RECOVER magazine n. 36

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Poste Italiane Spa - Sped. in a.p. - D. L. 353/2003 cov. in L. 46/2004, art1, c1 - CB-NO/Torino - Anno 9 n. 36 - ISSN 2421-2938 DEA edizioni s.a.s. Corso Tassoni 79/4 - 10143 Torino

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www.recoverweb.it

LA SOSTENIBILITÀ DELLE BONIFICHE: TRASFORMARE UN PROBLEMA IN OPPORTUNITÀ PER IL PAESE L’IMPiEGO DEL GRAFENE NELLA DEPURAZIONE DEI FUMI DI UN TERMOVALORIZZATORE IL TRATTAMENTO DEI RIFIUTI A RISCHIO INFETTIVO MEDIANTE MICROONDE CARATTERIZZAZIONE E TEST DI TRATTAMENTO PER LA STABILIZZAZIONE IN SITU DI SEDIMENTI CONTAMINATI

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E DI TO R I A L E

EDITORIALE Quanto è SOSTENIBILE IL TURISMO?

Ci avviciniamo all’autunno, si riprende a lavorare e purtroppo il periodo delle vacanze è finito per tutti: mare, montagna, crociere e posti incontaminati tante sono le destinazioni prescelte per trascorrere l’estate ed allontanarsi, chi più e chi meno, da casa. Tornati dalla vacanze, dopo aver raccontato ad amici e colleghi dove siamo stati, quali servizi e confort abbiamo trovato e come abbiamo mangiato, dopo aver postato sui vari social foto di posti dove la natura la fa da padrona, ci siamo chiesti che impatto ha causato la nostra vacanza sui posti che abbiamo scelto come nostro momento di svago ed evasione dalla routine quotidiana? Negli ultimi anni sempre più persone, complice anche lo sviluppo economico di colossi demografici come Cina ed India, hanno la possibilità di andare in vacanza e tutti vogliono vedere e visitare i luoghi più belli del mondo, posti incontaminati, soprattutto prima che questi siano rovinati per sempre dall’inquinamento e dal sovraffollamento. In tutto questo non ci accorgiamo però che è proprio il turismo la prima causa di degrado e inquinamento delle mete turistiche più ambite a livello mondiale. In base ai dati prodotti qualche anno fa da “Consumption and Environment 2012”, il documento dell’Unione Europea che monitora i consumi in Europa e le loro conseguenze sull’ambiente, il turismo risulta essere la quarta causa di inquinamento ambientale e di produzione di CO2, dopo i consumi alimentari, l’abitare e la mobilità. Il turismo significa sviluppo, crescita economica ma il retaggio di questi vantaggi molto spesso è pesante. La gestione delle emissioni prodotte dagli spostamenti in auto o in aereo, i rifiuti prodotti da comodità a cui non siamo in grado di rinunciare, l’assenza di sistemi di gestione dei reflui dei villaggi, il consumo delle risorse idriche sta compromettendo alcune delle mete turistiche tra le più belle al mondo. Dal Machu Picchu alla barriera Corallina, dai grandi parchi africani all’Antartide, dalla Muraglia Cinese al Taj Mahal, la lista purtoppo è lunga. Ora, esulando dalla spiccia retorica di chi sostiene che per mantenere queste bellezze incontaminate bisognerebbe impedire di visitarle, sono diverse le iniziative che stanno spostando l’attenzione ad un turismo sempre più sostenibile. Di turismo responsabile si parla ormai da alcuni anni, cercando di fare in modo che i proventi economici delle nostre vacanze arrivino anche alle popolazioni più disagiate dei luoghi che visitiamo, applicando il modello di sostenibilità anche all’ambiente che stiamo visitando si cerca di fare in modo di preservarlo per le generazioni future. Alcuni modelli di gestione sostenibile sono stati applicati a mete turistiche di nicchia e hanno dato ottimi risultati, adottando metodi di riduzione dei consumi, di gestione dei rifiuti e delle acque e politiche comportamentali non diversi da quelli che presentiamo normalmente nella nostra rivista. Il passo successivo sarà quello di applicare il concetto di turismo sostenibile ai posti più visitati al mondo che necessitano di un grande sforzo per mantenere intatta nel futuro la loro meravigliosa bellezza.

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S O M M A R I O S OM M A R I O

Rubriche

News 6 Reconnet 74 Vetrina 76 Appuntamenti 79

PRIMO PIANO

La sostenibilità delle bonifiche

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di Massimo Viarenghi

Il consumo di suolo è inarrestabile

di Maeva Brunero Bronzin

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di Andrea Stegher

WORK IN PROGRESS

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L’Italia che “sfonda” all’estero

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di Gian Maria Brega

THe big eye

Il nuovo termovalorizzatore di Poznan

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Una fresca demolizione

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Le microonde per il trattamento dei rifiuti

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Dal rifiuto organico al biocarbone

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Decommissioning di un ex impianto di produzione di PVC a Porto Marghera

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di Laura Veneri

di Bruno Vanzi

FABBRICA DELLE IDEE

Nuove tecnologie per nuove applicazioni di Maria Beatrice Celino

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La tecnologia a servizio delle bonifiche

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Avanti, con obiettivi chiari di Maria Beatrice Celino

Soluzioni intelligenti e maggiore redditività

Stabilizzazione in situ di sedimenti contaminati 53 Come la captazione del biogas può minimizzare le emissioni di gas serra dalle discariche di rifiuti

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La tecnica sotto vuoto per la bonifica dei siti contaminati dei distributori di carburanti

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Ossidazione e rimozione dell’arsenico dalle acque

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Database bibliografico “hydrocarbons phytoremediation”

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di Sara Di Lonardo et al.

Oltre un secolo di storia, solidità, ricerca e sostenibilità

di Bruno Vanzi

PROGETTI E TECNOLOGIE di Luca Navone et al.

PANORAMA AZIENDE di Maria Beatrice Celino

di Laura Veneri

di Stefano Marchiori

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di Kai Dürfeld

di Simone Taranto et al.

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di Rocco Pace et al.

Normativa

Le sanzioni amministrative e la tutela del territorio di Rosa Bertuzzi e Nicola Carboni

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Via PM2,5 e oli dai fumi

di Rino Russo

“Fare i conti con l’Ambiente 2016”: ancora grande partecipazione e interesse

di Laura Veneri

Il biometano e la strategia di decarbonizzazione dell’Italia

di Marco Costabello

Attualità

di Laura Veneri

SPECIALE

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CONSUMO DI SUOLO: NEANCHE LA CRISI DEGLI ULTIMI ANNI È RIUSCITA A FERMARE L’ESAURIMENTO DI QUESTA PREZIOSA RISORSA

14 LA STRATEGIA DI DECARBONIZZAZIONE DELL’ITALIA: ENTRO IL 2030 IL BIOMETANO POTREBBE RAPPRESENTARE IL 10% CIRCA DEL GAS IMMESSO NELLA RETE DI TRASPORTO NAZIONALE

36 LA GESTIONE DI RIFIUTI CONTAMINATI DA IDROCARBURI CLORURATI IN UN INTERVENTO DI DECOMMISSIONING DI UN EX IMPIANTO DI PRODUZIONE DI PVC A PORTO MARGHERA

50 DALLA GERMANIA LA TECNOLOGIA PER LA BONIFICA SOTTO VUOTO DI TERRENI INQUINATI E IL TRATTAMENTO DEI RIFIUTI INDUSTRIALI RAPIDa, EFFICIENTE ED ECOSOSTENIBILE

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NEWS Due miliardi di euro per l’ambiente Nel corso della riunione del Cipe che si è svolta il 10 agosto a Palazzo Chigi, è arrivato il via libera alla programmazione 2014-2020 dei Fondi Sviluppo e Coesione destinati all’Ambiente: quasi due miliardi di euro, di cui oltre 800 milioni destinati alle bonifiche dei Siti d’interesse nazionale e delle discariche. I settori su cui sono stati individuati Piani Stralcio di interventi prioritari sono le bonifiche dei Sin e delle discariche, la difesa del suolo, la depurazione e la gestione delle acque, i rifiuti, le infrastrutture verdi in parchi e aree marine protette, l’efficienza energetica degli edifici pubblici.

Sono 826 milioni, oltre il 40% del totale riservato all’Ambiente, i fondi destinati agli interventi prioritari di bonifica dei Siti d’Interesse Nazionale e delle discariche, da quelle in cui si evidenziano situazioni più critiche alle abusive che hanno determinato la sentenza di condanna della Corte di Giustizia Europea nei confronti dell’Italia. I criteri, fissati dalla Direzione per la “Salvaguardia del Territorio e delle Acque” del dicastero, sono il livello di rischio sanitario e ambientale, l’ubicazione dell’area di intervento in centri urbani e aree residenziali, i siti oggetto di infrazione e quelli soggetti ad indagini giudiziarie. Il Piano prevede inoltre il finanziamento di un progetto di censimento dell’amianto negli edifici scolastici. Il Piano stralcio redatto dalla direzione “Rifiuti e Inquinamento” prevede interventi per il settore rifiuti da 135 milioni, di cui oltre 98 per tredici azioni di completamento, riefficientamento e integrazione dell’impiantistica e del ciclo dei rifiuti. Trentuno milioni serviranno invece alla chiusura e all’adeguamento di 17 discariche attualmente in precontenzioso comunitario.

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274 milioni di euro sono stati destinati per la difesa del suolo e 606 milioni di euro alla sezione programmatica “Risorse idriche e interventi di depurazione”, necessari a risolvere il pesante contenzioso comunitario in materia di acque reflue e a colmare i ritardi nel campo della depurazione, partendo da quelle regioni del Centro-Sud dove non vi è ancora un servizio idrico a regime.

LA SICUREZZA DELLA GOMMA RICICLATA DA PNEUMATICI FUORI USO E’ stato presentato ad inizio settembre presso il Ministero dell’Ambiente lo studio realizzato da Bureau Veritas, CERISIE, Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri-IRCCS e Waste and Chemicals, promosso da Ecopneus per verificare la non tossicità dei materiali derivanti dal riciclo dei PFU. Lo studio è stato strutturato su diverse fasi, finalizzate ad indagare il contenuto di IPA negli pneumatici giunti a fine vita, identificare eventuali differenze nella composizione chimica di pneumatici prodotti in stabilimenti europei o extra-europei e prima o dopo gennaio 2010 (data di messa al bando degli olii aromatici usati nella produzione di pneumatici), determinare l’effettiva biodisponibilità di tali sostanze negli scenari più comuni di impiego della gomma riciclata.

“La ricerca è durata due anni ed è stata realizzata secondo le migliori tecniche disponibili. Siamo molto contenti che non sia emerso nessun possibile sospetto di rischio per la salute legato alla cessione di sostanze dannose da granuli e polverini di PFU in caso di esposizione dermica (contatto con la pelle) o inalatoria (anche solo mediante vicinanza). Questo peraltro non fa che confermare scien-


tificamente e organicamente quanto noto dalla letteratura internazionale esistente sull’assenza di rischi tossicologici rilevanti associati all’impiego di gomma riciclata da PFU” afferma Giovanni Corbetta, Direttore Generale Ecopneus. “Qualsiasi, seppur minima, evidenza di rischio potenziale per la salute delle persone – siano essi utilizzatori o lavoratori – avrebbe comportato da parte nostra l’immediata interruzione di tutte le attività della filiera del riciclo fisico e ci avrebbe fatto virare immediatamente verso il recupero energetico, per la totalità dei volumi da noi trattati, pari a circa 250.000 tonnellate ogni anno”. “Gli ultimi anni hanno cambiato la faccia alla filiera del riciclo degli pneumatici” dichiara il Sottosegretario all’Ambiente Barbara Degani. “Come Governo abbiamo il dovere di creare le migliori condizioni affinché possano svilupparsi sempre più imprese innovative “green” capaci di immettere nei mercati prodotti che siano sicuri da un punto di vista sanitario e ambientale e che siano piena espressione di quell’economia circolare verso cui l’Europa e il mondo intero stanno tendendo”. Oggi, soltanto con gli addetti delle circa 100 aziende del sistema Ecopneus, la filiera del riciclo di PFU conta oltre 700 unità. Considerando anche l’indotto derivante da attività di produzione e di servizi collegate alla filiera e quello dei settori applicativi della gomma da riciclo, si configura un sistema di una rilevante consistenza, che investe con trend crescente (ca. 15 milioni di euro/anno) e che ha buone potenzialità di sviluppo futuro sia economico che occupazionale.

PUBBLICATI I DECRETI SULL’IMMERSIONE DI MATERIALI DA SCAVO E DRAGAGGI NEI SIN Sono stati pubblicati il 6 settembre scorso sulla Gazzetta Ufficiale due decreti a firma del Ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti che disciplinano le immersioni in mare dei materiali di escavo dei fondali marini e le operazioni di dragaggio nei Siti di interesse nazionale oggetto di bonifica. “Sono due testi molto attesi dagli operatori - spiega il ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti - che rappresentano un importante passo avanti verso la semplificazione delle procedure, sempre nel pieno rispetto degli standard ambientali marino-costieri”. “La ratio dei provvedimenti - aggiunge Galletti - è chiara: regole certe e uniformi per garantire la tutela dell’ambiente accelerando nel contempo le opere necessarie”.

Il decreto sulle “immersioni in mare dei materiali di escavo, di fondali marini o salmastri o di terreni litoranei emersi” intende realizzare una sostanziale omogeneizzazione delle procedure per il rilascio delle autorizzazioni da parte delle Regioni competenti, rendendole coerenti a livello nazionale attraverso indicazioni tecniche e linee guida uniformi. Rientrano in questo ambito attività quali il miglioramento o il ripristino delle attività portuali, la riapertura di foci fluviali parzialmente o totalmente ostruite, la realizzazione di infrastrutture in ambito portuale o costiero e il prelievo di sabbie al fine di un loro utilizzo per interventi di ripascimento costiero. Il secondo decreto pubblicato in Gazzetta è invece quello relativo ai Siti di interesse nazionale e tratta le modalità tecniche per il dragaggio delle aree portuali e marino-costiere ricadenti all’interno dei siti: la novità di maggior rilievo è la possibilità di un eventuale reimpiego dei materiali dragati sia nel bacino idrico di provenienza, ma anche al di fuori dell’area del SIN. Qualora questi dispongano dei parametri necessari, sono previste tra le modalità di reimpiego quelle “per il rifacimento degli arenili, per formare terreni costieri o migliorare lo stato dei fondali attraverso attività di capping, per essere impiegati a terra o in aree con falda naturalmente salinizzata, per essere refluiti in strutture di contenimento”.

SICUREZZA STRADALE, AMBIENTALE E BENESSERE LAVORATIVO Ambiente Lavoro, l’unica manifestazione italiana dedicata alla promozione della salute e del benessere sul posto di lavoro si terrà a Bologna dal 19 al 21 ottobre. Anche in questa edizione verrà dedicata grande attenzione ai prodotti e alla formazione per la preven-

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NEWS zione di incidenti sul lavoro e malattie professionali. Accanto ad un nucleo centrale della manifestazione riservato alla safety, troveranno ampio spazio tematiche come la sicurezza stradale, il benessere lavorativo e la sicurezza ambientale.

I progetti per affermare la cultura della sicurezza alla guida, cui è legato oltre il 50% degli incidenti sul lavoro, saranno oggetto di momenti teorici e prove pratiche, sia per coloro per i quali la strada corrisponde al luogo di lavoro, sia per chi semplicemente compie ogni giorno un tragitto casa-lavoro. Tra le attività formative, molte quelle dedicate al tema del benessere sul posto di lavoro: curare lo stare bene dei lavoratori per garantirne l’incolumità fisica ma anche la serenità per innescare così un circolo virtuoso che renda le aziende sane. Anche la sicurezza ambientale figurerà tra le problematiche affrontate in manifestazione, per tutti i professionisti che si occupano dei fattori di rischio potenzialmente pericolosi sia per gli addetti ai lavori che per l’ambiente. In fiera saranno presentati prodotti e servizi dalle oltre 150 aziende partecipanti, ad affiancare l’area espositiva come di consueto, un calendario di iniziative formative proporrà 200 occasioni di aggiornamento professionale organizzate da 57 partner tra istituzioni, associazioni e aziende. Il programma convegni, seminari e corsi è online su www.ambientelavoro.it

TERREMOTO E AMIANTO: TRAGEDIA E RISCHIO Il terremoto del 24 agosto scorso porta con sé non solo le perdite umane e la distruzione causata dal sisma ma anche il rischio ed il pericolo concreto derivante dalle fibre di amianto disperse a causa della frantumazione delle macerie dei materiali da co-

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struzione. Si ipotizza una presenza di amianto nel Lazio pari a 17,5 tonnellate per chilometro quadro perciò è forte il rischio di contaminazione a seguito del terremoto come confermato anche Ezio Bonanni, Presidente dell’Osservatorio Nazionale Amianto ONA “visto l’utilizzo massiccio di amianto fino al 1992 nelle costruzioni edili, nell’impiantistica e negli arredi in generale, e vista l’assenza di obbligo giuridico di bonifica, in occasione di ogni terremoto si perpetua la stessa situazione. Questo perché sgretolandosi e disperdendosi nell’aria i materiali che contengono questi minerali cancerogeni, il pericolo di contaminazione aumenta a dismisura. La zona più a rischio è quella con gli edifici industriali attorno a Rieti ma il pericolo ovviamente è ovunque”. E’ essenziale quindi adottare qualsiasi strumento di prevenzione affinché a questa tragedia non se ne aggiungano altre. “Poiché non vi è una soglia al di sotto della quale il rischio di tumore si annulla, visto che sono sufficienti poche fibre per determinare l’insorgenza del mesotelioma - sottolinea Bonanni è necessario evitare qualsiasi forma di esposizione al materiale cancerogeno. E’ assolutamente fondamentale in tal senso bagnare le macerie con presenza di amianto e poi confinarle da qualche parte, anche attraverso l’utilizzo di teli di nylon, in attesa della bonifica. Altra cosa da fare è dotare gli operatori di tute monouso e di maschere per evitare l’inalazione di polveri e fibre di amianto. Utilizzare questi strumenti di prevenzione è l’unico modo per evitare l’esposizione a polveri e fibre di amianto di coloro che sono chiamati ad effettuare i primi interventi e di coloro che poi, successivamente, si occuperanno della bonifica”.



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LA SOSTENIBILITà DELLE BONIFICHE Un obiettivo difficile ma non impossibile per trasformare le bonifiche da problema ad occasione di crescita per il paese Italia: il punto di vista dell’AD di Syndial Giovanni Milani di Massimo Viarenghi

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e bonifiche in Italia dovrebbero rappresentare un’occasione di miglioramento ambientale crescita economica e sviluppo sociale nell’ottica di un approccio sostenibile integrato, il condizionale è d’obbligo perché sono ancora molti gli ostacoli che allontanano la realtà dei fatti dal modello ideale di approccio alle bonifiche. Ne abbiamo parlato in quest’intervista con l’ing. Giovanni Milani, Amministratore Delegato di Syndial servizi ambientali S.p.A., società di Eni che si occupa di risanamento ambientale, ripercorrendo gli obiettivi di un modello sostenibile per la gestione di aree estese con presenza di contaminazioni storiche mutuando

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dai risultati ottenuti da altri stati membri spunti per migliorare l’attuale iter procedurale e autorizzativo e le tempistiche al fine di massimizzare il recupero di queste aree. Parliamo di sostenibilità negli interventi di bonifica, un approccio che sta pesantemente cambiando il modo di gestire un sito contaminato rispetto al principio di “chi inquina paga”… La sostenibilità è un concetto che, prima ancora di trovare applicazione in strumenti pratici, deve essere una linea guida, o meglio ancora una filosofia di approccio al problema delle bonifiche che ci aiuta anche a comprendere gli obiet-

tivi primari delle attività di risanamento ambientale. Ovvero quelli di ottimizzare le risorse, ridurre l’impronta ambientale dei lavori che facciamo, massimizzare il recupero del suolo. Oggi infatti il suolo è acclamato quale risorsa preziosa e va trattata come tale. Ecco allora che dobbiamo essere sostenibili pensando anche al riutilizzo dell’area evitando la pratica - oggi diffusa dello “scavare e portare via” limitando, da un lato il turismo dei rifiuti, anche verso l’estero e, dall’altro, restituendo aree alla collettività in linea con la progettualità di rilancio dei territorio e con gli strumenti di pianificazione urbanistica. La filosofia della sostenibilità dovrebbe indurre a ripensare l’attribuzione di responsabilità: il principio “chi inquina paga” va bene fin tanto che è chiaro chi ha materialmente inquinato. Ma quando si parla di contaminazioni storiche, derivanti da decenni di attività industriali gestite da tanti soggetti, è assurdo pensare di poter riportare tutto il sito ad una situazione ex ante, perché non si può azzerare la storia industriale e i suoi effetti; ma si possono gestire in maniera intelligente, come delle opportunità. Questo è possibile! Altri Paesi europei ce lo dimostrano. Tutti i siti che Syndial sta gestendo presentano contaminazioni storiche, dal punto di vista normativo, la Comunità Europea, non ha emanato alcuna Direttiva riguardante la contaminazione dei suoli lasciando a ciascuno stato membro la scelta delle modalità di gestione della politica di risanamento, come si sta muovendo l’Italia?


Ing. Giovanni Milani, Amministratore Delegato di Syndial servizi ambientali S.p.A.

In Italia facciamo fatica ad avere una visione strategica dei problemi e a cogliere le opportunità che accompagnano sempre ogni situazione difficile, rispetto a quei Paesi come Germania, Austria, Olanda ed altri ancora. Tali Paesi hanno infatti adottato un approccio pragmatico e sostenibile nei confronti di quelle contaminazioni storiche per le quali tecnicamente sarebbe stato impensabile trovare soluzioni di bonifica percorribili, visti i volumi in gioco e l’estensione delle aree. Ecco allora che hanno trasformato questi siti in vere e proprie opportunità per il Sistema Paese, per reinventare un territorio, per creare lavoro, punti di incontro e di interesse. Hanno trasformato delle criticità in iniziative di recupero di cui tutti oggi parlano. Da noi si potrebbe fare esattamente lo stesso e invece che spendere i soldi per scavare e smaltire, potremmo spenderli per costruire. Alcuni concetti importanti, come la mobilità dei contaminanti all’interno delle matrici ambientali, la biodisponibilità, i software per il calcolo della sostenibilità, hanno cominciato a fare breccia, ma la strada è ancora lunga e in salita e la norma ancora troppo focalizzata su obiettivi di bonifica anziché di recupero. Il principio di sostenibilità trova applicazione in Italia? Mi spiego meglio, sostenibile non sempre vuol dire trovare la miglior soluzione di bonifica ma trovare un equilibrio tra tutela dell’ambiente, risorse economiche e sviluppo del ter-

ritorio. Ci sono gli strumenti normativi per questo tipo di approccio? Il concetto di sostenibilità nella nostra normativa è presente come indirizzo, ma trova difficilmente applicazione pratica o strumenti concreti e viene calato con fatica all’interno delle singole iniziative, per mancanza di procedure condivise. Syndial partecipa al SURF (Sustainable Remediation Forum), un’iniziativa nata nei paesi anglosassoni (USA, UK e altri) a cui partecipano Enti Pubblici, Privati e Aziende, finalizzata a definire approcci e criteri per la bonifica sostenibile dei siti contaminati. In questo ambito abbiamo realizzato un software, il SAF, sviluppato su degli standard internazionali riconosciuti e consolidati in altri Paesi, che permette di dare un peso oggettivo alla sostenibilità ambientale, sociale ed economica di ogni intervento, fornendo così uno strumento di confronto e di supporto decisionale. Lo stiamo promuovendo e proponendo sempre più spesso nei nostri progetti, come valore aggiunto. Adesso però tocca agli Autorizzatori e anche al Legislatore, fare un passo in questa direzione, per diventare veramente sostenibili e pragmatici. A livello europeo come si stanno muovendo gli stati membri? Ci sono degli indirizzi a livello europeo che parlano di sostenibilità e riutilizzo del suolo, ma la declinazione normativa è libera facoltà di ogni Stato membro. In molti paesi (Germania, Olanda, Svezia..) laddove presenti importanti contaminazioni storiche (si pensi ai bacini della Ruhr) si è adottato un approccio molto pragmatico. Il legislatore ha individuato un percorso di recupero dell’area che punta a obiettivi di riqualificazione e di sostenibilità, definendo cioè un progetto di riutilizzo e non avendo l’utopistica pretesa di azzerare un secolo di storia industriale. Quindi, fatta salva la valutazione dei rischi per le persone e per l’ambiente, si stanno facendo, negli altri Paesi, delle scelte sostenibili che puntano a ridurre l’impronta ambientale dell’intervento. Se dovesse dare un giudizio sull’approccio alle bonifiche in Italia dalla nascita di Syndial ad oggi, in tema di effi-

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cienza ed efficacia del processo come si esprimerebbe? L’obiettivo di Syndial da quando è nata è sempre stato quello di risanare e recuperare tutti i nostri siti dismessi. In questo senso abbiamo proceduto prima con la messa in sicurezza di tutte le nostre aree, con importanti opere di barrieramento e conterminazione, per poi passare alle bonifiche vere e proprie. In questo processo quello che è sempre mancato al sistema Paese è una visione strategica, un indirizzo verso cui far convogliare gli sforzi tecnici ed economici che Eni ha messo e mette tutt’oggi a disposizione. Basti pensare che negli ultimi 15 anni Eni (prevalentemente Syndial) ha speso quasi 3 MLD di € in risanamenti ambientali derivanti dall’applicazione della normativa nazionale, a fronte di pochissimi ettari certificati per il riutilizzo. Abbiamo sempre utilizzato le migliori tecnologie sul mercato, confrontandoci anche con le migliori Università sul tema della ricerca, per permettere di minimizzare l’impatto ambientale dei nostri interventi. E’ evidente che il sistema non è stato virtuoso e la sostenibilità, tanto promossa da Syndial, sta trovando oggi l’applicazione pratica in linea con l’Economia circolare. Conseguenza: in Italia non è stata colta l’opportunità delle bonifiche per le quali si impegnano ingenti somme di denaro, pari a importanti investimenti industriali. Solo di recente si stanno muovendo piccoli timidi passi, sorretti in parte dalle nuove disposizioni legislative, per realizzare anche nella Bell’Italia le famose colline della Ruhr. Quali sono stati i principali ostacoli che avete riscontrato nella gestione dell’iter istruttorio e procedurale? Negli anni Syndial è cresciuta molto, in termini di competenze e di organizzazione, sempre più integrata e focalizzata sui risanamenti ambientali. Anche il nostro approccio sistemico negli anni si è evoluto, facendo scuola. Nell’ambito dei procedimenti autorizzativi puntiamo molto sul coinvolgimento degli stakeholder, sulla trasparenza, e sull’innovazione tecnologica in cui crediamo. Purtroppo il sistema autorizzativo italiano è molto articolato e complesso e gli Enti coinvolti nei procedimenti

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P RI MO

P I A N O

impongano i limiti più restrittivi in assoluto e i costi di bonifica più alti; e tutto questo per lo più a fronte di nessuna iniziativa strategica di recupero.

Cengio - situazione ante interventi

Cengio - rendering finale post bonifica

sono molti ed ognuno esprime le proprie istanze. Manca quindi una visione strategica e chi deve autorizzare si arrocca su criteri di autotutela, senza applicare minimamente criteri di sostenibilità. Insomma, la norma è applicata con una

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certa rigidità e con criteri conservativi, in controtendenza rispetto a quanto fanno molti altri Paesi europei. Tanto che studi di mercato che abbiamo eseguito ci dicono chiaramente come gli obiettivi di bonifica definiti per i nostri siti

Da quando è iniziato il processo istruttorio per la bonifica di Pieve Vergonte e Acna di Cengio sono passati diversi anni. Cosa sarebbe cambiato se l’iter di bonifica iniziasse oggi? Pieve Vergonte è un esempio virtuoso in cui si è dimostrata l’efficacia del coordinamento con le Amministrazioni locali per definire gli obiettivi di bonifica, in accordo con il Ministero dell’Ambiente. Si tratta di un percorso condiviso che ha permesso di arrivare all’approvazione di un progetto che riqualificherà l’intera area di stabilimento, con lo scavo e trattamento di circa 700.000 m3 di terreno, il potenziamento dell’impianto di trattamento delle acque di falda e la ricollocazione nel suo alveo originale del torrente Marmazza, risolvendo così una storica criticità ambientale. E’ costato molti sforzi e un lungo percorso, ma la delega alla Regione e la condivisione del percorso con gli altri Enti Locali si è rivelata la strada giusta. Il sito di Cengio ha avuto un percorso diverso. Grazie alla nomina di un Commissario delegato nel 1999 i lavori sono stati condivisi e supervisionati da una struttura commissariale governativa, e questa ha consentito lo sviluppo di progetti e lavori con obiettivi chiari e condivisi, come purtroppo non succede in molti altri procedimenti nei Siti di Interesse Nazionale che difficilmente trovano un momento di sintesi e accordo decisionale in conferenza dei servizi. Da allora sul sito di Cengio sono stati spesi 300 Mil € e la bonifica del sito è nelle fasi finali. Da questi due esempi è evidente come lo strumento dell’accordo con le Amministrazioni e le deleghe locali abbiano permesso di avere una condivisione strategica e di effettuare i lavori di bonifica. Questo merita una riflessione sull’approccio rigido e conservativo che oggi viene adottato per approcciare contaminazioni storiche che all’estero hanno saputo tramutare in opportunità, ma qui in Italia restano oggetto di impasse decisionale piuttosto che di approcci alla bonifica in stile NIMBY (Not In My Backyard).


