RECOVER magazine n. 31

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G I U G N O 2015 Poste Italiane Spa - Sped. in a.p. - D. L. 353/2003 cov. in L. 46/2004, art1, c1 - CB-NO/Torino - Anno 8 n. 31 - ISSN 2421-2938 DEA edizioni s.a.s. Corso Tassoni 79/4 - 10143 Torino

N°31 Valorizzazione, riciclaggio e recupero di energia: dal nord al centro Italia in visita ai nuovi impianti di trattamento rifiuti

La biomassa legnosa per il teleriscaldamento tra sostenibilitĂ ambientale e prospettive di sviluppo

dismissioni impiantistiche nello stabilimento Reckitt Benckiser di Mira

Il problema dei depositi di ceneri di pirite nel S.I.N. di Priolo e i diversi approcci di intervento

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Da parte degli organizzatori di Pollutec

E se facessimo

un gran passo

in avanti per il pianeta ? CLEANTECH

BASSO CONTENUTO DI CARBONIO

RISORSE AMBIENTALI

Dal 13 al 15 ottobre 2015 Parigi Porte de Versailles Soluzioni per le risorse ambientali e il clima

In associazione con : Organizzato da :

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E DI TO R I A L E

EDITORIALE DEI DELITTI (AMBIENTALI) E DELLE PENE Non c’è dubbio che gli avvicendamenti legislativi degli ultimi mesi abbiano destato l’attenzione degli ecocriminali che magari si saranno trovati confusi a chiedersi se la loro condotta illecita sarebbe stata depenalizzata oppure se la loro posizione nei confronti della giustizia stesse per peggiorare. Ci saranno stati quelli che avranno gioito perché hanno commesso dei reati più soft o, per dirla con il termine corretto, tenui oppure perché sono dei “delinquenti occasionali” e che godranno pertanto della non punibilità decretata dalla norma. Al contrario, quelli che invece hanno commesso degli ecoreati di tutto rispetto o che sono dei “delinquenti di professione” avranno appreso con preoccupazione che da ora si potrà procedere contro di loro secondo il nuovo titolo VI-bis del Codice Penale che individua proprio i delitti contro l’ambiente. Spero che i lettori non se la prenderanno se ironizzo su un argomento così importante ma è piuttosto singolare che in un lasso di tempo di un paio di mesi da un lato vengano depenalizzati la maggior parte dei reati ambientali previsti dal Testo Unico a dall’altro venga finalmente approvata la legge che inserisce i delitti ambientali nel Codice Penale. La realtà dei fatti è che vorremmo davvero esprimere la nostra soddisfazione per l’approvazione di una Legge che ha raccolto il plauso di tutte le principali associazioni ambientaliste nonché dei partiti di opposizione. Però addentrandosi un po’ nell’analisi della norma a quanto pare per festeggiare dovremo ancora attendere… In questo caso il principale indiziato per aver rovinato la festa per l’approvazione della Legge 68/2015 “Disposizioni in materia di delitti contro l’ambiente”, pare essere un avverbio, “abusivamente”, che posto nella stessa frase insieme a chiunque cagiona un disastro ambientale ha creato perplessità e critiche da parte dell’opinione pubblica ma anche di illustri esperti in materia. A questo si aggiunge poi il ravvedimento operoso previsto dalla norma e giudicato troppo bonario se non quasi un incentivo a commettere reati per poi, in caso di pentimento, avere comunque un trattamento di favore. Anche la stessa Corte di Cassazione ha evidenziato alcune criticità tra cui la necessità dell’elemento di misurabilità del danno ambientale, requisito indispensabile perché non vi sia discrezionalità e soggettività di valutazione. Tra entusiasmi e critiche chi avrà ragione? La risposta non tarderà ad arrivare. Ormai la palla è passata alla Magistratura e nella fase applicativa potremo vedere se le nuove norme siano realmente degli strumenti idonei a tutelare l’ambiente oppure se gli interessi tutelati siano poi altri…

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S O M M A R I O S OM M A R I O

Rubriche

News 6 Reconnet 73 Vetrina 76 Libri 78 Appuntamenti 79

Miscele plastiche per il nuovo terminal container del porto di Napoli

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Un esempio di economia circolare in provincia di Treviso

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Asse stradale Zara-Expo

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Tempi da record per il nuovo impianto TMB

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Un lavoro svolto con la massima pulizia

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Tre notti per tre viadotti

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di Mauro Ganora

di Laura Veneri

PRIMO PIANO

Il potenziale della biomassa legnosa per il teleriscaldamento

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di Massimo Viarenghi

Attualità

di Bruno Vanzi

di Maria Beatrice Celino

L’acqua non è un bene inesauribile

di Laura Veneri

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di Francesco Mangani

Sacchetti di plastica: l’Europa si mette al passo con l’Italia

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Raccolta RAEE in crescita

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di Maeva Brunero Bronzin

di Bruno Vanzi

work in progress

di Andrea Terziano

Progetti e tecnologie

Le ceneri di pirite: rifiuto o materiale di riporto?

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Inertizzazione di rifiuti contenenti amianto mediante forni a microonde

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64

Non più punibili i reati di lieve entità

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I rifiuti abbandonati possono essere conferiti presso i centri di raccolta?

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di Marcello Farina

Fabbrica delle idee

L’anti-inquinamento marittimo 2.0

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di Laura Veneri

di G. Gullo, P. Plescia ed E. Tempesta

Speciale

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Energia dagli agrumi

Energia dai rifiuti e compost di qualità

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normativa

Novità rilevanti nell’analisi di rischio di Olga Chitotti

di Maeva Brunero Bronzin

di Rosa Bertuzzi e Nicola Carboni

Panorama aziende

Il cuore della Svezia è in Romagna di Maria Beatrice Celino

Un gioco di squadra vincente di Maria Beatrice Celino

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di Laura Veneri

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di Daniele Carissimi


Acqua: domanda mondiale in costante crescita e inadeguatezza nei sistemi di trattamento. Ma le buone pratiche non mancano, anche in Italia

12 Le novità rilevanti per l’analisi di rischio, lo strumento di supporto essenziale dell’iter di bonifica

25 Porte aperte al cantiere dell’asse stradale zaraexpo, il collegamento tra il centro di milano e l’esposizione universale

41 Esperienze e prospettive di industrializzazione per l’inertizzazione di rifiuti contenenti amianto mediante forni a microonde

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R UB R I CH E

NEWS Nuova classificazione dei rifiuti Dal 1° giugno 2015 è entrata in vigore la nuova normativa comunitaria in materia di classificazione dei rifiuti. La Decisione 2014/955/UE e il Regolamento 2014/1357/UE hanno modificato l’elenco europeo dei rifiuti e introdotto nuovi codici che hanno ridefinito le caratteristiche di pericolo dei rifiuti pericolosi. Sul sito del portale Sistri è stata rilasciata il 25 maggio 2015 la nuova procedura relativa alle modalità operative previste per l’adeguamento della classificazione dei rifiuti alle nuove disposizioni normative. Il vecchio acronimo “H”, che definiva le caratteristiche di pericolosità degli rifiuti (da H1 a H15) viene sostituito con l’acronimo “HP” che sta per “Hazardous Properties” (da HP1 a HP15). Con la Decisione 2014/955/UE i codici passano da 839 a 842 e vengono soppressi gli articoli 2 e 3 della Decisione 2000/532/CE. Anche le recenti modifiche alla classificazione dei rifiuti, entrate in vigore lo scorso 18 febbraio, saltano poiché dal 1° giugno 2015, l’intero allegato D (compresa l’introduzione) viene sostituito dalla Decisione 2014/955/UE, e salta il paragrafo introdotto dal decreto Competitività in quanto contrastante con il Regolamento 2014/1357/ UE. Dure le critiche da parte delle associazioni di settore: FISE Assoambiente, FISE UNIRE e ATIA-ISWA evidenziano come “ancora una volta gli operatori del settore della gestione dei rifiuti sono lasciati a loro stessi di fronte ad una norma caotica e contraddittoria” e si preoccupano per la mancanza di indicazioni, a livello nazionale, rispetto ai temi lasciati in sospeso dalla stessa Commissione, come, in particolare, l’attribuzione della caratteristica di pericolosità “eco-tossico” (HP 14), per la quale si rimanda ad uno studio supplementare. Nell’attesa, sul punto, il Regolamento non fornisce specifici criteri, ma rinvia all’indicazione generica contenuta già nella Direttiva 2008/98/CE.

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Il vetro (e non solo) nella raccolta differenziata degli italiani Il vetro è riciclabile al 100%, ma i “falsi amici” raccolti assieme al vetro, rischiano di vanificare una raccolta differenziata eccellente e un materiale di recupero pregevole. Il Consorzio per il recupero del vetro ha recentemente commissionato una ricerca per verificare le abitudini degli italiani nell’effettuare una corretta raccolta differenziata: “i dati della ricerca mostrano che in Italia si pratica la raccolta differenziata del vetro molto meglio di quanto non si facesse cinque anni fa”, ha commentato Franco Grisan, Presidente del CoReVe. “Per quanto riguarda i “falsi amici” i risultati sono confortanti. Diminuiscono, infatti, gli italiani che butterebbero nella raccolta gli oggetti di cristallo (-13,1%), il pyrex (-7,3%), le lampadine (-6%) e la ceramica (-1,3%). Dati incoraggianti che indicano che stiamo lavorando nella giusta direzione, ma anche che si sta facendo strada nella cultura collettiva l’idea che quando ci liberiamo di un contenitore usato non stiamo “gestendo” un rifiuto ma una risorsa, che verrà riutilizzata in un processo di riciclo che per il vetro è senza fine, nel senso che i nostri bis-bis-bis nipoti prenderanno in mano un contenitore che sarà fatto esattamente dello stesso vetro che avevamo in mano noi. Ciò sarà a favore di un ambiente migliore e di un risparmio delle materie prime e dell’energia”.

La ricerca, elaborata da AstraRicerche, mostra chiaramente la crescita della raccolta differenziata in Italia. È una crescita prima di tutto quantitativa: aumenta del 14,4% (passando dal 68,4% all’82,8%) la parte degli italiani 18-70enni che dichiara di effet-


tuare sempre, con la massima regolarità la raccolta differenziata. In effetti si assiste a un vero crollo di coloro che dichiarano di raccogliere i rifiuti domestici in modo differenziato solo in taluni casi o persino mai (dall’11,0% al 4,2%). Per gli Italiani non c’è dubbio: carta (98,5%), plastica (97,1%) e vetro (96,2%) sono riciclabili. In questi anni a crescere nella percezione di riciclabilità sono i materiali storicamente ‘attardati’ in questa classifica: l’alluminio guadagna il 5,9% (ora indicato come riciclabile dall’83,7%), il legno solo lo 0,9% (57,9%), mentre un grande salto in avanti è compiuto dall’acciaio (dal 44,0% al 51,0%: +7,0% in 5 anni).

Ecoreati: soddisfazione con qualche perplessità Dopo la novità circa la non procedibilità per i reati di lieve entità, che colpivano quasi tutti i reati ambientali, è stata pubblicata, a distanza di pochi giorni, la Legge 68/2015 “Disposizioni in materia di delitti contro l’ambiente”. Tale ultima norma non contrasta con la precedente di cui al D.Lgs. 28/15, in quanto riguarda una tipologia di reati diversi, tutti puniti con una pena detentiva superiore a quella prevista dal Decreto (5 anni). La Legge, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n.122 del 28-5-2015, è entrata in vigore il 29 maggio 2015, e prevede l’inserimento nel Codice Penale del “Titolo VI-bis - Dei delitti contro l’ambiente” con l’introduzione di 5 nuovi reati: inquinamento ambientale, disastro ambientale, traffico e abbandono di materiale ad alta radioattività, impedimento del controllo e omessa bonifica.Il provvedimento, che è stato accolto positivamente da tutte le principali associazioni ambientaliste, e anche dal governo e dall’opposizione che l’hanno definita non la migliore legge possibile, ma senza dubbio un passo in avanti, ha però fatto sorgere rilevanti dubbi prontamente evidenziati dalla Cassazione. Le perplessità evidenziate in una nota emessa dall’ufficio del Massimario, non sono una bocciatura ma mettono in evidenza quelli che sono apparsi immediatamente come punti controversi delle nuove norme, ponendo all’attenzione generale alcune questioni di carattere strutturale che non possono essere trascurate.

Premiati 3 progetti italiani LIFE Environment conclusi nel 2014 Da diversi anni il Programma LIFE Ambiente e Natura rappresenta una grande opportunità per il supporto di progetti ambientali legati al territorio. Il notevole successo che il Programma ha riscontrato nel nostro Paese è dimostrato, non solo dai numerosi progetti vincitori, ma anche dalle altrettante proposte che a ogni edizione vengono selezionate dal Ministero dell’Ambiente; progetti che ricevono finanziamenti comunitari per la corretta realizzazione del lavoro. Tutti i progetti portati a termine vengono analizzati da un team della Commissione Europea che determina una prima lista di possibili vincitori. Successivamente, gli Stati Membri eleggono i “best” delle diverse sezioni. Tra i 25 finalisti dell’edizione 2014 del premio Best LIFE Environment Projects, ben 9 sono italiani, selezionati per essersi distinti in base alle seguenti caratteristiche: la capacità di produrre significativi miglioramenti ambientali, sociali ed economici; l’implementazione effettiva a livello locale; il livello di innovazione raggiunto e la capacità di trasferire i risultati. Il 24 aprile sono stati annunciati gli 8 vincitori, tra di essi tre sono gli italiani: AQUA (Centro Ricerche Produzioni Animali) progetto per ridurre l’inquinamento delle acque sotterranee e superficiali legato alla dispersione di nutrienti di origine agricola (azoto e fosforo), ottimizzando il loro utilizzo nelle aziende zootecniche; REWETLAND (Provincia di Latina) riqualificazione delle acque superficiali dell’Agro Pontino, attraverso la realizzazione di un sistema di fitodepurazione diffusa e WIZ (Acque S.p.A.) programma che ha l’obiettivo di includere le condizioni future di gestione idrica nelle attuali scelte di pianificazione territoriale e di vita.

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Il potenziale della biomassa legnosa per il teleriscaldamento Attraverso LE parole del presidente della fiper, i dati aggiornati di un settore che basa sull’uso sostenibile del patrimonio boschivo grandi prospettive di sviluppo economico di Massimo Viarenghi

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l nostro Paese dispone senza dubbio di ampi spazi occupati da foreste e terreni agricoli in cui la biomassa di origine vegetale può dunque rappresentare una grande risorsa energetica, in grado di diminuire da un lato la nostra dipendenza dalle importazioni di combustibili fossili e dall’altro la produzione di CO2. Per comprendere meglio le potenzialità di questa fonte energetica e la situazione italiana del settore abbiamo intervistato il geom. Walter Righini, Presidente della Federazione Italiana di Produttori di Energia da Fonti Rinnovabili. Presidente Righini, può brevemente introdurci nel Vostro settore e chiarirci quali sono i numeri in Italia per quanto riguarda la produzione di energia da biomasse e da biogas? FIPER, la Federazione Italiana Produttori di Energia da Fonti Rinnovabili, è l’associazione che riunisce i gestori di teleriscaldamento a biomassa legnosa vergine, gli operatori della filiera bosco-legno-energia e un nucleo di impianti a biogas. Dal 2001, la Federazione è impegnata nel diffondere sul territorio nazionale centrali di teleriscaldamento promuovendo la cura e gestione del territorio attraverso la domanda di biomassa legnosa locale. Gli 83 impianti federati rappresentano il 90% circa del comparto. La Federazione è in prima linea nella promozione di una cultura basata sull’efficienza energetica e sull’uso virtuoso delle biomasse legnose. Ciò significa

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impiegare le biomasse legnose nella produzione di energia termica o in co-generazione per la produzione di elettricità. In Italia i numeri riguardanti la produzione di energia da biomassa e biogas riguardano il calore e l’elettricità. Il Gestore dei Servizi Energetici pubblica ogni anno il Rapporto Statistico dell’Energia da Fonti Rinnovabili da cui si evince l’evoluzione del settore. Riguardo il comparto termico, non è al momento calcolata la produzione di energia dalle biomasse legnose, perché a differenza del comparto elettrico, la cui energia viene immessa in rete, il calore prodotto in ambito domestico non è censito per singolo impianto. I dati del settore termico pubblicati dal GSE si rifanno ai consumi finali di energia. Secondo il Rapporto Statistico “Energia da Fonti Rinnovabili - Anno 2013” pubblicato dal Gestore dei Servizi Energetici - GSE nel 2013 i consumi finali di energia da fonti rinnovabili nel settore termico ammontano a 10,6 Mtep corrispondenti a circa 444.000 TJ. Il 92% del calore da fonti rinnovabili è consumato in modo diretto dalle famiglie, (poco meno di 9,8 Mtep) di cui 7,6 Mtep attraverso l’impiego di biomassa solida in impianti domestici (stufe, camini, caldaie) mentre il restante 8% (oltre 0,8 Mtep) è costituito dai consumi di calore derivato, ovvero l’energia termica prodotta e distribuita attraverso reti di teleriscaldamento a biomassa. La principale fonte rinnovabile utilizzata

in ambito domestico per la produzione di calore è data dall’impiego della legna da ardere e dal pellet. Per quanto riguarda il settore elettrico, invece, sono stati prodotti nel 2013 circa 112 TWh di energia elettrica (9,6 Mtep), di cui le bioenergie coprono il 16%. Bruciare legna per la produzione di energia sembra quasi un retaggio del passato. Può farci comprendere meglio quali sono le caratteristiche e i vantaggi per l’ambiente legati a questa fonte energetica? Rispetto al focolare dei nostri nonni, l’evoluzione tecnologica ha permesso di poter produrre e distribuire in rete calore e acqua calda in comuni da comunità da 5000-10.000 abitanti attraverso un’unica caldaia, impiegando il cippato, ovvero legno sminuzzato che ha subito esclusivamente un trattamento meccanico. Produrre in scala industriale calore da biomassa legnosa permette di ottenere maggiori economie di scala rispetto gli impianti domestici e ridurre ulteriormente le emissioni derivanti dalla combustione. Come descritto ampiamente nel recente libro pubblicato da FIPER “Biomassa legnosa: petrolio verde per il teleriscaldamento italiano”, lo sviluppo di una rete di teleriscaldamento alimentata a biomassa si inserisce in un progetto molto più ampio di quello relativo alla sola fornitura di calore agli edifici di una singola comunità. Il teleriscaldamento a biomassa è un in-


Geom. Walter Righini, Presidente della FIPER

diretto sostegno alla selvicoltura, avendo fra i suoi obiettivi un incremento di valore della risorsa legno. Va sottolineato infatti che con la realizzazione di una rete di teleriscaldamento a biomassa l’impegno costante di gestione dell’impianto viene assicurato per i successivi 30-50 anni, ma soprattutto l’attività indispensabile per il recupero della biomassa necessaria all’alimentazione dell’impianto stesso viene anch’essa garantita per eguale periodo con tutti i benefici al territorio circostante. In sintesi i vantaggi ambientali diretti dati dall’avvio di un impianto di teleriscaldamento a biomassa sono: • valorizzazione dei residui forestali derivanti dal governo del bosco; • valorizzazione dei sottoprodotti di lavorazione del legname e provenienti dall’agricoltura; • riduzione dell’inquinamento connesso alla combustione di prodotti petroliferi sostituiti. I principali vantaggi economico–sociali sono invece individuabili in: • risparmio energetico e riduzione dell’utilizzo di combustibili fossili di importazione; • riduzione della bolletta per le famiglie rispetto all’impiego del gasolio e metano; • risparmio di tempo nella gestione e manutenzione rispetto l’impianto autonomo.

produzione e distribuzione di calore che si avvale delle fonti rinnovabili, del cascame del calore industriale o del calore co-generato presenti sul territorio. Ciò significa che il teleriscaldamento a biomassa è vantaggioso laddove esiste una disponibilità locale di cippato in filiera corta e una domanda aggregata che giustifichi la presenza di una rete. Un altro elemento fondamentale è dato dall’analisi delle temperature del luogo in cui si decide di investire in una rete; la concentrazione degli impianti esistenti è ubicata in fascia climatica E ed F. Dai risultati dello studio “penetrazione del teleriscaldamento a biomassa in Italia” condotto da FIPER nel 2011, questa tecnologia potrebbe riscaldare 801 comuni italiani situati in fascia climatica E-F, lungo l’arco alpino e appenninico, precisamente 314 in Fascia climatica E, 487 in fascia climatica F, con popolazione compresa fra i mille e diecimila abitanti garantendo il presidio del territorio. In particolare se in Italia si dovessero realizzare anche solo la metà di detti impianti (magari cogenerativi) si potrebbero ottenere: • una potenza termica disponibile da 1.000 a 1.500 MW termici; • una potenza elettrica disponibile da 200 a 400 MW elettrici; • un valore di investimento per la realizzazione delle centrali e delle relative reti pari a 2,5/4 miliardi di € (a

tutto beneficio dell’industria Italiana per opere edili, caldaie, tubazioni, scambiatori, ecc.). Ma soprattutto un utilizzo di biomassa da 3 a 6 milioni di t/anno (in filiera corta) per un valore attualizzato pari a 5/10 miliardi di € nei prossimi 20 anni. Senza contare il potenziale di sviluppo del teleraffrescamento. Dal punto di vista occupazionale, crede che la creazione di nuovi impianti aiuterebbe l’Italia in questo momento di incertezza? Grazie allo sviluppo di impianti per la produzione di energia da biomasse si riuscirebbe, in parte, a limitare la nostra dipendenza di energia dall’estero? Sicuramente sì! L’avvio di nuovi impianti di teleriscaldamento, come già accennato precedentemente, permette di ricostituire la filiera di approvvigionamento locale e garantire posti di lavoro di medio lungo periodo. Un altro aspetto da sottolineare è l’interesse dei giovani verso questo tipo di impiego; l’età media degli addetti che lavorano nelle filiere legno-energia è tra i 35 e i 40 anni. Diversi i profili richiesti: agronomi forestali, ingegneri, geometri, informatici, economisti, boscaioli, elettricisti, idraulici. Giovani che decidono di non emigrare verso la città e di creare sviluppo sul territorio. Per dare un ordine di grandezza sul potenziale occupazionale di questa filiera, basti pensare che il valore commerciale attuale generato dalle diver-

Dal punto di vista della diffusione sul territorio del teleriscaldamento a biomasse cosa ci può dire? È una tecnologia applicabile in modo vantaggioso in tutte le realtà della penisola italiana? Secondo la definizione europea, il teleriscaldamento efficiente è un sistema di

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se filiere produttive legate alla risorsa forestale nazionale, rappresenta solamente lo 0,9% del settore primario; ciò significa che dal 34% del territorio italiano ricoperto da boschi, otteniamo solamente lo 0,01% della ricchezza nazionale, pur consapevoli che il patrimonio forestale costituisce non solo la più grande “infrastruttura” del paese ma anche un’immensa risorsa economica rinnovabile con caratteristiche di non “delocalizzazione fisica”. In questo contesto di scarso utilizzo della risorsa, l’Italia vanta però il primato mondiale nell’esportazione di prodotti finiti dell’industria legnosa manifatturiera. Infatti, le utilizzazioni nazionali si attestano da un decennio a un valore medio di 8 milioni di metri cubi a fronte di un incremento complessivo, di tutti boschi italiani, superiore a 36,5 milioni di metri cubi, di cui 20 milioni realmente accessibili e disponibili. 12 milioni di metri cubi rimangono in bosco. Ciononostante, il nostro Paese rimane a livello mondiale, il 1° importatore di legna da ardere, il 6° importatore di legno grezzo, il 4° di pellet per uso domestico e residenziale. I comuni teleriscaldati a biomassa sono autonomi e autosufficienti per la produzione di energia termica e acqua calda. Poter rendere autonomi 801 comuni dall’impiego di gasolio e gpl stranieri ci sembra un traguardo raggiungibile e auspicabile per favorire l’economia nazionale. Inoltre la presenza di una rete di teleriscaldamento a biomassa può favorire l’introduzione della Banda Ultra Larga, creando una sinergia tra infrastruttura energetica e informatica. La Banda Ultra Larga per i territori periferici rappresenta un’importante opportunità per facilitare il telelavoro, promuovere nuovi insediamenti lavorativi ed evitare lo spopolamento da parte dei giovani. Quali sono le maggiori criticità che vi trovate ad affrontare dal punto di vista normativo e quali le principali istanze che portate avanti per i vostri associati? Il principale ostacolo allo sviluppo del comparto è dato dalla mancanza di una normativa chiara e stabile nel tempo. I principali nodi da risolvere sono essenzialmente: • la mancanza di una definizione chiara sulla natura del servizio di teleriscaldamento; • l’evoluzione normativa forestale ver-

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• •

so la gestione attiva del bosco; una visione di medio lungo periodo della politica energetica correlata al presidio del territorio; la concorrenza sleale nell’approvvigionamento di biomassa sul mercato tra produttori di energia elettrica che beneficiano del k=1,8 sui certificati verdi rispetto ai gestori di teleriscaldamento; la mancanza di un quadro di riferimento sull’impiego dei sottoprodotti da impiegare a fini energetici.

Quali dati emergono confrontando la situazione italiana con il panorama estero?

Nella filiera delle biomasse, l’Italia è uno dei paesi leader nella costruzione di macchinari per la logistica, la trasformazione e la componentistica a fini energetici. Sulla filiera di apparecchi domestici alimentati a biomasse, siamo il primo paese per l’esportazione a livello mondiale. Al contrario riguardo la diffusione del teleriscaldamento/raffrescamento, l’Italia è uno dei paesi fanalino di coda rispetto alla media europea, copre solo il 4% del mercato dei consumi civili. Le reti di teleriscaldamento presenti sul territorio sono 216 di cui 86 alimentate a biomassa legnosa vergine. I margini di sviluppo sono dunque estremamente interessanti.

FIPER in numeri 83

impianti di teleriscaldamento a biomassa

132

Impianti di biogas agricolo

80

MW di potenza elettrica installata presso gli impianti a biogas

372

MW potenza termica installata presso le centrali

1.105

MW installati presso le utenze finali

27

MW elettrici in cogenerazione

1.580

km rete di trasmissione calore

720.000

t di biomassa legnosa impiegata

61

milioni di Euro fatturati di energia termica

520

dipendenti di aziende e indotto

16.381

utenze allacciate al teleriscaldamento

364.000

t di CO2 risparmiate nella produzione di energia termica ed elettrica in cogenerazione con impianti di teleriscaldamento

110

milioni di litri di gasolio risparmiato nella produzione di energia termica


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A T T U A L I TÀ

L’acqua non è un bene inesauribile La domanda mondiale è in costante crescita e manca un adeguato trattamento delle acque reflue. La situazione in Italia non è rosea ma ci sono anche esperienze di buone pratiche che vale la pena raccontare di Laura veneri

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xpo è iniziato. L’esposizione universale di Milano vuole proporre idee e soluzioni sostenibili per il nostro Pianeta, in primis per l’alimentazione, ma anche per le altre forme di sostentamento che permettono la vita. In occasione di questo secondo numero dell’anno di Recover vogliamo occuparci dell’acqua, l’elemento da cui tutto ha avuto inizio sulla Terra. L’acqua è una risorsa indispensabile per la vita ed è fondamentale usarla con parsimonia, ma è altrettanto importante trattarla e depurarla adeguatamente. L’impronta dell’uomo sulla Terra non ha risparmiato l’acqua e l’ha inquinata e sprecata, mentre gli effetti dei mutamenti climatici l’hanno resa una risorsa sempre più scarsa in alcune parti del mondo e incontrollabile e mortale in altre parti. Expo ha dedicato all’acqua un evento espositivo e convegnistico collaterale che si svolge proprio nella città italiana che vive sull’acqua, Venezia. Aquae Venezia 2015 si svolge in un nuovo padiglione polifunzionale realizzato per l’occasione, che resterà alla Città di Venezia anche dopo l’anno dell’Expo per accogliere fiere, esposizioni, eventi culturali e sportivi. Cuore dell’esposizione sarà una vasta sezione in cui verranno trattati – con proiezioni, schermi interattivi, esperienze multisensoriali – i temi legati all’ambiente e ai cambia-

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menti climatici. Un’intera sezione verrà inoltre dedicata al rapporto tra acqua e alimentazione.

La domanda mondiale di acqua

Il 22 Marzo di ogni anno si festeggia l’acqua. Nel 1992 le Nazioni Unite hanno istituito la giornata mondiale dell’acqua per sensibilizzare l’umanità ad un uso razionale di questa risorsa. Stati e Associazioni non Governative si adoperano nella divulgazione di buone pratiche tra la popolazione. Tuttavia, gli ultimi dati forniti dalle Nazioni Unite nel Rapporto “L’acqua per un mondo sostenibile” ci parlano di un pianeta in difficoltà che al 2030 dovrà affrontare un deficit di approvvigionamento idrico del 40%. Da qui nasce l’urgente necessità di modificare il modo in cui questa risorsa vitale viene gestita e utilizzata. “Le risorse idriche costituiscono un elemento chiave delle politiche per la lotta contro la povertà, ma a volte sono esse stesse minacciate dallo sviluppo. L’acqua influenza direttamente il nostro futuro, ed è per questo che dobbiamo modificare il modo in cui valutiamo, gestiamo e utilizziamo questa risorsa a fronte di una domanda costantemente crescente e del sovrasfruttamento delle acque sotterranee”, afferma Irina Bokova, Direttore Generale dell’UNESCO. Chiediamo sempre più acqua al nostro pianeta per soddisfare le

necessità di una popolazione in costante crescita e per utilizzarla in agricoltura e nel settore dell’energia. Da qui al 2050 l’agricoltura, settore con i più elevati consumi di acqua, dovrà produrre a livello globale il 60% in più di alimenti – il 100% in più nei Paesi in via di sviluppo. La domanda di prodotti industriali è anch’essa in aumento e comporta, a sua volta, un’ulteriore pressione sulle risorse idriche. Secondo le previsioni, tra il 2000 e il 2050 la domanda di acqua da parte dell’industria aumenterà del 400%. Tuttavia, al di là dell’impennata della domanda di acqua, con un incremento previsto pari al 55% entro il 2050, e malgrado il sovrasfruttamento che riguarda il 20% delle fonti globali di acque sotterranee, il cuore del problema sta nelle modalità non sostenibili di gestione della risorsa. L’irrigazione delle colture intensive, il rilascio incontrollato di pesticidi e sostanze chimiche nei corsi d’acqua e il mancato trattamento delle acque reflue – un problema che riguarda il 90% dei reflui dei Paesi in via di sviluppo - sono tutte concause della situazione attuale. Per questi motivi, il Rapporto sostiene la necessità di mettere in risalto il ruolo di una gestione globale dell’intero ciclo dell’acqua, piuttosto che concentrarsi esclusivamente sull’accesso all’acqua e ai servizi igienico-sanitari, occorre tenere conto di questioni di gover-


nance, qualità dell’acqua, gestione delle acque reflue e prevenzione dei disastri naturali.

