/2010, le quali «precisano, in primo luogo, come sia ben possibile e del tutto legittimo che l’organo di vigilanza non impartisca alcuna prescrizione di regolarizzazione ed una tale evenienza non condizioni affatto l’esercizio dell’azione penale, cosa che invece avviene, ma per un limitato periodo di tempo, solo nel caso in cui l’organo di vigilanza impartisca al trasgressore una prescrizione di regolarizzazione. Veniva altresì richiamata l’attenzione sul fatto che il Dlgs. 124/2004 art. 15 oltre ad avere ampliato l’ambito di applicazione del Dlgs. 758/1994 ha previsto l’applicabilità della procedura di regolarizzazione anche nei casi in cui la fattispecie sia a condotta esaurita, ovvero nelle ipotesi in cui il trasgressore abbia autonomamente provveduto all’adempimento degli obblighi di legge penalmente sanzionati prima dell’emanazione della prescrizione. All’esito di tale disamina, le richiamate sentenze così testualmente sintetizzano le conclusioni cui pervengono: “a) la prescrizione di regolarizzazione può - non necessariamente deve - essere impartita dall’organo di vigilanza il quale, vuoi inizialmente (ove sia quest’ultimo a comunicare la notizia di reato al P.M.), vuoi successivamente (ove sia il P.M., che abbia ricevuto la notizia di reato da altra fonte, ad investire l’organo di vigilanza), può determinarsi a non impartirne alcuna (perché, ad es., non c’è nulla da regolarizzare, o perché la regolarizzazione c’è già stata ed è congrua); b) la sospensione del processo penale di cui all’art. 23 cit., nell’ipotesi in cui la prescrizione di regolarizzazione sia stata impartita dall’organo di vigilanza (ove sia quest’ultimo a comunicare la notizia di reato al P.M.), ovvero possa ancora essere impartita (ove sia il P.M., che abbia ricevuto al notizia di reato da altra fonte, ad investire l’organo di vigilanza), non è mai sine die, ma ha comunque un limite temporale massimo (di cui si è detto sopra) che chiude la parentesi mirata alla conformazione da parte del trasgressore alla prescrizione di regolarizzazione, nel senso sopra chiarito, impartita dall’organo di vigilanza; c) non c’è alcun diritto del contravventore a ricevere la prescrizione di regolarizzazione dall’organo di vigilanza con assegnazione del relativo termine per adempiere; egli è comunque tenuto a regolarizzare - ossia a rispettare le norme di prevenzione in materia di sicurezza e di igiene del lavoro - anche se alla prescrizione di legge non si aggiunga la prescrizione dell’organo di vigilanza di rispettarla adottando in particolare specifiche misure; ma in ogni caso egli, ove abbia regolarizzato adottando misure equiparabili a quelle che l’organo di vigilanza avrebbe potuto impartirgli con la prescrizione di regolarizzazione, può comunque chiedere al giudice di essere ammesso all’oblazione in misura ridotta, beneficio che non gli è precluso dal fatto che nessuna prescrizione di regolarizzazione gli sia stata impartita dall’organo di vigilanza (ciò in ragione di un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 24, comma 3)”. Si perviene poi all’ulteriore conclusione secondo la quale il fatto che l’organo di vigilanza, nel comunicare la notizia di reato al Pubblico Ministero, non abbia impartito alcuna prescrizione di regolarizzazione all’imputato, non preclude, se è stata constatata l’avvenuta regolarizzazione, la richiesta di ammissione all’oblazione in sede amministrativa, così come non impedisce, successivamente, la richiesta dell’imputato al giudice di essere ammesso all’oblazione ordinaria in sede giudiziaria nella stessa misura agevolata dell’oblazione in sede amministrativa». Tali conclusioni appaiono le più corrette, anche per quanto riguarda il procedimento di cui alla parte sesta bis che qui si commenta. Una volta notificato al contravventore il verbale contenente le prescrizioni, l’organo accertatore dovrà formare la notizia di reato ai sensi dell’art. 347 del C.p.p e trasmetterla al pubblico ministero. Ci si può chiedere se la CNR deve essere trasmessa al P.M. prima o successivamente alla notifica del verbale. Benchè nulla sia detto nella norma, per logica procedurale la CNR non può che seguire la notificazione del verbale. Anzi la stessa CNR dovrà contenere la copia del verbale con la sua relata di notifica. petente. Non potrà viceversa prescriversi di ottenere l’autorizzazione, in quanto il rilascio del provvedimento è un’attività rimessa all’autorità competente e pertanto non può essere prescritta al contravventore. Questi infatti può anche con tutta la

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diligenza richiesta adoperarsi per ottenere l’autorizzazione, presentando puntualmente tutti i documenti richiesti, adoperarsi ad ottemperare a tutte le eventuali prescrizioni formulate dall’autorità competente e tuttavia non ottenere l’autorizzazione, per l’esisten-