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A T T U A L I TÀ

Il consumo di suolo è inarrestabile Neanche la crisi degli ultimi anni è riuscita a fermare l’usura di questa preziosa risorsa di Maeva Brunero Bronzin

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dispetto delle apparenze, il suolo è un elemento delicato. È una risorsa che andrebbe tutelata ma che l’uomo continua a “sperperare”, dimenticandosi che non è una risorsa rinnovabile. Il consumo di suolo è un argomento che le istituzioni hanno cominciato a studiare e seguire più da vicino da alcuni anni. Tant’è che il Governo e le Camere stanno lavorando a un DDL sul “Contenimento del consumo del suolo e riuso del suolo edificato” e l’Ispra è il terzo anno che dedica un rapporto a tale tema. È proprio grazie al Rapporto 2016 “Consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici” dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale che si può comprendere meglio il problema del consumo di suolo in Italia. Nell’introduzione al Rapporto il Presidente di Ispra, Bernardo De Bernardinis parla di “come la progressiva espansione delle infrastrutture e delle aree urbanizzate, in particolare di quelle a bassa densità, continua a causare un forte incremento delle superfici artificiali. Il consumo di suolo rallenta, ma cresce ancora negli ultimi anni di una crisi che non è riuscita a fermare dinamiche insediative, quasi mai giustificate da analoghi aumenti di popolazione e di attività economiche che portano a trasformazioni dell’uso del territorio non sempre adeguatamente governate da strumenti di pianificazione e da politiche efficaci di gestione del patrimonio naturale. Le conseguenze sono la perdita consistente di servizi ecosistemici e l’aumento di quei “costi nascosti”, come li definisce la Commissione Europea, dovuti alla crescente impermeabilizzazione del suolo”. Neanche la crisi, che purtroppo ha fermato molte attività, è riuscita ad arrestare il

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consumo della risorsa suolo. C’è stato un rallentamento che però non è imputabile ad una cosciente politica di pianificazione urbanistica. Tant’è che oltre la metà del territorio nazionale ha ormai perso parte delle sue funzioni fondamentali. Legambiente chiede “norme e regole efficaci, azioni e strategie concrete non più rimandabili che mettano al centro la rigenerazione urbana e il suolo inteso come bene comune e preziosa risorsa da tutelare. È il momento di dare un segnale chiaro al Paese, delineando una strategia ben precisa che tenga conto di una politica economica sostenibile e una normativa a difesa del suolo, per iniziare quella strada del cambiamento caratterizzata dalla rigenerazione urbana, dalla sostenibilità ambientale, dalla riqualificazione edilizia, energetica e antisismica del patrimonio esistente. Un cambiamento condiviso da tanti cittadini e indispensabile per la Penisola”. Tra il 2013 e il 2015 le nuove coperture artificiali hanno riguardato 250 chilometri quadrati di territorio, ovvero, in media, circa 35 ettari al giorno. Una velocità di trasformazione di circa 4 metri quadrati di suolo che, nell’ultimo periodo, sono stati irreversibilmente persi ogni secondo. Dopo aver toccato anche gli 8 metri quadrati al secondo degli anni 2000, il rallentamento iniziato nel periodo 2008-2013 (tra i 6 e i 7 metri quadrati al secondo) si è consolidato, quindi, negli ultimi due anni, con una velocità ridotta di consumo di suolo, che continua comunque a coprire, ininterrottamente, aree naturali e agricole con asfalto e cemento, edifici e fabbricati, servizi e strade, a causa di nuove infrastrutture, di insediamenti commerciali, produttivi e di servizio e dell’espansione di aree urbane, spesso a bassa densità. I dati della rete di monitoraggio mostrano come, a livello

nazionale, il suolo consumato sia passato dal 2,7% degli anni ’50 al 7,0% stimato per il 2015, con un incremento di 4,3 punti percentuali e una crescita percentuale del 159% (1,2% ulteriore tra il 2013 e il 2015). In termini assoluti, si stima che il consumo di suolo abbia intaccato ormai circa 21.100 chilometri quadrati del nostro territorio. Dal 2012 al 2015 il territorio sigillato è aumentato dello 0,7%, invadendo fiumi e laghi (+0,5%), coste (+0,3%) ed aree protette (+0,3%), avanzando anche in zone a pericolosità sismica (+0,8%), da frana (+0,3%) e idraulica (+0,6%). Inoltre, la maggior parte del suolo consumato è di buona qualità. Gli studi hanno evidenziato che in Abruzzo e in Veneto i suoli modificati sono stati quelli con maggiore potenzialità produttiva. Inoltre la copertura artificiale non deteriora solo il terreno direttamente coinvolto, ma produce impatti notevoli anche su quello circostante. Gli effetti, le perdite di parte delle funzioni fondamentali, si ripercuotono sul suolo fino a 100 metri di distanza. In altri termini, oltre la metà del territorio nazionale (56%) risulta compromesso. Ma qual è il costo di tutto questo? Lambisce il miliardo di euro (oltre 800 milioni) il prezzo massimo annuale che potremmo pagare da quest’anno per affrontare gli effetti del consumo di suolo degli ultimi 3 anni (2012-2015), un consumo che, benché viaggi oggi alla velocità di 4 metri quadrati al secondo, prosegue implacabilmente ad andare avanti ricoprendo in soli due anni altri 250 km2 di territorio, circa 35 ettari al giorno. L’impatto economico del consumo di suolo in Italia è stato stimato attraverso la contabilizzazione dei costi associati alla perdita dei servizi ecosistemici connessi. I costi occulti, quelli cioè non sempre im-


Stima preliminare dei costi annuali minimi e massimi dovuti al consumo di suolo avvenuto tra il 2012 e il 2015 in Italia Servizio ecosistemico Stoccaggio e sequestro del carbonio

Valore minimo [€/anno]

Valore medio [€/anno]

Valore massimo [€/anno]

-15.941.704

-80.372.758

-144.803.812

Qualità degli habitat

-5.274.924

-5.274.924

-5.274.924

Produzione agricola

-424.293.454

-424.293.454

-424.293.454

-17.546.800

-17.546.800

-17.546.800

Purificazione dell’acqua

387.723

581.585

775.446

Protezione dall’erosione

-21.098.489

-70.834.017

-120.569.544

Impollinazione

-2.059.787

-2.405.010

-2.750.232

Regolazione del microclima

-2.191.438

-5.478.596

-8.765.754

-49.675.405

-74.513.108

-99.350.810

-623.828

-1.274.424

-1.925.019

-538.318.106

-681.411.505

-824.504.903

Produzione legnosa

Infiltrazione dell’acqua Rimozione di particolato e ozono

Totale mediatamente percepiti, presumono una spesa media che può arrivare anche a 55 mila euro all’anno per ogni ettaro di terreno consumato. Relativamente alla suddivisione di tali costi, si sottolinea come l’apporto maggiore sia da assegnare alla produzione agricola, che grava per il 51% nel caso del massimo del range dei valori considerati, ed al sequestro del carbonio (18%), protezione dell’erosione (15%) e infiltrazione dell’acqua (12%). I costi cambiano a seconda del servizio ecosistemico che il suolo non può più fornire per via della trasformazione subita: si va dalla produzione agricola (oltre 400 milioni di ero), allo stoccaggio del carbonio (circa 150 milioni), dalla protezione dell’erosione (oltre 120 milioni), ai danni provocati dalla mancata infiltrazione dell’acqua (quasi 100 milioni) e dall’assenza di impollinatori (quasi 3 milioni). Solo per la regolazione del microclima urbano (ad un aumento di 20 ettari per km2 di suolo consumato corrisponde un aumento di 0,6°C della temperatura superficiale) è stato stimato un costo che si aggira intorno ai 10 milioni all’anno. Le regioni più colpite sono Lombardia,

Veneto e Campania che superano il 10% di suolo consumato. In Emilia Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Puglia, Piemonte, Toscana, Marche troviamo valori compresi tra il 7 e il 10%. La regione più virtuosa è la Valle d’Aosta (3%). La Lombardia si conferma, per caratteristiche territoriali e densità di popolazione, produttiva e infrastrutturale, la regione italiana con la percentuale più alta di suolo consumato. Le province lombarde con le percentuali di consumo di suolo maggiore risultano essere quelle maggiormen-

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SETTEMBRE

te popolate e con la maggiore densità di insediamenti produttivi e di infrastrutture di trasporto. Alla scala comunale, i valori più elevati di consumo di suolo possono essere associati all’impatto locale di nuovi insediamenti produttivi e, in particolare, di nuove infrastrutture viabilistiche. In Veneto negli ultimi 3 anni, dal 2012 al 2015, sono stati consumati 1.400 ha circa, un incremento dello 0,6%. In Toscana le aree con i valori più elevati di suolo consumato si concentrano nel bacino Firenze-PratoPistoia e nella fascia costiera tra il confine con la Liguria e la città di Livorno, oltre che lungo le direttrici principali dello sviluppo urbano e infrastrutturale. Le province con i tassi maggiori di consumo di suolo risultano, anche a causa delle ridotte dimensioni, quelle di Prato e Pistoia, mentre la città metropolitana di Firenze – che dal 2015 è subentrata alla provincia – fa registrare il valore più grande in termini assoluti. Analogamente, tutti i comuni con le percentuali maggiori di suolo consumato si trovano nella Versilia e nel bacino fiorentino anche se le maggiori superfici consumate si registrano nei comuni capoluogo di provincia.

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A T T U A L I TÀ

“Fare i conti con l’Ambiente 2016”: ancora grande partecipazione e interesse Chiude con successo anche la nona edizione del Festival scientifico su rifiuti, acqua, energia, bonifiche e sviluppo sostenibile di Gian Maria Brega*

S

i è conclusa la nona edizione di “Fare i conti con l’Ambiente”, Festival formativo su rifiuti, acqua, energia, bonifiche e sviluppo sostenibile. Ennesimo successo, qualità degli interventi e partecipazione complessiva di oltre 2000 delegati provenienti da tutta Italia e dall’estero. Tre giornate con 50 iniziative; si è svolto infatti interamente nel centro storico pedonale di Ravenna e ha previsto non solo conferenze a tema ma anche seminari di formazione (denominati labmeeting) e workshop in grado di abbracciare tutti i segmenti di attualità tecnico-scientifica del settore rifiuti, acqua, energia, bonifiche e sostenibilità ambientale. Promuovere la qualità nel settore dei rifiuti e dei servizi pubblici locali, l’economicità, l’efficienza e trasparenza attraverso l’accesso e condivisione delle informazioni (open content), la gestione degli open data e l’open innovation rappresenta da anni la visione di labelab che sta alla base della manifestazione di Ravenna, quest’anno in misura ancora maggiore. Le conferenze hanno suscitato grande interesse, da quella sulla cybersecurity con Umberto Torelli, giornalista del Corriere della Sera, organizzata dal Rotary Club Ravenna Galla Placidia, a quella sull’agricoltura circolare in Emilia Romagna, dalla

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gestione degli inerti al Premio Ambiente & Futuro svoltosi presso la Camera di Commercio di Ravenna. Tantissimi i workshop di interesse che hanno abbracciato molteplici aspetti, tra cui “open data & rifiuti”, normativa Seveso, terre da scavo, efficienza energetica degli edifici, presentazioni di start up e pitch di idee di business, biomasse, edilizia sostenibile, rischio idraulico, fonti rinnovabili, progetti sperimentali connessi al recupero dei rifiuti, la tutela ambientale e la responsabilità d’impresa. Importante il successo delle due vere e proprie Scuole di Alta Formazione ospitate all’interno della manifestazione: sulla Bonifica di Siti Contaminati e la Gestione dei Rifiuti, organizzate con il contributo straordinario di SGM Ingegneria di Ferrara ed Ecoricerche di Sassuolo. Parallelamente agli appuntamenti tecnico-scientifici di Ravenna 2016, grande interesse è stato riscontrato anche per gli eventi culturali in giro per la città, come l’esposizione RAEE al Caffè Letterario con monili realizzati dai carcerati utilizzando materiali recuperati, la mostra organizzata dall’Accademia di Belle Arti di Ravenna nelle Vetrine della Camera di Commercio e la performance a tema ambientale di Patrizia Giambi, focalizzata sul tema della “mancanza d’acqua”. Gli organizzatori di Labelab ringraziano

l’Assessorato Ambiente del Comune di Ravenna – CEAS – Agenda XXI, gli sponsor e partner ed enti patrocinatori che hanno contribuito all’importante risultato di questa edizione. Notevole anche il contributo della Scuola Alberghiera, IPSEOA – Tonino Guerra di Cervia, che con due classi 3^F e 4^F di indirizzo accoglienza turistica hanno supportato Labelab nell’accoglienza dei partecipanti in tutte le sale del festival. Gli atti sono gratuitamente disponibili sul sito della manifestazione (www.ravenna2016.it). La manifestazione non si conclude con il termine fisico dell’evento ravennate ma continua a vivere attraverso le iniziative web e social di labelab, dal blog “conversazioni sostenibili” (www.labelab.it/blog), al canale YouTube (progetto labelab), ai profili Facebook (labelab), Twitter (@labelab) e LinkedIn (labelab). Un costante lavoro di comunicazione “continuativa”, un punto di riferimento per tecnici e media, con video che documentano i momenti salienti delle edizioni precedenti, post e aggiornamenti in tempo reale sui temi dei rifiuti, acqua, energia e sviluppo sostenibile. Un contenitore poliedrico e dinamico che ha reso “Fare i conti con l’Ambiente” uno dei momenti “green” più stimati in Italia. *Labelab


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A T T U A L I TÀ

L’Italia che “sfonda” all’estero L’associazione dei costruttori di macchine, attrezzature e stampi per materie plastiche e gomma si è riunita a fine giugno per rinnovare le cariche e per fare il punto della situazione del mercato di Laura Veneri

A

ssemblea a porte chiuse per il rinnovo delle cariche e l’approvazione del nuovo statuto, rinnovato in base alle linee guida di Confindustria, di cui Assocomoplast è socia. I dati del primo trimestre dell’anno e l’analisi del settore sono stati affrontati dal Presidente dell’Associazione Alessandro Grassi, nella sua relazione ai soci. Grassi ha fornito un quadro sulla tendenza del settore e ha evidenziato come il 2015 sia stato per la maggior parte delle aziende un anno positivo in cui la produzione si è consolidata e le esportazioni sono aumentate, tant’è che il record storico di vendite all’estero registrato nel 2007 (quindi pre-crisi) è stato superato, con oltre 2,9 miliardi di euro. Esaminando le Nazioni verso cui il valore delle vendite ha raggiunto almeno i 20 milioni di euro nel gennaio-marzo 2016, si rileva un andamento positivo verso i mercati comunitari (+27% la Spagna, +17% la Repubblica Ceca, +15% il Regno Unito, +14% la Francia), con l’eccezione della Polonia, in calo del 25% rispetto a quanto venduto nel primo trimestre del 2015; rimangono essenzialmente inalterate le forniture alla Germania, attestatesi poco sopra i 91 milioni di euro, che la confermano primo mercato di sbocco. Al di fuori dell’Unione, rimane stabile il livello dell’export verso la Russia, nell’ordine degli 11 milioni. Da rilevare un rallentamento del flusso verso Stati Uniti e,

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soprattutto, Messico con, rispettivamente, un calo del 6% e del 56%. Triplicate, invece, le esportazioni verso il Brasile, che hanno sfiorato i 20 milioni di euro, mentre rimangono stabili quelle verso la Cina, appena al di sotto dei 30 milioni. L’ultima indagine congiunturale svolta da Assocomaplast tra i propri associati evidenzia un buon andamento del portafoglio ordini nel semestre in corso rispetto al precedente, con una previsione di aumento per oltre la metà del campione intervistato. “Sono fermamente convinto - ha dichiarato Grassi - delle grandi potenzialità del nostro settore ma soprattutto delle nostre imprese. In tutti questi anni, pri-

ma con l’avvento dell’euro e poi con la crisi economica, abbiamo dimostrato di essere capaci non solo di tenere le posizioni ma anche di migliorare. Sono fermamente convinto che attraverso la collaborazione in un’ottica di filiera (ma perché no, anche fra aziende concorrenti) si possano raggiungere risultati ancora più ambiziosi di quelli già raggiunti in questi anni”. Ha preso successivamente la parola il Prof. Marco Fortis, vice-Presidente di Fondazione Edison e consigliere economico della Presidenza del Consiglio, che ha proposto un’analisi dello scenario economico italiano con particolare riferimento alla filiera della gomma e della


plastica. Nella sua presentazione, il professor Fortis ha prima di tutto rimarcato come i dati macroeconomici italiani siano fondamentalmente positivi: PIL in crescita per il quinto trimestre consecutivo, fino al +1% del gennaio-marzo 2016, consumi delle famiglie in ripresa, livelli dell’occupazione in tendenziale miglioramento, export e bilancia commerciale in positivo, crescita degli investimenti in macchinari, confermata anche dal balzo di quasi 32 punti percentuali degli ordini di macchine utensili. In tale contesto, nel 2015 la filiera della plastica-gomma ha esportato beni per un valore record di 22,6 miliardi di euro e, nel 2014, sono stati 45 i prodotti del sistema plasticagomma-macchine-stampi per cui l’Italia si trova ai vertici mondiali per saldo commerciale. L’economista ha concluso l’analisi presentando dati recenti sulla relazione tra dimensione aziendale ed export. Sono 1.900 le imprese industriali italiane con oltre 250 addetti che nel 2013 hanno esportato 159 miliardi di euro, ponendosi al terzo posto nella UE dopo la

Germania e la Francia. “Il valore medio esportato dalle grandi imprese industriali italiane è tutt’altro che disprezzabile (pari a 132mila euro per impresa). Infatti, Germania a parte (con 200mila euro per impresa), l’Italia precede Regno Unito (129mila euro), Spagna (127mila euro) e Francia (123mila euro). Si aggiunga

che le grandi imprese industriali italiane esportano, per un confronto, più dell’intera industria spagnola” ha commentato il professore. Le imprese italiane con 50249 addetti nel 2013 hanno esportato 97 miliardi di euro; mentre quelle con 10-49 addetti (piccole imprese), nel 2013 hanno esportato 50 miliardi di euro.


T H E

B I G

EY E

Il nuovo termovalorizzatore di Poznan LE MACCHINE DOOSAN SONO ALL’OPERA NELL’IMPIANTO PRIMO IN POLONIA AD ESSERE STATO realizzato con la formula del partenariato pubblico-privato (PPP) di Bruno Vanzi

S

ITA Zielona Energia, azienda del Gruppo Suez Environnement e la città di Poznan hanno realizzato il nuovo termovalorizzatore di Poznan in Polonia con capacità di 210.000 tonnellate l’anno. SITA Zielona Energia ha affidato la costruzione dell’impianto al consorzio Hitachi Zosen Inova, tra i maggiori costruttori mondiali nel campo della produzione di energia da rifiuti urbani e Hochtief, una tra le maggiori aziende di costruzione al mondo. La tecnologia utilizzata per l’inceneritore di Poznan

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è a griglie. La combustione dei rifiuti riscalda l’acqua nei tubi della caldaia, trasformandola in vapore. Il vapore viene pompato nella turbina collegata al generatore che converte l’energia del vapore in elettricità, mentre il vapore residuo, ritrasformatosi in acqua nello scambiatore di calore, riscalda l’acqua per il teleriscaldamento. Sottoprodotto di questo processo sono le ceneri. Il 100% dei rifiuti che entra nell’impianto si trasforma in un 30% di residui da cui è ancora possibile recuperarne un 25%. Dopo adeguata

valutazione e maturazione, le ceneri diventano una miscela di aggregati di alta qualità utilizzabili per la costruzione di strade, mentre i metalli ferrosi e non ferrosi in esse contenuti sono impiegabili nelle acciaierie. Il processo di trattamento termico in condizioni normali è autotermico, cioè non richiede l’utilizzo di combustibile convenzionale e genera calore che viene trasformato in elettricità e utilizzato per la rete di teleriscaldamento. Parte integrante del processo è un’efficace sistema di purificazione multistadio


dei gas di scarico che deve garantire la riduzione delle emissioni in atmosfera. L’intero processo di trattamento termico dei rifiuti viene eseguito in modo da ridurre al minimo qualunque tipo di inquinamento. I rifiuti secondari derivanti dal processo di trattamento termico, come la cenere volatile dell’inceneritore, i rifiuti solidi e la polvere delle caldaie, sono gestiti in maniera ecocompatibile e nel rispetto della gerarchia dei rifiuti. Il termovalorizzatore, che diverrà pienamente operativo a novembre, servirà 740.000 residenti di Poznan e nove municipalità nello stesso distretto. L’impianto sarà in grado di smaltire fino a 210.000 t di rifiuti urbani l’anno, con cicli di 24 ore. L’inceneritore produrrà annualmente più di 100.000 MW di elettricità e più di 300.000 GJ di energia termica recuperata dalla combustione. I macchinari necessari per operare nell’impianto sono stati forniti da Grausch & Grausch, il distributore autorizzato Doosan in Polonia, che ha fornito due nuove pale gommate Doosan DL350-5, un movimentatore di materiali Doosan DX210MH-3, due carrelli elevatori e un sollevatore telescopico Bobcat T40140. Il processo di valutazione per la scelta delle macchine è iniziato a dicembre 2014. “Cercavamo un’azienda che fosse in grado di fornirci le macchine ideali con caratteristiche idonee ad operare nel campo del trattamento rifiuti” ci ha spiegato Szymon Cegielski, Contract Manager. “Abbiamo valutato i principali marchi leader, analizzando con attenzione ogni aspetto, inclusa la disponibilità dei ricambi, la vicinanza del fornitore, la velocità di risposta e i giudizi dei clienti. Terminata la valutazione, l’offerta di Doosan è risultata alla fine la più vantaggiosa, anche in termini di prezzo, e il loro modo di agire ci è sembrato essere più vicino alle esigenze del mercato polacco. La garanzia delle pale caricatrici copre due anni o 4.000 ore di funzionamento, quella del movimentatore di materiali 60 mesi o 3.000 ore di funzionamento. Nel pacchetto sono inoltre compresi i due carrelli elevatori e il telescopico Bobcat. Le macchine

saranno utilizzate in un ambiente polveroso. Le pale DL350-5 equipaggiate con benne da 5 m3 di capacità saranno utilizzate intensamente, spostando materiali tra le aree di valutazione, maturazione e carico delle ceneri sugli autocarri. Un elemento importante tra i criteri di selezione è stata l’altezza del perno di rotazione della benna, fattore essenziale per ribaltare la benna completamente oltre le pareti del cassone degli autocarri che entrano nell’impianto. Il movimentatore di materiali DX210MH-3 con cabina elevabile sarà utilizzato nell’edificio di scarico materiali. Una volta la settimana, l’impianto tratterà rifiuti voluminosi come mobili e divani, che saranno prima ridotti di volume con un frantumatore mobile e

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quindi depositati nell’apposita area di raccolta. L’ottima visibilità garantita dalla cabina elevabile del movimentatore, combinata con la pinza dal profilo ottimizzato, garantisce un’ottima visuale sul sistema di alimentazione del frantumatore, aiutando così a ridurre al minimo il rischio di situazioni potenzialmente pericolose. Siamo riusciti a negoziare un ottimo pacchetto di assistenza, tempi di risposta molto brevi e disponibilità di macchine sostitutive per i casi di fermo macchina prolungato delle nostre macchine in caso di riparazioni. Credo che queste macchine ci daranno delle belle soddisfazioni e la loro qualità è risultata evidente sin dal primo momento in cui abbiamo iniziato a usarle”.

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REGIONE LOMBARDIA NUOVE TECNOLOGIE AL GRAFENE PER LA TUTELA DELL’AMBIENTE

Via N. Battaglia,22 - 20127 MILANO Via Macon. 30 – 23900 LECCO Via Parigi 11 – 00185 ROMA

Via E. De Amicis,20 20881 BERNAREGGIO MB

Via Nuova Valassina,5/b 22046 MERONE (CO)

Tecno Habitat – APS Ecosystem – Cear sperimentano sul termovalorizzatore di Silea in Valmadrera (LC) la riduzione degli inquinanti in emissione con impianto pilota 22


F A BB R I C A

DE L L E

I DE E

Nuove tecnologie per nuove applicazioni L’utilizzo del grafene per la depurazione dei fumi di un impianto di termovalorizzazione di Maria Beatrice Celino

L

o stanno ancora sperimentando ma i risultati sono molto positivi, come in tanti altri campi in cui è già stato introdotto. Stiamo parlando del grafene, un materiale che rivoluzionerà molti settori. Lo chiamano “la plastica del futuro” perché è un materiale estremamente promettente per la produzione di nuove tecnologie in grado di rivoluzionare molti distretti industriali, come l’elettronica, il fotovoltaico, la chimica, il tessile, l’ambiente e la meccanica. Il grafene è costituito da uno strato di atomi di carbonio ed è il materiale più sottile del mondo; per raggiungere un millimetro di spessore servirebbero tre milioni di fogli. Il grafene è più forte dell’acciaio ed è un conduttore di elettricità più efficiente del rame ed un eccezionale conduttore di calore. Tecno Habitat S.p.A., società di ingegneria con particolare attenzione ai temi ambientali, ha proposto a Silea S.p.A., società attiva nella gestione dei rifiuti nella Provincia di Lecco, una sperimentazione sull’utilizzo del grafene per la captazione degli inquinanti emessi dal camino in forma aerodispersa, in particolare diossine e clorurati. La sperimentazione è stata condotta con il supporto attivo di altre tre aziende: CEAR S.r.l. (Laboratorio di analisi e ricerche); APS Ecosystem (società specializzata nel trattamento delle emissioni); Directa Plus (società italiana quotata in borsa a Londra produttore di grafene). Sono state fatte diverse prove in laboratorio con campionamento e quindi analisi degli inquinanti in emissione dal camino di Silea: tali analisi hanno evidenziato la capacità del grafene

nella captazione di microinquinanti in particolare diossine e clorurati. Si è quindi predisposto il progetto di un impianto pilota da collocare al camino derivando una quota delle emissioni per avere un confronto fra il trattamento già in essere in Silea e la nuova tecnologia utilizzante grafene. E stata richiesta autorizzazione per la sperimentazione su impianto pilota alla Regione Lombardia. La Regione Lombardia ha autorizzato la sperimentazione e periodicamente viene informata sui risultati ottenuti tramite report tecnici. la Regione Lombardia ha dimostrato grande interesse su questa nuova tecnologia anche ed in particolare perché si potrebbe ridurre la concentrazione di inquinanti significativamente pericolosi per l’ambiente e gli umani quali le diossine ed i clorurati. Si è verificato che il grafene ha una capacità di assorbimento di 13.500 mg/ grammo contro una capacità di assorbimento del carbone attivo di 30 mg/ grammo ed è in grado di adsorbire una quantità di diossine fra il 97 ed il 99% in peso, emesse dal camino del termovalorizzatore. Un materiale estremamente promettente, quindi, che potrebbe davvero catturare in maggior misura gli inquinanti che si rilasciano nei fumi e rendere l’ambiente più salubre. Le società impegnate nella sperimentazione stanno collaborando per sviluppare un processo che vada proprio in questa direzione. Quindi presso il termovalorizzatore Silea di Valmadrera ha preso avvio una sperimentazione finalizzata alla riduzione delle emissioni in atmosfera tramite una nuova tecnologia che

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utilizza il grafene prodotto da Directa Plus attraverso un impianto pilota. Per verificare l’efficienza del grafene nella rimozione degli inquinanti presenti nei fumi da combustione sono state effettuate prove comparative tra grafene e carbone attivo. Gli inquinanti oggetto del monitoraggio sono idrocarburi policiclici aromatici, policlorobifenili, policlorodibenzodiossine, policlorodibenzofurani. La sperimentazione in Silea è iniziata nel 2014 dopo il nullaosta della Regione Lombardia. L’impianto pilota è stato installato in parallelo all’impianto industriale Silea ed è alimentato con un’aliquota di fumi prelevati immediatamente dopo la caldaia. Dopo il passaggio nell’impianto pilota i fumi vengono ricondotti nel flusso principale e a monte del sistema di dosaggio del carbone attivo. L’impianto pilota costituisce un’entità chiusa priva di punti di immissione nell’ambiente esterno. I test effettuati sui prelievi eseguiti con cadenza regolare sono stati tutti positivi e confermano una notevole rimozione degli inquinanti organici. La fase di sperimentazione non è ancora finita ed è in fase raccolta dati. Quello che si sta ancora investigando è l’affinità tra la struttura molecolare della sostanza organica

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F A BB R I C A

D EL L E

ID EE

e la struttura molecolare del grafene, composta da esagoni che raccolgono le sostanze organiche che planano sopra la trama e vengono catturate. Un altro aspetto ancora in fase di studio è la possibilità di rigenerare il grafene, che è infatti un materiale riutilizzabile. Abbiamo parlato di questo materiale rivoluzionario con le cinque aziende che stanno lavorando insieme per testarlo nel trattamento dei fumi. Vediamo chi sono queste aziende, ognuna dotata di competenze specifiche, che da mesi stanno unendo le forze per portare avanti una sperimentazione sulle possibili applicazioni del grafene nell’ambito delle tecnologie ambientali di inquinanti aereodispersi. Silea Spa, è la società attiva nella gestione dei rifiuti nella Provincia di Lecco, il cui capitale sociale è detenuto totalmente dai Comuni del territorio provinciale. Gestisce, tra gli altri, l’impianto di termovalorizzazione di Lecco, che ospita l’impianto pilota realizzato per la sperimentazione del grafene per la depurazione dei fumi. Il termovalorizzatore è costituito da due linee: la linea 1, derivante dalla completa ristrutturazione della linea 1 esistente e la linea 3 di recente costruzione, le cui

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capacità orarie di smaltimento rifiuti sono rispettivamente di 6 t/h e 9,5 t/h. Tecno Habitat è una società di ingegneria attiva sul territorio nazionale e internazionale relativamente all’industria e alle infrastrutture, con particolare attenzione alla salvaguardia ambientale e alla tutela del territorio. Nelle parole di Vittorio Addis, Ceo della società, “l’integrazione tra le sfere dell’ingegneria, della finanza e dei servizi permette l’ideazione e la realizzazione di interventi complessi e multidisciplinari, coniugando il progresso della tecnologia con l’evoluzione dei mercati”. Il centro ecologico analisi ricerche, Cear, è un laboratorio di analisi e si occupa di ricerche e attività in campo ecologico, chimico e alimentare. Giorgio Leidi, l’amministratore descrive Cear come “un centro specialistico in grado di affrontare e risolvere le varie problematiche che possono insorgere nel difficile quanto delicato rapporto industria - ambiente”. APS Ecosystem è una società che opera nella costruzione, gestione, manutenzione e revamping di impianti nei settori pubblici e privati in ambito civile e industriale. “Prende il suo nome - ci racconta Paolo Michelini - dai principali core-business, dal settore eco-

logico del trattamento delle acque e dell’aria e dal settore del packaging converting in continua espansione”. Directa Plus è una società italiana, quotata alla borsa di Londra, che produce vari prodotti a base di grafene. Giulio Cesareo, Ceo di Directa Plus ci spiega che la società è nata per “operare nel campo dei nanomateriali e delle nanoparticelle disegnando un processo produttivo che fosse scalabile e generasse un prodotto sostenibile ad un costo moderato”. Ad oggi l’azienda è tra i primi produttori mondiali di pacchetti di fogli di grafene. “Il vantaggio del nostro processo produttivo - continua Cesareo - è che noi non usiamo la chimica per produrre il grafene ma solo la fisica e questo ci differenzia da tutti gli altri produttori. Il nostro processo si basa su grafite naturale che viene super espansa usando una lancia al plasma ad una temperatura di circa 1000 °C”. I mercati in cui opera l’azienda sono pneumatici ed elastomeri, ambiente, tessile e i materiali compositi. Nel settore ambientale, l’azienda ha preso parte alla depurazione delle acque inquinate di un lago in Romania fornendo il prodotto Grafysorber® per l’assorbimento degli idrocarburi presenti nell’acqua contaminata.