Acqua malata

Nell’acqua vengono riversate molte sostanze che la inquinano e hanno ripercussioni sulla salute umana. Ad inizio anno, l’Ispra, l’Istituto Superiore per la Protezione dell’Ambiente, ha divulgato i dati riferiti al 2012 sulle sostanze trovate nelle acque superficiali e sotterranee italiane: ben 175 sostanze, tra erbicidi, fungicidi e insetticidi che, utilizzati sui terreni, si trasferiscono nei corpi idrici. Nelle acque superficiali, il 17,2% dei punti di monitoraggio presenta concentrazioni superiori ai limiti di qualità ambientali mentre nelle acque sotterranee i limiti risultano superati nel 6,3% dei punti analizzati. Un ulteriore dato rilevante è che nei campioni studiati, sono spesso presenti miscele di sostanze diverse: ne sono state trovate fino a 36 contemporaneamente. L’uomo, gli animali e l’ambiente sono, pertanto, esposti a un “cocktail” di sostanze chimiche di cui non si conoscono adeguatamente gli effetti, per l’assenza di dati sperimentali. Come segnalato anche dai comitati scientifici della Commissione Europea, il rischio derivante dall’esposizione a miscele di sostanze è sottostimato dalle metodologie utilizzate in fase di autorizzazione, che valutano le

singole sostanze e non tengono conto degli effetti cumulativi.

Stati Generali delle #acquepulite

In occasione degli Stati Generali delle #acquepulite, il Ministro dell’Ambiente Gianluca Galletti ha voluto presentare al pubblico, lo stato dell’arte delle acque italiane alla luce della Direttiva Quadro Europea in materia (2000/60). Galletti si è soffermato sulle criticità che gravano sui servizi erogati ai cittadini e ai sistemi produttivi. Il territorio italiano, è noto, ha infatti una densità abitativa che è il doppio della media europea; i bacini idrografici italiani sono particolarmente eterogenei, per cui si ha il grande bacino del Po e poi altri piccoli e piccolissimi bacini; l’acqua dolce ha una disponibilità molto scarsa sul nostro territorio a fronte di un prelievo elevato. Queste complessità, aggiunte al fatto che la fornitura idrica potabile proviene principalmente da acque sotterranee, fanno sì che in alcuni bacini idrografici il tasso di sfruttamento delle acque sotterranee superi la capacità di rinnovamento della falda stessa con contraccolpi negativi sull’ambiente e sulle attività produttive. La Direttiva 2000/60 dell’Unione Europea definisce il quadro normativo comunitario in materia di risorse idriche superficiali e sotterranee. La Direttiva impone entro il 2015 il raggiungimento del “buono stato” di qualità di tutti i corpi idrici nel territorio comunitario. In altri termini, ogni Stato membro

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deve organizzare un adeguato sistema di depurazione e adottare piani di gestione per conseguire gli obiettivi della Direttiva Quadro. Tuttavia è la stessa Unione Europea, attraverso la Commissione Europea e l’Agenzia per l’Ambiente, che prevede che gli stessi obiettivi prefissati saranno raggiunti solo per poco più della metà (53%) delle acque dell’Unione. Le stime sull’Italia prevedono che, dalle parole del Ministro, “il 36% dei corpi idrici superficiali e l’11% di quelli sotterranei non raggiungeranno l’obiettivo del ‘buono stato’ fissato per il 2015 dalla direttiva, ma piuttosto alla scadenza dei prossimi cicli di pianificazione, e cioè nel 2021 o nel 2027”. Occorre pertanto lavorare ancora molto in questa direzione. “È necessario - sostiene Galletti - incrementare l’efficienza delle misure di controllo dell’inquinamento. Al tempo stesso è indispensabile rendere efficiente la gestione delle risorse attuando finalmente le autorità di distretto e assicurando l’istituzione e la piena funzionalità degli Enti di Governo d’ambito”. Ricordiamo che l’Italia è già stata condannata dall’Unione Europea due volte per l’assenza di depuratori e impianti fognari, nel 2004 e nel 2009. Attualmente è stata aperta la terza procedura di infrazione.

Portale dell’Acqua

Il governo ha aperto un portale online www.acqua.gov.it in cui è possibile informarsi sullo Stato delle Acque in Italia, anche attraverso mappe interattive.

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Il Portale dell’Acqua è uno strumento efficace e immediato per conoscere lo stato delle infrazioni europee sulla depurazione, gli investimenti pubblici nel settore idrico, i gestori operativi nei Comuni italiani, i più recenti dati Istat sulle acque reflue, acque naturali, acque potabili e acque per l’agricoltura e l’industria. Grazie alle mappe interattive, la consultazione diventa estremamente pratica e permette di approfondire le tematiche che più interessano.

Dalla depurazione delle acque si può produrre energia

SOFCOM è un progetto finanziato dalla Commissione Europea, che ha come capofila il Politecnico di Torino e comprende dieci partner europei accademici e aziendali di sette Paesi. L’idea che sta alla base del progetto è quella di rendere produttivo dal punto di vista energetico un processo necessario, cioè la depurazione delle acque di scarico. Un processo che, applicando il procedimento messo a punto dal progetto, permetterà non solo di ottenere energia elettrica e calore, ma anche altri due “prodotti”: acqua pulita e il ri-fissaggio del contenuto di Carbonio del combustibile primario (biogas) in forma di biomassa (alghe) che può essere reimpiegata. La parola SOFC (Solid Oxide Fuel Cell) è riferita alla particolare tecnologia di celle a combustibile impiegata, ovvero le celle a combustibile ad ossidi

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solidi che funzionano a circa 800°C e che possono essere alimentate anche direttamente a gas metano o a biogas (come nel progetto SOFCOM). Le SOFC rappresentano la tecnologia più efficiente tra le varie tipologie di fuel cell disponibili. Il cuore del sistema del progetto è costituito infatti dalla cella combustibile a ossidi solidi che lavora ad alta temperatura e trasforma il biogas, prodotto dal processo bio-chimico finalizzato alla depurazione dalle acque di scarico che confluiscono nei

depuratori, in energia elettrica attraverso un procedimento elettrochimico a efficienza maggiore rispetto a quelli tradizionali basati su una macchina termica. Partendo dal biogas si procede alla separazione dello zolfo e di altri contaminanti, per poi avviare la reazione negli elettrodi di cella che permette di produrre energia elettrica ad alta efficienza (fino al 50% quando di solito a pari condizioni di taglia una macchina termica si attesta intorno al 30-35%). Il progetto SOFCOM prevede l’applicazione di questa cella ad altissima efficienza agli impianti di trattamento delle acque. Il prototipo torinese infatti è installato in uno di questi impianti, fra i più grandi d’Europa, che comportano flussi di acqua ricchi di nitrati e fosfati. Questi flussi di acqua vengono ripuliti con il passaggio in un foto-bio-reattore in cui si effettua la crescita di colture di alghe, che si nutrono di CO 2 recuperata dal processo oltre che di nitrati e fosfati. Quest’ultimo passaggio completa il processo, che parte da un combustibile rinnovabile come il biogas, produce energia elettrica di alta efficienza, permette il recupero del calore e utilizza la CO 2 per il trattamento delle acque.


Usare le acque depurate per produrre neve artificiale

Impiegare le acque depurate non solo per l’irrigazione, l’uso civile e quello industriale, ma anche per creare la neve artificiale. Così ha fatto Etra, l’azienda che gestisce il servizio idrico integrato e il servizio rifiuti nell’Altopiano di Asiago, a Bassano del Grappa e nella Provincia di Padova. La eco-neve, rientrante fra le “azioni virtuose” e le “buone pratiche per l’utilizzo razionale dell’acqua”, è stata decorata della medaglia del Presidente della Repubblica. L’idea parte dal fatto che è difficile innevare artificialmente l’Altopiano di Asiago con i metodi tradizionali a causa dell’insufficiente disponibilità di acqua, data l’assenza di corsi d’acqua superficiali abbondanti e il carattere carsico del suolo che non trattiene l’acqua e per l’impossibilità di utilizzare così tanta acqua potabile, visto che durante la stagione invernale il numero di utenti dell’acquedotto cresce enormemente e l’acqua viene pompata in verticale dall’Oliero sull’Altopiano coprendo quasi un chilometro di dislivello. L’uso delle acque depurate permette un notevole risparmio economico, grazie anche alla portata di scarico del depuratore, che permette di completare l’innevamento artificiale su tutto il comprensorio in una sola settimana.La neve derivante dall’acqua trattata è sicura dal punto di vista igienico essendo sottoposta a molti trattamenti, fra cui la debatterizzazione con raggi UVA. Si produce neve, dunque, con un metodo più economico, non invasivo per l’ambiente e continuativo, in un’area dove da mezzo secolo l’attività sciistica e quella turistica rappresentano la maggiore fonte di occupazione e di sviluppo.

La rete fognaria di Padova sarà smart

AcegasApsAmga ha vinto il premio Smau 2015 per il progetto di modellazione della futura “Rete fognaria smart” di Padova. Il progetto, unico in Italia nel settore dei servizi a rete per il livello di evoluzione tecnologica impiegata, permetterà di raggiungere il fondamentale intento di ridurre il pericolo di allagamenti in città. In un software dedicato saranno inseriti i dati utili per ricostruire la mappatura della rete, ovvero circa 3,5 milioni di parametri provenienti dai database di tutti gli enti che a diverso titolo entrano nell’autorità delle acque padovane. Successivamente i dati saranno incrociati con le informazioni provenienti da rilievi aerei a infrarossi, che forniscono le esatte altimetrie del terreno con precisione millimetrica e da rilievi diretti sul campo. Una volta terminate queste fasi, i tecnici saranno in grado di comprendere i motivi per cui un’area è più soggetta a rischio allagamenti (ad esempio, per le caratteristiche morfologiche del terreno, piuttosto che per un deficit della rete). Inoltre, essendo al corrente dei punti maggiormente critici del sistema fognario, i lavori di potenziamento della rete dei prossimi anni si potranno indirizzare secondo livelli di precedenza, ottimizzando gli investimenti.


A T T U A L I TÀ

Sacchetti di plastica: l’Europa si mette al passo con l’Italia Finalmente la legislazione europea in materia di shopper di plastica si aggiorna e fa un passo in avanti nei confronti dell’ambiente e delle generazioni future di Maeva Brunero Bronzin

È

stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale Europea il decreto che prevede restringimenti in materia di utilizzo di borse di plastica per la spesa. L’iter legislativo era iniziato nel 2013 e finalmente a fine aprile l’Europa ha sentenziato che gli shopper per la spesa in plastica devono essere limitati nel consumo. La plastica inquina troppo e dal momento che non tutta viene intercettata con la raccolta differenziata, molta viene dispersa nell’ambiente con danni ingentissimi per gli ecosistemi. Vogliamo ricordare, per dovere di cronaca, che proprio la plastica è la componente principale dell’immensa isola di rifiuti che naviga nell’Oceano Pacifico: un accumulo con dimensioni maggiori di alcuni Stati europei che si stima possa misurare da 700.000 km 2 fino a più di 10 milioni di km 2 ovvero tra lo 0,41% e il 5,6% dell’Oceano

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Pacifico. La plastica non è biodegradabile, ma subisce un processo di fotodegradazione che consiste nella autodisgregazione in pezzi sempre più piccoli fino alle dimensioni dei polimeri che la compongono. Queste piccolissime particelle di plastica vengono ingerite dalle specie animali ed entrano nella catena alimentare procurando danni immensi. È un dovere di tutti quindi cercare di inquinare meno cominciando da quando andiamo a fare la spesa. “Questa legislazione creerà una vera e propria situazione favorevole per tutti” ha detto Margrete Auken, relatrice del provvedimento al Parlamento Europeo. “Stiamo parlando di un problema ambientale immenso. Miliardi di sacchetti di plastica finiscono direttamente in natura come rifiuti non trattati. Danneggiano la natura, i pesci, gli uccelli, e dobbiamo fare i conti con tutto ciò”. I sacchetti di pla-

stica leggeri, più sottili di 50 micron ossia la stragrande maggioranza dei sacchetti di plastica utilizzati nell’Unione Europea - sono meno riutilizzabili rispetto ai modelli più spessi e diventano rifiuti più rapidamente. Sono quindi più soggetti a disperdersi nell’ambiente e a inquinare gravemente i corsi d’acqua e gli ecosistemi acquatici. Si stima che nel 2010 ogni cittadino europeo abbia utilizzato 198 sacchetti di plastica, di cui circa il 90% in materiale leggero. Il consumo dei sacchetti di plastica è destinato a crescere ulteriormente e, inoltre, i dati raccolti suggeriscono che, nel 2010, oltre 8 miliardi di sacchetti di plastica siano diventati rifiuti. Il consumo annuo di borse di plastica varia considerevolmente tra gli Stati membri, da 20 borse pro capite in Lussemburgo a oltre 400 in Bulgaria. Circa il 90% delle borse di plastica in materiale leggero


viene utilizzato in genere soltanto una volta. L’Europa ha sentenziato che gli obiettivi di riduzione saranno decisi da ogni Stato membro che valuterà se: • adottare misure per ridurre il consumo medio annuo di sacchetti di plastica a 90 sacchetti leggeri per cittadino entro il 2019 e a 40 entro il 2025; • oppure, garantire che, entro il 2018, i sacchetti leggeri non siano più forniti ai consumatori a titolo gratuito. Inoltre, la Commissione europea è tenuta a valutare e proporre misure adeguate per l’impatto ambientale delle materie plastiche oxo-biodegradabili che si frammentano in piccole particelle. Entro il 2017, la Commissione dovrà proporre l’etichettatura e la marcatura per un riconoscimento a livello europeo dei sacchetti di plastica biodegradabili e compostabili. L’Italia aveva già approvato a marzo 2012 una normativa specifica sulle borse di plastica. Infatti, il Parlamento italiano approvava la messa al bando dei “sacchi da asporto merci” in plastica, a meno che questi fossero biodegradabili e compostabili conformemente allo standard tecnico UNI EN 13432. Un plauso all’Europa arriva da parte dell’Associazione Italiana che rappresenta le imprese operanti, in Italia ed all’estero, nella produzione di polimeri biodegradabili e di prodotti finiti e nella gestione del fine vita dei manufatti realizzati con bioplastiche. Marco Versari, Presidente di Assobioplastiche, commenta così questo evento: “Con l’emanazione di questa direttiva noi italiani abbiamo diversi primati di cui andare orgogliosi. Siamo stati i primi, ben 9 anni fa, ad introdurre una normativa finalizzata a ridurre l’impatto dei sacchetti in plastica sull’ambiente; questa normativa è entrata definitivamente in vigore nel 2011 ed è stata implementata nel 2012, dettando le basi di un provvedimento legislativo europeo che non esito a definire epocale perché ha subordinato il mantra della libera circolazione delle merci ad ogni costo a quello della necessità di proteggere

l’ambiente, riducendo in maniera drastica la produzione di rifiuto plastico. Ma non solo. Questa direttiva rappresenta un grande passo in avanti anche per l’attuazione dell’economia circolare e per la ripresa dell’industria chimica europea, di cui le bioplastiche rappresentano uno tra i settori a più alto tasso di innovazione, in grado di creare nuova occupazione e di disegnare modelli di sviluppo che mettano fine alla “società del rifiuto” e della dissipazione delle risorse naturali, i cui limiti sono ormai sotto gli occhi di tutti. Contrariamente alle cassandre che hanno cercato di bloccare il provvedimento prefigurando il collasso di interi sistemi produttivi e la perdita di migliaia di posti di lavoro, oggi salutiamo questa direttiva come un grande risultato del nostro Paese, dei cittadini che hanno compreso le ragioni della legge rispettandola in pieno e di quegli operatori della GDO e del piccolo commercio che si sono adeguati alle nuove norme. Ora rimaniamo in attesa degli esiti delle indagini predisposte dalla UE sulle plastiche additivate di cui auspichiamo la messa al bando anche su tutti gli altri mercati europei così come già attuato in Italia”.

Gli shopper per la spesa in Italia: caratteristiche tecniche per essere in regola

Parliamo di vittoria italiana ma purtroppo dobbiamo fare i conti con gli italiani. Italiani che, come ha dimostrato Legambiente ad inizio anno, purtroppo hanno commercializzato shopper non conformi alla legge. Su 37 sacchetti per la spesa prelevati presso diversi punti vendita della Grande distribuzione organizzata in sette regioni, ben 20, pari al 54% del totale, sono risultati non conformi alla legge che ha messo al bando gli shopper non compostabili. È questo il risultato della campagna di monitoraggio organizzata da Legambiente, grazie al lavoro dei suoi circoli locali e comitati regionali, effettuata tra la fine di novembre 2014 e le vacanze di Natale per valutare il rispetto della legge, ormai in vigore da anni, che

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ha permesso all’Italia di mettere al bando i sacchetti di plastica che purtroppo però continuano ad essere ancora molto diffusi. Sono 5 le regioni dove sono stati prelevati i sacchetti non conformi alla legge: Campania (7 sacchetti), Basilicata (6), Puglia (3), Calabria (3) e Lazio (1). Per cercare di capire se quando andiamo a fare la spesa ci troviamo tra le mani un sacchetto illegale, vediamo quali caratteristiche deve avere un sacchetto conforme alla legge italiana? I sacchetti monouso biodegradabili e compostabili conformi alla legge, che possono essere tranquillamente utilizzati anche per la raccolta differenziata della frazione organica dei rifiuti, devono avere la scritta “biodegradabile e compostabile”; la citazione dello standard europeo “UNI EN 13432:2002” e il marchio di un ente certificatore che tutela il consumatore come soggetto terzo. Tutti i sacchetti che non riportano queste specifiche danno un’informazione sbagliata e non sono conformi alla legge. Il sacchetto compostabile rispetta la norma europea UNI EN 13432 “Requisiti per imballaggi recuperabili mediante compostaggio e biodegradazione – Schema di prova e criteri di valutazione per l’accettazione finale degli imballaggi”, che definisce le caratteristiche degli imballaggi compostabili o dei materiali che possono essere definiti tali, quindi che possono essere riciclati attraverso il recupero organico (compostaggio e digestione anaerobica). Un materiale plastico per essere definito compostabile deve rispettare le caratteristiche di biodegradabilità,

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capacità del materiale di essere convertito in anidride carbonica (CO 2), grazie all’azione di microrganismi,

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pari al 90% del totale da raggiungere entro 6 mesi (180 giorni); disintegrabilità, frammentazione e perdita di visibilità nel compost finale; la frazione visibile deve essere inferiore al 10% della massa iniziale; assenza di effetti negativi sul processo di compostaggio; assenza di metalli pesanti e assenza di effetti negativi sulla qualità del compost finale. La messa al bando della commercializzazione dei sacchetti non biodegradabili e non compostabili venne approvata nel dicembre del 2006 a seguito di un emendamento dell’allora senatore Francesco Ferrante alla legge finanziaria 2007 (n. 296/2006). Alla legge finanziaria 2007 sono seguite diverse norme, la principale delle quali (decreto legge n. 2 del 25 gennaio 2012, convertito nella legge n. 28 del 24 marzo 2012) ha ulteriormente definito i dettagli del bando. Gli unici sacchetti commercializzabili secondo l’art. 2 della legge n. 28 del 2012 sono: sacchi compostabili

monouso per l’asporto merci realizzati con polimeri conformi alla norma armonizzata UNI EN 13432:2002, secondo le certificazioni rilasciate dagli organismi accreditati; sacchi riutilizzabili realizzati in plastica tradizionale che abbiano la maniglia esterna alla dimensione utile del sacco e superiore a 200 micron se destinati all’uso alimentare e 100 micron se destinati ad altri usi; sacchi riutilizzabili realizzati in plastica tradizionale che abbiano la maniglia interna alla dimensione utile del sacco e spessore superiore ai 100 micron se destinati all’uso alimentare e 60 micron se destinati agli altri usi. Inoltre, per favorire il riutilizzo del materiale plastico proveniente dalle raccolte differenziate i sacchi riutilizzabili realizzati in plastica tradizionale devono contenere una percentuale di plastica riciclata di almeno il 30% per quelli ad uso alimentare e di almeno il 10% per gli altri usi (art. 2, comma 3 della Legge n. 28/2012).


Raccolta RAEE in crescita Le Regioni del Nord e del Centro trainano l’intera l’Italia nel recupero dei rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche di Bruno Vanzi

I

l Centro di Coordinamento RAEE ha presentato il “Rapporto Annuale 2014 sul Sistema di Ritiro e Trattamento dei Rifiuti da Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche in Italia”. Dopo il calo dello scorso anno, nel 2014 si è registrato un confortante aumento del 2,56% della raccolta dei RAEE gestita dai Sistemi Collettivi. La raccolta complessiva è stata pari a 231.717.031 kg, con un incremento di quasi 6 milioni di chilogrammi rispetto all’anno precedente e un dato medio pro capite pari a 3,8 kg di RAEE raccolti per abitante, in linea con l’obiettivo minimo previsto dalla normativa europea. In crescita dell’1% anche i centri di conferimento attivi sul territorio nazionale, che arrivano a quota 3.801, con un miglioramento del servizio a disposizione dei cittadini. Gian Luca Galletti, Ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, ha così commentato i dati presentati nel rapporto: “Il VII Rapporto annuale sul ritiro e il trattamento dei rifiuti elettronici in Italia presenta una

realtà del Paese che ha saputo raccogliere la sfida di un nuovo modello economico di sviluppo fondato sull’economia circolare. Sono dati incoraggianti, che indicano la giusta prospettiva con cui l’Italia e l’Europa devono guardare ai rifiuti: non più quella dello scarto, ma quella della rigenerazione e del riciclo. Lo smaltimento dei RAEE rappresenta oggi in Italia una scommessa vinta. Una sfida quotidiana, alla quale prendono parte grandi professionalità impegnate in questa filiera, ma che coinvolge tutti, a partire dai cittadini e dagli esercenti, che hanno contribuito alla sensibile diminuzione dei rifiuti elettrici ed elettronici riversati nelle strade e nelle discariche abusive. Nello studio del 2014 emerge un aumento della raccolta dei RAEE gestita dai sistemi collettivi e un dato positivo per quasi tutti i raggruppamenti di prodotto. Lo ritengo un risultato due volte rilevante: non solo per gli obiettivi raggiunti, ma perché il rapporto prende in esame i risultati di un anno ancora segnato profondamente dalla crisi economica

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che ha condizionato fortemente il mercato delle apparecchiature elettriche ed elettroniche. Il fatto che un’ulteriore contrazione generale dei consumi non abbia comportato una diminuzione dei rifiuti conferiti presso i sistemi collettivi, da una parte può essere interpretato come un primo segnale di ripresa, dall’altra dimostra un miglioramento complessivo del funzionamento della filiera ufficiale di smaltimento e una maggiore sensibilità del consumatore e dei rivenditori nel sottrarre queste apparecchiature ad un trattamento non conforme agli standard di legge, evitando così notevoli danni ambientali per la collettività”. Nel corso del 2014 sono state molte le novità che hanno interessato il comparto dei RAEE, a partire dall’entrata in vigore del nuovo Decreto Legislativo 49/2014, che ha introdotto nel nostro Paese alcune importanti novità nella gestione di questa tipologia di rifiuti, che si possono così sintetizzare: • estensione immediata dell’ambito di applicazione ai pannelli fotovoltaici, che diventano soggetti a tutti gli obblighi previsti dalla normativa sui RAEE. A partire dal 15 agosto 2018 verranno considerati RAEE tutti gli altri apparecchi elettrici ed elettronici per i quali non sia prevista una specifica esclusione; • nuovi obblighi per i produttori di AEE, che sono tenuti a: aderire a sistemi individuali o collettivi per la gestione dei RAEE; conseguire gli obiettivi minimi di recupero e riciclaggio previsti dalla legge; comunicare al Ministero dell’Ambiente l’ammontare del contribu-

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to necessario per adempiere agli obblighi di raccolta, trattamento, recupero e smaltimento dei RAEE; • obbligo di marcatura delle AEE immesse sul mercato, che dovranno riportare il simbolo del cassonetto barrato e gli estremi identificativi del produttore o il suo numero di iscrizione al Registro RAEE; • obbligo di ritiro 1 contro 0 dei RAEE domestici da parte dei grandi distributori. I consumatori possono consegnare gratuitamente i RAEE di piccole dimensioni – inferiori a 25 cm – presso i grandi punti vendita (oltre i 400 m2), senza alcun obbligo di acquisto; • nuovi obblighi informativi e di raccolta per chi vende prodotti tecnologici ed elettronici on line e a distanza; • inserimento di nuove regole e sanzioni che garantiscano controlli più incisivi per arginare i flussi di RAEE gestiti in maniera illegale; • aumento degli obiettivi di raccolta dei RAEE, che a partire dal 2016 dovranno essere pari come minimo al 45% delle apparecchiature immesse sul mercato, per poi salire al 65% a partire dal 2019. I dati del Rapporto rivelano una situazione diversificata all’interno del Paese: Nord e Centro sostengono la ripresa della raccolta complessiva, mentre Sud e Isole registrano ancora un segno negativo. Stessa situazione per quanto riguarda la raccolta pro capite, in crescita al Nord e al Centro, ma che registra un -3,79% nel Sud e Isole. Nelle Regioni del Nord la raccolta complessiva cresce in media del 3,73% rispetto al 2013 e solo Liguria

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e Valle d’Aosta registrano un segno negativo. Nel Centro Italia l’incremento della raccolta complessiva è maggiore rispetto alle altre aree e solo le Marche registrano un calo rispetto al 2013. Particolarmente significativo il +12,44% della Regione Lazio. Andando ad analizzare l’area Sud e Isole, spiccano i trend fortemente negativi della raccolta in Basilicata e Sicilia. Segnali positivi arrivano invece dalla Campania, che incrementa in modo significativo sia la raccolta complessiva sia quella pro capite. Nella classifica delle Regioni, la Valle d’Aosta si conferma anche quest’anno la più virtuosa d’Italia - nonostante il calo registrato nella raccolta complessiva - con una media pro capite di 7,8 kg/ab. Andando a guardare i valori assoluti, al primo posto in Italia troviamo la Lombardia, con oltre 49 milioni di kg di RAEE raccolti, dato in crescita del 5,42% rispetto allo scorso anno. Al centro Italia la Toscana si conferma al primo posto, con 20.277.847 kg di raccolta complessiva, pari a 5,41 kg/ab., mentre tra le Regioni del Sud e Isole il primo posto va alla Sardegna, con 5,38 kg/ab. Nelle ultime posizioni della classifica troviamo Puglia, Calabria e Sicilia, tutte ancora sotto i 2 kg/ab. di media pro capite, risultato di molto inferiore alla media nazionale e agli obiettivi di raccolta europei. “I dati 2014 mettono in luce ancora una volta come la raccolta pro capite sia più elevata laddove i cittadini hanno a disposizione un maggior numero di strutture in cui conferire i propri RAEE” ha commentato Fabrizio D’Amico, Presidente del Centro di Coordinamento RAEE. “Per raggiun-

gere gli ambiziosi obiettivi di raccolta stabiliti dalla normativa, sarà quindi necessario nei prossimi anni investire nella sensibilizzazione dei cittadini, nello smantellamento delle piccole e grandi barriere burocratiche alla raccolta, ma anche nell’apertura di nuovi centri di conferimento in tutto il territorio nazionale e in particolare nell’area Sud e Isole. Per tanti traguardi già raggiunti, ve ne sono ancora altrettanti per i quali il lavoro non è ancora cominciato, o procede a rilento, a partire da quel sistema di raccolta ‘Uno contro Zero’, per il quale si attende, da un anno esatto, un decreto attuativo che potrebbe far emergere i giacimenti di piccoli elettrodomestici non funzionanti che da anni gli italiani accumulano nelle proprie case”.


