Poste Italiane Spa - Sped. in a.p. - D. L. 353/2003 cov. in L. 46/2004, art1, c1 - CB-NO/Torino - Anno 10 n. 38 - ISSN 2421-2938 DEA edizioni s.a.s. Corso Tassoni 79/4 - 10143 Torino
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www.recoverweb.it
Strategie aziendali e trasformazione per il waste management in Italia, un settore in rapida evoluzione
A Vado Ligure il primo impianto a biocelle su due piani per la biostabilizzazione dei rifiuti
Samoter: trenta edizioni per il salone internazionale dedicato alle macchine da cantiere
PotenzialitĂ e applicazioni della tecnologia laser scanner nelle demolizioni civili e impiantistiche
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EDITORIALE
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S O M M A R I O S OM M A R I O
Rifiuti e logistica: anelli della green economy
Rubriche
News 6 Reconnet 73 Vetrina 77 Appuntamenti 79
PRIMO PIANO
Il waste management in Italia di Alessandro Marangoni
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L’energia nell’industria 4.0
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Qual è la città ideale?
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di Bruno Vanzi
di Laura Veneri
Le novità sull’accordo di Programma per la corretta gestione dei RAEE
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E il vincitore è... l’ambiente
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di Maeva Brunero Bronzin
THe big eye
La gestione dei pneumatici a fine vita di Laura Veneri
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PANORAMA AZIENDE
Separatori ad acqua 28 di Maria Beatrice Celino
Andiamo a separare 30 di Laura Veneri
L’anno passato 35 di Laura Veneri
Samoter: mettiamoci il cuore di Laura Veneri
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L’impianto a biocelle su due piani
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La demolizione dell’ex mulino
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La rimozione delle ecoballe in Campania
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di Bruno Vanzi
di Maria Beatrice Celino
di Laura Veneri
PROGETTI E TECNOLOGIE
Alla scoperta del laser scanner
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Il pieno dell’auto si fa con l’acqua
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La bonifica di un’area industriale attiva presso il Sito di Interesse Nazionale Sulcis Iglesiente Guspinese
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di Marco Costabello
di Andrea Lanuzza
di Giacomo Cattarossi et al.
Normativa
Il principio di precauzione in materia ambientale 66 di Rosa Bertuzzi e Andrea Tedaldi
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SPECIALE
WORK IN PROGRESS
Attualità
di Laura Veneri
di Maria Beatrice Celino
LA CITTÀ IDEALE: L’AMBIZIONE DI PARIGI E DELLA SUA REGIONE A DIVENTARE LA PRIMA ECOREGIONE D’EUROPA
16 LE NOVITÀ SULL’ACCORDO DI PROGRAMMA SIGLATO PER GARANTIRE ADEGUATI LIVELLI DI TRATTAMENTO DEI RAEE E LA QUALIFICAZIONE DELLE AZIENDE DEL SETTORE
21 DATI E BILANCI NEI RAPPORTI DI FINE ANNO PUBBLICATI DA ENTI, ASSOCIAZIONI E FEDERAZIONI CI FORNISCONO UNA FOTOGRAFIA DEI SETTORI DI INTERESSE
35 L’APPLICAZIONE DI UN INSIEME DI DIFFERENTI TECNOLOGIE PER LA BONIFICA DI UN’AREA INDUSTRIALE ATTIVA PRESSO IL SITO DI INTERESSE NAZIONALE SULCIS IGLESIENTE GUSPINESE
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NEWS PIANO D’AZIONE DELL’UNIONE EUROPEA PER L’ECONOMIA CIRCOLARE La Commissione europea ha pubblicato lo scorso 26 gennaio un report sulle modalità di implementazione dell’economia circolare negli stati membri e gli obiettivi da raggiungere nei prossimi anni. Nel report sono stati ribaditi i principi del Piano d’azione dell’Unione europea pubblicato nel dicembre 2015, il quale, secondo la Commissione, “farà risparmiare energia e contribuirà a evitare danni irreversibili in termini di clima, biodiversità e inquinamento di aria, suolo e acqua, causati dal consumo delle risorse a un ritmo che supera la capacità della Terra di rinnovarle”.
La Commissione ha delineato le strategie d’azione fissando obiettivi a medio lungo termine che portino a una costante riduzione dello smaltimento in discarica e un incremento del riciclaggio e della trasformazione dei rifiuti in energia. A riguardo, nella stessa data, la Commissione ha pubblicato un comunicato che illustra il ruolo del processo di “waste-to-energy” nell’economia circolare, specificando che non si tratta solo dell’incenerimento dei rifiuti ma che comprende vari processi di trattamento che generano energia in forma di elettricità, riscaldamento, produzione di carburante ecc., ognuno dei quali ha impatti ambientali differenti e una potenziale economia circolare. Il report infine sottolinea l’intento di supportare l’economia circolare “a ogni passo della catena del valore – dalla produzione al consumo, dalla riparazione alla fabbricazione, dalla gestione dei rifiuti alla
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materie prime secondarie che vengono reimmesse nel mercato – […]” e pertanto di coinvolgere maggiormente gli steakeholder del settore in un progetto comunitario di economia circolare. A tal proposito, il 9 e 10 marzo 2017, è prevista una “Circular Economy Stakeholder Conference” a Bruxelles, al termine della quale verrà lanciata una piattaforma dedicata agli stakeholder, affinché si faciliti il confronto e il dialogo fra chi opera in questo settore.
ESSEN, CAPITALE VERDE EUROPEA 2017 Il 21 gennaio la città di Essen è diventata ufficialmente la capitale verde europea del 2017. La città extracircondariale della Renania SettentrionaleVestfalia si è dunque aggiudicata il prestigioso riconoscimento succedendo a Lubiana, capitale verde nel 2016. Il sindaco di Essen, Thomas Kufen, ha dichiarato “questo è il riconoscimento dei notevoli sforzi di Essen nella sua riconversione, che ha saputo superare una difficile storia industriale reinventandosi come una città verde. Noi ci impegniamo a essere un ottimo esempio per le altre città europee nella ricerca di soluzioni sostenibili. Vorremmo anche ringraziare i nostri cittadini, la cui abilità al cambiamento e l’impegno dimostrato sono state le chiavi per il nostro successo”.
Il comunicato della Commissione europea svela quali siano stati i meriti principali che hanno permesso alla città tedesca di diventare capitale “green”, fra i quali si legge “l’obiettivo ambizioso di ridurre le emissioni di CO2 del 40% entro il 2020; 128 mila metri quadrati di strada ricoperta con un asfal-
sempre secondo il comunicato pubblicato dalla Direzione Generale del Mercato interno, industria, imprenditoria e PMI “solo il 50% di rifiuti C&D (costruzioni e demolizioni) vengono riciclati. La buona notizia è che alcuni paesi della UE hanno già sviluppato e implementato una struttura che porta a un tasso di riciclaggio sopra il 90% - tuttavia, conclude la nota, - uno degli ostacoli più comuni al riciclaggio e al riutilizzo di rifiuti C&D nell’UE è la mancanza di fiducia nella qualità dei C&D riciclati. Questa mancanza di fiducia riduce e limita la domanda per C&D materiali riciclati, il che inibisce lo sviluppo della gestione e delle infrastrutture per il riciclo di C&D nell’UE”.
to fonoassorbente; un sistema di gestione dell’acqua con aree verdi multifunzionali usate per gestire l’acqua piovana, prevenire le esondazioni e ricaricare le acque sotterranee; 376 km di piste ciclabili e l’obiettivo di aumentare l’uso delle biciclette del 25% entro il 2035; la creazione di 20 mila posti di lavoro nel settore ambientale entro il 2025; ridurre del 29% entro il 2035 l’utilizzo degli autoveicoli; l’obiettivo di riciclare il 65% dei rifiuti urbani entro il 2020 […]”. Karmenu Vella, Commissario europeo per l’ambiente, gli affari marittimi e la pesca ha dichiarato: “mi congratulo con Essen per come è diventata Capitale verde europea 2017 e per aver reso la città un luogo più sano per vivere. L’imponente trasformazione da città del carbone e dell’acciaio a città più verde della Renania Settentrionale-Vestfalia è la prova del successo nel cambiamento strutturale di Essen. Grandi progressi nello sviluppo sostenibile richiedono capacità di visione, buon governo, una forte leadership e il coinvolgimento dei cittadini, come l’esperienza di questa città dimostra”.
PROTOCOLLO DELL’UNIONE EUROPEA SUI RIFIUTI DA COSTRUZIONE E DEMOLIZIONE La Commissione europea ha pubblicato lo scorso novembre una linea guida, non vincolante, indirizzata al settore industriale dei paesi dell’UE, focalizzata sulla corretta gestione dei rifiuti derivati da lavori di demolizione e/o costruzione. Il protocollo rientra nel più ampio “Circular Economy Package” adottato recentemente e, come si legge dalla nota introduttiva al protocollo, “il suo obiettivo è aumentare la fiducia sia nei processi di gestione dei rifiuti e sia nella qualità dei materiali riciclati da costruzioni e demolizioni”. Per raggiungere tale obiettivo sono elencati i punti principali di azione, i quali prevedono in primo piano un miglioramento dell’identificazione dei rifiuti, della separazione alla fonte, della raccolta e della logistica dei rifiuti, favorendo inoltre politiche appropriate per il miglioramento delle condizioni delle strutture. Una corretta gestione dei rifiuti e dei materiali riciclati derivanti da lavori di costruzione e demolizione può infatti generare maggiori benefici in termini di sostenibilità e qualità della vita ma anche creare vantaggi per l’industria delle costruzioni e del riciclaggio dell’Unione Europea. Secondo la Direttiva 2008/98/EC sulla gestione dei rifiuti la Commissione mira a raggiungere il 70% dei rifiuti riciclati da costruzioni e demolizioni entro il 2020, a oggi però,
All’interno del protocollo sono riportate anche delle buone pratiche provenienti da tutta l’Unione europea le quali possono servire come esempi e fonti d’ispirazione sia per i responsabili politici sia per i professionisti del settore.
LA SITUAZIONE DEL RICICLAGGIO DELLE APPARECCHIATURE ELETTRICHE Nel 2016 il riciclo di apparecchiature elettriche ed elettroniche nel nostro Paese è cresciuto del 14% rispetto al 2015. Il Centro di Coordinamento RAEE ha pubblicato lo scorso 17 gennaio un report dove sono riportati i numeri del riciclo di tali rifiuti. Secondo il report, la categoria che ha avuto una maggior crescita di apparecchiature riciclate rispetto al 2015 è la R2 (lavatrici, lavastoviglie, forni, ecc.) incrementata del 31%, mentre l’unica categoria che ha subito un ribasso del riciclaggio totale, seppur minimo 2%, è la R3 ovvero i televisori e gli schermi a tubo catodico. Il totale delle tonnellate raccolte è
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NEWS 283.089,79 e questo significa che in media sono 4,7 kg a persona, ma tale cifra rappresenta solo il 35% degli elettrodomestici immessi sul mercato, tutto il resto diventa spazzatura elettronica che alimenta un business illegale e pericoloso.
Un’analisi finanziata dall’Unione europea ha infatti calcolato che la perdita dell’industria legale dello smaltimento sia tra 800 milioni e 1,7 miliardi di euro all’anno, ma dove finiscono le apparecchiature non gestite legalmente? Per esempio sei mesi fa era scoppiata la polemica del Marocco che denunciava di non voler diventare la discarica d’Italia, a causa di 2500 tonnellate di ecoballe, parcheggiate nel porto di El Jadida. Tuttavia non solo il Marocco corre questi rischi, il caso di Agbogbloshie in Ghana è infatti ancor più preoccupante. Agbogbloshie è un sobborgo della città africana di Accra, capitale del Ghana, dove lavorano (pagati un dollaro l’ora) circa 70 mila persone, fra cui moltissimi minori che spaccano con le mani e senza alcuna protezione i RAEE che arrivano dall’Occidente, per ricavarne quello che si può rivendere: ferro, alluminio, ecc.
nomico per far crescere l’economia locale. Le risorse ci sono e abbiamo dato dimostrazione che, lavorando insieme, si possono fare meglio le cose, per cui bisogna spendere questi soldi bene e in fretta”. Ammontano a 72 milioni di euro le risorse messe in campo per i nuovi interventi di bonifica oggetto del protocollo, che secondo quanto riportato dal sito del ministero mira a “definire le modalità di intervento per effettuare il complessivo risanamento ambientale del sito, volto al definitivo superamento delle criticità connesse all’inquinamento delle matrici ambientali, e a promuovere un progetto integrato di riconversione e sviluppo economico delle aree del sito[...]”. Tuttavia i sindacati hanno criticato Brugnaro lamentandosi di non essere stati coinvolti, “il commissariamento di Porto Marghera è la conseguenza dell’assenza di confronto e iniziativa politica del sindaco Brugnaro e della Giunta regionale - commenta Enrico Piron, segretario generale della Cgil veneziana -. Non ci hanno mai voluto incontrare per tirare fuori Porto Marghera dallo stato di abbandono in cui si trova e ora centralizzano tutto a Roma. Ci sono solo 72 milioni subito a disposizione, ma quando arriveranno gli altri oltre 100 milioni per completare il marginamento e le ulteriori risorse per avviare le bonifiche dei ruoli da rilanciare?”.
VENEZIA, 72 MILIONI PER LE BONIFICHE DI PORTO MARGHERA Il ministro dell’Ambiente, Gian Luca Galletti, e il sindaco di Venezia, Luigi Brugnaro, hanno firmato il 31 gennaio il protocollo d’intesa “Riqualificazione ambientale del SIN (siti di interesse nazionale, ovvero aree contaminate molto estese classificate più pericolose dallo Stato Italiano)”, per il completamento dei 3,5 chilometri di marginamenti delle macroisole del sito di Porto Marghera. “Oggi l’ambiente non è più un vincolo, ma una grande opportunità economica - ha affermato il ministro - e completare le bonifiche in quest’area è il più grande volàno eco-
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VENT’ANNI DI DECRETO RONCHI Sono passati 20 anni da quando il D.Lgs. 22/97, il cosiddetto “Decreto Ronchi”, ha cambiato radicalmente i modelli di gestione dei rifiuti e ha attuato una riforma organica e sistemica recependo e coordinando, tre direttive europee sui rifiuti, sui rifiuti pericolosi e sugli imballaggi. Il bilancio di questi
A SPS IPC Drives Italia tutte le nuove tecnologie per il comparto manifatturiero La settima edizione di SPS IPC Drives Italia, che si svolgerà a Parma dal 23 al 25 maggio 2017, è ancora in crescita. La più grande novità è il layout espositivo: la fiera si svilupperà infatti su ben 4 padiglioni (3, 4, 5 e 6). L’aggiunta del terzo padiglione ha permesso di soddisfare le richieste di ampliamento e di offrire una collocazione alle aziende in lista d’attesa completando l’offerta merceologica in mostra.
primi 20 anni è particolarmente positivo, secondo i dati ISPRA infatti nel 1997 veniva smaltito in discarica l’80% dei rifiuti urbani (21,3 Mton) con una raccolta differenziata che era al di sotto del 9% mentre nel 2015, nonostante i rifiuti urbani prodotti siano aumentati di quasi 3 Mton, quelli smaltiti in discarica sono scesi al 26% (7,8Mton), la raccolta differenziata è arrivata al 47,6% e il riciclo/recupero di materia dei rifiuti speciali è aumentato da 13 Mton a 83,4 Mton. “Quella riforma - ricorda Edo Ronchi - ha consentito di far decollare l’industria verde del riciclo dei rifiuti. Quel sistema potrebbe consentire di raggiungere anche i nuovi e più impegnativi target europei di riciclo a condizione che venga applicata in modo omogeneo su tutto il territorio nazionale recuperando i ritardi che ancora persistono in alcune grandi città (come Roma e Napoli) e in 5 regioni del Sud: Basilicata (31% RD), Puglia (30%), Molise e Calabria (25%), Sicilia (13%). Il recupero di questi ritardi sarà essenziale per raggiungere i nuovi obiettivi europei: il 60% di riciclo dei rifiuti urbani per il 2025 e 65% entro il 2030. Molto importante sarà anche aggiornare i decreti sul recupero dei rifiuti speciali”. I buoni risultati sulla raccolta differenziata si devono a un impianto normativo lungimirante. Il Decreto istituì, infatti, il sistema CONAI-Consorzi di filiera degli imballaggi che negli anni ha assicurato il ritiro e l’avvio al riciclo di tutte le frazioni raccolte di carta, vetro, plastica, legno, alluminio e acciaio. Il decreto ha anche introdotto il CAC (contributo ambientale CONAI), una prima forma di EPR (responsabilità estesa del produttore) che in questi anni è stato pagato da oltre 1 milione di imprese con una elusione quasi nulla.
Sono state introdotte nuove categorie merceologiche legate alle tecnologie disruptive - meccatronica, industrial IoT, big data, cybersecurity, applicazioni robotiche, software di progettazione e simulazione - per completare l’offerta per la fabbrica intelligente, dando completezza e visibilità all’intera filiera dell’automazione industriale. Tra i settori più ampliati quindi quello del digitale, con la presenza di aziende come Cisco, SAP, HP, Winext, Reply e Intel. Da non perdere prima di SPS Italia le Tavole Rotonde itineranti, organizzate per diffondere la cultura 4.0 sul territorio: 22 febbraio 2017 - Teatro delle Muse, Ancona “Le 4 A del Made in Italy nel distretto marchigiano: abbigliamento, arredamento, alimentare e automazione”. 29 marzo 2017 - Belvedere di San Leucio, Caserta “Tecnologie digitali per la competitività” • Automazione 4.0: i distretti campani si raccontano • Reti e città del futuro 12 aprile 2017 - CNH Industrial Village, Torino “Automotive e Manifattura 4.0: un connubio vincente”. Per maggiori informazioni www.spsitalia.it
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Il waste management in Italia Strategie aziendali e trasformazione di un settore in rapido cambiamento di Alessandro Marangoni*
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l settore del waste management è oggi in rapido cambiamento: il quadro del Was Annual Report 2016 evidenzia una crescita dei principali player e una maggiore integrazione lungo la filiera. L’analisi traccia lo scenario competitivo, esamina i risultati economici e ambientali, delineando gli orientamenti strategici e i principali modelli di business. Ne emerge un’evoluzione delle strategie aziendali verso l’economia circolare, con la crescita delle attività a valle della raccolta e un allungamento della value chain verso il business delle materie prime seconde.
Lo scenario competitivo
La mappatura dei 75 principali operatori dei rifiuti urbani mostra una tendenza alla crescita, specie nelle fasi a maggior valore aggiunto e, in particolare, nella selezione e valorizzazione dei materiali provenienti dalla raccolta differenziata (RD) e nel trattamento della frazione organica. Nel 2015 il valore della produzione dei 75 top player dei rifiuti urbani è stato di quasi 6,7 miliardi di euro (+4,8% sul 2014), pari al 69% del volume d’affari dell’intero settore della raccolta di rifiuti non pericolosi in Italia nel 2014 (Istat). Le aziende mappate coprono circa il 36% dei Comuni italiani, servendo il 57,4% della popolazione complessiva (34,8 milioni di abitanti). La quantità di rifiuti urbani (RU) raccolti ammonta a 16,5 milioni di tonnellate (+1,7% rispetto al 2014), pari al 55,7% di quelli prodotti in Italia nel 2014
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(ISPRA). Nel complesso, le aziende mappate hanno livelli di RD superiori alla media nazionale (52,5% in confronto al 45,2% dell’Italia nel 2014), in crescita rispetto all’anno precedente (51,1%). Netta è la prevalenza di aziende delle regioni settentrionali (54%), mentre quelle del Centro e del Meridione si attestano rispettivamente al 23% e al 19%. Le aziende del settore della gestione rifiuti si suddividono in cinque raggruppamenti strategici: le Grandi multiutility, con i maggiori gruppi industriali attivi lungo tutta la filiera di gestione dei rifiuti, attivi però anche in altri comparti dei servizi pubblici locali; gli Operatori metropolitani, ovvero le monoutility pubbliche delle maggiori aree urbane italiane, attive per lo più nelle fasi di raccolta e smaltimento. Tra le aziende più piccole vi sono due cluster: il gruppo prevalente è quello delle Piccole e medie monoutility, aziende a maggioranza pubblica operanti unicamente nei rifiuti urbani su scala provinciale o sub-provinciale. Le Piccole e medie multiutility hanno caratteristiche simili ma, seppur di dimensioni limitate, operano in più comparti. Infine, gli Operatori privati, aziende a capitale prevalentemente privato che forniscono i servizi di raccolta in diverse aree del Paese, tipicamente in Comuni di piccole dimensioni senza continuità territoriale. Le Grandi multiutility, con un valore della produzione (VP) di 2,3 miliardi di euro, sono quasi il 35% del campione.
Il peso del cluster scende al 28,7% in termini di rifiuti raccolti e al 24,4% sulla popolazione. Queste aziende hanno, inoltre, performance ambientali superiori alla media, attestandosi al 56,2% di RD. Secondi per giro d’affari sono gli Operatori metropolitani (1,6 miliardi, 23,7% sul totale): le 7 aziende appartenenti a questo cluster operano in un numero ridotto di Comuni di grandi dimensioni servendo, tuttavia, il 18,9% della popolazione del campione. I loro minori risultati di RD (37%) sono spiegati dalla localizzazione (in prevalenza al Centro-Sud) e dalle maggiori difficoltà ad implementare sistemi di raccolta porta a porta nei contesti metropolitani. Le piccole e medie monoutility sono mediamente quelle di dimensioni più ridotte (VP medio di poco inferiore a 36 milioni di euro), servono il 22% della popolazione e raccolgono il 22,4% dei RU in 920 Comuni. La quota di RD raggiunta (58,1%) è tra le più elevate, con picchi superiori all’85%. Anch’esse hanno – relativamente alla sola area ambientale – una dimensione media ridotta (VP di poco inferiore a 40 milioni di euro); rappresentano circa il 12% in termini di RU raccolti e hanno ottime percentuali di RD (61,9%). Tra gli Operatori privati, infine, coesistono alcune delle maggiori aziende italiane di waste management e realtà di piccole e medie dimensioni che servono, nel complesso, il 21,7% della popolazione, coprendo quasi il 30% dei Comuni serviti dalle Top 75. Salvo
poche eccezioni, non sono legati ad uno specifico territorio ma operano in ambiti diversi, cogliendo le opportunità offerte dal mercato. Ciò avviene in prevalenza al Sud e nelle Isole, dove l’assenza storica di local utility spinge i Comuni ad affidarsi alle gare. Gli Operatori privati hanno buoni risultati di RD (52,6%), poco al di sotto della media del campione e al di sopra di quella nazionale.
Gli investimenti
Le Top 75 hanno investito nell’area ambientale 320,5 milioni di euro (+6% rispetto al 2014), pari al 5% del valore della produzione. La distribuzione degli investimenti per cluster ha visto una forte crescita del peso delle Piccole e medie monoutility (da 20,3% a 28,5%), mentre le Grandi multiutility, da sole, coprono quasi il 37% degli investimenti complessivi. C’è una netta prevalenza degli investimenti al Nord: il 68% del totale, in cre-scita rispetto al 61% del 2014. Il calo maggiore ha riguardato il Centro, passato dal 25% al 20%. Grandi multiutility e Piccole e medie monoutility sono le aziende che investono di più, sia in rapporto al valore della produzione (rispettivamente 5,1% e 6,9%), sia in termini di investimenti per abitante (13,9 e 12 €/ab.).
Il segmento del trattamento-valorizzazione dei materiali
Imperativo nelle politiche di gestione dei rifiuti è lo sviluppo delle fasi a valle della raccolta. I segmenti della selezione e valorizzazione dei materiali raccolti in modo differenziato stanno evolvendo in termini di struttura industriale e dei modelli di business. Gli operatori storici sono affiancati da aziende specializzate nella selezione, utility integrate lungo la filiera, trader e realtà facenti capo a grandi gruppi industriali. I vari player si differenziano anche per il raggio geografico d’azione e per i materiali trattati: ne deriva un comparto dai confini poco definiti e variabili. Le aziende censite sono 105, per un volume d’affari totale di 1.975 milioni di euro e una dimensione media che non supera i 19 milioni di euro di fat-
turato, rivelando un comparto caratterizzato dalla presenza di piccole e medie realtà locali, in prevalenza private. Ciononostante, le prime dieci aziende per fatturato coprono circa il 40% dei ricavi totali del campione. Le aziende si differenziano anche per efficienza industriale e redditività. I business con le performance migliori in termini di rapporto EBITDA/VP sono la selezione dei metalli e del vetro con valori medi rispettivamente del 12,6% e 12,3%. Seguono i segmenti della plastica e della carta con l’11,9% il primo e il 10,3% il secondo. Ultimo il legno con un dato medio dell’8,9%.
Le tendenze strategiche
Continua il percorso di trasformazione dell’industria del waste management. Sono 38 le operazioni straordinarie effettuate nel 2015. Tra queste le acquisizioni e le cessioni di quote sono quelle più diffuse, seguite dalle fusioni. Le strategie sottostanti sono state, innanzitutto, di riorganizzazione societaria e di aggregazione. Le aggregazioni sono state tese al consolidamento delle attività esistenti o al loro ampliamento in aree territoriali o segmenti di mercato non ancora coperti. Driver delle iniziative è il presidio di più fasi della catena del valore, aumentando la capacità di trattamento e valorizzazione dei rifiuti raccolti. Ne consegue la crescita degli investimenti in impianti di selezione e trattamento, che hanno coinvolto il 18% delle iniziative censite contro il 9% del 2014. Le Grandi multiutility sono le più dinamiche nel 2015, con una quota del 33% sul totale. Seguono le Piccole e medie multiutility al 21%, protagoniste con le precedenti in quei processi di riorganizzazione e aggregazione che caratterizzano il settore. In diminuzione, rispetto all’anno precedente, le Piccole e medie monoutility, mentre aumentano gli interventi che coinvolgono Enti pubblici/Soggetti collettivi, soprattutto consorzi territoriali. Il 2015 si caratterizza anche per l’entrata nel comparto di nuovi player, solitamente presenti in altri segmenti di mercato, quali gli operatori tecnologici, industriali e gli investitori finanziari, seppur con presenze ancora limitate.
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Alessandro Marangoni, CEO di Althesys
Sebbene il Nord Italia traini i processi di consolidamento e razionalizzazione, contando il 68% delle iniziative, il dinamismo del comparto inizia a interessare anche il Centro, che registra il 24% delle operazioni contro il 13% del 2014. Resta ancora ai margini il meridione con il 2% delle operazioni, addirittura in calo rispetto allo scorso anno. Il processo di consolidamento mostra alcune tendenze strategiche: in particolare, le Grandi multiutility puntano a rafforzare e ampliare la loro presenza sul territorio, assorbendo operatori minori e/o contigui territorialmente attraverso operazioni di M&A. I soggetti più robusti assorbono realtà medio-piccole attive nel trattamento e valorizzazione dei materiali, con buoni risultati e con un forte know-how industriale, per consolidare le diverse attività lungo la value chain.
L’economia circolare e il mercato delle materie prime seconde
L’economia circolare e le conseguenti strategie adottate dalle imprese stanno trasformando profondamente il settore del waste management. La diffusione della raccolta differenziata ha portato alla crescita dell’industria del riciclo, ampliando le dimensioni e il perimetro della filiera del recupero. Questo, se da un lato ha modificato le attività di gestione dei rifiuti a valle della fase di raccolta, dall’altro ha portato alla nascita di nuovi business, stimolato l’innovazione, fat-
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to sorgere e crescere nuovi mercati. Nel corso dell’ultimo ventennio, in particolare, si sono sviluppati i mercati delle materie prime seconde (MPS), alimentati dai maggior volumi di materiali provenienti dal circuito urbano, mentre in anni più recenti la raccolta della frazione organica dei rifiuti urbani (Forsu) ha fatto sorgere e crescere la filiera della digestione anaerobica, del biogas e, in prospettiva, del biometano. Lo sviluppo dell’industria del riciclo ha creato e fatto crescere i mercati delle materie prime seconde, rendendo i recovered material un fattore critico di successo in vari settori. La creazione di mercati ha permesso all’Italia di ridurre le importazioni di materie prime e seconde dall’estero e migliorare così la bilancia commerciale e la competitività. Si assiste quindi a un incremento dei quantitativi di materiali dal circuito dei rifiuti urbani rispetto a quello industriale. Negli ultimi quindici anni, ad esempio, nel settore cartario la produzione di MPS dalla raccolta differenziata è quasi raddoppiata, passando dal 26% del totale nel 2000 al 47,7% nel 2015. Ciò ha permesso all’Italia di diventare esportatrice netta di maceri, ribaltando la posizione storica di dipendenza dall’estero. Mentre il settore della raccolta si sta consolidando, quello della valorizzazione dei materiali risulta però ancora frammentato. Il presidio di questa fase da parte dell’industria e delle utility varia tra i settori. Ad esempio, il ruolo dei produttori è rilevante nel vetro, minore in quello della carta e ancora più ridotto per la plastica. I mercati delle MPS sono sempre più internazionali, essendo così più “liquidi” e offrendo maggiori sbocchi, ma richiedendo agli operatori dimensioni e know-how adeguati. Alcune MPS sono ormai diventate vere e proprie commodities, e sono trattate sui mercati globali, dando così ai player del waste management nuove opportunità. *Questo articolo è una sintesi della ricerca “Il waste management in Italia. Strategie aziendali, finanza e governance di settore” realizzato da Was Waste Strategy, il think tank sull’industria del waste management e del riciclo diretto da Alessandro Marangoni, CEO di Althesys. Copyright 2017 Althesys. All rights reserved.