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za di un vincolo ostativo non rilevabile al momento in cui sono state apposte le prescrizioni. Quindi il contravventore rischierebbe di non ottenere l’autorizzazione e pertanto di non aver adempiuto alle prescrizioni, nonostante la sua diligenza. Con tutta evidenza in queste ipotesi al contravventore dovrà essere prescritta esclusivamente la presentazione dell’istanza di autorizzazione nei termini prescritti e completa di quanto richiesto. Viceversa, se sin dal momento della formulazione delle prescrizioni, l’autorità competente ha certezza delle impossibilità di rilasciare l’autorizzazione allora potrà essere asseverata solo una prescrizione che imponga di interrompere l’attività e di rimuovere gli impianti eventualmente posti in opera. L’individuazione dell’Ente specializzato diventa più complessa nelle ipotesi in cui la violazione sia stata commessa in relazione ad attività per le quali non è richiesta un’autorizzazione ambientale e quindi non sia riconducibile alla

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potestà di un’autorità competente. In queste ipotesi l’Ente specializzato non può che coincidere con l’Arpa, che ha comunque una competenza tecnico scientifica generale su tutta la materia ambientale ed in particolare su tutto l’arco di impatti ambientali regolati dal Testo Unico Ambiente. In tali ipotesi l’Arpa potrà ben asseverare tecnicamente le prescrizioni formulate dall’organo di controllo, stante la mancanza di un’autorità competente individuata dalla legge come titolare a fornire le adeguate prescrizioni ambientali per quella specifica attività. Sempre in relazione al contenuto della prescrizione, occorre in ultimo soffermarsi sul termine che l’organo accertatore deve fissare per il loro adempimento. Il termine non può essere superiore a quello tecnicamente necessario per la realizzazione di quanto prescritto e può essere prorogato, su richiesta del contravventore, per un periodo non superiore ai sei mesi, così recita l’art. 318

ter. Non vi è dubbio che questo termine dovrà essere uno degli elementi su cui si dovrà necessariamente esprimere l’Ente competente in fase di asseverazione. Non sempre è agevole indicare un termine corretto. Lo è sicuramente se le prescrizioni consistono in una semplice condotta di non fare, ad esempio interrompere un’attività. Diventa più complesso nelle condotte di fare. In queste ultime ipotesi la prescrizione potrebbe consistere nella realizzazione di presidi ambientali o nella loro modifica o integrazione. Sia l’organo accertatore sia l’autorità competente in fase di asseveramento, spesso non possono stimare correttamente i tempi di realizzazione della prescrizione, perché magari la costruzione di un presidio ha necessità di tecnico che la progetti e poi di un impresa che la realizzi. Lo stesso vale nell’ipotesi in cui la prescrizione consista nella presentazione all’autorità competente dell’istanza per il rilascio di un’autorizzazione ambientale, anche in questo caso si avrà necessità di un tempo congruo per formare la documentazione tecnica e amministrativa a suo corredo. La gran parte delle volte tale attività è affidata a tecnici specializzati e non è svolta direttamente dal contravventore. Occorrerà in questo caso affidarsi ad una stima necessariamente di larga massima, magari consultando un tecnico esterno. La norma richiede che il termine da inserirsi sia quello tecnicamente necessario, pertanto non sarebbe opportuno e corretto l’inserimento di tempi incongruamente lunghi o al contrario incongruamente brevi. Anche perché il termine, come si legge nell’ultimo capoverso del primo comma dell’art. 318 ter, può essere prorogato da parte dell’organo accertatore con provvedimento motivato una sola volta e per un periodo non superiore a sei mesi. La proroga è infatti richiesta dal contravventore all’organo accertatore. La norma è particolarmente severa, infatti il contravventore potrà ottenere la proroga solo ed esclusivamente qualora il ritardo dipenda da circostanze non a lui imputabili e tali circostanze dovranno essere puntual-


mente documentate. Si vuole evitare che la negligenza del contravventore dilati i termini di adempimento delle prescrizioni. Per tale ragione i termini a lui assegnati non possono essere più lunghi di quelli necessari ma anche più brevi, così da costringere in quest’ultimo caso il contravventore a dimostrare che l’organo accertatore ha manifestamente errato nel prevederli. L’adempimento della prescrizione nei termini fissati dall’organo accertatore,

congiuntamente al pagamento di cui all’art. 318 quater, estingue la contravvenzione. L’ultimo comma dell’art. 318 septies disciplina l’ipotesi di adempimento in un tempo superiore a quello prescritto ma tuttavia ritenuto congruo a norma dell’art. 318 quater comma 1, nonché l’ipotesi in cui si sia proceduto all’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose della contravvenzione ancorché con modalità diverse da