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L’anti-inquinamento marittimo 2.0 Innovativa piattaforma informatica per la gestione delle operazioni anti-inquinamento operativa nel porto di Taranto di Laura Veneri

I

l porto di Taranto è il secondo porto commerciale a livello italiano e il principale porto pugliese. Il traffico marittimo è notevole e un eventuale inquinamento del mare è sempre possibile. La Ecotaras è la concessionaria unica del servizio di prevenzione degli inquinamenti e di pronto intervento per la bonifica degli specchi acquei ed ambiti portuali del Compartimento Marittimo del Porto di Taranto. Tra le competenze della società vi è il controllo delle problematiche ambientali legate al traffico commerciale marittimo e alle immissioni in mare di corpi idrici e scarichi industriali che possono interessare l’intero bacino portuale. Le mansioni di Ecotaras sono quindi attività operative di prevenzione degli inquinamenti; vigilanza e monitoraggio di tratti di mare inseriti in aree sensibili (zone protette, industriali, con elevato traffico navale); sorveglianza attiva di operazioni potenzialmente a rischio ambientale (movimentazione di oli minerali e vegetali, sostanze polveru-

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lente, ecc.); interventi in emergenza dovuti ad incidenti navali (collisioni, incagli, affondamenti, perdite da canalizzazioni, tubature, colature in banchina, ecc.). L’attività di controllo ambientale per la tutela del mare e delle coste coinvolge anche la sicurezza della navigazione, la salvaguardia della vita umana in mare, la prevenzione incendi ed è in linea con la normativa nazionale e internazionale. Ecotaras si era posta l’intento di perfezionare la qualità dei propri servizi e di ottimizzare la gestione delle emergenze da inquinamento ambientale, mutando significativamente i processi precedenti che avvenivano con strumenti manuali e/o semiautomatici, lo scambio di fax, e-mail e comunicazioni via radio, con impatto negativo sull’efficienza ed efficacia degli interventi. Ecotaras ha quindi ritenuto opportuno dotarsi di uno strumento tecnologico innovativo, una piattaforma denominata MLV, che le permette di gestire in modo produttivo e valido i propri servi-

zi rappresentando al tempo stesso un vantaggio competitivo. La piattaforma MLV, sviluppata dall’azienda Cle di Bari, è uno strumento informatizzato di controllo e coordinamento delle attività dei mezzi e degli operatori distribuiti sul territorio, oltre che della struttura logistica di supporto. MLV raccoglie, aggrega ed elabora informazioni provenienti in tempo reale da chi opera sul territorio, introducendo, attraverso un potente ed indispensabile strumento informativo di supporto, la pianificazione, il controllo e il coordinamento delle attività svolte in prevenzione e in pronto intervento in merito a potenziali rischi ambientali rilevati. MLV oggi consente, quindi, di ottimizzare e rendere tempestivi gli interventi di mezzi, attrezzature e personale specializzato, fornendo uno strumento informativo necessario al coordinamento con le altre entità incaricate dei servizi di intervento. La piattaforma MLV, inoltre, risulta molto utile per la valutazione dei rischi diretti e correlati, riducendo la possibilità di ulteriori incidenti in itinere a seguito di carenza di coordinamento e/o informativa. In questo contesto svolgono un ruolo molto importante gli strumenti tecnologici di rilevazione e monitoraggio a supporto di chi si muove sul territorio (siano essi unità navali, auto, mezzi aerei, persone che si muovono a piedi, ecc.) o posizionate in postazioni fisse in grado di fornire dati derivanti anche dall’analisi delle informazioni video rilevate da telecamere o da sensori specializzati per il monitoraggio del territorio. L’introduzione di MLV ha permesso di ottimizzare l’utilizzo delle risorse a disposizione di Ecotaras nel-


la gestione degli interventi sia di prevenzione inquinamento che di pronto intervento per la bonifica a seguito di eventi accidentali. Francesco Argento, AD della Ecotaras, ha dichiarato che “esisteva una grande complessità di gestione di mezzi e uomini sia durante le fasi di intervento ordinario, sia nei casi critici; con MLV abbiamo raggiunto uno standard organizzativo efficiente in grado di darci in qualunque momento la situazione delle condizioni di intervento oltre a una costante valutazione delle risorse impiegate con un notevole vantaggio in termini di ottimizzazione di tempi e costi”. La piattaforma MLV è frutto di un lavoro di ricerca e sviluppo di oltre tre anni condotto da Cle. MLV è uno strumento unico per la sua capacità di raccogliere, aggregare ed elaborare informazioni provenienti in tempo reale da tutti gli attori coinvolti negli interventi di prevenzione e gestione emergenze dovute a incidenti con immissione in acqua di inquinanti. La piattaforma, che rispon-

de alle normative nazionali e internazionali per la gestione delle problematiche anti-inquinamento - tra cui quelle del Ministero dell’Ambiente, dell’International Marine Organization (IMO) e della European Maritime Security Agency (EMSA) - consente di gestire la complessa attività di controllo ambientale per la salvaguardia dell’ambiente marino, lungo le coste e in mare aperto, nonché in ambito fluviale e lacustre. MLV aggrega dati provenienti da strumenti installati sia sui mezzi di intervento, sia nelle stazioni di control-

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lo a terra; nello specifico telecamere ordinarie e a infrarossi/ultravioletti, stazioni meteo, servizi di controllo del traffico marino (AIS e VTS compresi). L’applicazione è ‘Web 2.0’, utilizzabile da desktop e apparati mobili e consente di ottimizzare e rendere tempestivi gli interventi di mezzi, attrezzature e personale specializzato, fornendo uno strumento informativo che permette di centralizzare, il più velocemente possibile, tutti i dati raccolti sul campo e di condividerli con i diversi attori coinvolti nelle operazioni di intervento.

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Novità rilevanti nell’Analisi di rischio Una panoramica sugli aggiornamenti introdotti negli ultimi mesi allo strumento di supporto essenziale dell’iter di bonifica di Olga Chitotti*

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al 2006, con l’entrata in vigore della parte IV del D.Lgs. 152/06, l’analisi di rischio è un passaggio chiave nell’iter decisionale per valutare se un sito è contaminato o non contaminato. In seguito il decreto correttivo D.Lgs. 4/08 ha modificato la definizione di punto di conformità e chiarito il criterio sull’accettabilità del rischio su singola sostanza e cumulato. Nello stesso anno, ISPRA con un gruppo di lavoro, che comprendeva ISS, INAIL, diverse ARPA, ha formulato la revisione 2 dei Criteri Metodologici per l’Applicazione dell’Analisi di rischio coinvolgendo nell’anno successivo anche Unione Petrolifera per la redazione dell’Appendice V, che prevede semplificazioni per l’effettuazione dell’analisi di rischio per i distributori di carburante. Dal 2009 al 2014 non ci sono state grandissime novità dal punto di vista tecnico normativo, fino alla redazione delle Linee Guida del MATTM realizzate nel Novembre 2014 quando il Ministero dell’ambiente ha pubblicato le Linee-guida per l’applicazione dell’analisi di rischio sito-specifica [1], con cui si consente a tutte le Amministrazioni, coinvolte nei procedimenti previsti dall’art. 252 del D.Lgs. 152/06, un approccio omogeneo sui temi inerenti all’analisi di rischio; di conseguenza, questo permetterà sia di accelerare le

attività di istruttoria sia di rafforzare le determinazioni assunte in sede di Conferenza di Servizi. Le linee guida sono state redatte da un gruppo di lavoro denominato “Linee guida analisi di rischio” che si è insediato il 22 luglio 2014 ed è stato costituito con esperti dei Ministeri della Salute e dello Sviluppo economico, delle Regioni, dell’ISPRA e delle Agenzie ambientali, dell’Istituto superiore di sanità e dell’INAIL. I temi considerati prioritari nella predisposizione delle linee guida sono stati: • definizione degli obiettivi di bonifica in presenza di CSR<CSC; • utilizzo dei dati di campo per la verifica dei risultati ottenuti con l’applicazione modellistica; • attivazione del percorso di lisciviazione in falda; • definizione degli obiettivi di bonifica in presenza di concentrazioni superiori alla concentrazione di saturazione (poi il testo originario delle Linee Guida è stato modificato con errata corrige [2]). Il risultato atteso è quello di dare un’interpretazione univoca a livello nazionale dei criteri decisionali da adottare su alcuni aspetti in cui la normativa non era chiara, favorendo l’insorgere di ricorsi a discapito dell’ambiente. Per risolvere l’impasse delle procedure, alcune regioni avevano adottato specifi-

che prassi o addirittura legiferato, causando una disparità di trattamento anche tra gli insediamenti della stessa società, localizzati in regioni differenti. Un’altra novità recente riguarda il ”Regolamento recante criteri semplificati per la caratterizzazione, messa in sicurezza e bonifica dei punti vendita carburanti” [3] emanato con il decreto del Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare 12 febbraio 2015, n. 31 (in Gazzetta Ufficiale del 23 marzo 2015, n. 68). Il DM 31/2015 è costituito da cinque articoli, seguiti da due allegati, il primo dei quali prevede la short list, indicativa e non esaustiva, dei parametri dei contaminanti da ricercare nelle aree interessate da attività di distribuzione carburanti, mentre il secondo prevede i criteri semplificati per l’applicazione dell’analisi di rischio alla rete carburanti. Per le finalità del Regolamento, sono stabiliti: a. i criteri di attuazione delle misure di prevenzione e di messa in sicurezza d’emergenza; b. le modalità di caratterizzazione delle aree; c. i criteri di applicazione dell’analisi di rischio sito-specifica, tenendo conto, in particolare, dell’ubicazione dell’area contaminata in funzione dell’effettivo scenario di esposizione e di rischio e delle aree limitrofe; d. i criteri di intervento per la messa in sicurezza e bonifica; e. criteri, modalità e termini dello svolgimento dell’istruttoria. Secondo le definizioni di cui all’articolo 2 del Decreto, il regime sem-

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plificato, in presenza di una situazione di inquinamento possibile o in atto, riguarderà gli interventi di caratterizzazione, la messa in sicurezza e bonifica dei punti vendita dei carburanti, che ricomprendono la porzione di territorio di limitata estensione, non superiore a 5000 m², interessata dal sedime o dalle pertinenze di un impianto di distribuzione carburanti, nelle diverse matrici ambientali interessate (quali il suolo, il sottosuolo e anche le acque sotterranee) e comprensiva delle

eventuali strutture edilizie e impiantistiche presenti (anche destinate alla commercializzazione di altri prodotti e agli interventi di ordinaria e minuta manutenzione e riparazione dei veicoli a motore). Nel caso in cui da interventi di prevenzione e messa in sicurezza derivi immediatamente il rientro dei valori di contaminazione sotto le CSC, il procedimento prevede esclusivamente un aggiornamento della comunicazione citata entro sessanta giorni, corredata da un’autocertificazione

dell’avvenuto ripristino. In caso contrario, il medesimo articolo 4, prescrive ulteriori interventi di bonifica e messa in sicurezza, previa presentazione alle autorità competenti di adeguato progetto unico di messa in sicurezza o bonifica, che dovrà essere approvato entro sessanta giorni, che descriva la situazione di contaminazione rilevata, gli interventi urgenti di prevenzione e messa in sicurezza d’emergenza, nonché le misure da adottare per riportare le contaminazioni ai valori di CSC ov-

I prossimi appuntamenti FAST, la Federazione delle associazioni scientifiche e tecniche, propone per i prossimi mesi un fitto calendario formativo su tematiche ambientali. AUTORIZZAZIONE INTEGRATA AMBIENTALE (AIA) Novità normative e approfondimenti tecnici ANALISI DI RISCHIO NELLE BONIFICHE E NELLE DISCARICHE Metodologie, modelli ed esercitazioni su casi studio LA DEPURAZIONE DEGLI SCARICHI INDUSTRIALI

16 - 18 giugno 2015 5 - 7 ottobre 2015

RIFIUTI, SOTTOPRODOTTI, CESSAZIONE DELLA QUALIFICA Come orientarsi tra depositi temporanei, ecotossici H14, test di cessione, riutilizzi di terre e rocce

19 - 20 ottobre 2015

DUE DILIGENCE AMBIENTALE: Aspetti assicurativi e di responsabilità civile e penale

28 - 29 ottobre 2015

TECNOLOGIE INNOVATIVE NELLA BONIFICA DELLA FALDA Sostenibilità, metodologie, dimensionamento ed esercitazioni su casi reali

18 - 19 novembre 2015

RESPONSABILITÀ SOCIALE D’IMPRESA Tecniche e Strategie

25 - 26 novembre 2015

Per ulteriori informazioni consultare il sito web www.fast.mi.it

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10 giugno 2015


vero, redatto l’elaborato di analisi di rischio, alle Concentrazioni Soglia di Rischio (CSR). E a questo proposito il DM 31/2015 prevede delle condizioni semplificate per l’analisi di rischio, che sono analoghe per gran parte a quanto riportato nell’Appendice V dell’ISPRA [4], prevedendo una caratterizzazione ragionata delle sorgenti di contaminazione, la valutazione della non attivazione del percorso lisciviazione, sostituito dal controllo al punto di conformità, e la verifica dell’inalazione indoor e outdoor tramite misure dirette di gas interstiziali in un piano concordato con l’ente di controllo territorialmente competente. Particolare rilevanza ha la possibilità di attivare il percorso di inalazione nel caso di presenza di altri bersagli entro 10 metri dalla sorgente di contaminazione: questo caso, soprattutto nell’eventualità di distributori carburante all’interno delle città, è un caso molto frequente. L’ingestione e il contatto epidermico sono esclusi dalla valutazione in presenza di pavimentazione che garantisca nello spazio e nel tempo l’interruzione di tali percorsi. Un altro elemento rilevante dell’ultimo periodo per l’analisi di rischio è la predisposizione della nuova Banca Dati ISSINAIL [5] del Marzo 2015, accompagnata dall’esplicativo Documento di Supporto [6], che ha presentato diverse novità. Una delle più sostanziali è quella del passaggio dell’etilbenzene da tossico a cancerogeno con uno Slope Factor che è circa un terzo di quello del benzene. Tale Banca Dati, assieme ad altre modifiche aggiuntive come il potenziale utilizzo del fattore beta per il soil gas [7], è stata implementata nella nuova versione del Software Risk-Net 2.0 [8], sviluppato nell’ambito della rete RECONnet (Rete Nazionale sulla gestione e la Bonifica dei Siti Contaminati) su iniziativa del Dipartimento di Ingegneria Civile e Ingegneria Informatica dell’Università di Roma “Tor Vergata”. Il software permette di calcolare il rischio e gli obiettivi di bonifica legati alla presenza di contaminanti all’interno di un sito, applicando la procedura APAT-ISPRA di analisi di rischio sanitaria (“Criteri metodologici l’applicazione dell’analisi assoluta di rischio ai siti contaminati”; APAT-ISPRA 2008) ed è diventato uno dei principali riferimenti per svolgere l’analisi di rischio dei siti potenzialmente contaminati in Italia.

MILANO • 23-25 SETTEMBRE 2015

La fiera internazionaLe DeDiCata a ChimiCa, strumentazione, ControLLo Di proCesso, sistemi Di automazione e impiantistiCa per L’inDustria e i Laboratori

*Responsabile Area Ambiente FAST

NOTE

[1]www.bonifiche.minambiente.it/contenuti/gruppi/ ADR/29706.18.11.14_TRI-VII.pdf [2] www.bonifiche.minambiente.it/contenuti/gruppi/ADR/Prot_2277_ STA_Errata_corrige_nota%2029706_TRI_Linee_guida_analisi_rischio. pdf [3] www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2015/03/23/15G00043/sg [4] www.isprambiente.gov.it/files/temi/appendice-v-100609.pdf [5] www.iss.it/binary/iasa/cont/Banca_dati_ISS_INAIL_Marzo_2015_FINAL_PR.xlsx [6] www.iss.it/binary/iasa/cont/Doc_supporto_banca_dati_ISS_INAIL_ Marzo_2015__FINAL_PR.pdf [7] www.reconnet.net/Docs/Risk-net%20ver%202/Manuale%20Risk-net. pdf [8] http://www.reconnet.net/Docs/Risk-net%20ver%202/Risk-net%20 2.0%20(beta%20version)%20setup.exe

organizzato da

in collaborazione con

in contemporanea con

www.chem-med.eu


S PE C I A L E

Energia dai rifiuti e compost di qualità Completato il revamping dell’impianto di trattamento rifiuti di albairate con l’inserimento della sezione di digestione anaerobica per la produzione di energia elettrica e termica di Maeva Brunero Bronzin

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resso l’impianto di compostaggio Ecoprogetto Milano di Albairate è stato portato a termine un progetto di revamping che ha previsto l’inserimento di una sezione di biodigestione anaerobica della frazione organica da rifiuto solido urbano. Tale trattamento permette di abbinare i vantaggi intrinseci del riutilizzo di materia con produzione di compost di qualità, al recupero di energia, sia elettrica sia sotto forma di calore. L’applicazione della digestione anaerobica al trattamento della frazione organica dei rifiuti solidi urbani (FORSU e/o sottovaglio) consente, infatti, sia di conseguire il recupero energetico attraverso l’utilizzo del biogas prodotto durante il processo di bio-digestione che di ottenere, mediante il processo di compostaggio del digestato, un prodotto stabilizzato da impiegare come ammendante


organico in agricoltura o per ripristini ambientali. La prima convenzione per la realizzazione dell’impianto di compostaggio di Albairate risale all’ottobre del 1997, successivamente, viste anche le indicazioni normative volte ad indurre il sistema di gestione dei rifiuti ad attuare strategie tese al riciclo ed alla valorizzazione energetica, al fine di minimizzare lo smaltimento in discarica, nel 2011 venne richiesta ed ottenuta l’autorizzazione per il revamping dell’impianto entrato poi in funzione nel dicembre del 2013. Il 23 maggio scorso siamo stati presso l’impianto di Albairate per l’inaugurazione dell’impianto che è stato ricostruito a seguito dell’incendio che lo scorso anno ha completamente distrutto la sezione del compostaggio. Attualmente l’impianto ha una capacità autorizzata è di 70.000 tonnellate/anno e si sviluppa su un’area di 40.000 m 2 dove vengono prodotti energia e compost attraverso il trattamento di rifiuti provenienti dalla raccolta differenziata. Francesco Codato, responsabile tecnico dell’impianto di Albairate ha spiegato il funzionamento e le tecnologie adottate precisando come l’impianto sia classificato come impianto per la produzione di energia da fonti rinnovabili. Partendo quindi da mate-

riali di scarto, che sarebbero destinati in discarica con conseguenti costi di smaltimento, si ottengono dei benefici importanti per l’ambiente nonché dei ritorni economici. Si tratta in effetti di un impianto integrato perché oltre all’attività di recupero svolge un’attività complementare, ma non secondaria, di produzione di energia elettrica e termica. Integrato quindi perché lavora su due processi diversi che sono processi di stabilizzazione della sostanza organica e concorrono entrambi all’ottenimento del risultato finale che è il recupero di materia con la produzione di compost. In aggiunta poi la digestione anaerobica permette la produzione di biogas composto da metano e anidride carbonica in una miscela di circa 60% metano e 40% anidride carbonica. La costruzione dell’impianto integrato è avvenuta in due step: prima è stato realizzato l’impianto di compostaggio, che negli anni ‘90 rappresentava la migliore tecnologia per il processo di recupero di rifiuti, poi è stata implementa la sezione di digestione anaerobica e durante questa fase è stata anche ampliata l’area di ricevimento e di pretrattamento dei rifiuti. La prima fase è un pretrattamento per rendere idoneo il rifiuto alle suc-

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cessive fasi di degradazione, poiché è necessario separare le parti non degradabili che sono sempre presenti anche quando, come nel caso in esame, la raccolta differenziata è di ottimo livello. La digestione anaerobica viene fatta con impianti a umido e prevede quindi che la frazione organica venga trasformata in una soluzione pompabile in quanto il processo ha luogo all’interno di due reattori da 4.500 mc ciascuno riscaldati ad una temperatura intorno ai 37/38°C per attivare il processo biologico e la produzione di biogas. La tecnologia per la digestione biologica scelta è quella più facile da controllare, con miglior resa in termini di produzione di biogas e migliori risultati nella fase di stabilizzazione e controllo degli aspetti ambientali. Il biogas viene estratto ed avviato alla sezione di cogenerazione per la produzione di energia elettrica e termica. Completata la fase di digestione anaerobica il liquido dai reattori viene disidratato al fine di separare la frazione solida che viene destinata a compostaggio. Il mix da compostare è costituito da tre flussi: il flusso del digestato proveniente dalla sezione di digestione, il materiale ligneo cellulosico e il sovvallo di ricircolo (frazione legnosa grossolana non

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decomposta). Il materiale ligneocellulosico, generalmente costituito da sfalci e ramaglie, rappresenta un ingrediente fondamentale al fine di condurre un processo di compostaggio ottimale, in quanto in grado di evitare che il materiale in biocella si comprima impedendo all’aria di penetrare e passare al suo interno. In questa fase il materiale viene inserito all’interno di 6 biocelle che adottano la tecnologia Ladurner, dotate di sistemi innovativi che permettono di recuperare l’aria esausta, deumidificarla, e ricircolarla, ottimizzando in questo modo i costi energetici del processo e garantendo altresì la tenuta stagna della biocella evitando quindi la dispersione di odori all’esterno. Durante il processo aerobico il materiale sviluppa anche calore contribuendo all’igienizzazione del rifiuto stesso. Il compostaggio nelle biocelle dura circa 9 giorni dopodiché si passa alla fase di maturazione, che ha una durata più lunga rispetto alle precedenti poiché ha la funzione di stabilizzare definitivamente il materiale. Questa fase avviene all’interno di capannoni, piuttosto grandi proprio per consentire una permanenza più lunga del rifiuto trattato. Segue infine la raffinazione che permette di recuperare il sovvallo costituito dal legno che non è stato digerito dai microrganismi e che può quindi essere reimmesso nel ciclo fino a che

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non si consuma diventando anch’esso compost. Il prodotto ottenuto dal processo è un ammendante compostato misto liberamente utilizzabile in agricoltura e conforme a quanto previsto dall’All. 2 del D.Lgs. 75/2010. Il processo di produzione dell’energia passa attraverso l’estrazione del biogas dai reattori al gasometro dove il gas viene stoccato per poi essere trattato in due linee di trattamento prima di essere avviato ai motori. La prima linea permette di rimuovere i solfuri all’interno di una torre di lavaggio mentre la seconda consente di

rimuovere l’umidità in eccesso all’interno di appositi chiller. Il biogas depurato viene quindi avviato a due motori Jenbacher da 985 kW di potenza elettrica che consentono di produrre 16 milioni di kW/h annui. Questi motori oltre a produrre energia elettrica producono calore che verrà recuperato installando un apposito sistema di recupero che consentirà anche di avviare una fase, inizialmente solo di monitoraggio, di produzione di biometano. I gas prodotti dai motori vengono trattati mediante post combustore in modo da garantire che le emissioni in uscita siano in linea con i limiti previsti dalla normativa. La sezione motori è contenuta all’interno di container dotati di numerosi sistemi di controllo tra cui anche il controllo remoto della sezione. Va evidenziato infine come tutte le aree di lavoro siano mantenute in depressione e che tutto quanto viene aspirato è sottoposto a trattamento mediante biofiltri. Questi sono composti da uno strato filtrante costituito da uno spessore di materiale vegetale, tipicamente frammenti di legno, all’interno del quale si innescano dei processi biologici che permettono di eliminare gli odori dai flussi di aria che lo attraversano.

L’IMPIANTO Tecnologia utilizzata:

digestione anaerobica mesofila a umido

Tipologia di rifiuti trattati:

FORSU e frazione vegetale

Capacità Autorizzata:

70.000 t/anno

Produzione lorda di biogas:

900 – 1.000 m3/h

Unità di cogenerazione:

2 motori Jenbacher JGS 416 da 985 kW elettrici

Energia elettrica producibile:

16.000.000 kW/h anno

Energia termica recuperabile:

2.000 kW/h (al netto autoconsumi di processo)

Ammendante compostato 15.000 t/anno misto (All. 2 D.Lgs. 75/2010):


“Barattoli, scatolette, tappi, secchielli, fusti e bombolette....Oltre a proteggere e conservare in modo sicuro i prodotti, sono riciclabili al 100% e all’infinito! Per questo ti chiediamo di separare gli imballaggi in acciaio dal resto dei rifiuti contribuendo al loro riciclo, ottenendo così nuova materia prima per la realizzazione di binari ferroviari, lamiere per auto o navi, pentole, biciclette… Chiedi al tuo Comune le informazioni sulla raccolta differenziata degli imballaggi in acciaio oppure visita il sito www.consorzioricrea.org.

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P A NO R A M A

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Il cuore della Svezia è in Romagna Porte Aperte Volvo nella sede di Carmi Spa a Castel Bolognese, in provincia di Ravenna di Maria Beatrice Celino

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na bella giornata di sole ha accompagnato il pubblico e la stampa in occasione della due giorni dedicata a Volvo e alla Carmi, storico concessionario Volvo. Dopo il salone Intermat, in cui i visitatori hanno potuto ammirare le macchine Volvo in fiera, è toccato ai fans italiani toccare e provare le macchine Volvo sul campo prove dedicato. L’entourage italiano di Volvo ha inoltre presentato in conferenza stampa le ultime strategie di mercato di Volvo Construction Equipment e Volvo Penta in Italia. A fare gli onori di casa è stato Severino Sangiorgi, titolare di Carmi Spa, che ha ringraziato Volvo e ha annunciato che Carmi è diventato Concessionario anche per Volvo Penta: nuovi orizzonti e nuovi mercati, come quello agricolo, che motiveranno ancor di più la squa-

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dra Carmi, presente al completo al Porte Aperte. Alla conferenza stampa hanno preso la parola Stefano Tacchinardi, Amministratore Delegato di Volvo Construction Equipment Italia e Giacomo Mondini, Sales Manager Industrial Engine VE Italy - AB Volvo Penta Italia che hanno spiegato le ultime strategie che la casa svedese intende mettere in atto. Maggiore vicinanza al cliente, maggiore presidio del territorio, maggiore offerta nel settore del noleggio e, perché no, maggiori quote di mercato. Ma andiamo con ordine. Tacchinardi ha illustrato la struttura Volvo in Italia, che è di tipo misto con quattro filiali a Milano, Udine, Roma e Livorno che gestiscono sia la vendita che l’assistenza e due filiali a Treviso e Bolzano che gestiscono solo la vendita. Il resto delle zone dell’Italia è affidato ai concessionari, la cui rete è in fase di espansione: tra aprile e maggio sono state acquisite Comai per il Piemonte, la Val d’Aosta e la Liguria e BM Macchine per le province di Parma, Reggio Emilia, La Spezia e parte di Massa Carrara; inoltre entro l’anno è previsto un altro ingresso. A supporto della squadra, operano inoltre officine

autorizzate in varie parti d’Italia. Un altro dato riguarda l’implementazione del settore del noleggio di Volvo Rents, un comparto strategico nell’attuale congiuntura economica, con la definizione di un parco macchine di 50 unità (35 in sostituzione e 15 in ampliamento). Sempre più clienti, infatti, si rivolgono al noleggio sia per coprire urgenze tempestive di aumento di lavoro, sia perché è difficile per molti avere la possibilità di accesso al credito da parte delle banche. Ma l’obiettivo più ambizioso della casa svedese è ritagliarsi nuove fette di mercato. Volvo parte già in vantaggio, dal momento che è sul podio in Italia come vendite tra le macchine movimento terra, ma i numeri che dichiara Tacchinardi sono grandi: il proposito è quello di raggiungere il 30% del mercato nei dumper articolati e nelle pale gommate, il 15% negli escavatori cingolati e migliorare nelle macchine compatte. Ma le cifre non sono enunciate a caso e Volvo intende recuperare quote di mercato sia nel settore delle costruzioni sia promuovendosi principalmente nel settore agricolo, dove si aspetta di poter vendere un numero interessante di macchine nel medio periodo, calcolato nei prossimi tre anni. Gli fa eco Mondini, il quale ribadisce l’intenzione di Volvo di crescere nel settore delle macchine non targate e nel settore agri, grazie anche


e soprattutto a Volvo Penta. La giornata è poi proseguita con le macchine in movimento nel campo prove. Una selezione delle migliori macchine movimento terra a disposizione per essere guardata da vicino, toccata e soprattutto testata. A fare da cornice un buffet in continuo che ha allietato gli ospiti Volvo, con un occhio di riguardo ai più piccoli. La passione, si sa, inizia da bambini e gli uomini Volvo hanno saputo infonderla nei visitatori più piccoli grazie ad aree a loro dedicate. Chi ha avuto la possibilità di essere presente, ha potuto ammirare dai piccoli escavatori fino ai grandi dumper. Presente un’assortita panoramica dell’offerta degli escavatori: ECR 50 D, ECR 145, EC 300 E, EC 550 D, EC 380 E, EC 480 E, EW 160E, EC220 E. Il nuovo EC 220 E, che deriva dal precedente modello della serie D e offre garanzia di potenza e affidabilità, è stato provato sul campo da numerosi “curiosi”, così come il EC 380 E che lavorava al suo fianco. Tra le pale spiccavano la

L35 G e la L 150 H, il nuovo modello dotato di tecnologie che consentono una riduzione del consumo di carburante. Infine la parte da protagonista l’ha fatta il dumper A30G, tra i più pic-

coli della gamma dumper ma pur sempre un interessante mezzo da osservare al lavoro mentre sinuosamente si muoveva su e giù per la collinetta tra gli escavatori al lavoro.


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un gioco di squadra vincente Tre realtà che collaborano insieme per crescere ancora di Maria Beatrice Celino

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li anni passano e sono poche le aziende italiane che commercializzano macchine e impianti mobili di cui continuiamo a sentire parlare. Tra queste troviamo Impianti Industriali, Oricom e Orimec, tre aziende che hanno messo in pratica un modello di aggregazione per affrontare in prima linea il mercato. Questa collaborazione è stata toccata con mano dai visitatori all’open house organizzato i primi di maggio presso la sede di Brembate. Un’occasione in cui è stato possibile ammirare nel campo prova le macchine commercializzate. Impianti Industriali nasce nel 1983 grazie alla lungimiranza dei due soci fondatori Angelo Orini e Sergio Confortini, a cui sono succeduti Marco Orini, Lucio Barcella e Ennio Dedè. Ad oggi l’azienda si occupa di commercio e noleggio di impianti mobili per la vagliatura e la frantumazione e dal 1995 l’impresa è distributore ufficiale del marchio Terex Powerscreen, con una presenza importante in tutto il nord Italia. Inoltre, Impianti Industriali fornisce ricambi e assistenza per tutte le macchine delle aziende Pegson e Powerscreen. Dal 2009, oltre alla vendita, effettua anche la vendita e il noleggio di vagli e frantoi mobili oltre alla vendita di macchinari usati. Dal 2012 l’azienda distribuisce anche il marchio Telestack, una delle principali ditte costruttrici di nastri trasportatori cingolati nel mondo. La sede storica dell’azienda, localizzata a Dalmine, in provincia di Bergamo, attualmente è utilizzata come sede commerciale e di rappresentanza di Impianti Industriali e di Oricom, concessionario di zona per alcuni dei più prestigiosi marchi a livello mondiale quali Kubota, Power-

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screen, Telestack, Simex e Cangini. La riparazione delle macchine e il magazzino dei ricambi sono affidati alla Orimec, altra società del network di imprese gestite dagli stessi soci. La Orimec ha il compito di gestire in modo completo l’assistenza e la vendita dei ricambi delle macchine sia per Impianti Industriali che per altre realtà del settore. L’attuazione di tale divisione è stata concepita per agevolare la gestione di vendita dei prodotti da parte dell’impresa stessa. Oggigiorno unire le forze di più imprese e riuscire a creare un solo riferimento che riesca a mantenere una quantità di lavoro elevata permette all’azienda di essere più solida e offre maggiore garanzia al cliente. È proprio per questo motivo che Impianti Industriali, Orimec e Oricom sono tre realtà distinte ma connesse, ognuna costituisce un importante tassello di un progetto più grande. Negli ultimi anni, con il nuovo assetto societario, inoltre, sono stati fatti importanti investimenti sui macchinari per garantire un’offerta in linea con le ultime novità del mercato. Essendo presenti in Lombardia, la maggior parte del lavoro si svolge nel Nord Italia, ma non solo. Il punto di forza dell’azienda si è rivelato nella scelta di non radicarsi in un unico territorio circoscritto ma di operare in gran parte d’Italia. Le loro macchine si possono trovare da Piombino a Terni, passando per il Piemonte e il Veneto. Avendo una fitta rete di collaborazioni esterne è più facile per una struttura snella, come quella di Impianti Industriali, allargare i propri orizzonti. L’azienda presenta un’ampia gamma di impianti e macchine diverse che sono in grado di soddisfare le richieste del cliente. Nell’at-

tuale scenario, Impianti Industriali è una delle più grandi aziende che si occupa della commercializzazione e del noleggio di prodotti per la frantumazione e la vagliatura, con oltre trenta macchinari presenti. Il mercato della frantumazione e vagliatura è sostanzialmente di nicchia ma con professionalità, competenza e serietà l’azienda è riuscita a crearsi una realtà positiva all’interno del mercato. Negli ultimi anni si è assistito ad un notevole incremento di utilizzo di impianti mobili, fattore dovuto in parte alla morfologia del territorio Italiano, in cui è più semplice agevolare l’utilizzo di impianti mobili rispetto agli impianti fissi, anche se la gestione a livello normativo è sempre più complessa e l’intero processo di recupero e riciclaggio di materiali è reso difficile da norme e burocrazia. “In Italia ci sono numerose problematiche nel campo della demolizione e del riciclaggio, come l’apertura di cave fisse che deturperebbero il territorio quando invece si avrebbe la possibilità di evitarlo attraverso l’uso di impianti mobili” sostengono i soci di Impianti Industriali. L’utilizzo dei frantoi mobili, inoltre “riesce a diminuire l’inquinamento ambientale rispetto ad un impianto fisso poiché l’impianto viene situato direttamente nell’area del cantiere evitando il continuo via vai dei mezzi per l’invio del materiale in cava”. La nostra visita si conclude con una speranza che guarda al mercato con ottimismo perché “in Italia è arrivato il momento di concludere i numerosi processi che consumano inutilmente il suolo e bisogna iniziare a demolire le costruzioni ormai inagibili per poi ricostruire edifici ecosostenibili”.