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L’energia nell’industria 4.0 Quali azioni intraprendere per rendere green la quarta rivoluzione industriale? di Bruno Vanzi
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ttiva dal 1978, ISES Italia è la sezione italiana dell’International Solar Energy Society ed è, nel nostro Paese, la più antica associazione tecnico-scientifica no profit legalmente riconosciuta per la promozione dell’utilizzo delle Fonti Energetiche Rinnovabili e dell’uso efficiente dell’energia. E proprio sulle fonti rinnovabili punta l’associazione con una serie di attività che si snodano dall’informazione, all’assistenza tecnica fino alla formazione tecnico-professionale. Un altro degli obiettivi che si pone è quello di diffondere gli studi realizzati e venire a contatto con altre realtà similari attraverso convegni e incontri dove la tematica delle energie rinnovabili possa essere messa sotto la lente di ingrandimento. Una di queste occasioni è stata lo scorso novembre il Key Energy di Rimini, una fiera che vede la presenza dell’associazione ormai da diversi anni e dove ha organizzato, nell’edizione 2016, un convegno dal titolo Quale energia e quali impatti nell’industria 4.0; un mo-
mento di confronto tra istituzioni pubbliche, il mondo della ricerca e le imprese per individuare le linee di sviluppo da intraprendere per rendere sostenibile e green la quarta rivoluzione industriale. Durante il convegno è emerso che siamo di fronte a un’importante “rivoluzione” che impatterà sia sul settore energetico, ma anche su quello sociale ed economico. Siamo a un passo dall’uscita di una serie di tecnologie che ci cambieranno vita: dall’auto che si guiderà da sola, a sistemi informatici che sostituiranno i professionisti, ai ristoranti senza camerieri, alle app che sostituiscono i taxi, solo per dirne alcune. Tecnologie che rivoluzioneranno il nostro modo di vivere in quanto sostituiranno tanti lavoratori oggi occupati con robot. Dobbiamo essere tutti pronti ad affrontare le nuove sfide in quanto come sempre accade i tempi della tecnologia non sono gli stessi dei decisori politici. Per cui bisognerà affrontare questo tema in modo olistico, approfondendo le problematiche tecnologiche ma
anche sociali ed economiche. Key Energy rappresentano un momento importante per ISES Italia perché è un punto di incontro e di confronto sia con i soci che con tutti i sostenitori ma anche perché durante il convegno istituzionale, l’associazione ha avuto modo di presentare i risultati del Rapporto sulla produzione scientifica in tema di energie rinnovabili - IGP – Index dell’Osservatorio nazionale sulla Ricerca scientifica “Energia e Ambiente”. Questo report, realizzato dal centro studi di ISES, giunto nel 2016 alla sua seconda edizione, analizza lo stato di salute e le principali tendenze della produzione scientifica nazionale e internazionale del settore fonti rinnovabili. L’obiettivo è quello di confrontare la posizione della ricerca italiana nel settore delle energie rinnovabili rispetto al contesto internazionale attraverso il calcolo dei principali indicatori bibliometrici disponibili, contenuti nelle banche dati ISI Web of Science di Thomson-Reuters e SCIval di Scopus. La ricerca, analizzando più di 25.000 pub-
INDEX GREEN PAPER “L’IGP index elaborato dal nostro Osservatorio è lo strumento che mancava per comprendere definitivamente quanto la ricerca scientifica italiana riesca a essere un’eccellenza nel mondo nonostante il poco sostegno che riceve a livello pubblico, la pesante crisi economica del sistema privato e la conseguente “fuga dei cervelli” all’estero. Le energie rinnovabili e le tecnologie per la green economy sono la risposta, l’elemento che può invertire la rotta, perché uniscono l’alto valore scientifico con il grandissimo potenziale per l’economia nazionale. La nostra Associazione è da sempre schierata dalla parte della ricerca, della scienza e della cultura, a favore di uno sviluppo realmente eco-compatibile, attraverso un’attività di comunicazione tecnica e divulgativa che favorisca il consolidamento di una cultura della sostenibilità. Oggi assistiamo per l’ennesima volta a fughe della politica verso falsi orizzonti delle fonti tradizionali. Vi sono piani e programmi per favorire la diffusione di fonti tradizionali (metano) quando la vera rivoluzione che porterebbe sviluppo e occupazione sarebbe quella di de-metanizzare le nostre case per sostituire le cucine tradizionali con quelle ad induzione e i nostri impianti di riscaldamento tradizionali con pompe di calore. Tutte tecnologie mature e a costi sostenibili che favorirebbero una ripresa dei consumi elettrici e una maggiore sicurezza delle nostre abitazioni”.
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Prof. Umberto Di Matteo, Presidente di ISES Italia
blicazioni internazionali del settore, ha elaborato così un indice rappresentativo per l’anno 2015 (l’ultimo anno esaminato) – IGP Index (Index Green Paper), che sintetizza con un punteggio tre fattori: il numero delle riviste internazionali maggiormente utilizzate dalla comunità scientifica (IGP riv), la nazionalità dei ricercatori affiliati alle pubblicazioni (IGP aff) e l’impatto scientifico in termini di numero di citazioni ricevute e qualità della sede di pubblicazione (IGP cit). Dallo studio e la comparazione di questi dati è emerso per l’anno in questione che su 154 Paesi presi in considerazione, la ricerca scientifica italiana nel settore delle energie rinnovabili è all’ottavo posto nel mondo. Guidano la classifica gli USA arrivati primi, la Cina seconda e UK al terzo gradino del podio. Prima dell’Italia troviamo ancora Germania (4°), Corea del Sud (5°), Giappone (6°) e India (7°). Dopo la posizione italiana invece si collocano Australia (9°), Canada (10°), Francia (11°), Spagna (12°), Paesi Bassi (13°) e Malaysia (14°). Una classificazione che non si discosta molto dai risultati del primo rapporto ISES Italia. Ad aggiudicarsi il podio nel 2014 sono state infatti in ordine Cina, Stati Uniti e Regno Unito. Oltre alla parentesi del Key Energy, l’attività su cui punta molto l’Associazione è la Scuola di alta Formazione, uno strumento fondamentale per la diffusione e la promozione dell’utilizzo delle fonti energetiche rinnovabili e un contributo alla creazione e all’aggiornamento delle figure professionali che operano nel settore. Questo per ISES Italia si traduce in seminari e corsi di formazione che si tengono in aula o attraverso modalità online su tematiche quali il fotovoltaico, il solare termico e la certificazione energetica degli edifici e su altri temi che affrontano le diverse applicazioni tecnologiche legate alle rinnovabili, approfondendone anche gli aspetti economici e normativi. Attraverso tali attività, tenute su tutto il territorio nazionale, dal 1998 a oggi ISES Italia ha formato circa 6000 soggetti, tra professionisti, tecnici, docenti, manager, imprenditori e responsabili di amministrazioni pubbliche. Agenzie Energetiche, Enti Fieristici, Istituzioni locali, Ordini Professionali, Scuole e Università hanno patrocinato od ospitato i corsi, contribuendo alla loro organizzazione.
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Qual è la città ideale? Parigi e la sua regione vogliono diventare la prima eco-regione d’Europa di Laura Veneri
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aris Region Entreprises, l’agenzia regionale di sviluppo economico della regione di Parigi, e Promosalons, il network mondiale per la promozione dei saloni francesi, hanno organizzato a Milano, una giornata di incontri e di confronto sul tema “La Città ideale”. L’occasione è stata centrale per presentare tre tematiche di grande attualità, quali “Costruire la smart city”, “Le scommesse/sfide del trasporto e della mobilità urbana” e “Le nuove
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soluzioni e tecnologie per una città sostenibile” attraverso l’offerta di otto saloni francesi che promuovono questi temi e che sono leader nei settori dell’edilizia, delle costruzioni, dell’ambiente, dei trasporti e della logistica. La regione di Parigi è la prima regione economica d’Europa e vanta il PIL europeo più elevato: 642 milioni di euro nel 2015, il 30% del PIL francese. Il suo ricco tessuto economico fornisce la certezza di reperire un numero
notevole di aziende potenzialmente clienti, di subfornitori o partner in settori d’attività economica molto diversificati: il settore terziario rappresenta oltre l’87% dei posti di lavoro della regione. I servizi alle aziende, il commercio (ingrosso e dettaglio), l’industria alberghiera e la ristorazione, la salute, i servizi informatici e la finanza sono i principali settori d’impiego. L’industria è un settore economico importante in una regione caratterizzata da un forte sviluppo delle attività terziarie. Essa dà lavoro a 470.000 persone in numerose filiere a forte valore aggiunto quali le tecnologie dell’informazione, l’industria automobilistica, la chimica-farmaceutica, la stampa e l’editoria o l’industria aeronautica. Nel 2015, la Regione di Parigi è stata la destinazione preferita degli investimenti internazionali nell’Europa Occidentale. Secondo le cifre dell’Osservatorio 2015 degli investimenti diretti internazionali in Île-de-France, pubblicato da Paris Region Entreprises, 340 progetti d’investimento internazionali sono stati finalizzati nel 2015 nella regione, facendo registrare una progressione del 22% in due anni.
Il più grande progetto europeo di rinnovamento urbano
Il Grand Paris è un progetto di sviluppo economico e di sistemazione dell’agglomerazione parigina finanziato dal governo e dalle amministrazioni locali. Esso ha lo scopo di migliorare gli ambienti di vita degli abitanti, minimizzare le disuguaglianze territoriali e costruire una città sostenibile. Per modernizzare e sviluppare i trasporti nella Regione di Parigi sono previsti 32 miliardi di euro di investimenti così ripartiti: un investimento di 27 miliardi di euro per la costruzione di una circonvallazione attorno a Parigi tramite una metropolitana automatica (il Grand Paris Express dovrebbe
essere realizzato entro il 2030); 200 km di nuove linee di metropolitana automatica; saranno costruite 68 nuove stazioni che collegheranno i poli del Grand Paris, i 3 aeroporti e le stazioni dell’alta velocità. Altri 7 miliardi di euro di investimento verranno spesi per la modernizzazione e l’espansione dell’attuale rete dei trasporti da qui al 2017. Lo sviluppo urbano prevede la realizzazione di 100 nuovi quartieri che accoglieranno abitazioni residenziali e attività commerciali, poli universitari e centri culturali, in particolar modo nelle vicinanze delle stazioni e la costruzione di 70.000 alloggi all’anno. Il progetto Grand Paris vuole anche immaginare la città di domani, sostenibile, inventiva e solidale. Questo
progetto renderà l’intera Regione di Parigi una metropoli del XXI secolo particolarmente attrattiva. Questa metropoli, da oggi fino al 2030 dovrà affrontare le problematiche del cambiamento climatico. Una città sostenibile consuma meno e meglio, è il luogo della sobrietà, della protezione degli spazi naturali e del miglioramento degli ambienti di vita. “La città ideale, è quella in cui le persone non verranno a vivere perché sono costrette a farlo” ha dichiarato Robin Rivaton, Direttore generale di Paris Region Entreprises. “Entro 15 anni nella Regione di Parigi vivrà 1 milione di persone in più (cioè oltre 13 milioni di abitanti). Ecco perché vicino alle stazioni del Grand Paris Express nasceranno un centinaio di ecoquar-
Intervista a Frédérique de Bast, Head of International Marketing di Paris Region Entreprises Quali sono i punti di forza della regione di Parigi per la sua ambizione a diventare città ideale?
La regione di Parigi è stata pianificata secondo i principi oggi noti con il termine ‘sviluppo sostenibile’: città densamente popolata e multifunzionale, che costituisce un luogo di vita a pieno titolo, ma è anche sede di attività. Sia in fatto di edilizia che di mobilità, tutti gli operatori della regione di Parigi si sono impegnati in azioni di ampia portata per limitare l’impatto sull’ambiente e ottenere risparmi energetici. Oggi la regione di Parigi ha numerosi punti di forza per progettare la città ideale: • competenza, il know-how riconosciuto delle grandi aziende francesi (Bouygues Immo, Eiffage, Vinci, Schneider, EDF, ecc.), completato dalle tecnologie proposte dalle start-up; • mobilità e anche multimodalità per gestire i flussi logistici di merci e gli spostamenti di persone in modo ecologico; • innovazione, all’interno della regione di Parigi esistono 2 poli di competitività specializzati nella Città Sostenibile, Advancity e Moveo, con una forte concentrazione di ricerca accademica, sempre collegata a start-up, studenti, abitanti e aziende; • grandi progetti: il Grand Paris Express, la candidatura ai Giochi Olimpici 2024, l’esposizione universale e molti altri grandi concorsi per promuovere la città (Réinventer Paris, Inventons la métropole, Dessinemoi le Grand Paris de Demain, Innov’up, Paris Urban Lab).
Quali sono secondo lei le iniziative più rappresentative dal punto di vista dell’ecologia?
Uno dei progetti più interessanti a mio avviso è l’ecoquartiere fluviale, che inizierà nel 2017. È un progetto per realizzare 22.000 m² di trasporto fluviale di merci e persone sull’Île de la Cité, l’isola sulla Senna. È un progetto articolato su diversi servizi di alloggi, di attività di lavoro e sul trasporto delle merci e delle persone su fiume. Vogliamo utilizzare maggiormente la Senna per sgomberare le strade.
Parigi presenta degli spazi molto vasti, ma quello che volete fare è soprattutto rinnovare e riqualificare?
Esattamente. Non vogliamo costruire del nuovo ma vogliamo riqualificare e costruire negli spazi già esistenti. Reinventiamo e ridisegniamo Parigi. Inventiamo la metropoli di domani riqualificando l’esistente. L’ecosistema della regione di Parigi sta disegnando la città di domani. La città ideale è proprio la sfida di un’intera regione. È un momento di grande trasformazione e cambiamento e Parigi sta mettendo in atto grandi trasformazioni per rinnovarsi attraverso oltre 60 siti che devono essere riqualificati.
Come approcciate questi progetti di rinnovamento?
Lavoriamo soprattutto attraverso le sperimentazioni. Cerchiamo di sperimentare un progetto prima in una zona delimitata, come un quartiere, e se funziona lo riproponiamo in larga scala. Per fare un esempio: in un distretto si affida a una start-up il compito di sviluppare una soluzione per un problema reale del territorio, lo si testa immediatamente e poi se funziona lo si propone agli altri distretti. Dal 2011 c’è una sperimentazione in corso per il risparmio energetico in una zona di Parigi dove sono coinvolte oltre 2000 famiglie nel residenziale e circa 10.000 persone per lavoro. Facendo una statistica e controllando l’utilizzo di energia elettrica per capire in quali momenti è più utilizzata, si cerca di dosare la disponibilità di energia in un posto o in un altro a seconda dei momenti. Se questo progetto funzionerà sarà replicato anche su larga scala.
Parigi è candidata per le Olimpiadi del 2024. Come vi state preparando?
A settembre 2017 si saprà chi vincerà. Per ora il progetto è segreto per cui si può rivelare poco. Possiamo però dire che si è cercato di proporre dei siti già esistenti e non di costruire villaggi olimpici da zero. Sono stati proposti diversi punti turistici dove si possono effettuare le varie gare: ad esempio le gare di pallavolo dovrebbe essere tenute sotto la Torre Eiffel, mentre l’equitazione a Versailles. Così facendo, promuoviamo la città mentre si svolgono i giochi. Anche riguardo ai villaggi sportivi dove dormiranno gli atleti, abbiamo pensato di costruirli in città e sfruttarli in seguito per venderli come alloggi residenziali.
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tieri, cioè circa 50.000 alloggi con Ecolabel e rispettosi dell’ambiente”.
I saloni in Francia
La Francia accoglie 407 saloni internazionali, di cui 215 professionali. Questi eventi fieristici richiamano 9,8 milioni di visitatori di cui 635.600 internazionali e 100.740 società espositrici (dati 2015). All’interno dei saloni professionali, il 30% degli espositori è di provenienza internazionale. La regione di Parigi è anche leader nel settore dell’organizzazione di saloni internazionali e riunisce oltre l’80% dei saloni francesi. La regione
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accoglie ogni anno più di 400 saloni, alcuni dei quali leader mondiali. L’offerta delle fiere della regione parigina è trasversale e complementare: tutti i settori di attività vi sono rappresentati e, nell’arco di più di 300 giorni, si svolgono in media 5 e talvolta fino a 15 saloni diversi al giorno. Ogni salone offre un panorama completo del suo settore e presenta una filiera completa. I principali decision maker e committenti francesi, europei e internazionali partecipano ai saloni della regione che permettono loro di trovare partner per il loro sviluppo internazionale, valutare le potenzialità
del mercato e concludere degli affari: essi sono dei generatori di opportunità commerciali mirate. Pollutec e World Efficiency sono i saloni che affrontano le tematiche ambientali e le nuove soluzioni per una città sostenibile. Per Stéphanie GayTorrente, Direttrice dei saloni Pollutec e World Efficiency, la città ideale deve rispondere già da oggi alle aspettative dei suoi abitanti. Le amministrazioni pubbliche devono avere un approccio pragmatico per poter mettere in atto durante il loro mandato (spesso di 5 anni) soluzioni operative in materia di urbanistica, ingegneria, eco-costruzione, efficacia energetica, eco-industrie, servizi urbani e mobilità. I saloni Pollutec e World Efficiency accolgono aziende e professionisti che sviluppano soluzioni sostenibili innovative. Tutte queste sfide saranno al centro delle prossime edizioni dei saloni internazionali della regione di Parigi, piattaforme di riflessioni sulle innovazioni in materia di salute e tempo libero. Veri e propri laboratori di idee, i saloni parigini sono sinonimo d’innovazione, tendenze importanti e tecnologie del futuro.
Milano, un distretto smart a energia zero Anche Milano e la sua regione sono in prima linea per la costruzione di un futuro sostenibile. Il capoluogo lombardo diventerà un distretto smart a energia zero. È questo il cuore del progetto “Sharing Cities” che nei prossimi cinque anni vedrà la collaborazione tra Milano, Londra e Lisbona. Il consorzio formato dalle tre città si è infatti aggiudicato il bando europeo “Soluzioni per città e comunità intelligenti che integrano i settori dell’energia, trasporti e ICT attraverso progetti pilota”, inserito all’interno del programma di ricerca e innovazione Horizon 2020. “Sharing Cities” coinvolge Londra (capofila del progetto), Milano e Lisbona e le tre città “follower” Bordeaux, Burgas e Varsavia, che replicheranno i modelli proposti dalle città a guida del consorzio, e si propone di adottare un approccio innovativo per rispondere ad alcune delle principali sfide ambientali: come abbattere le emissioni di carbonio di edifici e mezzi di trasporto e come migliorare la qualità dell’aria. “Siamo orgogliosi di aver raggiunto questo risultato assieme a Londra e Lisbona - ha commentato l’assessore alle Politiche per il lavoro e Sviluppo economico Cristina Tajani -. Per noi adesso comincia una grande sfida, che è al tempo stesso un’opportunità per la città. Gli interventi previsti si concentreranno nell’area tra Porta Romana e Vettabbia, già in fase di riqualificazione. Questa sarà la zona pilota su cui lavoreremo con una serie di azioni che in futuro potrebbero essere estese ad altri distretti della città. Collaboreremo con i nostri partner di progetto per rendere il distretto individuato sempre più smart e lo faremo coinvolgendo attivamente i cittadini”. “La nostra città sul tema delle sharing cities ha conosciuto negli ultimi 3 anni un’evoluzione straordinaria - ha sottolineato l’assessore alla Mobilità e Ambiente Pierfrancesco Maran - e nei prossimi 5-10 anni sarà ancora più evidente. Abbiamo affiancato alle infrastrutture beni immateriali come i mezzi di trasporto in condivisione, che sono ormai entrati a far parte delle abitudini quotidiane dei cittadini. Il prossimo passo sarà personalizzare i servizi in base alle esigenze di chi li usa. Questo progetto, che ha visto il coinvolgimento di Comune, associazioni, università ed enti privati, va proprio in questa direzione, individuando i servizi di sharing di cui i residenti del quartiere Porta Romana/Vettabbia avranno bisogno nei prossimi anni. È un progetto ambizioso, in cui Milano si dimostra ancora una volta avanguardista a livello nazionale e internazionale”. Il progetto riceverà un contributo europeo complessivo di 25 milioni di euro. Circa 8,6 milioni saranno destinati al partenariato locale della città di Milano e di questi circa 2,1 milioni di euro saranno introitati dal Comune. Tre gli ambiti di lavoro attorno a cui si snoderà “Sharing Cities”: un ambito dedicato alle persone, che prevede attività di coinvolgimento dei cittadini per la co-creazione di servizi di condivisione a integrazione del quartiere. Per incentivare la partecipazione attiva sarà sviluppato anche un sistema premiante per incoraggiare comportamenti virtuosi. Gli altri due ambiti riguarderanno i luoghi, con l’efficientamento energetico degli edifici, e lo sviluppo di una piattaforma urbana di condivisione per la gestione dei dati provenienti da una vasta gamma di fonti (ad esempio i sensori o le statistiche tradizionali) e si avvarrà di uno standard comune da replicare su diverse città.
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Le novità sull’accordo di Programma per la corretta gestione dei RAEE Il Centro di Coordinamento e le associazioni di categoria hanno definito quali siano i parametri per un adeguato trattamento dei rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche di Maeva Brunero Bronzin
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o scorso 14 novembre è entrato nella piena operatività l’Accordo di Programma relativo al trattamento dei RAEE domestici, sottoscritto dal Centro di Coordinamento insieme alle associazioni di categoria, Assoraee,
Assofermet e Assorecuperi, le quali rappresentano le aziende che gestiscono il trattamento delle apparecchiature elettriche ed elettroniche. Gli impianti sono autorizzati al recupero e al riciclo dei RAEE secondo un trattamento specifico
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in base alle caratteristiche del singolo rifiuto e svolgono attività di stoccaggio che comprendono le operazioni di deposito preliminare e messa in riserva dei rifiuti e/o il trattamento per il riciclaggio, recupero e valorizzazione dei materiali.
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Fabrizio Longoni Direttore Generale del Centro di Coordinamento RAEE Cosa comporta l’Accordo di Programma e quali sono i suoi obiettivi?
Il Centro di Coordinamento RAEE ha chiesto di valutare un innalzamento del livello qualitativo del trattamento dei RAEE per raggiungere gli obiettivi cui sono legati i produttori di apparecchiature, sapendo che sarebbe stato necessario uno sforzo da parte delle aziende. Tuttavia l’accordo è stato percepito come un beneficio complessivo per tutto il sistema, soprattutto dal punto di vista della gestione degli impianti e questo vale sia per le realtà maggiormente evolute dal punto di vista tecnologico sia per quelle che lo sono meno. Per quanto riguarda la normativa ci sono degli obblighi da rispettare a fronte di alcuni specifici riferimenti alle attività di trattamento che sono contenuti all’interno del Decreto Legislativo del 14 marzo 2014, n.49. Pertanto uscirà un nuovo decreto dedicato all’adeguato trattamento per il quale il Centro di Coordinamento insieme a ISPRA dovrà fare da consulente al Ministero dell’Ambiente. Da parte nostra è stato fatto un lavoro in accordo con gli impianti al fine di dare un’impronta che rappresenti l’intera filiera. Per questo motivo abbiamo formato gli auditor, ovvero coloro i quali andranno a fare le verifiche sugli impianti e abbiamo selezionato le aziende; in questo modo abbiamo messo in piedi un meccanismo in cui le varie parti potranno confrontarsi sulle visite degli auditor così da rendere il più possibile omogenea la valutazione dei controlli degli impianti. L’Accordo ha quindi anticipato quello che dovrebbe essere il nuovo decreto sull’adeguato trattamento dei RAEE offrendo così al Ministero la possibilità di avere già un riscontro sul campo della stessa normativa applicata. Questo è un grandissimo vantaggio sia per gli organi di controllo, perché oggettivamente devono sapere che esiste una filiera industriale produttiva che è sottoposta a un controllo da parte di soggetti specificamente formati e sia soprattutto per gli impianti per fare un’autovalutazione: se io devo scegliere su cosa investire e su cosa migliorare, quali sono le esigenze che il mercato mi sta palesando, ho nero su bianco quali sono gli obiettivi da raggiungere.
Possiamo dare qualche numero sulle capacità di trattamento degli impianti?
Dato che il Ministero dell’Ambiente ha inserito nella normativa il fatto che noi dovessimo raccogliere i dati sui trattamenti, abbiamo istituito un registro dove sono riportati tutti gli impianti. Contemporaneamente ogni anno raccogliamo i dati su ciò che hanno trattato: nel caso degli stoccaggi per trattato si intende ciò che è entrato o uscito, mentre per gli impianti che trattano questo tipo di rifiuto si intende il materiale, quando è uscito e come è stato adeguatamente trattato. Nel 2015 abbiamo fatto il primo rapporto dove sono riassunti tutti i dati che riguardano queste realtà. Se si considerano quindi i dati relativi al 2015, gli impianti di trattamento risultano così distribuiti sul territorio nazionale: 495 nelle regioni del Nord Ovest, 178 nelle regioni del Nord Est, 147 nelle regioni del Centro, 94 nelle regioni del Sud e 43 nelle Isole. Osservando i flussi di RAEE in ingresso per singolo raggruppamento, le lavorazioni effettuate presso il primo impianto di destinazione sono pari al 90% per R1 (Freddo e Clima), 88% per R2 (Grandi bianchi), 87% per R3 (Tv e Monitor), 83% per R4 (Piccoli elettrodomestici) e 75% per R5 (Sorgenti luminose). Nel corso del 2015 si è registrato un aumento dell’8% della raccolta dei RAEE gestita dai Sistemi Collettivi, che conferma il trend positivo già iniziato nell’anno precedente. La raccolta complessiva è stata pari a 249.253.916 kg, con un incremento di oltre 17 milioni di chilogrammi raccolti rispetto all’anno precedente e un dato medio pro capite pari a 4,1 kg per abitante. Il dato è positivo per tutti i Raggruppamenti ad eccezione del Raggruppamento 3 (Tv e Monitor), che segna un -4,86% rispetto al 2014. Un altro dato positivo riguarda l’aumento del numero dei Centri di Conferimento, che registrano un +2,76%, nonostante le differenze che permangono tra le diverse aree del Paese.
In rapporto all’adeguamento c’è una percentuale di quelle che possono essere le casistiche degli impianti ed è stato possibile quantificare quello che può essere un investimento a carattere nazionale?
E’ difficile indicare una percentuale esatta, perché anche in passato avevamo assegnato a soggetti terzi il compito di fare gli accreditamenti, quindi materialmente non siamo noi che valutiamo se il singolo impianto ha le caratteristiche per essere accreditato. Ad ogni modo siamo in assoluto i soggetti che hanno visto più impianti perché senza avere un obbligo specifico potevamo chiedere di fare una visita e nessuno ce l’ha mai negata, ma era una visita di cortesia. Oggi è cambiato, avremo la possibilità di andare a sorpresa, non tanto a vedere l’impianto ma a vedere se coloro che accreditano l’impianto si comportano bene, quindi in sostanza un controllo dei controllori. Abbiamo imposto una pianificazione di tipo cronologico, noi dovremo sapere quando ci sono delle visite di ispezione, dove sono e chi le farà, in questo modo potremo presentarci, osservare quello che viene fatto e dialogare con chi gestisce l’impianto. Dopo di che stenderemo il nostro rapporto secondo i criteri di valutazione periodica degli impianti.
MARA CHILOSI Coordinatore del Comitato Scientifico di Assorecuperi Qual è il punto di vista degli impianti sull’Accordo di Programma?
Dal punto di vista degli impianti l’Accordo di Programma è sicuramente “sfidante” e anche a livello associativo il tema che si è inizialmente posto, in un momento di crisi economica come quello attuale, è stato quello di quanto puntare sull’innovazione, sull’investimento e sull’adeguamento verso l’alto che il nuovo sistema di qualificazione comporta. Le associazioni si sono allineate nell’aderire a questo tipo di logica perché hanno la consapevolezza che questo mercato richiede standard sempre più elevati quindi, sebbene faticoso, è giusto incominciare un processo di questo tipo. L’Accordo offre la grande opportunità di sperimentare le nuove regole tecniche, che richiederanno investimenti e cambiamenti all’interno degli impianti, in un quadro ancora di adesione volontaria a uno standard e non vincolante in quanto recepito in un decreto ministeriale. In questo modo, l’adeguamento potrà avvenire in un periodo transitorio secondo un accordo volontario con l’ambizione di sperimentare la linea guida tecnica e di poter dare un contributo agli stakeholder istituzionali, ISPRA e Ministero, ed essere dunque un punto di riferimento per l’intero settore, una best practice insomma.
In rapporto all’adeguamento c’è una percentuale di quelle che possono essere le casistiche degli impianti ed è stato possibile quantificare quello che può essere un investimento a carattere nazionale?
Sinceramente come associazione di categoria un dato del gap rispetto agli impianti meno avanzati non lo abbiamo, sappiamo però che alcuni impianti non accederanno alla qualificazione e si suppone che il mercato probabilmente si dividerà in due tipi di operatori. Gli impianti che non affronteranno i costi dell’adeguamento sulla parte del trattamento potranno assumere un ruolo più strategico dal punto di vista logistico, puntando per esempio sullo stoccaggio. Invece gli impianti che si dedicheranno al trattamento si dovranno adeguare, alcuni sono già ampiamente dentro lo standard e dovranno solo migliorare alcuni aspetti gestionali legati alla tracciabilità e al tipo di registrazioni che la linea guida tecnica richiede, altri impianti invece dovranno fare uno sforzo per raggiungere lo standard sebbene siano già vicini. Dunque non è stata una scelta penalizzante per una fetta di mercato, come alcune associazioni minori hanno adombrato. Quelli che non riescono ad adeguarsi agli standard o che non ha nemmeno senso che ci provino potranno “riciclarsi” nella logica della creazione di una rete di raccolta e consolidamento molto più efficiente, che tuttora manca. Si punta poi su un “effetto trascinamento”, soprattutto ad opera della parte che ha un maggior coinvolgimento istituzionale ed è coperta da uno standard elevato, che potrà e dovrà essere il locomotore per tutto il mondo del RAEE professionale, che è molto più frammentato e non è incluso nell’Accordo. Un meccanismo virtuoso in base al quale la qualificazione dei sistemi collettivi diventi un punto di riferimento per i distributori e per i produttori che hanno il professionale da gestire e che, se devono scegliere un impianto, potranno scegliere l’impianto accreditato perché offre loro maggiori garanzie.
Cosa si aspetta dal nuovo decreto che uscirà sull’adeguato trattamento dei RAEE?
Mi auguro che il Ministero possa cogliere l’opportunità di sfruttare questa sperimentazione, perché ci stiamo lavorando tanto e ci rendiamo conto della difficoltà di creare una norma che possa regolare questo mercato senza essere penalizzante, ingiusta e poco corretta dal punto di vista tecnico. Per esempio, gli auditor, che hanno un punto di vista diverso dal committente, hanno già sollevato, dopo la formazione ricevuta, una serie di osservazioni sull’allegato tecnico e sulla check-list, che il Comitato di gestione ha preso in carico, fornendo risposte precise. Questa interlocuzione continuerà nel tempo e potrà consentire la messa a punto di uno strumento sempre più efficiente ed efficace, a beneficio di tutti, controllori e controllati. Tutto ciò è molto interessante dal punto di vista della normazione ambientale, essere un primo “banco di prova” di un approccio più moderno sia nella fase della definizione delle norme, che in quella della loro applicazione. A riguardo si parla spesso della creazione di un’agenzia e/o di un’authority ambientale, con competenze ampie e speciali, ovvero di entità che abbiano delle competenze specifiche, proprio perché il problema della normativa ambientale è la difficile sintesi fra gli aspetti operativi e tecnici e gli aspetti normativi e di protezione dell’ambiente. Magari un nuovo modello pubblicoprivato in cui ci sia questo tipo di collaborazione con le associazioni imprenditoriali, che devono riscoprire un nuovo ruolo e potrebbero fungere anche da referenti per quelle che sono le capacità del mercato dal punto di vista produttivo e imprenditoriale.
L’Accordo di Programma è stato elaborato con lo scopo di assicurare adeguati e omogenei livelli di trattamento e qualificazione delle aziende del settore del trattamento dei RAEE domestici, tramite l’accreditamento delle stesse aziende presso il Centro di Coordinamento che ha il compito di garantire nel Paese una corretta gestione dei RAEE originati dalla raccolta differenziata. Di questo Accordo di Programma in particolare e della raccolta dei RAEE più in generale ne abbiamo parlato con Fabrizio Longoni, Direttore Generale del Centro di Coordinamento RAEE, e Mara Chilosi, Socio fondatore dello Studio Legale Chilosi Martelli, specializzato in diritto dell’ambiente e Coordinatore del Comitato Scientifico di Assorecuperi, entrambi componenti del Comitato di Gestione dell’Accordo.
In anteprima i dati della raccolta 2016 Continua il trend positivo della raccolta differenziata di rifiuti elettronici ed elettronici. I dati provvisori del Centro di Coordinamento RAEE per l’anno 2016, che verranno presentati ufficialmente nel mese di marzo, registrano un incremento del 14% rispetto all’anno precedente, pari a una raccolta di oltre 283mila tonnellate di RAEE. Cresce anche la raccolta a livello di singolo raggruppamento: i Grandi Elettrodomestici come lavatrici, forni elettrici e lavastoviglie guidano la classifica dei RAEE più raccolti nello scorso anno con un quantitativo di oltre 90mila tonnellate, pari al 32% del totale. Seguono il Raggruppamento 1 (Freddo e Clima) con 76mila t e il Raggruppamento 3 (Tv e Monitor) con circa 64mila t.