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PA NOR AMA

A ZI E N DE

oltre un secolo di storia, solidità, ricerca e sostenibilità Parte da CASALE MONFERRATO e arriva in America, passando per Russia ed Europa. Questa è la storia di buzzi unicem e della produzione del cemento di Maria Beatrice Celino

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uzzi Unicem è un gruppo internazionale multi-regionale, focalizzato sulla produzione e commercializzazione di cemento, calcestruzzo preconfezionato e aggregati naturali. Si caratterizza per la forte tradizione nel settore e la visione a lungo termine dell’impresa, con un azionista di maggioranza dedicato a sua volta appoggiato da un gruppo dirigente professionale, alla continua ricerca dell’eccellenza. Il gruppo ha come obiettivo una duratura creazione di valore grazie al knowhow industriale, all’efficienza operativa e all’attenta gestione dei costi. Buzzi Unicem è presente in 12 paesi, dispone di 32 cementerie, di una capacità produttiva pari a circa 40 milioni di tonnellate di cemento e di una produzione di 14 milioni di metri cubi di calcestruzzo. In Italia, il gruppo è il secondo produttore nazionale, con 9 milioni di tonnellate di capacità e 9 stabilimenti; negli Stati Uniti d’America le cementerie sono 8, con una capacità produttiva di 9,8 milioni di tonnellate, che pongono la società al quarto posto nella locale classifica dei produttori. Inoltre Buzzi Unicem è il secondo operatore in Germania ed il primo in

Lussemburgo dove dispone complessivamente di 9 stabilimenti con 8,6 milioni di tonnellate di capacità. Le 6 cementerie dislocate in Europa Orientale (Polonia, Repubblica Ceca, Ucraina, Russia) possiedono complessivamente 10 milioni di tonnellate di capacità, mentre in Messico, la capacità produttiva ha recentemente raggiunto i 6,3 milioni di tonnellate, suddivisa in 3 cementerie di recentissima costruzione.

ture di Alamo Cement di San Antonio, in Texas e, due anni dopo, di una quota della messicana Corporación Moctezuma. Nel 1997, viene siglato un accordo tra Fratelli Buzzi Cementi ed IFI/IFIL, che prevede il rilievo di una quota del capitale ordinario di UNICEM S.p.A. Nel 1999 Buzzi Cementi incorpora Unicem, assumendo la nuova deno-

La nostra storia

Buzzi Unicem fonda le sue origini nel 1907, anno in cui fu costituita la società Fratelli Buzzi S.p.A. di Pietro e Antonio Buzzi. In quell’anno viene avviato lo stabilimento di Trino (VC), cui segue nel 1923 un secondo cementificio a Casale Monferrato (AL). Nel 1965, con l’intervento della terza generazione di famiglia, inizia l’attività di Presa, cementeria di Robilante (CN). Nello stesso anno il gruppo Fratelli Buzzi entra nel settore del calcestruzzo preconfezionato, operando prima nell’area di Torino e Cuneo, poi Milano e Genova. Nel 1979 inizia l’espansione del gruppo all’estero, con l’acquisizione in joint ven-

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minazione Buzzi Unicem S.p.A. divenendo così una società quotata alla Borsa Italiana con unità produttive in Italia, Stati Uniti d’America e Messico. Due anni più tardi, nel 2001, l’azienda annuncia l’alleanza con la famiglia Dyckerhoff, azionista di riferimento dell’omonima società cementiera tedesca e, nel 2004, ottiene la maggioranza del capitale ordinario. Nel gennaio 2004 nasce Buzzi Unicem USA, azienda creata dalla fusione tra le attività americane di Buzzi Unicem e di Dyckerhoff. Nel 2006 l’azienda si affaccia sul mercato del Mediterraneo con la partecipazione in due società algerine Hadjar Soud e Ciments de Sourl El Ghozlane. Un anno dopo, nel 2007, Buzzi Unicem festeggia il Centenario della società. Nel 2013, Buzzi Unicem acquisisce il 100% di Dyckerhoff AG e un anno più tardi dà esecuzione all’accordo con il gruppo austriaco Wietersdorfer e all’acquisto del 25% del capitale di Salonit Anhovo (Slovenia). Nel 2014 Dyckerhoff festeggia il suo 150° anniversario. Nel

2015 Buzzi Unicem acquisisce da Lafarge il 100% del capitale di Uralcement ampliando così il mercato in Russia.

Le risorse umane

L’azienda privilegia la ricerca costante degli strumenti più efficaci per garantire alle proprie risorse di poter migliorare continuamente il contributo finalizzato al raggiungimento degli obiettivi aziendali. L’organizzazione internazionale del gruppo favorisce lo scambio di esperienze e di collaborazioni su specifici temi tecnico-professionali, sia in relazione ai progetti di investimento, che per quanto riguarda le funzioni più tipicamente centrali, come il marketing e la comunicazione, i sistemi informativi e la finanza. Sul fronte della sicurezza sul lavoro, Buzzi Unicem ha avviato iniziative articolate per la sensibilizzazione e formazione del personale con percorsi organizzativi improntati sul principio della “responsabilità condivisa”, indispensabile per integra-

re le esigenze tecniche e produttive con le prescrizioni normative, stimolando e indirizzando la cultura operativa verso la ricerca di efficaci sinergie interne.

La sostenibilità

Buzzi Unicem, ispirata dal World Business Council for Sustainable Development (WBCSD) che impone come imperativo la rendicontazione trasparente, conferma il proprio impegno nella promozione di una cultura di impresa responsabile. Nel corso degli anni l’azienda ha fatto proprio il concetto di sostenibilità come sviluppo in grado di soddisfare i bisogni delle generazioni attuali senza compromettere le capacità delle generazioni future di soddisfare i loro e come processo dove lo sfruttamento delle risorse, la direzione degli investimenti, l’orientamento dello sviluppo tecnologico e il cambiamento istituzionale sono tutti in armonia e accrescono le potenzialità presenti e future per il soddisfacimento delle aspirazioni e dei bisogni umani.

Focus prodotto: Solidur Premiscelato pronto all’uso per miscele plastiche autoindurenti Buzzi Unicem è azienda leader del mercato italiano per la produzione di cementi (conformi alla norma europea EN 197/1), dedicati ad applicazioni specifiche (manufatti resistenti ad ambienti aggressivi, calcestruzzi a sviluppo controllato di calore), diversi per tipologia e classe di resistenza, in funzione delle richieste di mercato, sempre più orientato verso soluzioni costruttive avanzate e di altissimo livello qualitativo. La flessibilità delle strutture produttive, la capacità di gestire al meglio le risorse disponibili, il continuo impegno verso soluzioni innovative e gli investimenti in Ricerca & Sviluppo, elementi distintivi di una crescita sostenibile e di un vantaggio competitivo, assicurano a Buzzi Unicem la leadership nella formulazione e nella commercializzazione di leganti speciali e premiscelati, pronti all’uso. Solidur® è un prodotto premiscelato, pronto per l’impiego, composto da leganti minerali cementizi e componenti argillosi e bentonitici oltre ad aggiunte speciali. Nella sua formulazione viene utilizzata solo bentonite di alta qualità escludendo l’utilizzo di additivi chimici. Solidur® è costituito esclusivamente da componenti minerali e viene confezionato in cementeria con specifica tecnologia di produzione. Solidur® viene fornito in polvere e in cantiere il confezionamento della miscela plastica viene effettuato mescolandolo velocemente con acqua senza aggiunta di alcun additivo in appositi mescolatori ad alta turbolenza dotati di dosatori automatici. In pochi minuti si ottiene una miscela stabile autoindurente pronta per l’impiego. La sospensione rimane lavorabile per un sufficiente periodo di tempo che varia a seconda dell’applicazione e può venire pompata anche a distanze che superano il chilometro. Il fango plastico, dopo l’indurimento, acquisirà le caratteristiche di impermeabilità e resistenza richieste dall’opera. Con Solidur® i benefici che si hanno sulla gestione economica del cantiere sono considerevoli, in quanto: • non necessita di vasche di maturazione per la bentonite come prevede il sistema tradizionale, con conseguente risparmio di spazi e di tempi • riduce la manodopera • semplifica l’impianto di cantiere con l’occupazione di spazi limitati • riduce le prove di controllo grazie alla costanza delle caratteristiche del prodotto. Solidur® dispone di una vasta gamma di ricette collaudate e certificate sia sotto il profilo idraulico “permeabilità” che in quello chimico-fisico ambientale “resistenza alle aggressioni chimiche, erosioni”. Le famiglie del prodotto si suddividono in Solidur® 274, Solidur® 274 Speciale e Solidur® 273 che si distinguono in funzione della densità della miscela plastica e delle caratteristiche prestazionali del materiale indurito, Solidur® 270 studiato appositamente per opere di ingegneria idraulica, Solidur® Erdbeton è utilizzato per il confezionamento di calcestruzzi plastici.

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La tecnologia a servizio delle Bonifiche Dalla triturazione alle innumerevoli soluzioni di vagliatura, Doppstadt dispone di soluzioni adatte a tutte le esigenze di trattamento dei terreni di Bruno Vanzi

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’ampia gamma dei macchinari Doppstadt è l’ideale per far fronte alle differenti esigenze che si pongono durante le attività di bonifica cioè quando è necessario un trattamento di tipo meccanico per la riduzione volumetrica e la separazione di diverse matrici. Così l’efficienza delle macchine Doppstadt la possiamo verificare in molte tipologie di bonifica: dai terreni ai cantieri alle discariche in disuso da riqualificare. Sia a livello di triturazione che di vagliatura Doppstadt può offrire diverse soluzioni sia dal punto di vista delle applicazioni che della produttività oraria. I trituratori monoalbero a rotazione lenta della serie DW sono tra le macchine sul mercato più versatili e robuste, capaci di aggredire materiali duri e ingombranti. La gamma comprende il modello più piccolo, il DW 2060 K Limiter, da 240 kW di potenza che con una produzione oraria fino a 40 t/ora è capace di offrire un valido compromesso per chi ha bisogno di un trituratore dai bassi consumi. Chi cerca invece un trituratore capace Figura 2. Gritbuster WT 250

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Figura 1. SM 620 SA

di aggredire qualsiasi tipo di materiale e al contempo avere sempre le massime prestazioni in termini di produzione si può affidare alla collaudata tecnologia del DW 3080, ora in versione K3 cingolata, che con i suoi 480 kW di potenza è in grado di raggiungere una produzione massima di 100 t/ora. Compromesso tra produzione oraria, consumi e versatilità resta il modello DW 3060, l’ammiraglia di casa Doppstadt che può essere ordinato in versione gommata o cingolata e addirittura in configurazione rimorchio semi-rimorchio. Tutte le versioni del modello DW 3060 possono essere configurate in versione BioPower, con un motore potenziato da ben 360 kW, un riduttore maggiorato e una doppia fila di denti, ben 42 invece dei 21 tradizionali della taglia L, capace di aggredire i materiali più difficili grazie alla maggiore pressione esercitata dalla doppia fila di denti. DW 3060 è in grado di trattare ben 80 t/ora di materiale da costruzione. Tutti i nuovi modelli DW della nuova serie F possono essere equipaggiati con rotori di diversa taglia (S, M, L o XL),

ciascuna fornita di un diverso numero di denti dalle diverse dimensioni. Grazie ad un sistema di sfilo rapido, in pochi minuti è possibile sostituire un rotore a 14 denti in grado di dare una pezzatura media di 250-400 mm con uno da 125 denti in grado di portare la pezzatura a 80-150 mm. Inoltre la serie DW può contare oggi su un nuovo sistema di pettini, chiamato Variomat, in grado di montare il nuovissimo elemento limiter, che prende il posto del precedente sistema standard griglia pettine. Tutti i nuovi trituratori della serie F sono dotati di motorizzazioni conformi alle ultime normative anti inquinamento Euromot III B e Tier IV (fig.3). Altra fase necessaria in un’attività di bonifica è la vagliatura per la quale sono presenti diverse soluzioni a seconda della tipologia di materiali che si devono separare. Oggi Doppstadt amplia la propria offerta grazie all’introduzione di due nuove serie di macchine, gli Splitter e la famiglia dei separatori ad acqua Gritbuster. La nuova gamma Splitter, ultima arriva-


ta in casa Doppstadt, è pensata per chi deve separare inerti dalle sabbie o dalla terra, plastiche e lamiere dalle pietre o dai materiali voluminosi di grandi dimensioni e dal peso importante. In particolare il modello cingolato Splitter X2 offre la massima robustezza, associata ad una selezione davvero impeccabile. La particolarità degli Splitter è il loro piano di vagliatura composto da una serie di robuste coclee, disposte parallelamente tra loro e libere da un lato. Questa particolarità offre due vantaggi insieme: da un lato evita che i materiali filamentosi e lunghi rimangano attorcigliati tra le spire e dall’altro permette alle stesse di rimanere pulite anche dopo molte ore di lavoro. Con Splitter è possibile ottenere fino a 3 frazioni con livelli di contaminazione davvero minimi. Oltre alla versione X2, la famiglia Splitter annovera altri modelli come l’H2 e i modelli Unit, tutti in grado di ottenere da un minimo di due frazioni ad un massimo di tre. Gli Splitter possono trovare impiego nella vagliatura delle terre di bonifica per la rimozione contemporanea dalla terra degli inerti di grosse dimensioni e dei materiali leggeri bidimensionali intrappolati in mezzo. Oppure essere impiegate nelle bonifiche nei cantieri durante le demolizioni quando la complessità del rifiuto è tale da renderne difficile la separazione negli elementi singoli (fig.4). La gamma Gritbuster di separatori ad acqua è invece perfetta nelle bonifiche in cui sono presenti anche frazioni leggere, come fogliame, plastiche e possibile materiale organico. Queste macchine sfruttando l’acqua e la diversa densità dei materiali sono capaci di trattare le terre di bonifica ottenendo 4 diverse frazioni.A seconda della pezzatura del materiale in ingresso si può optare per il modello WT 250, capace di lavorare materiali più piccoli, separando tra loro sassi, sabbia, flottante leggero e organico inferiore a 10 mm, oppure per il modello HDS-M capace di ottenere le stesse frazioni in uscita partendo da materiali di pezzatura maggiore. La gamma dei separatori ad acqua può anche essere integrata con un sistema di filtrazione delle acque, capace di pulirle per un immediato riutilizzo nel ciclo di lavaggio, con netta di-

minuzione dei consumi di acqua (fig.2). Se invece si devono separare materiali più leggeri e senza necessità dell’acqua per la pulizia, è possibile servirsi degli ormai insostituibili vagli a tamburo della serie SM. Doppstadt risponde a tutte le esigenze, proponendo una gamma davvero ampia di soluzioni. Si parte dal più piccolo SM 518 Plus con il suo tamburo da 4700 mm di lunghezza e 1800 mm di diametro. Questa macchina è disponibile sia in versione gommata che cingolata ed è in grado di vagliare fino a 100 t/ora di rifiuti da costruzione. L’SM 518 Plus e la versione aggiornata del 518 Profi, possono essere equipaggiati anche con motorizzazione elettroidraulica da 30 kW di potenza. Per volumi di produzione maggiori fino a 150 t/ora ci si può affidare alla robustezza e alla precisione del nuovo SM 620 Plus, anch’esso disponibile in versione elettro-idraulica da ben 55 kW. SM 620 Plus, con il suo tamburo da 5500 mm di lunghezza e 2 metri di diametro, è disponibile in versione rimorchio gommata, semi-rimorchio gommata o addirittura cingolata. Per raggiungere invece il massimo della produzione, ben 180 t/ ora, la scelta ricade sul nuovissimo SM 720 Plus nella versione rivista ed aggiornata dell’SM 720 Profi, provvisto di un tamburo da addirittura 7 m di lunghezza e 2 m di diametro. Tutti i modelli della serie SM possono essere equipaggiati a scelta con delle speciali griglie per inerti da montare in tramoggia (sia vibranti che fisse) in grado di rimuovere da subito i materiali più pesanti, vagli stellari sia in tramoggia che al posto del tamburo o addirittura dei separatori aeraulici sul nastro di scarico posteriore, in grado di allontanare eventuali corpi estranei leggeri rimasti imprigionati nel materiale inerte. I vagli della serie SM trovano largo impiego sia nelle bonifiche dei terreni che civili (fig.1). Infine nel caso sia necessario inertizzare terreni di diversa natura mescolandoli con reagenti inertizzanti non acidi di vario tipo viene in soccorso il DM 215 E, un miscelatore composto da una camera di miscelazione da ben 15 m3 di volume e 3 coclee elicoidali a lame intercambiabili. L’omogeneità di miscelazione offerta dal DM 215 E rimane sempre

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Figura 3. DW 3060

Figura 4. Splitter X2

Figura 5. DM 215 E

ottimale anche con materiali difficili e ad alta densità e viscosità. La camera di miscelazione può essere coperta da un coperchio durante la lavorazione per evitare la fuoriuscita delle polveri (fig.5). Per maggiori informazioni è possibile contattare direttamente Cesaro Mac Import, dealer ufficiale Doppstadt, allo 0421-231101 o inviando una email all’indirizzo cesaro@cesaromacimport. com. Un nostro commerciale sarà lieto di mostrarvi tutti i vantaggi che la nostra gamma è in grado di offrirvi per risolvere le vostre esigenze.

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Avanti, con obiettivi chiari L’ambiente di lavoro deve essere più rispettoso del lavoratore di Maria Beatrice Celino

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abrizio Zaninello, responsabile vendite Incofin, ci racconta la direzione intrapresa dall’azienda sempre più orientata verso l’installazione di prodotti per migliorare le condizioni di lavoro in tanti settori lavorativi. “Vorrei che questa intervista non fosse fatta a me, ma agli operatori che lavorano in impianti, macchine o centri in cui sono stati inseriti i sistemi per la pressurizzazione e la filtrazione che commercializziamo” (Brofil Clean Air Solution n.d.r.) – dice Zaninello, ancor prima di rispondere a qualche domanda. E così ci vengono alla mente i vari impianti, centri di riciclaggio e cantieri in cui siamo stati e in cui ci siamo augurati di andarcene poco dopo. Ma gli operatori no, loro dovevano rimanere tra gli odori (più o meno forti – si pensi a quello penetrante

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e soffocante dell’ammoniaca) e le polveri (che attaccano in gola a volte anche con la mascherina). In quegli ambienti di lavoro, avrebbero giovato a tutti sistemi di pressurizzazione e filtrazione delle cabine delle macchine o degli impianti contro l’aria inquinata e l’esposizione a gas nocivi. Ci racconta Zaninello che, per fortuna, sempre più impianti si stanno dotando di sistemi per salvaguardare la salute dei lavoratori. “Posso ad esempio far riferimento ad un ambito lavorativo che sta recependo considerevolmente il beneficio del nostro sistema Brofil ed è quello del compostaggio. Molte grandi aziende si sono rivolte a noi nell’ultimo mese per montare i nostri prodotti: Bioenergia Trentino, Agrinord, De Vizia Transfer di Codroipo e la Sao Acea sono tra le ulti-

me società che hanno installato i nostri sistemi sui loro mezzi per offrire benefici ai loro lavoratori”. E cosa potrebbero raccontarci i lavoratori di questi impianti, chiediamo a Zaninello. “Vi direbbero che la qualità della loro giornata lavorativa è migliorata notevolmente. Lavorare senza mascherina, senza la presenza di polveri e senza sentire odori sgradevoli è un buon passo in avanti nel miglioramento delle condizioni di lavoro di un dipendente”. Sicuramente una maggior soddisfazione dei lavoratori premia l’intera azienda che vede proprio nella forza lavoro il motore della stessa. Chiediamo quindi a Zaninello quali sono i costi dell’installazione di questi sistemi negli impianti e capiamo che la spesa è minima se paragonata al rapporto costo/benefici. “Oltretutto - aggiunge il responsabile vendite di Incofin


- i sistemi sono spesso finanziabili attraverso bandi per la salute e la sicurezza dei lavoratori. Annualmente l’Inail stanzia dei fondi a livello regionale per finanziare questo tipo di implementazioni”. Grazie a questi sistemi, inoltre, in aggiunta ad un primo benessere facilmente riscontrabile dato dalla qualità dell’aria respirabile e dalla diminuzione del rumore, è da considerare nel lungo periodo una minore incidenza delle malattie professionali e delle assenze per malattia. Ricordiamo quanto sempre più frequenti siano le malattie respiratorie causate da ambienti inquinati e che l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha rilevato che i livelli globali di inquinamento atmosferico sono cresciuti dell’8 per cento nel periodo 2008-2013. L’azienda, attiva da più di trent’anni nel settore della filtrazione, sta orientando i propri sforzi verso una maggiore presenza nell’ampio settore dell’ambiente e delle industrie che ruotano attorno alla green economy. “Nel corso degli anni spiega Zaninello - abbiamo sviluppato una tendenza generalista perché siamo

andati a proporre al mercato tutto ciò che è filtrazione attraverso la filiera distributiva in ogni ambito. Oggi come oggi ci stiamo rendendo conto che il mercato richiede una maggior specializzazione. Per questo motivo stiamo lavorando nel settore della salute e della sicurezza perché crediamo di poter proporre soluzioni idonee e interessanti in questo campo che può crescere ancora molto”. Sempre per la stessa ragione, l’azienda ha deciso di prendere parte il prossimo autunno alla fiera Ambiente Lavoro di Bologna, la manifestazione dedicata alla promozione della salute e del benessere sul posto di lavoro. “Vediamo in questo settore - continua Zaninello - un futuro stimolante. Quando solo pochi anni fa abbiamo iniziato a proporre i nostri prodotti in questo ambito, non trovavamo interesse per le nostre soluzioni. Oggi, invece, il pubblico è molto più accorto al tema della salute e l’attenzione verso le soluzioni per la pressurizzazione e la filtrazione cresce sensibilmente”. Per sviluppare le vendite, l’azienda imple-

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menterà i prodotti che già commercializza con altri che possono essere venduti in cross selling avendo a disposizione soluzioni che si possono proporre in vari ambiti. I prodotti Brofil sono installabili su qualsiasi mezzo, macchina o sistema statico. Le applicazioni sono molteplici laddove ci siano degli ambienti di lavoro dove l’aria non sia salubre per gli operatori. “Abbiamo montato i sistemi di pressurizzazione e filtrazione dell’aria in alcuni container ufficio in una importante acciaieria italiana” – ci dettaglia Zaninello, quando gli chiediamo se le loro soluzioni sono applicabili anche non su macchine operatrici. “Gli stessi sistemi sono ideali anche nei box adibiti alla selezione manuale finale negli impianti di riciclaggio rifiuti”. Una importante commessa per l’azienda è stata la fornitura dei sistemi per la salubrità dell’aria in tutte le macchine al lavoro attualmente nella realizzazione del terzo valico, la linea ad alta velocità che interessa Liguria e Piemonte dove è presente amianto.

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Soluzioni intelligenti e maggiore redditività Grazie a componenti smart è possibile aumentare produttività ed efficienza energetica in macchine e impianti di Laura Veneri

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n occasione di SPS, la fiera sull’automazione a Parma, abbiamo incontrato l’ing Massimo Bartolotta, Machinery OEM Segment Manager per l’Italia presso Eaton. Eaton è un’azienda internazionale che fornisce soluzioni a risparmio energetico per gestire in maniera efficace l’energia elettrica, idraulica e meccanica. Il settore Electrical di Eaton è leader nei campi della distribuzione di energia, protezione dei circuiti, protezione dell’alimentazione di emergenza, controllo e automazione, illuminazione e sicurezza, soluzioni strutturali e dispositivi di cablaggio, soluzioni per ambienti difficili e pericolosi e servizi di ingegnerizzazione. L’azienda è dotata principalmente di due divisioni: il settore elettrico e il settore idraulico, ma entrambe le divisioni hanno molte sinergie in comune. “I prodotti della divisione elettrica - ci spiega Bartolotta - sono trasversali quindi riusciamo ad abbracciare tutte le esigenze dei costruttori di macchine: dal packaging fino ad applicazioni leggere come pompe e trasportatori”. “In occasione di questa importante fiera - aggiunge Bartolotta - vogliamo trasmettere un messaggio fondamentale: grazie ai nostri componenti siamo in grado di offrire maggiore redditività ai costruttori di macchine. Con la versatilità offerta dal pacchetto dei nostri prodotti, è possibile ridurre il time to market e migliorare l’economia delle macchine”. È grazie ai prodotti Eaton, infatti, che si migliora la produttività e l’efficienza energetica in macchine e impianti. Per aiutare l’utente nella vasta offerta dei prodotti, lo stand a SPS si presentava suddiviso in quattro aree ben definite. Una di queste era dedicata all’efficien-

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za energetica dove troviamo i prodotti IE3-ready, la gamma di avviatori a velocità variabile che consentono il miglioramento dell’efficienza energetica, in piena conformità alla Direttiva ErP. L’altra area interessante è quella del cablaggio intelligente in cui era presentato il sistema SmartWire-DT anche in soluzioni di processo. “Per quanto riguarda l’efficienza energetica, è stata esposta in fiera - illustra l’ing. Bartolotta una macchina che mostra la sinergia tra le divisioni elettrica e idraulica e pone le basi per l’industria 4.0, grazie all’utilizzo del nostro sistema SmartWire-DT che offre un’intelligenza decentralizzata”. La macchina esposta è dotata di un tubo, chiamato LifeSense®, che è in grado di monitorare la vita dei componenti e di segnalare il momento giusto per cambiare un componente, evitando sprechi e danni dovuti a fermi macchina per rottura. Per presentare un’applicazione pratica, l’ing. Bartolotta ci descrive il caso di successo di applicazione del sistema SmartWire-DT in un impianto di depurazione delle acque. L’impianto era inizialmente dotato di un sistema di ca-

blaggio tradizionale e quando si presentavano dei problemi, l’operatore, che non sempre era presente in impianto, doveva recarsi in loco, trovare il guasto e risolverlo, fermando l’intero processo. Con l’introduzione nell’impianto del sistema SmartWire-DT, che offre il vantaggio della diagnostica da remoto, invece, l’eventuale guasto viene segnalato in tempo reale. Grazie ad una connessione in remoto e un computer o un tablet è possibile visualizzare l’impianto e trovare se ci sono anomalie in atto al fine di individuare il guasto ancor prima che si verifi-


chi. Questo incide positivamente nei fermi impianto e nella limitazione dei danni perché gli operatori possono intervenire prima che accadano gravi rotture. Inoltre possono capire quando i componenti stanno per cedere e programmarne la manutenzione. È stato presentato inoltre l’ampliamento della gamma di convertitori di frequenza PowerXL DC1, che consente ai costruttori di macchine e sistemi di far funzionare applicazioni semplici e ad alte prestazioni in modo efficiente ed economico. La gamma DC1 è adatta ad applicazioni come pompe e ventilatori, nastri trasportatori, rotative, sistemi di verniciatura e macchine riempitrici. I convertitori di frequenza DC1 hanno funzioni di configurazione estremamente rapide e intuitive. Inoltre, una volta determinate le impostazioni dei parametri, queste possono essere trasferite ad altri dispositivi premendo un pulsante e utilizzando una chiavetta USB. Per questo sono particolarmente adatte ad applicazioni in serie. “Ci preoccupiamo anche di informare e dare supporto ai nostri clienti per comprendere al meglio i prodotti che hanno acquistato” conclude l’ing. Bartolotta. Quali sono i benefici e quali sono i vantaggi di questi sistemi innovativi? Per rispondere a queste domande, l’azienda predispone libri bianchi di approfondimento sui singoli prodotti. Ad esempio un nuovo whitepaper ha come argomento il cablaggio intelligente (scaricabile gratuitamente da www.eaton.eu/it/ iw/mac). Con il titolo “Il cablaggio tradizionale è ancora al passo coi tempi? Cablaggio intelligente: risorsa del futuro?”, l’autore Heribert Einwag analizza le possibilità, in termini di soluzioni per il cablaggio, di cui può disporre un costruttore di macchine per ridurre i tempi e massimizzare l’efficienza di produzione. Sulla base dei calcoli effettuati nella situazione reale quotidiana, il documento di Eaton mostra come i costruttori di macchine possono evitare lunghe e complesse pose di cavi ottenendo notevoli risparmi. “I sistemi di bus di campo industriali hanno ormai sostituito il cablaggio tradizionale in tutte le applicazioni moderne per via degli enormi vantaggi che offrono: risparmio di tempo e denaro, facilità di progettazione, ampliamento

di funzioni consentito da una parametrizzazione personalizzata e aiuto nella diagnostica e nella rapida individuazione dei guasti”, così spiega l’autore Heribert Einwag, Product Manager presso Eaton. “Con l’ausilio di sistemi di cablaggio intelligente in campo, questi vantaggi si estendono anche ai dispositivi più semplici, che fino ad ora richiedevano un cablaggio dedicato all’interno del quadro elettrico o nelle unità esterne”. Per una soluzione di questo tipo si utilizzano moduli intelligenti da applicare ai componenti standard, come ad esempio il controllo motore. Questi moduli vengono quindi interfacciati attraverso un gateway, che ne consente la comunicazione con tutti i sistemi di bus di campo comuni, utilizzando un flat-cable, che serve sia per l’alimentazione che per lo scambio di dati. Si rende così superfluo gran parte del cablaggio di comando tradizionale tra i moduli di I/O del PLC e i dispositivi di comando e segnalazione. Un altro whitepaper interessante “Protezione affidabile dei circuiti: un elemento essenziale per la vostra macchina”, scaricabile sul sito dell’azienda (www.eaton. eu/it/cp/gen), illustra la procedura che i costruttori di macchine devono seguire per aumentare la redditività e ridurre i tempi di fermo delle macchine. Il documento descrive le condizioni elettriche che sono all’origine dei guasti, come sovracorrenti, correnti parassite o di dispersione, formazione di archi elettrici, rischi di folgorazione e picchi di tensione. Il whitepaper guida i costruttori di macchine in un’area vasta e complessa. Dimostra come una corretta protezione dei circuiti, oltre a migliorare la sicurezza degli operatori, sia in grado di eliminare o limitare in modo significativo la mancata produzione. Questa situazione si può verificare a seguito di interruzioni dell’alimentazione, guasti o danni alle apparecchiature dovuti all’ingresso di energia elettrica in eccesso causato da sovraccarichi di corrente o sovratensioni. Tra le ultime novità presentate dall’azienda in ambito hydraulics, troviamo invece la valvola mobile indipendente CMA con meter indipendente. È una valvola per applicazioni mobili che offre ai costruttori possibilità quasi senza limiti

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di diversificare le capacità delle macchine. La valvola mobile elettroidraulica con sistema di attuazione via CAN presenta un’elettronica di bordo e sofisticati algoritmi software che offrono una valida soluzione per flessibilità del controllo, densità di potenza, dinamica di risposta e controllo del carico. Come parte della classe avanzata di soluzioni di Controllo Dinamico delle Macchine di Eaton, la valvola CMA consente agli original equipment manufacturer (OEM) di intervenire e migliorare ogni fase del ciclo vita di una macchina.