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P R O GRES S

Miscele plastiche per il nuovo terminal container del porto di Napoli Le miscele Solidur Erdbeton completano la vasta gamma di miscele plastiche autoindurenti Solidur, ampiamente utilizzate in Italia nell’ultimo decennio di Mauro Ganora*

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l progetto, commissionato dall’Autorità Portuale di Napoli, prevede la rivalutazione dell’attuale Darsena di Levante grazie alla realizzazione di una serie di opere imponenti, trasformando la Darsena a Terminal Container e creando contemporaneamente una banchina principale lunga 670 m e una cassa di colmata confinata verso mare con doppio palancolato metallico e verso terra con diaframma plastico in pali CSP (cased secant piles). In tale cassa di colmata verranno refluiti i sedimenti provenienti dal dragaggio

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dei fondali dell’area portuale di Napoli per una volumetria pari a 1 milione di mc. Il dragaggio sarà un’operazione necessaria per consentire l’ormeggio di navi porta-container di ultima generazione con pescaggio di circa 17 m. Superata la fase di prequalifica oggi siamo operativi presso il porto di Napoli nel cantiere dell’ATI Trevi S.p.A. – Cooperativa C.C.C. La prima fase dei lavori prevede, oltre al barrieramento verso mare con palancolato e alla formazione della nuova banchina, il confinamento della Dar-

sena di Levante tramite una parete plastica impermeabile, realizzata con pali trivellati secanti (tecnologia Trevi CSP) di diametro 1000 mm a una profondità massima di 28 m, gettati con calcestruzzo plastico a base di Solidur Erdbeton. Questo prodotto è stato scelto sia per la bassissima permeabilità ottenibile (in prequalifica si sono registrati valori di k=7x10 -12 m/s utilizzando gli aggregati reperibili in loco) sia per la nota resistenza alle aggressioni chimiche del prodotto, e non ultimo per la mancanza di fenomeni di segregazione nel calcestruzzo (consistenza S5) nonostante l’elevata percentuale di bentonite presente in formula, necessaria per ottenere una bassa permeabilità. A seguito di 35 prove di permeabilità in cella triassiale, effettuate dal laboratorio certificato Tecno IN S.p.A. di Napoli sul CLS plastico prelevato in cantiere in fase di getto, si è ottenuto un valore medio k=6,93x10 -11 m/s con un valore massimo k max =9,81x10 -11 m/s e un valore minimo k min =2,15x10 -11 m/s. Anche le prove in foro tipo slug test effettuate su un palo a maturazione ultimata hanno confermato valori di permeabilità molto ridotti, con k medio pari a 1x10 -11 m/s. La superficie totale del diaframma plastico in realizzazione è di circa


18.500 mq, sviluppati realizzando oltre 1000 pali ad interasse di 700 mm. Il volume totale di calcestruzzo plastico utilizzato sarà di circa 21.000 mc. Il completamento del diaframma è previsto per settembre 2015, a compimento degli 11 mesi necessari alla realizzazione dell’opera. Oltre alle diverse migliaia di metri cubi di calcestruzzo plastico previste per la messa in sicurezza del sito tramite confinamento con barriera impermeabile, verranno prodotti altri 60.000 mc circa di calcestruzzo ordinario per la realizzazione della nuova banchina e per le opere accessorie. Vista l’imponenza dell’opera e l’ubicazione particolare del cantiere, praticamente in pieno centro del capoluogo campano, la Servizi Industriali srl fornitrice dei calcestruzzi ha installato nell’area di cantiere un modernissimo impianto di betonaggio. L’impianto è dotato di un mescolatore forzato a doppio albero orizzontale, ideale per l’otte-

Caratteristiche delle miscele plastiche solidur erdbeton Con Solidur Erdbeton si realizzano calcestruzzi plastici impermeabili miscelando il prodotto in centrale di betonaggio con aggregati di adeguata granulometria (preferibilmente 0-8 mm). Un calcestruzzo plastico viene utilizzato quando è necessario ottenere densità molto elevate, pari a circa 1.800÷2.000 kg/m3, non raggiungibili con le normali miscele plastiche autoindurenti, senza compromettere le prestazioni di bassissima permeabilità e mantenendo una deformazione mediamente ≥ 1%. L’utilizzo dei calcestruzzi plastici a base di Solidur Erdbeton è indicato soprattutto in caso di formazione di diaframmi molto profondi realizzati in due fasi, dove, per la posa dal basso verso l’alto del calcestruzzo tramite tubo di getto, è necessario avere un prodotto ad elevata densità per sostituire il fango bentonitico dello scavo del diaframma, senza effetti di miscelazione dei due materiali. Solidur Erdbeton può anche essere utilizzato nel caso in cui ci siano terreni di natura sabbiosa o poco consistenti con falde in movimento, per evitare il dilavamento del setto impermeabile appena realizzato e sostenere al meglio lo scavo. I primi test di qualificazione delle miscele Solidur Erdbeton sono stati effettuati in Italia presso l’Università Politecnica delle Marche, testando in parallelo anche calcestruzzi plastici tradizionali. A seguito degli ottimi risultati ottenuti, l’impresa Trevi S.p.A. ha autorizzato l’utilizzo del prodotto presso un campo prove a Cesena dove è stato raggiunto il nuovo record mondiale in profondità (-250 m) durante uno scavo di schermi impermeabili. In questo caso lo scavo del pannello è stato eseguito con un’idrofresa costruita appositamente dalla società Soilmec S.p.A. Il calcestruzzo gettato, a base di Solidur Erdbeton, oltre a garantire bassissimi valori di permeabilità (k=5x10-11 m/s) ha mantenuto una perfetta omogeneità, senza subire effetti di segregazione e separazione, nonostante le notevoli pressioni a quelle profondità, come hanno dimostrato i carotaggi a quota -250 m.

nimento di miscele omogenee e, nel caso del calcestruzzo plastico, ottimo per ottenere un prodotto senza la minima presenza di grumi. In assenza del mescolatore forzato, bi-

sognerebbe infatti procedere con un particolare ciclo di carico: la metà degli aggregati e del Solidur dovrebbero essere inseriti contemporaneamente “a secco” in autobetoniera, poi verrebbe aggiunta l’acqua d’impasto, infine bisognerebbe ripetere un secondo ciclo come descritto a completamento del carico e miscelare per ulteriori 20 minuti il prodotto oltre al tempo standard previsto per calcestruzzi ordinari. Questa particolare procedura di carico, frutto dell’esperienza Dyckerhoff, garantisce l’assenza di formazione di grumi, che con ciclo di carico standard sarebbero generati dalla presenza rilevante di bentonite nel mix design. La seconda fase dei lavori, ancora da appaltare, comprenderà il riempimento dell’attuale darsena tramite la realizzazione di una cassa di colmata, il getto della piattaforma in calcestruzzo strutturale che andrà a formare il nuovo piazzale di circa 230.000 mq con fronte banchina di 670 m per l’ormeggio delle navi, e l’installazione di tre nuove gru per la movimentazione di 1 milione di container/anno, raddoppiando così il traffico attuale. Nella riqualificazione complessiva del sito sono previsti anche nuovi collegamenti stradali, autostradali e ferroviari. *Buzzi Unicem S.p.A.

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un esempio di economia circolare in provincia di treviso contarina Inaugura due impianti per il trattamento dei rifiuti: dalla valorizzazione del rifiuto da raccolta differenziata al riciclaggio dei prodotti assorbenti di Laura Veneri

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ontarina e Treviso sempre più all’avanguardia nel settore del riciclaggio rifiuti e della tutela ambientale. Tra la fine di febbraio e la fine di marzo, l’azienda che serve i Comuni della Provincia di Treviso, ha infatti inaugurato due nuovi impianti che le permettono l’autosufficienza nel settore del trattamento dei rifiuti.

L’impianto per la valorizzazione dei rifiuti riciclabili

Il primo impianto ad essere inaugurato a fine febbraio è stato l’impianto per la valorizzazione dei rifiuti riciclabili derivanti da raccolta differenziata. L’impianto di valorizzazione permette la separazione e selezione diretta e scrupolosa delle frazioni solide di rifiuto (carta, cartone, vetro, plastica, metalli ferrosi e non, ingombranti) provenienti dalla raccolta differenziata svolta nei 50 Comuni serviti da Contarina, ottenendo così materiale prezioso che potrà essere recuperato e avviato a riciclo per creare nuovi prodotti. “Con la realizzazione di questo nuovo impianto – ha detto il presidente di Contarina Spa Franco Zanata – otterremo innanzitutto vantaggi e risparmi di natura logistica, potendo trattare “in casa” materiale che prima doveva invece essere portato a impianti di pre-trattamento fuori provincia. Ciò consente di raggiungere una maggiore autonomia gestionale, con una forte ottimizzazione dei costi. Infine – ha concluso Zanata – l’impianto chiude il cerchio nel sistema Contarina di valorizzazione del materiale raccolto

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attraverso il porta a porta: poter gestire direttamente la prima fase di lavorazione significa infatti selezionare il rifiuto da valorizzare in funzione di ciò che viene maggiormente richiesto dal mercato dei materiali riciclabili. Inoltre grazie al nuovo impianto avvieremo sperimentazioni per la selezione e lavorazione di materiali di scarto che oggi non hanno nessuna valorizzazione, aumentando in maniera virtuosa le quantità di materiali da avviare a recupero”. La struttura è stata realizzata presso l’esistente polo impiantistico di trattamento e recupero dei rifiuti di proprietà di Contarina, utilizzando parte delle vecchie baie di compostaggio non più utilizzate. L’impianto si sviluppa in un’area di 9.300 m², mentre le tre tettoie di stoccaggio coprono una superficie di 3.500 m². Per la realizzazione della struttura Contarina ha sostenuto un investimento complessivo di 4 milioni e 400mila euro che

prevede di ammortizzare nei prossimi 6 anni. La struttura permette la cernita e la selezione dei rifiuti esclusivamente non pericolosi, principalmente plastica, metalli, non metalli, carta e cartone, vetro, assimilati, ingombranti, indumenti usati. Nell’impianto si svolge un’attività di pretrattamento dei rifiuti che consiste in tre fasi: selezione, riduzione volumetrica e differenziazione. L’impianto è autorizzato a trattare complessivamente 52.740 tonnellate all’anno di rifiuti ed è costituito da tre linee di lavorazione, ognuna identificabile da un colore distintivo che richiama i colori dedicati ai sacchi o ai contenitori della raccolta differenziata. Ogni linea di selezione è stata progettata mantenendo sempre presente il concetto di massima flessibilità impiantistica e massimo controllo automatico del processo. La Linea 1 è dedicata alla selezione di plastiche, vetro e metalli derivanti dal-


la raccolta differenziata multi o mono materiale. I quantitativi di materiale in ingresso che l’impianto può trattare possono essere così definiti: • 6.000 t/anno; 19 t/giorno di multimateriale leggero (plastica, metalli non ferrosi); • 12.000 t/anno; 38 t/giorno di multimateriale pesante (plastica, vetro, metalli ferrosi e non); • 1.800 t/anno; 6 t/giorno di imballaggi in plastica monomateriale. Carta-cartone e indumenti sono lavorati nella Linea 2. L’impianto può trattare su questa linea 77 t/giorno di carta e cartone (23.740 t/anno) o 5 t/giorno di indumenti (1.500 t/anno). Infine la Linea 3 è destinata alla selezione e riduzione volumetrica dei rifiuti ingombranti. I quantitativi di materiale in ingresso che l’impianto può trattare corrispondono a 7.700 t/anno (24 t/giorno). Al termine dell’attività di cernita, il materiale selezionato viene pressato e confezionato in balle a forma di parallelepipedo che vengono stoccate sotto tre tettoie di nuova realizzazione, costruite nell’area adiacente al capannone. Su queste strutture è stato installato un impianto fotovoltaico per la produzione di energia elettrica per una potenza pari a 300 kW.

L’impianto di riciclaggio dei prodotti assorbenti

L’impianto, nelle parole del Presidente Franco Zanata, “è un fondamentale passo in avanti nella sfida che ci siamo posti di riciclare il non–riciclabile”. L’innovativo impianto, infatti, consente di riciclare pannolini, pannoloni e altri prodotti assorbenti per la persona, ricavandone plastica e cellulosa di elevata qualità, le cosiddette ‘materie prime seconde’ da riutilizzare in nuovi processi produttivi. L’impianto è stato realizzato nell’ambito del progetto Recall co-finanziato dall’Unione Europea e in collaborazione con Fater SpA (azienda leader nella produzione di prodotti assorbenti per la persona), il Comune di Ponte nelle Alpi (primo in Italia ad aderire all’iniziativa) e l’Istituto di Ricerca Ambiente Italia. “Partecipare a questo importante progetto a livello europeo – continua Franco Zanata - è la prova concreta dell’impegno che Contarina sta portando avanti per attuare processi sempre più avanzati di differen-

ziazione, migliorando i livelli di recupero del materiale riciclabile. In questo caso ci siamo spinti oltre, arrivando a riciclare anche quei prodotti considerati ‘non-riciclabili’ come i pannolini, da cui possiamo ancora recuperare cellulosa e plastica”. Il sistema, basato su una tecnologia innovativa sviluppata e brevettata, ricicla i prodotti assorbenti per la persona usati, separando plastica e cellulosa sterilizzate da riutilizzare come materie prime seconde. Si tratta di un’innovazione tecnologica e di un sistema “Made in Italy. La sperimentazione presso l’impianto di Spresiano prevede il trattamento di 1.500 tonnellate annue di rifiuto con un risparmio di 1.950 metri cubi di materiale in discarica e una riduzione delle emissioni di anidride carbonica nell’aria di 618.000 kg/anno. A regime l’impianto sarà in grado di trattare fino a 8.000 tonnellate di rifiuti all’anno, servendo una popolazione di 800mila persone. I prodotti conferiti nell’impianto vengo-

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no stoccati e poi trasferiti, attraverso un sistema di nastri trasportatori, nel cuore tecnologico del processo costituito da un’autoclave. Qui attraverso la forza del vapore a pressione e senza combustione, vengono aperti, sterilizzati e asciugati. Completato il ciclo in autoclave, i prodotti assorbenti vengono dapprima lacerati, quindi le loro componenti riciclabili sono separate attraverso un sistema meccanico a 3 stadi: da una parte plastica, dall’altra cellulosa. Queste nuove materie prime seconde, di elevata qualità, potranno essere utilizzate in nuovi processi produttivi. Le plastiche che si ottengono dal processo sono adatte ad essere utilizzate nei principali processi tipici della lavorazione della plastica. La frazione organico-cellulosica può essere utilizzata per varie applicazioni, come: prodotti assorbenti per animali domestici, carte di elevata qualità, prodotti tessili (viscosa e rayon) e materiali refrattari.

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Asse stradale zara-expo Porte aperte al cantiere che collega il centro di milano con l’esposizione universale di Bruno Vanzi

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rande affluenza al porte aperte del Gruppo Claudio Salini, organizzato in partnership con il Gruppo Donzelli e Elios Srl il 20 aprile scorso per presentare, in anteprima, l’avanzamento lavori del lotto 1B dell’asse stradale Zara - Expo, uno dei collegamenti più strategici per la città di Milano, anche in funzione

Il sottopasso in numeri • Calcestruzzo impiegato: 45.000 m³ • Acciaio per c.a. impiegato: 4.000 tonnellate • Pali ad elica continua tipo CSP: 8.500m • Quantità diaframmi in c.a. tradizionale: 5.500 m2 • Messa in sicurezza di emergenza dei gas interstiziali presenti nei terreni (MISE) dell’area denominata ex-cava Triboniano: 120.000 m2 • Terreno asportato: -Smaltimento terreni contaminati area Barzaghi: 133.000 m³ -Scavi di sbancamento imbocchi e monoliti: 69.700 m³ • Sviluppo complessivo del sottopasso: 414 m • Peso dei monoliti a spinta: -concio 1: 2.230 ton -concio 2: 1.850 ton -concio 3: 2.835 ton

dell’Esposizione Universale. L’intervento si inserisce infatti tra le opere infrastrutturali chiave per Expo 2015 poiché l’asse viario Zara – Expo sarà, infatti, una tra le strade più importanti per Milano durante e dopo l’Esposizione Universale che collegherà il sito espositivo con la parte Est della città e permetterà sul lato Ovest di intercettare il traffico proveniente dalle autostrade, dalla tangenziale e dalla strada Molino Dorino. “Un’infrastruttura molto articolata e complicata da gestire – commenta l’ing. Claudio Salini – soprattutto con la linea RFI Milano–Torino in funzione e senza creare disagi agli utenti. Proprio per l’esperienza e la professionalità che ci distingue da dieci anni nell’esecuzione di importanti opere infrastrutturali sia in Italia che all’estero, Metropolitana Milanese ci ha affidato l’esecuzione di questo progetto. Chi ha visitato il cantiere oggi ha, infatti, visto in azione lo “spingi-tubo” per spostare il monolite, tecnica utilizzata per mitigare gli effetti ambientali e per il superamento di rilevati ferroviari e stradali,

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come in questo specifico caso”. I lavori della Zara-Expo, avviati nel mese di maggio 2014, hanno un valore complessivo di circa 40 milioni di euro. Per la realizzazione dell’opera sono attivi oltre 100 operai. “Grazie a questo intervento – conclude l’ing. Salini – abbiamo contribuito alla preparazione della città volta ad accogliere i milioni di visitatori attesi da maggio e ottobre, per quello che sarà un evento di grande portata, nonché un’occasione irripetibile per il nostro Paese e soprattutto per il Comune di Milano, al quale resterà comunque in eredità anche per il futuro”.

L’opera

Il Progetto riguarda la realizzazione della viabilità di collegamento ZaraExpo, sita nel territorio del Comune di Milano, nodo strategico per Expo 2015 e non solo. In particolare sono oggetto di intervento: • il collegamento della viabilità extraurbana al sito Expo 2015; • il potenziamento della viabilità della parte Nord di Milano;

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la riqualificazione paesaggistica. Più precisamente, ci troviamo all’interno del Lotto funzionale 1B, la cui realizzazione consentirà il raggiungi-

mento del sito espositivo Expo 2015, dalla porta Est, grazie ad un sistema di collegamento all’accessibilità extraurbana. L’attuale via Stephenson è sta-

ta ridisegnata, nel tratto che conduce verso est, mediante l’inserimento di uno svincolo a due livelli che consentirà di gestire sia i flussi da e per il sito espositivo, che quelli verso le aree poste fra il sedime ferroviario e il Cimitero Maggiore. Si avranno due corsie per ogni senso di marcia nel tratto Ovest, che si divaricheranno progressivamente in prossimità dello svincolo. Le due più esterne resteranno a raso per raggiungere lo scavalco dell’autostrada A4 e da qui il sito espositivo; le due più interne scendono per sottopassare il fascio dei 13 binari ferroviari e raggiungere la rotatoria nei pressi di via Barzaghi. La connessione tra le rotatorie ai limiti del lotto – quella a Nord Est su via Stephenson e quella a Sud Ovest nei pressi di via Barzaghi – è, infatti, realizzata mediante due separati monoliti a spinta, da cui le distinte carreggiate, risalendo verso via Barzaghi, convergeranno in un tratto a carreggiata unica a doppio senso di marcia. Questa parte è al tempo stesso la più delicata e la più importante poiché consentirà di connettersi alla viabilità

Gestione Ambientale Grandi Opere Grazie all’esperienza dei fondatori della società in attività di recupero, smaltimento rifiuti e progettazione di soluzioni tecnologiche, Elios s.r.l. è oggi una realtà in grado di operare su diversi scenari in campo ambientale ed è specializzata nella gestione dei rifiuti derivanti da interventi ambientali di riqualificazione urbanistica, di risanamento di tracciati ferrotranviari e di messa in sicurezza di aree portuali, attività spesso realizzate in condizioni di elevata criticità. In occasione della visita al Cantiere Zara Expo abbiamo avuto modo di parlare con il Geom. Bussatori, Direttore Generale, il quale ci ha spiegato il ruolo di Elios e soprattutto della divisione Gestione Ambientale Grandi Opere all’interno di cantieri come quelli dell’Expo di Milano. Geom. Bussatori ci può spiegare che cos’è la Gestione Ambientale Grandi Opere e come è nata questa divisione?

Geom. Dante Bussatori, Direttore Generale Elios s.r.l.

La Gestione Ambientale Grandi Opere è una divisione nata nel 2005 che ha come principale scopo quello di affiancare l’esecutore dell’opera infrastrutturale nella gestione della componente ambientale, un aspetto che per molti anni è stato trascurato e che spesso, purtroppo, lo è ancora oggi. Tra le prime realtà in Italia che hanno compreso l’importanza di avere in cantiere uno specialista ambientale troviamo proprio il gruppo SALC Spa che fa capo all’Ing. Claudio Salini, con cui oggi siamo qui a presentare quest’opera. In passato, e ancora adesso è una pratica diffusa, venivano scelte come partner imprese con competenze nel settore ambientale ma dotate principalmente di una struttura progettuale o consulenziale. Ciò fa sì che necessariamente per la parte operativa sia necessario farsi affiancare da altre imprese che però non sempre hanno le giuste competenze. Un’azienda che proviene dal movimento terra e si avventura nella gestione degli aspetti ambientali spesso rischia di commettere gravi errori perché non dispone di strumenti o competenze adeguate. In quest’ottica riteniamo che il ricorso alla divisione Gestione Ambientale Grandi Opere sia la soluzione ideale poiché, inserisce un partner operativo in cantiere preposto alla gestione dei rifiuti con l’utilizzo di proprie risorse tecniche e personale qualificato (quindi diventando produttore o detentore del rifiuto, con piena manleva di responsabilità) e con propri spazi attrezzati, consentendo all’impresa appaltatrice di dedicarsi completamente alle proprie attività con maggiore produttività e meno imprevisti. Quindi si tratta di una sorta di braccio operativo ambientale dell’impresa ma con un’autonomia propria rispetto al gruppo che si occupa della costruzione? Esatto, un team operativo che ha un ruolo proprio e definito nel cantiere, al pari della società di gestione della sicurezza o di vigilanza. Le imprese costruttrici hanno bisogno di un partner che parli il loro stesso linguaggio dal punto di vista operativo, che conosca le esigenze di avanzamento dell’opera, che sia dotato di macchine proprie adeguate ai lavori, evitando il ricorso all’outsourcing, e che abbia una propria struttura solida. Elios, all’interno dei vari team, ha più persone con diversi patentini e qualifiche per

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esterna, facendo confluire il traffico proveniente dalla tangenziale Ovest, dalla A4 e dalla A8. Per contenere l’impatto ambientale dell’intervento sono state previste sistemazioni a verde da realizzarsi in affiancamento alle sedi viabili. L’intervento ricucirà il tessuto urbano consolidato fra l’area a ridosso delle autostrade (Lotto 1A) e il sito espositivo, attraverso la composizione di un linguaggio coerente con le realizzazioni nelle aree ad est (Largo Boccioni). Il miglioramento dell’accessibilità viaria e la relativa sistemazione delle aree contigue al sedime stradale si innesterà nel processo costante di riqualificazione dell’area, che vede il recente insediamento di strutture terziarie nella stessa a ridosso delle autostrade e della trasformazione prevista dall’evento Expo 2015. I lavori, affidati da Metropolitana Milanese SpA con contratto d’appalto del 19 maggio 2014 al Gruppo Claudio Salini in ATI con DAF Costruzioni Generali ed Elios, hanno un valore di 28.695.107,16 euro per una durata di 820 giorni.

utilizzare il più elevato numero di macchinari in ambiti diversi come scavi di bonifica, scavi archeologici, scavi di bonifica bellica, scavi in galleria con presenza di rocce amiantifere, demolizioni controllate, dragaggi ambientali, terre armate, consolidamenti, etc. Questa è un’ulteriore risorsa per il cantiere perché nel caso si riscontrasse la necessità di eseguire interventi particolari e di emergenza noi diamo la garanzia di poter intervenire. Ci può raccontare le vostre attività legate all’EXPO? Siamo stati il primo gruppo operativo ad arrivare in EXPO. Sull’Appalto di Rimozione Interferenze per conto della CMC di Ravenna abbiamo iniziato i lavori il 4 febbraio 2012 e li abbiamo conclusi il 10 aprile di quest’anno. In questi tre anni abbiamo effettuato la bonifica dei terreni nelle aree perimetrali, la bonifica da amianto compatto oggetto di abbandoni e sugli edifici nel perimetro dell’opera, la bonifica dei canali presenti sull’area, abbiamo realizzato il nuovo reticolo idrico superficiale, le demolizioni controllate di edifici e manufatti e, attraverso l’Appalto Quadro EXPO, dal marzo 2014, anche lo scavo delle aree di fondazione dove sono successivamente nati i padiglioni dei paesi espositori, per un totale sui vari appalti di 724.000 tonnellate di rifiuto rimosso. L’azienda in questo caso ha effettuato sia attività specialistiche che generaliste, a dimostrazione della sua duttilità. Anche nel cantiere Zara Expo stiamo dando prova della nostra polivalenza infatti abbiamo all’opera 35 operai che stanno eseguendo attività puramente edili ma all’interno di un cantiere in procedura di bonifica, a fronte di un’istanza della Provincia di Milano che, in questi casi, richiede la presenza in cantiere di personale specializzato. La polivalenza nelle varie attività specialistiche richieste dai cantieri è sempre stata il nostro punto di forza, ci permette non solo di eseguire interventi di bonifica ambientale di terreni contaminati, ma anche di completare la gamma di attività di nicchia richieste da un cantiere infrastrutturale. In questo senso eliminiamo la problematica per il cliente di dover affidare un cantiere a più imprese poiché il nostro team è competente nella gestione dell’intera attività.

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Tempi da record per il nuovo impianto TMB inaugurato a peccioli l’impianto di trattamento del rifiuto indifferenziato che seleziona e stabilizza il materiale da avviare in discarica di Maria Beatrice Celino

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alla volontà del Comune di Peccioli per occuparsi della gestione di un impianto di smaltimento rifiuti sul territorio comunale, nel 1997 è nata Belvedere S.p.A, che col tempo ha diversificato la propria attività occupandosi oggi anche di produzione di energia da fonti rinnovabili. Nel corso degli anni, consapevole dei cambiamenti legislativi e sociali in materia di gestione dei rifiuti, Belvedere ha presentato più volte agli enti competenti la richiesta di autorizzazione per realizzare un impianto di trattamento e selezione dei rifiuti da affiancare all’impianto di smaltimento. Grazie poi alla Circolare Ministeriale emanata nel 2013, con la quale veniva condizionato il conferimento in

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discarica di tutti i rifiuti rendendo obbligatorio un trattamento preventivo, il primo settembre 2014 il Presidente della Giunta regionale ha emanato l’ordinanza con cui sono stati modificati gli strumenti regionali di programmazione designando Peccioli come uno dei luoghi dove realizzare un impianto di questo tipo. Il 10 settembre 2014 Belvedere ha quindi presentato alla provincia di Pisa e agli enti competenti il progetto preliminare del nuovo impianto di trattamento meccanico biologico destinato ad effettuare una selezione meccanica del rifiuto urbano indifferenziato per estrarne il materiale riciclabile e ad effettuare il processo di biostabilizzazione della frazione organica derivante dal sottovaglio del rifiuto urbano indif-

ferenziato. L’iter autorizzativo è quindi proseguito con la presentazione del progetto definitivo (9 ottobre 2014), la richiesta di autorizzazione integrata ambientale (16 ottobre 2014) ed infine il 13 novembre 2014 la conferenza dei servizi presso la Provincia di Pisa hai espresso parere favorevole alla realizzazione dell’impianto TMB autorizzandone l’installazione e l’esercizio. Un mese dopo già iniziavano i lavori che si sono conclusi il 16 maggio 2015 con la cerimonia di inaugurazione del TMB, poco più di 8 mesi dopo la presentazione del progetto alla Provincia.

L’IMPIANTO

L’impianto installato a Peccioli è un impianto TMB, che esegue quindi due lavorazioni, una meccanica e una biologica. Il rifiuto indifferenziato in ingresso all’impianto, dopo la fase di accettazione per la verifica e la registrazione dei documenti di trasporto, viene pesato e quindi scaricato nelle apposite aree in attesa di essere alimentato all’impianto di pretrattamento.

Il trattamento meccanico

Con una pala gommata viene caricata la tramoggia da 60 mc che trasferisce il rifiuti su un nastro trasportatore che alimenta la linea di triturazione a vagliatura. Ogni carico ha una durata di circa 20 minuti, nel primo passaggio il rifiuto viene triturato da diverse lame che aprono i sacchetti e riducono la pezzatura del materiale a 15-20 cm, in modo da ottimizzare il trattamento della fase


successiva. Il rifiuto in uscita dal trituratore, passa infatti su un altro nastro trasportatore che alimenta il vaglio rotante, il cui tamburo è dotato di fori di 10 cm di diametro che separano nelle due linee il sottovaglio (frazione passante dai fori) e il sopravaglio (la frazione di dimensioni maggiori). Dopo la vagliatura entrambe le linee passano attraverso separatori magnetici e separatori a induzione che consentono di eliminare dai rifiuti le frazioni metalliche ferrose e non ferrose. La fase di trattamento meccanico si conclude quindi con l’avvio a recupero della frazione metallica, l’avvio a smaltimento del sopravaglio, che rappresenta all’incirca il 40% del totale, e

l’avvio alla fase di trattamento biologico del sottovaglio.