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E il vincitore è... l’Ambiente Tanti i progetti e le tecnologie premiate nel corso dell’edizione 2016 dei Settegreen Awards di Laura Veneri
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’appuntamento si rinnova tutti gli anni: il Corriere della Sera con il settimanale Sette, in collaborazione con Conai, premia le aziende, le idee e le persone che si sono distinte nel settore della sostenibilità e dell’ambiente. L’edizione 2016 è stata la sesta edizione dei Sette Green Awards, gli Oscar dell’ambiente. Dopo un lungo viaggio all’interno della penisola nel mondo dei laboratori di ricerca, delle istituzioni e delle aziende per raccontare le eccellenze tricolori e i loro progetti sul fronte della sostenibilità, una giuria selezionata consegna i riconoscimenti ai progetti considerati più meritevoli. Vediamo chi si è distinto nell’ultima edizione.
Plastic Busters
Il progetto Plastic Busters, lanciato dall’Ateneo di Siena nell’ambito della rete mondiale sulla sostenibilità, promossa dall’ONU, SDSN, monitora l’inquinamento da plastica nel mar Mediterraneo, propone azioni di mitigazione del fenomeno e studia gli effetti delle microplastiche sulla salute degli organismi marini. La plastica può rappresentare il 95% dei rifiuti accumulati sulle coste, sulla superficie del mare e sul fondo. Più del 70% della plastica presente in mare proviene dalle attività terrestri. Il Mediterraneo è una delle aree al mondo dove più forte è l’impatto dei rifiuti marini e ha una media che va da 208 a 760 kg all’anno di rifiuti solidi prodotti per persona.
NextMaterials
NextMaterials srl è uno spin-off affiliato al Consorzio Interuniversitario per la Scienza e Tecnologia dei Materiali (INSTM), con stretti legami con il mondo della ricerca universitaria nel campo dei materiali, delle finiture e delle tecnologie connesse. NextMaterials sta studiando un materiale composito ad alta sostenibilità ambientale, composto per il 50% da fibra di cellulosa ottenuta da carta e cartone riciclato e per il restante 50% da una matrice polimerica. Il materiale si chiama Poly-paper, è riciclabile nella filiera carta/cartone, si caratterizza per un’elevata rigidità (tripla rispetto ai tradizionali materiali polimerici), si può processare con tutte le tecnologie tradizionali di lavorazione dei polimeri ed è completamente idrosolubile.
Solaris
Plantechno ha studiato Solaris, il seme di una pianta di tabacco che contiene un’alta percentuale di olio e che, se sottoposto a pressione meccanica, ne rilascia circa il 34%: una resa molto elevata, che si può quantificare in una produzione media di 2-3 tonnellate di olio per ettaro, con più raccolti durante l’anno. Un olio da cui si può ricavare biodiesel per navi o per auto ecologiche e che, sottoposto a un processo di idrogenazione, permette di estrarre frazioni di cherosene che consentono di ottenere biofuel per aerei. Il 15 luglio 2016 è decollato da Johannesburg (destinazione Cape Town) il volo South African Airways più verde di sempre, alimentato per il 50% da biojetfuel ricavato dal seme di tabacco Solaris.
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Smart upgrading
Si chiama Smart upgrading la tecnologia che “lava” il biogas eliminando la CO2 per ottenere metano. Rispetto alle tecnologie tedesche e statunitensi attualmente impiegate in questo campo, la tecnologia, sviluppata dai ricercatori del Dipartimento di Scienza dei Materiali dell’Università di Milano-Bicocca e sperimentata nella ex discarica di CEM Ambiente, ha il vantaggio di lavorare con una sostanza di trasformazione biodegradabile e dal costo contenuto e di richiedere, per il suo funzionamento, una quantità di energia molto bassa, producendo un gas made in Italy.
ValorIBio
Il progetto ValoriBio, finanziato dalla Regione Emilia-Romagna, è nato dalla necessità di valorizzare e recuperare scarti derivanti dalla filiera zootecnica e altri rifiuti organici che vengono costantemente prodotti. Attualmente lo smaltimento di deiezioni/scarti zootecnici e della frazione organica dei rifiuti urbani è soggetto a una rigida normativa sulla tracciabilità che ne impedisce usi alternativi e comporta costi non indifferenti. La destinazione finale di questi scarti è rappresentata dall’ottenimento di compost di scarsa qualità. D’altra parte, in natura questi materiali organici sono il substrato ottimale per la crescita di alcune specie di insetti con adattamenti tali da prosperare in ambienti con elevate quantità di microorganismi. Tra questi insetti vi è la “mosca soldato nera”, Hermetia illucens, una mosca non infestante (gli adulti vivono sulla vegetazione, difficilmente entrano in contatto con ambienti urbanizzati e non trasmettono patogeni), le cui larve convertono in modo rapido ed efficiente grandi quantità di rifiuti organici in biomassa ad alto contenuto proteico e lipidico. In un’ottica di sostenibilità della gestione della filiera zootecnica e delle produzioni agrarie, il ricorso a sistemi che possano ridurre da un lato massa e contenuto ammoniacale delle deiezioni e dall’altro il ricorso a fertilizzanti di sintesi, si profila come altamente vantaggioso. Grazie all’attività delle larve di H. illucens è possibile ridurre del 60% la massa secca delle deiezioni, il tenore di fosforo e azoto, sopprimere la crescita batterica, gli odori sgradevoli e la popolazione di mosche domestiche infestanti. Il residuo risultante è un compost ammendante di buona qualità.
MAPMED
Coordinato dall’Università di Cagliari, MAPMED coinvolge l’Agenzia regionale del distretto idrografico della Sardegna e altri quattro enti provenienti dalla Toscana, dalla Grecia, dall’Egitto e dalla Tunisia. L’obiettivo del progetto “Management of port areas in the Mediterranean Sea Basin” è quello di supportare le autorità locali nella gestione sostenibile dei porti turistici sul piano tecnico e istituzionale. Oltre a proporre metodi innovativi per il monitoraggio e la riduzione dell’inquinamento, il progetto, infatti, mira a rafforzare la capacità delle istituzioni nella definizione di un quadro normativo comune che concilia nel lungo termine la tutela delle risorse naturali con lo sviluppo del settore turistico nel Mediterraneo.
Glass to Power
È stato costituito in Università di Milano-Bicocca lo spin-off di ateneo Glass to Power con l’obiettivo di industrializzare un prodotto innovativo basato sulla tecnologia dei Concentratori Solari Luminescenti (LSC): si tratta di lastre di plastica nelle quali sono incorporate speciali nanoparticelle che catturano e concentrano la luce solare, trasformando così comuni finestre in pannelli solari semitrasparenti in grado di soddisfare il fabbisogno energetico di un edificio. Il piano di sviluppo industriale prevede la valorizzazione di una famiglia di brevetti realizzati dal team scientifico di Milano-Bicocca su nuove classi di nano materiali, per arrivare alla produzione di finestre e vetrate in grado di generare potenze fino a oltre 50 W per metro quadro senza alcun impatto estetico sugli edifici in cui verranno installate. Le previsioni danno il mercato del Building-Integrated Photovoltaic in forte espansione nei prossimi anni con incrementi annuali del 30 per cento, fino a raggiungere nel 2022 il valore di 26 miliardi di dollari, il 40% del quale in Europa. In particolare, avrà il più forte incremento il segmento degli Zero-Energy Buildings, a cui è esplicitamente diretta la tecnologia Glass to Power, ovvero edifici sostanzialmente autonomi da un punto di vista energetico, come previsto dalle direttive europee 31/2010/UE e 2012/27/UE che entreranno in vigore in tutta Europa entro il 2020. Fonte: Settegreen Awards
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La gestione dei pneumatici a fine vita Come vengono gestiti i pneumatici fuori uso? In Europa ogni Stato è sovrano di Laura Veneri
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i sono tre differenti modelli per la gestione del fine vita dei pneumatici in Europa: a tassazione, libero mercato, a responsabilità estesa del produttore. Il sistema “a tassazione” conferisce la responsabilità del recupero e riciclo dei pneumatici fuori uso allo Stato. Questo modello viene finanziato attraverso la riscossione di una tassa pagata al governo dal produttore di pneumatici. Grazie a questo contributo, lo Stato può poi rimunerare gli operatori della catena di recupero. I Paesi che aderiscono a questo modello sono attualmente
Danimarca e Slovacchia. Nel sistema a “libero mercato”, ogni Stato stabilisce gli obiettivi da conseguire ma non è indicato un unico soggetto responsabile. Questo modello si basa su una cooperazione volontaria tra le imprese (sottoscrizione di un contratto tra gli operatori coinvolti) ed è adottato da Austria, Croazia, Germania, Irlanda, Svizzera e Regno Unito. Nel modello di “responsabilità estesa del produttore”, la legge definisce il quadro giuridico e assegna la responsabilità ai produttori e importatori di pneumatici. Questi soggetti pagano un contributo a realtà no-profit
specializzate nella gestione dei PFU. Ogni anno queste organizzazioni redigono un report indirizzato allo Stato in cui sono rendicontate tutte le operazioni svolte. L’Italia aderisce a questo modello insieme a Belgio, Bulgaria, Repubblica Ceca, Estonia, Finlandia, Francia, Grecia, Ungheria, Olanda, Norvegia, Polonia, Portogallo, Romania, Slovenia, Spagna, Svezia e Turchia. Un confronto del sistema promosso dal Comitato con le altre realtà europee è possibile solo all’interno del medesimo modello di gestione, dove le diverse strade intraprese sono più facilmente paragonabili partendo
La gestione dei pneumatici fuori uso in Francia In occasione dell’ultima edizione di Ecomondo a Rimini, presso lo stand di Molinari Srl, abbiamo avuto il piacere di incontrare Jeremy Michels, Responsabile Aliapur, il consorzio di recupero dei pneumatici fuori uso in Francia. Michels ha risposto ad alcune domande sulla gestione dei PFU in Francia.
Sig. Michels, può spiegarci come funziona la raccolta dei pneumatici fuori uso in Francia?
Sul territorio francese operano circa 40.000 gommisti che ritirano i pneumatici fuori uso. I PFU vengono avviati all’impianto di trattamento più vicino per la riduzione volumetrica e successivamente inviati a cementifici per la valorizzazione energetica o a impianti di trasformazione per essere recuperati come materia prima per vari usi.
Quando è nato il consorzio Aliapur?
Aliapur ha iniziato a lavorare nel 2004 ed è stata la prima società in Europa. I soci del consorzio sono i sei più grossi produttori di pneumatici, poi ci sono circa 300 clienti che ritirano le gomme usate. Poco alla volta abbiamo organizzato tutta la rete di raccolta che ad oggi comprende 600 persone, 30 centri di raccolta e 11 società che si occupano della triturazione. Tutta l’organizzazione compete al Consorzio Aliapur.
Come è organizzato il Consorzio?
All’incirca ogni 3 anni si svolge una gara per identificare le aziende che lavoreranno con il consorzio. Le aziende vincitrici sapranno già all’inizio dell’anno quante tonnellate dovranno gestire nell’impianto di proprietà. Queste aziende stipulano un contratto direttamente con il consorzio, il quale si occupa della gestione logistica di ogni particolare della lavorazione dei pneumatici fuori uso. Il consorzio è come una “torre di controllo” che ha una visione completa dell’intero processo di recupero. Se c’è un impianto che è costretto a fermarsi per un guasto o una manutenzione programmata, abbiamo sempre la possibilità di usufruire di un altro impianto. Ogni anno gestiamo circa 330.000 tonnellate di pneumatici fuori uso. C’è bisogno di una buona organizzazione per ottimizzare i costi. Noi cerchiamo di creare il giusto equilibrio tra l’ambiente, la logistica e il prezzo.
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da un quadro di riferimento comune. All’interno dello stesso sistema, infatti, ogni Stato europeo gestisce i pneumatici a propria discrezione. Ad esempio, in molti Paesi le organizzazioni preposte alla gestione di questa categoria di rifiuto si occupano allo stesso tempo sia di pneumatici provenienti dal mercato del ricambio sia di quelli da veicoli a fine vita o, in molti casi, fanno rientrare tale gestione in quella più ampia relativa ai veicoli fuori uso. L’Italia è stata tra le poche realtà nazionali a costituire un sistema ad hoc per i pneumatici da veicoli fuori uso. In Europa sono dodici i grandi produttori di pneumatici attivi che, in circa 90 impianti, producono ogni anno 355 milioni di pneumatici, ovvero il 24% della produzione mondiale. Secondo i dati ETRMA (European Tyre & Rubber Manifacturers Association) nel 2011 sono arrivati a fine vita sui veicoli circa 3,2 milioni di tonnellate di pneumatici. Se si sottraggono le quote destinate al riuso, all’export e alla ricostruzione (rispettivamente il 5%, il 4% e il 9%) la
quota di PFU generati è pari a 2,6 milioni di tonnellate, di cui oltre il 95% è stato avviato a recupero, confermando l’Euro-
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pa una delle aree più attive al mondo nel recupero dei PFU. Fonte dati: Comitato PFU, Ecopneus.
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Separatori ad acqua La nuova linea dei separatori ad acqua Doppstadt, una novità per il mercato italiano di Maria Beatrice Celino
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esaro Mac Import, distributore ufficiale delle macchine e impianti Doppstadt sul mercato italiano, ci presenta i separatori ad acqua per la pulizia di vari materiali quali le terre da spazzamento stradale, lo spiaggiato e i materiali inerti da costruzione e demolizione. La linea dei separatori ad acqua è formata dai modelli Gritbuster WT 250, Gritbuster HDS-M e Doppstadt HDS-S. Fino ad oggi la separazione e la pulizia di alcuni tipi di rifiuti “sporchi” è stata estremamente difficile, ma con il processo Gritbuster si ottiene un’ottima suddivisione delle varie frazioni dei rifiuti grazie all’utilizzo dell’acqua come mezzo di separazione. Il Gritbuster WT 250 è impiegato per separare tra di loro i seguenti materiali: • sabbia e inerti (pezzatura 0,3 – 10 mm); • organico (pezzatura 1 – 10 mm);
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pietre e inerti pesanti (pezzatura > 10 mm); • legno, plastiche, fogliame. Vediamo il funzionamento della macchina e il sistema di lavaggio del materiale trattato. Il materiale viene immesso nella tramoggia di carico, dove una coclea lo fa avanzare verso l’area di separazione. Il tamburo rotante presenta dei fori da 10 mm per permettere la separazione tra sottovaglio e sopravaglio. A livello del tamburo viene spruzzata acqua ad alta pressione e avviene una prima separazione: sabbia e organico, sotto i 10 mm, passano attraverso le maglie del tamburo e cadono in una vasca piena d’acqua posta sotto il tamburo; sassi e flottante, maggiori di 10 mm, rimangono imprigionati all‘interno del tamburo. Sassi e flottante proseguono verso la vasca di sedimentazione dove il flottante viene spinto verso il nastro di scarico per effetto di una girante che lo tiene in sospensione. Il mate-
riale viene mantenuto in movimento da una pompa girante che spinge continuamente il materiale dal basso verso l’alto. Con questo movimento, tutto il materiale leggero viene portato a galla e la rotazione fa muovere il materiale leggero flottante verso il nastro di scarico posteriore. Sassi, inerti e materiale pesante invece precipitano sul fondo e vengono intercettati ed evacuati dalla coclea posta sul fondo della vasca di sedimentazione. Dall‘altra parte invece l‘acqua della vasca posta sotto il tamburo viene fatta defluire verso lo scarico dal movimento dell’elica esterna del tamburo. La sabbia precipita e viene intercettata da una coclea posta sul fondo di questa vasca, mentre l’acqua in scarico, passando attraverso un filtro a lamelle da 1 mm, viene ripulita dalla frazione organica in galleggiamento. Il modello HDS-M ha un principio pressappoco simile al Gritbuster WT 250, ma è adatto a materiali che
hanno pezzature maggiori. È ideale quando il materiale in ingresso ha una pezzatura compresa tra 10 e 200 mm. Il materiale da separare viene caricato attraverso un nastro sulla tramoggia vibrante, che fa scivolare il materiale nella prima vasca di sedimentazione. I materiali pesanti cadono e vengono evacuati dalla coclea posta sul fondo della vasca. La girante fa avanzare il materiale leggero che galleggia verso il tamburo rotante con fori da 10 mm. Il sopravaglio leggero viene portato avanti dal tamburo e continua il suo percorso verso il nastro di scarico dove viene espulso. Il sottovaglio fine invece precipita in una seconda vasca di sedimentazione posta sotto al tamburo. Una parete divide la seconda vasca in due aree aventi un diverso livello d’acqua. In questo modo l’acqua, spinta dalla girante della prima vasca, può circolare continuamente in senso orario. Durante il suo movimento, l’acqua fa precipitare le sabbie e le convoglia alla coclea di scarico specifica. L’acqua invece viene fatta defluire da uno scarico laterale dove si trova un filtro a lamelle da 1 mm capace di togliere la parte leggera organica compresa tra 1 mm e 10 mm. Il Gritbuster HDS-S, infine, è la versione ridotta del Gritbuster WT 250 ed è in grado di separare il materiale in ingresso in due frazioni: da una parte sassi e inerti; dall’altra i flottanti. Schematizzando il sistema Gritbuster separa la materia prima caricata sia secca che umida riducendo al minimo la contaminazione da sostanze organiche nella sabbia recuperata. I sistemi di separazione Gritbuster operano attraverso un circuito chiuso di trattamento delle acque e non necessitano di grandi riserve d’acqua o di particolari trattamenti delle acque di lavorazione, ciò conferisce a questa tecnologia un vantaggio competitivo rispetto ai trattamenti convenzionali di sabbia e ghiaia.
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Andiamo a separare Venti anni di Tomra, società leader nelle tecnologie per la separazione: dagli inizi al posizionamento sui mercati, dall’attenzione al cliente agli ultimi prestigiosi riconoscimenti di Laura Veneri
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l mercato del riciclaggio sta diventando sempre più maturo grazie alla normativa ma soprattutto grazie alle tecnologie che permettono di raggiungere alti tassi di riciclaggio. Fino a pochi anni fa, le tecnologie per la selezione non erano così performanti quanto quelle che oggi possiamo trovare in tanti centri di riciclaggio nel nostro Paese. Ne abbiamo parlato in occasione di Ecomondo a Rimini, con Christoph Bach, Direttore vendite Europa di Tomra Sorting Recycling, che ci ha presentato la società e ci ha raccontato le ultime novità di prodotto. Tomra Sorting Recycling è la divisione specializzata nel settore del riciclaggio di Tomra. Quando è nata e come si è evoluta? Tomra Sorting Recycling fa parte di Tomra Sorting Solutions, che sviluppa sistemi a sensori per la selezione e il controllo di processo per l’industria alimentare, mineraria, ecc. Tomra Sorting è proprietà della norvegese Tomra
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Systems ASA. Fondata nel 1972, Tomra Systems ASA ha un fatturato di circa 650 milioni di euro e impiega oltre 2.600 persone. Tomra Sorting Recycling progetta e realizza tecnologie per la selezione basate su sensori per il settore del riciclaggio e della gestione dei rifiuti. Oltre 4.500 sistemi sono installati in 50 Paesi del mondo. Responsabile dello sviluppo del primo sensore al mondo vicino all’infrarosso per applicazioni nel campo del riciclaggio di rifiuti, Tomra Sorting Recycling è precursore nel settore e grazie ai suoi sensori recupera frazioni di elevata purezza dal flusso di rifiuti che massimizzano la resa e i benefici dei clienti. Nata nel 1996 come Titech Autosort, Tomra Sorting Recycling è il frutto di un progetto di Ricerca e Sviluppo iniziato nel 1993 dal Gruppo Tomra Sorting, leader nel settore della selezione a sensori per l’industria. Tomra Sorting Recycling ha da poco festeggiato i 20 anni di attività. Che
Christoph Bach, Direttore vendite Europa di Tomra Sorting Recycling
bilancio possiamo trarre di questi primi anni e come si posiziona la società nel mercato italiano? In questi venti anni siamo cresciuti molto. Abbiamo sviluppato grandi tecnologie e portato a termine numerosi progetti. Abbiamo iniziato occupando-
ci dello smistamento degli imballaggi per bevande, mentre ora ci occupiamo anche di selezione nel settore minerario e dei rifiuti. La divisione dedita al riciclaggio è molto importante per Tomra: l’industria del riciclaggio richiede oggi grande specializzazione offrendo nel contempo benefici anche per l’ambiente. Più riescono a essere performanti le nostre tecnologie, più materiale riusciamo a riciclare andando a ridurre sempre più la percentuale di rifiuti che non è (ancora) recuperabile. Tomra Sorting Recycling ha una crescita del 3-5% all’anno nel settore del riciclaggio. I clienti chiedono una migliore qualità del prodotto riciclato e una più alta percentuale del materiale riciclato. Il mercato italiano, in cui operiamo dal 1999, è un mercato molto importante per Tomra Sorting Solutions: ad oggi abbiamo venduto circa 400 unità di selezione. L’Italia è un mercato forte che presenta un grande potenziale di sviluppo. In Italia ci affidiamo al nostro
agente Orion Srl di Bergamo, con cui lavoriamo da sempre. Quali sono le ultime tecnologie che avete sviluppato e che state promuovendo anche in Italia? Sfruttando l’esperienza sul campo e il know-how tecnologico del Gruppo Tomra, Tomra Sorting Recycling si è dedicata all’industria del riciclaggio e della gestione dei rifiuti, progettando e realizzando sistemi complessi per l’estrazione dal flusso di rifiuti di frazioni di elevata purezza, ottenendo una resa e una redditività davvero elevate. Negli anni, l’offerta di sensori si è ampliata attraverso importanti acquisizioni di società come RealVisionsort, CommodasUltrasort, Odenberg e Best; attraverso la combinazione di sensori semplici e multipli Tomra ha poi ampliato la gamma di applicazioni della selezione basata sui sensori. Grazie alla continua innovazione, la tecnologia di cernita automatica ha fatto un salto qualitativo straordinario
negli ultimi due decenni, raggiungendo decisivi miglioramenti nella risoluzione dei sensori. Al momento, sofisticate fonti di luce facilitano la selezione dei materiali con un grado di precisione ed efficienza prima inimmaginabili, naturalmente con consumi di energia molto ridotti. Attualmente questi importanti progressi tecnologici permettono l’individuazione di frazioni ultrasottili fino a 0,5 mm di diametro con alcuni materiali e tecnologie, mentre gli oggetti più grandi si possono scansionare con una precisione maggiore. Abbiamo lanciato negli ultimi anni una macchina per la selezione delle scaglie di PET che migliora sensibilmente la qualità del PET recuperato. La macchina è in grado di selezionare per tipo di materiale, colore e altre impurità. Abbiamo già venduto più di 50 macchine di questo tipo. Abbiamo anche introdotto una macchina di selezione basata sui raggi X per recuperare, ad esempio, i metalli pesanti dall’alluminio. In generale stiamo continuando a
Le tecnologie Tomra per la selezione dei rottami Le tecnologie e i prodotti sviluppati da Tomra Sorting Recycling non sono dedicati solo ai rifiuti ma sono ideali anche nel settore dei rottami. Il 2016 è stato un anno importante per la società che, soprattutto grazie alle fiere di settore, ha presentato al grande pubblico europeo le sue soluzioni di punta. Oltre a Ecomondo, l’altro appuntamento a cui non si è potuti mancare è stato l’Ifat di Monaco di Baviera. In occasione della fiera tedesca, Tomra aveva lanciato l’ultima generazione di X-TRACT, il sistema di selezione a raggi X, che è stato successivamente premiato con il prestigioso German Design Awards 2017 nella categoria “industria”. Secondo la giuria, l’X-TRACT riflette le elevate prestazioni e l’efficienza del sistema di selezione nel suo design tecnofunzionale e nella colorazione vistosa. La menzione speciale va ai prodotti le cui caratteristiche di design presentano aspetti o soluzioni particolarmente indovinate e dal design unico. La cerimonia di consegna dei German Design Award 2017 avverrà nella cornice della manifestazione Ambiente 2017 di Francoforte. Valerio Sama, Product Manager di TOMRA Sorting Recycling ha così commentato il riconoscimento: “Siamo onorati che il design dell’X-TRACT sia stato premiato. La passione per l’innovazione, la ricerca continua di soluzioni mirate alla soddisfazione delle necessità dei clienti e un design funzionale ci spingono a migliorare continuamente i nostri sistemi di selezione”. L’ultima novità presentata dall’azienda è stata LIBS, la nuova tecnologia di separazione laser dell’alluminio. Come è noto, i metodi di riciclaggio tradizionali permettevano soltanto una selezione limitata dell’alluminio. Il downcycling (de-ciclaggio o sottociclaggio) era l’opzione più semplice, ma aveva il grosso svantaggio che la maggior parte dei rottami di alta qualità veniva immancabilmente declassata durante il processo. Le moderne tecnologie di selezione basate sui sensori di Tomra Sorting hanno permesso un notevole miglioramento del processo, offrendo funzionalità molto più sofisticate e suddividendo i rottami in gradi differenti, comprese le leghe della serie 5000 o 6000 (5xxx e 6xxx), rimuovendo i prodotti non desiderati. Inoltre, le nuove tecnologie di selezione delle leghe metalliche hanno reso possibile ridurre i consumi energetici e quindi incrementare i margini di profitto. La nuova tecnologia LIBS, abbinata al sistema di selezione a raggi X, X-TRACT, costituisce un ulteriore passo avanti in questa direzione. La robustezza della tecnologia LIBS di TOMRA Sorting amplia le opzioni per l’utilizzo dell’alluminio secondario o da rottami, grazie a un laser dinamico e all’utilizzo di tutta l’ampiezza del nastro che determinano una resa elevata e ottimi livelli di purezza. Abbinata al sistema X-TRACT, già lanciato a Ifat, è in grado di assicurare una maggiore purezza di recupero del metallo, maggiore resa, superiore qualità del prodotto costante e il recupero di sottoprodotti vendibili. Una notevole opportunità per un Paese come l’Italia, primo in Europa per produzione di alluminio secondario o da riciclo, dove sono già installate molteplici unità a raggi X Tomra. Racconta l’ing. Alberto Cattaneo, Amministratore delegato di Orion, distributore di Tomra Sorting per l’Italia: “Nel nostro Paese, nel sistema industriale dell’alluminio è in atto un processo già manifestatosi 25-30 anni fa nel settore siderurgico, quando alcune acciaierie con forno elettrico si dotarono di impianti di frantumazione e pulizia del rottame ferroso per meglio controllare le cariche al forno elettrico, sia sotto l’aspetto qualitativo che sotto l’aspetto dei costi. Ora sono diverse le fonderie di alluminio che si stanno dotando di impianti per la pulizia del materiale in ingresso e i sistemi a raggi X di Tomra permettono di realizzare questa pulizia con impianti di selezione “a secco” semplici e facili da gestire”.
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innovare tutti i nostri prodotti. A breve lanceremo una tecnologia innovativa basata sulla spettroscopia laser. Uno dei nostri obiettivi è quello di raggiungere una posizione primaria a livello tecnologico: per raggiungere questo obiettivo oltre l’8% del nostro fatturato annuo viene speso in attività di ricerca e sviluppo. Come vi differenziate rispetto ai vostri competitor? Dobbiamo essere in grado di fornire ai clienti un servizio completo in grado di comprendere l’intero processo di riciclo nel suo complesso. Non ci dobbiamo limitare al concetto di vendere una singola macchina. In Germania disponiamo di un grande impianto di riciclaggio che utilizziamo per dimostrare ai nostri clienti come le nostre macchine si comportano con i loro materiali e quali percentuali di riciclo possiamo raggiungere. Invitiamo i clienti a portare il loro materiale e a processarlo presso il nostro impianto per capi-
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re quali tecnologie di smistamento si adattino meglio alle loro esigenze. Vogliamo distinguerci rispetto ai nostri concorrenti offrendo al cliente la massima sicurezza sull’investimento effettuato. Grazie a Tomra Care, infatti, le imprese che si affidano a noi posso-
no contare su un servizio di consulenza esperto in tutto ciò che riguarda la gestione dei rifiuti, la progettazione e il collaudo di nuovi impianti di selezione, il training del personale, i finanziamenti disponibili e assistenza telefonica h24, sette giorni su sette.
Rifiuti e logistica: anelli della green economy La sostenibilità passa attraverso le tappe di un percorso che vede nella logistica e nella movimentazione un tassello fondamentale di Maria Beatrice Celino
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a redazione della rivista Recover ha visitato lo stand CLS a Ecomondo dove ha potuto intervistare Michele Calabrese, Marketing and Product Manager di CLS. Dr. Calabrese, CLS si occupa di logistica. In che modo la logistica si coniuga con la green economy? La logistica è un settore strategico per la green economy. Poiché governa la movimentazione di flussi di materiali da monte presso i fornitori fino alla consegna dei prodotti finiti, va considerata come un importante anello nella catena della sostenibilità. Ben consapevoli di questo legame, offriamo una selezione di prodotti che permettono di consumare meno energia e di ottimizzare il trasporto dei materiali. Per fare un esempio la pressa orizzontale continua HSM VK8818R-FU, presentata in occasione di Ecomondo, permette di consumare fino al 40% di energia in meno rispetto alle macchine convenzionali producendo balle con altissima efficienza che, grazie alle loro caratteristiche, consentono la massima saturazione in peso e volume dei camion. Comprimendo quanto necessario, si risparmia denaro e si rispetta l’ambiente, trasportando meno aria si ottimizza il numero di tragitti e di conseguenza si inquina meno. Quali marchi commercializzate in Italia? CLS è dealer esclusivo dei carrelli Hyster in tutto il Paese e dei carrelli Yale per le province lombarde di Milano e Bergamo. CLS è inoltre rivenditore autorizzato dei sistemi di trasporto per porti, interporti e hub del mar-
chio MAFI e delle presse per imballaggio HSM. Il nostro ingresso nel settore delle presse è avvenuto a seguito dell’accordo per la distribuzione esclusiva dei prodotti HSM, azienda tedesca leader nel settore delle presse per imballaggio e a seguito dell’acquisizione dell’azienda italiana ORMIC, anch’essa produttrice dello stesso tipo di macchinari. Entrando nello specifico per quanto riguarda HSM, che è stata protagonista a Ecomondo presso il nostro stand, la gamma comprende varie tipologie di prodotti in grado di ottimizzare la gestione dei rifiuti in termini di costi, tempo ed efficienza grazie alla tecnologia all’avanguardia che li accomuna: presse verticali, orizzontali automatiche e semiautomatiche, macchine “dewatering” e trituratori per la distruzione di documenti. Altrettanto strategici all’interno della nostra offerta sono i servizi: dalla consulenza per la progettazione di impianti completi di selezione all’assistenza “multiprodotto”, la cui forza risiede nell’esperienza di team tecnici distribuiti su tutto il territorio italiano. Siamo al servizio della piccola e grande impresa italiana, per soluzioni e servizi nelle scelte di movimentazione dei materiali e della logistica, puntando su valori quali efficienza, qualità e sicurezza. Quali novità avete presentato in occasione della scorsa edizione di Ecomondo?