La depenalizzazione nei Decreti legislativi del 2016 Occorre in fine dar conto dei recenti decreti legislativi n. 7 e 8 del 15 gennaio 2016 con cui viene data esecuzione all’art. 2 della legge 28 aprile 2014, n. 67, che ha conferito delega al Governo per la “Riforma della disciplina sanzionatoria” di reati; nel comma 2 e nel comma 3, lettera b), dell’art. 2 della legge delega sono contenuti i criteri e i principi direttivi per la trasformazione di reati in illeciti amministrativi. Il D.Lgs. 8/2016 prevede una così detta depenalizzazione cieca già utilizzata in passato dal legislatore. In sostanza si prevede la depenalizzazione di reati in ragione della tipologia di pena comminata. All’art. 1 si prevede infatti che «Non costituiscono reato e sono soggette alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro tutte le violazioni per le quali è prevista la sola pena della multa o dell’ammenda». Tuttavia sono stabiliti limiti ulteriori in particolare il terzo comma dell’art. 1 stabilisce che «La disposizione del comma 1 non si applica ai reati previsti dal codice penale, fatto salvo quanto previsto dall’articolo 2, comma 6, e a quelli compresi nell’elenco allegato al presente decreto». Nell’elenco allegato al provvedimento legislativo “Elenco delle leggi contenenti reati puniti con la sola pena pecuniaria esclusi dalla depenalizzazione a norma dell’art. 2 della legge n. 67/2014” alla voce Ambiente Territorio e paesaggio espressamente vengono esclusi dall’applicazione del provvedimento di depenalizzazione i reati previsti dal Testo unico Ambiente. Il D.Lgs. 7/2016 reca “Disposizioni in materia di abrogazione di reati e introduzione di illeciti con sanzioni pecuniarie civili, a norma dell’articolo 2, comma 3, della legge 28 aprile 2014, n. 67”. Si tratta di una depenalizzazione così detta nominativa che come evidenziato nella relazione di accompagnamento, il Parlamento mira a espungere dall’alveo del penalmente rilevante alcune ipotesi delittuose previste nel codice penale a tutela della fede pubblica, dell’onore e del patrimonio, che sono accomunate dal fatto di incidere su interessi di natura privata e di essere procedibili a querela, ricollocandone il disvalore sul piano delle relazioni private; al contempo, il legislatore delegante intende riconsiderare il ruolo tradizionalmente compensativo attribuito alla responsabilità civile nel nostro ordinamento, affiancando alle sanzioni punitive di natura amministrativa un ulteriore e innovativo strumento di prevenzione dell’illecito, nella prospettiva del rafforzamento dei principi di proporzionalità, sussidiarietà ed effettività dell’intervento penale. Le norme del Testo Unico Ambiente non sono previste tra quelle oggetto di depenalizzazione.

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quelle indicate dall’organo accertatore. Si tratta di un comma un po’ oscuro nella sua formulazione. Infatti è palese che si voglia premiare il contravventore che adempia sostanzialmente alla prescrizione a lui impartita, anche se in ritardo ma entro termini comunque ritenuti congrui. In queste ipotesi non si applicherà più la parte sesta bis in quanto il contravventore è certamente inadempiente, ma la sua condotta sarà valutata positivamente per quanto attiene alla concessione dell’oblazione speciale di cui all’art. 162 bis del Codice Penale. La norma in commento successivamente stabilisce che il contravventore ammesso alla oblazione speciale di cui all’art. 162 bis, dovrà poi a sua volta versare una somma pari alla metà del massimo dell’ammenda stabilita per la contravvenzione commessa. Se non che si deve osservare che la metà del massimo dell’ammenda è già l’importo che dovrà versare il contravventore qualora ammesso all’oblazione speciale, così infatti dispone lo stesso art. 162 bis del c.p. Naturalmente la condizione di cui all’ultimo comma dell’art. 318 septies potrà trovare applicazione, quindi essere oggetto di valutazione da parte del giudice, solo qualora non sussistano le cause di inammissibilità previste per l’oblazione speciale nella declaratoria del terzo comma dell’art. 162 bis del c.p. *Ambienterosa, Consulenze Legali Ambientali **Vice Comandante Polizia Provinciale di Cagliari

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R UB R I CH E

R E C O N N E T Aggiornamento sulle attività della rete di Renato Baciocchi*

Assemblea della rete e dei coordinatori dei gruppi di lavoro

L

’assemblea della rete si è riunita a maggio 2016 insieme all’assemblea dei coordinatori dei gruppi di lavoro con l’obiettivo di valutare lo stato di avanzamento delle attività, discutere le opportunità di integrazione tra i diversi gruppi di lavoro e decidere nuove iniziative di formazione e partenariato.