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S PE C I A L E

Il biometano e la strategia di decarbonizzazione dell’Italia Entro il 2030 il biometano potrebbe rappresentare il 10% circa del gas immesso nella rete di trasporto nazionale di Andrea Stegher*

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li obiettivi sfidanti che l’Europa si è data in tema di riduzione delle emissioni nei prossimi decenni (-40% di CO2 entro il 2030 e almeno 50% entro il 2050) impongono di ripensare l’energy mix del Vecchio Continente favorendo sempre più l’utilizzo di fonti di energia pulite e sostenibili dal punto di vista ambientale ed economico. Di pari passo con le strategie di decarbonizzazione dell’economia, finalizzate a sostituire i combustibili inquinanti con gas e fonti rinnovabili, lo sforzo di istituzioni, regolatori e attori industriali è concentrato sull’attivazione di politiche che possano portare all’affermazione di un modello di economia circolare su larga scala. In questo contesto, Snam lavora allo sviluppo di nuovi usi del gas naturale, che rappresenta oggi la fonte di energia a minor contenuto di carbonio tra quelle tradizionali, oltre a essere disponibile su larga scala e a ovviare al problema della discontinuità che caratterizza le risorse rinnovabili. Particolare importanza viene attribuita al biometano, un fronte sul quale la società è impegnata non soltanto sul territorio nazionale, ma anche oltreconfine. La società partecipata francese del Gruppo, TIGF, ha avviato recentemente in partnership con Fonroche Biogas il primo impianto per l’iniezione di biometano nella rete gas transalpina, a Villeneuve-sur-Lot, con una produzio-

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ne che potrà raggiungere i 520 metri cubi all’ora. Per quanto riguarda il panorama nazionale, risale a febbraio la pubblicazione del position paper “Lo Sviluppo del Biometano e la strategia di decarbonizzazione in Italia” da parte di Snam, Consorzio Italiano Biogas e Confagricoltura, volto a evidenziare il ruolo strategico di questa fonte nella transizione energetica verso un’economia fondata su sostenibilità e circolarità nell’utilizzo delle risorse. Presentato nel febbraio scorso agli Stati Generali del Biogas tenutisi a Roma e indirizzato al governo e alla Commissione europea, il documento è finalizzato a suggerire alle istituzioni l’adozione delle opportune misure regolatorie, sia a livello nazionale sia europeo, per promuovere lo sviluppo sostenibile di questa fonte energetica nel lungo periodo. Si stima infatti che entro il 2030 potrebbero essere immessi in rete fino a 8 miliardi di metri cubi di biometano, che potrebbe così rappresentare il 10% circa del gas immesso nella rete di trasporto nazionale.

Le caratteristiche

Il biometano è una fonte energetica rinnovabile. Proviene dalla digestione anaerobica di sottoprodotti agricoli e agroindustriali, di effluenti zootecnici, di colture vegetali di secondo raccolto o ottenute da terreni marginali o non idonei alla produzione di colture ali-

mentari. Il biogas prodotto a partire dai substrati organici viene convertito in biometano attraverso un ulteriore processo di upgrading consistente nella rimozione di elementi e composti non compatibili con l’immissione in rete. Il biometano inoltre può essere prodotto anche attraverso processi di gassificazione termochimica di biomasse ligneo-cellulosiche provenienti dal settore agro-forestale. Il nostro Paese, con 1500 impianti di digestione anaerobica in esercizio, è oggi il terzo produttore al mondo di biogas, dopo Cina e Germania, con oltre 2 miliardi di metri cubi annui. Questi elementi rendono il biometano una risorsa, anzitutto, sostenibile. Avendo le biomasse incorporato nel loro ciclo di vita il carbonio presente nell’atmosfera, il consumo di biometano avviene infatti senza liberare il carbonio sequestrato nei giacimenti di combustibili fossili. La sostenibilità di questo combustibile non è limitata al consumo ma si estende anche alla fase di produzione, poiché l’ottenimento del biometano può avvenire nel pieno rispetto della biodiversità e della funzione di “stoccaggio” del carbonio svolta da foreste e terreni coltivati. Il documento sottoscritto da Snam, CIB e Confagricoltura pone il focus su tre caratteristiche dell’utilizzo del biometano. In primis, evidenzia la sua flessibilità, in quanto risorsa che può essere impiegata come combustibile in tutti


gli usi energetici, dalla produzione del calore e del freddo a quello dell’energia elettrica, nonché come carburante nel settore dei trasporti e finanche come materia prima per la produzione di biomateriali e biochemicals. In secondo luogo, il biometano è programmabile, poiché, essendo del tutto assimilabile al gas naturale, ne può sfruttare le infrastrutture di trasporto e stoccaggio offrendo la possibilità di utilizzarlo in base alle diverse e mutevoli condizioni territoriali e temporali della domanda di energia in ogni settore d’uso. E non è da trascurare nemmeno la sua efficienza dal punto di vista della conversione in energia elettrica, potendo sfruttare un parco di generazione a ciclo combinato tra i più moderni al mondo, così come il suo utilizzo sicuro ed efficiente nell’ambito della generazione distribuita. Dal lato della produzione, il biometano rappresenta una risorsa compatibile rispetto alla filiera agroalimentare, grazie a tecniche e a pratiche colturali che non impattano negativamente sulla disponibilità di cibo perché utilizzatrici di sottoprodotti ottenuti da terreni marginali o non idonei alla produzione di colture alimentari, ovvero mediante colture di integrazione in rotazione a colture alimentari che presentano benefici ambientali. In questo senso il

biometano è, anzi, utile allo sviluppo di un comparto agricolo competitivo e rispettoso dell’ambiente, contribuendo ad aumentare la fertilità dei terreni, incrementare l’utilizzo dei suoli, ridurre i costi di trattamento degli effluenti zootecnici e dei sottoprodotti della prima lavorazione dei prodotti agricoli, diversificare i mercati migliorando il merito di credito delle aziende. Contribuiscono infine al suo ruolo di fonte pulita e sostenibile la molteplicità, intesa in senso di pluralità di substrati di partenza provenienti dai settori agricolo, agroindustriale, forestale e dal ciclo dei rifiuti urbani e industriali, e l’efficienza nell’uso del terreno, massimizzandone la resa energetica e limitando al massimo il ricorso alle monocolture per la produzione di energia. Senza dimenticare che il suo convogliamento ai consumatori può contare su un sistema infrastrutturale di trasporto, stoccaggio e distribuzione del gas naturale tra i più sviluppati e interconnessi al mondo, in grado di sostenere anche un futuro mercato attivo di scambi transfrontalieri.

Gli usi

A proposito di flessibilità, uno degli orizzonti più promettenti per il biometano è rappresentato dal suo potenziale contributo per garantire all’Ita-

lia un percorso di decarbonizzazione del settore elettrico, a un minor costo complessivo rispetto a quanto possibile con il solo ulteriore ricorso a rinnovabili elettriche, per lo più intermittenti, quali l’eolico e il fotovoltaico. Le ragioni sono molteplici: va evidenziato, anzitutto, che il biometano italiano può sfruttare sistemi infrastrutturali già esistenti ed efficienti, quali centrali elettriche a ciclo combinato, reti di trasporto, distribuzione e stoccaggio del gas e di trasmissione dell’energia elettrica. Non va tralasciata, poi, la potenziale attivazione di economie di integrazione che consentano di minimizzare ulteriori costi in infrastrutture elettriche, nonché la generale ottimizzazione del sistema elettrico che deriverebbe da sistemi di generazione distribuita in grado di integrarsi con il sistema di dispacciamento. Sempre in tema di decarbonizzazione, il biometano può avere un impatto positivo anche sul settore dei trasporti in virtù del fatto che, essendo prodotto quasi esclusivamente entro i confini dell’Unione europea, rende molto più agevole ed affidabile la verifica della sua effettiva sostenibilità come biocarburante, in ragione della presenza di meccanismi di auditing rigorosi e indipendenti approvati e monitorati dalla Commissione. La filiera del biometano mostra, infine, considerevoli potenzialità di integrazione con altre tecnologie che potranno – una volta sviluppate in termini di efficienza economica – contribuire ulteriormente alla decarbonizzazione del Paese, quali il power-to-gas, che consente di convertire in biometano l’energia elettrica eccedente rispetto ai consumi, e le tecnologie di cattura e stoccaggio del carbonio le quali – se applicate al consumo di biometano – equivalgono a un prelievo di carbonio dall’atmosfera (Bioenergy with Carbon Capture and Storage).

L’agenda

Tra i provvedimenti suggeriti dal position paper sottoscritto da Snam, CIB e Confagricoltura rientrano la ridefinizione di un intervallo temporale utile per l’accesso agli incentivi previsti per il biometano, tenendo conto della sua

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effettiva possibilità di immissione nella rete del gas, e l’aggiornamento della normativa nazionale vigente in termini di biocarburanti avanzati in linea con le scelte europee. Inoltre, parallelamente a un meccanismo di fissazione di un prezzo minimo del carbonio, sarebbe auspicabile l’istituzione di un Registro Nazionale delle Garanzie di Origine del Biometano, che consenta lo sviluppo di un mercato attivo di scambi in grado di far emergere il legame di valore tra biometano ed emissioni evitate di carbonio, e un sistema di contabilizzazione idoneo a quantificare il ruolo svolto dalle imprese agricole negli assorbimenti di CO2 nelle diverse fasi di produzione del biometano. Da qui potrebbe originare una ricalibratura del sistema di incentivazione del biometano secondo un approccio di Life-Cycle Assessment. Tutti questi interventi dovrebbero essere inquadrati nella prospettiva del contributo che il biometano può offrire alla crescita economica del Paese.

Trattandosi di una risorsa ottenibile da una pluralità di processi produttivi e da diversi settori, rende possibile lo sviluppo di una filiera produttiva caratterizzata da economie di scala, di varietà e di integrazione con ricadute di sistema in termini di innovazione tecnologi-

ca nei settori manifatturiero, agricolo e dei servizi pubblici urbani. Sviluppi non solo promettenti per il futuro, ma che hanno già avuto riflessi positivi anche dal punto di vista economico e occupazionale. *Responsabile Business Development di Snam


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Via PM2,5 e oli dai fumi La nuova frontiera per rimuovere il particolato fine e le nebbie oleose mediante un trattamento a due stadi di Laura Veneri

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’opinione pubblica è sempre più attenta alla problematica del particolato fine che viene individuato ormai come l’agente inquinante principale dell’aria che respiriamo. Ogni anno nelle città si rinnova il problema del superamento di quello che comunemente viene definito PM10 o PM2,5 ovverosia la quota parte di particelle nell’aria le cui dimensioni sono inferiori rispettivamente ai 10 e ai 2,5 micron. Si tratta del particolato presente negli strati bassi dell’aria, nella sua parte micronica e sub-micronica; l’attenzione si va sempre più concentrando sul PM2,5, la parte più fine del particolato che è quella che più facilmente viene catturata e fissata dagli alveoli polmonari nel nostro corpo. La presenza del particolato fine viene associata principalmente ai problemi del traffico veicolare e degli impianti di riscaldamento cittadini, ovvero ai principali e più conosciuti processi di combustione di sostanze organiche a noi familiari. Com’è ormai noto, più la sostanza organica è complessa e la combustione imperfetta maggiore è la produzione di particelle microniche incombuste (tipico è l’esempio del gasolio, confrontato con le benzine, nei motori a combustione interna). Ci sono comunque svariati processi di combustione o semplicemente di riscaldamento termico di molte sostanze che portano all’emissione di particolato fine che possiamo definire più semplicemente “nebbie organiche” (e in alcuni casi anche inorganiche). I fenomeni termici che producono questo tipo di nebbie sono a noi molto familiari, come ad esempio il fumo delle sigarette, con il suo tipico piccolo pennacchio blu dovuto alle sostanze bitu-

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minose incombuste, o come il fumo del fuoco di legna (specialmente quando è umida) che, a causa della combustione imperfetta delle sostanze resinose, produce un pennacchio spesso visibile anche da molto lontano. Gli stessi fenomeni termici possono provocare emissioni di particolato micronico e submicronico anche su scala industriale: ne sono un esempio la combustione e l’essiccazione delle biomasse come il legno, la sansa di olive e le vinacce derivanti dalla spremitura dell’uva, i trattamenti termici di alcuni tessuti sintetici grezzi, il riscaldamento termico di molte sostanze plastiche, la frantumazione dei rottami metallici, ecc.

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La parte organica del particolato tende a formare a contatto con l’atmosfera, specialmente nei periodi freddi, una nebbia visibile che si diffonde nello spazio soprastante il camino con un pennacchio persistente e che si estingue solo a distanze notevoli dal punto di emissione. In situazioni meteorologiche particolari (es. inversione termica) il pennacchio tende a ristagnare a terra, provocando notevoli fastidi ad aziende ed aree residenziali vicine. Le attuali tecnologie di trattamento dei fumi raggiungono con difficoltà rese di abbattimento elevate per le particelle molto piccole, in quanto il particolato inferiore ai 5 micron (e specialmente sotto il micron) tende a sfuggire a qualsiasi lavaggio ad umido, eccezion fatta per i sistemi Jet Venturi ad alte prestazioni (che per contro, però, hanno oneri di gestione derivanti dalle perdite di carico significative, che di fatto li rendono utilizzabili esclusivamente dove il costo dell’energia è estremamente basso) e per i filtri a tessutomaniche (che possono però comportare rischi di intasamento ed incendio). Per questo tipo di emissioni la tecnologia di elettrofiltrazione ad umido messa a punto dalla società Fidia Engineering Srl permette di raggiungere elevate efficienze di rimozione grazie all’impiego di un trattamento a due stadi: • il primo con una fase preliminare di lavaggio (condizionamento o pre-scrubbing) ove si abbattono le particelle di dimensioni maggiore e si saturano i fumi, generando una “nuvola” di micro-goccioline che, trascinata nella fase successiva, favorisce la ionizzazione e quindi la captazione del particolato più fine (sub-micronico); • il secondo, la vera e propria sezione di elettrofiltrazione ove, attraverso l’impiego di un campo elettrico ad alta tensione e la conseguente generazione di scariche elettrostatiche, le particelle più piccole, responsabili della persistenza del pennacchio, vengono ionizzate (caricate negativamente) ed abbattute. Il campo elettrico di ionizzazione è variabile attorno ad un valore medio di 3050.000 Vcc, con un controllo elettronico della scarica che reagisce in funzione

della resistività del flusso gassoso; la tensione viene applicata da uno speciale trasformatore con rettificatore dotato di un sistema di regolazione che adegua l’impianto alle varie condizioni del fluido da trattare. Il gas saturato, uniformemente distribuito su tutta la sezione della macchina, passa attraverso i numerosi tubi-elettrodo dell’elettrofiltro. Al centro di ciascun tubo è presente un elettrodo di ionizzazione in tensione che, attraverso punte metalliche opportunamente distribuite sull’intera lunghezza, genera “nuvole elettroniche” che caricano le particelle inquinanti in transito nei tubi. Le particelle che attraversano lo spazio compreso tra le punte e le pareti dei tubi-collettori sono intercettate da queste nuvole elettroniche e, una volta caricate negativamente, vengono attirate proprio sulla superficie interna dei tubi che, collegati elettricamente “alla terra”, costituiscono l’elettrodo positivo del sistema. Una volta “migrate” sui tubi-collettori, le particelle si depositano sulla loro superficie interna, scivolando nella sezione di lavaggio sottostante. Il processo è favorito dalla presenza delle goccioline d’acqua micro-disperse nei fumi. I tubi-elettrodo e tutta la sezione di elettrofiltrazione vengono regolarmente lavati, in automatico, da un sistema di rampe superiori con ugelli spruzzatori (anti-intasamento), mantenendo quindi nel tempo l’efficienza della macchina. Le perdite di carico della sezione di collettamento elettrostatica sono estremamente contenute, stimabili in circa 15 mm ca. Un settore industriale dove si assiste all’emissione in atmosfera di particolato submicronico è rappresentato da processi di frantumazione e triturazione dei rottami metallici. Per questo tipo di emissioni la società Fidia Engineering Srl ha prima testato la tecnologia dell’elettrofiltrazione ad umido con delle prove pilota e poi ha installato il primo impianto al mondo in questo settore specifico presso lo stabilimento della società Ecoacciai Spa. L’impianto tratta un’emissione di 100.000 Nm3/h, proveniente dalla linea di frantumazione, la quale è equipaggiata con un mulino da 4000 hp per la lavorazione dei veicoli fuori uso e dei rottami di raccolta voluminosi. L’elettrofiltro a umido ha permesso di raggiungere elevate ef-


ficienze di rimozione del particolato e delle nebbie oleose, con emissioni al camino dell’ordine di circa 2 mg/Nm3, comunque sempre inferiori a 5 mg/Nm3. L’impianto ha completato l’esistente linea di trattamento dei fumi, costituita da un ciclone a secco e da uno scrubber a umido, i quali normalmente rappresentano la prima scelta per limitare i costi di investimento della linea di trattamento fumi, ma che non garantiscono rese di abbattimento in alcun modo paragonabili all’elettrofiltrazione ad umido. I cicloni sono apparecchi molto semplici senza alcun organo in movimento, che presentano rese di abbattimento accettabili su particelle di dimensioni maggiori di 10 μm e risentono notevolmente alle variazioni di portata. Dove il flusso da trattare presenta discrete quantità di nebbie oleose, spesso si crea uno strato di liquido (olio) lungo la parete del condotto di uscita del gas, che può appunto subire la cattura della corrente diretta verso il condotto di uscita più o meno facilmente, in funzione della tensione

superficiale e della viscosità del liquido. Inoltre le gocce di liquido, che usualmente hanno ridotta densità e forma sferica, quando si trovano in prossimità dell’asse del ciclone sono facilmente catturate della depressione centrale e trascinate all’uscita. Nello scrubber ad umido il meccanismo di cattura sfrutta i fenomeni tipici dei lavatori a secco quali l’impatto inerziale, l’intercettazione e la diffusione. A questi si aggiungono due fenomeni specifici dei lavatori ad umido: l’inglobamento delle particelle nelle gocce e la bagnatura che ne evita la possibilità di risospensione, la condensazione di vapore sovrasaturo presente in particolare nei gas caldi, avviene durante il raffreddamento, a cominciare dalle particelle solide che si comportano da nuclei di condensazione; le particelle di polvere vengono così appesantite dal liquido e ciò aumenta l’efficienza di cattura delle particelle più fini, adatte a comportarsi da nuclei di condensazione per la loro grande superficie specifica. Purtrop-

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po in applicazioni dove sono presenti elevate concentrazioni di particelle da abbattere con un diametro inferiore ai 5 micron (e specialmente sotto il micron), gli impianti di trattamento tradizionali (cicloni a secco e scrubber ad umido) abbatteranno la parte più grossolana dell’emissione, inviando in atmosfera il flusso gassoso ricco di polveri sottili e nebbie oleose, rimuovibili esclusivamente con il processo dell’elettrofiltrazione ad umido. Considerando infine che l’elettrofiltro a umido è un trattamento a due stadi, dove nel primo già avviene il lavaggio con acqua per l’abbattimento del particolato più grossolano, per i nuovi impianti del settore della triturazione e frantumazione dei materiali metallici è possibile prevedere in fase di progetto l’installazione dei cicloni a secco (indispensabili per l’abbattimento del particolato grossolano) e successivamente dell’elettrofiltro ad umido, come alternativa ad alte prestazioni, rispetto allo scrubber di tipo tradizionale.

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Una fresca demolizione Smantellamento di magazzini frigoriferi per il deposito di generi alimentari di Marco Costabello

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el pieno del caldo estivo, Sani Rino Srl in collaborazione con Chimin Spa ha provveduto alla demolizione dei magazzini frigoriferi di un’importante società che si occupa di fornire a terzi spazi di stoccaggio e conservazione a freddo delle merci in Emilia Romagna. L’azienda, operativa nel campo logistico in una zona fortemente strategica per il deposito delle merci, ha affidato alle due aziende di demolizione le operazioni di dismissione di una parte dei magazzini al fine di modernizzare il proprio stabilimento. Luglio è il mese del solleone e nella pianura padana il caldo e l’afa sono soffocanti. A fianco del cantiere c’è un gran via vai di camion che entrano ed escono dal cortile dell’azienda che non può smettere il ritmo incessante di lavoro. Anche le operazioni di demolizione procedono spedite perché in poco più di un mese, l’area dovrà essere sgombra per poter iniziare la costruzione di nuovi magazzini frigoriferi più moderni.

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Dal momento che i lavori della società di logistica non possono rallentare, le attività di demolizione si devono adeguare alle tempistiche lavorative dell’azienda. Alcune opere, infatti, sono state svolte in orario serale o in giornate festive perché la struttura da demolire

era attaccata ad altri magazzini da preservare. La demolizione presenta un paio di particolarità che riguardano il metodo di demolizione e il materiale da smaltire. La tecnica utilizzata per la demolizione della struttura è quella mecca-


nica con gli escavatori che procedono ad una demolizione primaria con pinze e ad una demolizione secondaria con frantumatori. La demolizione deve essere effettuata però dall’esterno perché il pavimento delle celle non è portante. Sotto al pavimento, infatti, sono pre-

senti tunnel di aerazione che servivano per la ventilazione delle celle. È stato utilizzato prevalentemente un escavatore con braccio da 19 metri per aggredire la struttura dall’esterno, affiancato da altri mezzi di supporto per le operazioni a terra.

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L’altra peculiarità riguarda il materiale di cui è composta la costruzione, che è formata da cemento armato con tamponamenti di mattoni coibentati di sughero e foam glass. Il sughero e il laterizio formano un corpo unico che può essere riciclato in impianti idonei per la separazione dei due materiali. Il foam glass o schiuma di vetro è un materiale non inquinante che deve essere trattato e smaltito alla stregua dell’inerte. Le aziende hanno preventivamente fatto fare analisi chimiche sui materiali da smaltire e l’esito è stato che non sono presenti contaminanti. All’interno della struttura erano presenti due carriponte che servivano ad immagazzinare il materiale in tutta l’altezza delle celle frigorifere. I carriponte sono stati smontati, trasportati all’esterno della struttura e tagliati in pezzatura idonea al pronto forno. Il ferro è stato portato in un centro di recupero rottami non lontano dal cantiere di demolizione. I rifiuti da costruzione e demolizione sono stati caricati su cassoni e portati nei rispettivi centri di riciclaggio di proprietà delle aziende di demolizione per il recupero. Il centro di riciclaggio inerti di proprietà dell’azienda Sani è situato a Felino in provincia di Parma. L’area, che è divisa in due zone comunicanti, è occupata dal centro di riciclaggio e dall’impianto per la produzione del calcestruzzo. L’azienda Sani Rino nasce nel 1954 per volontà del Sig. Rino Sani. Il movimento terra fu l’attività iniziale a cui, poco alla volta, se ne affiancarono altre grazie all’acquisto di nuovi macchinari sempre più specifici per l’edilizia. Nel 1976 iniziò la produzione di calcestruzzo preconfezionato e iniziò ad occuparsi anche di opere stradali e di urbanizzazione. Dal 1994 compie anche demolizioni industriali e civili con attrezzature e mezzi all’avanguardia. Oggi l’azienda è guidata dai figli Alfredo, Franca ed Enrico che portano avanti l’azienda di famiglia con lo stesso impegno e passione che fu del padre Rino. L’azienda ha conseguito le certificazioni SOA per le categorie OG 3 classe V, OG 6 classe III, OS23 classe II, fornendo così un ventaglio completo di servizi e soluzioni a diverse tipologie di clientela sia pubblica che privata.

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Le microonde per il trattamento dei rifiuti Impianto di stoccaggio e trattamento rifiuti a potenziale rischio infettivo di Rino Russo*

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ell’area industriale di Nusco, in provincia di Avellino, lavora dal 2015 il nuovo impianto della società Ecosistem Srl. L’attività aziendale consiste nello stoccaggio dei rifiuti pericolosi e nel trattamento di sterilizzazione dei rifiuti sanitari a potenziale rischio infettivo tramite una tecnologia all’avanguardia per il panorama italiano che sfrutta il potere delle microonde. L’intera unità produttiva si sviluppa su una superficie di circa 5000 m2, di cui 2000 m2 coperti, e si articola in quattro fasi principali. Nello schema a blocchi di seguito riportato si descrive, in particolare, la sequenza delle operazioni che vengono eseguite sui rifiuti in ingresso all’impianto.

M0 - FASE DI ACCETTAZIONE

In questa fase si prevede l’attuazione di tutte quelle azioni tese ad accertare le caratteristiche chimico/fisiche del rifiuto in ingresso. Tali azioni sono raccolte in un’apposita procedura di accettazione che in particolare prevede:

acquisizione di un’analisi completa del rifiuto; • eventuale ispezione visiva del rifiuto presso il produttore; • eventuale analisi di un campione preliminare “rappresentativo” del rifiuto da trattare; • rilevazione del livello di radioattività del rifiuto mediante strumentazione fissa di monitoraggio. Solo dopo che sono state concluse con esito positivo le operazioni di omologa del rifiuto, si potrà stabilire il calendario di conferimento. Il rifiuto in entrata nell’impianto dovrà essere sottoposto, ove possibile, ad un ulteriore controllo visivo. La procedura di accettazione prevede la verifica della corretta compilazione dei documenti e dei formulari di accompagnamento, oltre che della corrispondenza tra la documentazione di accompagnamento e i rifiuti conferiti. Per il conferimento dei rifiuti è stata destinata un’area all’ingresso del capannone, protetta da tettoia, di superficie pari a circa 200 m2.

L’accesso di ciascun veicolo nello stabilimento della società Ecosistem è subordinato al controllo e rilevazione di sorgenti radioattive all’interno del carico di rifiuti trasportato, operazioni condotte dal personale addetto alle fasi di accettazione e dal personale esperto qualificato in materia di radioprotezione. Al fine di evitare situazioni di rischio radiologico associate alla ricezione e lavorazione di materiale contenente sostanze radioattive e di ottemperare alla normativa vigente in materia di radioprotezione, la Ecosistem ha installato un sistema fisso di monitoraggio della radioattività dei carichi. Tale sistema si compone di due pannelli di rilevazione radiometrici (scintillatori plastici da 25 litri ciascuno) disposti perpendicolarmente l’uno all’altro, assumendo una forma ad “L” tale da garantire un’adeguata copertura dello spazio geometrico dedicato al transito dei veicoli. Il portale installato all’esterno dello stabilimento, nell’area a ridosso del cancello di accesso carrabile, consente il monitoraggio dinamico con radiazioni gamma dei mezzi in movimento.

M1 - FASE DI STOCCAGGIO RIFIUTI

Al fine di garantire elevate condizioni di tutela ambientale, i rifiuti conto terzi in ingresso disposti a stoccaggio sono sistemati al coperto in apposite aree dedicate. In particolare: • i rifiuti destinati a trattamenti da eseguire fuori sito sono disposti sotto la tettoia posizionata sul lato est dell’impianto, distinguendo due

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aree, una destinata allo stoccaggio dei rifiuti pericolosi ed un’altra destinata allo stoccaggio dei rifiuti non pericolosi; • i rifiuti sanitari pericolosi a solo rischio infettivo destinati al trattamento di sterilizzazione, sono disposti in un’area dedicata all’interno del capannone aziendale; • i rifiuti oleosi sono disposti in un’area appositamente adibita, munita di serbatoi e di bacini di contenimento. Le aree destinate allo stoccaggio sono state progettate nel rispetto delle B.A.T. Con la pianificazione di varie misure infrastrutturali e gestionali tese a ridurre il rischio di contaminazione dell’ambiente. In particolare, i principali accorgimenti adottati sono: • sistema di canalizzazione e raccoglimento delle acque meteoriche; • rete fognaria separata e vasche interrate a tenuta; • bacini di contenimento con basamento in calcestruzzo a pendenza verso un sistema di canalette di drenaggio collegate alla rete fognaria oleosa; • sostanze assorbenti stoccate e di pronto utilizzo nel caso di perdite accidentali. Inoltre le aree di stoccaggio dei rifiuti dovranno essere contrassegnate da idonea segnaletica da cui risultino: • l’indicazione che l’area è adibita a

stoccaggio rifiuti; il divieto di fumare e usare fiamme libere; • il divieto di introdurre nell’area telefoni cellulari non protetti accesi; • l’obbligo di indossare i DPI previsti in tale circostanza; • il divieto di accesso al personale non autorizzato; • il simbolo di rifiuto (R nera in campo giallo). Più specificatamente in corrispondenza del singolo rifiuto dovrà essere presente un cartello segnaletico dal quale risultino con chiarezza: • il CER e la denominazione del rifiuto; • i primi interventi che si devono prestare in caso di contaminazione accidentale (della pelle, degli occhi), in caso di ingestione o inalazione; • gli interventi necessari per bonificare il suolo da eventuali rifiuti sversati accidentalmente. Le informazioni da riportare sono di estrema importanza sia per assicurare la corretta manipolazione del rifiuto da parte del personale addetto alla sua movimentazione e gestione, sia per organizzare adeguatamente il carico dell’automezzo adibito al trasporto evitando accostamenti pericolosi. Ad esempio, per la raccolta e il trasporto dei rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo devono essere impiegati appositi imballaggi recanti la dicitura “Rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo” e il

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simbolo del rischio biologico. In caso di rifiuti taglienti o pungenti, gli imballaggi devono riportare la scritta “Rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo taglienti e pungenti”.