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Michele Calabrese, Marketing and Product Manager di CLS
Come accennavo, le protagoniste indiscusse di Ecomondo sono state le presse HSM. Presso il nostro stand abbiamo infatti esposto due modelli rappresentativi di questa gamma ampia e innovativa. La prima interessante innovazione che abbiamo presentato è la pressa verticale HSM VP 860L che consente la riduzione dei costi di logistica delle balle di materiale da imballaggio; è studiata affinché durante la compattazione vengano formate nette scanalature che permettano l’inforcamento della balla senza la necessità di utilizzare alcun bancale. La protagonista indiscussa dello stand è stata soprattutto la pressa orizzontale continua HSM VK8818R-FU per la compattazione di PET, cartone e rifiuti in genere. Questa maestosa macchina, dotata di perfora-bottiglie estraibile e di controllo in frequenza dei motori pompa, uniti a logiche costruttive semplici e innovative, consente la produzione di balle con
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altissima efficienza. Il loro peso specifico, tra i più elevati della categoria, e le dimensioni appositamente studiate consentono infatti la massima saturazione in peso e volume dei camion, consumando fino al 40% di energia in meno rispetto alle macchine convenzionali. Proprio per queste ragioni, questa pressa è stata acquistata da Nappi Sud, azienda di recupero e selezione rifiuti di Battipaglia che tratta annualmente 100.000 tonnellate di rifiuti, (in termini di raccolta, trasporto, recupero e smaltimento, sia rifiuti urbani sia speciali, pericolosi e non), che la utilizzerà per compattare tutte le tipologie di materiali, in particolare il PET. Sempre in occasione di Ecomondo abbiamo esposto anche un esempio di carrello elevatore Hyster dotato di pinza per la movimentazione di balle di rifiuti. Come giudicate il mercato italiano dell’ultimo anno e quali sono le vostre proiezioni future? Il recente andamento del mercato italiano è complessivamente positivo e il compar-
to della logistica sta mostrando segnali di ripresa. I modelli e le logiche di gestione delle attività di magazzino si stanno modificando grazie soprattutto al boom dell’e-commerce. In un contesto che vede una maggior sofisticazione delle attività di handling e volumi crescenti, il ruolo di partner in grado di fornire soluzioni per la logistica ad elevato valore aggiunto sarà sempre più strategico. I dati rilasciati da ANIMA (Federazione delle Associazioni Nazionali dell’Industria
Meccanica varia ed affine) e AISEM (Associazione Italiana Sistemi di Sollevamento, Elevazione e Movimentazione) mostrano come nel 2016 il balzo nelle vendite dei carrelli da magazzino sia stato addirittura del 30%. Per quanto riguarda CLS, dovremmo concludere l’anno in corso con un aumento del giro d’affari grazie agli effetti degli incentivi previsti dal “super ammortamento” e alla crescita organica. Per il 2017, inoltre, prevediamo un ulteriore incremento.
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L’anno passato LA FINE di ogni anno è un fiorire di bilanci, che nel nostro settore equivalgono ai “Rapporti”. Enti, Associazioni, Federazioni pubblicano i dati relativi ai loro settori di interesse. Andiamo a vedere i più importanti di Laura Veneri
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bbiamo prodotto più o meno rifiuti dell’anno precedente? A quanto ammontano le spese per l’ambiente nell’anno appena trascorso? A quale percentuale è arrivata la raccolta differenziata? Sono solo alcune delle domande cui ogni anno, a dicembre, i principali istituti cercano di dare risposta. In primis l’Ispra, Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, che pubblica ogni anno il “Rapporto Rifiuti Urbani”, il “Rapporto sulla qualità dell’ambiente urbano”, il “Rapporto Rifiuti Speciali”, ecc. A seguire l’Istat, Istituto nazionale di statistica, FISE Unire, l’Associazione che rappresenta le aziende del recupero rifiuti, e la Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile, la fondazione dedi-
ta alla promozione della green economy.
La gestione dei rifiuti in Europa
Secondo i dati Eurostat, integrati con quelli di Ispra per quanto riguarda l’Italia, nel 2014 nell’UE 28 sono stati prodotti circa 240,8 milioni di tonnellate di rifiuti urbani, lo 0,5% in meno rispetto all’anno precedente. Nel 2014 si conferma, dunque, una tendenza alla diminuzione della produzione di rifiuti urbani iniziata negli anni precedenti (tra il 2012 e il 2013 il calo era stato pari all’1,5%). Gli ultimi dati disponibili riferiscono che nell’UE circa il 28% dei rifiuti urbani gestiti è avviato a riciclaggio, circa il 16% a compostaggio e digestione anaerobica, mentre
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circa il 27% e il 28% sono, rispettivamente, inceneriti e smaltiti in discarica. Nell’ultimo triennio considerato (2012-2014), il rafforzamento dell’attuazione delle politiche e delle normative comunitarie volte alla riduzione dei rifiuti destinati alla discarica, e in particolare dei rifiuti biodegradabili, si riflette in modo chiaro sull’andamento dei quantitativi di rifiuti destinati a tale forma di smaltimento. A livello di UE 28, infatti, tra il 2012 e il 2014 si registra una flessione del 13,5%, mentre, tra il 2013 e il 2014, la riduzione è del 7,3%. La riduzione nell’ultimo biennio riguarda sia l’UE 15 (-8,6%) che i nuovi Stati (-4,2%). Il dato si diversifica notevolmente sul territorio dell’Unione e in particolare, il ricorso alla discarica è ancora predominante nei nuovi Stati membri.
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La gestione dei rifiuti urbani in Italia
Nell’ultimo “Rapporto Rifiuti Urbani” di Ispra si delinea una miglior gestione dei rifiuti urbani che in Italia finiscono sempre meno in discarica. Nel 2015, la produzione nazionale dei rifiuti urbani è pari a circa 29,5 milioni di tonnellate, facendo rilevare una riduzione dello 0,4% rispetto al 2014. A seguito di tale diminuzione, la produzione nel 2015 si attesta al di sotto del valore rilevato nel 2013, con un calo complessivo, rispetto al 2011, di quasi 1,9 milioni di tonnellate (-5,9%). La flessione della produzione pro capite è più contenuta (-0,2%, -1 chilogrammo per abitante per anno), in quanto bilanciata da una contestuale decrescita della popolazione residente. A calare di più è il Centro Italia (-0,8%), che in valori assoluti produce 6,6 milioni di tonnellate di rifiuti, mentre il Nord si mantiene sulla media nazionale (-0,4%) con un quantitativo prodotto pari a 13,7 milioni di tonnellate; al Sud la produzione si contrae dello 0,2% (9,2 milioni di tonnellate). Undici regioni italiane fanno rilevare, tra il 2014 e il 2015, una riduzione della produzione dei rifiuti urbani. In particolare, una decrescita di poco inferiore al 3% si osserva per l’Umbria e cali superiori o pari al 2% per la Liguria, il Veneto e il Lazio. Il Trentino Alto Adige, la Basilicata e la Calabria mostrano riduzioni rispettivamente pari all’1,4%, 1,1% e 1%, mentre per Lombardia, Marche, Puglia e Sardegna la contrazione risulta inferiore all’1%. Sostanzialmente stabile è il dato di produzione di Piemon-
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te, Valle d’Aosta, Abruzzo e Campania, per le quali si riscontra una crescita del dato di produzione inferiore o pari allo 0,1%. Un incremento al di sotto dell’1% si rileva per Sicilia, Molise e Toscana mentre al di sopra di tale soglia si attesta la variazione percentuale dell’Emilia Romagna (+1,1%) e del Friuli Venezia Giulia (+1,6%). L’Emilia Romagna è anche la regione con i maggiori valori di produzione pro capite: 642 chilogrammi per abitante nel 2015, con un incremento dell’1,2% rispetto al precedente anno. Nell’ultimo anno di riferimento, una crescita analoga a quella dell’Emilia Romagna si rileva per la Toscana, il cui pro capite si attesta a 608 kg per abitante per anno. Così come nel precedente periodo, anche nel 2015 le regioni con un pro capite superiore a quello medio nazionale (487 kg per abitante per anno) sono complessivamente sette: alle due sopra citate si aggiungono Valle d’Aosta, Liguria, Umbria, Lazio e Marche, tutte con valori superiori a 510 kg per abitante per anno. Tra il 2014 e il 2015, la crescita maggiore si osserva per il Friuli Venezia Giulia, +2,1%, la cui produzione pro capite risulta, in ogni caso, inferiore di circa 26 kg per abitante per anno rispetto alla media nazionale. Le regioni che mostrano un calo dei valori pro capite sono complessivamente dieci, una in meno rispetto a quanto rilevato per il dato di produzione assoluta. Per le Marche, infatti, la produzione pro capite fa segnare un leggero incremento (+1 kg per abitante per anno), a fronte della contra-
zione, comunque di entità ridotta (-0,4%), mostrata per i valori di produzione misurati in tonnellate. Il trend del pro capite è fortemente influenzato, nell’ultimo anno, dal calo della popolazione residente. Analogamente al precedente anno, i minori valori di produzione pro capite si registrano per la Basilicata (347 kg per abitante per anno), il Molise (391 kg per abitante per anno) e la Calabria (407 kg per abitante per anno). L’analisi dei dati Ispra evidenzia miglioramenti significativi del ciclo di gestione dei rifiuti. In particolare, la discarica, che fa registrare la riduzione di 5 punti percentuali, interessa, infatti, il 26% dei rifiuti prodotti. Analizzando il dato per macroarea geografica, la riduzione maggiore si rileva al Nord (-26%), dove circa 680 mila tonnellate in meno di rifiuti sono smaltite in discarica. Al Centro (-14%) e al Sud (-12%) si registrano riduzioni dello smaltimento più contenute, ma, comunque, significative. Sono 149 le discariche per rifiuti non pericolosi e pericolosi ad aver ricevuto rifiuti provenienti dal circuito urbano nel 2015 (23 in meno rispetto al 2014). Rispetto alla precedente indagine, aumenta la percentuale di rifiuti sottoposti a trattamento prima dello smaltimento in discarica, che passa dal 70% del 2014 a circa l’86% del 2015; tuttavia, nonostante il divieto imposto dall’art. 7 del D.lgs. n. 36/2003, nel 2015 ancora 1,1 milioni di tonnellate di rifiuti sono state smaltite in discarica senza il preventivo e idoneo trattamento. Il riciclaggio delle diverse frazioni provenienti dalla raccolta differenziata o dagli impianti di trattamento meccanico biologico dei rifiuti urbani raggiunge, nel suo insieme il 44% della produzione: il 18% è costituito dal trattamento biologico della frazione organica da RD (umido + verde) e oltre il 26% dal recupero di materia delle altre frazioni merceologiche. Il 19% dei rifiuti urbani prodotti è incenerito, mentre circa il 2% viene inviato a impianti produttivi, quali i cementifici, centrali termoelettriche, ecc., per essere utilizzato all’interno del ciclo produttivo e per produrre energia; l’1% viene utilizzato, dopo adeguato trattamento, per la ricopertura delle discariche, il 3%, costituito da rifiuti derivanti dagli impianti TMB, viene inviato a ulteriori trattamenti quali la raffinazione per la produzione di CSS o la biostabilizzazione, e l’1% è esportato (362 mila tonnellate). Circa 5,2 milioni di tonnellate di rifiuti urbani sono recuperate in im-
pianti di compostaggio e digestione anaerobica (+7% rispetto al 2014); di questi quasi 3,4 milioni di tonnellate sono avviati a impianti di compostaggio, 1,6 milioni di tonnellate a impianti di trattamento integrato anaerobico/aerobico, mentre poco più di 220 mila tonnellate sono trattate in impianti dedicati di digestione anaerobica. L’incenerimento interessa quasi 5,6 milioni di tonnellate con un incremento del 5% rispetto al 2014. Nel 2015 erano operativi 41 impianti posizionati soprattutto al Nord (63%) in particolare in Lombardia e in Emilia Romagna. Dei 5,6 milioni di tonnellate di rifiuti avviati a incenerimento circa la metà è costituita da rifiuti urbani tal quali, l’altra metà è rappresentata da rifiuti derivanti dal trattamento dei rifiuti urbani (frazione secca, CSS e, in minor misura, bioessiccato). Complessivamente vengono recuperati oltre 2,7 milioni di MWh di energia elettrica e 4,4 milioni di MWh di energia elettrica e termica. In crescita è il trattamento meccanico biologico dei rifiuti (+12,5%) utilizzato ampiamente come forma di pretrattamento dei rifiuti da allocare in discarica. Sul territorio nazionale sono stati censiti 118 impianti di trattamento meccanico biologico operativi: 36 al Nord, 32 al Centro e 50 al Sud. In via generale va rilevato che non tutte le regioni sono dotate delle necessarie infrastrutture di trattamento dei rifiuti, e in maniera particolare di quelle demandate al riciclo delle frazioni merceologiche raccolte in maniera differenziata. La scarsa dotazione impiantistica fa sì che in molti contesti territoriali si assista a un trasferimento dei rifiuti raccolti, ovvero di quelli sottoposti a trattamento meccanico biologico, in altre regioni o all’estero dove la capacità di trattamento risulta superiore rispetto ai reali fabbisogni.
Raccolta differenziata
Nel 2015, la percentuale di raccolta differenziata raggiunge il 47,5% della produzione nazionale, facendo rilevare una crescita di +2,3 punti rispetto al 2014 (45,2%), superando i 14 milioni di tonnellate. Nel Nord il quantitativo si attesta al di sopra di 8 milioni di tonnellate, nel Centro a quasi 2,9 milioni di tonnellate e nel Sud a 3,1 milioni di tonnellate. Tali valori si traducono in percentuali, calcolate rispetto alla produzione totale dei rifiuti urbani di ciascuna macroarea, pari al 58,6% per le regioni set-
tentrionali, al 43,8% per quelle del Centro e al 33,6% per le regioni del Mezzogiorno. Alla regione Veneto va la palma della raccolta differenziata nel 2015 grazie al 68,8%, seguita dal Trentino Alto Adige con il 67,4%. Entrambe le regioni sono già dal 2014 al di sopra dell’obiettivo del 65% fissato dalla normativa per il 2012. Seguono, tra le regioni più virtuose, il Friuli Venezia Giulia (62,9%), seguita da Lombardia, Marche, Emilia Romagna, Sardegna e Piemonte, queste ultime cinque con tassi superiori al 55%. Tra 45% e 50% si collocano Abruzzo, Umbria, Campania, Valle d’Aosta e Toscana. Liguria e Lazio sono di poco al di sopra del 35%, mentre superano il 30% la Basilicata e la Puglia. La Calabria è la regione che fa segnare la maggiore crescita della percentuale di raccolta differenziata, +6 punti rispetto al 2014, anche se il 25% la colloca ancora al penultimo posto tra le regioni, seguita solo dalla Sicilia (12,8%). Sfiorano i 5 punti di crescita Valle d’Aosta e Lazio. Quanto alle province, i livelli più elevati di raccolta differenziata si rilevano, analogamente ai precedenti anni, per Treviso, che nel 2015 si attesta all’84,1%. Prossimo all’80% è il
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tasso della provincia di Mantova (79,9%) e pari al 78,4% quello di Pordenone. Al di sopra del 70% si collocano anche Belluno, Trento, Macerata, Parma e Vicenza. Le peggiori province italiane per la raccolta differenziata sono, invece, tutte in Sicilia con valori inferiori o di poco superiori al 10%: Palermo (7,8%) Siracusa (7,9%), Messina (10,1%) ed Enna (10,8%).
Il riciclo effettivo degli imballaggi nelle imprese italiane
L’Italia del Riciclo, il Rapporto promosso e realizzato da FISE Unire e dalla Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile, ha proposto un’analisi sulla produzione nazionale di materie prime seconde derivanti dallo svolgimento di attività di recupero dei rifiuti. Dall’analisi svolta sui dati MUD, si rileva una produzione complessiva di materiali secondari di carta, vetro, plastica, legno e organico pari a 10,6 milioni di tonnellate nel 2014, che risulta, sulla base di un campione dei dati trasmessi nel 2016, in crescita del 2% nel 2015. Nel 2015 il riciclo degli imballaggi ha regi-
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strato una sensibile crescita complessiva (+5% in termini assoluti) che conferma la capacità del settore, sia pure nell’attuale contesto di crisi economica, di intercettare e avviare a recupero quantitativi crescenti di rifiuti: 8,2 milioni di tonnellate, contro le 7,8 del 2014 e le 7,6 del 2013.Tutte le filiere evidenziano indici in crescita, ad eccezione dell’alluminio che vede diminuire le tonnellate avviate a riciclo (-1%) e la percentuale di riciclo sull’immesso a consumo (-4%). Si confermano le eccellenze nel tasso di riciclo di carta (80%), acciaio (73,4%), vetro (71%) e alluminio (70%), mentre registrano le percentuali di crescita più elevate i quantitativi avviati a recupero di plastica (+10%) e legno (+5%). Segnali positivi arrivano anche dal riciclo di pneumatici fuori uso e della frazione organica, entrambe in crescita del 5% rispetto al 2014, e dalla raccolta dei raee che supera l’obiettivo dei 4 kg/abitante l’anno, intercettando il 41% dell’immesso al consumo, sebbene i nuovi obiettivi rimangano distanti. Il tasso di reimpiego e riciclo di veicoli fuori uso raggiunge l’83% del peso medio del veicolo, ancora lontano dal target previsto del 95%. Nel 2014 si contano in totale, per le cinque tipologie di materiali oggetto di analisi, 15,6 Mt di rifiuti recuperati. Per carta, vetro, plastica e legno il flusso input si può distinguere fondamentalmente in tre tipologie: imballaggi, rifiuti domestici e assimilabili e tutti gli altri rifiuti tipici. Si nota in particolare che per la carta il flusso degli im-
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ballaggi rappresenta circa il 50% dell’input totale, cui fanno seguito i rifiuti domestici e assimilabili con oltre il 40%. Per il vetro il peso degli imballaggi è anche superiore, quasi il 60% dell’entrata complessiva; una componente di poco inferiore al 35% spetta poi al raggruppamento di tutti gli altri rifiuti, diversi sia da imballaggi sia da domestici e assimilabili. Per quanto riguarda la plastica, il flusso si ripartisce in due parti pressoché equivalenti tra imballaggi e altri rifiuti tipici. Sul legno, infine, quasi il 75% dell’input totale proviene dal flusso di tutti gli altri rifiuti tipici. Per l’organico, oltre l’85% dei rifiuti in ingresso è costituito da rifiuti domestici e assimilabili. La lavorazione dei rifiuti finalizzata a generare nuovi materiali di tipo secondario ha una resa, calcolabile come rapporto tra la quantità in output e quella in input, che si differenzia a seconda del raggruppamento merceologico considerato. Il valore di rendimento più alto sfiora il 90% e riguarda la carta: questo vuol dire che mediamente a livello nazionale, sottoponendo a operazioni di recupero 100 kg di rifiuti (tipici e, in quota parte, misti), si ottengono circa 90 kg di materiali secondari classificabili come carta. Per vetro, plastica e legno la resa media si aggira tra il 75% e l’80%, mentre il valore minimo si registra per l’organico e si attesta al di sotto del 27%, conseguentemente alle peculiarità chimico-fisiche del-
la matrice. Gli scarti in uscita dai processi di riciclo sono quantificabili in 2,5 milioni di tonnellate nel 2014 per i cinque materiali analizzati. Per la maggior parte tali scarti vengono sottoposti ad altre operazioni di recupero, in misura differente a seconda del materiale considerato. Le percentuali più alte di avvio a recupero di materia, in particolare, sono relative agli scarti della produzione dei materiali di legno e vetro, che si aggirano intorno all’80%. Circa il 9% degli scarti complessivi, con una percentuale più alta per la sola plastica, viene avviato a ulteriori operazioni di trattamento o stoccaggio, non consentendo quindi l’individuazione diretta di un trattamento finale dei residui a valle del processo di riciclo. Il recupero di energia e l’incenerimento superano la quota del 10% solo per gli scarti di legno e carta, mentre per gli altri materiali rappresentano un’alternativa decisamente meno rilevante. In media l’11% degli scarti dei cinque materiali considerati viene conferito in discarica, una percentuale non irrilevante, e sicuramente migliorabile, ma spiegabile in termini gestionali.
Le spese dei Comuni per i rifiuti
L’Istituto Demoskopika ha realizzato uno studio su “L’economia dei rifiuti nei comuni italiani” analizzando le spese per lo smaltimento dei rifiuti sostenute dai comuni italiani dal 2014 al primo semestre 2016. Per onorare i contratti di servizio per lo smaltimento dei rifiuti, gli enti comunali italiani hanno drenato dalle casse comunali ben 21.170 milioni di euro nel periodo preso in esame con un incremento dello 0,8% nel 2015 rispetto ai dodici mesi precedenti. I pagamenti più rilevanti, in valore assoluto, sono stati effettuati dalle amministrazioni comunali in Lombardia con 2.742 milioni di euro, nel Lazio con 2.653 milioni di euro, in Campania con 2.461 milioni di euro i cui “esborsi” rappresentano poco meno del 40% del castelletto complessivo delle spese in Italia. A seguire i comuni in Toscana (1.768 milioni di euro), Emilia Romagna (1.723 milioni di euro), Sicilia (1.679 milioni di euro), Puglia (1.581 milioni di euro), Piemonte (1.549 milioni di euro), Veneto (1.132 milioni di euro). Al di sotto del miliardo di euro di pagamenti, i governi locali in Liguria (807 milioni di euro), Sardegna (632 milioni di euro), Marche (514 milioni di euro), Abruzzo (473 mi-
lioni di euro), Calabria (459 milioni di euro), Umbria (345 milioni di euro) e Friuli Venezia Giulia (332 milioni di euro). Meno significativi, si fa per dire, i pagamenti effettuati dai comuni in Basilicata (172 milioni di euro), Trentino Alto Adige (69 milioni di euro), Molise (58 milioni di euro), e, infine, Valle d’Aosta (19 milioni di euro). Venezia, Napoli e Bari risultano le tre città italiane con la maggiore spesa media sostenuta da ciascuna famiglia per il servizio di smaltimento dei rifiuti. Un dato ottenuto rapportando i pagamenti effettuati dal 2014 al luglio 2016, rilevati dal sistema Siope, sul totale delle famiglie residenti in ciascuno dei 15 comuni più popolosi d’Italia. In particolare, su 237 milioni di euro di pagamenti, effettuati dal governo comunale di Venezia per garantire il contratto di servizio di smaltimento rifiuti, circa 1.839 euro possono essere considerate mediamente a carico di ciascun nucleo familiare residente. Alla stregua delle famiglie residenti a Napoli che si ritrovano un “carico finanziario” pro capite pari a 1.628 euro con una spesa pari a 608 milioni di euro, a Bari con una spesa pro capite di 1.197 euro pari a 163 milioni di euro, a Palermo con una spesa pro capite di 1.161 euro pari a 302 milioni di euro. A Roma, la spesa sostenuta per garantire il contratto di servizio per lo smaltimento dei rifiuti raggiunge un ammontare complessivo di ben 1.521 milioni di euro, pari a 1.121 euro per nucleo familiare, e con un incremento dei costi, nel 2015, del 34,4% rispetto all’anno precedente. Seguono Milano con una spesa pro capite pari a 1.110 euro (805 milioni di euro), Genova con una spesa pro capite pari a 1.104 euro (325 milioni di euro), Torino con una spesa pro capite pari a 1.089 euro (478 milioni di euro), Messina con una spesa pro capite pari a 1.088 euro (109 milioni di euro), Padova con una spesa pro capite pari a 1.064 euro (107 milioni di euro), Firenze con una spesa pro capite pari a 941 euro (178 milioni di euro). In coda si posizionano le città di Bologna con una spesa pro capite pari a 886 euro (182 milioni di euro), Verona con una spesa pro capite pari a 818 euro (100 milioni di euro), Trieste con una spesa pro capite pari a 783 euro (83 milioni di euro) e, infine, Catania con una spesa pro capite pari a 638 euro (87 milioni di euro).
Importazione ed esportazione di rifiuti
L’export dei rifiuti è superiore all’import. I rifiuti del circuito urbano esportati, sono circa 361 mila tonnellate. L’Austria e l’Ungheria sono i Paesi verso i quali esportiamo le maggiori quantità di rifiuti urbani, rispettivamente il 27,5% e il 13,3% del totale esportato; seguono la Slovacchia con il 9,6% e la Spagna con il 7,5%. L’Italia esporta soprattutto Combustibile Solido Secondario (CSS) derivante dal trattamento di rifiuti urbani (38,5% dei rifiuti esportati, prodotti soprattutto da impianti situati in Friuli Venezia Giulia), rifiuti di imballaggio (20,5%) costituiti da imballaggi in plastica e in carta e cartone e frazioni merceologiche da raccolta differenziata (14%), rappresentate prevalentemente da rifiuti di abbigliamento, carta e cartone. Sono circa 205 mila tonnellate i rifiuti del circuito urbano importati nel 2015. Il maggior quantitativo proviene dalla Svizzera, con oltre 74 mila tonnellate, corrispondente al 36,3% del totale importato; seguono la Francia con il 17,6% e la Germania con il 15,6%. Circa la metà dei rifiuti provenienti dalla Svizzera, costituiti prevalentemente da rifiuti di imballaggio in vetro, sono destinati a impianti di recupero e lavorazione del vetro situati perlopiù in Lombardia. L’analisi dei dati evidenzia, inoltre, che la Lombardia è la regione che importa la maggiore quantità di rifiuti (oltre 87 mila tonnellate) il 42,6% del totale importato, seguita dalla Campania (circa 45 mila tonnellate) con il 21,9% del totale e dal Veneto (29 mila tonnellate) con il 14,4% del totale.
Gli investimenti industriali per la protezione dell’ambiente
L’Istat ha elaborato uno studio sulle spese sostenute in ambito industriale per l’ambiente. Nel 2014 la spesa per investimenti ambientali realizzata dalle imprese dell’industria in senso stretto è risultata pari a 1.117 milioni di euro, in calo del 19,7% rispetto al 2013 (1.391 milioni di euro). La diminuzione riguarda tutte le imprese, a prescindere dalla loro dimensione, ma l’intensità è diversa. La spesa è scesa infatti in misura consistente nelle piccole e medie imprese, da 452 milioni di euro del 2013 a 264 milioni (-41.6%), e più contenuta nelle grandi (250 addetti e oltre), da 939 milioni di euro a 853 milioni (-9,2%).
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Con riferimento alla tipologia di spesa, tra il 2014 e il 2013 diminuiscono sia gli investimenti negli impianti e attrezzature di tipo end-of-pipe (-17,2%), sia quelli a tecnologia integrata (-25,2%). In calo anche il peso relativo degli investimenti ambientali sul totale degli investimenti fissi lordi che passa dal 4,2% del 2013 al 3,2% del 2014. In termini assoluti, nelle grandi imprese la spesa stimata in investimenti integrati aumenta di 29 milioni di euro a fronte di una diminuzione in investimenti di tipo end-ofpipe di 115 milioni di euro; nelle piccole e medie imprese la spesa per investimenti diminuisce per entrambe le tipologie (rispettivamente -138 milioni di euro e -50 milioni di euro). La quota di investimenti end-of-pipe sul totale degli investimenti ambientali è più elevata nel segmento delle piccole e medie imprese (75,0%) che nelle grandi (69,8%). Nel 2014 gli investimenti ambientali per addetto sono stimati pari a 294 euro (358 euro nel 2013), ma sono elevate le differenze per dimensione aziendale: si passa, infatti, da 93 euro per addetto (154 euro nel 2013) nelle imprese di piccola e media dimensione a 899 euro per addetto (976 euro nel 2013) in quelle con 250 addetti e oltre. Queste ultime imprese svolgono un ruolo preminente per la spesa ambientale. Con 853 milioni di euro realizzano il 76,4% degli investimenti complessivi; inoltre effettuano il 75,0% degli investimenti end-of-pipe e il 79,6% degli investimenti a tecnologia integrata. La dimensione d’impresa comporta differenze degne di nota anche rispetto all’incidenza degli investimenti ambientali sul totale degli investimenti fissi lordi: 5,4% per le imprese con 250 addetti e oltre (5,5% nel 2013) contro 1,4% (2,8% nel 2013) per quelle sotto tale soglia dimensionale. Nel 2014 gli investimenti end-of-pipe (793 milioni di euro) sono ancora la componente più rilevante degli investimenti per la protezione dell’ambiente, con un’incidenza del 71,0% sul totale, contro il 29,0% degli investimenti integrati (324 milioni di euro) collegati a tecnologie più avanzate (Prospetto 2). Nel complesso, le imprese industriali continuano a effettuare investimenti per rimuovere l’inquinamento dopo che è stato prodotto anziché integrare gli impianti con tecnologie più “pulite” che aiutano a proteggere l’ambiente dagli effetti negativi del processo produttivo.
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Samoter: mettiamoci il cuore In partenza la trentesima edizione del salone internazionale delle macchine movimento terra da cantiere e per l’edilizia di Laura Veneri
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ettiamoci la testa, le orecchie, le mani, gli occhi, ma soprattutto il cuore. Andiamo a Verona e crediamo per primi nella ripresa di un mercato che sta dando ancora qualche colpo di tosse, ma che sta ripartendo. Andiamo in fiera dal 22 al 25 febbraio a guardare le macchine e le attrezzature dal vivo, a toccare il freddo acciaio, a stringere mani e ad ascoltare voci amiche. Mettiamoci il cuore per far crescere la nostra Italia. Il “cuore delle macchine per costruzioni batte in Italia” è proprio il motto di questa edizione di Samoter in contemporanea con Asphaltica, il salone sulle Tecnologie e soluzioni per pavimentazioni stradali, sicurezza e infrastrutture viarie e Transpologitec, il salone dei trasporti e della logistica. Una vetrina completa delle eccellenze del comparto e un’edizione ricca anche di eventi, contenuti e formazione che coinvolge tutti i settori del mondo delle costruzioni. Tanti i marchi e le case che parteciperanno con novità o conferme. In Europa, Samoter è l’unico evento b2b di settore in calendario nel 2017 che rappresenta in modo completo la filiera delle costruzioni: movimento terra, calcestruzzo, perforazione, frantumazione, sollevamento, veicoli, componenti, servizi, senza dimenticare formazione e aggiornamento professionale degli operatori. Il focus dell’edizione 2017 sarà sulla gestione e prevenzione delle emergenze ambientali, con focus tematici sui cantieri anti-dissesto e sul piano del Governo #italiasicura che prevede investimenti per oltre 7 miliardi di euro e 3.500 interventi.
Il mercato mondiale
Quale nazione è la nuova tigre del mercato in ascesa? La Cina (cresciuta nel 2015 “solo” del 4%) ha dovuto lasciare il passo
all’India che nel 2015 è cresciuta del 5,3% ed è il nuovo mercato mondiale di riferimento per il settore delle costruzioni. Lo scenario consuntivo del 2015 vede la leggera ripresa dei mercati del Nord America (+2,5%), dell’Europa occidentale (+1,1%) e del Giappone (+0,6%) e la continua recessione di America Latina (-2,6%) ed Europa orientale (-0,7%). Il baricentro del mercato delle costruzioni in 15 anni si è quindi progressivamente spostato in Oriente, con la quota degli investimenti globali detenuta dai paesi avanzati passata dal 70% al 43%, in favore di India e Cina.
Il mercato europeo
In Europa, nei primi tre mesi del 2016, si assiste ad un forte recupero degli investimenti in Germania (+2,3%), a un lento riavvio del ciclo delle costruzioni in Francia (+0,4%), mentre sono ancora in calo Regno Unito (-0,5%) e Spagna (-0,2%). Per quanto riguarda il panorama delle costruzioni in Italia - mercato da oltre 135 miliardi di euro -, la lieve frenata registrata nel primo trimestre del 2016 (-0,5%), non dovrebbe influire sul percorso di ripresa iniziato nel 2015 che, secondo le stime di Prometeia, chiuderà il 2016 con una crescita dell’1,6%, e dell’1,9% nel 2017. Il driver della ripresa in Italia è legato in particolare al mercato di riqualificazioni e ristrutturazioni (57,6 miliardi euro nel 2015, +2% sul 2014) e al rilancio delle opere pubbliche, in cui gli investimenti continueranno a salire nel biennio: +2,7% nel 2016 e +4,2% nel 2017.