Il trattamento biologico

Il materiale fine selezionato dalla fase di trattamento meccanico dopo la deferrizzazione viene destinato alla biostabilizzazione. L’impianto dispone di 13 biocelle all’interno delle quali si ricrea e si accelera il processo naturale di degradazione dalle sostanze organiche, attraverso la regolazione dell’umidità, della temperatura e della presenza di ossigeno. 11 biocelle sono destinate alla lavorazione del sottovaglio mentre 2 sono dedicate al trattamento della FORSU proveniente dai sistemi di raccolta differenziata presenti sul territo-

rio. Ogni cella, realizzata in cemento armato, è lunga 25 metri e larga 10, con un’altezza di circa 7 metri e dispone di una copertura realizzata con speciali teli filtranti semipermeabili che consentono di trattenere il 90% delle emissioni odorigene generate dai processi di biodegradazione, in modo da ridurre al minimo l’impatto sulle aree circostanti. Il pavimento, sempre in c.a., è dotato di un sistema di aerazione che consente l’insufflaggio di aria all’interno dei rifiuti in modo da garantire l’omogenea ossigenazione dei cumuli. La prima fase di degradazione viene poi seguita da un ciclo di igienizzazione che dura circa 3 giorni durante il quale avviene una fermentazione accelera-

ENTSORGA ITALIA E LE BIOCELLE TURTLE Q-RING® Per il compostaggio e/o la biostabilizzazione di grandi quantità di organico o rifiuti e per evitare l’utilizzo dei biofiltri, Entsorga ha unito la tecnologia delle biocelle a quella dei teli Q-Ring® dando vita alle biocelle Turtle Q-Ring®. La realizzazione di questo prodotto deriva dalla sempre crescente necessità del mercato che richiede un sistema economico, di rapida installazione e adattabile a diverse esigenze impiantistiche. La sezione di telo traspirante è una produzione Entsorga che per tale sistema può vantare numerose applicazioni e referenze. Particolare ed essenziale è la copertura della biocella Turtle Q-Ring® sorretta da centine in INOX. Tale copertura, realizzata con l’utilizzo di due diversi tipi di materiale, una parte centrale semitraspirante e una bordatura esterna in polietilene armato, è costituita da un particolare telo (Q-RING®) che confina il materiale all’interno della biocella e tratta le arie esauste di processo abbattendo le emissioni odorigene prima del rilascio in atmosfera. Grazie all’azione della membrana semipermeabile le arie di processo vengono così depurate del 90% dal carico odorigeno, riducendo al minimo l’impatto derivante dall’attività di trattamento del rifiuto. L’ossigenazione del materiale in trattamento consente di sviluppare l’attività biologica ossidativa necessaria e determinante per la degradazione della sostanza organica fermentescibile contenuta nel rifiuto. Al termine del processo il materiale risulterà stabilizzato, con basso contenuto di umidità e con impatto odorigeno sensibilmente ridotto a garanzia di un decremento dell’impatto ambientale. Per info www.entsorga.it

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ta, con un incremento di temperatura a 55°-60°C, che permette di eliminare batteri e microrganismi patogeni impedendo lo sviluppo di larve e insetti. Infine si arriva alla stabilizzazione del rifiuto, verificata attraverso la misura dell’Indice Respirometrico, ottenendo così un materiale privo di odori e con un bassissimo contenuto di umidità. Completata questa fase il rifiuto viene disposto in discarica. L’impianto di biostabilizzazione è attrezzato con un sistema di controllo automatico che permette di verificare costantemente la temperatura all’interno di ogni biocella regolando puntualmente la portata del sistema di ventilazione in modo da garantire che ciascuna fase del processo di degradazione avvenga nelle condizioni ottimali. Il sistema permette inoltre di registrare i dati di ciascun ciclo di trattamento fornendo agli operatori le informazioni necessarie per gestire l’impianto correttamente. Dalla raccolta del rifiuto al termine della lavorazione trascorrono indicativamente dai 21 ai 28 giorni.

L’ITER AUTORIZZATIVO 1997

Nasce Belvedere S.p.A.

Dal 2006 al 2012

Presentate agli enti 6 richieste di realizzazione per l’impianto di trattamento

6 agosto 2013

Emanata la Circolare Orlando che rende obbligatorio il pretrattamento dei rifiuti prima del conferimento in discarica

1 settembre 2014

La Regione Toscana emana l’Ordinanza n.1 applicativa della Circolare Orlando

10 settembre 2014

Belvedere SpA presenta agli enti il progetto preliminare dell’impianto

9 ottobre 2014

Belvedere SpA presenta agli enti il progetto definitivo dell’impianto e la relativa richiesta di Autorizzazione Integrata Ambientale

16 ottobre 2014

L’impianto viene approvato dalla Conferenza dei Servizi

13 novembre 2014

Emessa la Determina Dirigenziale di autorizzazione all’installazione e all’esercizio dell’impianto

I LAVORI 18 novembre 2014

Inizio lavori

Febbraio 2015

Lavori di sbancamento e preparazione

Marzo 2015

Posa in opera dei muri prefabbricati delle biocelle

Aprile 2015

Innalzati i 22 piloni che sosterranno i 4.000 mq di copertura sopra l’area di selezione Completamento della muratura delle biocelle Preparazione della platea in c.a. dove verranno posizionati i macchinari della linea di vagliatura

Maggio 2015

Posizionamento dei macchinari della linea di selezione Copertura delle biocelle e dell’area di selezione

16 maggio 2015

Inaugurazione impianto di Belvedere

HITESCA FORNISCE LE PALE HYUNDAI PER L’IMPIANTO TMB DI PECCIOLI Hyundai Heavy Industries, leader industriale mondiale, produce macchine movimento terra dal 1985 e in questi anni di intensa attività commerciale è riuscita a creare una rete distributiva capillare che conta più di 500 distributori in 140 paesi e a tagliare il traguardo del mezzo milione di macchine vendute. Hyundai, per meglio seguire il mercato europeo, dal 1995 ha stabilito la propria sede in Belgio per gestire la distribuzione di macchine, la fornitura di ricambi e i servizi di assistenza. Hitesca s.r.l., con sede a Pontenure (Piacenza) è distributore “full liner” del marchio dal 2002 e come partner commerciale di Hyundai non si limita alla pura commercializzazione delle macchine ma fornisce, già in sede di vendita, una valutazione delle necessità della clientela circa le esigenze di utilizzo, finanziarie e di copertura assistenziale. Belvedere S.p.a. ha recentemente concluso l’acquisto di due pale gommate Hyundai HL 730-9A da impiegare nell’impianto di pretrattamento TMB di Peccioli (Pisa). Le pale Hyundai, equipaggiate con motori conformi alle ultime normative vigenti in materia di rumorosità ed emissioni, garantiscono durata e affidabilità e soddisfano pienamente le esigenze dell’operatore in termini di confort, facilità d’uso, manovrabilità e manutenzione. Nella versione standard montano motori Cummins, filtro DOC (diesel oxidation catalyst), trasmissioni ZF completamente automatiche e idraulica Rexroth-load sensing-flow sharing. La cabina è conforme alle normative ROPS/FOPS insonorizzata e pressurizzata e garantisce un ampio spazio, un sedile ergonomico, una miglior visibilità e uno schermo LCD per la visualizzazione delle impostazioni ed il sistema di autodiagnosi. Le pale Hyundai sono complete di HI-MATE, il sistema di gestione remota che, avvalendosi della tecnologia satellitare GPS, permette di verificare le prestazioni, l’ubicazione e di accedere ai dati diagnostici a distanza mediante connessione internet. Per meglio rispondere alle esigenze di impiego dei mezzi all’interno dell’impianto TMB, Hitesca ha proposto la versione “XTD” extended completa di benne da 4 m3 di capacità per materiali leggeri. Tale modello è dotato infatti di bracci di maggior lunghezza rispetto alla versione standard che consentono un’altezza di scarico dei materiali movimentati più elevata.

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Un lavoro svolto con la massima pulizia DISMISSIONI IMPIANTISTICHE ALL’INTERNO DELLO STABILIMENTO RECKITT BENCKISER ITALIA DI MIRA di Francesco Mangani*

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o stabilimento Reckitt Benckiser di Mira ha origini nel lontano 1831 quando venne impiantata a Mira una fabbrica di candele steariche, che in seguito rivolse la sua produzione anche a quella di acido solforico. Nel 1880 la fabbrica, oltre alle candele, produceva già 1.200 tonnellate annue di sapone e dava occupazione a 130 persone. Fu solo al termine della prima guerra mondiale, dopo un periodo di aspra concorrenza tra la “Fabbrica Candele Steariche Mira” e la “Fabbrica Candele F.lli Lanza di Torino”, che fu sancita la fusione delle due società e la nascita della “Mira Lanza società anonima”. Oggi lo stabilimento Reckitt Benckiser di Mira copre un’area industriale di 195.000 mq. di cui 85.000 di edifici manifatturieri e magazzini. Seguendo una filosofia di basso impat-

to ambientale, la proprietà ha deciso di dismettere la produzione di polveri spruzzate allocate in due fabbricati multipiano ora denominati ex polveri e un intero building riservato all’ex produzione di saponi. Contestualmente si è presentato il problema di come affrontare le dismissioni di queste aree caratterizzate da problematiche alquanto diverse. Dopo un’accurata ricerca di mercato il management di Reckitt Benckiser decide di convocare MEDI s.r.l., società specializzata nella rimozione, gestione e bonifica di impianti industriali e di interi siti non più produttivi, in grado di operare efficacemente su tutti i livelli che una dismissione prevede: dagli equipaggiamenti industriali, operandone lo smantellamento o il trasferimento su altri siti, alla demolizione degli asset edili sino alla bonifica finale.

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MEDI si propone come unico operatore per tutte le azioni necessarie assumendo direttamente la responsabilità del cantiere sia a livello di sicurezza, che per lo smaltimento dei rifiuti che si vengono a creare, divenendone in pratica il conduttore proprietario e dunque anche il produttore. Un modo di operare che porta a due importanti risultati: la completa manleva di ogni responsabilità da parte della proprietà sui lavori eseguiti e la non necessità da parte della proprietà di impiego di proprio personale. Ciò rende MEDI una società con caratteristiche uniche nel settore. Dopo approfonditi sopralluoghi e discussioni MEDI propone un complesso piano operativo che viene sottoposto ed accettato dalla proprietà. Per il reparto ex polveri, il progetto non è semplice da sviluppare, in quanto si

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tratta di dover intervenire su un’intera porzione di stabilimento mentre, nelle aree limitrofe, lo stesso rimane operativo e produttivo. L’edificio ex saponeria misura 140 metri di lunghezza per una profondità di 40 metri e si sviluppa su un’altezza di tre piani industriali sino a quota 15 metri dal suolo. E’ posizionato in una parte decentrata del sito, estremo nord est, ma risulta circondato da altri siti produttivi. L’edificio ex polveri invece misura 100 metri di lunghezza per una profondità di 40 metri e si sviluppa per 8 piani industriali sino a quota 44 metri dal suolo con assets industriali sino a quota 60 metri. In totale trattasi di 19.600 mq di solai utili posizionati in una parte decentrata del sito, estremo nord ovest, anche questo circondato da altri siti produttivi. Un’ulteriore criticità che riguarda entrambe le aree è rappresentata dal fatto che tutto il complesso non era ancora stato sottoposto ad alcuna opera di svuotamento e bonifica, per cui all’interno di tutta la struttura e delle

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apparecchiature vi era elevata presenza di materie prime in forma liquida e solida, nonché di semilavorati e prodotto finito obsoleto. Inoltre risultano presenti più linee di utilities (gas, energia elettrica, linee a fibra ottica) che attraversano interamente l’edificio ex polveri e che vanno preservate poiché garantiscono l’operatività della produzione all’interno dello stabilimento. Trattandosi di un’opera di notevoli proporzioni, di fondamentale importanza per il buon esito dei due progetti è stato il coordinamento in materia di sicurezza e ambiente secondo le normative vigenti. Anche l’impatto visivo di tale opera è stato preso in considerazione (le tre torri ex polveri sono visibili da tutta la cittadina di Mira e in particolare dal suo luogo più rappresentativo, la Riviera del Brenta), riqualificando anche visivamente un’area produttiva con una lunga storia industriale alle spalle. Lo staff di esperti professionisti di MEDI ha esaminato tutte le problematiche del sito e le esigenze di Reckitt Benckiser Italia Spa,

grazie anche al fondamentale lavoro svolto dal management nella preparazione di tutti i documenti tecnici e di sicurezza atti ad agevolare l’esecuzione di lavori di tali proporzioni. L’approfondita conoscenza delle problematiche dei loro settori, unita all’egregio lavoro di coordinamento svolto dall’OSHE manager di MEDI, ha rappresentato un supporto fondamentale nella pianificazione dei lavori consentendo di definire il piano operativo che viene di seguito descritto. Forte della sua pluriennale esperienza MEDI ha deciso di effettuare il lavoro nell’edificio ex polveri e nell’area ex saponeria attraverso la programmazione e la realizzazione di due piani operativi con la rimozione degli equipaggiamenti industriali rimuovendo prima quelli interni e poi quelli esterni.

RIMOZIONE DEGLI EQUIPAGGIAMENTI INDUSTRIALI

Per prima cosa si è provveduto a studiare l’area di cantiere, di concerto con il coordinatore della sicurezza, figura professionale che accompagna i cantieri di MEDI, anche se non prevista dal D.Lgs. 81/2008, creando spazi dedicati ad ogni esigenza, e delimitando adeguatamente gli spazi in modo da renderli inaccessibili al personale Reckitt Benckiser attraverso apposita recinzione da cantiere. Sono stati previsti spazi dedicati per: • macchinari smontati; • lo stoccaggio dei prodotti chimici, delle materie prime, dei semilavo-


rati e dei prodotti obsoleti (ogni materiale è stato opportunamente catalogato e confezionato); • il posizionamento dei rifiuti prodotti; • lo stato di riposo dei mezzi da cantiere; • percorsi per dipendenti e macchine operative; • mensa, spogliatoi e uffici di cantiere. Tutto il personale del cantiere, che ha coinvolto fino a 40 operai e tecnici specializzati, è stato sottoposto a specifici corsi di formazione ed equipaggiato con indumenti che ne permettessero il facile riconoscimento. Settimanalmente sono state organizzate riunioni per il personale durante le quali venivano discusse le difficoltà incontrate a livello operativo, progettuale, di sicurezza e ambientale, in modo da studiare la migliore soluzione applicabile e verbalizzare le scelte definite. Sono state create squadre dedicate per ogni attività prevista, di cui una dedita esclusivamente alle pulizie. Lo stabilimento, per la sua particolare produzione, è classificato come Sito Produttivo a Rischio di Incidente Rilevante secondo quanto previsto dal D.Lgs. 334/99 e dispone di un proprio depuratore. Quantità minime di detersivo in polvere bastano per creare un problema, perciò è evidente che dovendone rimuovere centinaia di tonnellate questo aspetto è stato molto curato e possiamo affermare con soddisfazione che durante tutte le fasi di intervento e lavorazione nessun problema è emerso! Ad ogni squadra sono state affidate giornalmente le lavorazioni da effettuare in modo che tutto il personale conoscesse esattamente il proprio lavoro e quello contemporaneamente svolto dagli altri; il tutto era inoltre esposto su un tabellone riassuntivo all’entrata del cantiere. Prima di intervenire su qualsiasi macchinario, tubazione o serbatoio è stata fatta un’analisi del materiale in precedenza contenuto. Quando necessario è stato prima svuotato e bonificato e solo in seguito si è proceduto con la rimozione o la rottamazione attraverso idonee tec-

niche di disassemblamento o taglio, quest’ultimo effettuato esclusivamente con apposite attrezzature al plasma. Ove necessario, per la rimozione in quota, sono state impiegate autogrù con portata da 40 a 300 tonnellate. Spesso le autogrù sono state usate anche come mezzo di elevazione in cesta dei lavoratori in quota, quando le piattaforme da 40 e 60 metri di altezza, in uso in cantiere, non erano sufficienti. Questo perché per le grandi altezze che spesso si incontrano (si è lavorato in cima a serbatoi la cui sommità era a 60 metri dal suolo) garantire la sicu-

rezza degli operatori è una necessità. Tutti i materiali di risulta sono stati preventivamente analizzati e selezionati per una corretta attribuzione dei codici CER, e in modo specifico sono state trattate le FAV (fibre artificiali vetrose) in conseguenza della recente intesa sancita nella conferenza Stato Regioni del 25 marzo 2015. Al momento i lavori sono ancora in corso e si concluderanno con anticipo rispetto alle tempistiche richieste, con piena soddisfazione da parte della Reckitt Benckiser. *MEDI s.r.l.

Reckitt Benckiser Reckitt Benckiser plc nasce dalla fusione tra la britannica Reckitt & Colman e la tedesca-olandese Benckiser avvenuta nel dicembre 1999. Quotata in borsa nel FTSE 100 (London Stock Exchange), è una delle aziende leader nel settore dei prodotti di pulizia, salute e cura della persona. La sua sede principale si trova a Slough. In Italia la sede amministrativa è a Milano, mentre lo stabilimento ha sede in Veneto a Mira (Ex Mira Lanza), nell’entroterra veneziano. Sempre a Mira è presente il Centro Ricerche e Sviluppo (Research and Development R&D) di alcuni prodotti Reckitt Benckiser. Reckitt Benckiser oggi nel mondo supporta il lavoro di migliaia di distributori, appaltatori e fornitori, ha operazioni in più di 60 stati e vende i suoi prodotti in oltre 180 Paesi. Tra i marchi più famosi possono essere citati: Vanish, Finish, Calgon, Woolite, Sole, Napisan, Veet, Durex, Benagol, Nurofen, Gaviscon, Dettol. In Italia lo stabilimento industriale di Mira produce beni destinati alla cura della casa.

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TRE NOTTI PER TRE VIADOTTI Uomini instancabili che, in poche ore, hanno effettuato demolizioni in notturna con precisione e pulizia esemplari mostrando un gran gioco di squadra di Andrea Terziano

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l bando la monotonia per Idea s.r.l., azienda a conduzione famigliare che vanta una pluriennale esperienza nei settori del decommissioning industriale, delle demolizioni e bonifiche ambientali, di gestione e traspor to rifiuti e del movimento terra. Gli ultimi mesi infatti hanno visto l’azienda impegnata in più cantieri di demolizione tra cui i tre sovrappassi a ser vizio degli svincoli autostradali dell’A22 del Brennero, in corrispondenza delle uscite di Affi, Rovereto Sud e Rovereto Nord. Quest’ultimo cantiere è stato eseguito in ATI da Idea s.r.l. e Bianchi s.r.l. per conto del Consorzio Stabile Cons. Fer.

La demolizione dei viadotti Affi, Rovereto Sud e Rovereto Nord

La demolizione dei tre impalcati ha richiesto uno studio preliminare dei vari cantieri in quanto i tre cavalcavia erano sostanzialmente diversi per dimensioni e struttura. Il primo ad essere demolito è stato quello di Rovereto Sud, poi quello di Affi e infine quello di Rovereto Nord. Trattandosi di sovrappassi sull’Autostrada del Brennero, l’abbattimento delle strutture è stato

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effettuato di notte con la chiusura totale del traffico in entrambi i sensi di marcia. Le macchine operatrici hanno pazientemente aspettato la chiusura dell’autostrada per entrare in azione, aggredire le strutture e grazie ad un per fetto gioco di squadra hanno liberato in poche ore le aree per poter garantire il traffico autostradale del mattino. Le difficoltà maggiori di queste demolizioni sono state la presenza del nuovo impalcato a meno di un metro da quello da demolire, nonché la presenza di cavidotti interrati in tensione e fibra ottica adiacenti ai plinti e alla struttura da smantellare e la necessità di non danneggiare il manto stradale sottostante perché nel giro di poche ore la viabilità avrebbe dovuto riprendere in totale normalità. La sequenza operativa ha previsto che il cantiere venisse mobilitato due giorni

prima della demolizione vera e propria dell’impalcato e dismesso due giorni dopo. La manutenzione dei mezzi e delle attrezzature è sempre regolare, ma durante l’accantieramento si è provveduto ad un ulteriore ed accurato controllo al fine di evitare, per quanto possibile, rotture o malfunzionamenti che avrebbero causato perdite di tempo. Per questi cantieri sono stati utilizzati nove escavatori da 30 a 50 ton., due pale gommate, due spazzatrici, due torri faro e un’officina mobile. Gli escavatori sono stati equi-


paggiati con pinze demolitrici, mar telloni idraulici, pinze frantumatrici e benne per la movimentazione dei materiali demoliti. Tutti gli operatori e il personale a terra erano muniti di ricetrasmittenti in modo da comunicare tra loro con la massima tempestività e operare in estrema sicurezza. Le operazioni di abbattimento sono iniziate alle ore 22:00 con la chiusura dell’autostrada. Rimosse le barriere new jersey, il manto stradale è stato coper to da teli e da uno strato di sabbia riciclata per permettere il passaggio dei mezzi. Man mano che l’asfalto veniva rivestito per preser varne l’integrità, ciascuna macchina operatrice prendeva posizione e iniziava ad operare nella sua zona di competenza ottimizzando il lavoro di squadra per operare senza intralci. Lavorare in spazi di manovra ristretti perché attigui ad altre macchine operatrici non è affatto facile ma la sintonia e la collaborazione che hanno dimostrato gli uomini della Idea ha permesso di por tare a termine senza difficoltà questi cantieri. Gli escavatori grazie alle potenti attrezzature sezionavano grosse porzioni di calcestruzzo

e materiale ferroso che venivano prontamente allontanate dalla zona di lavoro mediante l’uso di pale gommate in un’area vicina dedicata. Alcuni escavatori sono stati utilizzati per la demolizione delle travi e dei pilastri operando con pinze demolitrici e mar telli demolitori per sgretolare il calcestruzzo armato, mentre altri escavatori si sono occupati dello smantellamento dei plinti presenti tra l’autostrada e la corsia di accelerazione e di quelli adiacenti alla corsia di emergenza sull’altro lato. A corredo, le pale gommate provvedevano alla rimozione continua del materiale dalla carreggiata per traspor tarlo in un’area adiacente per una successiva riduzione volumetrica. Ultimata la demolizione della struttura e allontanati i mezzi, sono iniziate le operazioni di pulizia dell’asfalto nelle zone di cantiere liberate

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eliminando la sabbia di ripor to, rimuovendo i teli di coper tura e provvedendo alla spazzatura del manto stradale con l’ausilio di due motospazzatrici. Terminata la pulizia dell’area sono state ripristinate le barriere new jersey per la riaper tura del traffico prevista per le ore 05:30 del mattino. Dopo un breve e meritato riposo sono proseguite le operazioni di frantumazione dei materiali depositati nell’area limitrofa al cantiere e si è provveduto all’allontanamento del materiale di risulta presso l’impianto della ditta Bianchi a Isera (TN).

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Le ceneri di pirite: rifiuto o materiale di riporto? Diversi approcci al problema dei depositi di ceneri di pirite nel S.I.N. di Priolo di Marcello Farina*

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e ceneri di pirite sono il residuo del procedimento industriale di fabbricazione dell’acido solforico che veniva ottenuto attraverso l’“arrostimento” della pirite in forni speciali. Questa la formula di reazione: 7FeS2 + 6O2 → Fe7S8 + 6SO2 Solamente verso i primi anni ‘70 la materia prima pirite è stata sostituita dallo zolfo - proveniente dalla desolfo-

razione dei gas naturali e dei prodotti petroliferi - che è divenuto l’ingrediente di base per la produzione dell’acido solforico attraverso l’impiego di una diversa tecnologia. Si possono così trovare ancora oggi depositi (più o meno controllati) di queste ceneri in varie zone del Paese. Attualmente sono i cementifici i destinatari “naturali” delle ceneri di piri-

te, perché essendo ricche di ossidi di ferro, costituiscono un additivo fondamentale nella produzione del cemento. Le ceneri vengono mescolate tal quali, senza alcun trattamento preventivo, alle altre materie prime e successivamente la miscela viene inserita in speciali forni e il materiale così ottenuto, dopo essere stato raffreddato, viene macinato e prende il nome di cemento.

EVOLUZIONE NORMATIVA DELLE CENERI DI PIRITE Il D.P.R. 915/82, che rappresenta la prima normativa sui rifiuti introdotta in Italia, non faceva menzione esplicita delle ceneri di pirite. Esse venivano pertanto considerate quali rifiuti speciali, in quanto derivanti da lavorazioni industriali, o tossici e nocivi, quando contenevano sostanze elencate nell’allegato allo stesso decreto in concentrazione tale da rappresentare un pericolo per l’ambiente e per la salute (arsenico nella maggior parte dei casi). Tuttavia non erano infrequenti i casi in cui tali materiali venivano considerati come materie prime secondarie; il D.M. 5 settembre 1994 le annoverava infatti tra i cosiddetti “mercuriali”, ovvero i materiali quotati presso le Camere di Commercio quando i composti chimici principali presentavano idonei valori di concentrazione (Fe2O3 75-85%; SiO2 10-14%; Al2O3 0,8-1,2%; CaO 1-2%; S 1-3%; As 75-250 ppm). Questa interpretazione non muta con l’entrata in vigore del D.Lgs. 22/97 (c.d. Decreto Ronchi), e le ceneri di pirite vengono classificate con codice CER 010308. Il D.M. 27 luglio 2004 ha inserito le ceneri di pirite tra i rifiuti non pericolosi sottoposti alle procedure semplificate di recupero – in cementificio - ai sensi degli articoli 31 e 33 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22. Il primo riferimento esplicito alle ceneri di pirite compare nell’art. 183 comma 1 del D.Lgs. 152/06 che, nella sua prima stesura, alla lettera n), dopo aver definito in via generale la nozione di sottoprodotto, aveva previsto, nella medesima disposizione, che “…rientrano altresì tra i sottoprodotti non soggetti alla parte quarta del presente decreto le ceneri di pirite, polveri di ossido di ferro, provenienti dal processo di arrostimento del minerale noto come pirite o solfuro di ferro per la produzione di acido solforico e ossido di ferro, depositate presso stabilimenti di produzione dismessi, aree industriali e non, Norma di Classificazione ceneri di pirite anche se sottoposte al procedimento di riferimento bonifica o di ripristino ambientale…”. Il D.Lgs. n. 04/08 ha introdotto modiD.P.R. 915/82 Rifiuto speciale o tossico e nocivo fiche e correzioni al D.Lgs. 152/06, in particolare riscrivendo interamente la Materiale quotato c/o le Camere di Commercio nozione di sottoprodotto ed eliminando D.M. 5/9/1994 (Fe2O3 75-85%; SiO2 10-14%; Al2O3 0,8-1,2%; il riferimento alle ceneri di pirite conteCaO 1-2%; S 1-3%; As 75-250 ppm) nuto nell’art. 183, comma 1, lettera p). Nella tabella viene illustrata una sinteD.Lgs. 22/97 Rifiuto (codice CER 010308) si della normativa sopra descritta dalla quale si può constatare che le ceneri End Of Waste (Fe2O3 60-100%; SiO2 5-15%; di pirite, ad eccezione di alcune brevi D.M. 27/7/2004 Al2O3 0,5-1,5%; CaO 5-15%; S 3-6%; MgO 0,5-2%; As<0,09%) parentesi in cui sono state promosse al rango di mercuriali o di sottoprodotti, di norma sono state considerate quali D.Lgs. 152/06 Sottoprodotto rifiuti da smaltire o tutt’al più da recuperare in cementificio se con idonei D.Lgs. 04/08 Rifiuto o End Of Waste valori di concentrazione. Evoluzione normativa delle ceneri di pirite dal 1982 al 2008

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LE CENERI DI PIRITE NEL S.I.N. DI PRIOLO

Le ceneri di pirite prodotte negli anni ‘50-‘60 nell’impianto di produzione acido solforico della S.IN. CAT. di Priolo hanno dato luogo a diversi depositi, ubicati sia in aree pubbliche che in aree private. Gli esempi più importanti di depositi di ceneri di pirite in aree pubbliche sono: • i sottofondi dei Campi Sportivi San Focà ed Ex Feudo a Priolo e del Campo Sportivo Fontana ad Augusta; • i riempimenti delle aree paludose della R.N.O. delle Saline di Priolo; • il ripascimento costiero del versante Thapsos di Penisola Magnisi. Nelle aree private sono presenti depositi di ceneri di pirite come ripascimenti costieri nelle aree di proprietà syndial e versalis, nonché nell’Area ex Vasche di Zavorra della enimed a Penisola Magnisi. Per tutte le aree sopra menzionate sono stati presentati (ed in parte eseguiti) progetti di messa in sicurezza o di bonifica. La tecnologia di intervento è stata, almeno nelle fasi iniziali, la rimozione e l’invio a smaltimento o recupero dei materiali contaminati (ceneri di pirite e terreni). L’entrata in vigore della nuova normativa sui materiali di riporto e il sempre più gravoso problema della sostenibilità dei costi hanno fatto sì che negli ultimi anni si sia fatto ricorso a soluzioni alternative, quali l’Analisi di Rischio sito-specifica, la messa in sicurezza permanente mediante “capping” o il trattamento in situ mediante Phytoremediation. Per i campi sportivi di Priolo (Ex Feudo e San Focà) è stato autorizzato ed eseguito il progetto di Messa in Sicurezza d’Emergenza dei siti “Campo Sportivo Ex Feudo” e “Campo Sportivo San Focà” nel sito di Interesse Nazionale di Priolo (SR) che ha comportato la rimozione ed il recupero o lo smaltimento in discarica delle ceneri di pirite utilizzate come sottofondo.