M2 - FASE DI TRATTAMENTO DEI RIFIUTI A POTENZIALE RISCHIO INFETTIVO

La società Ecosistem, in accordo con il D.P.R. 254/2003 intende sottoporre i rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo ad un processo di sterilizzazione; l’art. 7 (D.P.R. 254/2003) infatti stabilisce che “i rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo, se non presentano altri fattori di rischio, possono essere sterilizzati al fine di semplificare le modalità di smaltimento degli stessi”. Qualora non sterilizzati, tali rifiuti devono essere smaltiti in impianti di incenerimento per rifiuti speciali (operazione D10 Allegato B Parte IV D.Lgs. 152/2006 e s.m.i.). Se, oltre al rischio infettivo, sono presenti anche altre caratteristiche di pericolo, tali rifiuti devono essere smaltiti in altri impianti di trattamento di rifiuti pericolosi. In relazione alle modalità di sterilizzazione, il D.P.R. 254/2003 stabilisce che questa deve essere effettuata secondo la norma UNI 10384/94, parte prima, ovvero “mediante procedimento che comprenda anche la triturazione e l’essiccamento ai fini della non riconoscibilità e maggiore efficacia del trattamento, nonché della diminuzione di volume e di peso dei rifiuti stessi” (art. 2, comma 1, lettera m del D.P.R. 254/2003). Il progetto della Ecosistem prevede l’utilizzo di due macchine la cui potenzialità di trattamento si aggira sui 500 kg/h. Ad oggi è stata installata la prima delle due macchine. Tale macchinario, in accordo con la norma UNI 10384/94, consente di effettuare sul rifiuto le seguenti operazioni: • carico automatico; • triturazione a lame, con griglia di passaggio di diametro 35 mm; • sterilizzazione mediante microonde ed essiccamento in tramoggia di mantenimento; • scarico automatico del rifiuto sterile, dopo il trattamento. Di seguito si descrive la sequenza di operazioni effettuate sul rifiuto.

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ni di blocco in caso di eccessivo sforzo del motore e procedure automatiche di sblocco. In caso di apertura del vano di triturazione, per eseguire interventi manuali di manutenzione, è prevista la preliminare igienizzazione del vano di triturazione mediante nebulizzazione di soluzione acquosa di ipoclorito di sodio al 2%. La parte inferiore del trituratore è dotata di un carter di raccolta per le eventuali colature di liquidi che confluiscono in un serbatoio di raccolta. Il rifiuto triturato e accumulato nella tramoggia inferiore è inviato, per mezzo di coclee di trasferimento in acciaio AISI 304, alle camere di sterilizzazione.

Sterilizzazione del rifiuto

Carico automatico del rifiuto

Il rifiuto a rischio infettivo è contenuto, nel rispetto del citato DPR 254/2003, in scatole a perdere, generalmente di cartone o alveolare plastico da 40 o da 60 litri, oppure in sacchi di materiale plastico inseriti in contenitori di plastica rigidi e recuperabili. I primi sono disposti manualmente dall’operatore all’interno di cassoni carrabili, sollevati automaticamente dal sistema di sollevamento della macchina e sversati nella tramoggia di carico del trituratore della macchina sterilizzatrice mediante apertura e ribaltamento automatico del contenitore. Per i secondi è prevista l’apertura manuale del contenitore e lo svuotamento del contenuto all’interno di cassoni carrabili; un dispositivo idraulico di svuotamento consente il ribaltamento del contenitore e quindi lo sversamento del contenuto nella tramoggia di carico del trituratore. Il contenitore richiuso è inviato al processo di lavaggio e sanificazione per il recupero (Fase M3). La tramoggia di carico presenta una

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chiusura superiore ed è posta in leggera depressione; in tal modo si riduce il rischio di disperdere nell’ambiente eventuali aerosol a potenziale rischio infettivo. Il caricamento dei rifiuti è stato pensato in modo da evitare interferenze fra il sistema di contenimento e la tramoggia di carico garantendo le dovute condizioni di sicurezza per gli operatori. La movimentazione del sollevatore è automatica e avviene su chiamata del modulo di triturazione in base al livello di riempimento della tramoggia di ingresso.

Triturazione del rifiuto

La triturazione del rifiuto avviene con un trituratore a lame, frantoio modello a cesoia rotante con griglia di passaggio con diametro 35 mm. Il trituratore consente di ottenere una pezzatura omogenea del materiale, pezzatura garantita anche dal vaglio a griglia (diametro 35 mm) montato nella parte sottostante. Il trituratore è dotato di una tramoggia di alimentazione superiore che riceve il rifiuto e di una inferiore nella quale si accumula il rifiuto triturato. Sono previste protezio-

La sezione di sterilizzazione è costituita da sei magnetron di potenza 12 kW posti in serie su due livelli, di forma tubolare in acciaio inox con all’interno una spirale di trasporto che provvede sia al carico sia allo scarico del materiale. Inoltre, vi è una cavità di trattamento costituita da un elemento in inox stampato diviso in sei tramezzi di larghezza identica. Ogni tramezzo è una cavità microonde alimentata da un magnetron da 2 kW di potenza nominale. La sterilizzazione viene effettuata, nel rispetto della norma UNI 10384/94 parte prima, impiegando onde elettromagnetiche di tipo microonde: in particolare viene garantito un tempo di permanenza di almeno 3 minuti a temperatura non inferiore ai 98°C. La produzione di microonde è garantita da un quadro elettrico di comando dei magnetron. Al fine di evitare qualsiasi fuga di microonde è stato realizzato un assorbimento lungo tutta la coclea, protetta da un tubo in acciaio inossidabile dalla tramoggia sotto-frantoio fino alla tramoggia di mantenimento. L’aria estratta, potenzialmente infetta, viene inviata al sistema di filtrazione assoluto disposto sull’aspiratore dello scarico, a valle del nastro trasportatore, canalizzata nella condotta di aspirazione e inviata al doppio scrubber e al filtro a carboni attivi prima dell’immissione in atmosfera. Il processo prevede una seconda fase di vuoto in tramoggia di mantenimento per migliorare l’asciugatura del rifiuto (mantenuto alla temperatura di 100°C per circa 1 ora) prima dell’espulsione. Il gas


estratto dalla camera di sterilizzazione, sia prima della sterilizzazione a microonde sia dopo il trattamento di sterilizzazione, è inviato al sistema di filtrazione assoluto a valle del nastro di scarico rifiuto. La sequenza di trattamento consente di ottenere, per il tempo necessario, condizioni di sterilizzazione uniformi in tutte le zone della camera compresi i punti critici. Tali condizioni saranno monitorate in continuo per mezzo di apposite termocoppie trasduttori, opportunamente disposte all’interno della camera di sterilizzazione, collegate ad un sistema centralizzato di controllo. Durante il processo di trattamento l’impianto è dotato di un sistema di registrazione automatica, in continuo e su supporto cartaceo. I dati registrati, oltre all’identificazione del costruttore e della sterilizzatrice per ogni inizio ciclo sono: • data e ora; • numero progressivo del ciclo. Ad ogni cambio di fase vengono annotati: • la fase del ciclo; • il tempo; • il valore della variabile di processo. A fine del ciclo vengono annotati: • l’indicazione di ciclo valido (o ciclo abortito); • la data e l’ora. Qualora il processo di sterilizzazione, per manutenzione o emergenza, venga convertito in manuale, il sistema di controllo provvederà automaticamente a registrare come non valido il relativo ciclo (indicazione ciclo abortito). In questi casi l’impianto provvede: • all’accensione di un’indicazione luminosa ed acustica di anomalia; • a mantenere la sterilizzatrice in condizioni di sicurezza; • a consentire di procedere in sicurezza sino alla fine del ciclo per mezzo di un’apposita procedura manuale protetta da chiave.

fino all’uscita mediante un convogliatore. Il rifiuto trattato, non più a rischio infettivo, viene raccolto in big bags che, una volta riempiti, vengono trasportati e disposti nell’area di stoccaggio all’interno del capannone. Tutte le apparecchiature sono state concepite con materiali capaci di resistere alle aggressioni chimico/ fisiche derivanti dal processo di trattamento. L’intero processo, completamente automatizzato, è collegato ad un sistema di controllo real-time: l’operatore mediante touch screen ha la possibilità di visualizzare in tempo reale le varie fasi di lavorazione del ciclo con i relativi valori di temperatura, pressione e tempi. Tuttavia, in caso di manutenzione o di emergenza è possibile commutare il processo nella modalità manuale per mezzo di selettori specifici. Durante questa manovra restano comunque attivi i sistemi di emergenza e di sicurezza.

M3 - FASE DI LAVAGGIO E SANIFICAZIONE IMBALLAGGI RIUTILIZZABILI

Gli imballaggi esterni impiegati per il trasporto dei rifiuti sanitari, qualora riutilizzabili sono sottoposti a processi di lavaggio e sanificazione, ovvero riduzione della carica microbica (contaminanti batterici) mediante l’uso di detergenti e prodotti sanificanti. Presso l’impianto sito nell’Area Industriale di Nusco, la Ecosistem ha installato una macchina lavabacinelle, che mediante l’azione chimica di prodotti detergenti e sanificanti, garantisce la sanificazione dei contenitori rigidi riutilizzabili.

La lava-bacinelle è dotata di un sistema di sanificazione automatico munito di pompa dosatrice che carica nell’apposito TEE di miscelazione il prodotto sanificante liquido, e il prodotto detergente liquido, nell’acqua di risciacquo. Il processo di disinfezione avviene mediante acqua alla temperatura di 70/80°C miscelata e nebulizzata. Il ciclo di sanificazione si conclude con la fase di asciugatura dei contenitori tramite un sistema di soffiatura motorizzata alloggiato nel blocco terminale della macchina. L’addetto al carico della macchina provvede al posizionamento dei contenitori sul nastro trasportatore della lava-bacinelle, dopo averli idoneamente svuotati nei cassoni carrabili a valle della catena di alimentazione della macchina sterilizzatrice dei rifiuti sanitari a rischio infettivo. I contenitori sanificati vengono poi trasportati mediante nastro esternamente alla camera di sterilizzazione e ordinati per tipologia dall’addetto al carico e scarico della macchina lava-bacinelle. La capacità produttiva della macchina lava-bacinelle è pari a 250 contenitori/ora. A garanzia dell’avvenuta sanificazione dei contenitori riutilizzabili, la Ecosistem si avvale del sistema 3M Clean-Trace. Il sistema è composto da tampone da strisciamento per test di superficie e apparecchio bioluminometro. È attraverso l’analisi della bioluminescenza generata dall’ATP che si misura la quantità di proteine presenti e la si rapporta ai limiti di legge, a completa tutela dell’utilizzatore finale. *Ecosistem s.r.l.

Scarico automatico del rifiuto trattato

I rifiuti a fine trattamento, identificati con il CER 19.12.10 “rifiuti combustibili (CDR: combustibile derivato da rifiuti)” sono scaricati seguendo due operazioni: l’uscita dalla tramoggia per mezzo di una vite a spirale e il sollevamento dei rifiuti

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Dal rifiuto organico al biocarbone Riciclare i rifiuti organici trasformandoli in un carbone con le stesse caratteristiche tecniche della lignite di Laura Veneri

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econdo alcuni studi dell’Unione Europea sui rifiuti da Forsu datati 2012, attualmente in Europa c’è una disponibilità di biomasse umide proveniente dai residui agricolturali, forestali e municipali che è pari a circa 140 milioni di tonnellate all’anno di cui 80 sono rifiuti organici umidi. Circa 2/3 di questo enorme quantitativo viene tuttora incenerito o avviato a discarica e in ogni caso, non valorizzato a dovere. Ingelia, una società spagnola, ha messo a punto una tecnologia brevettata che permette di recuperare e riciclare in modo efficiente ed ecosostenibile differenti tipi di rifiuti organici trasformandoli in un carbone, con le caratteristiche tipiche della lignite. Nel 2010 ha realizzato uno dei primissimi impianti industriali al mondo che lavora in applicazione del principio della carbonizzazione idrotermale, tecnica nota da moltissimi anni ma di fatto solo il risultato di teorie e prove di laboratorio.

La decarbonizzazione

Per mezzo di questo processo ecosostenibile, in poche ore, i rifiuti umidi organici e le biomasse di scarto sono trasformate in un solido carbonioso,

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una forma di lignite. Le biomasse residuali umide non devono essere essiccate e questo fa risparmiare energia, riduce l’impatto ambientale e dà nuove possibilità per una migliore valorizzazione della Forsu e di tutti i rifiuti umidi organici, anche con alti tenori di umidità; essi rappresentano dunque le materie prime per l’impianto di recupero Ingelia per ottenere biocarbone, acqua ed elementi fertilizzanti come Azoto, Fosforo e Potassio. Il processo fisico-chimico di Ingelia ha luogo in condizioni di pirolisi umida. In ambiente chiuso con acqua liquida a ~20 bar e ~200°C, le biomasse residuali, i rifiuti organici, reagiscono come durante il naturale processo di carbogenesi; in questo modo si ottiene un carbone che ha caratteristiche di materia prima rinnovabile. Si tratta di un vero e proprio processo di decarbonizzazione in quanto si modifica il rapporto Idrogeno/Carbonio e Ossigeno/Carbonio con la concentrazione del carbonio nei prodotti di processo con evidenti vantaggi ambientali. Il processo permette di recuperare fino al 99% del Carbonio iniziale evitando, dunque, di perderne in forma di CO2 o peggio di CH4. Indipendente-

mente dalla tipologia di rifiuto organico da recuperare, il prodotto principale del processo di recupero sarà sempre una forma di lignite. La lignite ottenuta può essere usata come biocombustibile e ammendante o in applicazioni industriali per filtri a carboni attivi, materiali compositi/biopolimeri, pigmenti per vernici, celle a combustibile, ecc. L’acqua di processo, sterile, contiene una parte minoritaria di carbonio (<15%) e tutti i nutrienti in origine contenuti nella biomassa/rifiuto (Azoto, Fosforo, Potassio, ecc.). L’acqua viene sottoposta a processi di filtrazione per il recupero del concentrato che è praticamente una ottima base per un concime complesso avendo i tre nutrienti principali e può essere venduto per utilizzi nel settore della produzione di fertilizzanti organici. La più attraente caratteristica della carbonizzazione idrotermale è il fatto che essa rappresenta un processo facile, green e scalabile che permette la produzione di varie nano strutture ibride di carbone con pratiche applicazioni, ad un prezzo base comparativamente più basso di quello corrispondente ai processi petrolchimici. Il processo è in continuo, completa-


mente automatizzato e senza emissioni nella sezione di reazione, controllato in remoto ed è anche 200 volte più veloce delle attuali tecniche di recupero. La tecnologia utilizzata è resa esclusiva nella sua innovativa applicazione industriale, risultato del percorso di ricerca ammesso a finanziamenti comunitari che ha portato al deposito di undici brevetti industriali che caratterizzano l’offerta impiantistica.

Il progetto NewApp e gli impianti in Italia

Ingelia Italia è una newco costituita nel 2015 in joint venture tra soggetti privati italiani e il technology provider spagnolo Ingelia, attiva dal 2006 nella ricerca e sviluppo di innovativi impianti industriali per la carbonizzazione idrotermale di biomasse residuali e rifiuti a matrice organica in genere. Il lavoro di Ingelia ha prodotto ad oggi ben undici brevetti industriali

che sono alla base del funzionamento in continuo dell’impianto, condizione essenziale per l’ottimizzazione del bilancio di energia e per il suo utilizzo su larga scala per varie applicazioni, con focus sulla chiusura del ciclo dei rifiuti organici. A conclusione di un periodo sufficientemente lungo di verifica prestazionale e di messa a punto dell’impianto di Valencia, nel 2016 Ingelia ha iniziato il lancio commerciale della sua innovativa tecnologia. Ingelia è inoltre stata scelta quale tecnologia per l’esecuzione del Progetto NewApp nell’ambito del 7° Programma Quadro della Commissione Europea proprio per l’utilizzo della sua tecnologia proprietaria quale mezzo per il recupero efficiente dei rifiuti organici sul territorio dell’Unione Europea al fine di ridurre gli sprechi ed evitare di importare 23 mld di € di prodotti a base carboniosa da Paesi fuori dall’UE.

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Le matrici di rifiuti oggetto del programma di ricerca sono: sfalci e potature, forsu, organico, digestato, fanghi biologici. Il progetto, durato 30 mesi, si è concluso il 30 aprile 2016 con la certificazione dei positivi risultati dell’applicazione della tecnologia Ingelia su tutte le matrici trattate e della sua sostenibilità ambientale ed economica. In Italia è attivo un piano di impresa che ha come obiettivo la realizzazione di 30 impianti entro i prossimi 5 anni con una capacità di trattamento complessiva di 1.000.000 tonnellate/anno, meno del 10% del totale dei rifiuti organici urbani e inferiore al 5% se si sommano anche i rifiuti organici speciali; il target di soddisfazione è quello di giungere a presidiare ogni regione italiana con almeno 1 impianto. Ad oggi la società è in fase di procedimento amministrativo per ottenere l’autorizzazione per costruire ed avviare il primo impianto a Lucca.

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Decommissioning di un ex impianto di produzione di PVC a Porto Marghera La gestione di rifiuti contaminati da idrocarburi clorurati (1,2 – Dicloroetano e Cloruro di Vinile Monomero) nel corso della dismissione di una ex area industriale di Stefano Marchiori*

A

seguito del fallimento di un’importante società chimica del panorama italiano è stato costituito un tavolo tecnico coordinato dalla Protezione Civile con la finalità di preservare lo stato dell’ambiente e l’incolumità delle persone. In tale contesto gli impianti sono stati acquisiti da un’azienda americana specializzata nel recupero e nella commercializzazione di apparecchiature derivanti da dismissioni di impianti. Il tavolo tecnico, di cui fanno parte gli enti di controllo e le autorità locali, costituitosi per coordinare le attività di

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bonifica e demolizione dell’impianto, si è fatto carico delle attività di vuotamento delle apparecchiature presenti nell’impianto che presentavano dei residui al loro interno. Lo stesso tavolo tecnico attraverso gara pubblica ha assegnato ad un RTI costituita da Hera Ambiente S.p.A., Vecchi Zironi S.r.l. e Rigato S.r.l. le attività di “estrazione, caratterizzazione analitica, confezionamento, carico, trasporto e smaltimento finale dei rifiuti presenti”. La suddivisione dei compiti all’interno del RTI è stata la seguente: • Hera Ambiente S.p.A. smaltimento rifiuti.

• •

Vecchi Zironi S.r.l. trasporto rifiuti. Rigato S.r.l. estrazione, confezionamento e carico rifiuti.

SEQUENZA OPERATIVA

La sequenza operativa dei lavori è stata la seguente: • allestimento del cantiere mediante installazione container e unità monoblocchi per servizi logistici del personale, magazzino ed ufficio di cantiere; • allacciamenti di impianto idrico ed elettrico di cantiere; • allestimento apposite barriere di delimitazione delle aree lavori;


• • • • • • • •

interventi preliminari di pulizia; campionamento dei rifiuti giacenti nelle apparecchiature; avvio diretto a smaltimento dei rifiuti già confezionati a regola d’arte; allestimento specifiche aree confinate per estrazione e confezionamento rifiuti in genere; riconfezionamento dei rifiuti che non risultano confezionati a regola d’arte; estrazione e confezionamento rifiuti presenti in cassoni, serbatoi, vasche, ecc.; monitoraggi ambientali in corso d’opera; trasporto e smaltimento rifiuti prodotti.

ATTIVITÀ ESEGUITE

Le attività si sono svolte secondo le metodologie di seguito riportate a seconda delle apparecchiature da cui dovevano essere estratti i rifiuti. Per tutte le tipologie di rifiuto sono state eseguite delle fasi comuni relative alla movimentazione, etichettatura e carico. I rifiuti sono stati confezionati in contenitori omologati ONU in relazione alla tipologia del rifiuto stesso e conformi alle normative di sicurezza e di trasporto secondo quanto disposto dall’ADR e classificati secondo quanto disposto dalla Direttiva 67/548/CEE con dimensioni e peso indicati dall’impianto di destinazione finale. Di seguito, vengono illustrati e descritti alcuni interventi tipo, concernenti le attività eseguite su varie strutture ed apparecchiature.

Cassoni contenenti incrostazioni e residui di solventi clorurati

Si tratta di cassoni drenanti contenenti fanghi clorurati estratti da serbatoi, posti ad essiccare in area confinata (costituita da una tensostruttura) polmonata su filtri a carboni attivi. La prima operazione eseguita è stata la delimitazione dell’area di intervento, mediante l’installazione di un sistema di segregazione dell’area corrispondente alla tensostruttura, realizzato con recinzione metallica modulare

mobile con applicazione della segnaletica di sicurezza per rischio chimico, derivante dalla presenza della sostanza 1,2 dicloroetano n. 602-012-00-7, composto cancerogeno, molto infiammabile, nocivo ed irritante per le vie respiratorie. È stato effettuato un riassetto e adeguamento strutturale e di tenuta della tensostruttura, al fine di garantire la segregazione dell’area di lavoro e l’isolamento dell’area interna da quella esterna. Sulla stessa sono stati allestiti i necessari dispositivi di estrazione e filtrazione dell’aria a carboni attivi per rendere la struttura stessa a tenuta statica e dinamica. È stato realizzato un secondo confinamento di notevoli dimensioni, nella zona attigua alla tensostruttura, completo dei necessari dispositivi di estrazione e filtrazione aria a carboni attivi.

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Tale struttura è stata utilizzata per garantire maggiore spazio logistico e migliore manovrabilità dei cassoni scarrabili una volta vuotati dai rifiuti in essi presenti. Il confinamento “ausiliario”, attiguo alla tensostruttura, è stato utilizzato come stazione di travaso e confezionamento dei fanghi estratti in contenitori a norma. Durante le attività di scarico dei cassoni, carico e confezionamento delle cisternette, le due tendostrutture sono state tenute in continua depressione mediante ventilazione forzata e sistema di filtrazione a carboni attivi per l’eliminazione degli agenti inquinanti nelle emissioni. Durante l’esecuzione delle attività l’ambiente di lavoro è stato monitorato in continuo, mediante l’installazione di una postazione fissa per la rilevazione dell’ossigeno presente

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nell’aria, con evidenza video e sistema di allarme audio. Il travaso è stato eseguito mediante autobotte con cisterna realizzata in acciaio inox, abilitata per trasporti in ADR, sulla cui parte posteriore del mezzo sono presenti due attacchi corrispondenti a due linee, la prima di carico, la seconda di scarico. In corrispondenza del percorso delle due linee di carico e scarico, la pavimentazione è stata protetta mediante la stesura di un foglio in polietilene rialzato sui lati ad effetto catino, per contenere eventuali spandimenti accidentali. Nel confinamento “ausiliario” sono stati posizionati 9 IBC (intermediate bulk containers) per volta, che, una volta riempiti sono stati movimentati con carrello elevatore. Il personale dedicato all’aspirazione e al riempimento delle cisternette era munito di maschera facciale con autorespiratore collegato a bombole di aria respirabile certificata, guanti in gomma, tute tipo tychem, stivali in gomma antinfortunistici, rivelatore multigas altair 4x, radio a comando vocale per facile comunicazione. A fine attività i cassoni sono stati lasciati all’interno della tensostruttura dove è stato poi eseguito un controllo del grado di inquinamento al fine di procedere all’apertura della stessa una volta appurato che il grado di inquinamento fosse all’interno dei limiti di legge.

Serbatoi contenenti fanghi clorurati

Date le dimensioni dei serbatoi, sono state predisposte aree di cantiere dedicate alle attività da svolgere, così composte: • box adibito ad unità di decontaminazione del personale; • area confinata per il travaso del materiale in idonei contenitori; • area confinata per l’ingresso del personale; • area di stazionamento contenitori in attesa di carico. Le misure di prevenzione adottate sono state le seguenti: confinamento statico/dinamico, completo dei necessari dispositivi di estrazione e

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filtrazione aria a carboni attivi. Sono inoltre stati realizzati appositi confinamenti statici di ridotte dimensioni, tipo “glove-box”, che hanno permesso di ospitare, al loro interno, l’operatore addetto alle attività di aspirazione dei rifiuti pericolosi attraverso i passi d’uomo di colonne, serbatoi e/o contenitori vari. Tali confinamenti “glove-box” hanno sfruttato il sistema di aspirazione e filtrazione d’aria, con filtri a carboni attivi, garantito dallo specifico mezzo di lavoro che ha effettuato l’aspirazione dei rifiuti. L’ingresso del personale è avvenuto con autorespiratore con aria esterna collegata a pacco bombole, il personale in assistenza era dotato degli stessi D.P.I. del personale che operava all’interno, questo per garantire un soccor-

so immediato. Il travaso è stato eseguito con autobotte dotata di cisterna in acciaio inox, abilitata per trasporti in ADR. L’aspirazione dei fanghi è stata effettuata con il mezzo collegato ad una linea di depurazione dell’aria in eccesso, tramite filtro a carboni attivi. Nel confinamento l’ambiente di lavoro era monitorato in continuo, mediante l’installazione di una postazione fissa per la rilevazione dell’ossigeno presente nell’aria, con evidenza video e sistema di allarme audio. Nel caso di prossimità o raggiungimento dei valori soglia nell’aria ambiente, previsti dalla normativa vigente, l’area veniva saturata con azoto e naturalmente il personale già in questa fase doveva indossare gli indumenti protettivi “integrali”. *Rigato s.r.l.

RIFIUTI PRODOTTI NEL CORSO DELL’INTERVENTO Descrizione / inquinanti principali

CER

Quantità (t)

Soluzioni di lavaggio clorurate

07.01.01*

40

Fondi e residui di reazione alogenati

07.01.07*

230

Residui di filtrazione esauriti

07.01.10*

40

Fanghi clorurati con elevata concentrazione di sostanze clorurate

07.01.11*

325

Fanghi clorurati con bassa concentrazione di sostanze clorurate

07.01.12

215

Catalizzatori esauriti

16.08.07*

92

Altri rifiuti

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PR OGE TTI

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TE CNO L O G I E

Stabilizzazione in situ di sedimenti contaminati Caratterizzazione del materiale da trattare e selezione del prodotto da utilizzare per la bonifica dei sedimenti di un invaso artificiale di Luca Navone, Jean-Pierre Davit, Anna Defina ed Elena Mangherini*

I

n un impianto manifatturiero dismesso in Piemonte è presente un invaso artificiale realizzato contestualmente allo stabilimento negli anni ‘60, per la raccolta delle acque meteoriche provenienti dalle aree impermeabilizzate dell’intero comprensorio industriale. Nel tempo, a causa della sedimentazione delle particelle solide trasportate dalle acque meteoriche, sul fondo dell’invaso si è depositata una coltre di sedimenti fangosi, di spessore variabile da alcuni centimetri a più di un metro. L’invaso occupa una superficie di circa 15.000 m2, il fondo dell’invaso su cui sono depositati i sedimenti ha una superficie di circa 10.000 m2. L’invaso artificiale non è più alimentato dalla rete acque meteoriche da alcuni anni, con una conseguente forte diminuzione del livello dell’acqua ed emersione delle parti più elevate del fondale. Le indagini di caratterizzazione del sito, svolte nel 2008, hanno previsto l’esecuzione di 20 sondaggi a carotaggio continuo all’interno dell’invaso, dai quali sono stati prelevati 38 campioni di sedimento. Le analisi eseguite sui campioni di sedimento hanno evidenziato un superamento delle Concentrazioni Soglia di Contaminazione (CSC), previste dal D.Lgs. 152/06 per i terreni ad uso industriale, con riferimento ai seguenti parametri: • metalli: piombo, zinco e nichel (quest’ultimo in un solo campione); • idrocarburi policiclici aromatici (IPA): benzo(a)antracene, benzo(a)

pirene, benzo(b)-fluorantene, benzo(k)fluorantene, benzo(g,h,i) terilene, dibenzo(a,e)-pirene, indeno-pirene, pirene; • idrocarburi pesanti C>12. L’Analisi di rischio sanitario-ambientale di III livello eseguita in seguito alla caratterizzazione ha confermato che il rischio per la risorsa idrica sotterranea connesso alla contaminazione dei sedimenti è sostanzialmente trascurabile. Per contro, rispetto ad un’eventuale esposizione per contatto diretto con i sedimenti, in assenza d’acqua nell’invaso, per i percorsi di esposizione in ambienti aperti (ingestione, contatto dermico, inalazione di vapori e particolato) lo studio ha evidenziato un livello di rischio cancerogeno e tossicologico superiore ai limiti di accettabilità. In seguito ad un’analisi delle tecnologie di bonifica e messa in sicurezza permanente applicabili in sito, è stata selezionata la stabilizzazione/inertizzazione in situ (S/I), alla cui applicazione seguirà il ripristino della morfologia originale dell’area mediante rinterro dell’invaso. La S/I on site prevede la miscelazione del terreno contaminato con reagenti specifici scelti per ridurre il rischio per la salute dell’uomo e dell’ambiente posto dai contaminanti, trasformandoli nella loro forma meno solubile, meno mobile e/o meno tossica. La tecnologia, che trova applicazione sia per contaminanti organici che inorganici, prevede che il terreno da trattare venga miscelato in situ con reagenti inertizzanti. La miscelazione

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con tali reagenti ha lo scopo di favorire l’incapsulamento fisico e/o l’adsorbimento, la precipitazione o l’incorporazione nei reticoli cristallini delle sostanze contaminanti. La tecnologia di S/I è versatile poiché applicabile a diverse tipologie di contaminanti e può essere applicata iniettando la miscela di reagenti e miscelando il materiale da trattare mediante una testa fresante o altro utensile miscelatore installati su un escavatore idraulico. Nel presente caso i principali vantaggi di tale tecnologia sono connessi alla possibilità di non mobilizzare il sedimento riducendo così, rispetto ad un intervento ex situ, i tempi dell’intervento e i costi connessi a scavo, movimentazione e stoccaggio dei sedimenti da trattare, compresa la necessità di gestire l’acqua gravifica rilasciata dal sedimento scavato. La selezione della tipologia di reagente da utilizzare dipende da diversi fattori connessi alle caratteristiche fisiche del materiale da trattare, alla tipologia di contaminanti presenti e al budget economico disponibile. Per tale ragione nel presente caso la realizzazione del progetto operativo dell’intervento è stata preceduta da una caratterizzazione del sedimento da trattare e dalla sperimentazione in laboratorio di diverse tipologie di reagenti disponibili sul mercato. Per prima cosa è stato eseguito il campionamento dei sedimenti presenti nell’invaso oggetto di intervento, da utilizzare per la caratterizzazione preliminare del materiale e i