L’andamento del mercato delle costruzioni
L’analisi di Prometeia evidenzia che il percorso della ripresa per le costruzioni nazionali si sta rivelando più lento e accidentato
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delle attese. I segnali di inversione della lunga tendenza recessiva, emersi nella seconda metà del 2015, si sono indeboliti; nel primo trimestre del 2016 gli investimenti in costruzioni hanno fatto registrare una nuova flessione (-0,3% sul precedente), che ha riguardato sia la componente residenziale che gli altri comparti di attività, cui è seguito solo un lieve recupero (+0,3%) nei tre mesi successivi. Gli investimenti rimangono in crescita rispetto al periodo corrispondente del 2015 (1,6% nella media del primo semestre 2016). L’indice della produzione nelle costruzioni ha continuato a evidenziare un andamento irregolare (-0,4% sul mese precedente in luglio, dopo l’incremento dell’1,2% di giugno), in prossimità di livelli storicamente minimi; nei primi sette mesi del 2016 l’indice è diminuito dello 0,4% sul corrispondente. A conferma della fragilità del quadro settoriale, non si è arrestata la flessione dell’occupazione (-4,9% sul corrispondente nel secondo trimestre 2016), identificando le costruzioni come l’unico comparto con segno ancora negativo degli occupati. Segnali più favorevoli sembrano, invece, emergere dagli indicatori prospettici. In particolare, il clima di fiducia delle imprese di costruzioni si è attestato nei mesi estivi in corrispondenza dei massimi dalla metà del 2008 e si è mantenuto su livelli più elevati rispetto a quanto registrato negli altri settori dell’economia.
Si rafforza la domanda di macchine movimento terra
Continua a segnare un trend positivo il mercato delle macchine movimento terra e lavori stradali iniziato nel 2014 (fonte Cresme). Nel 2016 nell’analisi Ascomac sono state vendute 11.103 unità, tornando ai livelli del 2011, nonostante un’economia italiana che
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stenta ancora a crescere, come il comparto degli investimenti in costruzioni che solo nell’anno in corso potrebbe finalmente tornare a significativi valori di crescita. L’Ance infatti stima per il 2016 un modesto incremento dello 0,3% in termini reali rispetto al 2015. Il IV trimestre ha inciso notevolmente sul risultato delle macchine mostrando un ottimo incremento del 27,5% (vendite e noleggio) rispetto allo stesso periodo del 2015. Anche nei trimestri precedenti si erano comunque realizzati significativi incrementi, +24,3% nel I trimestre, +17,5% nel II e +15,0% nel III. Una sintetica analisi per macro tipologie di macchine ci mostra che il mercato movimento terra tradizionale (macchine medio-grandi) è cresciuto del 21%, il mercato delle macchine compatte (il più rappresentativo in termini di unità) del 28%, quello dei rulli e delle vibro finitrici di un ottimo 44%. In controtendenza i mercati dei sollevatori telescopici -68,6% e delle terne -1,1%, percentuale influenzata dalla significativa flessione delle terne articolate. Peraltro sono comparti che rappresentano solo il 2% dell’intero mercato. Risultato fortemente negativo anche per i dumpers articolati -31,8%. Le positive previsioni dell’Ance sugli investimenti in costruzioni, che nel 2017 dovrebbero registrare +0,8% in termini reali e +1,7% in termini nominali, incrementi principalmente dovuti a fattori fiscali e a investimenti infrastrutturali (interventi antisismici ed efficientamento energetico), portano a prevedere per l’anno corrente un consolidamento della crescita.
Premio Innovazione Samoter
Il concorso, organizzato da Samoter con la collaborazione di Imamoter-C.N.R. Consiglio nazionale delle Ricerche, giunto alla 22a edizione, seleziona e promuove una vetrina internazionale dell’evoluzione tecnologica nel settore delle macchine per costruzioni con l’obiettivo di premiare gli investimenti nello sviluppo delle novità presentate sul mercato italiano nel 2017. La vittoria di questa edizione è andata a Fiori Group Spa che ha sviluppato una betoniera in grado di caricare in modo automatizzato sacchi preconfezionati di cemento e inerti per preparare l’impasto, riducendo tempi di lavoro, dispersione di polveri nel cantiere e spreco di materiali.Il nome tecnico è DB X35 BIG BAG, il sistema di miscelazione semovente con dispositivo di auto-caricamento. “Questa edizione del Premio Innovazione Samoter - spiega Antonino Bonanno, ricercatore dell’Istituto Imamoter-C.N.R. e presidente della giuria - ha evidenziato una grande originalità delle soluzioni tecniche presentate dai costruttori per realizzare macchine da cantiere sempre più sicure e user-friendly attraverso il massiccio impiego dell’elettronica”. Oltre al primo premio, la commissione giudicatrice composta da responsabili scientifici del mondo universitario, della ricerca e degli ordini professionali nazionali, ha assegnato anche quattro menzioni speciali. Si distingue per la sicurezza integrata il nuovo Controllo di Stabilità Adattivo ASCS - Un Roto più intelligente per un ambiente di lavoro più sicuro, proposta da Merlo
Spa: il sollevatore con braccio telescopico che arriva fino a 35 metri viene dotato di un sofisticato sistema anti-ribaltamento del mezzo grazie a sensori e algoritmi che comunicano all’operatore limiti operativi e stabilità della macchina. Menzione per la sicurezza verso l’operatore a terra alla Benna miscelatrice scarico sicuro di Cangini Benne Srl. Il brevetto riguarda una nuova benna miscelatrice con due accorgimenti in grado di prevenire infortuni accidentali: il sistema di blocco automatico delle parti meccaniche in fase di pulizia e l’aggancio laterale del tubo di scarico che evita al personale di sostare sotto la vasca. Si chiama invece “Luigi” - Treno di betonaggio per la London Underground l’impianto per la produzione di calcestruzzo montato su un carrello ferroviario di 17 metri, realizzato da Blend Fbg Srl. Il progetto ottiene il riconoscimento della giuria per la flessibilità produttiva: il treno di betonaggio automatizzato e con motori a batteria è stato sviluppato per la manutenzione della massicciata della metropolitana di Londra, la più famosa e antica al mondo. Menzione nella categoria di prodotto userfriendly va infine al display di controllo escavatore gommato di Komatsu Italia Manufacturing Spa: un’interfaccia capace di guidare l’operatore in modo semplice e chiaro attraverso delle icone, semplificando operazioni complesse come il cambio di modalità di guida in un mezzo a quattro ruote sterzanti.
IPAF@SaMoTer, conto alla rovescia Ormai ci siamo: dal 22 al 25 febbraio 2017 IPAF sarà a Veronafiere per la 30° edizione del SaMoTer, Salone Internazionale delle Macchine Movimento Terra, da Cantiere e per l’Edilizia, manifestazione inserita nel ciclo delle fiere europee patrocinate dal CECE, il Comitato europeo che raggruppa le associazioni dei costruttori di macchine movimento terra e del comparto delle costruzioni. IPAF crede fermamente in Veronafiere e nel SaMoTer 2017 in particolare, quale snodo centrale dell’evoluzione del mercato delle macchine per le costruzioni in Italia, Per questo abbiamo deciso di partecipare all’evento con una serie di iniziative importanti. Saremo presenti con uno stand interno e un’area esterna, ribattezzata ‘Piazza della Sicurezza’ con macchine in movimento, più una serie di proposte, tra cui spicca il primo corso per operatori completato sul campo dopo la fase in e-learning, una demo del corso “Carico e Scarico” e una fitta attività convegnistica. Si comincerà mercoledì 22 febbraio (dalle 14.30 alle 17.30 nella Sala Puccini) con L’evoluzione Della Norma Costruttiva EN280 con Rupert Douglas-Jones, IPAF Ltd e Piero Palmieri, GSR, Anfia: saranno presentate le novità relative alla norma costruttiva EN 280+A1:2015, le sue future revisioni e gli standard costruttivi a cui si è giunti e si giungerà. Moderatore Pier Angelo Cantù, Responsabile Comunicazione IPAF Italia. Il giorno successivo, giovedì 23 febbraio (dalle 10.00 alle 14.00 in Sala Bellini) Le Corrette Operazioni Di Carico, Scarico e Trasporto Delle Ple: si tratta delle parte teorica del corso IPAF “Carico e Scarico”; la parte pratica si effettuerà dalle 15.00 presso la Piazza della Sicurezza IPAF, Area Demo Esterna C. Venerdì 24 febbraio (dalle 14.30 alle 18.00 in Sala Puccini) sarà la volta di La Piattaforma Aerea: Tipologie, Applicazioni, Sviluppi, una grande convention dedicata alle evoluzioni tecnologiche e applicative delle piattaforme aeree, alla presenza dei manager delle principali aziende costruttrici che illustreranno le filosofie costruttive, le soluzioni particolari e gli aspetti di produttività e sicurezza. La tavola rotonda sarà coordinata da Pier Angelo Cantù. Al termine, in collaborazione con Rental Blog, IPAF sarà lieta di offrire un aperitivo ai presenti, per favorire un informale networking relazionale.
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TREVI BENNE Il SaMoTer, che si terrà a Verona dal 22 al 25 Febbraio, ha un valore affettivo molto importante per Trevi Benne: è stata la prima fiera dove l’azienda vicentina ha esposto i primi prodotti nel lontano 1993, un anno dopo la sua creazione. Venticinque anni sono passati e tutt’ora innovazione, design, qualità sono le caratteristiche che si possono riconoscere nelle attrezzature da demolizione, riciclaggio, scavo e forestale che verranno esposte nel Padiglione 6 - Stand E6. Come da tradizione un ampio spazio living sarà dedicato all’accoglienza di visitatori e distributori, a testimonianza di quello che è lo spirito di ospitalità che contraddistingue Trevi Benne, un’azienda certificata TÜV per la qualità e sponsor attivo delle maggiori Associazioni dei Demolitori Nazionali ed Europei. Due le attrezzature su cui punta i riflettori: • la cesoia per metallo Marilyn CS 40RS del peso di 4.000 kg destinata ai moderni cantieri di demolizione industriale che necessitano di forze di taglio rilevanti e ai professionisti del riciclaggio dei rottami e materiali di natura ferrosa. Diversi gli aggiornamenti e migliorie tecniche apportate a questo modello di ultima generazione: un profilo maggiormente aggressivo, l’aggiunta di lavorazioni e piastre anti-usura per proteggere le lame e garantirne una maggiore penetrazione ed efficacia nella fase di taglio. • una Benna Heavy Duty Classe T.80 modello HDVX per escavatore Liebherr R964 indicata per impieghi gravosi, adatta ad enormi sforzi di penetrazione ed estreme sollecitazioni in lavori di cava, demolizione, scavo e carico di materiale ad alto tasso abrasivo nel settore minerario. E’ realizzata con spessori, rinforzi e protezioni utilizzando i migliori materiali anti-usura in commercio. Visitateci al SaMoTer! Hall 6 – Stand E6
DOOSAN BOBCAT Doosan Bobcat esporrà importanti modelli, affermando l’impegno e la particolare attenzione a un mercato, quello italiano, considerato strategico per il costruttore coreano. Il marchio della lince sarà ben rappresentato con modelli di micro e mini-escavatori, pale compatte, pale compatte cingolate e sollevatori telescopici. Nello specifico, Bobcat continua a difendere la sua posizione di leadership in EMEA in termini di prestazioni, qualità e longevità dei prodotti, lanciando, durante la manifestazione, una nuova gamma di sollevatori telescopici e un nuovo modello di mini-escavatore girosagoma. La presenza delle macchine Doosan sarà più orientata alla linea pesante con cui, negli ultimi cinque anni, il marchio ha fatto passi da gigante in termini di quota di mercato e fidelizzazione del marchio in Europa rientrando a pieno titolo nell’élite dei costruttori. Il marchio coreano esporrà a Verona sia modelli di escavatori cingolati sia gommati e non mancheranno le affidabili pale gommate. Una novità tra i modelli di piccole dimensioni sottolineerà la volontà di Doosan a estendere ulteriormente la già ampia gamma di prodotti. Il gruppo Coreano si attende grandi cose dall’Italia nel prossimo futuro in un mercato che sta esaurendo i contraccolpi della crisi. Per realizzare le sue aspirazioni, Doosan Bobcat ha investito in nuove iniziative, infrastrutture e sedi produttive, nonché nella crescita delle persone che lavorano per l’Europa, e i mercati chiave del Medio Oriente e Africa (MEA). L’investimento nello stabilimento dei telescopici Bobcat di Pontchâteau in Francia ha consentito di espandere significativamente l’offerta di sollevatori telescopici e di migliorare la qualità e l’efficienza del prodotto e il Samoter sarà la giusta vetrina per mostrare questi ultimi risultati. La nuova gamma di telescopici a telaio rigido consente oggi a Bobcat di offrire 11 diversi modelli per i mercati del noleggio e delle costruzioni, con capacita di sollevamento da 2,6 a 4,1 t e altezze di sollevamento da 6 a 18 m.
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IN.CO.FIN Incofin da oltre 25 anni collabora e promuove sul territorio italiano i prodotti di Racor (brand di Parker Hannifin), primario costruttore mondiale di filtri per separazione acqua-carburante. La gamma Racor, conosciuta a livello globale per i separatori acqua-carburante per applicazioni marine, si amplia verso portate più contenute e strizza l’occhio al controllo delle emissioni, progettando e producendo la serie SNAPP™ (acronimo di Small eNgine APPlication), gamma compatta per l’utilizzo nei motori diesel di piccola taglia, per applicazioni industriali che vogliano rispettare le restrizioni in merito alle emissioni in ambiente (carburante pulito = meno emissioni). Racor propone innovative soluzioni di filtrazione che garantiscano la migliore protezione del motore contro acqua e contaminanti solidi. Partendo da zero, Racor ha progettato, costruito e testato un nuovo filtro che risulta unico, di semplice manutenzione e installazione, con alte performance in fatto di filtrazione. SNAPP™ è composto da un unico corpo filtro, in materiale plastico con boccetta trasparente che permette l’ispezione visiva del contenuto come nei normali filtri separatori. Ma la sua caratteristica unica è l’assenza di guarnizioni o filetti: sostituzione e installazione rapide, pulite e indolori. Basta agganciare il filtro nella staffa di supporto (inclusa!), collegare i connettori rapidi ed è fatta! SNAPP™ garantisce grande protezione ai piccoli motori sino a 140 hp o portate sino a 150 lt/h. Il cuore del filtro carburante SNAPP™ è l’autentico setto filtrante Racor Aquabloc®, ben noto per la sua superiore capacità di separazione e filtrazione dei contaminanti, presente in ogni sistema di filtrazione Racor. Il sistema di drenaggio e la boccetta trasparente sono tipiche nel design Racor così scaricare ogni contaminante o acqua è estremamente semplice e veloce così come sostituire il filtro. L’installazione della serie SNAPP™ è lineare e veloce, richiede l’utilizzo di pochi semplici attrezzi. La staffa di supporto in acciaio è compatta e comprende fori di fissaggio utili per il montaggio universale. La semplicità di installazione e la compattezza della serie SNAPP™ la rende utile non solo come retrofit ma anche come prodotto da primo impianto. La serie SNAPP™ è disponibile in filtrazioni da 2, 10 e 30 micron; è adatta alla filtrazione di benzine, gasolio e biodiesel B20 (l’assenza di guarnizioni evita l’attacco corrosivo e le relative perdite di carburante presenti nei comuni filtri). La portata arriva fino a 150 lt/h mentre le connessioni sono ad attacco rapido da 3/8” (SAE J2044). La serie SNAPP™ esiste in versione industriale e marina (per applicazioni fuori bordo). Incofin presenterà SNAPP™ e tutta la gamma Racor (oltre agli altri brand nella propria linea prodotti) al Samoter di Verona (Pad. 7 , stand E7).
INDECO In casa Indeco si è da poco rinnovata la gamma prodotti perfezionando ulteriormente le qualità positive degli stessi attraverso interventi mirati di grande importanza e arricchendola mediante l’aggiunta di nuovi prodotti destinati a soddisfare le esigenze degli utilizzatori. Vediamo le ultime novità. Per quanto riguarda i martelli demolitori, grazie all’upgrading del sistema idraulico, la serie HP è diventata anche Fuel Saving (FS). Rispetto a modelli di altri produttori, equivalenti per peso e prestazioni, i demolitori Indeco richiedono, infatti, un’inferiore quantità d’olio al minuto e una minore pressione operativa e, poiché erogando una minore potenza idraulica è possibile ridurre sensibilmente il numero di giri motore della macchina operatrice, permettono di ottenere un risparmio di carburante fino al 20%, assicurando sempre prestazioni ottimali e massima produttività. Per quanto riguarda i frantumatori fissi (IFP) e rotanti (IRP), oltre ad alcune migliorie finalizzate ad accrescerne la robustezza, i nuovi modelli dispongono di denti della ganascia mobile intercambiabili per una sempre ottimale penetrazione nel materiale da demolire. Nuovo nel nome e nella sostanza, il multifunzione IMP (Indeco Multi Processor) è stato riprogettato nel disegno, irrobustito nella struttura, modificato nelle caratteristiche di massima apertura, migliorato nelle geometrie di demolizione, frantumazione e taglio delle diverse ganasce. Infine un’autentica rivoluzione riguarda le nuove pinze IMG nate dall’evoluzione delle precedenti pinze IDG. Le nuove Pinze IMG vengono ora prodotte in 5 differenti versioni destinate ad altrettanti specifici impieghi nei diversi settori di attività: pinze vagliatrici IMG S, pinze demolitrici selezionatrici IMG D, pinze movimentatrici 3+2 IMG H, pinze da carico IMG L, pinze per uso forestale IMG T.
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KOBELCO Kobelco Construction Machinery Europe B.V. annuncia l’uscita della nuovissima versione dell’escavatore da costruzione e movimentazione terra da 50 tonnellate SK500LC-10. Questa nuovissima macchina della gamma Generation 10 incorpora svariate migliorie innovative ma si distingue in particolare per la sua capacità di garantire livelli di emissioni eccezionalmente bassi e prestazioni di lavoro potenziate mantenendo un’efficienza operativa ineguagliata. Il modello SK500LC-10 appartiene inoltre alla nuova generazione di escavatori Kobelco conforme alle normative sulle emissioni dei gas di scarico Stage 4 (Tier IV). Forza e potenza di classe superiore sono la chiave delle alte prestazioni offerte dal nuovo SK500LC-10, grazie alla forza motrice garantita dal motore diesel a sei cilindri turbocompresso con intercooler Hino di cui è dotato. Ciò si traduce in caratteristiche prestazionali potenziate pari a 1.470 Nm di coppia per 271 kW di potenza. In termini di esercizio, l’escavatore SK500LC-10 assicura una forza di scavo standard pari a 267 kN che raggiunge i 292 kN con Power Boost inserito, oltre a un aumento del volume di scavo del 13% (in modalità H). Il miglioramento nel rendimento del carburante è un fattore importante per i clienti e Kobelco, grazie agli oltre 80 anni di esperienza in progettazione e fabbricazione, è un marchio leader nella riduzione dei costi di esercizio dei clienti. Il consumo di carburante nel modello SK500LC-10 è stato ridotto di circa il 6% in modalità Eco/modalità S rispetto al modello precedente (dash-9), massimizzando al tempo stesso l’efficienza in modalità H.
SOVATEC INDUSTRIALE La Sovatec Industriale, società con sede e stabilimento a Stazzano (AL), produce dal 1973 reti e piani vaglianti per la selezione dei materiali nelle cave, nelle miniere e nelle industrie. Particolare rilevanza ha assunto in anni recenti l’utilizzo dei prodotti Sovatec nel settore del trattamento dei rifiuti e del riciclaggio. L’azienda nel tempo ha ampliato la sua produzione in relazione ed in funzione degli sviluppi della tecnologia e delle esigenze dei clienti, ed oggi include un’ampia gamma di prodotti: • Reti in filo d’acciaio ad alta resistenza e inox: si tratta di maglie calibrate indeformabili realizzate con filo di acciaio ad alta resistenza (R=160/180 kg/mmq, secondo norma EN 10270-1/DIN 17223). Sovatec fornisce reti pronte per l’installazione sui vagli, con le dimensioni e il tipo di gancio di tensionamento specificato dal costruttore. In alternativa vengono fornite reti in rotoli e pannelli senza bordatura. La tipologia di reti prodotte da Sovatec è molto estesa: si va dalle reti luce 1,25x1,25 mm / filo 1 mm alle reti maglia 120x120 mm / filo 12 mm. Le reti possono essere prodotte anche a maglia rettangolare. Le stesse reti, a maglia quadra e a maglia rettangolare, possono essere prodotte nelle varie qualità di acciaio inossidabile, trovando impiego nell’industria delle costruzioni, nell’industria agro-alimentare, nella meccanica, nella realizzazione di cestelli per trattamenti termici. • Reti antintasanti in filo d’acciaio ad alta resistenza o inox, con assiemature in poliuretano o filo. Vengono utilizzate per la vagliatura di materiali umidi o igroscopici e con tendenze all’intasamento e all’impaccamento. • Reti in poliuretano, introdotte nell’industria per la loro resistenza all’abrasione, che consentono una maggiore durata in esercizio rispetto alle reti in filo e alle lamiere forate. Grazie alla loro elasticità e alla conicità dei fori sono particolarmente idonee al trattamento di quei materiali inerti che tendono a occludere le reti. Vengono prodotte reti in poliuretano di tutte le dimensioni e tipologie: tensionate, autoportanti, modulari con molti diversi sistemi di bloccaggio, flip-flop per vagli a onde di tensione, con i fori asolati per vagli asciugatori. • Reti in gomma, realizzate con mescole con ottime caratteristiche tecniche e meccaniche. • Lamiere forate e le lamiere forate gommate, di ogni qualità e dimensione. Una vasta gamma di accessori e materiali di consumo (rondelle, raschia nastri, lastre) viene inoltre prodotta e resa disponibile a magazzino.
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Brigade Elettronica Brigade Elettronica presenta al Samoter (Pad. 5 Stand G4) le ultime novità nell’ambito della sicurezza veicolare. Oltre all’esclusivo allarme acustico per la retromarcia a suono bianco, direzionale e a regolazione automatica del volume (bbs-tek®), propone un innovativo sistema di visione panoramica a 360 gradi tutta intorno al mezzo, che, tramite un sofisticato software, riproduce sullo schermo, in un’unica immagine e in tempo reale, le riprese di quattro telecamere (Backeye®360), ora archiviabili grazie a MDR, i videoregistratori digitali mobili. Tra i nuovi dispositivi, anche Backsense®, il sistema radar di rilevamento ostacoli che migliora la sicurezza dei mezzi, segnalando chiaramente la manovra in retromarcia. L’ampia gamma di dispositivi Brigade si avvale dunque delle più avanzate tecnologie e si compone di tutti gli ausili utili a garantire la massima sicurezza veicolare: telecamere e monitor, sistemi per visibilità a 360 gradi, allarmi acustici, videoregistrazione digitale e archiviazione, sensori radar, rilevamento ostacoli a ultrasuoni. Brigade è in grado di fornire la soluzione adatta a ogni esigenza di sicurezza veicolare per svariate applicazioni: furgoni, truck, camion per la raccolta rifiuti, spazzatrici, macchine agricole, mezzi per il trasporto merci, autobus, macchine operatrici, veicoli commerciali di grandi dimensioni... Con quarant’anni di esperienza e una crescita continua, Brigade gode di una reputazione impeccabile e mantiene la “vision” iniziale: rendere le strade e i cantieri più sicuri, studiando e cercando sempre soluzioni nuove, per una sicurezza veicolare totale.
VTN Europe “Polivalente” è l’aggettivo a cui VTN Europe si è ispirata per lo sviluppo e la realizzazione della nuova gamma di attrezzature da demolizione CK Combi Kit. Grazie alle sue innovative caratteristiche, risponde sempre con efficacia alle più svariate e complesse necessità del cantiere e degli utilizzatori. Progettato per eseguire qualsiasi tipo di demolizione è particolarmente indicato per l’impresa più specializzata ed esigente che ricerca la massima efficienza e produttività, attenta alla sicurezza operativa e del proprio cantiere; per la società di noleggio che opera nel mercato della demolizione, rispondendo con differenti soluzioni ai bisogni dei clienti e per l’utilizzatore che cerca in un’unica attrezzatura la “sintesi” delle proprie attività. Il nuovo Combi Kit è polivalente perché consente di eseguire qualsiasi tipo di demolizione: • primaria, per abbattere una costruzione e rimuoverne i materiali, siano esse in calcestruzzo, in acciaio o entrambi. • secondaria, per separare e ridurre in frammenti più piccoli quanto già precedentemente demolito facilitandone la movimentazione e il trasporto. • selettiva, laddove sia necessario estrarre e recuperare elementi o componenti ”preziosi” (es. rame, alluminio, ferro, inox, legno, ecc.) o per la bonifica di aree a forte impatto ambientale nelle quali la presenza di agenti tossici, infiammabili e inquinanti è elevata. CK è versatile perché con un’unica attrezzatura è possibile ottenere bensì cinque configurazioni di chele: • chele tipo D (demolizione) per la demolizione primaria e selettiva; • chele tipo P (frantumazione) per la demolizione secondaria, e la separazione del ferro di armatura dal cemento; • chele tipo S (cesoia) per la demolizione primaria, secondaria e selettiva di strutture metalliche. Provvista di lame di taglio riutilizzabili e sostituibili; • chele tipo R (combinate), un compromesso tra la versione demolizione D e cesoia S; • chele speciali tipo CH, per la demolizione primaria e secondaria, riduce in piccoli pezzi (cubi) gli elementi in calcestruzzo (es. muri, travi, pareti, colonne). CK è veloce e sicuro perché bastano solo pochi minuti per la sostituzione delle chele, “ruotando” solo 2 perni in assoluta sicurezza. La gamma è composta da 5 modelli: CK07 per escavatori dalle 7 alle 13 ton; CK14 per escavatori dalle 13 alle 21 ton; CK21 per escavatori dalle 18 alle 27 ton; CK28 per escavatori dalle 26 alle 35 ton e CK36 per escavatori dalle 35 alle 50 ton.
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L’impianto a biocelle su due piani L’impianto di Vado Ligure è il primo impianto europeo di biostabilizzazione dei rifiuti su due piani di Bruno Vanzi
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erché a due piani? Come è noto, in Liguria gli spazi per costruire sono pochi e quindi è stato necessario ingegnarsi e trovare soluzioni nuove e originali come la costruzione di un impianto su due piani. Ecosavona è la società che tratta il rifiuto urbano residuale del bacino della Provincia di Savona e lo gestisce principalmente nel proprio impianto della discarica del Boscaccio. Le normative ambientali impongono che il rifiuto residuo, prima dell’abbancamento in discarica, sia soggetto a un pretrattamento che garantisca il contenimento dei rifiuti urbani biodegradabili. Nel 2013 è stato presentato un progetto di implementazione di un impianto complesso, per l’adeguamento alle intervenute norme ambientali. L’anno successivo tale implementazione è stata
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autorizzata e la società ha scelto di costruire un impianto di Trattamento Meccanico Biologico con separazione dei flussi. A maggio 2015 è entrata in funzione la nuova sezione di trattamento meccanico che ha permesso di garantire la gestione dei rifiuti urbani provinciali, appoggiandosi per la parte di trattamento biologico a impianti esterni extraregionali. A dicembre 2016, infine, è avvenuto il completamento dell’impianto TMB con l’avvio della linea per la gestione del rifiuto urbano indifferenziato. Grazie al Trattamento Meccanico Biologico viene effettuata la tritovagliatura dei rifiuti con separazione della frazione secca da quella umida e successiva biostabilizzazione del sottovaglio così ottenuto. L’impianto di Ecosavona consentirà di
trattare fino a un massimo di circa 100 mila tonnellate l’anno di rifiuto indifferenziato, metallo e legno con notevole risparmio, soprattutto per i Comuni che vi conferiscono da tutto il savonese (circa sessanta). Ecosavona S.r.l. è controllata indirettamente al 70% tramite la sub-holding Waste Italia S.p.A., al 25% dal Comune di Vado Ligure e al 5% dal Comune di Savona. L’impianto di trattamento tramite biostabilizzazione dei rifiuti indifferenziati su due piani è stato inaugurato il 20 dicembre 2016 con una cerimonia cui hanno partecipato le cariche politiche locali. Flavio Raimondo, Amministratore di Ecosavona, ha commentato il giorno dell’inaugurazione: “Siamo estremamente soddisfatti di aver rispettato i tempi promessi per la realizzazione di
un impianto all’avanguardia, unico in Europa per la sua conformazione e complessità, che permetterà di trattare e separare i rifiuti con un sistema innovativo ed efficace. Questo garantirà ai Comuni e ai cittadini, un importante risparmio economico oltre alla riduzione dell’impatto ambientale, diventando così un modello di riferimento dal punto di vista della sostenibilità per tutti i comuni italiani”. Il Presidente della Provincia di Savona e Sindaco di Vado Ligure, Monica Giuliano, ha dichiarato: “Si tratta di un impianto fondamentale per tutta la provincia perché ci permette di sviluppare l’intero sistema del ciclo dei rifiuti e diventare autosufficienti rispetto ad altri territori. Sono molto orgogliosa di questa comunità che ancora una volta ha saputo dimostrare grande senso civico e capacità di accoglienza verso i cambiamenti, soprattutto quando si parla di sostenibilità”. Il Sindaco di Savona, Ilaria Caprioglio ha così commentato: “Questo è un passo in avanti importante, con il completamento di un’opera di grande rilievo per il territorio. Questa struttura all’avanguardia sarà fondamentale per i comuni, compreso il nostro, per offrire un migliore servizio ai cittadini e agli utenti, nonché per raggiungere risultati migliori in materia di raccolta differenziata, allineandoci agli standard richiesti dalle norme e dalla stessa Regione Liguria”. La costruzione della sezione di biostabilizzazione ha avuto un rallentamento iniziale in quanto nella prima fase di costruzione del terrapieno atto a ospitare la sezione si è verificato l’evento alluvionale straordinario del novembre 2014 che ha causato una serie di danni, creando un’instabilità del versante oggetto di costruzione del terrapieno. Per rimediare è stato necessario variare i progetti approvati ed effettuare un intervento straordinario di consolidamento per la costruzione della base su cui appoggiare il fabbricato della biostabilizzazione. Come funziona l’impianto? I rifiuti in ingresso vengono pesati e sottoposti a un primo trattamento meccanico di verifica di tutti i carichi con eventuale selezione di materiali non trattabili o pericolosi. Successivamente il materiale viene sottoposto a triturazione in un trituratore primario che garantisce la pezzatura idonea del materiale per la sezione di vagliatura con vaglio rotante. A questo punto, il materiale subisce la separazione tra secco e umido, cioè frazione di sopravaglio e frazione di sottovaglio. La frazione di sottovaglio ricca di sostanza organica viene inviata all’ulteriore processo di stabilizzazione nella nuova sezione di trattamento biologico. La frazione di sopravaglio o frazione secca è pressata e imballata, quindi trasportata e abbancata definitivamente nella cella di coltivazione della discarica. Il sottovaglio subisce l’ulteriore trattamento di biostabilizzazione. Il materiale è processato all’interno di biocelle, celle dotate di pavimento areato, al cui interno sono controllate la distribuzione di ossigeno, l’umidità e la temperatura del cumulo di rifiuti. Attraverso il controllo e l’influenza di tali parametri si instaura un processo aerobico che, sfruttando i principi biologici del compostaggio, stabilizza il materiale sino all’ottenimento del biostabilizzato. Tale materiale può essere quindi utilizzato per la copertura dei rifiuti abbancati in discarica.
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necessitava l’occupazione di almeno una corsia della statale. Il lavoro è stato svolto nell’ultima settimana di luglio e ANAS ci ha concesso di occupare una corsia delimitando il traffico e istituendo un senso alternato, ma la concessione è stata limitata a una settimana, tempo entro il quale abbiamo dovuto portare a termine tutta la fase di demolizione.
