Poste Italiane Spa - Sped. in a.p. - D. L. 353/2003 cov. in L. 46/2004, art1, c1 - CB-NO/Torino - Anno 10 n. 40 - ISSN 2421-2938 DEA edizioni s.a.s. Corso Tassoni 79/4 - 10143 Torino
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CRITERI AMBIENTALI MINIMI E SOSTENIBILITÀ NELLA PRODUZIONE SONO ORMAI VANTO E STRATEGIA COMUNICATIVA PER LE IMPRESE DEMOLIZIONI E RECUPERO DELLE MACERIE NEI COMUNI DI AMATRICE E ACCUMOLI A UN ANNO DAL TERREMOTO L’INCIDENZA DELL’EVOLUZIONE TECNOLOGICA DI PRODOTTO SUGLI SCENARI DI RICICLAGGIO DEI RAEE L’APPLICAZIONE DI UNA NUOVA TECNOLOGIA CHE UTILIZZA I SURFATTANTI PER LA BONIFICA DI SITI CONTAMINATI DA IDROCARBURI
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EDITORIALE
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S O M M A R I O S OM M A R I O
RUBRICHE
News 6 Vetrina 77 Libri 78 Appuntamenti 79
PRIMO PIANO
Subire l’inevitabile transizione energetica o approfittarne per rilanciare l’economia? di Alberto Marenco
WORK IN PROGRESS
di Alberto Marenco
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In Thailandia si risolve il problema dei rifiuti con tecnologia italiana
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La storia che va e la storia che rimane
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di Laura Veneri
ATTUALITÀ
Scenari di riciclaggio dei R.A.E.E.
di Emilio Guidetti
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di Laura Veneri
Multe e finanziamenti per abbattere le emissioni 17 di Alberto Marenco
La gestione delle macerie in Centro Italia a un anno dal terremoto di Laura Veneri
Prima edizione per BIE – Biomass Innovation Expo di Flaminia Parrini
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Intervista doppia 31 di Laura Veneri
Da quarant’anni servizi e sicurezza di Maria Beatrice Celino
Qualità giapponese, ingegno italiano
Utilizzo di surfattanti per la bonifica di siti contaminati da idrocarburi con presenza di fase libera
Replacebelt 58
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Progetti emiliani di respiro europeo
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Smart Sensor Technology: monitoraggio automatico di perdite di idrocarburi e presenza di vapori
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Il secolo della qualità
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di Laura Veneri
di Alessandro Raffi et al.
di Valeria Menichini Lunghi
NORMATIVA
Strade e rifiuti
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La prescrizione e la responsabilità degli enti secondo il d.lgs. 231/2001
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di Rosa Bertuzzi e Andrea Tedaldi
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di Cinzia Silvestri
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di Laura Veneri
di Maeva Brunero Bronzin
di Laura Veneri
di Maria Beatrice Celino
di Claudio Sandrone et al.
Si fa strada il trattamento dell’amianto con le microonde 25
25 anni di Trevi Benne
Questione di sicurezza 52
PROGETTI E TECNOLOGIE
FABBRICA DELLE IDEE
PANORAMA AZIENDE
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La fabbrica del riciclo di Bruno Vanzi
L’effetto trainante degli acquisti verdi della pubblica amministrazione
di Laura Veneri
SPECIALE
MULTE E FINANZIAMENTI PER ABBATTERE LE EMISSIONI E RAGGIUNGERE L’OBIETTIVO DI RIDUZIONE DEL 20%
17 SUBIRE O TRARRE VANTAGGIO DALL’INEVITABILE TRANSIZIONE ENERGETICA? NUOVI SCENARI AL FESTIVAL DELL’ENERGIA DI MILANO
39 DUE PROGETTI EMILIANI SONO STATI FINANZIATI DAL PROGRAMMA LIFE+ NELL’AMBITO DEL RECUPERO DELLE ACQUE E DEL BIOMETANO
61 NORMATIVA E GIURISPRUDENZA LEGATE AI RIFIUTI PRODOTTI NELLE ATTIVITÀ DI GESTIONE, MANUTENZIONE E COSTRUZIONE DELLE STRADE
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NEWS LA FORMULA E ARRIVA A ROMA Il prossimo aprile sbarcherà finalmente anche in Italia il Fia Formula E World Championship, ovvero il campionato delle monoposto elettriche. Più precisamente, la gara avverrà lungo le strade dell’EUR, a Roma, il 14 aprile 2018, grazie a un accordo di tre anni, con l’intenzione di prolungarlo come minimo per altri due.