Stato di avanzamento delle attività dei gruppi di lavoro

Le attività svolte dal gruppo di lavoro sulla Analisi di rischio ecologico (ERA), presentate dall’Ing. Guia Agostini, dottoranda presso l’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” e coordinatrice del GdL, hanno fino ad ora portato all’elaborazione di un documento che riporta e descrive i diversi approcci di ERA utilizzati a livello internazionale (USA, UK, Canada, Olanda). Dall’esame dei documenti tecnici elaborati a livello internazionale, emerge in maniera pressoché condivisa l’adozione di un approccio a livelli successivi di approfondimento (tiered approach), in maniera analoga a quanto si fa per l’analisi di rischio sanitario basata sull’approccio RBCA. Il documento elaborato è attualmente in esame da parte dell’assemblea della rete e se ne prevede la pubblicazione sul sito della rete entro fine luglio. Su questa base, sono attualmente in elaborazione tre ulteriori documenti, ciascuno dei quali approfondirà le metodologie per l’elaborazione della ERA per ciascun livello di approfondimento:

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Inital site assessment, che include la fase di scoping, ERA di screening (Tier 1), ERA sito specifica (Tier 2) utilizzando approcci modellistici, ERA sitospecifica (Tier 3) utilizzando misure di campo quali test ecotossicologici, biomonitoraggi e altre linee di evidenza. L’Ing. Andrea Sconocchia (ARPA Umbria), coordinatore del gruppo di lavoro sul Fitorimedio, ha descritto il documento in preparazione, che sarà costituito da un primo capitolo di inquadramento normativo degli interventi di fitorimedio, seguito da una panoramica delle fitotecnologie per la caratterizzazione/monitoraggio e per la bonifica/messa in sicurezza. Il terzo capitolo sarà dedicato agli strumenti di supporto alle decisioni, mentre l’ultimo alla valorizzazione di prodotti e sottoprodotti della filiera e del capitale naturale. Alcuni contenuti del documento sono stati già anticipati nel corso del workshop su “Bonifica, recupero ambientale e sviluppo del territorio: esperienze a confronto sul fitorimedio”, svolto presso la sede ISPRA di Roma il 17-18 Marzo 2016, che ha visto la presenza di circa 80 partecipanti. Si auspica la conclusione del documento entro fine 2016. Gli obiettivi e le attività svolte dal gruppo di lavoro sulla Rigenerazione di siti contaminati e pianificazione territoriale, coordinato dal Dott. Igor Villani (ARPAe) e dall’Ing. Jean Pierre Davit (Golder), sono stati illustrati da quest’ultimo. Il GdL si pone come principali temi da affrontare la pianificazione e gestione del territorio in funzione delle condizioni di qualità delle matrici, il suo risanamento in base alla corretta destinazione d’uso e l’applicazione di corretti accorgimenti ambien-

tali nelle operazioni edilizie. Tali temi sono attualmente trattati nell’ambito di un documento sulle buone pratiche in fase di elaborazione e mediante la compartecipazione all’inziativa #ZeroBrownfield con AUDIS, l’Associazione delle Aree Urbane Dismesse. Tale iniziativa prevede una serie di incontri sul territorio finalizzati a consolidare una alleanza tra ambiente e urbanistica per il recupero di aree dismesse con il coinvolgimento di interlocutori rilevanti delle amministrazioni locali interessati alla soluzione di specifici casi studio. Sono stati già organizzati due eventi, dei quali il primo, svolto a Torino (Maggio 2015) è stato dedicato al tema del consumo di suolo e della rigenerazione urbana, mentre il secondo, svolto a Rieti (Gennaio 2016), è stato incentrato sul caso dell’area industriale dismessa SNIA. Il gruppo di lavoro Inquinanti organici persistenti (POP), coordinato dall’Ing. Elisabetta Bemporad e dall’Ing. Simona Berardi entrambe di INAIL, le cui attività sono state presentate da quest’ultima, ha come obiettivo l’elaborazione di schede di sintesi per ciascuna famiglia di POPs, il cui completamento per successiva condivisione con la rete è previsto entro ottobre 2016. Le schede, che saranno elaborate per toxafene, mirex, clordecone, eptacloro, endosulfan, PFOS, PBDE, HBCD, HBB e PCN, conterranno una serie di informazioni tra le quali: tipologia, formula di struttura, numero CAS, nome IUPAC, identità chimica e commerciale, uso e produzione, destino ambientale, dati sull’esposizione umana, effetti sulla salute umana. Saranno inoltre proposte le proprietà chimico-fisiche e tossicologiche, il tutto ovviamente sup-