LA DEMOLIZIONE DELL’EX MULINO 1500 METRI CUBI DI CALCESTRUZZO DEMOLITI CON PRECISIONE E ACCURATEZZA SENZA DISTURBI PER LE AREE CIRCOSTANTI di Maria Beatrice Celino
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uella di Ecoinerti, azienda ferrarese specializzata nel settore demolizioni e riciclaggio inerti, è una realtà “piccola”, ma proprio per questo forse siamo riusciti a sopravvivere alla crisi selettiva e implacabile che ha caratterizzato l’ultimo decennio. Ad affermarlo è Andrea Pancaldi, parlando al plurale perché assieme a lui, ormai da diversi anni in azienda, ci sono anche i figli Elisa e Matteo. “In questa sequenza di anni difficili, tra alti e bassi, il lavoro non è mai mancato - prosegue Andrea Pancaldi - e credo vivamente che, assieme alla buona sorte, uno dei motivi fondamentali sia stata la capacità di restare saldi nella passione nello svolgimento del nostro lavoro e nella qualità del servizio che riusciamo a offrire al cliente dopo 30 anni di esperienza sul campo, caratteristica delle aziende della nostra dimensione. Ed è proprio perché abbiamo continuato a crederci, che siamo andati
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avanti investendo nella nostra attività e rinnovando il parco macchine con escavatori e autocarri equipaggiati con motori stage IV Final euro 6 adatti ad affrontare i lavori presenti e futuri con tecnologie avanzate e nel rispetto dell’ambiente”. Andrea c’è un cantiere in particolare di cui vuole parlarci? Nell’ultimo anno sono stati diversi i cantieri di demolizione ai quali abbiamo lavorato, in particolar modo vorrei che fosse mio figlio Matteo a parlarvi della demolizione eseguita per conto della ditta Iged di Lugo di Ravenna presso l’ex mulino di Mezzano (RA). Bene Matteo quindi qual è stata la particolarità di questo cantiere? E’ stato un lavoro che ci ha messo alla prova perché disponevamo di un tempo limitato per portarlo a compimento. Il cantiere infatti si trovava adiacente alla strada statale 16 adriatica e la demolizione del Mulino
Di che tipo di struttura parliamo e come avete affrontato la demolizione? La struttura era alta 17 metri con una torretta di 22, la quale è stata abbassata con l’utilizzo di una gru. Per il resto del mulino, costituito totalmente in calcestruzzo, abbiamo utilizzato un escavatore Hitachi Zaxis 280, una macchina equipaggiata con pinza CR15 Mantovanibenne. La struttura era costituita da pareti in calcestruzzo dello spessore di circa 90 cm e pilastri di sostenimento molto robusti. Inoltre il complesso demolito aveva anche qualche struttura annessa di altezze di circa sei metri che sono state preventivamente demolite per creare spazi di lavoro adeguati ad affrontare la struttura più complessa, ovvero il mulino. Parliamo di un volume di materiali complessivo composto solo da calcestruzzo di circa 1500 metri cubi. Il mulino era in un contesto isolato o era circondato da altri edifici? A fianco del Mulino a 3-4 metri si trovava la strada statale, su di un altro lato un fabbricato a circa 4 metri di distanza e nelle vicinanze un complesso abitativo. E’ stato fondamentale, oltre alla gestione dell’occupazione stradale, seguire tutte le fasi del cantiere tenendo conto delle possibili interferenze con questi edifici circostanti che, anche se non collegati all’edificio da demolire, potevano comunque essere disturbati da rumore, polveri e vibrazioni. Come avete operato a protezione della strada? Oltre che con una protezione fissa alta tre metri posta a terra, abbiamo utilizzato, al fine di evitare
la proiezione di detriti, uno schermo protettivo in gomma sostenuto da una gru della lunghezza di dodici metri e man mano che si procedeva con la demolizione il telo veniva spostato in corrispondenza del punto di attacco della struttura. Che destino hanno avuto gli inerti prodotti da questo intervento? Abbiamo realizzato una campagna mobile di frantumazione svolta insieme all’azienda con la quale abbiamo collaborato, che ha riciclato il materiale direttamente sul posto per conto della ditta Iged, la quale l’ha riutilizzato per i sottofondi necessari alla realizzazione della nuova area per il complesso commerciale. Andrea Pancaldi nella vostra attività è incluso il centro di riciclaggio inerti dove recentemente sono cambiate alcune cose… Ci racconta quali? E’ stata migliorata la composizione di miscelazione dei materiali per ottenere dei prodotti più conformi alle normative vigenti. Il nostro centro produce materiali che sono idonei all’utilizzo nei lavori pubblici, sono classificate CE e hanno supe-
Demolizione di silos in acciaio adiacenti a capannone da mantenere, effettuati nello stabilimento Toyota di San Giovanni di Ostellato (FE) per conto della ditta Edilscavi di Taglio di Po (RO). Intervento di demolizione dei silos riuscito correttamente salvaguardando con successo l’edificio adiacente collegato.
rato tutte le prove di classificazione. Purtroppo le opere pubbliche stentano a ripartire, ma c’è ancora qualche privato che investe; le grosse aree agricole aziendali della zona si sono orientate sull’utilizzo di questi materiali per creare della logistica nelle loro grosse aziende. Se da un lato sono aumentate le esigenze dal punto di vista della qualità dei prodotti, dall’altro si procede più lentamente a causa del congelamento dei lavori importanti. Si utilizza ancora molto materiale naturale o si tende a preferire il riciclato? Fortunatamente nella nostra zona è ormai un dato consolidato che ci sia una forte corrispondenza qualitativa nel materiale riciclato, perciò è di uso comune preferire questo materiale e infatti l’utilizzo di materie prime si è ridotto. Questo risultato è stato ottenuto attraverso anni di miglioramenti e di prove sul campo, che hanno generato le prove temporali di durata, di consistenza e di affidabilità. In tutto quanto abbiamo raccontato non c’è nulla di eccezionale, fa parte
Demolizione della torre campanaria della parrocchia di Porto Garibaldi Comacchio (FE). Lavoro eseguito in collaborazione con la ditta Garc di Carpi di Modena. La struttura in cls. giudicata pericolante dai pompieri è stata imbragata e sezionata per elementi salvaguardando e portando a terra il gruppo di tre campane che verranno riospitate sulla prossima torre che verrà costruita.
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della nostra quotidianità, ma cogliamo le nostre soddisfazioni professionali nei risultati ottenuti cercando naturalmente di migliorarli continuamente nel futuro che il destino vorrà offrirci.
Demolizione dell’ex camiceria e abbigliamento “Pancaldi” a Castelmaggiore (BO) eseguita per conto dell’Impresa Digi srl. Nell’area recuperata verrà costruito un nuovo discount della Lidl Italia. Sono state rispettate tutte le precauzioni necessarie a prevenire disagi agli abitanti della zona densamente popolata e alle vie di forte transito adiacenti.
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La rimozione delle ecoballe in Campania A che punto è la rimozione delle ecoballe in Campania? I primi lavori sono iniziati nel 2016 ma c’è ancora molto da fare di Laura Veneri
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el 2015, il Ministro dell’Ambiente Galletti, durante un’interrogazione parlamentare sulla situazione delle ecoballe in Campania, parlava di “vera e propria emergenza ambientale: va dunque risolta in maniera efficace, in collaborazione con tutte le forze politiche e i soggetti interessati, andando oltre le posizioni di mera contestazione. A seguito dell’emergenza rifiuti che ha interessato la regione Campania, tra il 2000 e il 2009 sono state accumulate circa 5 milioni di tonnellate di rifiuti tritovagliati, suddivisi in circa 4 milioni di ecoballe, stoccate in 22 siti la cui gestione è affidata a società provinciali
che provvedono anche a corrispondere i canoni di locazione per gli 11 siti di proprietà privata”. Ad oggi i tempi previsti dalle dichiarazioni del governatore della Regione Campania non sono stati completamente rispettati ma sono stati fatti passi avanti. Sarebbe però necessaria più trasparenza sugli impianti a cui verranno destinate le ecoballe. Sinora sono stati “ripuliti” alcuni siti tra cui quelli di Marcianise ed Eboli a fine 2016. Il presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca, ha dichiarato: “Abbiamo deciso di fare una tripla operazione: un terzo di queste ecoballe da portare fuori regione o fuori dall’Italia;
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un terzo da lavorare nei nuovi Stir che stiamo attrezzando; e poi nuove forme di vagliatura cercando di recuperare il massimo possibile del materiale riciclabile. Un’operazione complessa e gigantesca che dobbiamo concludere nell’interesse prima e più che della Campania dell’Italia intera, perché fin quando ci saranno queste ecoballe è chiaro che l’immagine dell’Italia intera verrà pregiudicata. Lavoriamo di concerto con l’Autorità Anticorruzione, quando dobbiamo impostare le gare, preparare i capitolati. Quindi è un lavoro che va fatto con grande attenzione, nei tempi giusti ma questo è il primo risultato ed è per me davvero un segno di speranza che diamo a tutta la Campania. Abbiamo in corso un lavoro vasto che riguarda la realizzazione degli impianti di compostaggio per la lavorazione dell’umido, perché - avendo cancellato la vecchia previsione di fare altri termovalorizzatori - è chiaro che dobbiamo realizzare 20 impianti di compostaggio”. A dicembre 2016 la discarica Coda di Volpe, nel Comune di Eboli è stata liberata dalle ecoballe così come la discarica di Marcianise. La discarica di Marcianise, quasi a ridosso della città, ha visto la rimozione completa di 20mila tonnellate di ecoballe. Si attende inoltre una nuova gara per eliminare altre 500.000 tonnellate di ecoballe.
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Alla scoperta del Laser scanner Una tecnologia innovativa che porta la realtà tridimensionale a servizio dei cantieri stravolgendo il mondo dei rilievi tradizionali di Marco Costabello*
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tilizzati da diversi anni nel mondo industriale e della prototipazione meccanica i laser scanner sono entrati prepotentemente nei settori dell’edilizia e dell’ingegneria civile definendo un nuovo standard nei rilievi che porta la realtà tridimensionale nel lavoro di tutti giorni. Nel settore del decommissioning e delle bonifiche i vantaggi di avere a disposizione un rilievo virtuale tridimensionale sono molteplici. La mole di dati acquisiti e organizzati in nuvole permettono in ogni istante di avere direttamente sul proprio pc tutti i dati e le misure senza richiedere ulteriori sopralluoghi e consentendo una ricostruzione precisa dello stato di un luogo, di una struttura, di un impianto da demolire, di un volume da smaltire o bonificare, insomma un’attrezzatura
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molto potente e versatile che tuttavia richiede una precisa attività di ingegneria per il processamento dei dati per ottenere i migliori risultati. DEAM ingegneria società di consulenza nel settore delle demolizioni civili industriali e nucleari utilizza questa tecnologia a supporto delle proprie attività di progettazione; vediamo di capire meglio in questo articolo come funziona questa attrezzatura e quali sono i principali vantaggi.
Come funziona
I laser scanner sono strumenti di misurazione topografici in grado di acquisire in breve tempo le coordinate spaziali di milioni di punti. Il funzionamento è analogo agli scanner tradizionali, cioè quelli piani, e l’acquisizione dei dati da parte dello strumento è completamente automa-
tica secondo parametri preimpostati dall’utente che influiscono sia sul tempo di acquisizione più o meno lungo e sia sul dettaglio del rilievo in 3D che si vuole ottenere. Lo scanner è in grado di misurare la distanza di migliaia di punti in pochi secondi utilizzando un impulso di luce che viene inviato direttamente sull’oggetto da un emettitore; l’impulso, colpisce la superficie dell’oggetto e ritorna indietro dove viene analizzato da un ricevitore. L’analisi del segnale di ritorno determina la posizione nello spazio del punto rilevato rispetto alla posizione dello scanner. È proprio nella fase di analisi del segnale che avviene la differenziazione dei vari modelli di laser in commercio. Alcuni strumenti determinano la distanza calcolando il tempo che l’impulso laser inviato impiega ad andare
e tornare all’apparecchio. Questo procedimento è chiamato TOF (Time Of Flight) cioè a tempo di volo, altri invece calcolano la distanza per comparazione della fase d’onda del segnale luminoso emesso e quello successivamente ricevuto e sono chiamati a differenza di fase. Infine vi sono quelli che utilizzano la triangolazione del segnale. Tutte e tre le tipologie di laser scanner permettono di ottenere le coordinate spaziali di ogni singolo punto rilevato fornendo come risultato una nuvola di punti (point cloud) che restituisce la superficie in 3D dell’oggetto scansionato. Le prime due tipologie appartengono alla famiglia dei ranging scanners cioè i laser a misura diretta della distanza dove la posizione dell’emettitore e del ricevitore coincidono. Gli ultimi appartengono alla famiglia dei triangulation scanner utilizzati principalmente nell’industria. Qui l’emettitore e il ricevitore non coincidono ma sono posizionati ad una distanza nota chiamata “base line”. Quest’ultima è utilizzata dall’apparecchio per effettuare i calcoli di triangolazione. I ranging scanner sono utilizzati nel campo dei rilievi topografici terrestri mentre i triangulation scanner sono impiegati per lo più nell’industria meccanica. La differenza principale tra un apparecchio che utilizza algoritmi per la determinazione della distanza a differenza di fase rispetto ai TOF è quella di ottenere misurazioni della distanza più accurate mentre lo svantaggio è una ridotta portata dello strumento rispetto ai modelli a tempo di volo quindi la scelta di quale laser utilizzare ricade sul professionista in funzione del tipo di risultato richiesto. All’interno di un laser scanner vi è quindi un emettitore laser che invia un raggio luminoso a uno specchio prismatico a cui è affidata la scansione verticale dell’oggetto mentre la scansione orizzontale è effettuata dalla rotazione su se stesso dell’apparecchio. In questo modo il ricoprimento delle superfici è quasi totale, alcuni apparecchi riescono a rilevare fino a 320° in verticale e 360° in orizzontale. Gli ultimi laser scanner prodotti, integrano nello stesso corpo macchina,
diversi sensori, in particolare antenne gps e fotocamere digitali, proprio queste ultime si utilizzano per l’acquisizione fotografica a 360 gradi degli ambienti rilevati permettendo in fase di processamento dati la colorazione delle nuvole di punti con i colori realistici presenti nelle aree rilevate. La capacità di rilevare decine di migliaia di punti in breve tempo permette a chi impiega questa tecnologia di ridurre drasticamente i tempi di rilievo in sito rispetto a quelli di un tradizionale rilievo topografico. Un altro vantaggio di questa tecnologia rispetto ai rilievi tradizionali sta nel fatto che è sufficiente un solo operatore per portare a termine un intero rilievo indifferentemente se l’oggetto da rilevare sia complesso oppure no, questo permette di ottimizzare e ridurre i costi di trasferte ed eventuali interruzioni dei lavori nelle aree oggetto di rilievo.
Processamento dei dati
La mole di dati registrati e immagazzinati durante la campagna di rilievo necessita di hardware e software potenti e costosi per essere trasformata in “nuvole di punti”; maggiore è il grado di dettaglio voluto, più i tempi di elaborazione si allungano rispetto
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ai tempi richiesti dai rilievi tradizionali ma, al termine della fase di processamento, si ottiene la generazione di un modello composto da milioni di punti con coordinate spaziali note riferite ad un sistema di riferimento predefinito quasi del tutto identico alla realtà consentendo di eliminare completamente la soggettività di un rilievo, riducendo drasticamente gli errori e ottenendo livelli di dettaglio fino a pochi anni fa impensabili. La nuvola di punti generata è la base di partenza per la creazione di elaborati 3D o 2D. Con essa si è in grado di ottenere piani e sezioni del modello in ogni direzione, eliminare porzioni che interferiscono, creare viste assonometriche e prospettiche anche di luoghi difficili da raggiungere come strutture in quota, strutture o impianti non accessibili. Il modello digitale ottenuto può essere interrogato in ogni istante direttamente sul proprio computer, nel caso in cui sia necessario recuperare qualche dato importante non vi è più il bisogno di ritornare in sito per ottenere la misurazione di quote, distanze, angoli, aree, volumi; questa operazione è sempre attuabile (laddove esiste il dato) e il modello generato può quindi essere utilizzato per tutte le operazioni di data
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mining ovvero di estrazione automatica o semiautomatica di informazioni da enormi quantità di dati. Il rilievo laser scanner può essere impiegato in molteplici campi. Oltre a ottenere rilievi completi di edifici più o meno complessi, sia dell’interno che dell’esterno, si è in grado di mappare e documentare lo stato di conservazione e degrado degli stessi, documentare l’avanzamento lavori di cantieri o siti in genere, monitorare le strutture colpite da eventi catastrofici o accidentali a fini assicurativi, ottenere as-built di impianti industriali esistenti ottenendo le disposizioni spaziali delle linee di montaggio, la reale collocazione delle tubazioni e dell’accessoristica presente per operazioni di revamping o smantellamento; addirittura il rilievo laser trova applicazione nel campo forense per rilievi di scene del crimine o di incidenti per la successiva ricostruzione dei fatti.
Campi Applicativi
Un’applicazione pratica del laser scanner è stato il rilievo di un viadotto autostradale di grandi dimensioni sull’autostrada A3 Salerno-Reggio Calabria caratterizzato da una campata centrale in acciaio con una luce di circa 376 metri, ad oggi questo viadotto risulta essere il ponte ad arco portale spingente più alto d’Italia, il terzo più alto d’Europa. Il rilievo laser scanner è stato utilizzato nell’ambito dei lavori di demolizione del vecchio viadotto che prevedevano la demolizione con esplosivo di pile alte sino a 80 metri e letteralmente in-
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castrate tra le pile del nuovo viadotto che era stato costruito con un tracciato che passava a pochi centimetri dalle vecchie pile private dagli impalcati in fasi precedenti della demolizione. La necessità di conoscere con esattezza e con precisione la posizione spaziale e la dimensione degli elementi ancora esistenti al di sotto del nuovo viadotto, congiuntamente alla presenza di versanti impervi e scoscesi, ha fatto sì che la scelta per il rilievo dello stato di fatto ricadesse su un rilievo topografico con l’uso del laser scanner. Le distanze tra il nuovo viadotto e le pile del vecchio erano realmente centimetriche mentre i coni di caduta per la demolizione con esplosivo delle pile avevano tolleranze di qualche metro. Serviva quindi una restituzione fedele dello stato di fatto dei luoghi in 3 dimensioni per avviare tutte le attività di progettazione per poter eseguire la demolizione con la necessaria sicurezza. Il rilievo è stato realizzato con l’impiego di un solo operatore. Prima di recarsi in sito è stato necessario predisporre un piano di scansione per avere un’idea precisa dei tempi e delle “stazioni”, ovvero le posizioni in cui collocare il laser durante le varie operazioni di rilievo. Conoscendo il numero di scansioni da effettuare e il grado di dettaglio necessario si è in grado di calcolare i tempi necessari per portare a termine il rilievo. La velocità di acquisizione del laser scanner ha permesso in una sola giornata di rilievo, la scansione completa dell’area attorno al viadotto. L’integrazione dell’antenna GPS al
laser scanner ha permesso, oltre a georeferenziare tutte le scansioni ottenute, di evitare in questo caso, la realizzazione di una rete di appoggio tradizionale ottenuta con l’impiego di stazione totale velocizzando notevolmente le operazioni in sito. La successiva elaborazione dei dati con il software in dotazione al laser e le fasi di restituzione grafica hanno permesso di ottenere un modello 3D altamente realistico assimilabile alla realtà e denso di informazioni immediatamente fruibili, con cui si è potuto, tramite l’esportazione dei dati, operare su altri software CAD per la realizzazione degli elaborati grafici di progetto con accuratezze millimetriche che hanno dimostrato la fattibilità tecnica e operativa della demolizione con esplosivo. Un altro caso interessante di applicazione del laser scanner ha riguardato il rilievo di una nave militare oggetto di dismissione posizionata in secca all’interno di un apposito bacino di carenaggio, al di sopra di taccaggi in legno e cunei con funzione di sostegno. La nave posta nel bacino presentava un’inclinazione rispetto alla verticale riscontrata sin da subito al termine delle operazioni di posa della nave sui taccaggi, inoltre la nave doveva essere demolita mediante la tecnica dello smontaggio con gru. La necessità di conoscere le dimensioni spaziali delle aree intorno alla nave, la posizione della stessa all’interno del bacino, nonché la sua inclinazione ha fatto sì che la scelta per l’acquisizione dello stato di fatto ricadesse su un ri-
lievo tramite l’uso di laser scanner. In un solo giorno di rilievo si è scansionata tutta l’area del bacino ottenendo al termine della fase di elaborazione dei dati un modello 3D per le successive attività di progettazione della demolizione della nave; oltre a questo si sono effettuate numerose simulazioni e successivi studi di fattibilità sui processi di smantellamento al fine di garantire durante la realizzazione dell’intervento la stabilità della nave e di conseguenza la sicurezza degli operatori che interverranno nei lavori. Altre applicazioni di questa tecnologia hanno riguardato l’ambito del decommissioning industriale per ricostruire lo stato di consistenza di impianti, volumi, sviluppo di piping, ecc. Tutte queste informazioni elaborate consentono di ottenere la stima prevista dei pesi dei componenti da rimuovere, le quantità di materiali ferrosi da valorizzare, nonché una serie di dati da utilizzare nella fase di progettazione del decommissioning. Nel campo delle bonifiche e dei rifiuti questo strumento consente di cubare cumuli di terreno e rifiu-
ti con la precisione del metro cubo. Oggi grazie all’uso del laser scanner è possibile rilevare grandi porzioni di ambienti in breve tempo andando a stravolgere ciò che in passato si riteneva impossibile, ovvero rilevare centinaia di migliaia di punti in pochi minuti annullando del tutto gli eventuali errori commessi dall’operatore in quanto il processo di rilievo risulta essere completamente automatizzato. La generazione del modello 3D ha la peculiarità di essere oggettivo, completo e utilizzabile per tutte le analisi che possano risultare necessarie, per-
mettendo quindi di migliorare e velocizzare in alcuni casi tutto il processo progettuale. Lo svantaggio rispetto a un rilievo tradizionale sono i costi da affrontare per l’acquisto dell’attrezzatura e dei software di elaborazione, ancora molto elevati, che hanno rallentato l’affermarsi di questa metodologia di rilievo che ad oggi infatti risulta ancora poco impiegata e capita nonostante i notevoli vantaggi che fornisce al professionista durante le fasi successive di studio e analisi del progetto. *DEAM ingegneria
La navigazione delle nuvole In commercio esistono diversi programmi per la navigazione delle nuvole di punti prodotte dal laser scanner. L’unione di diverse nuvole prodotte durante un rilievo crea un modello tridimensionale che può essere navigato portando l’utente direttamente dentro il modello proprio come se fosse realmente sul sito rilevato. Dalla nuvola è possibile estrarre sezioni, piante e misure che possono essere ulteriormente elaborate con altri programmi di calcolo e disegno CAD per ottenere modelli bi o tridimensionali. Diversi strumenti sono dotati di fotocamera integrata sullo scanner che durante le stazioni sovrappone le foto alle nuvole, in pratica ottenendo dei modelli tridimensionali che ricordano la funzione street view di google ma con una precisione decisamente superiore. Le nuvole forniscono una mole di dati a supporto della progettazione di una demolizione o di una bonifica ma per essere fruibili necessitano di una campagna di scansione con diversi punti di vista e stazioni definite per ridurre le zone d’ombra ossia le aree ove il laser non riesce ad acquisire punti. Queste zone sono per la maggior parte dovute alle geometrie di quello che si sta rilevando.
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Il pieno dell’auto si fa con l’acqua Il Gruppo CAP sperimenta la produzione di biometano dai reflui fognari di Andrea Lanuzza*
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are il pieno all’auto con il metano non è certo una novità. Se quel metano però è prodotto utilizzando le acque reflue provenienti dalla rete fognaria allora il discorso si fa interessante e fa presagire un futuro roseo. Anzi, verde! È l’esperimento che il Gruppo CAP sta portando avanti nel depuratore di Bresso-Niguarda, periferia nord di Milano, dove è stato realizzato il primo distributore di metano prodotto proprio utilizzando i reflui fognari, cioè i cosiddetti “fanghi di supero”, prodotti di scarto del processo di depurazione delle acque nere. L’obiettivo è estrarre tutto il valore possibile dai fanghi di depurazione, trasformando un processo industriale, che nel suo schema convenzionale è ormai poco sostenibile ed energivoro, in un ciclo virtuoso, riutilizzando ciò che già si produce e valorizzandolo grazie allo sviluppo di soluzioni innovative e all’avanguardia. È così che è stato trasformato un depuratore dell’a-
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rea metropolitana di Milano in una vera e propria bioraffineria e in un distributore di carburante. Un progetto nato grazie alla collaborazione con realtà dotate di competenze tecniche e scientifiche d’avanguardia, con lo sguardo rivolto al futuro e il pallino della sostenibilità ambientale. Oltre alle competenze tecniche di CAP, è stata fondamentale la collaborazione con la società di ingegneria Eco Spray che ha fornito la tecnologia per l’upgrading del biogas a biometano, così come la supervisione scientifica del CNR-IIA (Istituto di Inquinamento Atmosferico) e la competenza tecnologica del Gruppo FCA (Fiat Chrysler Automobiles). Anche Enea, Fondazione Triulza, Kyoto Club, Agenzia Contrasto, LifeGate sono stati protagonisti insieme a numerosi stakeholder del dialogo che il Gruppo CAP ha costruito con il territorio su questo nuovo step nella direzione della sostenibilità. Il Gruppo CAP gestisce il servizio idrico
integrato sul territorio della Città metropolitana di Milano e in diversi altri comuni nelle province di Monza e Brianza, Pavia, Varese e Como. Si occupa dell’intero ciclo dell’acqua, dalla captazione e distribuzione di acqua potabile alla raccolta delle acque reflue attraverso oltre 6400 chilometri di rete fognaria e al loro trattamento grazie a 61 impianti di depurazione. In tutti i settori di attività stiamo affrontando le questioni che il nostro lavoro quotidianamente ci pone cercando le migliori soluzioni tecniche e tecnologiche che consentano di offrire un servizio efficiente ed efficace coniugandolo con la sostenibilità economica e ambientale, perché crediamo che il nostro ruolo di azienda pubblica, che gestisce a favore della collettività un bene comune e prezioso come l’acqua, ci assegni un dovere irrinunciabile nella promozione della sostenibilità dei consumi e degli usi della risorsa che abbiamo l’onore di ammini-
strare. Allo stesso tempo ci impone di agire nella consapevolezza che la nostra attività comporta uno scambio costante di valore con le amministrazioni, con i dipendenti, con i cittadini, con i partner e gli stakeholder. Impegnarsi nel promuovere una cultura di impresa volta alla sostenibilità significa condividere con il territorio il valore prodotto grazie all’attività industriale, ed è proprio nel campo della depurazione che si giocano oggi le sfide più affascinanti su questo terreno, cui il Gruppo CAP sta rispondendo con un impegno concreto, quotidiano, ambizioso e appassionato. Negli ultimi tempi abbiamo quindi messo mano a tutto il settore fognatura e depurazione, analizzando nel dettaglio le prestazioni di ogni impianto e l’organizzazione generale dei processi, con l’obiettivo da una parte di ottimizzare le fasi della lavorazione e dall’altra di introdurre significative modifiche nella direzione del recupero di risorse. In questo quadro, che ha portato alla Road Map del Gruppo CAP per il recupero di materia e biometano nei depuratori municipali esistenti e che vede anche sperimentazioni nel recupero di fosforo e biopolimeri, si è inserito il progetto che riguarda l’impianto di Bresso-Niguarda e la sua trasformazione in bioraffineria. Il depuratore di Bresso-Niguarda raccoglie le acque reflue civili, industriali e meteoriche dei comuni di Paderno Dugnano, Cormano, Cusano Milanino e Cinisello Balsamo servendo 300 mila abitanti equivalenti. Il normale processo di depurazione determina all’interno dei digestori la formazione di biogas composto da circa il 65% di metano, mentre il secondo principale componente
è l’anidride carbonica. Il gas naturale di origine fossile contiene normalmente dall’85% al 98% di metano, quindi il biogas può raggiungere qualità simili a quelle del gas naturale solo dopo il processo di upgrade. Le fasi del processo sono fondamentalmente tre: si ha una prima fase di pulizia del biogas per rimuovere le impurità, seguita da un vero e proprio upgrade per la rimozione della CO2 e infine i post-trattamenti per la rimozione del metano eventualmente residuo nell’offgas così da non rilasciarlo in ambiente. È in questo processo di trasformazione che interviene la tecnologia di filtrazione a zeolite studiata da Eco Spray, che fra le proprie specializzazioni vede anche un impegno nel settore del trattamento delle acque reflue con l’obiettivo di valorizzare i fanghi di depurazione. Così lavorato, il metano ottiene indici di purezza vicini al 99%, e una volta compresso è pronto per essere immesso nelle vetture. L’impianto di Bresso sarebbe in grado di produrre da solo oltre 340 mila chilogrammi di biometano, per capirci: il carburante necessario a far viaggiare 416 veicoli per 20 mila chilometri l’uno. Non è difficile immaginare l’impatto positivo sull’ambiente di un eventuale ampliamento di questo processo agli impianti di depurazione su scala nazionale! Certo la normativa deve dare una mano a questi processi adottando una visione di lungo periodo. Da parte nostra, non appena le leggi consentiranno di immettere in rete anche il biometano prodotto dai reflui fognari, ci predisponiamo a trasformare i nostri principali depuratori in altrettante bioraffinerie, che potrebbero produrre non solo biometano, ma anche fertilizzanti (anche in questo campo
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la sperimentazione che il Gruppo CAP sta attuando nel depuratore di Cassano d’Adda sta dando ottimi risultati), energia elettrica, biopolimeri e nutrienti come fosforo e azoto. Il Gruppo CAP è da tempo impegnato infatti nello sviluppo di una vasta, innovativa e complessa politica di recupero e valorizzazione di nutrienti e sostanza organica da flussi di scarto che, anche attraverso sinergie con il ciclo dei rifiuti urbani della raccolta differenziata, permetta di incrementare la sostenibilità dei servizi al cittadino e al territorio e contemporaneamente di recuperare valore che supporti gli investimenti in costante ammodernamento e continua innovazione, in un’ottica di economia circolare. In questo quadro il Gruppo CAP ha attivato rapporti con Università specializzate nel settore, che coordinano o partecipano a vaste azioni di innovazioni europee per la selezione, lo sviluppo e l’implementazione di strategie e tecniche innovative e affidabili che culminino con la trasformazione dei depuratori esistenti in bioraffinerie, nell’ottica della transizione da economia lineare a economia circolare. La Road Map verso l’economia circolare è focalizzata sul ciclo idrico integrato e in particolare nella depurazione, nella doppia prospettiva di valorizzare il prodotto e la risorsa. Parte delle attività sono già state implementate, alcune sono in fase di avvio e altre sono in fase di analisi e studio. L’obiettivo è in ogni caso quello di implementare organicamente le azioni sul complesso degli impianti di depurazione, cioè su una piattaforma territoriale distribuita di competenze e innovazione. In ogni situazione si prova ad applicare soluzioni che siano replicabili in maniera modulare sugli altri impianti del Gruppo. In questo modo siamo pronti, una volta ottenuti i risultati attesi e non appena la normativa italiana sarà adeguata alle sfide che il futuro propone, a estendere le tecnologie agli altri impianti, in un’ottica di sempre maggiore attenzione all’impatto ambientale delle nostre attività industriali. Insomma i depuratori, da sempre vissuti dai cittadini come elementi problematici del territorio con processi industriali energivori e produttori di scarti, dei quali, oggi, buona parte finisce in discarica, diventano invece vere e proprie cattedrali
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della natura con un immenso potenziale energetico, già disponibile ma attualmente non sfruttato. Grazie a importanti investimenti il Gruppo CAP ha già migliorato notevolmente la qualità del prodotto di scarto, aumentando considerevolmente la percentuale di fanghi che destina all’agricoltura. Con
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lo sguardo al futuro, il biometano prodotto nel depuratore di Niguarda-Bresso potrebbe comodamente alimentare l’intero parco auto aziendale del Gruppo CAP, permettendo di conseguire al contempo un importante contenimento dei costi oggi sostenuti per l’acquisto di carburante.