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L’INTRODUZIONE DELLA DEFINIZIONE DI MATERIALE DI RIPORTO Il D.L. 25 gennaio 2012, n. 2, convertito in legge, con modifiche, dalla L. 24 marzo 2012, n. 28 e modificato dal comma 3 dell’art. 41 del D.L. n. 69/2013 convertito in legge dalla L. 9 agosto 2013, n. 98, ha introdotto la definizione di “materiali di riporto”, intesi come materiali “...costituiti da una miscela eterogenea di materiale di origine antropica, quali residui e scarti di produzione e di consumo, e di terreno, che compone un orizzonte stratigrafico specifico rispetto alle caratteristiche geologiche e stratigrafiche naturali del terreno in un determinato sito e utilizzate per la realizzazione di riempimenti, di rilevati e di reinterri...”. Tali materiali vengono equiparati ai suoli se conformi al test di cessione effettuato ai sensi dell’art. 9 del D.M. 5 febbraio 1998, per verificare che non vi sia rilascio di contaminanti in falda. Superato il pre-requisito del test di cessione, i materiali di riporto devono essere caratterizzati come suoli - e quindi con la ricerca anche dei composti organici altrimenti non determinabili con il test di cessione - al fine di verificare il rispetto di quanto previsto dalla normativa vigente in materia di bonifica dei siti contaminati (conformità alle CSC o alle CSR). Tuttavia, ove l’eluato non sia conforme ai limiti del test di cessione, resta la possibilità di ricorrere, oltre allo smaltimento o alla messa in sicurezza permanente, anche a trattamento - anche in situ - finalizzato alla rimozione dei contaminanti in modo da rendere conformi tali materiali al test di cessione. La nota M.A.T.T.M. n. 1338 del 14/05/14 ha fornito ulteriori indicazioni in merito ad alcuni aspetti sui materiali di riporto non sufficientemente chiariti dalla normativa, quali: • la necessità che il test dell’eluato venga esteso a tutti i parametri inorganici e non solo a quelli previsti dal D.M. 5 febbraio 1998; • in considerazione dell’obiettivo di tutela delle risorse idriche, i limiti con i quali confrontare l’eluato devono essere quelli di cui alla Tabella 2 dell’Allegato 5 del D.Lgs. 152/06; • l’applicabilità delle disposizioni del D.L. n. 2/2012 e ss.mm.ii. unicamente a riporti storici, ovvero formatisi a seguito di conferimenti avvenuti antecedentemente all’entrata in vigore del D.P.R. 915 del 1982 che per la natura dei rifiuti e per le modalità di deposito, non integrino la fattispecie di discarica abusiva; • l’indicazione del limite massimo dei materiali eterogenei, riferibile unicamente ai rifiuti non pericolosi, pari al 20% in volume (come media pesata). Tale limite del 20%, già introdotto dall’allegato 9 del D.M. 161/2012 - Regolamento sui materiali da scavo per le opere soggette a VIA o ad AIA - trova un riferimento in letteratura nel World Reference Base of Soil Resources della FAO che definisce come “tecnosuoli” (“technosols”) quei suoli che, nell’ambito dei 100 cm più superficiali, contengono una percentuale di materiali antropici (“artefacts”) superiore al 20%. Vi sono però alcuni casi nei quali non è possibile procedere ad una distinzione delle matrici antropiche attraverso una valutazione della granulometria, quale è proprio il caso delle ceneri di pirite - granulometricamente equiparabili alle sabbie finissime - frammiste al terreno. In tali casi la valutazione non può che essere effettuata attraverso l’esame qualitativo del materiale, mediante l’esecuzione diretta del test di cessione. Tale approccio metodologico trova conforto nei recenti orientamenti ministeriali; nel verbale della Conferenza dei Servizi Istruttoria del 17/07/2014 del S.I.N. di Priolo viene infatti rimarcato che “... per la componente “ceneri di pirite” debba applicarsi la normativa nel frattempo intervenuta per la valutazione dell’assimilabilità ai suoli dei riporti antropici; in altre parole, si raccomanda che le ceneri di pirite siano preliminarmente sottoposte a test di cessione e conseguentemente trattate sulla base delle alternative ivi proposte. Ove conformi al test, se ne dovrà ulteriormente verificare la conformità con la normativa delle bonifiche (con eventuale inclusione nell’analisi di rischio), ove non conformi dovranno essere gestite mediante trattamento, allontanamento o messa in sicurezza permanente...”.

Ceneri di pirite in cumuli


Per il Campo Sportivo San Focà è stato effettuato, con esito positivo, il collaudo dello scavo realizzato per l’asportazione delle ceneri di pirite. Nel caso del Campo Sportivo Ex Feudo, la presenza di celle con fondo scavo non campionabile (roccia calcarea compatta) e la permanenza di residui di ceneri di pirite nelle cavità carsiche della stessa roccia hanno impedito l’effettuazione del

della copertura delle ceneri di pirite con 1 m di materiale vegetale viene preferita a quella della rimozione delle stesse. Per la messa in sicurezza di emergenza del versante Thapsos di Penisola Magnisi è stato progettato nel 2006 (ed in parte eseguito) un Piano Operativo Esecutivo che prevedeva dapprima la realizzazione, quale presidio contro l’infiltrazione delle acque marine, di una barrie-

Riempimento di ceneri di pirite nel Campo Sportivo San Focà di Priolo

collaudo analitico. E’ stata pertanto presentata una Perizia di Variante che prevede la pulitura delle ceneri di pirite rimaste adese al fondo e alle pareti dello scavo mediante l’utilizzo di un aspiratore industriale “Spirovac” e l’eventuale posa in opera di una barriera di argilla qualora in sede di collaudo visivo o analitico (a seconda della presenza di materiale fine campionabile) gli Enti di controllo lo ritengano opportuno. Tale Perizia di Variante è stata approvata con la prescrizione del monitoraggio idrochimico a monte e a valle del sito. Per l’area della R.N.O. delle Saline di Priolo, è stata richiesta dalla Conferenza dei Servizi Decisoria dell’08/11/12 l’elaborazione di un’analisi di rischio sito-specifica e la redazione di un progetto per la rimozione o messa in sicurezza permanente delle ceneri di pirite. Dalle analisi effettuate è risultato che esiste allo stato attuale un rischio dermico da contatto che deve essere eliminato. Tra le ipotesi individuate per l’eliminazione del rischio, in termini di costi, quella

ra di contenimento costituita da un diaframma plastico con pali secanti, e successivamente l’aggottamento delle acque in risalita mediante un sistema di well-point e la rimozione del corpo rifiuti adeguatamente drenato. In fase di

esecuzione sono emerse alcune criticità (impossibilità di raggiungere un substrato impermeabile con le opere provvisionali, necessità di gestire quantità rilevanti di acqua di infiltrazione dal basso), per cui nel 2009 è stata presentata una variante metodologica che prevedeva, preliminarmente allo scavo, il consolidamento del rifiuto mediante iniezione di agenti leganti ed acqua, in modo da conferire compattezza al materiale. Purtroppo al momento i lavori sono stati sospesi in quanto con la nuova definizione di pericolosità del rifiuto introdotta dall’art. 3 comma 6 del D.L. n. 2/2012, poi convertito nella Legge n. 28/2012, è sorto un contenzioso relativamente alla classificazione della pericolosità dei rifiuti prodotti dopo il trattamento di inertizzazione. Nell’area ex vasche acque di zavorra di enimed nella Penisola Magnisi è stato autorizzato ed è in esecuzione il progetto di bonifica che prevede la rimozione, mediante mezzi meccanici ed aspiratore industriale, dei terreni frammisti alle ceneri di pirite presenti nelle aree esterne adiacenti alle ex vasche nonché negli argini e nel fondo delle stesse, sino al raggiungimento

Rimozione del materiale contaminato (terreni e ceneri di pirite) mediante aspiratore industriale nel cantiere di bonifica della enimed di Penisola Magnisi

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Spiaggia di ceneri di pirite antistante lo stagno della Riserva Naturale Orientata delle Saline di Priolo

del substrato roccioso. L’esecuzione di test granulometrici prima dell’inizio delle operazioni ha evidenziato che la contaminazione è presente solo nelle classi granulometriche <5 mm. Il progetto pertanto prevede, anziché la rimozione tout court dei materiali scavati, una prima fase di vagliatura degli stessi al fine di separare i terreni con diametro >5 mm (che possono essere riutilizzati in situ se conformi al test di cessione) da quelli <5 mm che vengono avviati a smaltimento o recupero. E’ previsto altresì il collaudo analitico o visivo per il fondo e le pareti degli scavi nonché il monitoraggio

Esempio di fondo scavo collaudato (roccia calcarea) mediante semplice valutazione visiva a causa dell’assenza di materiale fine campionabile nel cantiere di bonifica della enimed di Penisola Magnisi

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idrochimico ante-, in- e post-operam di n. 3 piezometri. In n. 3 aree dello stabilimento versalis di Priolo sono state rinvenute nel sottosuolo ceneri di pirite utilizzate, già dagli anni ‘50, per l’imbonimento delle aree di installazione degli impianti petrolchimici (volumetria totale stimata: 108.168 mc tra ceneri e riporti). Dalle attività di caratterizzazione è emerso che nelle 282 analisi chimiche condotte sui test di cessione sono stati individuati solo 5 non conformità dell’eluato (1,8% sul totale dei campioni). Avvalendosi della recente normativa, è stata pertanto privilegiata la scelta progettuale del trattamento in sito mediante Phytoremediation delle ceneri di pirite e dei terreni frammisti ad esse, al fine di riportare il test di cessione entro i limiti di conformità. Tale tecnologia ha infatti il duplice effetto di: 1. ridurre la mobilità dei contaminanti e la loro migrazione verticale negli acquiferi, attraverso l’immobilizzazione degli stessi nella rizosfera (Fitostabilizzazione); 2. favorire il processo di assorbimento dei contaminanti presenti nel suolo da parte delle radici delle piante ed il loro trasferimento ed accumulo nell’apparato radicale, nel fusto e nelle foglie (Fitoestrazione). Ulteriori effetti positivi portati

dalla piantumazione sono la riduzione dell‘infiltrazione nel suolo limitando ulteriormente i fenomeni di lisciviazione in falda e la significativa interruzione dei percorsi diretti di contatto con recettori on site. Nel mese di agosto 2014 è stata condotta una sperimentazione in mesocosmo mediante piantumazione, nelle matrici ambientali sopra descritte, di specie vegetali già adattate alle condizioni stressanti del sito e con buone capacità di bioaccumulo (Dittrichia. viscosa), o note in letteratura per il buon potenziale di fitorimedio nei confronti dei contaminanti presenti (Acacia saligna, Eucalyptus camaldulensis, Nerium oleander).

Scenari attuali e ipotesi degli scenari futuri dopo l’intervento di Phytoremediation nel sito versalis di Priolo

Al termine della sperimentazione è stata determinata la concentrazione dei metalli nelle diverse matrici ambientali (suolo/ceneri, acque e vegetali) e sono stati analizzati i parametri biometrici per valutare l’accrescimento delle specie vegetali. I risultati dei test di cessione hanno evidenziato la conformità di tutti i campioni di eluato. Tutte le specie testate hanno mostrato una buona capacità di catturare la frazione biodisponibile dei contaminanti ma, in particolare, Dittrichia. viscosa ed Acacia saligna hanno mostrato le migliori performances rispetto ai contaminanti presenti. *ARPA Sicilia – Struttura Territoriale di Siracusa


INERTIZZAZIONE DI RIFIUTI CONTENENTI AMIANTO MEDIANTE FORNI A MICROONDE ESPERIENZE DI LABORATORIO E PROSPETTIVE DI INDUSTRIALIZZAZIONE di Giampiero Gullo*, Paolo Plescia** ed Emanuela Tempesta**

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l trattamento termico dei rifiuti è una tecnica di inertizzazione ben consolidata e nota in tutto il mondo ed è tra le tecniche di inertizzazione dell’amianto che viene maggiormente spinta dall’Unione Europea [1,2]. Il trattamento termico effettuato a temperature superiori ai 1000°C determina nelle fibre di amianto, sia di serpentino (crisotilo) che di anfibolo, la perdita degli ioni ossidrile e una rapida demolizione strutturale con la conseguente perdita della caratteristica fibrosità e clivaggio in senso longitudinale, cioè la perdita delle caratteristiche di maggiore pericolosità dell’amianto [3]. Fin dal 1992 il CNR ha sviluppato e brevettato vari processi di trattamento termico e meccanochimico di rifiuti con amianto, per la loro conversione in prodotti innocui e inerti [4,5, 6]. A distanza di venti anni questo argomento è ancora attuale ed è per questo che volentieri abbiamo intrapreso questo studio, a fianco della Società Romana Ambiente srl, relativo ai risultati ottenuti nella sperimentazione commissionataci sul processo di inertizzazione dei materiali contenenti amianto (MCA) mediante trattamento termico con forno a microonde, al fine di valutare la bontà della tecnologia per questo tipo di applicazione, la valutazione energetica del processo e una valutazione sulle emissioni e sulle precauzioni da tenere in un forno industriale. L’obiettivo finale del lavoro è capire se tale trattamento è industrializzabile, se può essere competitivo con un forno tradizionale e con

l’attuale costo di messa a dimora in discarica.

MATERIALI E METODI

L’idea di base, sottesa al progetto appena concluso, è di realizzare un impianto industriale per il trattamento dei rifiuti contenenti amianto di qualsiasi tipo, basato su un forno a microonde a tunnel, carrelli di contenimento e trasporto e un impianto di abbattimento delle emissioni. In questo schema non c’è alcun siste-

ma di preparazione, quale mulini, vagli o altro, proprio per ridurre il pericolo di emissione di fibre in atmosfera. Nell’idea industriale, il rifiuto viene immesso nel forno direttamente su pallets, incapsulato e racchiuso in teli di polietilene, secondo quanto prescrive la normativa vigente. In questo modo, il rifiuto con amianto può costituire dal 70 al 90% del peso dell’intero pacco di materiale da trattare e il resto è costituito dagli imballaggi e dalle resine di incapsulamento (tabella

Le applicazioni delle microonde Il forno a microonde (di seguito indicato come forno MW) permette un riscaldamento più diretto del materiale, una dispersione del calore verso le pareti del forno ridotte fino all’80% [7, 8] ed una riduzione dei tempi di diffusione del calore. Si rammenta al Lettore che le microonde sono radiazioni non ionizzanti con una lunghezza d’onda compresa tra 1 m (f=300 MHz) e 1 mm (f=300 GHz) [7]. Esse sono largamente impiegate nelle telecomunicazioni e nei radar e per questo motivo le frequenze impiegabili per uso industriale sono circoscritte a poche bande. L’energia delle microonde è di diversi ordini di grandezza inferiore alle energie di dissociazione dei legami chimici, quindi si ritiene che sia da escludere che le microonde possano intervenire sui processi chimici indebolendo i legami molecolari. Finora si ha evidenza sperimentale solo di effetti di carattere termico, che si manifestano in modo sensibile esclusivamente per sostanze con momento dipolare. Semplificando, l’effetto “termico” si può spiegare con l’assorbimento di energia da parte di molecole polari nei liquidi o nei solidi che interagiscono con il campo elettrico oscillante determinato dalla radiazione (riscaldamento dielettrico). Maggiore è la polarità della sostanza, maggiore sarà la sua capacità di assorbire calore dalle microonde. Una delle sostanze che subisce maggiormente l’effetto delle microonde è l’acqua allo stato liquido e tutti i solventi polari. La tecnologia delle microonde viene applicata nell’industria chimica alla sintesi organica accelerata [6-9]. Nel settore dei rifiuti la tecnologia delle microonde è stata impiegata per trattare rifiuti per pirolisi accelerata, per essiccare rapidamente fanghi e materiali organici di rifiuti e per disidratare pulp di cartiera. Un caso particolare di impiego della tecnica MW è quello riportato per l’estrazione di polibromodifenileteri (PBDE) in liquami e sedimenti fognari [10]. Questi composti sono utilizzati come ritardanti di fiamma in molti materiali plastici. Essi sono tossici e manifestano una elevata persistenza ambientale. La tecnologia microonde è stata sperimentata vantaggiosamente, in alternativa alla pirolisi convenzionale, anche per la debromurazione di polistirolo ad alto impatto (HIPS) contenente decabromodifenil-etere o decabromodifenil-etano come ritardanti di fiamma. A differenza degli altri trattamenti termici che riscaldano il materiale dall’esterno all’interno, l’irradiazione mediante microonde permette di riscaldare il materiale dall’interno verso l’esterno; la dispersione di calore è così minimizzata e la radiazione elettromagnetica è convertita in calore direttamente dal materiale, sempre che esso non sia trasparente alle microonde, come il quarzo, le plastiche e alcune ceramiche. Varie pubblicazioni riportano al 1997 le prime applicazioni delle microonde allo smaltimento degli amianti [12], ma allo stato dell’arte non ci sono applicazioni industriali attive in questo settore.

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Figura 1: Forno a microonde usato per i test (Microglass Srl, Pordenone). Si osservi il camino e la camera di calma nella quale sono introdotte le sonde di prelievo dei fumi e delle polveri (M1, M4), il filtro per le fibre di amianto FL e la pompa peristaltica di prelievo a volume costante

da camino e le metodologie utilizzate di norma nelle indagini sulle emissioni industriali, quali UNI 10169:01, UNI En 13649:02, UNI En 13284:03, Unichim 723. Sono state scelte quattro tipologie di materiali tra i più noti: • cemento amianto da tettoie (“eternit”); • cemento amianto da tubi e cassoni; • linoleum con amianto; • amianto friabile (tessuti e corde). In tabella 1 sono indicate le proporzioni usate per eseguire le prove. I materiali sono stati analizzati preventivamente in microscopia elettronica a scansione (SEM – EDS, Zeiss EVO), in diffrattometria a raggi X (Rigaku Rint 1000) e in spettrofotometria FTIR (Nicolet Avatar 360), utilizzando le metodiche indicate nelle normative vigenti (in particolare il D.M. 6/9/1994 e s.m.i.). La preparazione del campione è stata particolarmente curata cercando di simulare le condizioni reali di trattamento, quindi introduzione all’interno del forno di un materiale composto dal campione di MCA, dal legno del pallets e dal polietilene, oltre all’incapsulante. Come si osserva dalla tabella 1, l’incapsulante rappresenta lo 0,1% di peso dei campioni, ma fornisce una certa quantità di inquinanti alle emissioni del forno, poiché contiene polimeri acrilici e stirenici e coloranti organici, oltre ad un elevato

quantitativo d’acqua. I campioni sono stati quindi pesati, irrorati di incapsulante, fatti asciugare e quindi messi in crogioli di allumina. Le temperature massime tenute nel crogiolo del forno sono state di 1200°C con tempi di circa 15 minuti. Prima dei test sono state effettuate le analisi termogravimetriche delle singole miscele, per stabilire a priori le energie in gioco nei processi di inertizzazione termica.

RISULTATI Cemento amianto (CA)

Nel risultato analitico della termogravimetria effettuata su campioni di cemento amianto, sia da tubo che da tettoia, 1). Per questo motivo, oltre a determina(figura 2) si osservano tre trasformazioni re la qualità dei trattamenti, lo studio ha fondamentali. Nella fase A, tra 25 e 200°C portato anche alla determinazione degli il materiale perde acqua sotto forma di eventuali effluenti gassosi che si genevapore, con una perdita di peso dell’orrano, soprattutto dalla combustione dei dine del 10%. Nella fase B, da 250°C a pallets, delle resine stiroliche e acriliche 650°C si osserva una perdita di peso usate per i trattamenti di incapsulamenderivante dalla dissociazione degli ossito e dei composti organico clorurati dei drili del crisotilo e di alcuni anfiboli, pari linoleum. al 3% di perdita di peso. Nella fase C si Le prove sono state condotte su un forattua la dissociazione dell’anidride carno a microonde, progettato e costruito bonica del carbonato di calcio presente ad hoc per i test e dotato di un crogiolo nel campione, con una perdita complesrealizzato in carburo di silicio e coibensiva del 10% in peso. Il cemento amianto tato con lana ceramica di allumina sindopo il trattamento termico avrà perso terizzata (figura 1). Dal punto di vista circa il 30% del suo peso. Circa le energie delle emissioni in atmosfera sono stati consumate, possiamo stimare in 3 MJ/ eseguiti numerosi test usando sonde kg la quantità di energia Legno pallets % Polietilene % Campione Rifiuto % Incapsulante % necessaria per far avvenire tutte le reazioni 90 7 2 0,1 chimiche necessarie a 1 Tubo in CA trattare termicamente 90 7 2 0,1 2 Tegola eternit l’eternit. Le prove in forno a microonde hanno 80 15 4 0,1 3 Linoleum dato risultati ottimi, sia per i consumi energetici, 70 1 20 9 4 Corda in crisotilo che si sono dimostrati alquanto vicini al 50% di Tabella 1. Composizione delle miscele standard quelli di un forno elettriCrisotilo Anfibolo Silicati e Carbonati % Altre co tradizionale, sia per Perdita a % % Ossidi % sostanze % 900°C [%] le emissioni, totalmente assenti in termini di fibre 10 3 70 17 0 41 1 emesse e sia per il risultato finale: l’amianto 5 8 70 15 2 40 2 scompare dal materiale e al suo posto troviamo 25 5 10 15 45 52 3 silicati di calcio (larnite, wollastonite) e ossido 95-98 0 0 0 2-5 15 4 di calcio (figura 3) Una Tabella 2. Composizioni delle frazioni inorganiche e perdite al fuoco dei rifiuti usati nelle prove

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questione a parte riguarda la basicità delle scorie ottenute, che potrebbero ben essere reimpiegate in una malta pozzolanica o nella preparazione di clinker.

Figura 2. Analisi termo differenziale di un campione di eternit (20°/min, in azoto)

che di fasi ossidrilate secondarie presenti nel linoleum (gibbsite, Al(OH)3) che sono messe in genere come cariche minerali. A tale fase corrisponde una riduzione di peso del 10%, quella del solo crisotilo al 4,5% che corrisponde ad un contenuto di amianto del 30%. Infine, la fase D corrisponde alla dissociazione della CO2 del carbonato di calcio (-10%) che corrisponde ad un contenuto del 20% di calcite, mentre la fase E corrisponde ad una fusione del materiale, senza perdita di peso. Dalle prove in forno a microonde si sono ottenute ceneri totalmente prive di fibre, ma molto ricche di ossidi di calcio, silicato di calcio del tipo larnite e silicati di calcio e magnesio del tipo diopside, come si evince dalle analisi diffrattometriche (figura 5).

Corda in crisotilo

Figura 3. Risposte analitiche della diffrattometria a raggi X sui campioni di eternit tal quali (A) e trattate (B)

Linoleum

Le prove termiche sul linoleum mostrano una serie di reazioni più complesse e articolate (figura 4), in quanto troviamo ben cinque fasi di trasformazione. Nella prima e seconda fase (A e B), da 200°C a 450-500°C, si ha la dissociazione molecolare del polimero (PVC), l’emissione di acido cloridrico e la combustione della frazione carboniosa. In presenza di un’atmosfera ossidante, il picco esotermico della combustione del PVC risulta molto intenso (figura 4). A tale fase corrisponde una prima riduzione di peso del 17%. La fase C corrisponde alla deidrossilazione (perdita di ioni OH) del crisotilo e probabilmente an-

Figura 4. Analisi termo gravimetrica del linoleum effettuata in aria (20°/min, aria forzata)

Le prove sulla corda di crisotilo appaiono le più interessanti, perché è possibile osservare macroscopicamente il cambiamento delle fibre dopo il trattamento termico. Infatti, la prima caratteristica che si nota è che le fibre della corda, apparentemente tali e quali dopo il trattamento termico, si polverizzano alla semplice pressione della mano, trasformandosi in polvere informe e non più fibrosa. La composizione iniziale, praticamente crisotilo puro, diventa silicato di magnesio forsterite (MgSiO 4) ed enstatite (MgSiO 3) come da reazione canonica:

Figura 5. Confronto tra il campione di linoleum prima del trattamento termico (traccia superiore) e dopo il trattamento termico (traccia inferiore). Si osservi la scomparsa completa del picco principale del crisotilo a 12° di angolo di scansione 2 θ

lative alle immagini ottenute in microscopia elettronica a scansione.

DISCUSSIONE DEI DATI

Affinchè gli amianti siano resi inerti dal punto di vista biologico è necessario che la forma fibrosa sia eliminata e che l’ossidrile (ione OH-) sia dissociato: trattando termicamente l’amianto a temperature comprese tra 800 e 1100°C, si ottiene la demolizione delle strutture fillosilicatiche del crisotilo e delle strutture inosilicatiche degli anfiboli, con la conseguente cristallizzazione di fasi primigenie più semplici e innocue, quali olivina (silicato di magnesio, MgSiO4), pirosseno (Ca,Mg)SiO4, silicati di calcio e alluminio, acqua e silice amorfa, che cristallizzano a spese delle preesistenti fibre, distruggendone l’abito. Nei forni a

Mg 3Si 2O 5(OH) 4 →Mg 2SiO 4 + MgSiO 3 Questa reazione produce la cristallizzazione di nano cristalli di forsterite ed enstatite dentro la preesistente fibra di crisotilo, mimando la precedente forma: i nano cristalli formano così una fibra “relitto” che si frantuma in senso trasversale e non più longitudinale come la fibra precedente. Questo riconoscimento è molto importante, perché agli occhi di un osservatore casuale ed inesperto, l’amianto in fibra uscito dal forno sembrerebbe eguale a prima del trattamento termico. Invece, semplicemente frantumando il relitto delle fibre con un normale mortaio ci si accorge che il materiale ottenuto è una polvere di cristalli romboedrici non fibrosi. Ciò è evidente dalle figure re-

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Figura 6. Linoleum tal quale (a); si osservino le fibre di crisotilo che emergono dalla matrice plastica; linoleum trattato a 1200°C per 15‘ (b)

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microonde tale processo si realizza con minore dispendio di energia, tra il 20 e il 55%, rispetto ai forni tradizionali, per due ragioni:

Figura 7. Corda di crisotilo dopo il trattamento a 1200°C in forno a microonde

1. il

calore generato dalle microonde si concentra verso il materiale, piuttosto di scaldare il refrattario; 2. la velocità con la quale il materiale viene essiccato è maggiore di quella ottenuta con i forni tradizionali, per la particolare propensione delle microonde di vaporizzare l’acqua. I materiali che emergono dal trattamento termico sono in linea generale compatibili con l’uso in cementeria. Il pH risulta elevato (tra 11,5 e 12,5) e la composizione mineralogica è ricca di silicato di calcio e alluminio, molto simile ad una scoria alcalina e, come tale, potrebbe essere facilmente impiegata come pozzolana sintetica. Il tenore in ossido di calcio rende tali scorie adatte ad essere impiegate per assorbire i fumi delle emissioni da camino dello stesso impianto a microonde. Abbiamo potuto constatare che le emissioni da camino del sistema di trattamento a microonde dei rifiuti di amianto consistono principalmente

Bibliografia

Figura 8. Corda di crisotilo, particolare delle fibre tal quali (a); corda di crisotilo trattata a 1200°C (b); ingrandimento della precedente (c)

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in ossidi di azoto, CO, CO 2, H 2O, tracce di PAH provenienti dalla combustione del legno e, solo nel caso del linoleum, acido cloridrico nella prima fase del trattamento. Questo tipo di emissione è quindi l’unico che può dare qualche preoccupazione, in quanto l’acido cloridrico si converte facilmente in radicale cloro che tende a generare diossine se in presenza delle giuste condizioni. Per ovviare a tutto ciò i fumi del camino possono essere facilmente trattati mediante un normale scrubber a soda per l’acido cloridrico che si forma dalla combustione del PVC; per le diossine eventuali che si possono così formare è ipotizzabile un post combustore o, ancor meglio, una sezione del forno dove i gas vengono lanciati dentro lo stesso campo di microonde per formare un plasma e in questo modo “bruciare” le diossine e gli altri composti pericolosi. * Romana Ambiente s.r.l. ** CNR Istituto Geologia Ambientale e Geoingegneria

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Energia dagli agrumi Gli scarti della produzione industriale sono valorizzati in un progetto siciliano che offre opportunità per l’intera filiera della produzione e trasformazione degli agrumi di Laura Veneri

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rifiuti sono rifiuti finché qualcuno non riesce a trasformali in risorsa ed è esattamente quanto avvenuto in Sicilia dove, grazie a una collaborazione tra diversi attori, sono state individuate tecniche e soluzioni innovative per la valorizzazione del pastazzo. In una regione dove si coltiva oltre il 50% della produzione italiana di agrumi, ed il 60% della produzione di arance, queste colture rappresentano una grande risorsa dell’economia locale sia che vengano destinate alla vendita per essere consumate come frutti sia se sottoposte a lavorazione per trarne succhi e concentrati. Il progetto “Energia dagli agrumi: un’opportunità per l’intera filiera” ha l’obiettivo di trasformare da rifiuto a risorsa le polpe, i semi e le bucce che residuano dalla trasformazione degli agrumi, il cosiddetto pastazzo. Esso costituisce attualmente un costo per la filiera agrumicola che, se opportunamente gestito, può però rappresentare un’opportunità per l’intera filiera siciliana, dando vita a un circolo virtuoso che genera energia rinnovabile e nutrienti per il terreno. Il “pastazzo” è il residuo umido generato dalla produzione industriale di succo di agrumi e rappresenta circa il 60% del quantitativo trattato. Attualmente viene gestito come fosse un rifiuto e

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genera costi elevati e imprevedibili. Esso è utilizzato solo in parte come ammendante in agricoltura e, in minime quantità, come mangime per animali, additivo per alimentazione umana o compost. Ma nessuna di queste soluzioni è stata sinora in grado di assorbire l’ingente quantitativo prodotto in Sicilia cosicché le aziende, costrette ad affrontare elevati costi di smaltimento, hanno talvolta provocato danni ambientali smaltendo illecitamente tali rifiuti. Grazie al progetto promosso dal Distretto Agrumi di Sicilia, in collaborazione con l’Università degli Studi di Catania, la Cooperativa Empedocle e The Coca-Cola Foundation, è stato avviato un processo di valorizzazione del pastazzo. L’iniziativa ha l’obiettivo di implementare tecniche e soluzioni innovative che consentono di aumentarne le quantità impiegate nella digestione anaerobica per la produzione di energia elettrica, biometano, bioprodotti e nutrienti per il terreno, avviando un processo circolare e virtuoso su molteplici livelli e generando vantaggi economici, ambientali e sociali. I vantaggi economici si realizzeranno attraverso la riduzione dei costi di smaltimento con ricadute positive sull’intera filiera; i vantaggi ambientali saranno determinati da un abbattimento di emissioni

di CO2 in atmosfera dal momento che lo scarto viene riutilizzato per produrre energia rinnovabile, termica ed elettrica; infine ci saranno anche vantaggi sociali, grazie alla realizzazione di una rete di impianti che darebbe al territorio un forte contributo dal punto di vista occupazionale. Oggi, infatti, smaltire le oltre 340 mila tonnellate di pastazzo prodotte mediamente ogni anno, costa alla filiera oltre 10 milioni di euro (circa 30 euro/ tonnellata). Un impianto capace di valorizzare pastazzo di agrumi, altri sottoprodotti delle filiere agroalimentari mediterranee (sansa, vinacce, ecc.) e colture a rotazione o secondi raccolti può fornire, ad esempio, 500 normal metri cubi di biogas ed attivare un generatore in grado di produrre 1 MW di energia elettrica, sufficiente per alimentare in media il consumo di 333 abitazioni. L’obiettivo è di estendere il progetto all’intera Regione Sicilia: è stato, infatti, calcolato che per risolvere il problema dei residui agrumicoli in Sicilia basterebbero solo 20 digestori. L’impianto pilota è stato presentato a fine aprile nel corso di un convegno promosso dal Distretto Agrumi di Sicilia e ha visto la partecipazione del Dipartimento di Agricoltura, Alimentazione e Ambiente (Di3A) dell’Università di Catania e della Cooperativa Empe-


docle. A sostegno dell’iniziativa, il finanziamento non condizionato di The Coca-Cola Foundation. Federica Argentati, Presidente del Distretto Agrumi di Sicilia, ha ricordato il percorso che ha portato a realizzare il progetto, grazie all’intervento e alla collaborazione di tutti gli enti coinvolti e come l’impianto risponda alle esigenze manifestate dai principali attori dell’intera filiera agrumicola. “Questo è un progetto che ha molteplici risvolti positivi. Il primo è quello di aver acceso i riflettori su un problema reale legato al riutilizzo di un sottoprodotto, il pastazzo, che da fattore critico ha tutte le potenzialità per divenire risorsa. Secondo: ha favorito il dialogo tra pubblico (l’Università) e privato (le aziende della filiera). Terzo: questo progetto ha dato valore all’innovazione di sistema proposta dal Distretto degli Agrumi e sostenuta con passione da The Coca-Cola Foundation, una vera carica di energia positiva necessaria al cambio di rotta di tutto il comparto” ha commentato Federica Argentati. All’incontro è intervenuto anche Beno Biundo, Presidente della Cooperativa Empedocle, società specializzata nella realizzazione di impianti per energie da fonti rinnovabili, che ha illustrato il funzionamento dell’impianto pilota e della formula ideale da destinare al processo di trasformazione: “In natura,

in agricoltura, nelle produzioni agroalimentari il rifiuto non esiste. Tutto può essere rimesso in circolo e diventare fonte di reddito. Non ci possiamo più permettere il lusso di rifiutare i doni di Madre Natura”.