portato da un’adeguata e approfondita bibliografia. Il gruppo di lavoro sulla Vapor Intrusion, coordinato dall’Ing. Simona Berardi (INAIL) e dall’Ing. Iason Verginelli (Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”), ha come obiettivo quello di fornire criteri e procedure utili per la risoluzione di alcune problematiche connesse alla migrazione di sostanze volatili in ambienti aperti (outdoor) e chiusi (indoor). Il documento in fase di preparazione prevede una sezione dedicata ai metodi di campionamento e misura, una sull’utilizzo dei dati misurati e una sezione dedicata alla proposta di implementazione di approcci modellistici innovativi e a modifiche dei parametri sito-specifici e di esposizione. Tenuto conto che attualmente, nell’ambito del Comitato Tecnico Permanente del Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente (SNPA) è istituito e operativo un GdL finalizzato alla stesura di linee guida coordinate sulle metodiche da utilizzare per il campionamento del soil gas, si è concordato di orientare le attività del GdL sulla parte di interpretazione e modellazione, tralasciando quella sulle metodiche sperimentali. L’Ing. Verginelli ha poi presentato le novità della nuova release del software per l’analisi assoluta di rischio sanitario-ambientale, Risk-net versione 2.1. Ferme restando l’architettura e le principali caratteristiche della versione 2.0 del software, la nuova release presenta una serie di modifiche che contribuiscono ad una ancora maggiore fruibilità e flessibilità dello strumento. Ad esempio: è adesso possibile selezionare il file di un eventuale database esterno che si vuole utilizzare; è stato aggiunto il contributo dell’esposizione alle polveri nel calcolo del rischio outdoor off-site per il suolo superficiale; è possibile il calcolo della CSR idrocarburi anche per più di 20 contaminanti; sono stati risolti alcuni piccoli bug del programma. La nuova release è stata presentata a maggio in occasione dell’Alta Scuola di Ravenna sulle bonifiche e può essere scaricata dal sito www.reconnet. net.

Lo stato di avanzamento delle attività del gruppo di lavoro sulla Sostenibilità applicata alle bonifiche (SuRF Italy), coordinato dall’Ing. Paola di Toppa (ISPRA) e dall’Ing. Claudio Albano (CH2M), è stato illustrato da quest’ultimo. Dopo l’emissione della revisione 2015 del Libro Bianco, il GdL è stato molto attivo sia nella disseminazione che nell’elaborazione di nuovi prodotti. Per quanto riguarda il primo aspetto, si segnala la partecipazione come partner tecnico al progetto ReSites-Environmental Rehabilitation of Brownfield Sites in central Europe, finanziato nell’ambito del programma Intereg Central Europe, coordinato dal Comune di Venezia; membri di SuRF Italy hanno poi presentato relazioni al Sicon 2016, al corso ATIA di Napoli ad aprile 2016, al convegno internazionale SustRem tenuto a Montreal (Canada) sempre ad aprile 2016, mentre si segnala anche l’attività di supporto all’elaborazione dello standard ISO “Soil quality: guidance on sustainable remediation”, in fase di redazione. Per quanto riguarda i prodotti, è attualmente in fase di redazione un documento sui criteri operativi per l’applicazione della sostenibilità alle bonifiche.

Nuove iniziative di formazione e partenariato Protocollo di intesa RECONnet-ATIAISWA

L’assemblea della rete ha deliberato di approvare la proposta ricevuta da parte di ATIA-ISWA di stabilire una partnership sulle tematiche ambientali di comune interesse. ATIA-ISWA riunisce professionisti, aziende ed enti nel campo della gestione dei rifiuti e in particolare sui rifiuti urbani. Promuove la ricerca, la divulgazione e lo studio delle migliori pratiche tramite newsletter, conferenze, seminari e rapporti tecnico-scientifici. Nasce dalla fusione di soci ATIA (Associazione Tecnici Ambientali Italiani) e ISWA Italia (International Solid Waste Association) per incidere maggiormente ed essere punto di riferimento in Italia sulle tematiche del mondo dei rifiuti.

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L’accordo con RECONnet punta ad avviare una collaborazione su progetti congiunti, al fine di contribuire alla diffusione della conoscenza, dell’innovazione e dello sviluppo tecnologico nei campi di comune interesse che saranno individuati da un comitato congiunto che elaborerà annualmente un piano di attività.

Conclusioni e prospettive

L’incontro tra i coordinatori dei diversi gruppi di lavoro, oltre a rappresentare un momento di aggiornamento sullo stato di avanzamento delle diverse attività, ha consentito di individuare gli aspetti in comune tra alcuni gruppi di lavoro, che meriterebbero di essere affrontati in maniera integrata. In particolare, è emersa la necessità di una maggiore sinergia tra i gruppi sulla sostenibilità applicata alle bonifiche, analisi di rischio ecologico e fitorimedio. Tutti questi gruppi infatti portano avanti aspetti che vanno necessariamente combinati nell’ambito di progetti di bonifica ma ancor di più in quelli di riqualificazione ambientale e urbanistica. Si è pertanto valutata utile la proposta di approfondire questi spazi di sovrapposizione nell’ambito di workshop organizzati dalla rete e comunque di incrementare l’integrazione tra i diversi GdL. Una prima occasione di discussione e confronto è stata già rappresentata dall’Alta Scuola di Formazione sulle Bonifiche, svolta a Ravenna dal 18 al 20 maggio 2016, nel corso della quale sono stati affrontati e discussi gran parte dei temi in elaborazione da parte dei diversi GdL. La scuola ha visto la presenza di circa 35 partecipanti provenienti in buona parte da società di consulenza e agenzie ambientali. Nel prossimo articolo, forniremo senz’altro una sintesi dei contenuti della scuola, ma presenteremo anche le nuove iniziative di disseminazione della rete attualmente in fase di preparazione per la seconda metà del 2016 e per il 2017. Stay tuned! *Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, RECONnet