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P ROG ETTI

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TE CNO LO GIE

Figura 1. Operazione di recupero del carotiere a gravità (gravity corer) utilizzato per il campionamento del sedimento

test di stabilizzazione in laboratorio. I campioni sono stati prelevati in corrispondenza di 7 punti diversi, distribuiti in modo uniforme nell’area dell’invaso artificiale, mediante un carotiere a gravità (“gravity corer”) del peso di circa 200 kg, manovrato mediante una autogru con sbraccio di 70 m. Il prelievo del campione è stato eseguito mediante una fustella in policarbonato alloggiata all’interno del carotiere a gravità, la cui apertura è dotata di un sistema di chiusura automatico, che impedisce la fuoriuscita del materiale incoerente campionato (Fig. 1). Nel complesso sono stati prelevati 14 campioni, corrispondenti ad una massa totale di sedimento superiore a 100 kg; questi sono stati in seguito miscelati in laboratorio, al fine di ottenere un campione composto e omogeneo, rappresentativo dell’intera area dell’invaso. Un’aliquota di tale campione (denominata S0) è stata sottoposta ad analisi chimiche e fisiche, con lo scopo di ottenere alcune informazioni di base necessarie per la pianificazione dei test di inertizzazione e stabilizzazione. Nello specifico tali informazioni sono state utilizzate per selezionare il

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dosaggio e la composizione delle miscele da testare. Le analisi chimiche e fisiche eseguite comprendono: • analisi granulometrica; • determinazione del contenuto d’acqua sul tal quale; • contenuto di carbonio organico totale (TOC); • determinazione sul tal quale del contenuto di: Pb, Zn, CrVI, IPA (idrocarburi policiclici aromatici), Idrocarburi pesanti (C>12) e PCB; • Test di lisciviabilità (EN 124574) con determinazione sull’eluato del contenuto di: Pb, Zn, CrVI, IPA, Idrocarburi pesanti (C>12) e PCB. Il sedimento accumulato nell’invaso artificiale può essere definito un limo sabbioso con tracce di argilla. I risultati delle analisi sulla frazione tal quale sono stati confrontati con le concentrazioni soglia di contaminazione (CSC) previste dal D.Lgs. 152/06 per i siti ad uso industriale/commerciale (Titolo V, Allegato 5, Tabella 1, colonna B). Da tale confronto è emersa la non conformità alle CSC di riferimento per i parametri zinco e idrocarburi pesanti (C>12). I risultati delle analisi sull’eluato del test di lisciviabilità sono

stati confrontati con le concentrazioni soglia di contaminazione (CSC) previste dal D.Lgs. 152/2006 per le acque sotterranee (Titolo V, Allegato 5, Tabella 2). Da tale confronto è emersa la non conformità alle CSC di riferimento per i parametri idrocarburi pesanti (C>12) e per 7 composti IPA. I test di inertizzazione in laboratorio sono stati condotti con l’obiettivo di verificare la fattibilità della tecnica di stabilizzazione/inertizzazione del sedimento come metodo di bonifica e definire la composizione della miscela inertizzante da utilizzare. Per l’esecuzione di tali test sono stati selezionati tre diversi prodotti commerciali, specifici per interventi di S/I di fanghi e terreni. In particolare sono stati scelti prodotti con formulazioni di base differenti, in modo da eseguire una sperimentazione di reagenti ad ampio spettro. I prodotti testati sono i seguenti: • Prodotto 1 (Pr1): a base di cemento Portland e leganti minerali; • Prodotto 2 (Pr2): a base di cemento solfoalluminoso e acceleranti; • Prodotto 3 (Pr3): a base di cemento pozzolanico e calce viva. Per ciascun prodotto, sulla base delle caratteristiche dell’intervento in oggetto e dell’esperienza dei produttori, sono state sperimentate diverse formulazioni e diversi dosaggi, variabili tra il 7,5 e il 30% in peso. Il test consiste nella miscelazione in laboratorio del sedimento con i reagenti selezionati. I campioni omogenei di sedimento trattato sono stati lasciati riposare per un tempo di 28 giorni,

Figura 2. Provino di sedimento trattato al termine del test di stabilizzazione


al fine di permettere la maturazione del cemento e lo sviluppo delle relative reazioni (Fig. 2). Un’aliquota del campione composto SC0 non trattato (definita SB) è stata prelevata e posta nelle stesse condizioni di laboratorio dei campioni di sedimento trattato, in qualità di “bianco analitico” per le analisi chimiche di seguito descritte. Tale campione di bianco è stato utilizzato per valutare l’effetto dell’esposizione all’aria del sedimento non trattato, per periodi di tempo comparabili con la durata del test di inertizzazione. In seguito al completamento del test di S/I (durato 28 giorni), ciascun campione trattato è stato inviato al laboratorio chimico incaricato, per l’esecuzione di test di cessione ai sensi della normativa UNI EN 12457-4 e determinazione sull’eluato della concentrazione dei seguenti analiti: Pb, Zn, CrVI, IPA e Idrocarburi pesanti (C>12). Anche in questo caso i risultati delle analisi sull’eluato del test di lisciviabilità sono stati confrontati con le concentrazioni soglia di contaminazione (CSC) previste dal D.Lgs. 152/2006 per le acque sotterranee. Per quanto concerne i metalli i test di lisciviabilità hanno messo in evidenza che: • nell’eluato relativo al sedimento trattato con i Prodotti 1 e 2 la concentrazione dei metalli è prossima o inferiore al limite di rilevabilità, e quindi alla CSC di riferimento; • nell’eluato relativo al sedimento trattato con il Prodotto 3 la concentrazione di piombo è sempre superiore al limite di rilevabilità e in alcuni casi eccede la CSC di riferimento. I test eseguiti hanno quindi messo in evidenza un aumento della lisciviabilità del piombo (e in misura minore dello zinco) nei campioni di sedimento trattato con il Prodotto 3. Un aumento molto ridotto della lisciviabilità del piombo è stato riscontrato anche nei campioni trattati con il Prodotto 1, ma in questi casi la concentrazione misurata nell’eluato è sempre risultata essere prossima al limite di rilevabilità. Il pH dei campioni trattati con il Prodotto 3 presenta un valore medio di 13, a causa della presenza di calce all’interno della formulazione del prodotto. Si

ritiene che tale aumento della lisciviabilità del piombo sia correlabile con il valore di pH misurato nel sedimento trattato. Il grafico seguente mostra un confronto tra il pH e la concentrazione di piombo nell’eluato per tutti i campioni analizzati. Si osserva un aumento della concentrazione di piombo nell’eluato di tutti i campioni che mostrano valori di pH superiori a 12,5. (Fig. 3). A tale proposito, è confermato nella letteratura scientifica che i metalli pesanti sono immobilizzati nella matrice del cemento come conseguenza della formazione di idrossidi, la cui solubilità è dipendente dal pH (raggiungendo un minimo a pH 10±1). La solubilità degli idrossidi di Cd, Cr, Cu, Pb, Ni, e Zn tende a diminuire all’aumentare del pH fino a valori di circa 10-11 [1, 2]. Al di sopra di tali valori la solubilità tende ad aumentare con il pH poiché i cationi metallici tendono a formare complessi anionici con eccesso di ione idrossido (OH-). Per quanto concerne i composti organici, il primo elemento di interesse emerge dal confronto tra i risultati del test di lisciviabilità eseguito sui campioni di sedimento non trattato SC0 e SB, sopra descritti. L’eluato derivante dal test condotto sul campione appena prelevato (SC0) presenta valori di concentrazione di idrocarburi C>12 e IPA superiori alle CSC di riferimento per le acque sotterranee. L’eluato relativo al campione SB presenta concentrazioni di tutti gli IPA analizzati inferiori al limite di rilevabilità e una concentrazione di idrocarburi C>12 ancora superiore alla CSC di riferimento, ma pari al 27% di quella riscontrata nel campione SC0. La significativa diminuzione della lisciviabilità di questi composti organici potrebbe essere correlata in parte alla volatilizzazione della componente volatile (soprattutto per gli idrocarburi C>12) e in parte a fenomeni di ossidazione dei composti organici e della matrice stessa del sedimento. Nei campioni trattati con i tre prodotti testati, per quanto concerne il parametro idrocarburi C>12, i test di lisciviabilità condotti mostrano nell’eluato valori di concentrazione compresi tra il 20 e il 79% di quello misurato nel campione di bianco SB (bianco a 28 giorni), a seconda

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Figura 3. Andamento della solubilità di alcuni idrossidi metallici al variare del pH. La stella indica il pH del sedimento appena prelevato (SC0); il pallino verde indica il pH medio dei campioni trattati con il Prodotto 2, il pallino giallo il pH medio dei campioni trattati con il Prodotto 1 e il pallino rosso il pH medio dei campioni trattati con il Prodotto 3

del dosaggio e della formulazione utilizzata. Per quanto concerne gli Idrocarburi Policiclici Aromatici (IPA), per tutti i campioni di sedimento trattato la concentrazione misurata nell’eluato è risultata essere inferiore al limite di rilevabilità strumentale. In seguito alla caratterizzazione di base del sedimento e all’esecuzione dei test di laboratorio sopra descritti, la selezione del prodotto da utilizzare nell’intervento stabilizzazione in situ descritto è stata effettuata sulla base dei seguenti criteri: • prestazioni del prodotto nei test di inertizzazione e stabilizzazione e nei successivi test di lisciviabilità; • idoneità del prodotto alle condizioni fisiche, chimiche e ambientali del sito; • dosaggio percentuale necessario per l’esecuzione dell’intervento; • costo unitario del prodotto. *Golder Associates

Bibliografia

[1] Cullinane, M.J., L.W. Jones and P.G. Malone. 1986. Handbook for Stabilization/Solidification of Hazardous Wastes. EPA/540/2-86/001 (NTIS PB87-116745), 170 pp. [2] Roger D. Spence, Caijun Shi, Stabilization and Solidification of Hazardous, Radioactive, and Mixed Wastes, 2004, CRC Press, Boca Raton, FL, ISBN: 1-56670-444-8, p. 390

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PR OGE TTI

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Come la captazione del biogas può minimizzare le emissioni di gas serra dalle discariche di rifiuti L’applicazione di una nuova tecnica per il monitoraggio delle emissioni potrebbe rivoluzionare il modus operandi e aumentare le performance di recupero del biogas di S. Di Lonardo*, P. Toscano*, P. Di Tommasi**, A. Esposito**, D. Famulari**, V. Magliulo**, A. Zaldei*, C. Belli***, P. Stefani*** e B. Gioli*

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’obiettivo primario nella gestione delle discariche è minimizzare l’impatto ambientale che deriva dallo smaltimento dei rifiuti. Quindi, la gestione sostenibile del biogas prodotto, in virtù dell’elevato potenziale che può avere in termini di impatto ambientale, è una delle sfide tecnologiche del ciclo dei rifiuti oltre ad essere un’attività potenzialmente redditizia, potendo contribuire alla copertura dei costi di gestione degli impianti. Se il corpo della discarica non viene gestito e il biogas non viene captato, la quota di biogas dispersa in atmosfera (emissione diffusa) può arrecare gravi danni all’ambiente con rilascio di molecole ad effetto serra ed inquinanti. Quantificare queste emissioni non è sempre semplice: in genere, infatti, la produzione di biogas viene calcolata tramite modelli previsionali che tengono conto solo dei parametri chimicofisici del rifiuto conferito in discarica. Quando però si tratta di gestire o cercare di bonificare delle aree comprendenti discariche abusive di cui non si conosce la natura del rifiuto, tutto di-

EDDYAPP e BioQuAr (vedi riquadro a venta più complicato. Inoltre, i modelli lato) ha quantificato sul campo le difnon tengono conto delle variabili meteferenze in termini di emissioni di gas orologiche, importanti se si considera serra (anidride carbonica e metano, i che da esse può dipendere l’emissione principali componenti del biogas) tra di gas serra. Un altro problema è l’asuna discarica in cui si recupera biogas senza di una tecnica che permetta il e una in cui non c’è captazione. Le mimonitoraggio costante delle emissioni sure sono state effettuate in continuo di biogas permettendo l’intervento in per un anno tramite l’installazione di caso di eventuali fughe di gas esterne una torre “eddycovariance” su discaal corpo della discarica, così come preriche aventi approssimatamente la scritto dal decreto legislativo 36/2003. stessa età. Attraverso queste misure è Attualmente, non essendo ancora destato monitorato in modo continuativo finito un metodo ufficiale per la deil tasso di biogas che viene disperso e terminazione delle emissioni diffuse, che quindi non viene recuperato. vengono effettuate delle misurazioni Le emissioni della discarica controllaperiodiche del gas di discarica a terra in modo da individuare eventuali “perdite” del sistema di captazione tramite l’uso di una particolare camera di cattura del biogas e di un analizzatore a raggi infrarossi. L’applicazione di una nuova tecnica per il monitoraggio delle emissioni potrebbe rivoluzionare il modus operandi ed aumentare le performance di recupero del biogas. Una ricerca svolta nell’ambito dei due progetti Discarica controllata Case Passerini (Sesto Fiorentino, FI)

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I progetti EDDYAPP e BioQuAr

Discariche non controllate del comprensorio del comune di Giugliano (NA)

ta sono risultate inferiori a quella in cui non c’è captazione di circa un ordine di grandezza arrivando a misurare in media 0.49 μmol m-2 sec-1 di metano contro i 6.34 μmol m-2 sec-1. Da questo monitoraggio annuale sono stati calcolati anche gli effettivi volumi di metano prodotti dalle discariche, conoscendo per esempio per la discarica controllata la quantità captata. Quantificando, sono stati prodotti annualmente 7.4 kg CH4m-2 e 29.5 kg CO2 m-2 dalla discarica captata mentre da quelle non controllate la quantità di metano è stata inferiore (4.7 kg m-2) e di anidride carbonica maggiore (40.9 kg m-2). Tuttavia, le emissioni in atmosfera della discarica controllata sono state circa quattro volte più basse rispetto alle non controllate in termini di CO2 equivalente. Inoltre, il recupero di

biogas ha permesso di generare 5025 MWhe. In pratica, solo il 4.3% di metano prodotto dalla discarica controllata è stato rilasciato in atmosfera mentre il resto, recuperato, è stato convertito in anidride carbonica tramite combustione. L’uso delle strumentazioni “eddycovariance” ha permesso così in maniera agevole e non invasiva la misura diretta ed in continuo delle emissioni. Tale approccio è promettente ed ha inoltre fornito informazioni relative all’eterogeneità delle superfici emissive e alle eventuali anomalie. *Istituto di Biometeorologia (IBIMET), Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), Firenze **Istituto per i sistemi Agricoli e Forestali del Mediterraneo (ISAFoM), Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), Ercolano ***TERRASYSTEM s.r.l.

Le misure “eddycovariance” in discarica sono state effettuate grazie ai progetti “EDDYAPP-Sviluppo applicativo della tecnica ‘eddycovariance’ (EC) per la misura dei flussi di gas serra tra ecosistemi ed atmosfera” e “BioQuArBioGas e qualità dell’aria nell’area vasta di Giugliano”. Il progetto EDDYAPP, finanziato su bando Co-Research della Regione Lazio (POR FESR 2007/2013, Asse I, Attività 1), nasce dalle conoscenze maturate negli ultimi 20 anni sulla tecnica “eddycovariance”. Il consorzio Terrasystem s.r.l., Università della Tuscia, Istituto di Biometeorologia (IBIMET-CNR) e TELE.SIS s.r.l., si proponeva di portare l’applicazione concreta della tecnica per misurare il bilancio dei gas serra in diversi comparti ambientali/urbani, sviluppando un pacchetto completo di servizi/ prodotti basati sulla metodologia EC per enti pubblici e privati. La torre “eddycovariance” è stata installata nella discarica controllata di Case Passerini (Sesto Fiorentino) grazie alla disponibilità dei gestori e la misura delle emissioni è durata per un anno. Il progetto BioQuAr è una committenza affidata all’Istituto per i sistemi Agricoli e Forestali del Mediterraneo (ISAFoMCNR) dal Commissario Straordinario di Governo per il monitoraggio e lo studio dell’impatto della qualità dell’aria delle discariche del comprensorio del comune di Giugliano, nella cosiddetta “Terra dei Fuochi”, siti notoriamente pericolosi a causa dell’interramento sistematico di rifiuti non solo urbani e per i roghi tossici. ISAFoM-CNR, in collaborazione con l’Università “Parthenope”, “Federico II”, IBIMET-CNR e ARIANET s.r.l. sta effettuando da circa un anno rilievi sulle emissioni di metano e anidride carbonica anche tramite l’applicazione della tecnica “eddycovariance”.

RINGRAZIAMENTI

Si ringrazia il personale di Quadrifoglio S.p.A. (gestore della discarica di Case Passerini) per il supporto durante le misure. In particolar modo, si ringraziano il Dr. Leandro Bartoli e l’Ing. Franco Cristo per il loro sostegno tecnico-scientifico. Per quanto riguarda le discariche campane, si ringrazia il Dr. Mario De Biase e il comitato scientifico del Commissariato per il sostegno durante le campagne di misura. Conteggio delle emissioni in anidride carbonica equivalente per i due tipi di gestione

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La tecnica “eddycovariance” La tecnica “eddycovariance” è stata sviluppata alla fine degli anni ’80 per la misura degli scambi gassosi e di energia tra atmosfera ed ecosistemi naturali. L’impiego della tecnica “eddycovariance” in ambiente urbano è sicuramente molto meno sviluppata rispetto all’uso in ecosistemi naturali (60 stazioni per siti urbani contro un totale di 500 stazioni nel mondo; dati rilevati sul sito web fluxnet.ornl. gov). La tecnica della correlazione turbolenta o eddycorrelation permette di stimare gli scambi di calore sensibile (differenza di temperatura fra una superficie e l’area sovrastante), del calore latente (vapore acqueo derivante dalla traspirazione della vegetazione o dalla evaporazione di una superficie) e dei gas (vapor acqueo, anidride carbonica, metano, etc.). Si basa sull’utilizzo di stazioni di misurazione che comprendono di norma i seguenti strumenti: • anemometro sonico tridimensionale per la misurazione del vortice di aria nelle tre dimensioni; • sensore a infrarossi o laser per la misurazione della concentrazione del gas; • componente micrometeorologica, insieme di sensori che misurano radiazione globale, pioggia, temperature, umidità aria, pressione. Richiede condizioni atmosferiche più o meno costanti nel corso del campionamento; quest’ultimo deve essere effettuato su un’area estesa e pianeggiante, omogenea sotto il profilo vegetazionale e pedologico. Le principali caratteristiche innovative di questa tecnica rispetto a quelle tradizionali (uso di camerette di accumulo, per esempio) sono le seguenti: • permette di avere una misura certa e precisa dei flussi di gas serra, e non solo misure qualitative; • è una tecnica non distruttiva e non invasiva; • è una tecnica flessibile, che permette di misurare più parametri allo stesso momento; • ha una elevata risoluzione temporale (tipicamente 30 minuti) che permette di conoscere le dinamiche del flusso anche in caso di elevata variabilità durante le ore del giorno; • è una misura a scala di ecosistema, cioè integra i flussi su un’area di alcune centinaia di metri di raggio attorno alla strumentazione riducendo i problemi di rappresentatività delle misure puntuali.

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La tecnica sotto vuoto per la bonifica dei siti contaminati dei distributori di carburanti Arriva dalla germania, la tecnologia VacuDry®, per bonificare i terreni inquinati e trattare i rifiuti industriali in modo rapido, efficiente ed ecosostenibile di Kai Dürfeld*

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ttualmente in Italia vi sono circa 24.000 distributori (che sono già il 4% in meno rispetto al 2009). Anche in Francia e in Germania il numero diminuisce in misura analoga. Alla diminuzione del numero di distributori hanno contribuito, soprattutto, alcuni fattori come la riduzione del cosiddetto “turismo petrolifero” a causa del prezzo sempre più basso dei carburanti, ma presto la mobilità elettrica sarà preponderante e il cambiamento subirà un’accelerazione. L’allestimento di punti vendita per carburanti più ecologici come il metano, il gas liquido o l’elettricità – come avvenuto a Milano nel novembre del 2014 – è sicuramente un passo in direzione di una mobilità più sostenibile, anche se resterà l’eccezione. Invece la riduzione del numero di distributori di carburante fuori servizio continuerà ad accelerare nei prossimi anni. L’esperienza insegna che una tale dismissione, con i relativi smontaggi di sistemi di distribuzione e serbatoi di carburante, nella maggior parte dei casi comporta brutte sorprese dovute alla contaminazione del terreno. Sia che si tratti di serbatoi con perdite, di rilasci accidentali o di semplici incidenti, la contaminazione dell’ambiente

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circostante i distributori è una regola piuttosto che un’eccezione. Nei moderni distributori il terreno circostante è generalmente protetto da vasche impermeabili che impediscono la contaminazione. Questo non avveniva in passato e gli idrocarburi di oli minerali, gli idrocarburi policiclici aromatici o gli idrocarburi aromatici BTEX (benzene, toluene, etilbenzene e xilene) penetravano senza alcun problema nel terreno. In alcune circostanze occorre anche tenere conto del possibile inquinamento da piombo tetraetile, impiegato come antidetonante nella benzina, e da MTBE (metil-ter-butiletere), tuttora impiegato in sostituzione dei composti tossici del piombo, che possono essere ritrovati nel terreno. La situazione è ulteriormente acutizzata dal fatto che lo smantellamento interesserà prima di tutti i piccoli distributori senza shop collegato. E anche in questo caso la probabilità di trovarsi di fronte alla necessità di una bonifica del terreno contaminato è altissima.

Non uno smaltimento ma un risanamento

Questi inquinamenti rendono più difficile il successivo utilizzo dei fondi una volta adibiti alla distribuzione di carbu-

ranti. Le sostanze nocive si accumulano nelle piante, evaporano dal terreno, inquinano l’aria ed entrano in contatto diretto con la falda. In poche parole: il pericolo per l’uomo e per l’ambiente è considerevole. Se durante il progetto di risanamento le analisi dei terreni mostrano la presenza di una contaminazione occorrerà rimuovere e bonificare il suolo contaminato. A tale scopo sono disponibili diverse procedure. Per gli oli minerali è possibile ricorrere al biorisanamento per mezzo di microrganismi che degradano gli idrocarburi. Tutto ciò richiede uno spazio sufficiente, ma anche molto tempo. Inoltre può capitare che, in presenza di contaminazione da MTBE, i batteri si “rifiutino” di svolgere la loro funzione. Lo smaltimento in discarica del terreno è un’ulteriore possibilità. Ma questo genera nuovi problemi: infatti nessuna discarica può garantire la protezione dell’aria e delle falde acquifere. Inoltre il consumo di suolo delle discariche e il trasporto per lunghi tragitti sono fattori tutt’altro che ecologici. La bonifica con il nuovo sistema inventato in Germania – la distillazione sotto vuoto – è più rapida ed ecologica: VacuDry®, questo è il nome dell’im-


pianto Cleantech della bavarese econ industries. Questo sistema è in grado di rimuovere al 100% le sostanze inquinanti presenti nei terreni contaminati e nei rifiuti industriali.

Il vuoto e la temperatura contro le sostanze nocive nel terreno

La tecnologia VacuDry®, grazie al suo processo di distillazione, porta al punto di ebollizione qualsiasi composto chimico. La terra scavata durante il progetto di bonifica finisce in un contenitore a tenuta stagna. A questo punto viene generato il vuoto e il contenitore viene gradualmente riscaldato fino a 400°C. Quindi uno speciale olio termico viene iniettato attraverso la doppia parete del contenitore sotto vuoto e attraverso l’albero di miscelazione montato internamente. L’albero gira incessantemente mescolando il materiale di partenza (in questo caso la terra scavata nei pressi del distributore di carburante) assicurando la trasmissione ottimale del calore. La pressione all’interno del contenitore è pari a 50 millibar (assoluti). In un tale vuoto i punti di ebollizione di tutte le sostanze si abbassano notevolmente. Quindi, ad esempio, l’acqua passa alla fase gassosa già a 33°C, mentre alla pressione normale (1.013,25 millibar) può bollire soltanto a 100°C. Questo effetto riduce enormemente il consumo di energia per la separazione delle sostanze nocive che, una volta vaporizzate, passano attraverso un filtro a maglia fine e, infine, vengono raffreddate. Gli idrocarburi policiclici aromatici (cancerogeni) o gli idrocarburi minerali (dannosi per l’ambiente) escono dall’impianto in forma liquida concentrata e possono essere recuperati termicamente o smaltiti separatamente. Nel contenitore sotto vuoto rimane soltanto il terreno depurato che alla fine, in molti casi, potrà essere riutilizzato per riempire di nuovo il sito del vecchio distributore di carburante. Questo tipo di intervento riduce notevolmente la quantità di rifiuti speciali. Il carico di un camion pieno di terreno contaminato viene ridotto a un fusto di sostanze tossiche.

Poiché nei progetti di bonifica dei distributori di carburante è generalmente possibile prevedere in modo piuttosto definito la quantità di terreno scavato, anche il numero di viaggi da effettuare con i camion potrà essere calcolato in modo preciso. Tuttavia la versione semi-mobile dell’impianto di econ contribuisce a mantenere la spesa entro i limiti. Infatti per i progetti di risanamento più estesi è possibile installare un impianto VacuDry® nel punto centrale per trattare il terreno di scavo proveniente da più distributori situati nei dintorni. Al termine del lavoro l’impianto può essere smontato in breve tempo e messo a disposizione in un altro luogo per ulteriori progetti.

pianto – rappresentano sempre una sicurezza in più durante il trattamento degli idrocarburi degli oli minerali. Tutti questi vantaggi della tecnologia sotto vuoto nel frattempo si sono diffusi in tutto il mondo. Oltre agli impianti

Distillazione sotto vuoto: un’alternativa più pulita anche nel settore del riciclaggio

Il metodo VacuDry® non è destinato solo al trattamento dei siti contaminati dei distributori di carburante. Anche i settori industriali contaminati da mercurio, con polvere di molatura mischiata a olio da taglio dell’industria metallurgica o i fanghi di perforazione provenienti dai sondaggi petroliferi o metaniferi possono essere depurati secondo lo stesso principio. Il principio del vuoto e del relativo abbassamento del punto di ebollizione stanno assumendo un importante significato anche nel settore del riciclaggio. Infatti le basse temperature e l’assenza di ossigeno impediscono i legami chimici delle materie prime in questione e ne mantengono la qualità. Perciò, ad esempio, l’olio da perforazione, indispensabile nei sondaggi petroliferi e metaniferi, anche se riciclato 5 o 6 volte, risulta indistinguibile da quello fresco. Allo stesso tempo l’effetto sul livello dei costi energetici non è disprezzabile e, last but not least, le basse temperature e le condizioni di anossia – combinate a un riscaldamento indiretto dell’im-

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in Germania, Francia, Gran Bretagna e Australia, anche l’Azerbaigian ha adottato la tecnologia ambientale “Made in Germany”. Nel settembre 2016 a Baku, alla presenza dei più alti rappresentanti del governo, sarà celebrata l’inaugurazione del più grande impianto di trattamento di fanghi di perforazione. Ogni giorno saranno trattate circa 240 tonnellate di fanghi di perforazione nella produzione di petrolio e gas. In tal modo ogni anno sarà possibile recuperare più di 16.000 tonnellate di pregiato olio sintetico per perforazione. *econ industries GmbH

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Ossidazione e rimozione dell’arsenico dalle acque Test e risultati del processo di elettrolisi e successivo adsorbimento di Simone Taranto*, Massimiliano Fabbricino*, Xiaoguang Meng** e Amalia Terracciano**

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’arsenico è un elemento sensibile alle reazioni redox e si presenta in diversi stati di ossidazione nell’ambiente naturale: As(V), As(III), As(0) e As(III). A causa dei diversi stati di ossidazione, le reazioni chimiche che caratterizzano l’arsenico in ambienti acquatici risultano essere complesse, così come è complessa la sua interazione mediante meccanismi di adsorbimento e precipitazione con diversi minerali. Milioni di persone in tutto il mondo sono cronicamente esposte a concentrazioni tossiche di arsenico contenute in falde acquifere destinate ad uso potabile. I casi di avvelenamento da arsenico più rilevanti si concentrano nell’area del sud-est asiatico: in Bangladesh e Bengala Occidentale 63 milioni di persone sono esposte a livelli di arsenico che raggiungono valori di 3200 µg/L, molto al di sopra del limite massimo di 10 µg/L (MCL) raccomandato dalla Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). La presenza di arsenico nelle acque sotterranee è principalmente attribuita alla dissoluzione degli ossidi di ferro e dei prodotti dovuti alle reazioni ossidative di arsenopirite e minerali solfato in condizioni riducenti. Quando l’ambiente delle acque sotterranee passa da condizioni ossidanti a riducenti, si assiste alla riduzione del Fe(II) che porta alla dissoluzione degli idrossidi del

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ferro con conseguente rilascio dell’arsenico. L’arsenico contenuto nell’acqua potabile può causare cancro alla pelle e ad organi interni, in particolare ai polmoni e alle vie urinarie. Negli Stati Uniti l’Environmental Protection Agency (EPA) ha imposto che la concentrazione massima di arsenico contenuta in acqua potabile non superi i 10 µg/L; le agenzie addette alla distribuzione di acqua pubblica hanno dovuto provvedere così al rispetto di tale limite entro gennaio 2005, fornendo una protezione aggiuntiva a circa 13 milioni di americani. Lo stesso limite di concentrazione è stato adottato dall’Italia nel 2006 come indicato dal D.Lgs. 152 emanato dal Ministero dell’Ambiente e del Territorio. Molte tecnologie, come l’ossidazione e la sedimentazione, la coagulazione e la filtrazione, l’adsorbimento, lo scambio ionico e la filtrazione a membrana, sono soluzioni adottate per bonificare le acque sotterranee contaminate da arsenico. La maggior parte dei processi sono applicati ex situ (pump and treat) generando rifiuti pericolosi contenenti arsenico, che richiedono uno specifico smaltimento appositamente regolamentato. I trattamenti in situ sono invece più auspicabili, in quanto tendono ad immobilizzare l’arsenico, il quale nella maggior parte dei casi pro-

viene da minerali geologici contenuti nel sottosuolo, eliminando in questo modo la necessità di un successivo smaltimento. La contaminazione delle acque sotterranee ad opera dell’arsenico è principalmente dovuta alla presenza di Arsenite As(III), che risulta essere la forma più comune e stabile dell’arsenico in ambienti anossici e in presenza di bassi potenziali di riduzione. L’arsenico nella sua forma As(III) è considerato essere la forma più tossica; questo giustifica perché il primo passo adottato dalla maggior parte delle tecnologie di bonifica è orientata all’ossidazione dalla forma Arsenite ad Arsenato As(V). Infatti, la forma As(V) non solo è meno tossica dell’As(III), ma è anche più semplice da far precipitare e adsorbire con l’adozione di semplici tecnologie post-trattamento, come l’utilizzo di filtri contenenti ossidi di ferro. In questo studio, un processo di ossidazione elettrochimica indotta (elettrolisi) è stato testato per l’ossidazione di acqua di falda sintetica contaminata da As(III). L’elettrolisi si configura come un processo semplice, che non richiede l’aggiunta di altre sostanze chimiche o catalizzatori. I test eseguiti in laboratorio hanno avuto come scopo quello di ricercare le condizioni di esercizio ottimali e gli strumenti (come gli elettrodi e altre componenti reattoristiche) da


Presentazione e discussione dei risultati

La sperimentazione condotta per determinare le migliori condizioni ossidative necessarie ad ottenere il più alto tasso di conversione dell’As(III) in As(V) si è articolata in due diverse fasi. Nella prima fase si sono investigate le migliori condizioni per ottimizzare il processo utilizzando reattori BATCH e, successivamente, si è proceduto alla sperimentazione con reattori PFR partendo dai riscontri positivi ottenuti nella modalità BATCH. In questo modo si è potuta individuare una configurazione ottimale del sistema che ha permesso delle interessanti sperimentazioni di campo, che hanno restituito parziali ma positivi riscontri. L’ossidazione dell’As(III) in As(V) è da attribuire alla formazione di gruppi radicalici generati dal processo di elettrolisi e, sebbene non sia stato possibile individuare quale tra le varie specie radicaliche sia la principale responsabile della reazione oggetto di studio a causa della loro elevata velocità di formazione e scomparsa, si ritiene che il radicale ossidrile OH• rivesta un ruolo fondamentale nel processo. Di seguito sono riportate tutte le possibili reazioni di ossidazione attribuibili all’azione delle specie radicaliche. As(III)+OH• → As (IV) As(III)+O2•- → As(IV)+H2O2 As(III)+H2O2 → As(IV)+2OHAs(IV)+O2 → As(V)+O2•As(IV)+OH• → As(V) As(IV)+O2•- → As(V) As(IV)+O2+H+ → As(V)+HO2• Le variabili che sono state investigate durante le varie fasi della sperimentazione riguardano: • l’entità del voltaggio applicato agli elettrodi; • la forma e le dimensioni degli elettrodi stessi; • la fonte di alimentazione elettrica; • la modalità di alimentazione elettrica (continuo e discontinuo); • la presenza nelle soluzioni di partenza di specie ridotte e competitrici dell’As(III), come lo ione ferroso Fe2+ e lo ione solfuro S2-; • il ruolo dell’ossigeno disciolto nella soluzione di partenza; • la portata (L/min) della soluzione alimentata nel reattore e il conseguente tempo di contatto tra gli elettrodi e la soluzione stessa (solo per gli esperimenti con reattori PFR). Alcuni dei risultati delle variazioni di uno o più fattori sopra elencati, sono di seguito riportati:

Si è quindi applicato un potenziale elettrico di 3 V al sistema riscontrando una completa ossidazione dopo 30 minuti.