Puntare sulla sostenibilità per una grande azienda pubblica come CAP significa prima di tutto innovare, sperimentare e progettare il futuro delle nostre città. Un futuro in cui l’acqua e l’energia saranno sempre più preziose. Gli effetti dei cambiamenti climatici sono una realtà con la quale oggi tutti siamo chiamati a confrontarci. Un’azienda come il Gruppo CAP ha il dovere di essere in prima linea per individuare le soluzioni tecnologiche più innovative ed efficaci per proteggerla e prendersene cura al meglio, consapevole che lo scenario che abbiamo di fronte è quello di un progressivo riscaldamento del pianeta che mette a rischio le risorse. Nasce da qui CAP 21, il programma complessivo, la cornice che racchiude i nostri grandi progetti di sostenibilità, all’interno del quale è nata e si è sviluppata la sperimentazione sulla produzione di biometano. Un programma che, a partire dal 2016, ci ha visto attivare 21 impegni di sostenibilità, di cui abbiamo deciso di farci carico per raccogliere la sfida del clima che cambia e per rendere trasparenti e tangibili i risultati che con il piano degli investimenti possiamo raggiungere, in termini di sostenibilità ambientale su tutto il territorio che serviamo. I numeri della nostra rendicontazione parlano chiaro. In campo ci sono più di 455 milioni di euro in investimenti, con risparmi ambientali significativi e risultati importanti in termini di tutela della qualità dell’acqua, difesa della biodiversità e riduzione della CO2 immessa in atmosfera. Trasformare i depuratori in bioraffinerie in cui dall’acqua sporca nascono nuovi prodotti, riaprire i canali e le rogge costruiti nel medioevo per ridurre l’impatto delle bombe d’acqua, mettere in campo le tecnologie più avveniristiche per il controllo dell’acqua potabile e della falda, sono tutte tessere del mosaico di sostenibilità che CAP sta componendo con la grande collaborazione delle istituzioni e degli stakeholder, seguendo il filo conduttore delle 5 R della sostenibilità idrica, principi individuati a livello internazionale per una gestione sostenibile dell’acqua: ridurre i consumi; riutilizzare l’acqua; recuperarne i nutrienti; reindirizzare l’energia; ricostituire l’ambiente circostante. *Direttore del settore Fognatura e Depurazione Gruppo CAP
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La Bonifica di un’area industriale attiva presso il Sito di Interesse Nazionale Sulcis Iglesiente Guspinese molteplici problematiche legate a interferenze produttive e difficoltà di carattere tecnico-logistico risolte mediante l’applicazione di un insieme di differenti tecnologie di bonifica di Giacomo Cattarossi*, Raffaele Pellegatta*, Pier Paolo Manca**, Marcello Ghiani** e Pietro Caredda***
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o Stabilimento Portovesme Srl è ubicato all’interno del Sito di Interesse Nazionale (SIN) Sulcis Iglesiente Guspinese (Sardegna Sud-Occidentale) con un’estensione pari a circa 70 ha, parte integrante del Polo Industriale di Portoscuso. Il sito è caratterizzato da una contaminazione da metalli pesanti nei terreni insaturi fino a una profondità pari a circa 6 m, in uno stabilimento attualmente attivo nel trattamento di solfuri e ossidi misti per la produzione di Piombo, Zinco, Acido Solforico, Ossidi Waelz e Cementi Rame. Le attività di bonifica dei terreni sono in fase di realizzazione e prevedono l’applicazione delle tecnologie di: • scavo e smaltimento per le aree accessibili e non pavimentate (fase 1A della bonifica); • capping di tutte le aree non pavimentate con pacchetti impermeabili altamente performanti e tecnologicamente innovativi (fase 1B della bonifica); • soil flushing per le restanti aree accessibili (fase 1C della bonifica);
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•
soil washing per le aree inacessibili, una volta dismesse le attività produttive (fase 2 della bonifica). Il volume totale dei terreni da bonificare è pari a circa 1.190.000 m 3. Il Progetto Operativo di Bonifica (POB) dei terreni del sito in esame è stato approvato con Decreto MATTM n. 5257 del 23/09/2014 relativamente alle fasi 1A (di scavo e smaltimento) e fase 1B (di impermeabilizzazione/ capping delle aree non pavimentate). Attualmente sono in fase di realizzazione le opere di fase 1A e 1B e si sono concluse le attività di sperimentazione in laboratorio per il soil flushing e il soil washing a cui seguirà una sperimentazione pilota in campo.
Attività preliminari alla progettazione esecutiva di Fase 1A e 1B
Come previsto dal POB si sono resi necessari una serie di interventi propedeutici alla progettazione delle opere di bonifica mediante scavo – smaltimento e impermeabilizzazione delle aree non pavimentate consistenti in:
•
rilievo topografico di tutte le aree oggetto di scavo e capping o funzionali all’attività di bonifica (i.e. stazione di deposito terreni); • rilievo georadar per la verifica della presenza di sottoservizi nelle aree oggetto di bonifica; • prove SPT e prove DPSH per la verifica delle caratteristiche geotecniche della stazione di deposito terreni di bonifica; • test in campo per un necessario approfondimento tecnico funzionale all’esecuzione delle opere di impermeabilizzazione. In particolare nel periodo settembreottobre 2015 sono state realizzate delle sperimentazioni in campo in tre aree pilota, al fine di identificare le soluzioni progettuali migliori da sviluppare a livello di progettazione esecutiva per la Fase 1B. Sono stati applicati diversi pacchetti di impermeabilizzazione in aree con caratteristiche differenti in termini di morfologia, presenza di impianti e sottoservizi, tipo di copertura finale, finiture, ecc. Gli esiti delle sperimentazioni hanno
potuto identificare come ottimali 5 tipologie di pacchetti impermeabilizzanti da applicare in base alla caratteristiche delle superfici da trattare. In tutti i casi si tratta di una combinazione tra una membrana impermeabile sintetica a base di poliolefina flessibile (FPO) di elevata qualità e miscele in calcestruzzo altamente performanti a prestazioni garantite. I pacchetti di capping definiti a seguito dei test pilota sopra menzionati sono riportati nel seguito.
tecnica delle stesse (con escavatore meccanico, con escavatore a risucchio, a mano, ecc.).
Descrizione degli interventi di bonifica: FASE 1B Capping
Al termine della Fase 1A di scavo per ogni specifico lotto di intervento si procederà, per tutte le aree non pavimentate, alla realizzazione di una copertura impermeabilizzante definita come capping nella Fase 1B del POB. Una volta definita la modalità di completamento superficiale delle aree Descrizione degli oggetto di capping (pavimentazione interventi di bonifica: Fase 1A Scavo e smaltimento per tutte le superfici, fatta eccezione per alcune aree minoritarie che verIn Figura 1 sono presentate, con una ranno rinverdite in prossimità dell’acolorazione verde, le aree dello starea direzionale dello stabilimento), si bilimento identificate all’interno del è reso necessario definire la modalità POB come superfici non pavimentate. di impermeabilizzazione ideale. Tali aree saranno tutte soggette alle Con la conclusione dei sopraccitaattività di capping e, limitatamente ti test di campo di capping, si sono alle aree con presenza di contaminaidentificate le soluzioni progettuali zione nei terreni, ad attività di scavo. ottimali sulla base della specificità Le attività di scavo saranno realizzate delle aree che dovranno essere sogsecondo 5 stralci funzionali tempogette a capping. ralmente e spazialmente distinti. Si sono sperimentate diverse soluLe attività di scavo saranno realizzate zioni utilizzando in particolare un secondo modalità diverse sulla base telo impermeabile sintetico a base di delle specifiche aree di intervento e poliolefina flessibile (FPO) di elevata compatibilmente con la realizzabilità qualità, e caratterizzato da una speciale griglia di adesivo poliolefinico sigillante (PO), inglobata in un tessuto non tessuto in polipropilene, modello SIKAPROOF A-12 di spessore 1,70 mm. Si tratta di un telo impermeabile altamente performante in grado di reagire sia chimicamente, con il calore sviluppato dal calcestruzzo applicato al di sopra in fase di presa e indurimento, che meccanicamente, grazie alla compenetrazione del lattime di cemento nel tessuto in propilene tramite una sorta di incollaggio meccanico. In questo modo si ottiene un’aderenza coesiva non separabile. Questo sistema ha superato il test di quaFigura 1. Planimetria del sito con identificazione delle aree soggette a bonifica di Fase 1A e 1B lità UNI EN 1928-B per la
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determinazione di tenuta all’acqua di membrane per impermeabilizzazione. La norma specifica le procedure per determinare la resistenza all’acqua di prodotti fabbricati industrialmente, cioè la resistenza all’acqua stagnante o alla pressione idraulica assorbita da una parte limitata della superficie. Tra i vantaggi dell’impiego di questo telo si annovera l’applicazione a freddo e la conseguente sicurezza e semplicità di installazione (non sono necessarie infatti saldature ad aria calda o fiamma). Al di sopra del telo è stato applicato un calcestruzzo strutturale a prestazione garantita per la realizzazione di strutture impermeabili, costituito da mix design codificati come P001CAR (i.dro STRUCTURA WP 10 – C32/40 S4 XC4 Dmax 14 mm) e P002CAR (i.dro STRUCTURA WP 10 – C32/40 S2 XC4 Dmax 14 mm). Queste tipologie di cementi vengono generalmente impiegati per strutture che richiedono una lunga vita utile e in strutture di contenimento od opere idrauliche. L’utilizzo dei calcestruzzi i.idro STRUCTURA WP consente di ottenere ottimi risultati per quanto riguarda impermeabilità (grazie alla riduzione della dimensione dei pori capillari), diminuzione dei costi strutturali (in quanto non sono necessarie protezioni superficiali), elevata compattezza, resistenza e maggiore durabilità in presenza di acque di falda e reflue, anche in presenza di agenti chimici aggressivi. Al termine delle sperimentazioni si è optato per l’utilizzo di 5 specifici pacchetti capping, applicabili alle diverse tipologie di aree presenti all’interno del sito. Tali pacchetti impermeabilizzanti, (in Figura 2 uno schema tipo), frutto di un approfondimento progettuale in fase esecutiva mirato a garantire l’efficacia dell’intervento di capping, sono caratterizzati da un sistema tecnologico altamente innovativo e performante (utilizzo di membrana impermeabile sintetica a base di poliolefina flessibile - FPO - di elevata qualità e miscele in calcestruzzo a prestazioni garantite). Con l’intervento progettato si otterrà
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Figura 2. Stratigrafia del pacchetto capping previsto per superfici piane carrabili
Figura 3. Test di campo di impermeabilizzazione
la completa impermeabilizzazione di tutte le superfici di intervento. Il pacchetto di capping permetterà l’interruzione di tutti i percorsi d’infiltrazione delle acque meteoriche nei terreni sottostanti allo stabilimento, inclusi quelli potenzialmente contaminanti, interrompendo di fatto i possibili fenomeni di lisciviazione in falda di metalli, e ottenendo una forte riduzione di potenziali fenomeni di sollevamento delle polveri dalle superfici del sito, oltre a una restituzione funzionale di molte aree all’attività produttiva dello stabilimento.
Attività di sperimentazione in laboratorio - Soil Flushing e Soil Washing
Tutte le attività relative alla Fase 1C (bonifica mediante tecnica Soil Flushing) sono vincolate ad una adeguata sperimentazione preliminare
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mediante esecuzione di appositi test di laboratorio e di campo volti alla definizione di dettaglio dei parametri di processo (tipologia soluzioni estraenti, volumi di iniezione, tempi e cicli di trattamento, ecc.) per la corretta esecuzione della bonifica. Tali sperimentazioni saranno inoltre utili per la successiva applicazione durante la Fase 2 della tecnologia di Soil Washing, in particolare per la scelta degli additivi ideali da utilizzare per la rimozione dei contaminanti. Attualmente si è conclusa la fase di sperimentazione in laboratorio finalizzata a valutare l’applicabilità delle tecniche di bonifica di Soil Flushing e Soil Washing ai suoli inquinati dello Stabilimento Portovesme. Il lavoro di sperimentazione è stato eseguito dal CINIGEO (Consorzio Interuniversitario Nazionale per l’Ingegneria delle Georisorse, Roma).
Per le attività di laboratorio il CINIGEO si è avvalso delle strutture del DICAAR (Dipartimento di Ingegneria Civile, Ambientale e Architettura dell’Università degli studi di Cagliari). Le prove sperimentali si sono svolte tra il mese di aprile 2015 e aprile 2016; il numero totale di test è stato pari a 52, il numero di campioni esaminati è stato pari a circa 600 per 17 analiti. In particolare sono state eseguite: • prove in becher (più adatte per simulare il processo di Soil washing); • estrazioni sequenziali; • prove in reattore; • prove in colonna (più adatte per simulare il processo di Soil flushing). In riferimento agli 8 analiti per i quali l’AdR ha stabilito obiettivi di bonifica si sono ottenuti i risultati riportati nella Tabella 1. Le cinetiche di reazione osservate durante i test di laboratorio evidenziano differenti comportamenti degli analiti considerati e l’esigenza di utilizzare quantità di volumi di soluzioni liscivianti differenti in relazione al tipo di soluzione, al pH e allo stesso rapporto esistente tra le concentrazioni dei diversi analiti. Dall’esame dei dati si può evincere che le prove in becher hanno fornito i risultati migliori, mentre le prove in reattore hanno fornito i risultati peggiori. Infine, si osserva che l’analisi statistica dei risultati evidenzia che, in generale, le efficienze variano principalmente per effetto del pH e che, a parità del pH, per effetto del carico idraulico o del grado di compattazione.
Conclusioni
La bonifica dei terreni del sito di Portovesme rappresenta un best case di applicazione di un insieme di differenti tecnologie finalizzate alla bonifica in un grande sito industriale attivo all’interno di un Sito di Interesse Nazionale (SIN Sulcis Iglesiente Guspinese in Sardegna Sud-Occidentale). Si tratta inoltre di un esempio di bonifica in una realtà dove sussistono molteplici problematiche legate alle interferenze produttive e difficoltà di carattere tecnico-logistico. Nell’am-
ELEMENTI
PERCENTUALE DI RIDUZIONE OTTENUTA
Sono facilmente lisciviabili Selenio
100%
Tallio
92%
Zinco
76%
Piombo
73%
Cadmio
72%
Sono mediamente lisciviabili Mercurio
16%
Sono difficilmente lisciviabili Arsenico
7%
Antimonio
9%
Tabella 1. Classificazione della lisciviabilità degli inquinanti presenti
bito del progetto in essere sono state sperimentate tecnologie innovative nel campo della impermeabilizzazione (teli altamente performanti associati e calcestruzzi di nuova concezione, testati in campo) e tecnologie in situ attualmente poco applicate a contaminazioni inorganiche (Soil Flushing, testato in laboratorio). Attualmente sono in fase di realizzazione le opere di Fase 1A (scavo e smaltimento) e 1B (capping) e si sono concluse le attività di sperimentazione in laboratorio per il Soil Flushing e il Soil Washing a cui seguirà una sperimentazione pilota in campo. Dalle attività sperimentali eseguite si possono trarre le seguenti conclusioni: • i pacchetti impermeabilizzanti testati per l’intervento di capping sono risultati idonei e maggiormente efficaci rispetto alle tecniche di capping tradizionale, e sono frutto di un approfondimento progettuale mediante un sistema tecnologico altamente innovativo e performante (utilizzo di membrana impermeabile sintetica a base di poliolefina flessibile – FPO - di elevata qualità e miscele in calcestruzzo a prestazioni garantite); • gli 8 analiti oggetto di bonifica (Antimonio, Arsenico, Cadmio, Mercurio, Piombo, Selenio, Tallio e Zinco) si dimostrano tutti lisciviabili, ma con diverse tipologie di soluzioni, in differenti concentrazioni molari (o pH) e con volumi di soluzione differenti; • l’utilizzo sequenziale di soluzioni differenti per concentrazione (o pH) e tipologia si dimostra la modalità più interessante per raggiungere gli obiettivi di bonifica mediante la tecnologia dei Soil Flushing. Per il dimensionamento dell’intervento full scale di Soil Flushing saranno effettuati test pilota in campo, attualmente in fase di progettazione di dettaglio. *HPC ITALIA S.r.l., Milano **CINIGEO - Consorzio Interuniversitario Nazionale per l’Ingegneria delle Georisorse, Roma ***Portovesme S.r.l.
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IL PRINCIPIO DI PRECAUZIONE IN MATERIA AMBIENTALE TENTATIVI DI DEFINIZIONE A PARTIRE DAL LIVELLO SOVRANAZIONALE E DAGLI ESEMPI ITALIANO E FRANCESE di Rosa Bertuzzi* e Andrea Tedaldi**
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riticato da alcuni per rappresentare un freno allo sviluppo e alla ricerca scientifica, elogiato da altri quale simbolo del progresso anzitutto etico e culturale, oltreché giuridico [1], raggiunto dalla civiltà moderna, il principio di precauzione costituisce indubbiamente uno dei cardini del diritto ambientale contemporaneo. Imponendo l’adozione di misure cautelative in presenza di situazioni di incertezza scientifica, il principio in esame si presenta come il precipitato giuridico di un livello di accettabilità del rischio che è andato mutando nel corso degli anni. Al tempo della certezza e del controllo dell’uomo sulla natura, in cui l’essere umano credeva di poter tutto dominare e si pensava che la scienza permettesse di porre rimedio a tutti gli eventuali danni arrecati all’ambiente, è seguito il tempo dei dubbi, del timore che l’hybris umana possa portare (come, del resto, è avvenuto) a compromissioni ambientali irreparabili, le quali assumono spesso evidenza solo a distanza di anni, colpendo le generazioni future. A partire dalla fine degli anni ’70, e soprattutto nel corso del decennio successivo, i gravi danni ambientali legati al rapido sviluppo industriale conosciuto dai Paesi dell’Europa occidentale incominciano a palesarsi agli occhi di tutti, e non più unicamente a quel ristretto gruppo di industriali, politici e amministratori che li aveva volontariamente nascosti o ignorati. L’uomo inizia così a prendere coscien-
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za dell’inadeguatezza dei classici strumenti, risarcitori e sanzionatori, di protezione dell’ambiente. Riappare evidente il rapporto di interdipendenza con la natura, e si sostiene la necessità di un’etica nuova, adattata ai tempi e agli spazi naturali [2]. E’ proprio questa etica rinnovata, mossa dall’obiettivo di prevenire i danni ambientali che possono emergere in situazioni di incertezza scientifica, a portare alla nascita del principio di precauzione. Consacrato a livello sovrastatale e poi recepito dagli ordinamenti nazionali, il principio in esame si impone in breve tempo quale pilastro del diritto ambientale europeo e delle branche del diritto a questo collegate, in particolare la salute e l’alimentazione. La sua estensione è stata però accompagnata da feroci accuse da parte di coloro che, criticandone l’indeterminatezza, ne vedrebbe un freno all’innovazione, e, conseguentemente, ne auspicherebbero una rimodulazione o -addiritturala soppressione. La fluidità del principio di precauzione è del resto una realtà con la quale occorre fare i conti, strettamente legata ai contorni sfumati della sua definizione e al differente valore giuridico riconosciutogli nei singoli ordinamenti nazionali.
Il principio di precauzione: la ricostruzione della sua definizione in ambito sovranazionale
Per tracciare la definizione del principio di precauzione, occorre partire
dall’analisi degli ambiti in cui esso ha per la prima volta trovato riconoscimento, ovverosia quello internazionale e quello comunitario.
Il principio di precauzione a livello internazionale
E’ a livello internazionale che si rinvengono i primi riferimenti al principio di precauzione. La Carta mondiale della natura (1982), pur se giuridicamente non vincolante, rappresenta il testo precursore sul punto, laddove afferma che: (i) le attività che comportano un elevato grado di rischio per la natura devono essere precedute da un esame approfondito e i loro promotori devono dimostrare che i benefici derivanti dall’attività prevalgono sui danni eventuali alla natura; e (ii) qualora gli effetti nocivi di tali attività siano conosciuti in maniera imperfetta, esse non dovranno essere intraprese (art. 11, b [3]). Il concetto di precauzione trova poi compiuto riconoscimento in maniera settoriale, in relazione alla protezione dello strato d’ozono (con la Convenzione di Vienna del 1985), dell’ambiente marino e dei corsi d’acqua (per mezzo, anzitutto, della Dichiarazione interministeriale sulla protezione del Mare del Nord del 1987) e al divieto di importazione di rifiuti pericolosi in Africa (Convenzione di Bamako del 1991). E’ ad opera della Dichiarazione di Rio del 1992, atto conclusivo della Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente e lo sviluppo, che la precauzione viene consacrata in riferimento alla generali-
tà del diritto ambientale. Il Principio 15 enuncia infatti che “Al fine di proteggere l’ambiente, gli Stati applicheranno largamente, secondo le loro capacità, il Principio di precauzione. In caso di rischio di danno grave o irreversibile, l’assenza di certezza scientifica assoluta non deve servire da pretesto per differire l’adozione di misure adeguate ed effettive, anche in rapporto ai costi, dirette a prevenire il degrado ambientale”. Le linee direttive per l’attuazione del principio in esame sono così tracciate: non sarà necessario che il danno si sia già prodotto, essendo invero sufficiente che ne incorra la sola minaccia; tale rischio dovrà essere “grave o irreversibile”, aspetto da valutare in riferimento alle conseguenze patrimoniali e all’impossibilità di ripristinare la situazione ambientale precedente [4]. Da esso deriverà l’obbligo, posto in capo agli operatori economici e la cui vigilanza sarà demandata alle Amministrazioni, di non intraprendere una determinata attività o di adottare delle misure tecniche e giuridiche volte a controllarne gli effetti sull’ambiente. L’ambizione della “precauzione” è difatti quella di gestire situazioni di pericolo ambientale non conosciute, o non completamente conosciute, così differenziandosi dal principio di prevenzione che invece obbliga ad adottare misure anticipatorie volte a eliminare o ridurre il rischio “certo” di danno all’ambiente scaturente dall’esercizio di una certa attività.
Tutta la portata del principio di precauzione emerge allora con chiarezza: forte stimolo alla ricerca scientifica (spinta a indagare gli effetti dei nuovi prodotti e delle nuove tecniche), da un lato, strumento invocabile al momento del verificarsi di un danno all’ambiente, dall’altro. Al riguardo, gli Stati, le organizzazioni internazionali, le imprese, le Amministrazioni devono tutti rispettare e far rispettare il principio di precauzione. Sicché, qualora si produca un effetto negativo sull’ambiente o sulla salute umana, tale principio potrà essere posto a fondamento della responsabilità, penale e civile, dei soggetti che non abbiano adottato misure precauzionali, tutte le volte che conoscevano, avrebbero dovuto conoscere, o avrebbero dovuto dubitare dei rischi gravi o irreversibili discendenti da una determinata attività [5]. Dopo la Dichiarazione di Rio, il principio di precauzione trova fertile terreno di consacrazione in numerose ulteriori convenzioni, poste -in particolare- a salvaguardia dei mari, dei laghi e dei corsi d’acqua fluviali (ex multis, Convenzione di Helsinki sulla protezione e l’utilizzazione dei corsi d’acqua transfrontalieri e dei laghi internazionali, 1992; Convenzione di Helsinki sulla protezione dell’ambiente marino nell’area del Mar Baltico, 1992; Convenzione di Parigi sulla protezione dell’ambiente marino dell’Atlantico del Nord-Est, 1992 [6]), così che nessun dubbio sussiste ormai in merito
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al ruolo fondamentale rivestito dalla “precauzione” all’interno del diritto ambientale internazionale. Un aspetto resta tuttavia ancora incerto. Si tratta dell’eventuale possibilità di riconoscere al principio di precauzione valore di norma consuetudinaria. Considerata l’incertezza degli organi giudicanti sul punto [7], la risposta sembra essere al momento negativa.
Il principio di precauzione a livello comunitario
Affermatosi in ambito internazionale, il principio di precauzione viene velocemente recepito a livello comunitario. L’art. 130 R (2) del Trattato di Maastricht, posto ad apertura del Titolo XVI (“Ambiente”), stabilisce che la politica della Comunità in materia ambientale è fondata, fra l’altro, sui “principi di precauzione e dell’azione preventiva” e richiede che le politiche comunitarie siano integrate con le esigenze connesse alla tutela dell’ambiente. Ripreso dall’art. 174 del Trattato di Amsterdam, il principio in esame trova da ultimo consacrazione nell’art. 191 TFUE, la cui formulazione non si discosta da quella primigenia dell’art. 130 R [8]. A fronte di un mero e asettico richiamo alla “precauzione”, emerge con evidenza la mancanza di ulteriori precisazioni e, soprattutto, di una definizione del suo contenuto. A tal fine, svolta di fondamentale importanza è rappresentata dall’adozione nel 2000, da parte della Commis-
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sione delle Comunità europee, della “Comunicazione della Commissione sul principio di precauzione”, in cui si precisa che “Il fatto di invocare o no il principio di precauzione è una decisione esercitata in condizioni in cui le informazioni scientifiche sono insufficienti, non conclusive o incerte e vi sono indicazioni che i possibili effetti sull’ambiente e sulla salute degli esseri umani, degli animali e delle piante possono essere potenzialmente pericolosi e incompatibili con il livello di protezione prescelto”. Dalla lettura di tale passaggio si palesa immediatamente, come messo in luce dalla dottrina [9], una divergenza rispetto a quanto sancito dalla Dichiarazione di Rio, sì da domandarsi se sia forse il caso di parlare di un principio di precauzione “comunitario”. Viene infatti meno il riferimento a una minaccia di danno “grave o irreversibile”, il principio in esame potendo pertanto essere invocato anche semplicemente in presenza di una situazione di potenziale pericolo. La Commissione ha poi cura di precisare che l’applicazione del principio di precauzione deve inserirsi nel quadro generale dell’analisi e della gestione del rischio connesso all’esercizio di una determinata attività. Ciò che, nei fatti, richiede di definire il livello di pericolo “accettabile” per la società, sulla base (i) dell’identificazione degli effetti potenzialmente negativi, (ii) della valutazione dei dati scientifici disponibili e (iii) dell’ampiezza dell’incertezza scientifica, ovverosia facendo riferimento a rigorosi criteri e analisi, e non invece a semplici ipotesi o scelte politiche. Le misure nelle mani delle autorità incaricate della gestione del rischio sono poi molteplici, variando dal divieto sic et simpliciter di intraprendere l’attività, all’adozione di atti giuridicamente vincolanti, di progetti di ricerca o di raccomandazioni. In ogni caso, qualora si ritenga necessario agire, le azioni messe in campo dovranno essere: proporzionali rispetto al livello di protezione prescelto; non discriminatorie; coerenti con misure analoghe già adottate; basate su un esame dei potenziali vantaggi e oneri dell’azione
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o dell’inazione (compresa, ove ciò sia possibile e adeguato, un’analisi economica costi/benefici); soggette a revisione, alla luce dei nuovi dati scientifici; in grado di attribuire la responsabilità per la produzione delle prove scientifiche necessarie per una più completa valutazione del rischio. La Commissione si sofferma infine su un tema di primaria importanza: la definizione dell’onere della prova. Precisa che, in assenza di procedure di autorizzazione preventiva [10], la responsabilità di dimostrare la natura e il livello di pericolo di un prodotto o di un processo può spettare agli utilizzatori o alle pubbliche autorità. Anche in tali casi, tuttavia, potrebbe essere adottata una specifica misura precauzionale consistente nell’imporre l’onere della prova sul produttore o sull’importatore, senza peraltro che tale inversione diventi una regola generale. Dall’analisi effettuata emerge, ancora una volta, tutta la complessità del principio di precauzione e, in particolare, il ruolo fondamentale rivestito dalle procedure di giustificazione delle decisioni da adottare. I responsabili politici sono infatti chiamati a operare un corretto equilibrio fra interessi molteplici e non sempre perfettamente convergenti: la libertà e i diritti delle industrie e delle organizzazioni, da un lato, l’esigenza di ridurre i rischi per l’ambiente e per la salute degli esseri umani, degli animali e delle piante, dall’altro (cfr. Comunicazione). Un bilanciamento, questo, di notevole complessità, in ragione dei confini variabili e sfumati del diritto ambientale, e dei suoi stretti legami con altre discipline, quali -anzitutto- il diritto alimentare e la salute umana e animale. Proprio a tali ambiti, del resto, il principio di precauzione ha trovato rapido approdo a livello comunitario (nota è la vicenda degli OGM) [11], introducendo così ulteriori fattori da prendere in considerazione nell’opera di equilibrio poc’anzi accennata.
Il principio di precauzione: il suo valore giuridico negli ordinamenti nazionali
Concepito in ambito internazionale, esteso a livello europeo, il principio di
precauzione viene ben presto recepito anche dagli ordinamenti nazionali, dove tuttavia, come sottolineato dalla dottrina, il suo valore giuridico è spesso non ben determinabile e la sua definizione “vaga”, ciò che “permette applicazioni molteplici e nuove, mostrando l’elasticità dello stesso, ma è anche causa di legislazioni molto diverse e usi impropri della precauzione, collegati ad interessi economici o protezionistici” [12]. Ricostruire il valore giuridico del principio di precauzione e le sue modalità applicative appare pertanto di fondamentale importanza. Obiettivo, questo, che verrà perseguito in riferimento all’ordinamento italiano e a quello francese, stante la soluzione del tutto innovativa da esso adottata all’interno del panorama europeo.
Il principio di precauzione nell’ordinamento giuridico italiano
Prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. 152/2006 (cd. Codice dell’Ambiente), nell’ordinamento italiano era assente un richiamo generale al principio di precauzione, a cui si faceva riferimento unicamente in alcune leggi settoriali (cfr. art. 1, c. 1, lett. b) della L. n. 36/2001, “Legge quadro sulla protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici”). Il principio in esame trovava ingresso nell’ordinamento interno indirettamente, tramite il richiamo alle disposizioni comunitarie operato dall’art. 117, c. 1 Cost., al fine -come nel caso che ha portato alla sentenza T.A.R. Brescia, 11 aprile 2005, n. 304- di vagliare la legittimità di provvedimenti emanati dalla Pubblica Amministrazione [13]. Per la consacrazione della precauzione quale principio alla base dell’insieme del diritto ambientale bisogna attendere l’entrata in vigore del nuovo Codice dell’Ambiente, il quale, all’art. 301, c. 1 stabilisce che “In applicazione del principio di precauzione di cui all’articolo 174, paragrafo 2, del Trattato CE, in caso di pericoli, anche solo potenziali, per la salute umana e per l’ambiente, deve essere assicurato un alto livello di protezione”, e interviene -al contempo- a disciplinare le tipolo-
gie e le modalità di applicazione delle misure preventive adottabili (cfr. art. 304 ss. d.lgs. n. 152/2006) [14]. Ciò chiarito, resta da interrogarsi sul rilievo assunto dal principio in esame a livello costituzionale [15]. Al riguardo, è interessante soffermarsi su due interessanti sentenze della Corte Costituzionale, riferite ai casi OGM (Corte Cost., sent. n. 116/2006) e Ilva di Taranto (Corte Cost., sent. n. 85/2013). Nella prima decisione, la Corte, chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale del D.L. n. 279/2004 (“Disposizioni urgenti per assicurare la coesistenza tra le forme di agricoltura transgenica, convenzionale e biologica”), sottolinea come la questione della regolamentazione delle colture transgeniche coinvolga e richieda una sintesi fra divergenti interessi di rilevanza costituzionale: la libertà di iniziativa economica dell’imprenditore agricolo, da un lato, l’esigenza che tale libertà non sia esercitata in contrasto con l’utilità sociale, e in particolare recando danni sproporzionati all’ambiente e alla salute, dall’altro. E’ proprio nell’ambito dell’elaborazione e della conciliazione di tali indirizzi, operazione che spetta alla legge dello Stato e non è derogabile dalla legislazione regionale, che il principio di precauzione gioca un ruolo importante. Esso infatti può intervenire “nell’interesse dell’ambiente e della salute umana”, al fine di giustificare costituzionalmente l’imposizione di limiti all’esercizio della libertà di iniziativa economica [16]. Il principio di precauzione, dunque, non costituisce un nuovo e autonomo termine nel bilanciamento eseguito dalla Corte Costituzionale, rappresentando, al contrario, l’ago della bilancia che fa sì che uno degli interessi oggetto della sintesi (la tutela dell’ambiente e della salute) abbia la meglio sull’altro (la libertà di iniziativa economica). Più complesso è il ruolo rivestito dalla precauzione nel noto caso dell’Ilva di Taranto, in cui la Corte Costituzionale è stata chiamata a pronunciarsi sulla legittimità di alcune disposizioni del D.L. n. 207/2012, testo adottato in via d’urgenza per consentire la prosecuzione delle attività dello stabilimento industriale tarantino.