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VETRINA

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LA MICRO-COGENERAZIONE A CIPPATO DI LEGNO SECONDO SIMAM

SG-20 di Simam è un impianto di micro-cogenerazione a cippato di legna di potenza pari a 20 kW elettrici. L’impianto è stato interamente progettato nel laboratorio di ricerca aziendale e ingegnerizzato nell’officina meccanica di Orciano di Pesaro, dove è possibile, su richiesta, vederne in marcia un prototipo. SG-20 è ideale per i Clienti che hanno disponibilità di biomassa legnosa, soprattutto derivante da sfalcio e potatura. Generalmente si tratta di: • piccole e medie imprese agricole che hanno sviluppato una serie di attività complementari, quali, ad esempio, agriturismo, trasformazione alimentare, lavorazione del legno, produzione di energia rinnovabile, ecc.; • comuni con disponibilità di biomassa legnosa, che può avere origine forestale, derivare dalla manutenzione del verde pubblico o dalla manutenzione dei corsi d’acqua fluviali; • piccoli aggregati e abitazioni rurali, tipici delle zone montuose o collinari italiani, caratterizzati da una presenza diffusa di boschi. L’impianto si compone del sistema di caricamento della legna, della sezione di produzione del gas di sintesi, mediante gassificatore down draft, e del micro-cogeneratore per la produzione di energia elettrica e calore. Il micro-cogeneratore è composto da un motore endotermico accoppiato ad un generatore di corrente sincrono trifase da 25 kVA. Il motore a ciclo Otto, del tutto analogo a quelli alimentati a gas naturale, è completo di sistema elettronico di controllo della miscela aria-gas. L’energia elettrica prodotta può essere messa in rete o utilizzata in isola, in aree non servite dalla rete. L’energia elettrica, prodotta in bassa tensione a 380 V, è immessa in rete attraverso un quadro che include una scheda elettronica di gestione del parallelo e

EUROVIX: biotecnologie applicate all’ambiente EUROVIX è l’azienda leader in Italia nel mercato delle biotecnologie applicate all’ambiente. L’azienda produce direttamente presso i propri stabilimenti i complessi enzimatico – microbici, i “bioattivatori”, che trovano applicazione nei seguenti campi: • ambiente, • agricoltura, • zootecnia, • acquacoltura ed ecosistemi acquatici. L’ambiente rappresenta il core dell’azienda e i bioattivatori trovano largo impiego nei diversi ambiti, ogni qual volta ci siano da migliorare processi biodegradativi a carico di materiali organici: • trattamento delle acque reflue civili e industriali; • raccolta, trattamento e smaltimento dei rifiuti; • bonifiche dei siti contaminati; • riduzione degli impatti olfattivi; • impianti di codigestione anaerobica delle biomasse. Per ognuno dei settori sopra indicati esiste una linea dedicata di specifici bioattivatori, in particolare per la bonifica dei siti contaminati EUROVIX produce specifici inoculi a base enzimatico-microbica in abbinamento a speciali nutrienti-sinergizzanti, in grado di favorire l’immediata disponibilità dell’inquinante (idrocarburi, IPA, organoclorurati, residui organici) all’attacco biologico e velocizzare i tempi di degradazione. I microrganismi utilizzati, opportunamente selezionati (non OGM), sono biofissati su supporti minerali allo scopo di proteggere i microrganismi stessi contro i rischi di natura fisica e chimica, aumentarne il tempo di contatto col substrato da demolire, favorire la loro crescita. I microrganismi utilizzati sono assolutamente naturali, selettivamente specifici per le varie sostanze da degradare e sono utilizzabili direttamente sul terreno, in falda o nelle discariche esaurite al fine di accelerare le reazioni degradative.