Figura 3. “Arsenite oxidation 3V, with Ferrous”

Figura 4. “Arsenite oxidation 3V, with Sulfide” (l’ossidazione dell’ As(III) raggiunge la sua completa trasformazione dopo 60 minuti mostrando un trend diminutivo graduale a causa della presenza in soluzione di competitors)

Successivamente, a parità di potenziale elettrico, sono stati introdotti nel sistema dei competitori del processo ossidativo dell’As(III), come lo ione ferroso e lo ione solfuro, che hanno infatti fatto registrare un ritardo nel raggiungimento di concentrazioni paragonabili a quelle raggiunte invece in figura 2.

Figura 5. “Arsenite oxidation 5V, Ferrous” (l’aumento del potenziale elettrico influenza nettamente l’ossidazione dell’As(III)) Figura 1. “Arsenite spontaneous oxidation” (in un’ora la concentrazione di As(III) è diminuita di circa 100 ppb)

Come primo test si è deciso di osservare la spontanea reazione di ossidazione dell’As(III), così da poter meglio comprendere l’apporto ossidativo dovuto al processo di elettrolisi.

Figura 2. “Arsenite oxidation 3V” (somministrando un potenziale elettrico di 3V l’As(III) ha raggiunto la completa trasformazione in As (V))

Mantenendo poi costante la concentrazione di ione ferroso è stato aumentato il potenziale elettrico del sistema portandolo dai 3 ai 5 V, registrando un netto miglioramento nella velocità del processo.

Figure 6. “Arsenite oxidation 7V (continuous), net shape form with Ferrous” (l’aumento di potenziale elettrico è preponderante ai fini delle performance del processo rispetto alla presenza in soluzione di sostanze ridotte)

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Ulteriori test hanno infine portato a identificare come ottimale il potenziale elettrico di 7 V e una particolare forma di elettrodi artigianalmente creati in laboratorio. Come si evince infatti dalla figura 6 la quasi completa ossidazione dell’As(III) si raggiunge nei primi 5 minuti di reazione. Per quanto concerne il reattore PFR si è riscontrata la migliore resa ossidativa adottando una velocità di pompaggio della soluzione attraverso il reattore di 1 L/min, così come mostrato in figura 7.

utilizzare per ottenere le migliori risposte dalla tecnologia designata. La progettazione e realizzazione di un reattore appositamente ideato ha avuto un ruolo chiave nello sviluppo dell’intero percorso di ricerca. Una volta identificati gli elementi chiave, il processo tecnologico è stato avviato aumentando le dimensioni del reattore e i volumi di acqua trattata. Il passo finale ha previsto l’applicazione ex situ di una versione in scala pilota del reattore, al fine di osservare le prestazioni della tecnologia con riferimento ad una reale falda sotterranea contaminata da arsenico situato nell’area Sud-Ovest del New Jersey.

Obiettivo dello studio

Figure 7. “As(III) oxidation, pump speed 1 L/min” (con una velocità di pompaggio contenuta pari a 1 L/min si raggiungono ottime rese ossidative dell’As(III) in meno di cinque minuti)

Il secondo aspetto della sperimentazione, come precedentemente accennato, riguarda l’impiego di colonne di adsorbimento con ferro zero valente (ZVI) poste in serie con colonne di sabbia secondo lo schema mostrato in figura 8.

Il presente lavoro è stato svolto al Center for Environmental Systems (CES) presso lo Stevens Institute of Technology in Hoboken (NJ, USA). Lo studio si fonda in particolare su due aspetti relativi al trattamento di rimozione dell’arsenico dalle acque. Il primo aspetto riguarda l’ossidazione attraverso elettrolisi dell’As(III) ad As(V) mediante l’utilizzo di elettrodi di platino e acciaio inossidabile in presenza di una soluzione di As(III) e acqua potabile di rubinetto (aged tap water). Si è proceduto quindi alla ricerca dei parametri chiave condizionanti il processo, rilevando tra questi l’azione competitiva di altri elementi presenti nella soluzione di partenza e le condizioni idrodinamiche persistenti nel reattore, luogo del processo di elettrolisi. Il secondo aspetto è l’utilizzo in serie di colonne di adsorbimento con ferro zerovalente seguite da colonne di sabbia per ottenere la rimozione dell’As(V) generato dall’ossidazione dell’As(III) presente nella soluzione di partenza.

Conclusioni Figure 8. “Treatment scheme” schema di trattamento utilizzato per rimuovere l’As(V) proveniente dal processo di ossidazione dell’As(III)

I meccanismi di rimozione dell’As(V) sono legati all’adsorbimento diretto causato dalla presenza del ferro zero valente e alla presenza degli idrossidi di ferro generati dall’ossidazione del Fe(0) che inglobano a loro volta l’arsenico. Proprio per questo occorre collocare a valle della colonna ZVI una colonna di sabbia la cui funzione è quella di bloccare gli idrossidi di ferro e l’arsenico ad essi adeso. Le colonne sono state riempite con differenti miscele a base di ferro zero valente e materiali protetti da brevetto che hanno restituito nella quasi totalità dei casi ottimi risultati così come dimostrato dalle basse concentrazioni in uscita di As(V) (fig. 9).

Figura 9. “As(V) concentration after sand columns” (ottima resa del sistema testato per la definitiva rimozione dell’As(V) dalle acque, fino al raggiungimento del punto di rottura coincidente con le 600 h di funzionamento)

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Nello studio condotto si sono raggiunti risultati soddisfacenti per ciò che concerne il processo di elettrolisi, specialmente nella configurazione BATCH, che hanno portato a buoni risultati nei test di campo. Per ciò che riguarda la configurazione PFR dello stesso processo, si sono raggiunti dei risultati incoraggianti sebbene non equivalenti a quelli raggiunti nella prima configurazione.Infine, dagli esperimenti svolti con un reattore (PFR) ideato e realizzato in laboratorio, è stato possibile identificare quelli che rappresentano i parametri condizionanti il processo, e che sono tutt’ora oggetto di ulteriori e necessarie sperimentazioni. L’individuazione dell’ottimo di questi parametri, in particolar modo per quelli inerenti la componente reattoristica, potrebbe portare a raggiungere lo stesso livello prestazionale raggiunto nei reattori BATCH anche nelle applicazioni di campo con i reattori PRF. Per ciò che riguarda invece le colonne di adsorbimento, i risultati registrati confermano le previsioni, dimostrandosi un efficace sistema di rimozione dell’arsenico. Tutte le colonne hanno registrato ottime prestazioni fino al raggiungimento del punto di breakthrough. *Università degli Studi di Napoli Federico II, Dipartimento di Ingegneria Civile, Edile e Ambientale **Stevens Institute of Technology di Hoboken, Center for Environmental System


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DATABASE BIBLIOGRAFICO “HYDROCARBONS PHYTOREMEDIATION” SUPPORTO ALLO SVILUPPO DI APPROCCI FITOTECNOLOGICI PER LA BONIFICA DI SITI CONTAMINATI DA IDROCARBURI di Rocco Pace*, Paolo De Angelis* e Andrea Sconocchia**

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li idrocarburi sono i composti organici più studiati come inquinanti dell’ambiente a causa dell’elevato uso industriale dei prodotti del petrolio in tutto il mondo. Il petrolio ed i suoi prodotti sono particolarmente studiati come fonte d’inquinamento a causa della loro complessità strutturale, dello scarso potenziale di biodegradabilità e soprattutto per i gravi rischi per la salute connessi con il loro rilascio nell’ambiente. La bonifica di siti di raffinazione e terminali petroliferi contaminati rappresenta un costo importante per un Paese: gli Stati Uniti nel 2001 hanno speso 0,8 miliardi di dollari. Gli alti costi dei metodi convenzionali (fisico/chimico) hanno portato molti Paesi in via di sviluppo, come l’Iran, ad abbandonare completamente la bonifica di siti inquinati da idrocarburi. Questa situazione ha spostato l’interesse verso tecnologie di bonifica sostenibili non solo da un punto di

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vista ecologico ma anche economico. Il fitorimedio è una delle tecnologie di bonifica che è stata sviluppata per risolvere questi problemi: si tratta di una tecnologia a basso impatto ambientale che usa le piante per rimuovere i contaminanti dal suolo, dai sedimenti, dall’acqua superficiale e di falda. La cooperazione sinergica delle radici delle piante e i microrganismi del suolo promuove la degradazione di contaminanti organici persistenti. I microrganismi nella rizosfera beneficiano degli essudati radicali e le piante, a loro volta, della disintossicazione metabolica operata dalle comunità microbiche di composti potenzialmente tossici. In questo lavoro di ricerca bibliografica sono stati collezionati e analizzati articoli e pubblicazioni scientifiche sui processi di fitoestrazione e biodegrazione degli idrocarburi e sull’applicazione del fitorimedio in siti sperimentali.

SVILUPPO DATABASE BIBLIOGRAFICO

Il lavoro di ricerca bibliografica è stato condotto con la consultazione delle banche dati presenti in motori di ricerca online quali Google Schoolar, Scopus e Web of Science. L’organizzazione degli articoli è stata realizzata grazie all’ausilio del software Mendeley che permette il riconoscimento dei files pdf con una fun-

Figura 1. Organigramma keywords


zione “watch folders” ed organizza gli stessi in una libreria (Figura 2). I files poi sono stati inseriti in una specifica cartella “hydrocarbons phytoremediation” e, per rendere più agevole la ricerca, sono state inserite, oltre a quelle rilevate da Mendeley, ulteriori parole chiave secondo lo schema riportato in figura 1. La prima suddivisione dei files è stata fatta in base alla matrice valutata: suolo ed acqua, comprendendo quest’ultima anche la matrice sedimenti. La seconda suddivisione è in base all’agente che effettua la bonifica: microrganismi, piante-microrganismi e piante. La terza sul tipo di prova, se condotta in laboratorio o in campo ed infine in base al tipo di documento, se si tratta di un articolo, tesi (comprendendo anche le pubblicazioni di libri) o una review.

Figura 2. Funzione “watch folders” e database “hydrocarbons phytoremediation” in Mendeley

RISULTATI E DISCUSSIONE

Sono stati inseriti all’interno del database 97 file. Ogni file è stato catalogato con la parola chiave corrispondente, in base allo schema in figura 1: in base alla matrice analizzata è stata assegnata la keyword “suolo” o “acqua”, in base all’agente che effettua la bonifica la keyword “microrganismi” o “mic+piante” o “piante”, in base al tipo di prova la keyword “campo” o “laboratorio” ed al tipo di documento la keyword “review” o “tesi” o “articolo”. Per tale motivo ogni file può rispondere a più parole chiave in modo da rendere più agevole e specifica la ricerca bibliografica. Sono stati ottenuti i seguenti risultati: • nel campo “matrice” 74 file rispondono alla parola chiave “suolo” e 17 a quella “acqua” (sedimenti); • nel campo “agente” 7 file rispondono alla parola chiave “microrganismi”, 25 “piante-microrganismi” e 60 “piante”; • nel campo “prova” 40 file rispondono alla parola chiave “campo” e 34 “laboratorio”; • nel campo “tipo” 22 file rispondono alla parola chiave “review”, 7 “tesi” (libri) e 67 “articoli”. Il materiale analizzato è stato pubblicato a partire dal 1996 e nel periodo 2001-2008 presenta il maggior numero di pubblicazioni come mostrato in figura 4. Inoltre i file analizzati sono stati suddivisi in relazione al Paese di afferenza del primo autore come mostrato nella figura 5. La maggior parte dei lavori ha analizzato la matrice suolo; nello specifico il caso più diffuso è quello della contaminazione da derivati del petrolio (idrocarburi aromatici). Una piccola parte dei lavori ha analizzato la matrice acqua, in particolare il fitorimedio operato da mangrovie (Moreira et al., 2011) o macrofite (Pezeshki, 2000) sui sedimenti contaminati dalla fuoriuscita di petrolio. Per quanto riguarda l’agente di contaminazione, una piccola parte dei documenti ha analizzato l’effetto di biodegradazione dei microrganismi (Siciliano et al., 2003), una buona parte l’azione sinergica di microrganismi e piante (Lin & Mendelssohn, 1998) e la maggior parte l’effetto degradativo delle piante (Gordon et al., 1998).

Figura 3. Files relativi alle keywords

Figura 4. Anni di pubblicazione

Figura 5. Paese di afferenza del primo autore

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Le piante usate per il fitorimedio sono specie agrarie, come la festuca (Huang et al., 2004), o d’interesse forestale, come il pioppo (Robson, 2003). Le prove di campo sono state condotte in siti sperimentali (Sun et al., 2011) o in serra (Euliss et al., 2008) e sono in maggioranza rispetto a quelle condotte in laboratorio (Su & Zhu, 2008). Questo dato risulta molto interessante ai fini dell’applicabilità e dell’efficacia di questa tecnologia. Infine la maggior parte dei documenti che compongono il database sono articoli scientifici pubblicati in importanti riviste internazionali e specifiche per il fitorimedio, come l’International Journal of Phytoremediation (Tischer & Hübner, 2002), una parte sono review sui risultati condotti nell’applicazione del fitorimedio (P.E. Ndimele, 2010) ed una piccola parte sono tesi di dottorato (Byström & Hirtz, 2002). Quest’ultimo dato è significativo ai fini dell’implementazione delle conoscenze perché mostra come i notevoli passi in avanti fatti nella ricerca si concretizzano in interessanti lavori didattico-scientifici. Per quanto riguarda gli anni di pubblicazione, la maggior parte dei lavori si concentra negli ultimi 15 anni, a dimostrazione di quanto il mondo scientifico stia lavorando in questo campo apportando metodologie sempre più avanzate nello studio della biologia e fisiologia delle piante in risposta alla contaminazione. Infine i Paesi di pubblicazione indicano gli Stati Uniti come l’area più attiva nello sviluppo delle tecniche di fitorimedio applicate ai siti contaminati da idrocarburi, a seguire il Canada, Cina e Regno Unito. Il dato relativo alla Cina risulta interessante, in quanto mostra come questo Paese in forte crescita economica abbia bypassato i metodi tradizionali preferendo l’approccio fitotecnologico. Lo stesso discorso vale per l’Iran e l’India. I Paesi europei più attivi, oltre al Regno Unito, sono la Germania, la Finlandia, l’Italia e la Spagna.

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CONCLUSIONI

Questo lavoro di ricerca bibliografica, concretizzatosi nello sviluppo del database “hydrocarbons phytoremediation”, rappresenta un punto di partenza per il supporto scientifico all’applicazione di approcci fitotecnologici. Il cospicuo numero di lavori analizzati testimonia il grande sforzo fatto dal mondo scientifico nello studio della biologia e fisiologia delle piante in risposta alla presenza di contaminanti. Una tecnologia nuova come il fitorimedio ha bisogno di una forte base scientifica di supporto per affrontare in modo efficace la delicata questione della bonifica dei siti contaminati. La sostenibilità nel campo delle bonifiche rappresenta un obiettivo importante, poiché le tecnologie tradizionali non solo presentano un grande impatto economico ma anche un forte impatto ambientale. La nascita di metodi alternativi, come il fitorimedio, è una soluzione a questa tematica, in quanto l’utilizzo delle piante per la bonifica di siti contaminati presenta un basso carbon footprint e, quindi, risponde agli obiettivi del Protocollo di Kyoto e dell’Europa 2020. Inoltre non bisogna trascurare il ruolo ecologico e di recupero ambientale di terreni degradati che possono svolgere le piante e quindi il basso impatto a livello paesaggistico. La cooperazione tra ricerca scientifica e applicazione tecnica può portare non solo ad una maggiore diffusione dell’approccio fitotecnologico, ma anche alla creazione di nuove figure professionali, capaci di affrontare in modo critico e consapevole lo studio e la progettazione di una bonifica con metodi innovativi e sostenibili. Per tale motivo si rende necessaria la spinta da parte delle istituzioni nel promuovere il fitorimedio da un punto di vista culturale, economico, tecnico e scientifico, affinché diventi una tecnologia sempre più affidabile ed efficace. *Dipartimento per la innovazione nei sistemi biologici, agroalimentari e forestali, Viterbo **Arpa Umbria–Sede di Terni

BIBLIOGRAFIA

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Le sanzioni amministrative e la tutela del territorio Uno strumento datato ma fondamentale per la salvaguardia dell’ambiente di Rosa Bertuzzi* e Nicola Carboni**

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a Legge n. 68 del 22 maggio 2015 “Disposizioni in materia di delitti contro l’ambiente”, con il nono comma dell’art. 1 ha introdotto nel corpo del Testo Unico Ambiente la Parte sesta-bis, che reca norme sulla “Disciplina sanzionatoria degli illeciti amministrativi e penali in materia di tutela ambientale”. A differenza di quanto riportato nel titolo della parte sesta bis, la novella non si riferisce agli illeciti amministrativi, ma tuttavia ha richiamato l’attenzione su un istituto, quello delle sanzioni amministrative le quali costituiscono uno strumento efficacissimo per la salvaguardia dell’ambiente. Si tratta di un tema complesso, spesso trascurato, i cui effetti sono particolarmente sentiti dagli operatori del settore. Infatti le sanzioni amministrative in materia ambientale sono particolarmente severe. Trattandosi di illeciti ambientali, ancorché amministrativi, sanzionano spesso fattispecie di pericolo astratto. Come è noto, anche dal diritto penale, in questo tipo di illeciti la soglia di punibilità è per legge anticipata, non è necessario il verificarsi del pericolo in concreto, basta che si sia posta in essere una condotta che la norma, a prescindere dai suoi reali effetti, ha già qualificato come pericolosa, quindi punibile. In tali ipotesi si prescinde dall’accertamento del verificarsi di una lesione o di una messa in pericolo del bene tutelato, è la stessa

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norma che associa un giudizio di antigiuridicità a quella condotta sul presupposto della sua astratta pericolosità. Nella disciplina ambientale il sistema sanzionatorio di natura amministrativa è molto articolato, quasi ogni disciplina è assistita dal suo specifico corredo sanzionatorio. Il prototipo delle sanzioni amministrative ambientali sono state quelle introdotte dal Decreto Ronchi nella disciplina della gestione rifiuti e quelle previste nell’ambito della disciplina delle acque dal D.Lgs. 152/1999, disposizioni poi confluite nel Testo Unico Ambiente. Il numero delle sanzioni amministrative in materia ambientale è aumentato

considerevolmente sia nel numero che nella tipologia. Questo è dovuto alla necessità da parte del legislatore di disciplinare sempre più puntualmente e dettagliatamente le diverse attività antropiche che incidono sulle matrici ambientali, associando alla disciplina regolatoria quella sanzionatoria, si vedano le norme in materia di Autorizzazioni Integrate Ambientali, in materia di gestione dei veicoli a motore fuori uso di cui al D.Lgs. 209/2003, in materia di commercio di pile accumulatori e gestione dei relativi rifiuti. Tutto ciò ha comportato che la disciplina sanzionatoria è diventa ipertrofica al pari di quella a cui accede. Questa politica legislativa di fatto affievolisce lo scopo


della sanzione amministrativa che si ricorda è in parte quello afflittivo-retributivo in funzione di prevenzione speciale e in parte di prevenzione generale nei confronti della collettività. Le sanzioni amministrative ambientali sono sempre sanzioni pecuniarie a cui, se prevista dalla singola norma, eventualmente può accedere una sanzione accessoria. Le sanzioni pecuniarie hanno sempre importi abbastanza significativi. Pertanto la previsione di numerose fattispecie sanzionatorie comporta che, anche in una semplice attività di controllo, possano essere accertate più sanzioni amministrative. Occorre osservare che in materia di sanzioni amministrative si applica l’art. 8 della L. 689/1981, che prevede il cumulo giuridico tra sanzioni nella sola ipotesi di concorso formale omogeneo ed eterogeneo tra le condotte contestate e per le sole ipotesi di violazioni plurime commesse con un’unica azione od omissione. Viceversa non è applicabile il così detto illecito continuato, che si ha quando chi nella realizzazione di un unico disegno, con più azioni od omissioni commette più violazioni della stessa norma o di diverse norme. A mente della suddetta norma l’illecito continuato in materia di sanzioni amministrative è applicabile esclusivamente in materia di previdenza ed assistenza obbligatoria. La conseguenza è che sanzioni già di rilevante importo si sommano. L’esempio classico è quello di un reiterato errore nella compilazione di un Formulario di Trasporto Rifiuti. La sanzione prevista dal quarto comma dell’art. 258 del D.Lgs. 152/06 va da 1.600 a 9.300 €. Considerato che i FIR errati possono essere anche centinaia anche se si applicasse il minimo edittale (in caso di mancata reiterazione dell’illecito) si determinerebbe un importo talmente significativo da poter avere quale effetto la chiusura dell’azienda, con buona pace della funzione di prevenzione speciale propria dell’istituto della sanzione amministrativa. E’ evidente che in tali ipotesi la reazione alla condotta illecita può risultare sproporzionata, soprattutto in quei casi in cui l’errore nel formulario non ha impedito la tracciabilità del rifiuto dalla sua produzio-

ne al suo smaltimento. Ma la previsione di numerose norme sanzionatorie lede anche la funzione di prevenzione generale, atteso che la collettività non percepisce come monito e certezza del diritto il proliferare di norme sanzionatorie, ma viceversa come confusione normativa ed incomprensibile accanimento nei confronti di attività produttive che spesso sono imbrigliate da norme percepite come impedimenti al loro libero e corretto svolgimento. Ma la mancanza di qualità legislativa è oramai un problema cronico che non può essere risolto certamente con estemporanei e più dannosi processi di semplificazione che tali non sono, anzi. Le sanzioni amministrative trovano la loro disciplina generale nella Legge n. 689 del 24 novembre 1981 recante norme di “modifica del sistema penale”. Si tratta di una disciplina applicabile in generale a tutti i procedimenti sanzionatori per i quali non è prevista una normativa particolare. Per gli aspetti non disciplinati da norme speciali si applica pertanto la disciplina della legge generale. In materia ambientale trova applicazione completamente la disciplina generale essendo molto rare in questa materia le norme che disciplinano autonomamente aspetti del procedimento sanzionatorio. La ratio della legge era quella di estendere il processo di depenalizzazione e di fornire una disciplina organica

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sostanziale e processuale dell’illecito amministrativo. Sono trascorsi trentacinque anni dalla sua emanazione nel corso dei quali molte delle sue parti sono state più volte integrate e modificate, tuttavia le norme della Sezione I “Principi generali” e Sezione II “Applicazione” del Capo I della Legge hanno subito pochissimi mutamenti e la disciplina è rimasta sostanzialmente invariata. La legge sin dalla sua emanazione è stata oggetto di diverse censure da parte della dottrina e degli operatori, tant’è che sulla materia è dovuta intervenire la giurisprudenza per porre rimedio attraverso la sua opera interpretativa alle carenze palesate dalla norma. Quindi trascorsi sette lustri dalla sua emanazione possiamo dire, con una modesta forzatura, che la disciplina delle sanzioni amministrative è in buona parte di natura pretoria. Pertanto la corretta applicazione della legge non può prescindere dallo studio della giurisprudenza formatasi su ciascun suo istituto. Ma vi è da chiedersi se in riferimento alla sola materia ambientale la disciplina generale è ancora attuale o se si ha necessità di una sua riforma. La normativa ambientale oggi è sempre più complessa ed eterogenea e fa riferimento ad una realtà produttiva e ad una tipologia di operatori sconosciuti al legislatore del 1981. Tuttavia proprio la sua semplicità e il suo es-

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sersi evoluta costantemente per opera dell’interpretazione giurisprudenziale la rendono ancora preziosa, adeguata e utilizzabile ancorché con qualche semplice intervento di manutenzione. Si è già detto precedentemente dell’inapplicabilità in materia ambientale dell’illecito continuato. Sarebbe opportuno per le ragioni espresse l’inserimento della materia ambientale affianco a quella della previdenza ed assistenza obbligatoria. Questo semplice accorgimento determinerebbe l’applicabilità dell’istituto anche alla disciplina ambientale con la possibilità di conformare meglio la risposta sanzionatoria a quella che è la reale lesività delle condotte illecite poste in essere. Così come sarebbe da rivedere quanto disposto dall’art. 6 in materia di responsabilità solidale. Con il D.Lgs. 231/2001 il Legislatore ha introdotto per la prima volta nel nostro ordinamento la responsabilità amministrativa/penale delle aziende e degli enti per i reati commessi dai soggetti che operano nel contesto operativo delle stesse. Per i reati ambientali la norma trova particolare applicazione, anche attesa la recente novella introdotta dalla Legge n. 68 del 22 maggio 2015. Con tutta evidenza la norma contenuta nell’art. 6 della L. 689/1981 è fondata sul pedissequo e rigoroso rispetto dell’art. 27 della Costituzione e del brocardo societas delinquere non potest, a fronte della complessità di forme in cui operano le società nell’attuale contesto economico. Occorre pertanto squarciare il velo utilizzato per operare in modo illecito, atteso che in materia ambientale, come è noto, il danno deri-

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vante dall’attività illecita di impresa ha spesso importi ingenti non recuperabili con l’escussione del patrimonio sociale o da eventuali polizze fideiussorie richieste per l’esercizio dell’attività. Così come è obsoleta, nell’ambito dell’attuale contesto economico, la norma prevista all’art. 27 “esecuzione forzata” il quale stabilisce che in caso di ritardato pagamento la somma dovuta è maggiorata di un decimo per ogni semestre a decorre da quello in cui la sanzione è divenuta esigibile e fino a quello in cui il ruolo è trasmesso all’esattore. La giurisprudenza ha sempre sostenuto che il dieci percento semestrale dell’importo dovuto ha la natura giuridica di sanzione aggiuntiva e non quindi di interessi moratori o corrispettivi. Tuttavia non può non osservarsi che richiedere il venti percento annuo è irragionevole e fuori sistema. Si pensi all’incidenza di tale norma nell’ambito della materia in argomento caratterizzata come detto da importi sanzionatori elevati. Occorre chiudere queste brevi note su due aspetti positivi presenti nella norma, il primo riguarda la completezza del procedimento di partecipazione ivi previsto ed il secondo la previsione del Tribunale ordinario quale giudice competente per materia a conoscere i ricorsi giurisdizionali in materia ambientale. Ai procedimenti sanzionatori non si applica la L. 241/1990 legge generale sul procedimento amministrativo. La giurisprudenza ha più volte ribadito che la L. 689/1991 contenesse già tutte le garanzie di partecipazione al procedimento che sono previste nella legge del 1990. Infatti la L. 689/1981, ancor-

ché antecedente alla L. 241/1990, ha disegnato un sistema compiuto di partecipazione al procedimento da parte del soggetto interessato al quale è garantita ampia partecipazione e possibilità di contraddittorio nell’ambito del procedimento ivi previsto. Tant’è che si tratta di uno degli aspetti più innovati della norma che ancora oggi resiste senza particolari criticità. Così come occorre sostanzialmente valutare positivamente il fatto che prima il secondo comma dell’art. 22 bis della L. 289/1981 e oggi l’art. 6 del D.Lgs. 160/2011 stabiliscano che è il Tribunale Ordinario competente a conoscere i ricorsi in opposizione avverso le Ordinanze di ingiunzione in materia di tutela dell’ambiente dall’inquinamento, della flora, della fauna e delle aree protette. Il rito applicabile è quello del lavoro. Si tratta infatti di una materia che per la sua complessità e per gli interessi coinvolti non può non essere riservata alla giurisdizione ordinaria del tribunale. Tuttavia, anche in questo campo si risente delle problematiche generali che attanagliano la giurisprudenza civile in Italia, con i consueti tempi lunghi per la conclusione delle cause nonostante il rito semplificato. Pertanto le sanzioni amministrative oggi, come ieri, si rivelano uno degli strumenti più incisivi nell’ambito della tutela ambientale, anche se il legislatore dovrebbe intervenire con qualche novella anche al solo fine di correggere qualche istituto comunque superato dalla realtà sociale ed economica. *Ambienterosa, Consulenze Legali Ambientali **Vice Comandante Polizia Provinciale di Cagliari