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Anche in questo caso, come in quello precedente, il principio di precauzione gioca un ruolo di arbitro, definendo quale degli interessi in gioco (produzione e diritto alla libertà economica, da un lato, diritto alla salute e all’ambiente, dall’altro) debba prevalere. A differenza della vicenda degli OGM, tuttavia, questo bilanciamento non viene già operato dal legislatore, il quale, invece, lo ha demandato all’adozione dell’Autorizzazione Integrata Ambientale (cd. AIA). La Corte rimarca difatti come, nell’ottica del legislatore, il procedimento che culmina nel rilascio dell’AIA rappresenti, per le sue caratteristiche di par-
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tecipazione e di pubblicità e in quanto “risultato di apporti plurimi, tecnici e amministrativi”, il migliore strumento attraverso cui pervenire all’individuazione del punto di equilibrio in ordine all’accettabilità e alla gestione dei rischi che derivano da un’attività industriale. Ed è proprio all’interno di tale procedimento che si inserisce il principio di precauzione. Ben potrà poi l’Autorizzazione Integrata Ambientale “essere contestata davanti al giudice competente, nel caso si lamentino vizi di legittimità dell’atto da parte di cittadini che si ritengano lesi nei loro diritti e interessi legittimi” a causa, per esempio, di un eccesso di
potere nell’applicazione del principio di precauzione [17]. Dall’analisi della giurisprudenza costituzionale italiana emerge pertanto come il principio di precauzione assuma rilievo in due differenti sedi, legislativa e amministrativa, nell’ambito del procedimento che porta all’adozione di una legge (e nel suo eventuale sindacato di legittimità costituzionale) o di un provvedimento amministrativo (e nel possibile ricorso amministrativo promosso avverso di esso), quale l’autorizzazione all’esercizio di una determinata attività o un’ordinanza di necessità e urgenza. *Ambienterosa, Consulenze Legali Ambientali **Università degli Studi di Bologna, Studio Ambienterosa
[1] Riguardo al rapporto e alla definizione agli aspetti morali, politici e giuridici sottesi al principio di precauzione, cfr.: L. BOY, La nature juridique du principe de précaution, in Natures Sciences Sociétés, 1999, vol. 7, n° 3, 5-11. [2] Sul rapporto fra principio di precauzione ed una nuova forma di etica: v. M. REMOND-GOUILLOUD, L’ère de la précaution, Colloque sur “Vous avez dit progrès?”, Revue Archimède et Léonard, in Carnets de l’association internationale des techniciens, experts et chercheurs, n° 10, 1993-94, p. 63. “…Hans Jonas… nous dit de l’interdépendance entre l’homme et la nature: l’intégrité de la nature autour de nous, c’est l’intégrité de la nature en nous; les agressions qui affectent l’une se répercutent inéluctablement sur l’autre. Et il plaide pour une éthique nouvelle élargie dans le temps et dans l’espace, à la mesure des temps qui viennent. Cette éthique élargie s’appelle «principe de précaution». Celui-ci comporte notamment une prise en compte de la durée. A la suite de Teilhard et de Jonas il faut désormais à notre société et à son droit apprendre à se projeter dans le future, ménager les réversibilités, éviter l’irréparable au nom des générations futures”. [3] “Les activités comportant un degré élevé de risques pour la nature seront précédées d’un examen approfondi et leurs promoteurs devront prouver que les bénéfices escomptés l’emportent sur les dommages éventuels pour la nature et, lorsque les effets nuisibles éventuels de ces activités ne sont qu’imparfaitement connus, ces dernières ne devraient pas être entreprises”. [4] Al riguardo, la dottrina ha avuto cura di rimarcare l’indeterminatezza dei concetti di “irreversibilità” e di “rischi gravi”: cfr. “Certains pensent que l’irréversibilité du dommage peut être par fois démontrée (par exemple pour la disparition d’espèces vivantes) mais la notion n’est pas toujours claire, ainsi une forêt détruite pourra repousser en quelques décennies (?). D’autre part la définition de risques graves n’est pas évidente. D’autres insistent sur le fait que dès qu’il y a risques graves ou irréversibles, même si des doutes et des ambiguïtés subsistent sur la nature de ces risques, il faut appliquer le principe” (J.-M. LAVIEILLE, Les principes généraux du droit international de l’environnement et un exemple : le principe de précaution, Université de Limoges). [5] Sul triplice declinarsi dell’elemento soggettivo della responsabilità discendente dalla violazione del principio di precauzione, cfr. J.-M. LAVIEILLE, Les principes généraux du droit international de l’environnement et un exemple: le principe de précaution, cit.: “Le principe de précaution consiste à dire que non seulement nous sommes responsables de ce que nous savons, de ce que nous aurions dû savoir mais, aussi, de ce dont nous aurions dû nous douter”. [6] Particolarmente limpida è la definizione del principio di precauzione contenuta nell’art. 2, c. 2, lett. a) della Convenzione di Parigi: “Le parti contraenti applicano: il principio di precauzione, secondo cui devono essere adottate misure di prevenzione quando sussistono motivi ragionevoli di preoccuparsi del fatto che sostanze o energia introdotte, direttamente o indirettamente, nell’ambiente marino possano comportare rischi per la salute dell’uomo, nuocere alle risorse biologiche e agli ecosistemi marini, violare i valori ammessi o intralciare altri usi legittimi del mare, anche qualora non vi siano prove determinanti dell’esistenza di un nesso di causalità tra gli apporti e i loro effetti”. [7] Al riguardo, in ambito giudiziale, il primo significativo riferimento al principio di precauzione è operato dal Tribunale Internazionale per il Diritto del Mare nel caso del Tonno pinna blu, che ha visto l’Australia e la Nuova Zelanda fare ricorso contro il Giappone, avverso il suo programma di pesca del tonno pinna blu nell’Oceano Pacifico (International Tribunal for the Law Of the Sea, Southern Bluefin Tuna Cases, Requests for provisional measures, order, 1999). Nel giustificare l’applicazione delle misure cautelari richieste dalle ricorrenti, il Tribunale ha di fatto attuato il principio di precauzione al fine di evitare “further deterioration of the southern bluefin tuna stock”, e ciò sebbene “there is scientific uncertainty regarding measures to be taken to conserve the stock of southern bluefin tuna”. Difatti, “the court or tribunal may prescribe any provisional measures which it considers appropriate under the circumstances to preserve the respective rights of the parties to the dispute or to prevent serious harm to the marine environment”. [8] Art. 191 (2) TFUE: “La politica dell’Unione in materia ambientale mira a un elevato livello di tutela, tenendo conto della diversità delle situazioni nelle varie regioni dell’Unione. Essa è fondata sui principi della precauzione e dell’azione preventiva, sul principio della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all’ambiente, nonché sul principio «chi inquina paga»”. [9] S. LEONI, Il principio di precauzione in diritto ambientale, in Diritto all’ambiente, dirittoambiente.com [10] Al riguardo, la commercializzazione di alcuni tipi di prodotti, quali le medicine, i pesticidi e gli additivi alimentari, richiede il rilascio di una specifica autorizzazione. Questo altro non è che una diretta applicazione del principio di precauzione, per superare il quale il produttore, ovvero l’importatore, dovrà dimostrare l’assenza della pericolosità di tali sostanze. Cfr. punto 6.4 della Comunicazione sopracitata: “Le regole esistenti nella legislazione comunitaria e in quella di numerosi paesi terzi applicano il principio dell’autorizzazione preventiva (elenco positivo) prima dell’immissione sul mercato di alcuni tipi di prodotti, quali le medicine, gli antiparassitari o gli additivi alimentari. Ciò costituisce già un modo di applicare il principio di precauzione spostando la responsabilità della produzione delle prove scientifiche. È questo il caso in particolare delle sostanze ritenute a priori pericolose o che possono essere potenzialmente pericolose ad un certo livello d’assorbimento. In questo caso il legislatore, per
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precauzione, ha previsto l’inversione dell’onere della prova, stabilendo che tali sostanze siano considerate come pericolose finché non sia dimostrato il contrario. Spetta quindi alle imprese realizzare i lavori scientifici necessari per la valutazione del rischio. Finché il livello di rischio per la salute e per l’ambiente non può essere valutato con sufficiente certezza, il legislatore non può legittimamente autorizzare l’utilizzazione della sostanza, salvo in casi eccezionali per effettuare prove”. [11] A livello comunitario, il principio di precauzione è ormai pacificamente applicabile non più al solo diritto ambientale, ma anche alla salute umana, ai prodotti alimentari, ai settori zoosanitario e fitosanitario. Tale estensione è stata anzitutto inaugurata dalla risoluzione sul principio di precauzione annessa alle conclusioni del Consiglio europeo di Nizza del 7-10 dicembre 2000, in cui si legge che “il principio di precauzione fa parte dei principi da prendere in considerazione nella politica della Comunità in materia ambientale; che tale principio è altresì applicabile alla salute umana nonché ai settori zoosanitario e fitosanitario”. Un ruolo fondamentale è stato inoltre svolto dalla Corte di Giustizia della Comunità Europea e dal Tribunale dell’Unione Europea, il quale ha delineato il principio di precauzione quale vero e proprio principio generale di diritto comunitario: “Nonostante sia menzionato nel Trattato solamente in relazione alla politica ambientale, il principio di precauzione ha quindi un ambito di applicazione più ampio. Esso è destinato ad applicarsi, al fine di assicurare un livello elevato di protezione della salute, della sicurezza dei consumatori e dell’ambiente, in tutti gli ambiti di azione della Comunità” (Tribunale di primo grado, II sez. ampl., Artegodan GmbH e altri contro Commissione delle Comunità europee, 26 novembre 2002). [12] M. MARCHESE, Il principio di precauzione tra luci ed ombre, in comparazionedirittocivile.it, p. 3. [13] Nel caso che ha portato all’emanazione della sentenza citata, era stato impugnato un provvedimento adottato dal Ministro dell’Ambiente di concerto con il Ministro per i Beni e le Attività Culturali, contenente un giudizio positivo condizionato di compatibilità ambientale sul progetto relativo alla trasformazione di un impianto di postcombustione in un impianto di termodistruzione di rifiuti speciali e tossico-nocivi. [14] In argomento, cfr.: L. BUTTI, Principio di precauzione, Codice dell’Ambiente e giurisprudenza delle Corti comunitarie e della Corte costituzionale, in Riv. giur. ambiente, fasc.6, 2006, pag. 809. [15] In argomento, cfr.: G. DI COSIMO, Corte Costituzionale, bilanciamento di interessi e principio di precauzione, in forumcostituzionale.it, n. 3/2015; G. DI COSIMO, Il principio di precauzione nella recente giurisprudenza costituzionale, in federalismi.it, n. 25/2006 [16] Tali limiti, come ha cura di precisare la Corte Costituzionale, possono essere giustificati solo sulla base di “indirizzi fondati sulla verifica dello stato delle conoscenze scientifiche e delle evidenze sperimentali acquisite, tramite istituzioni e organismi, di norma nazionali o sovranazionali, a ciò deputati, dato l’essenziale rilievo che, a questi fini, rivestono gli organi tecnico scientifici (sentenza n. 282 del 2002)”. [17] Come messo efficacemente in luce dalla dottrina, il fatto di demandare l’applicazione del principio di precauzione ad organi amministrativi, dunque tecnici, rischia di eludere quanto previsto dalla Comunicazione della Commissione Europea del 2000, secondo cui “la scelta della risposta da dare di fronte ad una certa situazione deriva... da una decisione eminentemente politica, funzione del livello di rischio accettabile dalla società che deve supportarlo”, e pertanto rimessa ad un organo politico. Cfr. G. DI COSIMO, Corte Costituzionale, bilanciamento di interessi e principio di precauzione, cit.
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R E C O N N E T Reconnet in Italia e nel mondo di Renato Baciocchi*
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a Rete Reconnet intensifica il suo impegno di disseminazione nel settore della gestione e bonifica dei siti contaminati su scala nazionale e internazionale, con la partecipazione (in partnership con RemtechExpo) all’evento Cleanup India e con l’organizzazione di due iniziative: una nuova, il workshop sulla Gestione Sostenibile dell’Ambiente – Aree Industriali e Infrastrutture di Trasporto (4-5 Aprile 2017, Villa Mondragone, Roma) e una giunta ormai alla quinta edizione (Alta Scuola di Formazione sulle bonifiche, 17-19 Maggio, Ravenna).
Reconnet e RemtechExpo a Cleanup India
Cleanup India (International Conference on Contaminated Site Remediation), organizzata da CRC Care Australia (Cooperative Research Centre for Contamination Assessment and Remediation of the Environment) e dalla Tamil Nadu Agricultural University (India), si è tenuta a Coimbatore (India) dal 13 al 16 Dicembre 2016. Si è trattato della prima edizione indiana della serie di conferenze Cleanup, finora organizzate in Australia e Cina, dedicate alla gestione e bonifica di siti contaminati. Alla conferenza ha partecipato una delegazione italiana della rete Reconnet, composta da Renato Baciocchi (Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”) e da Alessandro Girelli (Industria Ambiente srl, Genova), anche in rappresentanza di RemtechExpo, che ha firmato un accordo di partnership con il CRC Care che prevede una collaborazione nell’organizzazione delle ri-
spettive serie di eventi allo scopo di favorire lo scambio di informazioni e “best practice”, da raggiungere anche mediante la partecipazione incrociata di delegazioni alle rispettive manifestazioni. La delegazione italiana ha partecipato alla sessione inaugurale del convegno Cleanup India e ha contribuito all’elaborazione del programma della prima sessione tecnica dedicata all’analisi di rischio. Nel corso di questa sessione, Renato Baciocchi ha in primo luogo introdotto agli stakeholders indiani l’evento Remtech e l’iniziativa Reconnet, evidenziandone il ruolo nel favorire l’introduzione di approcci innovativi alla gestione e bonifica dei siti contaminati e nell’incrementare il dialogo tra i diversi portatori di interesse allo scopo di superare gli ostacoli a una rapida evoluzione dei procedimenti di bonifica. Successivamente ha illustrato, in una presentazione preparata con Laura D’Aprile del MATTM, lo stato di avanzamento delle bonifiche in Italia, con particolare riferimento ai SIN. Alessandro Girelli ha presentato due casi studio: il primo relativo all’applicazione dell’analisi di rischio in un contesto agricolo-residenziale, con l’inclusione anche della catena trofica in relazione all’uso delle acque per uso irriguo; il secondo relativo alla bonifica di un sito contaminato da idrocarburi, con l’applicazione di tecnologie relativamente semplici e quindi ritenute idonee anche per un contesto come quello indiano. Nei giorni della conferenza, la delegazione italiana ha partecipato attivamente alle altre sessioni e ha avuto modo di stabilire contatti con delegazioni locali e australiane, di cui si
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prevede la presenza alla prossima edizione di RemtechExpo, programmata sempre a Ferrara dal 20 al 22 settembre 2017.
Il workshop sulla Gestione sostenibile dell’ambiente
Il nostro Paese sta attraversando una fase di crisi dei tradizionali sistemi di produzione, che ne rende necessaria la transizione verso un nuovo modello, basato su principi di sostenibilità ambientale, economica e sociale. Diverse aree industriali hanno già perduto la loro funzione produttiva e versano in uno stato di abbandono; altre continuano a operare, sebbene in un contesto sempre più complesso. In tale situazione, emerge con forza la necessità di individuare soluzioni produttive e gestionali innovative nelle aree ancora attive e di riqualificare le aree industriali dismesse.
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D’altra parte, un efficace utilizzo di queste aree richiede un adeguamento delle reti infrastrutturali a livelli tali da sostenere i crescenti bisogni di mobilità di persone e merci. Il workshop “Gestione sostenibile dell’ambiente - Aree Industriali e infrastrutture di trasporto” (Villa Mondragone, Monte Porzio Catone Roma, 4-5 Aprile 2017), organizzato dall’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” e dalla rete Reconnet, si pone come occasione di approfondimento tecnico e di confronto tra i principali stakeholder nazionali su questi temi. In merito alle aree industriali, verranno discusse le soluzioni per incrementare la sostenibilità del sistema produttivo ma anche degli interventi di riqualificazione, spesso previsti in aree caratterizzate da contaminazione dei suoli e della falda, che ne riducono l’attrattività per investimenti produttivi o immobiliari. In merito alle infrastrutture, saranno invece affrontati e discussi i vincoli ambientali che condizionano in misura crescente la costruzione e gestione di tali opere. La presenza di alcuni esperti internazionali consentirà un utile confronto con gli approcci sviluppati in altri paesi per la soluzione dei temi oggetto del workshop, che sarà anche l’occasione per illustrare i principali risultati ottenuti dai gruppi di lavoro della rete Reconnet nel corso dell’ultimo triennio. Di seguito si riporta il programma dell’evento. Le informazioni sulle modalità di iscrizione all’evento sono reperibili al sito: www.gestionesostenibileambiente.com.
L’edizione 2017 dell’Alta Scuola di formazione sulle bonifiche
La quinta edizione dell’Alta Scuola si terrà tra il 17 e il 19 Maggio 2017, in coincidenza con l’evento “Fare i conti con l’ambiente”, festival formativo su rifiuti, acqua, energia, bonifiche e sviluppo sostenibile, svolto interamente nel centro storico pedonale di Ravenna, che prevede una serie di conferenze a tema
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ma anche seminari di formazione e workshop in grado di abbracciare tutti i segmenti di attualità tecnicoscientifica del settore rifiuti, acqua, energia, bonifiche e sostenibilità ambientale. La prima sessione della scuola sarà dedicata a un approfondimento sullo stato di avanzamento delle bonifiche su scala nazionale e internazionale, con i seguenti interventi: Frederic Coulon (Cranfield University, UK), che si soffermerà sulla evoluzione degli approcci alla gestione dei siti contaminati negli ultimi 30 anni; Hans Slenders (Arcadis Olanda), che presenterà casi studi di applicazione di criteri di sostenibilità alle bonifiche; Renato Baciocchi (Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”), che parlerà delle criticità che rallentano l’evoluzione di un procedimento di bonifica in Italia e di possibili soluzioni innovative per superarli; Silvia Paparella (Remtech), che illustrerà il ruolo di Remtech nel favorire la diffusione di approcci innovativi alle bonifiche. Il pomeriggio della prima giornata sarà completamente dedicato alla idrogeologia e idrochimica a supporto della definizione del modello concettuale di un sito contaminato. Sono previsti i seguenti interventi: Alessandro Gargini (Università degli Studi di Bologna “Alma Mater Studiorum), che illustrerà l’applicazione di tecniche di analisi isotopica alla caratterizzazione di acque di falda contaminate da solventi clorurati; Marco Petitta (Sapienza, Università di Roma), che discuterà le interferenze di afflussi e deflussi superficiali con gli emungimenti nelle bonifiche della falda, proponendo possibili soluzioni per ridurle; Fulvio Celico (Università degli Studi di Parma), che presenterà un approccio multidisciplinare per la messa a punto di modelli concettuali di sito. La mattina della seconda giornata sarà dedicata alla Geotecnica applicata alla gestione e bonifica dei siti contaminati; la sessione, coordinata da Quintilio Napoleoni (Sapienza, Università di Roma), prevederà in-
terventi sui criteri di progettazione di interventi di messa in sicurezza, che saranno seguiti dalla presentazione di alcuni casi studio. Nel pomeriggio si affronterà il tema sempre più rilevante dell’interazione tra analisi di rischio e protezione della salute di lavoratori e residenti potenzialmente esposti alla contaminazione. Sono previsti gli interventi di Simona Berardi ed Elisabetta Bemporad (INAIL) sull’applicazione del Manuale INAIL sul rischio chimico per i lavoratori nei siti contaminati, di Iason Verginelli (Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”) sullo sviluppo di modelli per la stima dei rischi dei lavoratori in siti di bonifica, di Alessandro Girelli (Industria Ambiente) sulle criticità nell’applicazione dell’analisi di rischio in contesti urbani e infine di Igor Villani (ARPAe) che affronterà il tema dell’analisi di rischio per casi di contaminazione diffusa in aree antropizzate. La mattina della terza giornata sarà dedicata a una sessione speciale, con relatori di diverse agenzie regionali per la protezione dell’ambiente, dedicata al percorso di esposizione per inalazione dei vapori e alle tecniche di misura del soil gas mediante sonde attive o camere di flusso. La scuola si chiuderà nel pomeriggio del 19 Maggio con una sessione di esercitazione con il software di analisi di rischio Risk-net dedicata alla gestione dei dati di soil gas, coordinata da Iason Verginelli, Renato Baciocchi e Igor Villani.
AquaConSoil 2017
La rete Reconnet è lieta di informare la comunità tecnica e scientifica interessata ai temi della gestione e bonifica dei siti contaminati che il programma del convegno AquaConSoil 2017 - Sustainable Use and Management of Soil, Sediment and Water Resources (Lione, 26-30 Maggio 2017), principale appuntamento su questi temi a scala europea, sarà a breve disponibile al sito www.aquaconsoil.org. *Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, Reconnet
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Brokk 120 Diesel Mark 2
Presentato ufficialmente il 17 gennaio 2017 durante il World of Concrete negli Stati Uniti, il Brokk 120 Diesel Mark 2 è la macchina da demolizione più piccola al mondo alimentata in maniera autonoma. Le compatte dimensioni (solo 780 mm di larghezza) consentono l’ingresso in qualsiasi apertura o porta standard con estrema facilità di movimento in ambienti stretti e confinati. L’esiguo peso circa 1.200 Kg consente di muoversi su deboli pavimenti e solette con facilità di trasporto da e per il luogo di lavoro. Alimentato da un potente, ma compatto motore Diesel ha otto ore di autonomia senza rifornimento, consentendo il funzionamento per almeno un turno completo di lavoro. Questa flessibilità arriva senza compromessi in termini di potenza e prestazioni rispetto al suo gemello elettrico Brokk 110 di cui utilizza gli stessi utensili e mantiene la spessa portata idraulica. La versione Mark 2 del Brokk 120 Diesel include una serie di aggiornamenti per questo modello di successo. Un design più accattivante, fari d’illuminazione moderni, opzioni nuove per una integrazione più facile con gli innumerevoli utensili e una maggiore semplicità nella gestione della manutenzione. In breve, un modello vincente sempre più avanzato. Il Brokk 120 Mark 2 è concepito per una grande varietà di applicazioni. Nelle attività di protezione civile (esempio: risposta a disastri ambientali, EOD sminamento, Vigili del fuoco) come nel settore del nucleare dove le necessità di piccoli e indipendenti ROV sono necessari con grande potenza di lavoro. Nelle demolizioni civili dove può essere migliorativo per spostamenti e riposizionamenti veloci e senza vincoli fra zone di lavoro. Non ultimo nel settore della siderurgia e del sottosuolo dove il cavo elettrico può essere un problema e un vincolo fastidioso o solamente perché non c’è a disposizione la rete elettrica. “Il Brokk 120 Diesel Mark 2 sottolinea la nostra totale dedizione nel aggiornare e migliorare i prodotti per i nostri clienti, da leader nel settore. La Versione Mark 2 porterà più produttività nelle situazioni complesse dove il Brokk 120 Diesel è diventato già un modello molto apprezzato” dice Martin Krupicka, CEO del gruppo Brokk.
Misuratore di portata per gas torcia FLOWSIC100 Flare di SICK è un dispositivo affidabile sia quando il flusso di gas è quasi impercettibile, sia quando raggiunge repentinamente livelli elevati. La sonda di misura è disegnata e sagomata per coprire un range di portate da 0,03 a 120 m/s senza generare turbolenze attorno al sensore. FLOWSIC100 Flare è molto accurato e, tramite il calcolo del peso molecolare del gas durante la misura, consente di individuare la provenienza di eventuali perdite, anche in aree esplosive. Il sistema è disponibile in due versioni “cross duct”, una per piccoli diametri e una per diametri superiori a 400 mm o per gas che attenuano il segnale ultrasonico usato per la misura. È stata realizzata anche la versione su sonda, in acciaio inossidabile o in titanio ed ermeticamente sigillata, per tutti quei casi in cui non è possibile o è sconsigliata l’installazione su due lati del collettore. Per ogni versione esiste un modello dotato di un meccanismo retraibile per installare o sostituire il dispositivo senza interrompere le attività produttive. Tutti i dispositivi sono in grado di fornire le misure espresse sia in termini di massa sia di volume, assecondando la specifica esigenza. L’unità di controllo, in grado di gestire fino a tre sistemi di misura contemporaneamente, si può porre fino a 1000 m dal punto di misura e può essere installata anche all’esterno dell’area esplosiva. Infine, la funzionalità di diagnostica automatica individua e segnala prontamente situazioni anomale.
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APPUNTAMENTI MECSPE
Parma, dal 23 al 25 marzo
Mecspe è la fiera di riferimento per l’industria manifatturiera. Suddivisa in 11 saloni tematici, offre al visitatore una panoramica completa su materiali, macchine e tecnologie innovative e su iniziative uniche come Fabbrica Digitale oltre l’automazione©, la manifestazione rappresenta la via italiana per l’industria 4.0. L’edizione 2017 rafforzerà ulteriormente il posizionamento di Mecspe come fiera internazionale delle tecnologie per l’innovazione, focalizzando l’attenzione su quegli ambiti applicativi che rappresentano le sfide che il comparto manifatturiero dovrà affrontare nel prossimo futuro.
www.mecspe.com
MCM
Milano, 19 aprile
MCM Milano - Mostra Convegno Manutenzione Industriale è un evento verticale giunto alla dodicesima edizione che unisce una parte espositiva a una componente formativa. I visitatori dispongono di un’area espositiva con i leader di settore; numerosi convegni, workshop, corsi; coffee-break e buffet offerti dagli sponsor; atti dei convegni scaricabili in pdf; attestati di presenza e crediti formativi. MCM Milano si svolge in concomitanza con SAVE Milano, mcT Alimentare, mcT Visione e Tracciabilità oltre a mcTER Pompe di Calore, mcTER Contabilizzazione Calore, mcTER Energy Storage.
www.mcmonline.it
Erba (CO), dal 12 al 14 maggio
FORLENER
Dal 2001 Forlener è la principale manifestazione nazionale che valorizza e mette in mostra prodotti, servizi e tecnologie secondo una logica di filiera: dalla gestione forestale, al taglio, raccolta e lavorazione del legno, fino alla sua valorizzazione energetica ai vari livelli di potenza, riscaldamento domestico privato e collettivo, cogenerazione. L’originale format che prevede dimostrazioni e prove pratiche di macchine, attrezzature per la lavorazione del legno e apparecchi termici, offre al visitatore una straordinaria opportunità per saggiare le caratteristiche operative dei prodotti, fare confronti diretti, valutare la resa, la facilità d’uso e la sicurezza.
www.forlener.it
RAVENNA
Ravenna, dal 17 al 19 maggio
“Fare i conti con l’Ambiente” (Ravenna 2017) è l’evento tecnico-scientifico e festival culturale riguardante il tema di rifiuti, acqua, energia, bonifiche e sostenibilità ambientale, che si svolge interamente nel centro storico di Ravenna, all’interno di sale attrezzate e nell’area pedonale. Si tratta anche di un evento a tutta formazione, durante il quale sono previsti diversi incontri accreditati dai diversi ordini professionali (Ingegneri, Avvocati, Periti Agrari, Agronomi-Forestali, Geologi e Geometri) che danno la possibilità ai partecipanti di ottenere crediti professionali.
www.ravenna2017.it
SEDNET
Genova, dal 14 al 17 giugno
La decima edizione della conferenza internazionale SedNet sarà organizzata in collaborazione con il Dipartimento di Scienze della Terra, dell’Ambiente e della Vita dell’Università di Genova e l’Autorità Portuale di Genova. La conferenza si intitola “Sediments on the move” e si riferisce allo spostamento che il sedimento compie dalle montagne al mare e dalle acque fresche all’ambiente marino, passando, in questo modo, confini culturali, politici e geografici. Ma il sedimento è in movimento anche nel senso che l’evoluzione della sua gestione è stata discussa pubblicamente e congiuntamente avanzata da SedNet da ormai 15 anni.
www.sednet.org
METEF
Verona, dal 21 al 24 giugno
METEF è in grado di offrire agli operatori non solo un’esposizione completa dalle materie prime alle trasformazioni, lavorazioni, tecnologie, macchine e impianti, prodotti e applicazioni, ma di offrire lo stato dell’arte tecnologico del riciclo e recupero del metallo. METEF ha registrato all’ultima edizione oltre 400 espositori di cui il 30% esteri da 38 Paesi, delegazioni commerciali da 20 Paesi, oltre 10 mila operatori dei quali il 32% provenienti da 60 Paesi fra i quali al primo posto la Germania seguita da Turchia, Iran e Paesi dell’Est Europa, mercati strategici che ricercano tecnologia di qualità e specializzazione.
www.metef.com
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Anno 10 - Numero 38 – Marzo 2017 ISSN 2421-2938
Direttore responsabile: Massimo Viarenghi Direttore commerciale: Maria Beatrice Celino Coordinamento editoriale: Maeva Brunero Bronzin Collaboratori: Renato Baciocchi, Rosa Bertuzzi, Pietro Caredda, Giacomo Cattarossi, Maria Beatrice Celino, Marco Costabello, Marcello Ghiani, Andrea Lanuzza, Pier Paolo Manca, Alessandro Marangoni, Stefano Marchiori, Raffaele Pellegatta, Andrea Tedaldi, Laura Veneri.
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Comitato Scientifico: Maria Rosaria Boni (Sapienza Università di Roma) Daniele Cazzuffi (CESI spa – RemTech) Laura D’Aprile (MATTM, Roma) Luciano De Propris (Consulente ambientale) Ennio Forte (Università degli studi di Napoli) Luciano Morselli (Università di Bologna) Andrea Quaranta (Giurista ambientale – Cuneo) Gian Luigi Soldi (Città Metropolitana di Torino) Federico Vagliasindi (Università di Catania) Maria Chiara Zanetti (Politecnico di Torino)
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Poste Italiane Spa - Sped. in a.p. - D. L. 353/2003 cov. in L. 46/2004, art1, c1 - CB-NO/Torino - Anno 10 n. 38 - ISSN 2421-2938 DEA edizioni s.a.s. Corso Tassoni 79/4 - 10143 Torino
N°38
M A R Z O 2017
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