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tutti i dispositivi di protezione richiesti da CEI 0-21. Il calore è recuperato sia dall’acqua di raffreddamento del motore sia dai fumi di scarico attraverso idonei scambiatori collegati al sistema termico generale. Inoltre, può essere usato per la produzione di acqua calda, per usi civili, e/o aria calda per riscaldamento ambienti di lavoro, serre e condizionamento cippato. Di facile gestione e manutenzione, può essere monitorato da remoto, 24 ore su 24, attraverso il Portale Impianti sviluppato da Simam, accessibile anche da smartphone. Inoltre, il sistema di controllo invia messaggi di allarme anche tramite SMS e provvede allo spegnimento automatico in sicurezza dell’impianto, in caso di malfunzionamento. Perchè un gassificatore a cippato? La tecnologia della micro-cogenerazione a cippato di legna si distingue per le seguenti caratteristiche. Energia da fonte rinnovabile - La gassificazione è un processo di grande interesse, perché gli impianti vengono alimentati con biomassa legnosa, fonte rinnovabile largamente disponibile. Scambio sul posto o conto energia - Il GSE, riconosce la possibilità di aderire allo scambio sul posto dell’energia elettrica prodotta o al Conto Energia, come FER diversa da fotovoltaico. Produzione combinata di calore - Oltre all’energia elettrica, il sistema produce energia termica che può essere impiegata per la produzione di acqua calda o aria calda, in base alle esigenze specifiche del Cliente. Valorizzazione della biomassa - Il cippato è un combustibile che permette di valorizzare materiali derivanti da manutenzione boschiva e potatura, altrimenti destinati allo smaltimento. Continuità di approvvigionamento - L’impianto può funzionare anche in isola nelle zone non raggiunte dalla rete elettrica nazionale. Riutilizzo dei sottoprodotti - Nei Paesi, dove la normativa lo permette, il processo di gassificazione di cippato di legno naturale produce come sottoprodotto il “biochar” che potrebbe essere utilizzato come ammendante organico del terreno. La sua applicazione contribuisce infatti a migliorare la fertilità del suolo, ad aumentarne la ritenzione idrica ed è anche fonte di nutrienti essenziali per le piante, in particolare calcio, potassio e fosforo.

FLOWSIC600-XT: la rivoluzione della tecnologia a ultrasuoni FLOWSIC600-XT rappresenta lo stato dell’arte per le misure fiscali di gas naturali, anche con elevate concentrazioni di CO2 e H2S. Il nuovo misuratore presenta innovative funzionalità, prima fra tutte il mantenimento delle performance di laboratorio anche sul campo, in modo da garantire sempre misurazioni precise ed efficaci. Inoltre, in caso di variazioni di temperatura e pressione, FLOWSIC600-XT è in grado di correggere automaticamente il numero di Reynolds e la geometria. Il nuovo flowmeter è dotato di PowerIn TechnologyTM, un sofisticato sistema di risparmio energetico che gli consente di lavorare fino a 3 settimane in piena autonomia e senza alcuna perdita di dati in caso di interruzione dell’alimentazione elettrica. Un’altra grande innovazione è rappresentata da i-diagnosticTM, una combinazione di firmware e software per l’autodiagnosi intelligente CMB: grazie ai sei archivi che registrano in continuo i dati diagnostici dei raggi medi incrociati, il misuratore non è solo in grado di segnalare un errore, ma anche di correggerlo in brevissimo tempo senza l’intervento di un tecnico. FLOWSIC600-XT è disponibile in 4 versioni per soddisfare qualunque esigenza applicativa fiscale di taglia compresa tra i 3 e i 48 pollici, e trova impiego ottimale nelle misure fiscali di gas naturali, nel trasporto e nello stoccaggio di gas, in applicazioni onshore e offshore e nell’estrazione di gas con alte percentuali di CO2 e H2S. Per maggiori informazioni: www.sick.it

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ritorna l’appuntamento dedicato alle demolizioni e al risanamento dei brownfield In contemporanea con

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Monaco di Baviera, dal 30 maggio al 3 giugno

Si aprirà il 30 maggio a Monaco IFAT 2016, la 50a edizione della fiera mondiale sul trattamento acque, rifiuti e gestione delle materie prime. Con oltre 3.000 espositori da più di 50 Paesi su 230.000 metri quadrati di superficie, IFAT offre, oltre agli spazi espositivi, un programma prestigioso di convegni, focus, mostre, tavole rotonde e incontri tecnici. In collaborazione con il Ministero dell’Ambiente tedesco saranno presentati dei Focus nazionali per porre l’attenzione soprattutto sui mercati dei Paesi in via di sviluppo. In programma a IFAT anche numerosi Focus tematici riguardanti il riciclo e lo smaltimento dei rifiuti, la gestione sostenibile dell’acqua e le innovazioni nel campo della tutela dell’ambiente.

www.ifat.de

MILANO, dal 21 al 23 GIUGNO

POWER GEN

Parte a Milano la 24a conferenza ed expo annuale POWER GEN Europe che avrà come tema “Costruire un Futuro di Energia Integrata”. Grazie alla sua esperienza nel campo dell’industria energetica, POWER GEN Europe and Renewable Energy World Europe, mette in contatto tutti i professionisti interessati al processo di rinnovamento energetico in Europa, aiutandoli a identificare opportunità di innovazione e sviluppo di business. Presentazioni e incontri accompagneranno la principale mostra europea di servizi, macchinari e attrezzature del settore dell’energia.