L’impianto pilota

L’impianto pilota nasce dalla necessità di testare le condizioni tecniche e le miscele di biomasse locali migliori per massimizzare l’utilizzo del pastazzo di agrumi nella produzione di biogas, risolvendo in modo remunerativo un potenziale problema economico e am-

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bientale portando inoltre a conoscenza delle aziende della filiera degli agrumi le potenzialità di uno strumento che produca biogas da biomasse con alta percentuale di pastazzo di agrumi. Il prototipo, costruito ex novo per il progetto in questione, è montato su un pianale container che consente il trasporto e la messa in opera in più sedi. È composto da 5 serbatoi di acciaio: un serbatoio di accumulo e alimentazione di 1,5 m³ e 4 serbatoi digestori da 1 m³ che possono lavorare indipendentemente o a coppie sperimentando in parallelo diversi parametri chimico fisici. Come funziona la lavorazione del pastazzo per la generazione di biogas? Attraverso vari passaggi. Inizialmente la biomassa grezza, destinata alla codigestione con il pastazzo, viene triturata con un biotrituratore e poi unita al pastazzo nel serbatoio di accumulo e alimentazione dove subisce ulteriori triturazioni per essere finemente omogeneizzata fino a raggiungere la giusta granulometria. Una volta ottenuto l’impasto giusto, la miscela, tramite un circuito idraulico, raggiunge i digestori che, riempiti per 8-9/10 della loro capacità, mettono in funzione una pompa sommersa che rimescola il materiale per evitare la formazione della crosta di superficie che bloccherebbe la attività dei batteri metanigeni. In questi serbatoi la biomassa fermenta per circa 40/50 giorni. La durata è influenzata da vari fattori tra cui la composizione della biomassa e la temperatura della digestione. Un set di sensori monitora e analizza i parametri di produzione di vari gas (metano, anidride carbonica, ecc.) rendendoli disponibili per la consultazione sia in situ che in remoto. Il gas prodotto dalla digestione viene convogliato dentro un “gasometro” (serbatoio gonfiabile), che alimenta un cogeneratore di dimensioni e potenza ridotta. Il cogeneratore può fornire in modo discontinuo elettricità e calore per i consumi dell’impianto. Circa l’80% della biomassa iniziale non si trasforma in biogas ma diviene un ammendante organico che può essere utilizzato tal quale in campo oppure essiccato per ulteriori usi agronomici.

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NON PIù PUNIBILI I REATI DI LIEVE ENTITà Rientrano nell’applicazione del D.Lgs. n. 28/2015 la quasi totalità dei reati ambientali di Rosa Bertuzzi* e Nicola Carboni**

I

l nostro legislatore, con l’emanazione del D.Lgs. n. 28/2015 (Disposizioni in materia di non punibilità per particolare tenuità del fatto, a norma dell’articolo 1, comma 1, lettera m, della legge 28 aprile 2014, n. 67), in vigore dal 2 aprile 2015, introduce importanti novità in materia di depenalizzazione dei reati minori e pene non carcerarie. Ciò significa che i giudici, qualora valutino che il reato sia di lieve entità, pronunciano sentenza di non doversi procedere e tale circostanza può riguardare tutti i reati in materia ambientale (ad

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eccezione dei reati gravi, quali le attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, l’associazione a delinquere, la truffa aggravata ai danni dello stato, qualora sia in concorso con altri reati, sempre in materia ambientale). La norma infatti stabilisce che “nei reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena, la punibilità è esclusa quando, per le modalità della condotta e per l’esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell’articolo 133, primo comma, l’offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale”. Innanzitutto è necessario porre attenzione all’ambito oggettivo di applicazione

della nuova norma, per poi analizzare i presupposti della sua applicabilità.

L’ambito di applicazione dell’art. 131-bis cod. pen.

Quanto al primo aspetto, l’art. 131-bis si applica a tre categorie di reati: 1. reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni (quasi tutti i reati ambientali); 2. reati per i quali è prevista la sola pena pecuniaria; 3. reati puniti congiuntamente con pena pecuniaria e pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni. Considerando la materia ambientale si nota come la nuova disposizione potrebbe trovare applicazione in riferimento alla quasi totalità dei reati ambientali. In effetti, il Testo Unico ambientale (D.Lgs. 152/06, di seguito T.U.) prevede quali pene detentive massime per i reati in esso contenuti, pene inferiori a 5 anni. Ecco allora che reati quali l’attività di gestione di rifiuti non autorizzata (art. 256 T.U.), il traffico illecito di rifiuti (art. 259 T.U.), l’esercizio di impianti senza la prescritta autorizzazione (art. 279 T.U.), solo per citarne alcuni, rientrerebbero in astratto nel campo di applicazione dell’art. 131-bis cod. pen. Gli unici reati ad esserne esclusi, sempre all’interno del testo unico ambientale, sono la “combustione illecita di rifiuti” pericolosi (art. 156-bis, c. 1 seconda parte T.U.), punita con la reclusione da tre a sei anni, e le “attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti” (art. 260 T.U.), punite con la reclusione da uno a sei anni, ovvero da tre a otto anni qualora il traffico abbia ad oggetto rifiuti ad alta radioattività. Per quanto concerne le altre materie ambientali, quali ad esempio la legge sulla caccia (Legge


11 febbraio 1992, n. 157 “Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio”), la legge sui beni culturali e del paesaggio (D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 “Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137”), tutte le norme sui boschi e foreste (a partire dal R.D.L. 30 dicembre 1923, n. 3267 “Riordinamento e riforma della legislazione in materia di boschi e di terreni montani”), in materia edilizia (D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di edilizia”), in materia di elettrosmog (L. 22 febbraio 2001, n. 36 “Legge quadro sulla protezione delle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici”), nonché quasi tutte le altre norme ambientali, le stesse prevedono, quale sanzione penale, pene inferiori a quanto stabilito nella norma, quindi il giudice, in tali materie, è sempre legittimato a pronunciare la sentenza di cui al D.Lgs. 28/2015. Prendendo in considerazione il già citato reato di “combustione illecita di rifiuti” non pericolosi di cui all’art. 256-bis, c. 1 prima parte T.U. (se si trattasse di rifiuti pericolosi, in effetti, si realizzerebbe la fattispecie autonoma di cui alla seconda parte del comma 1, e, come abbiamo visto, l’applicazione dell’art. 131-bis cod. pen. sarebbe a priori esclusa), il quale stabilisce che “salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque appicca il fuoco a rifiuti abbandonati ovvero depositati in maniera incontrollata in aree non autorizzate è punito con la reclusione da due a cinque anni” se ne evince molto chiaramente che il siffatto reato rientra appieno nella norma.

I presupposti di applicabilità dell’art. 131-bis cod. pen.

Quanto al secondo aspetto, i presupposti di applicabilità dell’art. 131-bis sono due:

1. la

La particolare tenuità dell’offesa

La particolare tenuità dell’offesa implica una duplice valutazione: 1. delle modalità della condotta; 2. dell’esiguità del danno o del pericolo arrecato al bene giuridico tutelato dalla norma penale. Per espressa previsione del comma 1 dell’art. 131-bis cod. pen.,

colo si valuta assumendo a punto di riferimento l’offesa tipica intesa nell’accezione penalistica: una malversazione relativa ad una grossa somma è più grave di una malversazione di poche lire”; quanto più specificatamente al grado del pericolo, “un pericolo concreto sarà sempre più grave di un pericolo astratto”; mentre nell’ambito del pericolo astratto, “il pericolo stesso presenterà un disvalore più accentuato quanto maggiore risulti l’entità della probabile lesione ovvero il grado di probabilità della sua verificazione”; l’intensità del dolo “appare maggiore nel dolo intenzionale e progressivamente meno grave nel dolo diretto e nel dolo eventuale”; infine, per accertare il grado della colpa “occorre

questi due aspetti devono essere valutati ai sensi dell’art. 133, c. 1 cod. pen., in virtù del quale la gravità del reato deve essere desunta “1) dalla natura, dalla specie, dai mezzi, dall’oggetto, dal tempo, dal luogo e da ogni altra modalità dell’azione; 2) dalla gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa dal reato; 3) dalla intensità del dolo o dal grado della colpa”. “La gravità del danno o del peri-

fare riferimento ad una serie di criteri quali il quantum di esigibilità della condotta doverosa e di divergenza tra la condotta tenuta e la regola precauzionale applicabile al caso concreto”. Occorre inoltre richiamare le osservazioni formulate da L. Ramacci (cfr “Ambiente in genere. Note in tema di non punibilità per particolare tenuità del fatto e reati ambientali”, pubblicato in lexambiente.com), il quale mette in

particolare tenuità dell’offesa (A); 2. la non abitualità del comportamento (B). Si vuole spiegare nel dettaglio tale passaggio al solo scopo di informare l’indagato delle possibilità in essere circa l’applicazione della norma.

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evidenza come l’art. 131-bis cod. pen. sia applicabile anche “rispetto a quelle violazioni ambientali la cui configurabilità presuppone il superamento di valori limite (ad es., le contravvenzioni previste dall’art. 137, comma 5 o dall’art. 279, comma 2 D.Lgs. 152/06), escludendo, quindi, che una tale evenienza sia, di per sé sola, ostativa alla declaratoria di non punibilità”. Al contrario, l’elemento determinante da prendere in considerazione rispetto a ciascun caso concreto è la gravità della lesione (sotto forma di danno o di pericolo) arrecata al bene giuridico tutelato dalla norma, in questo senso “pare si possa escludere che una condotta meramente formale, quale l’avvio di un’attività senza autorizzazione, possa, per ciò solo, determinare un danno o un pericolo qualificabile come esiguo, quando, sempre a titolo d’esempio, l’effettuazione di uno scarico o la gestione di rifiuti non avrebbe potuto essere autorizzata, ovvero quando questa abbia comunque determinato una compressione non irrilevante del potere di controllo dell’amministrazione competente sulle attività potenzialmente inquinanti. Analoghe conclusioni dovrebbero trarsi con riferimento all’inosser-

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vanza delle prescrizioni di un’autorizzazione, quando, sempre per esempio, il mancato rispetto delle prescrizioni vanifichi anch’esso il controllo da parte della pubblica amministrazione su aspetti significativi dell’attività medesima, quali la sicurezza, la salute, etc.”. Secondo queste premesse, ad avviso di chi scrive, l’art. 131-bis cod. pen. ben potrebbe trovare applicazione qualora un soggetto gestisca rifiuti nelle more della concessione della prescritta autorizzazione (ipotesi configurabile il reato di cui all’art. 256 T.U.) e sussistano tutti i presupposti che avrebbero consentito il rilascio di quest’ultima. L’azienda, inoltre, per poter addivenire a tale istituto, dovrà provare la situazione esistente in passato. Ad esempio il grado pregresso di contaminazione del territorio non rende automaticamente irrilevante il danno causato dal comportamento criminoso del soggetto agente: “non pare pertanto condivisibile l’affermazione secondo la quale... tanto più degradato è l’ambiente in cui la condotta viene posta in essere, tanto più facilmente potrà pervenirsi ad un giudizio di particolare tenuità della condotta, sotto il profilo del danno o del pericolo cagionati... perché

non può ritenersi affatto irrilevante l’aggravamento ulteriore di una situazione preesistente, ancorché caratterizzata da una significativa compromissione, in quanto anche un minimo contributo inquinante incide negativamente, quanto meno sul grado di contaminazione, nonché su tempi e costi di eventuali successive operazioni di messa in sicurezza, bonifica o, comunque, finalizzate ad un recupero delle condizioni originarie” (L. Ramacci). E’ necessario ricordare che l’esiguità del danno è prevista dal codice penale anche quale circostanza attenuante: art. 62, n. 4), “l’aver, nei delitti contro il patrimonio, o che comunque offendono il patrimonio, cagionato alla persona offesa dal reato un danno patrimoniale di speciale tenuità...”. Si crea pertanto un parallelismo fra questa circostanza e uno degli elementi caratterizzanti la particolare tenuità del reato ai sensi dell’art. 131-bis cod. pen. La giurisprudenza si è posta questa domanda: è possibile configurare in astratto un danno patrimoniale di particolare tenuità ex art. 64, n. 4) cod. pen. in riferimento ai reati ambientali? La risposta fornita dalla Corte di Cassazione è positiva: la disposizione


codicistica si riferisce ai reati “che comunque offendono il patrimonio”, e in questa categoria possono rientrare anche i reati ambientali, in quanto possono cagionare danni economicamente valutabili di maggiore o minore gravità (Cass. Pen., sez. III, 01/08/1992, RGE 1993, I, 676). Si deve pertanto concludere che non sussistano difficoltà nel riconoscere la possibilità di configurare l’esiguità del danno anche in riferimento ai reati ambientali, tanto più che l’art. 131-bis cod. pen. non fa riferimento al carattere patrimoniale del danno. Così per esemplificare, potrà verosimilmente ritenersi che costituisca un’offesa di particolare tenuità l’ipotesi in cui un soggetto trasporti senza autorizzazione un (uno e uno solo) barile contenete rifiuti non pericolosi (fattispecie configurante il reato di cui all’art. 256, c. 1, lett. a) T.U.), ovvero ancora l’ipotesi in cui un soggetto abbia appiccato fuoco a rifiuti non pericolosi abbandonati e si sia poi premunito per ripristinare lo stato dei luoghi (reato di cui all’art. 256bis, c. 1 T.U.), ovvero ancora il caso in cui il soggetto abbia “per ignoranza” in un’occasione (una e una sola) trasportato rifiuti in difformità dalla prescritta autorizzazione. Il comma 2 dell’art. 131-bis cod. pen. prevede poi dei casi in cui l’offesa non può mai essere ritenuta di particolare tenuità, e si deve pertanto escludere l’applicabilità dell’articolo in esame: “l’offesa non può essere ritenuta di particolare tenuità, ai sensi del primo comma, quando l’autore ha agito per motivi abietti o futili, o con crudeltà, anche in danno di animali, o ha adoperato sevizie o, ancora, ha profittato delle condizioni di minorata difesa della vittima, anche in riferimento all’età della stessa ovvero quando la condotta ha cagionato o da essa sono derivate, quali conseguenze non volute, la morte o le lesioni gravissime di una persona”. Quanto ai reati in materia ambientale, queste ipotesi (ad eccezione

dell’offesa in danno di animali) appaiono difficilmente configurabili, trovando piuttosto la loro naturale collocazione in riferimento ai reati contro la persona. Occorre tuttavia precisare che, con il comma 2, il legislatore ha voluto semplicemente indicare un “nocciolo duro” di particolari modalità della condotta, in riferimento alle quali la tenuità dell’offesa deve sempre essere esclusa. Non si deve perciò approssimativamente concludere che le ipotesi non rientranti nel comma 2 integrino sempre una condotta di particolare tenuità; occorrerà, al contrario, valutare (in ciascun caso concreto) le modalità del comportamento del soggetto agente e l’ammontare del danno o del pericolo. Fortunatamente il legislatore, in questa novella di “depenalizzazione” ai reati, ha voluto comunque tutelare gli animali, quindi, tutte le norme a tutela degli stessi (vedi articoli codice penale e leggi specifiche in materia).

La non abitualità del comportamento

Ancora l’azienda potrà dimostrare la non abitualità del comportamento del soggetto agente, che implica che non risultino integrate le condizioni di cui al comma 3 dell’art. 131 bis cod. pen.: “il comportamento è abituale nel caso in cui l’autore sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza ovvero abbia commesso più reati della stessa indole, anche se ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di particolare tenuità, nonché nel caso in cui si tratti di reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate”. Peraltro, secondo quanto indicato dalla relazione allegata allo schema di decreto legislativo, il comma 3 indicherebbe solo alcuni casi in cui il comportamento può essere definito abituale e non potrebbe essere inteso quale elenco tassativo. Quanto ai reati ambientali, occorre sottolineare come l’applicabili-

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tà dell’art. 131-bis cod. pen. sarà esclusa qualora alla base del reato vi siano condotte plurime, abituali o reiterate. Si consideri, ad esempio, l’effettuazione di più attività di gestione di rifiuti non autorizzata (art. 256 T.U., che sanziona penalmente il fatto di effettuare “una attività di raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio ed intermediazione di rifiuti in mancanza della prescritta autorizzazione, iscrizione o comunicazione”), o a molteplici attività di incenerimento o coincenerimento di rifiuti pericolosi e non senza la prescritta autorizzazione (art. 261-bis, cc. 1 e 2 T.U.), sebbene il massimo edittale di questi reati sia largamente inferiore a 5 anni di detenzione. Più nel dettaglio, come messo ben in evidenza da parte dei commentatori (cfr. L. Ramacci, op. cit.), occorre distinguere fra reati necessariamente ed eventualmente abituali. Mentre affinché la prima tipologia di reati sia configurabile occorre la ripetizione di condotte analoghe, sorrette dal medesimo elemento soggettivo e lesive del medesimo bene giuridico, i reati eventualmente abituali sono già perfetti anche solo con l’attuazione di una singola condotta (sebbene possano configurarsi come ripetizione nel tempo di distinte, ma analoghe condotte). Quanto ai reati (necessariamente) abituali (fra cui rientra l’attività organizzata per il traffico illecito di rifiuti di cui all’art. 260 T.U., per la quale, peraltro, è prevista una pena detentiva superiore nel massimo a cinque anni), l’applicabilità dell’art. 131-bis cod. pen. è palesemente esclusa (ricorrendo la condizione di cui al n. 5).“Sembra invece condurre a conclusioni diverse l’ipotesi del reato eventualmente abituale, quando caratterizzato da una singola condotta”; in questa categoria rientra la raccolta e trasporto di rifiuti in difetto di autorizzazione. *Ambienterosa, Consulenze Legali Ambientali **Vice Comandante Polizia Provinciale di Cagliari

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I rifiuti abbandonati possono essere conferiti presso i centri di raccolta? La risposta al quesito dall’analisi puntuale della normativa vigente di Daniele Carissimi*

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er dare risposta al quesito è necessario verificare, preliminarmente, quale sia la disciplina applicabile ai rifiuti classificabili come “abbandonati”. Ebbene, ai sensi del D.Lgs. 152/06, Parte IV, art. 184, comma 2), lett d) viene previsto che sono definiti rifiuti urbani “i rifiuti di qualunque natura o provenienza, giacenti sulle strade ed aree pubbliche o sulle strade ed aree private comunque soggette ad uso pubblico o sulle spiagge marittime e lacuali e sulle rive dei corsi d’acqua”. Pertanto, qualsiasi rifiuto abbandonato o depositato in modo incontrollato su strade e aree pubbliche o su strade ed aree private comunque soggette ad uso pubblico, indipendentemente dalla sua natura o dalla sua origine, assume la connotazione di rifiuto urbano, e pertanto soggiace alle medesime regole di gestione dei rifiuti urbani propriamente

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detti. Non si può escludere, tuttavia, che i rifiuti giacenti su strada possano essere l’esito di condotte inerenti lo smaltimento illegale di rifiuti che, per origine, sarebbero speciali. Tale apparente contraddizione viene risolta proprio dallo stesso legislatore il quale, infatti, utilizza l’espressione “rifiuti di qualunque provenienza” [1] risultando quindi indifferente interrogarsi circa l’origine di tali rifiuti. Conferme in tal senso provengono anche dalla giurisprudenza di merito [2] la quale ha affermato che, al cospetto di materiale inerte giacente su un’area pubblica eletta a luogo di deposito incontrollato di rifiuti da parte di privati, ma anche di imprese, non può esserci certezza in ordine alla provenienza degli stessi di talché devono considerarsi sempre come urbani. Individuata, quindi, la disciplina in concreto applicabile ai rifiuti abbandonati,

deve ora richiamarsi la normativa di riferimento per quanto concerne i Centri di Raccolta. A tal proposito l’art. 183 del TUA, lett. mm) definisce il Centro di Raccolta, come l’“area presidiata ed allestita, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, per l’attività di raccolta mediante raggruppamento differenziato dei rifiuti urbani per frazioni omogenee conferiti dai detentori per il trasporto agli impianti di recupero e trattamento”. Il centro di raccolta, pertanto, è preordinato a consentire che i rifiuti urbani vengano conferiti e raccolti in modo differenziato affinché si possa procedere al successivo trasporto verso il recupero degli stessi. Come da richiamo della norma citata, i centri di raccolta sono stati regolamentati nelle specifiche tecniche da apposito D.M., e vale a dire quello dell’8 aprile 2008, così come modificato dal D.M. 13


maggio 2009. All’art. 1 del citato D.M., rubricato “Campo di applicazione”, viene previsto che: “I centri di raccolta comunali o intercomunali disciplinati dal presente decreto sono costituiti da aree presidiate ed allestite ove si svolge unicamente attività di raccolta, mediante raggruppamento per frazioni omogenee e per il trasporto agli impianti di recupero, trattamento e, per le frazioni non recuperabili, di smaltimento, dei rifiuti urbani e assimilati elencati in allegato I, paragrafo 4.2., conferiti in maniera differenziata rispettivamente dalle utenze domestiche e non domestiche anche attraverso il gestore del servizio pubblico, nonché dagli altri soggetti tenuti in base alle vigenti normative settoriali al ritiro di specifiche tipologie di rifiuti dalle utenze domestiche”. Sulla base della disciplina citata è lecito ritenere che il conferimento dei rifiuti urbani in maniera differenziata presso i Centri di Raccolta Comunali possa essere effettuato esclusivamente in relazione alle utenze domestiche e di quelle non domestiche. Ed invero si presuppone che la norma intenda fare riferimento a due specifiche lettere di cui all’art. 184 del Testo unico ambientale, che individuano i rifiuti sulla base dei locali di provenienza e segnatamente: a. “i rifiuti domestici, anche ingombranti, provenienti da locali e luoghi adibiti ad uso di civile abitazione; b. i rifiuti non pericolosi provenienti da locali e luoghi adibiti ad usi diversi da quelli di cui alla lettera a), assimilati ai rifiuti urbani per qualità e quantità, ai sensi dell’articolo 198, comma 2, lettera g)”; Attesa tale precisazione quindi si può ritenere che il Legislatore, avendo puntualizzato la provenienza dei rifiuti urbani conferibili presso il Centro di Raccolta restringendo il campo di applicazione alle utenze domestiche e non domestiche, abbia inteso escludere dalla possibilità di conferimento presso i Centri di raccolta, gli altri rifiuti urbani provenienti da altri siti e vale a dire quelli di cui alle lettere c), d), e) e f) [3] dell’art. 184 cit. Ciò determina quindi che, all’infuori dei rifiuti domestici e di quelli assimilati, non sia possibile conferire presso i centri di raccolta altre tipologie di rifiuti,

quali i rifiuti provenienti dallo spazzamento delle strade, quelli giacenti sulle strade ed aree pubbliche, i rifiuti vegetali e quelli provenienti da esumazioni ed estumulazioni. Conferme in tal senso sono ravvisabili anche dall’allegato I, al punto 4.2. del D.M. 8 aprile del 2008, il quale, prevede il conferimento di alcuni codici CER solo se provenienti da utenze domestiche e segnatamente: • “11. pneumatici fuori uso (solo se conferiti da utenze domestiche) (codice CER 16 01 03); • 13. componenti rimossi da apparecchiature fuori uso diversi da quelli di cui alla voce 16 02 15* (limitatamente ai toner e cartucce di stampa provenienti da utenze domestiche) (codice CER 16 02 16); • 14. gas in contenitori a pressione (limitatamente ad estintori ed aerosol ad uso domestico) (codice CER 16 05 04* codice CER 16 05 05); • 15. miscugli o scorie di cemento, mattoni, mattonelle, ceramiche, diverse da quelle di cui alla voce 17 01 06* (solo da piccoli interventi di rimozione eseguiti direttamente dal conduttore della civile abitazione) (codice CER 17 01 07); • 16. rifiuti misti dell’attività di costruzione e demolizione diversi da quelli di cui alle voci 17 09 01*, 17 09 02* e 17 09 03* (solo da piccoli interventi di rimozione eseguiti direttamente dal conduttore della civile abitazione) (codice CER 17 09 04); • 34. batterie ed accumulatori di cui alle voci 160601* 160602* 160603* (provenienti da utenze domestiche) (codice CER 20 01 33*); • 39. rifiuti prodotti dalla pulizia di camini (solo se provenienti da utenze domestiche) (codice CER 20 01 41)”. La violazione del divieto di cui sopra espone, pertanto, alla sanzione di cui all’art. 256, comma 1, il quale stabilisce che: “1. Fuori dai casi sanzionati ai sensi dell’articolo 29-quattuordecies, comma 1, chiunque effettua una attività di raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio ed intermediazione di rifiuti in mancanza della prescritta autorizzazione, iscrizione o comunicazione di cui agli articoli 208, 209, 210, 211, 212, 214,

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215 e 216 è punito: (comma così modificato dall’art. 11, comma 3, d.lgs. n. 46 del 2014) a. con la pena dell’arresto da tre mesi a un anno o con l’ammenda da 2.600 euro a 26.000 euro se si tratta di rifiuti non pericolosi; b. con la pena dell’arresto da sei mesi a due anni e con l’ammenda da 2.600 euro a 26.000 euro se si tratta di rifiuti pericolosi”. *Ambiente Legale

NOTE

[1] G. Maione, “Rifiuti abbandonati sulla strada: ruoli e responsabilità”, Diritto all’ambiente, www.ambientediritto.com. [2] Cfr. sintesi della sentenza del Tribunale di Napoli, depositata in data 6 giugno 2013, in relazione al procedimento RGNR 50653, redatta da P. Rinaldi. [3] Art. 184 co. 2, D.Lgs. 152/06 “[…] c) i rifiuti provenienti dallo spazzamento delle strade; d) i rifiuti di qualunque natura o provenienza, giacenti sulle strade ed aree pubbliche o sulle strade ed aree private comunque soggette ad uso pubblico o sulle spiagge marittime e lacuali e sulle rive dei corsi d’acqua; e) i rifiuti vegetali provenienti da aree verdi, quali giardini, parchi e aree cimiteriali; f) i rifiuti provenienti da esumazioni ed estumulazioni, nonché gli altri rifiuti provenienti da attività cimiteriale diversi da quelli di cui alle lettere b), e) ed e).”

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r u b ri c h e

R E C O N N E T Terza edizione dell’Alta Scuola di Formazione sulle bonifiche di Renato Baciocchi* e Igor Villani**

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a rete Reconnet è impegnata sempre di più nelle attività di formazione nel settore della gestione e bonifica dei siti contaminati, dove la richiesta è in continuo aumento, a causa di una crescente esigenza di aggiornamento da parte di tecnici e professionisti coinvolti a vario titolo nelle procedure di bonifica. Tra le diverse iniziative, anche quest’anno la rete Reconnet ha patrocinato l’Alta scuola di Formazione sulle Bonifiche, iniziativa giunta ormai alla terza edizione, svoltasi a Ravenna dal 20 al 22 maggio scorsi. L’Alta Scuola di Formazione sulle Bonifiche nasce nel 2013 dalla collaborazione tra la rete Reconnet e Labelab, come evento di formazione organizzato nell’ambito della manifestazione “Fare i conti con l’ambiente”, che si tiene annualmente a Ravenna. La prima edizione era stata finalizzata a fornire una panoramica dell’intero percorso di bonifica, dalla caratterizzazione e analisi di rischio alle tecnologie di messa in sicurezza e bonifica. Nella seconda edizione, tenuta nel 2014, si è invece puntato all’organizzazione di un vero e proprio secondo modulo della scuola, che fornisse un approfondimento sui temi della caratterizzazione, analisi di rischio e monitoraggio degli interventi. La terza edizione, conclusa di recente, è stata ancora una volta caratterizzata da un programma completamente nuovo. La prima giornata è stata interamente dedica-

ta al tema della riqualificazione delle aree dismesse e al suo legame con i procedimenti di bonifica; la seconda giornata è stata dedicata all’analisi di rischio e al tema del monitoraggio del soil-gas; la terza alla presentazione di casi studio ed esperienze di siti petrolchimici e alla sostenibilità applicata alle bonifiche. Nella scelta dei docenti, si è puntato al coinvolgimento di professionalità in grado di fornire alla classe non solo nozioni su aspetti di carattere teorico, ma anche di trasferire le proprie esperienze applicative. La scuola, il cui programma è stato organizzato dal Prof. Renato Baciocchi (Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”) e dal Dott. Igor Villani (Provincia di Ferrara), con il supporto organizzativo dell’Ing. Mario Sunseri (SGM e Labelab) ha registrato un numero complessivo di 38 iscrizioni nei tre giorni, con un picco di 48 nella giornata dedicata all’analisi di rischio. La partecipazione è risultata numericamente in linea con quella delle precedenti edizioni, ma rispetto agli altri anni, si è osservato un incremento nella partecipazione di dipendenti di enti pubblici (agenzie ambientali, amministrazioni locali, istituti scientifici) e liberi professionisti o dipendenti di società di consulenza e studi professionali. Ciò suggerisce che il target della scuola si è gradualmente spostato da neolaureati o dottorandi, maggiormente presenti nella prima edizione, a spe-

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cialisti del settore, favorendo in questo modo le possibilità di interazione tra relatori e partecipanti.