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R E C O N N E T Dall’alta scuola di Ravenna spunti di riflessione sulla gestione dei siti contaminati in Italia e in europa di Renato Baciocchi*

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a quarta edizione dell’alta scuola di formazione sulla bonifica dei siti contaminanti, tenutasi a Ravenna lo scorso maggio, è stata l’occasione per un confronto sulle politiche nazionali ed europee per la protezione del suolo e la gestione dei siti contaminati. Nel suo intervento di apertura della giornata, la Dott. ssa Ana Paya Perez dell’istituto per l’ambiente e la sostenibilità del Joint Research Center della Commissione Europea ha discusso le principali minacce che gravano sui suoli in Europa: l’impermeabilizzazione, con circa 270 ettari al giorno convertiti da uso agricolo ad uso urbano e per la realizzazione di infrastrutture; l’erosione, con circa 130 milioni di ettari di territorio dell’UE-27 interessati, di cui il 20% con tassi di erosione superiori a 10 ton/ ettaro/anno; le frane, che interessano ad esempio il 7% del territorio italiano; la contaminazione del suolo, con stime che oscillano tra 3,5 e 4,5 milioni di siti contaminati in Europa. Nonostante nel 2013 sia stata definitivamente ritirata la bozza di direttiva quadro sul suolo, la protezione del suolo rientra nel campo di applicazione di diversi strumenti di policy europei. Tra questi, oltre alla strategia tematica sul suolo

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definita nel 2006, Ia direttiva sulla responsabilità ambientale (2004/35), la direttiva quadro sui rifiuti (2008/98), la direttiva quadro sulle acque (2000/60), la direttiva sulle acque sotterranee (2006/118) e la direttiva sulle emissioni industriali (IED, 2010/75). Quest’ultima, in particolare, prevede per circa 52.000 installazioni industriali o agricole ad alto potenziale inquinante, la necessità di attuare un monitoraggio periodico del suolo e delle acque sotterranee, di elaborare una relazione di riferimento prima di iniziare le attività o dell’aggiornamento dell’autorizzazione, e di bonificare il sito al suo stato originale alla chiusura delle attività (approccio “no-degradation”). Per quanto attiene nello specifico alla gestione dei siti contaminati in Europa, sono stati presentati i risultati di un questionario sottoposto a 39 paesi europei, dei quali hanno risposto in 27. I siti definiti potenzialmente contaminati risulterebbero 2,5 milioni con 350.000 siti contaminati con necessità di bonifica, sebbene questi numeri siano influenzati dalle diverse interpretazioni nazionali date a queste categorie di siti. I contaminanti più diffusi nei suoli e nelle acque sono metalli pesanti (30-

35% dei casi), olii minerali (22-24%), IPA (6-11%), BTEX (10-15%) e composti organici clorurati (8-10%). I costi per la gestione e bonifica dei siti contaminati sono sostenuti per il 42% dal pubblico e per il 58% dai privati, con una spesa media annua compresa tra 2 e 30 Euro pro-capite che corrisponde mediamente a circa 0,4 Euro per milione di Euro di PIL. Pur in mancanza di una direttiva quadro dedicata, la Commissione Europea è ancora impegnata nella protezione del suolo. In particolare: la strategia tematica sul suolo è ancora viva; la tabella di marcia sull’impiego delle risorse prevede il raggiungimento di un consumo netto di suolo zero entro il 2050; la Commissione sta sviluppando la base di conoscenze scientifiche per una “Comunicazione sulla gestione del territorio”; il settimo piano di azione europeo per il 2014-2020 sarà incentrato sul territorio e la protezione del suolo; la UE si adopererà ad attuare gli esiti del documento finale Rio 20+ (“Il futuro che vogliamo”) per realizzare la gestione del territorio nel contesto dello sviluppo sostenibile, con particolare riferimento all’obiettivo 3.9: “Entro il 2030, ridurre sostanzialmente il numero di decessi e malattie da sostan-


ze chimiche pericolose dell’aria, acqua e dell’inquinamento del suolo e della contaminazione”. L’intervento introduttivo della Commissione Europea è stato seguito da una serie di interventi relativi a contesti nazionali spagnoli e italiani. La Prof.ssa Aurora Santos Lopez della Universidad Complutense di Madrid ha presentato il progetto CARESOIL (Caratterizzazione, bonifica, modellazione e valutazione del rischio dei suoli contaminati) finanziato dalla comunità di Madrid utilizzando i fondi strutturali europei. Si tratta di un progetto pluriennale multidisciplinare, che vede la partecipazione delle Universidad Complutense e Universidad Politecnica di Madrid con gruppi di ricerca di Ingegneria Chimica, Scienze del suolo, Geodinamica, Energia e combustibili, Fisica applicata. Si tratta di un finanziamento pubblico per l’applicazione di tecniche innovative di caratterizzazione del suolo e degli acquiferi, la bonifica mediante tecnologie fisiche e chimiche in-situ, il monitoraggio degli interventi, l’analisi di rischio. Il progetto prevede la collaborazione con enti di ricerca e università internazionali e prevede di testare le tecniche innovative sviluppate in siti contaminati spagnoli, che al momento includono: un sito contaminato da idrocarburi localizzato a Madrid in prossimità di un’officina ferroviaria, nel quale vengono testate tecniche e comparate diverse tecniche di indagine indiretta basate su metodi geochimici e geofisici; un sito contaminato da esaclorocicloesano con presenza di fase libera densa non acquosa (DNAPL) nel quale saranno testate tecniche innovative di monitoraggio e bonifica (ISCO e ISCR). I due interventi internazionali sono stati seguiti da un intervento dell’Ing. Laura D’Aprile del MATTM, che ha presentato le principali novità in termini di normativa ambientale e di linee guida elaborate dal ministero nell’ultimo anno, sottolineando l’accelerazione impressa ai procedimenti di bonifica nei siti di interesse nazionale. Successivamente, l’Ing. Luciano Zaninetta di Syndial ha presentato la strategia della società che punta all’im-

plementazione di bonifiche sostenibili durante le diverse fasi del procedimento nell’ottica di massimizzare l’efficacia complessiva degli interventi. In quest’ottica, Syndial sta sviluppando tecniche innovative di caratterizzazione (campionatori passivi, tecniche di speciazione dei metalli, tecniche di monitoraggio finalizzate all’analisi di rischio ecologica) e di bonifica (sistemi di recupero del prodotto libero, trattamento biologico di siti contaminati da idrocarburi) ed infine strumenti per la valutazione della sostenibilità delle bonifiche. La sessione è stata chiusa dall’intervento del Prof. Renato Baciocchi dell’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” per conto della rete Reconnet, che ha presentato dei dati Eurostat e Istat aggiornati al 2013 sulla spesa europea per la protezione dell’ambiente e per la ricerca scientifico-tecnologica. I paesi EU-27 spendono per la protezione dell’ambiente circa lo 0,65% del PIL; l’Italia si colloca in Europa al quinto posto con una spesa pubblica pari a circa lo 0,9% del PIL. La spesa delle imprese per l’ambiente risulta invece pari allo 0,4% del PIL, che in Italia sale allo 0,75% del PIL nazionale. Sempre a scala nazionale, circa il 70% degli investimenti per il controllo e l’abbattimento dell’inquinamento sono “end-of-pipe”, agiscono dopo che l’inquinamento è stato generato, mentre solo il 30% sono finalizzati a prevenire o ridurre alla fonte l’inquinamento generato da processi produttivi. Da questi dati, emerge un peso maggiore delle spese per l’ambiente in Italia rispetto al contesto medio europeo, soprattutto da parte delle imprese. Non è questa la sede per discutere sull’efficacia di tale spesa né tanto meno sulle ragioni che abbiano condotto a tale situazione. E’ però evidente che queste discrepanze tra paesi dell’UE-27 andrebbero gradualmente annullate, con l’obiettivo di garantire pari livelli di protezione dell’ambiente e della salute e pari competitività alle aziende che operano nell’ambito dello stesso mercato europeo. Se l’Italia spende anche più della media europea

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per l’ambiente, non lo stesso si può dire per la ricerca scientifico-tecnologica. Pur mancando dati specifici sulla ricerca ambientale, i dati generali indicano che l’Italia nel 2013 ha speso circa l’1,3% del PIL per la ricerca, in crescita rispetto al minimo dell’1,0% raggiunto a cavallo del 2000, ma ancora lontano dall’obiettivo dell’1,53% da raggiungere entro il 2020 e dal valore medio europeo del 2,0%. Il contributo delle imprese risulta pari allo 0,7% del PIL, ovvero poco più della metà del contributo medio delle imprese europee, pari all’1,2% del PIL. Meno marcata è invece la differenza per il contributo pubblico alla ricerca, che in Italia si colloca nel 2013 allo 0,6% del PIL contro un valore medio europeo dello 0,9% del PIL. Le note negative vengono anche dal livello di formazione del nostro paese, che nel 2012 riesce a portare a formazione terziaria solo il 13% della popolazione, contro un valore medio europeo del 17%. Questo significa che l’Italia possiede un potenziale di innovazione scientifico-tecnologica in partenza più basso della gran parte degli altri paesi europei, sebbene poi in termini di produttività gli indicatori nazionali siano positivi con un numero di pubblicazioni per abitante in linea con gli altri paesi europei ma doppio se riferito al numero di ricercatori. I contenuti della giornata di approfondimento confermano la necessità di azioni di approfondimento e disseminazione, ma anche l’opportunità di attivare su scala nazionale progetti di ricerca come CARESOIL in Spagna, che supportino la crescita di network multidisciplinari per l’individuazione di approcci gestionali e tecnologici innovativi per la bonifica di siti contaminati. In questo senso, Reconnet rappresenta già un insieme di stakeholders con ruoli e competenze diversificate, attualmente basato sulla buona volontà dei membri aderenti. Il suo finanziamento tramite schemi analoghi a quelli di CARESOIL consentirebbe di incrementare le potenzialità della rete di fornire supporto tecnicoscientifico al sistema nazionale delle bonifiche. *Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, Reconnet

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CAVA DI TREZZANO PROTAGONISTA DELLA COSTRUZIONE DEL NUOVO PONTE STRADALE DI VIGEVANO Prestigiosa commessa per Cava di Trezzano, una delle più importanti realtà del nord Italia per produzione di sabbia, movimento terra, scavi e demolizioni. Sono infatti partiti i lavori per il completamento del nuovo ponte di Vigevano sul Ticino, che vedono la società lombarda tra i protagonisti della realizzazione del viadotto, delle rampe d’accesso e di tutta la viabilità di connessione. Tra lavori di sbancamento e di scavo, Cava di Trezzano fornirà e movimenterà più di 300 mila metri cubi di materiali da costruzione, naturali e di riciclo, oltre ad asportare altri 100 mila metri cubi di materiali da smaltire. Il nuovo ponte stradale sul Ticino sarà uno dei cardini del complesso dei collegamenti in via di realizzazione tra le provincie di Pavia e Milano. Strutturato su un’unica campata centrale, avrà una lunghezza di due chilometri e sorgerà poche centinaia di metri a valle di quello esistente, che sarà riservato alla ferrovia. Il costo preventivato sarà di circa 50 milioni di euro. “Si tratta di un’opera imponente - ha commentato Marco Lavatelli, amministratore delegato di Cava di Trezzano - un lavoro di grande prestigio anche dal punto di vista architettonico, che testimonia l’alto livello dei nostri servizi, in termini di qualità dei materiali, efficienza e tecnologie utilizzate”.

CONTROL TECHNIQUES E LEROY-SOMER RAFFORZANO LA PROPRIA LEADERSHIP GRAZIE AD INGENTI INVESTIMENTI Control Techniques e Leroy-Somer sono pronte a cogliere numerose opportunità di crescita a fronte dei notevoli investimenti strategici effettuati per entrambi i rami di attività. Nel corso degli ultimi 12 mesi, le due organizzazioni– entrambe business unit di Emerson – hanno aperto una nuova sede congiunta per supportare le loro attività nel settore degli azionamenti, motori e sistemi di automazione. Il nuovo centro ingegneristico regionale situato a Oradea, in Romania, che occupa una superficie di 21.000 m2, rappresenta la punta di diamante dei numerosi investimenti effettuati recentemente, che danno la possibilità al gruppo di accedere a una nuova gamma di servizi e soluzioni. Produzione, approvvigionamento, assemblaggio e collaudo sono solo alcune delle attività che sono state ampliate grazie alla nuova struttura, che accrescerà la forza lavoro di circa 300 persone entro la fine del 2016. Gli investimenti nella nuova struttura in Romania fanno seguito all’apertura del nuovo Centro Tecnologico di Control Techniques situato a Newtown, nel Regno Unito. Il Centro Technologico “The Gro”, realizzato in collaborazione con il Governo del Galles, è stato aperto nel novembre 2015 e permette a Control Techniques di sviluppare soluzioni di automazione ad alte potenze, oltre a rafforzare le capacità di test e validazione di nuovi prodotti, software e aggiornamenti di vario tipo. Anche Leroy-Somer ha effettuato investimenti di grande portata nei suoi impianti produttivi francesi, situati nelle vicinanze di Angouleme. In 3 anni sono stati investiti oltre 10 milioni di euro in nuove macchine destinate all’impianto di Gond-Pontouvre, una linea di produzione che da 50 anni è specializzata nella realizzazione di motori asincroni. Sono state rinnovate le presse di stampaggio a iniezione, il forno di fusione, le fustellatrici, una linea di avvolgimento completamente automatizzata, i sistemi di collaudo e altre apparecchiature. Tutte queste nuove attrezzature aiuteranno Leroy-Somer a soddisfare le esigenze della sua clientela in termini di maggior risparmio energetico, produttività, prestazioni garantite e affidabilità.

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GEFRAN LANCIA UNA NUOVA GAMMA DI SENSORI PER APPLICAZIONI MOBILE HYDRAULIC Gefran ha presentato tre nuove serie di sensori: angolari, di inclinazione e di posizione, specificatamente progettati per applicazioni mobile hydraulic. Con questi nuovi dispositivi l’azienda completa così l’offerta esistente di celle di carico, sensori di pressione e trasduttori di pressione dedicata a questo settore. Gefran, da oltre 50 anni azienda leader nella progettazione e produzione di sensori per applicazioni in ambito industriale, possiede un profondo know-how tecnologico e applicativo dei propri sensori ed è una delle poche aziende al mondo in grado di offrire un catalogo completo di soluzioni per la misura. I nuovi sensori presentati da Gefran sono ideali per l’allestimento dell’intera macchina: i sensori angolari ad effetto hall denominati GRA e GRN sono disponibili con e senza albero, a singolo giro; gli inclinometri per singolo/doppio asse (XY/360°), tutti con tecnologia MEMS, sono disponibili nelle versioni GIB (entry level) GIG (general purpose) e GIT (top) a seconda delle esigenze prestazionali del cliente. Il nuovo GSF, trasduttore di posizione a filo progettato con tecnologia potenziometrica, si contraddistingue infine per l’elevata solidità. Oltre ad un range di sensori performanti e affidabili, il cliente viene affiancato costantemente da un team di tecnici dedicati e da una rete vendita ad hoc che rappresentano il valore aggiunto della proposta Gefran. I sensori Gefran, tutti con protocollo di comunicazione CANOpen, disponibili nelle versioni singole o ridondanti, si caratterizzano per affidabilità e robustezza: la struttura è prodotta in solido materiale PBT assicurando la massima resistenza agli impatti e ai solventi nonché un ottimo isolamento dalle variazioni termiche. Tutti i sensori Gefran, poi, hanno dimensioni compatte con ingombri ridotti, a tutto vantaggio della progettazione della macchina. Inoltre, grazie alle tecnologie senza contatto (effetto Hall e magnetostrittiva), i nuovi sensori Gefran presentano una vita di durata infinita, incontrando così l’importante esigenza dei clienti di ridurre la manutenzione al minimo indispensabile.

Omron: nuove soluzioni integrate di robot industriali Sono ben 49 i modelli di robot industriali sviluppati da Omron Adept Technologies, Inc. Integrati con gli affermati machine controller della serie NX/NJ e con la gamma di sensori e componenti per la sicurezza di Omron, questi robot sono facilmente implementabili in tutti gli ambienti produttivi. La combinazione unica di software e architettura di controllo offerta da Omron è in grado di rispondere alle sfide di automazione industriale. L’hardware di controllo comune, l’architettura software integrata e l’ambiente di sviluppo sono in grado di soddisfare le esigenze attuali e future di semplificazione nella progettazione dei processi, di flessibilità operativa e di manutenzione predittiva. Questo lancio di portata globale dimostra l’impegno costante di Omron nello sviluppo di soluzioni innovative in grado di migliorare la produttività grazie all’integrazione tra robot e funzionalità di rilevamento, controllo, gestione dei movimenti e sicurezza. Il lancio di 3 famiglie di robot (SCARA, delta, antropomorfi) aggiunge prestazioni ad alta velocità e affidabilità dal punto di vista meccanico alla soluzione Omron. Tutti i robot possono essere controllati da un ambiente di sviluppo integrato, che consente di utilizzare i robot in modo flessibile in base alle esigenze delle applicazioni richieste. Le soluzioni di robot industriali di Omron permettono di collegare in modo trasparente tutti i robot nell’ambiente di controllo delle macchine gestito dalla piattaforma di automazione Sysmac, aspetto questo che consente di migliorare il rendimento complessivo delle linee di produzione. ACE (Automation Control Environment) include utili procedure guidate orientate alle applicazioni che riducono in modo significativo la quantità di codice di programmazione. Gli utenti dispongono di un potente strumento di emulazione 3D che riduce notevolmente i tempi di convalida dei nuovi processi automatizzati. Le applicazioni robotiche di visione assistita sono interamente supportate da ACE PackXpert per le linee di confezionamento.

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Pinza MB-G900: il legno qui, la plastica là…

Riqualificazione, ristrutturazione, riuso urbano; queste sono le tipologie di intervento che stanno aiutando moltissime imprese di costruzione, in assenza quasi totale di nuovo costruito sia nel settore pubblico sia in quello privato. Si tratta in genere di interventi di ridotte dimensioni che si adattano benissimo al tessuto produttivo delle nostre imprese di costruzioni, la maggior parte delle quali si è specializzata per lavorare proprio su cantieri di ristrutturazione; molti di questi interventi prevedono poi la rimozione totale degli edifici obsoleti (quando non hanno un valore storico o artistico) e, quindi, richiedono l’intervento di imprese dotate di mezzi e attrezzature in grado di realizzare in sicurezza le demolizioni. Per ridurre al minimo l’impatto sulla demolizione, sia in fatto di rumore sia dal punto di vista delle polveri è possibile optare per una tecnica di demolizione selettiva montando sull’escavatore una pinza selezionatrice MB-G 900. La pinza MB-G900, è un’attrezzatura da 780 kg, specificatamente progettata da MB Crusher di Fara Vicentino per essere montata su escavatori con peso operativo compreso fra 12 e 18 tonnellate. Ha una capacità di 0,43 metri cubi a chele chiuse e abbina una notevole agilità operativa a una forza di chiusura che consente senza problemi di effettuare opere di demolizione su muratura; la pressione di chiusura, a seconda dei settaggi, può andare da 200 a 400 bar (con una portata d’olio di 30 litri al minuto), mentre la portata di rotazione arriva fino a 20 litri al minuto (da un valore minimo di otto). La pinza di MB è estremamente sensibile e consente di effettuare una selezione davvero precisa dei vari materiali, già in fase di demolizione; la progressività con cui si possono gestire le forze di chiusura consente di movimentare materiali riciclabili come legno, metallo, separandoli da quelli destinati alla discarica e, al tempo stesso, di demolire le parti in muratura che poi verranno trasformate in materia prima secondaria.

ARJES ENTRA A PIENO TITOLO NEL SETTORE DELLA FRANTUMAZIONE EDILE Nati dall’invenzione del Sig. Norbert Hammel, i trituratori Arjes sono in grado di ridurre e vagliare volumetricamente quasi ogni tipo di materiale: rifiuti, legno, metalli, compost, plastiche, inerti da demolizioni e molto altro ancora. La tradizionale gamma di trituratori Arjes prevede i modelli VZ750, VZ850 e VZ950. Le caratteristiche principali di queste macchine, che le rendono uniche nel panorama del riciclaggio industriale, sono: • il profilo brevettato a T delle lame a garanzia della precisione di taglio; • il risparmio energetico fino a oltre il 15% rispetto a macchine paragonabili; • le basse temperature sviluppate in fase di lavoro; • l’autopulizia dei rotori; • due tramogge ribaltabili per l’ottimizzazione del carico del materiale; • la funzione di inversione automatica dei rotori a protezione degli utensili di taglio; • il basso livello di rumore proprio delle caratteristiche progettuali di insonorizzazione e della bassa velocità dei motori; ed infine, ma non certo ultimo per importanza, i bassi costi di allestimento e manutenzione secondo il design modulare e user-friendly. Quando le esigenze sono poi estremamente importanti, il trituratore VZ950 diventa la macchina ideale: potente, efficiente e affidabile. I motori diesel con 768 cv (disponibili anche in versione elettrica 2x250kW) garantiscono, a seconda del materiale in lavorazione e dell’allestimento, volumi di produzione molto elevati, fino a 180 t/h. Accanto ai modelli tradizionali, Arjes ha presentato i nuovi modelli di frantumatori, Impaktor 250 e 800. In questo modo, Arjes entra a pieno titolo anche nel mercato delle demolizioni garantendo la riduzione volumetrica dei più difficili materiali edili quali macerie, calcestruzzo, asfalto, pietra naturale, ecc… Camoter International S.r.l. distribuisce i macchinari Arjes in esclusiva per l’Italia, in diverse aree degli USA e nel Medio Oriente.

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APPUNTAMENTI GEOFLUID

Piacenza, dal 5 alL’8 ottobre

Geofluid, Mostra Internazionale delle Tecnologie ed Attrezzature per la Ricerca, Estrazione e Trasporto dei Fluidi Sotterranei, è la più importante manifestazione specializzata nei comparti della perforazione e dei lavori nel sottosuolo, che includono indagini geognostiche, applicazioni geologiche e geotecniche. All’evento saranno presenti le principali aziende di settore, appartenenti a precisi ed omogenei comparti di mercato consentendo quindi contatti ben mirati con interlocutori che sono figure chiave nei rispettivi settori di provenienza. La manifestazione si sviluppa attraverso le aree tematiche Geofluid, Geotech, Geotunnel e Geocontrol.

www.geofluid.it

Forum CompraVerde

Roma, dal 13 al 14 ottobre

La X edizione di CompraVerde-BuyGreen, Forum Internazionale degli Acquisti Verdi, si propone come sede privilegiata in cui conoscere, aggiornarsi e confrontarsi sull’importante comparto degli acquisti verdi e delle produzioni sostenibili nel nostro paese. In questa edizione viene riproposta la formula innovativa e vincente di una due giorni di Stati Generali degli Acquisti Verdi con seminari, convegni, workshop, scambi one to one, per presentare e discutere le novità legislative, le best practice nazionali e internazionali, le opportunità in materia di acquisti verdi.

www.forumcompraverde.it

MCTER

Verona, 19 ottobre

mcTER Cogenerazione - Mostra Convegno sulle Applicazioni di Cogenerazione, giunto alla diciottesima edizione, è un evento che unisce alla parte espositiva una parte dedicata a convegni e corsi di formazione sulle tematiche della cogenerazione, Biogas, Biomasse ed energia. Sarà possibile partecipare a numerosi workshop di approfondimento e aggiornamenti professionali con esperti del settore incontrando gli espositori anche durante gli eventi paralleli. L’edizione di Verona mcTER Cogenerazione si svolge in contemporanea con MCM, SAVE, ACQUARIA, Home & Building, VPC.

www.mcter.com

Ambiente Lavoro

Bologna, dal 19 al 21 ottobre

Unica manifestazione fieristica italiana dedicata alla promozione della salute e del benessere sul posto di lavoro, è da oltre 20 anni il punto di riferimento per gli addetti del settore. Anche in questa edizione verrà dedicata grande attenzione ai prodotti e alla formazione per la prevenzione di incidenti sul lavoro e malattie professionali. In fiera saranno presentati prodotti e servizi dalle oltre 150 aziende partecipanti; ad affiancare l’area espositiva come di consueto, un calendario di iniziative formative proporrà 200 occasioni di aggiornamento professionale organizzate da 57 partner tra istituzioni, associazioni e aziende.

www.ambientelavoro.it

ACCADUEO

Bologna, dal 19 al 21 ottobre

Tecnologie idriche, trattamento delle acque, distribuzione e sostenibilità, questi i temi centrali della prossima edizione di H2O, la Mostra internazionale dell’acqua organizzata da BolognaFiere, giunta quest’anno alla tredicesima edizione. Oltre al settore tradizionale delle acque per uso civile, da quest’anno la manifestazione allargherà i suoi orizzonti anche alle tecnologie e ai servizi per la gestione delle acque in ambito industriale e, ulteriore novità, anche al trasporto e alla distribuzione del gas naturale. Questi temi saranno pure affrontati in un intenso calendario di convegni e seminari. In concomitanza ad H2O, dal 20 al 21 ottobre 2016, nel Quartiere fieristico di Bologna, si svolgerà la Conferenza Internazionale IWA WaterIDEAS 2016 sulla gestione efficiente delle perdite, dell’energia e della domanda nelle reti di distribuzione idrica.

www.accadueo.com

Ecomondo

Rimini, dal 3 al 6 novembre

Ecomondo è il luogo ideale dove connettersi con gli operatori dell´industria della Green economy e dell´economia circolare, chiudere accordi commerciali, generare valore e acquisire clienti. Rappresenta, nell’area mediterranea, la vetrina più completa sulle soluzioni tecnologiche avanzate e sostenibili per la corretta gestione e valorizzazione del rifiuto (in tutte le sue tipologie), la gestione e la valorizzazione dell’acqua (delle acque reflue e dei siti e comparti marini inquinati), l’efficienza nell’uso e nella trasformazione delle materie prime e seconde e l’utilizzo di materie prime rinnovabili. Si conferma anche quest’anno Decommissioning, l’evento dedicato alla demolizione e riqualificazione delle aree dismesse che in questa 7° edizione metterà a confronto i protagonisti del settore su decommissioning di impianti industriali e infrastrutture.

www.ecomondo.com

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Anno 9 - Numero 36 – Settembre 2016 ISSN 2421-2938

Direttore responsabile: Massimo Viarenghi Direttore commerciale: Maria Beatrice Celino Coordinamento editoriale: Maeva Brunero Bronzin Collaboratori: Claudio Belli, Rosa Bertuzzi, Gian Maria Brega, Nicola Carboni, Maria Beatrice Celino, Marco Costabello, Jean-Pierre Davit, Paolo De Angelis, Anna Defina, Sara Di Lonardo, Paul Di Tommasi, Kai Dürfeld, Andrea Esposito, Massimiliano Fabbricino, Daniela Famulari, Beniamino Gioli, Vincenzo Magliulo, Elena Mangherini, Stefano Marchiori, Xiaoguang Meng, Luca Navone, Rocco Pace, Rino Russo, Andrea Sconocchia, Paolo Stefani, Andrea Stegher, Simone Taranto, Amalia Terracciano, Piero Toscano, Laura Veneri, Alessandro Zaldei

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Grafica, disegni e impaginazione: Roberto Fatiga - email: grafica.advespa@gmail.com

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Comitato Scientifico: Maria Rosaria Boni (Sapienza Università di Roma) Daniele Cazzuffi (CESI spa – RemTech) Laura D’Aprile (MATTM, Roma) Luciano De Propris (Consulente ambientale) Ennio Forte (Università degli studi di Napoli) Luciano Morselli (Università di Bologna) Andrea Quaranta (Giurista ambientale – Cuneo) Gian Luigi Soldi (Città Metropolitana di Torino) Federico Vagliasindi (Università di Catania) Maria Chiara Zanetti (Politecnico di Torino)

Responsabilità: la riproduzione delle illustrazioni e articoli pubblicati dalla rivista, nonché la loro riproduzione, è riservata e non può avvenire senza espressa autorizzazione della Casa Editrice. I manoscritti e le illustrazioni inviati alla redazione non saranno restituiti, anche se non pubblicati, e la Casa Editrice non si assume responsabilità per il caso che si tratti di esemplari unici. La Casa Editrice non si assume responsabilità per i casi di eventuali errori contenuti negli articoli pubblicati o di errori in cui fosse incorsa nella loro riproduzione sulla rivista. Direzione, Redazione, Abbonamenti: DEA edizioni s.a.s Corso Tassoni 79/4 10143 Torino tel./Fax 011749 79 64 e-mail: info@deaedizioni.it - www.deaedizioni.it L’abbonamento è deducibile al 100%. Per la deducibilità del costo ai fini fiscali vale la ricevuta del versamento a norma (D.P.R. 22/12/86 n. 917 artt. 50 e 75). Conservare il tagliando - ricevuta, esso costituisce documento idoneo e sufficiente ad ogni effetto contabile. Non si rilasciano in ogni caso altre quietanze o fatture per i versamenti in c.c.p. Pubblicazione trimestrale Poste Italiane Spa - Sped. in a.p. D.L. 353/2003 conv. in L. 46/2004, art. 1, c. 1 registrata presso il tribunale di Torino il 19 ottobre 2009 al n°56. Ai sensi del D. Lgs. 196/2003, informiamo che i dati personali vengono utilizzati esclusivamente per l’invio delle pubblicazioni edite da DEA edizioni s.a.s.. Telefonando o scrivendo alla redazione è possibile esercitare tutti i diritti previsti dall’articolo 7 del D. Lgs. 196/2003.



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