www.powergeneurope.com

Milano, 30 GIUGNO

MCTER

MCTER Cogenerazione - Mostra Convegno sulle Applicazioni di Cogenerazione, giunto alla diciassettesima edizione, è un evento che unisce alla parte espositiva una parte dedicata a convegni e corsi di formazione sulle tematiche della cogenerazione, biogas, biomasse ed energia. Sarà possibile partecipare a numerosi workshop di approfondimento e aggiornamenti professionali con esperti del settore, incontrando gli espositori anche durante gli eventi paralleli.

www.mcter.com

BOSTER

Beaulard di Oulx, dal 16 al 18 SETTEMBRE

BOSTER NORD OVEST, giunto alla sua ottava edizione biennale, è un evento outdoor dedicato alla valorizzazione delle filiere Bosco-Legno e dell’agricoltura di montagna. La manifestazione, che si svolge interamente all’aperto, pone particolare attenzione ai lavori in bosco e alla gestione e manutenzione sostenibile del territorio montano proponendo prove dinamiche sulla meccanizzazione agroforestale e su tutti gli aspetti legati all’utilizzo del legname. Per la prima volta BOSTER propone una zona espositiva dedicata alla zootecnia e all’agricoltura di montagna. Qui il visitatore potrà vedere macchinari per l’allevamento e l’agricoltura oltre che provare prodotti tipici di montagna.

www.fieraboster.it

REMTECH

FERRARA, dal 21 al 23 SETTEMBRE

Giunge quest’anno alla decima edizione RemTech Expo, l’evento italiano specializzato sulle bonifiche dei siti contaminati, la protezione e la riqualificazione del territorio. Anche quest’anno, all’interno di un’ampia area espositiva, si potranno incontrare per confrontarsi, esperti del settore, professionisti del mondo dell’industria e del comparto petrolifero oltre che ricercatori e rappresentanti di società private anche provenienti dall’estero. Il programma verterà sull’analisi di tematiche quali innovazione, tecnologie di bonifica, sostenibilità, monitoraggio ed evoluzione delle normative vigenti.

www.remtechexpo.com

GEOFLUID

PIACENZA, dal 5 alL’8 OTTOBRE

Geofluid, Mostra Internazionale delle Tecnologie ed Attrezzature per la Ricerca, Estrazione e Trasporto dei Fluidi Sotterranei, è la più importante manifestazione specializzata nei comparti della perforazione e dei lavori nel sottosuolo, che includono indagini geognostiche, applicazioni geologiche e geotecniche. All’evento saranno presenti le principali aziende di settore, appartenenti a precisi ed omogenei comparti di mercato, consentendo quindi contatti ben mirati con interlocutori che sono figure chiave nei rispettivi settori di provenienza. La manifestazione si sviluppa attraverso le aree tematiche Geofluid, Geotech, Geotunnel e Geocontrol.

www.geofluid.it

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Anno 9 - Numero 35 – Giugno 2016 ISSN 2421-2938

Direttore responsabile: Massimo Viarenghi Direttore commerciale: Maria Beatrice Celino Coordinamento editoriale: Maeva Brunero Bronzin Collaboratori: Renato Baciocchi, Claudio Belforti, Alberto Bellin, Rosa Bertuzzi, Milena Bianchi, Oscar Cainelli, Nicola Carboni, Daniele Carissimi, Maria Beatrice Celino, Laura D’Aprile, Paolo Ferrandino, Sara Ghanadi, Alberto Leombruni, Daniela Modonesi, Carlo Montella, Mike Mueller, Fabiano Mussi, Ana Paya Perez, Alberto Pengo, Alessandro Piazza, Michele Polli, Cecilia Presutti, Giuseppe Rossi, Luca Scanavini, Laura Veneri

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Comitato Scientifico: Maria Rosaria Boni (Sapienza Università di Roma) Daniele Cazzuffi (CESI spa – RemTech) Laura D’Aprile (MATTM, Roma) Luciano De Propris (Consulente ambientale) Ennio Forte (Università degli studi di Napoli) Luciano Morselli (Università di Bologna) Andrea Quaranta (Giurista ambientale – Cuneo) Gian Luigi Soldi (Città Metropolitana di Torino) Federico Vagliasindi (Università di Catania) Maria Chiara Zanetti (Politecnico di Torino) Ufficio commerciale - Vendita spazi pubblicitari: Maria Beatrice Celino Tel. 011 7497964 Cell. 335 237390 e-mail: b.celino@deaedizioni.it Grafica, disegni e impaginazione: Roberto Fatiga - email: grafica.advespa@gmail.com Abbonamenti: Italia annuo € 40,00 - estero annuo € 75,00 copia singola € 12,00 - arretrati € 14,00 Per abbonarsi è sufficiente fare richiesta a info@deaedizioni.it

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N°35

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Poste Italiane Spa - Sped. in a.p. - D. L. 353/2003 cov. in L. 46/2004, art1, c1 - CB-NO/Torino - Anno 9 n. 35 - ISSN 2421-2938 DEA edizioni s.a.s. Corso Tassoni 79/4 - 10143 Torino

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