I contenuti della scuola

Il titolo della terza edizione della scuola è stato “Riqualificazione, Monitoraggio, Sostenibilità”. Ciascuno dei tre temi ha caratterizzato una delle tre giornate della scuola. Ad integrazione del programma ordinario si è tenuta, al termine della prima giornata, la tavola rotonda sul danno ambientale. Il tema della riqualificazione è stato affrontato nel corso della prima mattinata della scuola, con l’obiettivo di mettere a confronto le esperienze dei partner italiani di alcuni progetti europei recentemente completati. Il primo intervento, tenuto dal Prof. Renato Baciocchi dell’Università di Roma “Tor Vergata” e dalla Dott.ssa Lisa Pizzol dell’Università Cà Foscari di Venezia, ha infatti riportato alcuni risultati ottenuti nell’ambito rispettivamente dei progetti europei HOMBRE e TIMBRE. Entrambi i progetti sono stati finanziati nell’ambito del settimo programma quadro e si sono svolti nel periodo 2010-2014. Il Prof. Baciocchi ha dapprima introdotto il termine brownfield, utilizzato comunemente su scala europea, per definire un’area derelitta o sottutilizzata, precedentemente adibita ad una specifica destinazione d’uso, eventualmente contaminata e che necessita di un intervento per restituirla ad un

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RECONNET

utilizzo benefico. I brownfields rappresentano una criticità per la commissione europea, in quanto il loro recupero rientra nelle politiche mirate alla riduzione del consumo di suolo, nonché alla riqualificazione economica e sociale di aree urbane e periurbane degradate. Per questo motivo, nonostante un numero elevato di progetti già finanziati su questo tema, la commissione europea ha finanziato ulteriori due progetti sulla rigenerazione dei brownfields. Il Prof. Baciocchi ha esposto alcuni dei risultati del progetto HOMBRE, che ha il principale merito di aver sviluppato strategie gestionali e soluzioni innovative, mirate a tre aspetti fondamentali: evitare la formazione di nuovi brownfields, facilitare la rigenerazione dei brownfields esistenti, monitorare adeguatamente l’efficacia dei percorsi di rigenerazione. La Dott.ssa Pizzol ha invece discusso i principali obiettivi e risultati del progetto TIMBRE, soffermandosi specificamente su quanto messo a punto dall’Università Cà Foscari, che ha sviluppato un sistema informativo che fornisce accesso alle risorse disponibili sulla rigenerazione dei brownfields. Si tratta nello specifico di un software funzionante su piattaforma web, che supporta gli stakeholders nella condivisione, accesso e selezione delle informazioni necessarie per le differenti fasi di gestione di un brownfield. Lo strumento consente di tenere conto delle esigenze specifiche degli stakeholder e si aggiorna continuamente sulla base del giudizio fornito dagli utenti sulle risorse accessibili. La prima giornata è proseguita con l’intervento dell’Ing. Laura D’Aprile, responsabile della Divisione Bonifiche e Risanamento del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare. L’Ing. D’Aprile ha dapprima discusso le principali novità normative in tema di bonifiche e ha affrontato successivamente il tema degli accordi di programma, strumento che nell’ambito dei SIN ha come obiettivo quello di rendere più rapido ed efficiente il processo decisionale sui progetti di bonifica associati a progetti di riqualificazione

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industriale, favorendo la costituzione di partnership tra pubblico e privato. Successivamente, l’Ing. Marangon di Syndial ha presentato le attività della società del gruppo eni, che ha come core business la gestione e riqualificazione delle aree industriali dismesse del gruppo, tipicamente caratterizzate da contaminazione delle matrici ambientali. Sono stati presentati diversi casi studio di interventi di bonifica e riqualificazione, come l’Acna di Cengio e il distretto minerario toscano, ed è stata data enfasi a progetti di bonifica sostenibili, come ad esempio quelli basati sul fitorimedio, anticipando il tema della valutazione della sostenibilità, affrontato poi nell’ultima giornata del corso. L’ing. Vianello, fondatore e presidente onorario di AUDIS nonché consulente generale per la riqualificazione dell’IRI, ha ricostruito con dettagli di competenza diretta la storia italiana della riqualificazione ed il confronto tra alcuni importanti interventi di grandi città del Paese. Il quadro riportato racconta di realtà molto diverse sul territorio nazionale: in alcuni casi si è raggiunto l’obiettivo finale dando compimento a grandi operazioni di riqualificazione, in altri le cose non hanno correttamente funzionato lasciando il territorio al disuso. Innumerevoli le cause e concause portate dall’ing. Vianello a giustificazione delle diversità di risultati nei vari casi, e, in chiave futura, qualche dito puntato anche sulla reticenza del sistema ad adattarsi alle necessità del territorio. L’arch. Ansaloni del Comune di Ferrara ha portato l’esperienza diretta di amministratore pianificatore in un’ottica strategica avanzata. La realtà industriale del territorio della sua Amministrazione ha portato la contingente necessità di integrare gli aspetti ambientali con quelli pianificatori. In particolare nell’intervento si è evidenziato come nel Comune di Ferrara si sia riusciti a fare della pianificazione un’opportunità in chiave ambientale, dove i piani attuativi consentono per le aree industriali di avere gli opportuni spazi di manovra

per gli sviluppi futuri e per le aree residenziali di modulare le destinazioni in funzione delle condizioni di qualità delle matrici ambientali col fine di allontanare i cittadini da situazioni importanti di inquinamento. L’Arch. Carlo Fioretti del Comune di Terni ha descritto i tentativi di riqualificazione effettuati sul sito di Papigno, localizzato in prossimità delle Cascate delle Marmore. Si tratta di un’area industriale del SIN TerniPapigno, ormai inattiva dai primi anni ’70, sulla quale si sono succeduti diversi interventi parziali di riqualificazione. Dal restauro di due edifici adibiti ad uffici, al recupero di alcuni capannoni per l’industria cinematografica, all’utilizzo di una parte del sito come appoggio delle attività di sport aquatici lungo il fiume Nera, fino alla recente bonifica da amianto della sala Claude. Tutti questi interventi hanno consentito utilizzi parziali e temporanei del sito, la cui completa riqualificazione necessita però di una nuova strategia che il Comune ha messo in atto, mediante un coinvolgimento più attivo degli stakeholders, già iniziato con una prima iniziativa pubblica svolta nel sito. L’Ing. Andrea Sconocchia di ARPA Umbria ha discusso alcune applicazioni delle tecnologie di bonifica “soft”, basate sul fitorimedio, su cui l’agenzia sta lavorando nell’ambito dell’iniziativa REMIDA. Rispetto ad opzioni tradizionali di bonifica o messa in sicurezza tali tecnologie possono offrire diversi vantaggi tra cui: bassi costi e impatti ambientali, generazione di energia da fonti rinnovabili e conseguente riduzione delle emissioni di CO 2. La prima giornata si è conclusa con la tavola rotonda sul tema del danno ambientale, coordinata dalla Dott.ssa Simonetta Tunesi, anch’essa tra i promotori della scuola, che ha visto la partecipazione dell’Ing. Laura D’Aprile del MATTM e dell’Ing. Leonardo Arru dell’ISPRA. L’analisi di rischio e le tecniche di monitoraggio del soil gas sono state al centro della seconda giornata della scuola. Il Dott. Igor Villani della Provincia di Ferrara ha prima discusso


le principali novità normative per poi approfondire il nuovo decreto emanato dal MATTM relativo alle modalità di gestione dei punti vendita carburanti. Il decreto va a risolvere alcuni problemi storici riguardanti le istruttorie di bonifica sui punti vendita carburante e ha anche la particolarità di disciplinare in materia di Analisi di Rischio, ambito estremamente tecnico solitamente lasciato a criteri metodologici e alla prassi operativa. Successivamente, il prof. Baciocchi ha discusso le principali criticità applicative dell’analisi di rischio, facendo riferimento alle soluzioni delineate all’interno delle linee guida recentemente emanate in merito dal MATTM. L’intervento ha riguardato in particolare cosa fare in presenza di concentrazione di contaminanti organici superiori alla saturazione e come trattare i percorsi di lisciviazione e trasporto in falda. L’intervento dell’Ing. Simona Berardi di INAIL è stato invece dedicato al manuale sul rischio chimico per i lavoratori nei siti contaminati, recentemente emesso da INAIL a seguito delle attività svolte da un gruppo di lavoro specificamente costituito. Il manuale, a seguito dell’applicazione di una procedura basata su una serie di step consecutivi, consente in ultima analisi di individuare se vi siano condizioni di contaminazione tali da richiedere azioni per tutelare la salute dei lavoratori. La seconda parte della mattinata è invece stata incentrata sul monitoraggio del soil gas. In primo luogo l’ing. Adele Lo Monaco (ARPA Emilia Romagna) ha descritto la linea guida operativa per il campionamento, il trasporto e l’analisi dei gas interstiziali nei siti contaminati, appena emessa dalla regione Emilia Romagna. Successivamente, il Dott. Federico Fuin (ARPA Veneto) ha descritto dettagliatamente i criteri per l’esecuzione di campagne di monitoraggio dei gas interstiziali mediante sonde e camere di flusso. Quest’ultimo aspetto è stato affrontato nel dettaglio anche dal Dott. Luca Spinelli (Theolab), che ha presentato e discusso l’applicazione delle camere di flusso

dinamiche e le criticità connesse alla definizione della forma, dimensione e materiale della camera stessa. Il pomeriggio della prima giornata è stato in una prima parte dedicato alla presentazione della versione 2.0 del software di analisi di rischio Risknet, per ora disponibile come betaversion. Il software include la nuova banca dati ISS-INAIL e contiene una serie di novità, quali ad esempio la possibilità di usare il dato di soil gas sia per il calcolo del rischio che per la stima delle CSR e l’opportunità di poter stimare il rischio per inalazione di recettori off-site. Successivamente, è stata effettuata una esercitazione applicativa utilizzando Risk-net 2.0, con la partecipazione attiva dei partecipanti al corso. Le esperienze in siti petrolchimici con la presentazione di casi studio sono state al centro della mattinata del terzo giorno della scuola. L’ing. Roberto Pecoraro (versalis) ha introdotto la sessione con una presentazione sulle attività ambientali nei siti versalis, nella quale sono state descritte alcune esperienze di bonifica e messa in sicurezza e presentato l’approccio seguito nella gestione del rischio dei lavoratori dei siti versalis, facendo anche riferimento ai contenuti del manuale sul rischio chimico di INAIL. Gli avvocati Michele Bianco ed Emanuela Gallo di eni hanno invece affrontato il tema della tutela dell’ambiente, con una presentazione che partendo da una discussione di carattere generale si è poi calata nei temi del danno ambientale così come affrontato nell’ambito della normativa europea e nazionale. La mattinata si è conclusa con l’intervento del Prof. Bacci, che ha dapprima sottolineato la rilevanza della ecotossicologia per la corretta valutazione dei rischi derivanti da contaminazione di matrici ambientali, per poi soffermarsi su alcuni casi studio in siti contaminati versalis. Il Prof. Baciocchi ha concluso la mattinata con un intervento relativo all’interpretazione dei dati di soil gas ottenuti nell’ambito di una serie di campagne condotte in alcuni siti versalis. La scuola è stata conclusa con l’ulti-

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ma sessione, dedicata ad una esercitazione interattiva sulla sostenibilità applicata alle bonifiche, organizzata dall’Ing. Giorgio Bianchi e l’Ing. Danilo Antonelli di Syndial. L’esercitazione è stata basata sui risultati forniti dal SAF (Sustainable Assessment Framework) e ha previsto la suddivisione dei partecipanti in gruppi, ai quali è stato chiesto di assumere uno specifico ruolo (proponente, ente di controllo, comitato cittadini) e in quanto tale di esprimere una valutazione sul peso da assegnare ai diversi criteri di sostenibilità economica, sociale o ambientale.

Conclusioni e prospettive

La terza edizione dell’Alta Scuola si è forse rivelata l’edizione più indovinata per una serie di motivazioni. Al tema bonifiche è stato affiancato il tema della riqualificazione delle aree dismesse, con un proficuo confronto tra esperti di ambiente e di urbanistica. Ai temi di maggiore richiamo, come analisi di rischio e monitoraggio del soil gas, sono stati affiancati aspetti legali su tutela dell’ambiente, danno ambientale e argomenti innovativi come la sostenibilità delle bonifiche. L’interesse sui temi trattati e la composizione della classe, costituita essenzialmente da tecnici e professionisti esperti, hanno spesso creato le condizioni per innescare fruttuose discussioni e dibattiti con i docenti. La scuola continua il suo successo perché ogni anno è stata in grado di rinnovarsi, affrontando sempre temi diversi, seppur senza perdere il forte legame con gli aspetti di interesse applicativo per il mondo delle bonifiche. Ci auguriamo che anche la quarta edizione, prevista nel 2016 sempre a Ravenna in occasione dell’evento “Fare i conti con l’ambiente”, possa continuare il successo delle precedenti edizioni. Come sempre, chiediamo ai lettori di contattare la segreteria della scuola per segnalare gli argomenti di maggiore interesse che si vorrebbero vedere approfonditi. *Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” **Provincia di Ferrara

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VETRINA

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Lavorare in sicurezza in un ambiente sano: la proposta di Incofin

Gli errori commessi e le disattenzioni del passato in merito a sicurezza e salute sul lavoro sono di grande attualità: molti sono gli esempi di persone che pagano un prezzo troppo alto a causa dell’ambiente nel quale operano. Polveri di amianto, acidi nocivi, gas e vapori sono fra le cause: è necessario lavorare in un ambiente sano preservando lavoratore e datore di lavoro da conseguenze spiacevoli e sconvenienti. Incofin, azienda specializzata e con una trentennale esperienza nella filtrazione, propone la gamma di sistemi di filtrazione e pressurizzazione cabine Brofil, per la salvaguardia degli operatori in aree nocive e pericolose. Il sistema di filtrazione e pressurizzazione cabine Brofil sfrutta il principio del differenziale di pressione per garantire la salubrità dell’aria all’interno della cabina del mezzo di lavoro: sigillando in maniera adeguata la cabina, il flusso viene forzato attraverso i filtri del sistema (filtri polveri e filtri a carboni attivi) garantendo la totale pulizia dell’aria. Brofil è compatibile con tutti i sistemi di climatizzazione e riscaldamento delle cabine. Un dispositivo elettronico controlla e previene infiltrazioni di aria non filtrata, segnalando per tempo la necessità di sostituzione dei filtri. Il sistema è certificato ed omologato CE, i filtri sono omologati secondo normative EN779 ed EN1822. I filtri sono in grado di filtrare sostanze tossiche quali amianto, ammoniaca, acido solforico, cianuro, mercurio, fitofarmaci e gas prodotti da idrocarburi. Incofin, attraverso l’esperienza maturata sul campo, è in grado di consigliare la migliore combinazione di filtri adatti per ogni tipo di applicazione. www.incofin.it

Trasmettitore di pressione ad alta integrazione per prodotti OEM con interfaccia digitale e raziometrica La tecnologia Chip in Oil (CiO) (microcircuito nell’olio) sviluppata da Keller trasforma in realtà la tendenza verso la miniaturizzazione. Nei trasmettitori di pressione della Serie 4 LC…9 LC l’ASIC (circuito integrato per applicazioni specifiche) specifico per la rielaborazione del segnale è montato nella stessa struttura di alloggiamento, nell’olio e con esclusione dell’aria, direttamente accanto al sensore della pressione. Ciò comporta una serie di vantaggi: tutti i componenti essenziali per la rilevazione della pressione non sono più minacciati dall’umidità e dalla formazione di condensa. Mentre il cablaggio interno è realizzato con fili di collegamento brevi e leggeri, le piastre in vetro passante, sinterizzate e resistenti alla pressione, conducono i segnali del trasmettitore verso l’esterno. Unitamente alla struttura di alloggiamento in acciaio inossidabile, le piastre formano una gabbia di Faraday intorno al sistema di rilevazione e fungono da condensatori passanti. In questo modo la tecnologia CiO è assolutamente resistente alle RFI (interferenze delle radio frequenze) con intensità di campo fino a 250 V/m e frequenze fino a 4 GHz. I trasmettitori di pressione delle serie 4 LC…9 LC offrono due segnali in uscita: un’uscita di tensione analogica e raziometrica, e un’interfaccia digitale con circuito inter-integrato (I2C). L’interfaccia I2C da anni ha la valenza di standard di serie nei sistemi incorporati. Un solo master I2C può gestire in successione fino a 128 trasmettitori delle serie 4 LC…9LC per richiamare i valori di pressione e temperatura correnti che provengono dai trasmettitori (slaves). Con l’uscita I2C i trasmettitori di pressione sono in grado di funzionare con una tensione di alimentazione di soli 2.7…3.6 VDC, e già dopo soli 5 ms dall’accensione dello strumento forniscono i valori misurati correntemente pertanto sono estremamente adatti per le applicazioni mobili. I trasmettitori si possono utilizzare a temperature comprese tra -40°C e +150°C con l’uscita analogica, e tra -40°C e +80°C con l’uscita I2C. I campi di misurazione della pressione per la versione analogica arrivano da 2 bar fino a 1000 bar, e per la versione digitale da 2 bar fino a 200 bar. Un altro aspetto interessante è costituito dal basso consumo di energia durante il funzionamento in modalità continua: la versione digitale richiede meno di 3 mA, e la versione analogica circa 8 mA.

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CGT Energia: l’efficienza della cogenerazione CGT Energia è la divisione CGT dedicata alla progettazione, realizzazione e manutenzione di impianti per la produzione energetica che assicurano la maggior efficacia con il minor costo possibile per kW prodotto. Settore strategico del gruppo, CGT Energia è leader nel fornire soluzioni integrate e su misura in tutti i settori di competenza nei quali opera. Si avvale per questo di un team altamente specializzato di oltre 250 persone, che opera in tutta Italia con una rete capillare di 31 filiali dirette, garantendo così tempestività d’intervento per qualsiasi emergenza, sia in Italia che all’estero. La forza delle proposte CGT Energia è il risultato di un mix davvero unico: le persone, altamente qualificate grazie ai più alti investimenti in formazione del settore; la vasta gamma di servizi consolidata negli anni per affrontare mercati maturi e nuove opportunità; la forza della lunga e solida partnership con Cat; la forza finanziaria; la cultura della società costruita sull’integrità, sul lavoro di squadra, la competenza e la focalizzazione sul risultato a lungo termine. CGT Energia ha tra le punte di diamante della sua offerta gli impianti di cogenerazione, che permettono di ottenere livelli di efficienza energetica importanti, riducendo sia i costi della produzione, sia il suo impatto ambientale. CGT è il partner commerciale e tecnico di riferimento in Italia nell’offrire soluzioni “chiavi in mano” nella progettazione, realizzazione e manutenzione di impianti di cogenerazione a metano (sia in container sia con realizzazioni ad hoc) e a biogas (in container). Scegliere CGT permette di usufruire di vantaggi fondamentali per ottenere la massima efficienza al minor costo: la progettazione dedicata, la grande gamma dei gruppi elettrogeni Cat, un’ampia offerta di servizi integrati, l’assistenza personalizzata 24/24 e 365 giorni all’anno e la presenza capillare su tutto il territorio italiano. Per ulteriori informazioni 800-827134

UNTHA shredding tecnology sceglie Ecotec Solution come partner esclusivo per la distribuzione in Italia A partire da marzo di quest’ anno, sarà la altoatesina Ecotec Solution a distribuire a titolo esclusivo per il mercato italiano i prodotti di qualità UNTHA relativi al settore delle tecnologie pregiate ed innovative di triturazione rifiuti. I giovani titolari di Ecotec Solution e UNTHA shredding tecnology hanno sottoscritto il contratto di distribuzione esclusivo, ponendo la pietra miliare per una commercializzazione intensiva del marchio UNTHA in Italia. In ambito europeo, il mercato italiano nasconde ancora un notevole potenziale per il portfolio di prodotti UNTHA, la trasformazione dei rifiuti in una risorsa è un obiettivo indicato a chiare lettere nell’agenda italiana e in questo senso il concetto “Waste to Energy” appare come la strada principale per raggiungerlo. Ecotec Solution è stata fondata nel gennaio 2015 da Alex Raich e Martin Mairhofer nell’intento di assumere un ruolo decisivo sul mercato dei rifiuti italiano e l’esperienza trasversale dai due proprietari ha permesso di apportare nuove idee sul mercato e guidare il settore Operations and Marketing. “Dal nostro punto di vista, il mercato italiano è sempre stato molto complesso, con un grande potenziale accompagnato da possibilità incerte di sfruttamento” afferma Daniel Wresnik, Sales Manager presso UNTHA “Alex e Martin si sono presentati con un solido business plan, conoscenze approfondite del mercato italiano e dei suoi operatori, con un progetto adatto a noi. Il loro atteggiamento giovane e dinamico e la loro professionalità ci hanno convinto a definire una strategia comune per i prossimi anni”. Nei prossimi mesi, il team definirà un pacchetto marketing completo per i prodotti UNTHA, focalizzato sulle tecnologie di trattamento rifiuti delle serie XR e TR. Con il rilancio dell’affermata serie XR, UNTHA definisce nuovi standard nel trattamento di rifiuti urbani, industriali e ingombranti. Costi operativi minimi con il massimo delle prestazioni, rendono il nuovo trituratore di rifiuti una vera innovazione, sottolineata dall’utilizzo di una tecnologia intelligente. Introducendola sul mercato, UNTHA intende ampliare ulteriormente la propria leadership in qualità di innovatore nel settore del trattamento dei rifiuti.

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LIBRI Il sistema operativo di gestione dei RAEE A cura di Vincenzo Belgiorno e Alessandra Cesaro

Il volume, suddiviso in sei specifici capitoli, descrive con attenzione la situazione gestionale dei RAEE (Rifiuti da Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche) e il processo di smaltimento attraverso le sue principali fasi: raccolta e ritiro, accordi operativi e trattamento. Con il crescente sviluppo tecnologico e l’aumento della produzione di apparecchi tecnologici è cresciuta la necessità dello smaltimento di tali oggetti una volta arrivati a fine vita. I RAEE presentano però una singolarità rispetto ai rifiuti che vengono prodotti ogni giorno. La loro composizione interna comprende anche materiali preziosi e sostanze pericolose, quindi, la gestione si presenta complessa. Dato l’utilizzo di un linguaggio non prettamente scientifico e grazie alla presenza di grafici e modelli, il testo è rivolto a un pubblico eterogeneo, dunque, non solo per i tecnici del settore ma anche per i lettori più comuni interessati all’argomento trattato.

Dario Flaccovio Editore (127 pagine – € 25,00)

I Rifiuti Delle Navi E Dei Porti A cura di Rosa Bertuzzi

Il libro esamina dettagliatamente tutta la normativa che disciplina la gestione dei rifiuti prodotti dalle navi e nei porti, una tematica la cui importanza si può comprendere anche solo valutando gli impatti che una nave ha sull’ambiente durante il suo esercizio da operazioni di routine come quella di smaltimento dei rifiuti prodotti a bordo. Il volume analizza la normativa giuridica di riferimento, tra cui quella contenuta nel D.Lgs. 24 giugno 2003 n. 182 “Attuazione della direttiva 2000/59/CE relativa agli impianti portuali di raccolta per i rifiuti prodotti dalle navi ed i residui del carico”. Particolare importanza riveste inoltre, la Marpol 73/78, la Convenzione internazionale per la prevenzione dell’inquinamento dalle navi, elaborata per rispondere alla necessità di controllare e limitare il rilascio accidentale e deliberato in mare di idrocarburi e altre sostanze pericolose, a cui è dedicato l’annesso V. Infine l’autore non si dimentica di citare la Legge 28 gennaio 1994, n. 84, di riordino della legislazione in materia portuale, nonché il D.Lgs. n. 152/06 ed il Codice della navigazione.

CreateSpace Independent Publishing Platform (202 pagine – € 14,56)

Ingegneria sanitaria ambientale Processi e impianti

A cura di Massimo Raboni, Vincenzo Torretta e Giordano Urbini Il testo mira ad analizzare in modo molto dettagliato i diversi processi di acqua, rifiuti e aria in ambito strettamente ingegneristico, con un linguaggio tecnico, e destinato quindi ad un settore specifico. Il libro si presenta come l’unione di tre volumi ben distinti con le rispettive analisi e caratteristiche dei tre temi sopracitati. Il primo settore è quello dell’acqua, in cui vengono descritti i parametri qualitativi e quantitativi, attraverso l’utilizzo di dati tecnici chimici e organici. Per quanto riguarda i rifiuti vengono prese in considerazione le diverse fasi di recupero, trattamento e smaltimento suddividendoli in due principali categorie: rifiuti organici e rifiuti industriali. Nell’ambito inerente all’aria troviamo l’analisi degli agenti inquinanti e le conseguenze che presentano sull’uomo e sull’ambiente nonché i processi di depurazione di cui oggi disponiamo per combattere il problema delle emissioni.

Dario Flaccovio Editore (876 pagine – € 90,00)

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APPUNTAMENTI mcTER

MILANO, 25 GIUGNO

Gli eventi mcTER, organizzati con il supporto di importanti associazioni del settore, sono appuntamenti verticali che uniscono una parte espositiva a una componente formativa. Questa collaborazione crea nuove opportunità di business per le aziende e per gli operatori presenti. Nello stesso giorno avranno luogo tre mostre: Cogenerazione, durante la quale verranno approfonditi gli aspetti normativi, le ragioni strategiche della cogenerazione; Forest che prospetterà soluzioni e tecnologie per il riscaldamento a biomassa e Bio-Gas, con nuove opportunità per la filiera del biogas e biometano.

www.mcter.com

RemTech Expo

FERRARA, DAL 23 AL 25 SETTEMBRE

RemTech è l’evento italiano specializzato sulle bonifiche dei siti contaminati e la riqualificazione del territorio. Si rivolge a società private, enti pubblici, centri di ricerca, associazioni e professionisti. L’area espositiva è altamente accreditata e il programma verte su argomenti di attualità e di sicuro interesse. A coronare la manifestazione, la partecipazione di delegazioni straniere, composte da buyer e interlocutori chiave. Le sezioni speciali di RemTech sono anche quest’anno CoastEsonda, Expo e Inertia.

www.remtechexpo.com

Chem-Med

MILANO, DAL 23 AL 25 SETTEMBRE

La manifestazione si svolgerà in contemporanea con le iniziative in programma per l’esposizione universale Expo 2015 che prevede oltre venti milioni di visitatori. La sezione espositiva di Chem-Med sarà affiancata da un interessante programma di convegni, che vede il coinvolgimento di qualificati rappresentanti di istituzioni, università, associazioni e aziende. Per incrementare le opportunità di contatto professionale sarà attivato il servizio My Partnering, incontri di business one-to-one.

www.chem-med.eu

Forlener

TORINO, DAL 25 AL 27 SETTEMBRE

Forlener è il Salone dell’Energia dal Legno, l’unica manifestazione che propone prodotti, servizi e tecnologie secondo una logica di filiera di gestione forestale, colture legnose, raccolta e prima trasformazione del legno. Forlener nella città delle Alpi diventa la principale manifestazione dell’energia dal legno trovando a Torino la sua collocazione più naturale. Inoltre, la possibilità di mettere in funzione e in piena sicurezza macchinari, attrezzature e impianti termici, offre all’espositore un’opportunità in più per convincere gli acquirenti.

www.forlener.it

GIS

PIACENZA, DAL 1° AL 3 OTTOBRE

Le Giornate Italiane del Sollevamento e dei Trasporti Eccezionali sono dedicate agli utilizzatori di gru, autogru, piattaforme aeree, sollevatori telescopici, carriponte, sistemi per la movimentazione industriale e imprese di trasporti eccezionali. Durante il GIS, è previsto un ricco programma di seminari tecnici e conferenze, organizzate con il supporto delle principali associazioni di settore e delle più importanti aziende nazionali ed internazionali, che aggiorneranno i partecipanti sugli ultimi sviluppi tecnologici e normativi del settore.

www.gisexpo.it

SARDINIA

SANTA MARGHERITA DI PULA, DAL 5 AL 9 OTTOBRE

Le Giornate Italiane del Sollevamento e dei Trasporti Eccezionali sono dedicate agli utilizzatori di gru, autogru, piattaforme aeree, sollevatori telescopici, carriponte, sistemi per la movimentazione industriale e imprese di trasporti eccezionali. Durante il GIS, è previsto un ricco programma di seminari tecnici e conferenze, organizzate con il supporto delle principali associazioni di settore e delle più importanti aziende nazionali ed internazionali, che aggiorneranno i partecipanti sugli ultimi sviluppi tecnologici e normativi del settore.

www.sardiniasymposium.it

SAIE

BOLOGNA, DAL 14 AL 17 OTTOBRE

SAIE - Salone Internazionale dell’Edilizia è l’appuntamento annuale di riferimento per il mondo delle costruzioni, in particolare per quanto riguarda l’innovazione tecnologica, i nuovi prodotti, i sistemi e i materiali per l’edilizia. Numerose, nell’ambito dell’evento, le iniziative focalizzate al tema dell’innovazione. SAIE è l’occasione per fare il punto sull’evoluzione del settore attraverso la proposta espositiva delle aziende presenti e le numerose iniziative di dibattito e confronto. I contenuti della manifestazione si preannunciano di grande interesse.

www.saie.bolognafiere.it

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Anno 8 - Numero 31 – Giugno 2015 ISSN 2421-2938

Direttore responsabile: Massimo Viarenghi Direttore commerciale: Maria Beatrice Celino Coordinamento editoriale: Maeva Brunero Bronzin Collaboratori: Renato Baciocchi, Rosa Bertuzzi, Nicola Carboni, Daniele Carissimi, Maria Beatrice Celino, Olga Chitotti, Marcello Farina, Mauro Ganora, Giampiero Gullo, Francesco Mangani, Paolo Plescia, Emanuela Tempesta, Andrea Terziano, Laura Veneri

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Comitato Scientifico: Maria Rosaria Boni (Sapienza Università di Roma) Daniele Cazzuffi (CESI spa – RemTech) Laura D’Aprile (MATTM, Roma) Luciano De Propris (Consulente ambientale) Ennio Forte (Università degli studi di Napoli) Luciano Morselli (Università di Bologna) Andrea Quaranta (Giurista ambientale – Cuneo) Gian Luigi Soldi (Città Metropolitana di Torino) Federico Vagliasindi (Università di Catania) Maria Chiara Zanetti (Politecnico di Torino) Ufficio commerciale - Vendita spazi pubblicitari: Maria Beatrice Celino Tel. 011 7802164 Cell. 335 237390 e-mail: b.celino@deaedizioni.it Grafica, disegni e impaginazione: Roberto Fatiga - email: grafica.advespa@gmail.com

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