Roberto Diacetti, presidente di EUR Spa, società proprietaria delle strutture congressuali dell’EUR con la missione di valorizzare il patrimonio storico dello stesso quartiere ha dichiarato: “L’ePrix di Formula E è un evento sostenibile e innovativo che attraverso un circuito di 2,8 km e 19 curve è un efficacissimo strumento di promozione internazionale delle nostre attività”. Grazie a tale evento si stimano circa 40/50 milioni l’anno di introiti oltre ad almeno 40 mila spettatori, a tal proposito ribadisce Diacetti: “La nostra idea è fare in modo che questo non sia solo un evento sportivo, ma una grande vetrina, un grande workshop sulla mobilità elettrica. Una riflessione che in Italia tarda a venire, un’occasione per contribuire a creare una sensibilità diversa”. Infatti al di là dello spettacolo che offre, la Formula E è un incubatore di ricerca e sviluppo per quanto riguarda ovviamente la mobilità elettrica e le fonti rinnovabili, ma anche per i sistemi di accumulo e di efficienza energetica. Dunque la Formula E, ora che è arrivata anche a Roma, potrà rappresentare sia un volano per la mobilità elettrica sia un’opportunità per lo sviluppo tecnologico in tutto il resto del Paese.
TERRE E ROCCE DA SCAVO, ENTRATO IN VIGORE IL NUOVO DECRETO Lo scorso 22 agosto, è finalmente entrato in vigore il nuovo decreto del Presidente della Repubblica che disciplina la gestione delle terre e rocce da scavo. Un testo unico che regolamenta tutte le tipologie di cantiere e che semplifica in modo significativo le diverse e spesso disomogenee normative vigenti.
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Il ministro dell’ambiente Gianluca Galletti ha commentato: “Questo provvedimento è un passo in avanti fondamentale nella nostra visione di sviluppo sostenibile: quella dell’economia circolare, quella in cui le performance ambientali e la competitività del Paese viaggiano di pari passo. Con una disciplina più semplice e più chiara abbiamo disciplinato in modo organico tutta la materia, evitando che le imprese, in preda a incertezze normative e col rischio di interminabili trafile burocratiche che oggi durano anche fino a due anni, considerino ogni terra e roccia da scavo come un rifiuto e non come sottoprodotto”. “Grazie a questo testo - prosegue il ministro - otteniamo tanti risultati insieme: miglioriamo la tutela delle risorse naturali grazie al minore smaltimento in discarica e al minor utilizzo di materiale di cava, ma allo stesso tempo diamo più forza alle aziende che operano nel rispetto dell’ambiente con lavori nei cantieri più veloci e potenziali minori costi derivanti dall’approvvigionamento di materia prima. Una bella novità a lungo attesa dagli operatori che riguarderà secondo le nostre stime oltre 150 mila imprese di ogni dimensione”. In un comunicato pubblicato sul sito web istituzionale, il Ministero dell’ambiente ha sottolineato che “[…] Il decreto ha come oggetto la gestione delle terre e rocce qualificate come sottoprodotti per tutti i cantieri, la disciplina del deposito temporaneo di quelle considerate come rifiuto, la gestione nei siti oggetto di bonifica. Tra i più importanti elementi di semplificazione c’è l’eliminazione delle autorizzazioni preventive attraverso la previsione di un modello di controllo ‘ex post’, con l’autocertificazione e il rafforzamento del sistema dei controlli. In particolare, viene prevista una procedura più spedita per attestare che le terre e rocce da scavo soddisfino i requisiti nazionali ed europei per essere qualificate come sottoprodotti. Fin dalla fase di predisposizione del piano di utilizzo, si prevede che i soggetti pubblici e privati possano confrontarsi con le Agenzie ambientali regionali e provinciali per le preliminari verifiche istruttorie e tecniche, anticipando lo svolgimento dei controlli di legge […]”.
NUVOLA LAVAZZA GIÀ OPERATIVA, ORA SI ATTENDE L’APERTURA DEGLI SPAZI PUBBLICI
UN NUOVO CARBURANTE PER AEREI E CAMION DERIVATO DAI RIFIUTI
Il nuovo headquarter Lavazza a Torino è un “quadrilatero polifunzionale” di circa 18.500 m2 nel cuore di Torino che, attraverso una complessa operazione di riqualificazione di un’area industriale, trasforma e dà un nuovo volto, riqualificato e smart, al quartiere Borgata Aurora. Un progetto ambizioso e aperto ai cittadini, firmato dall’architetto Cino Zucchi e fortemente voluto dalla famiglia Lavazza, che è stato studiato secondo criteri progettuali innovativi e ispirati alla sostenibilità.
Il Dipartimento dei Trasporti di Sua Maestà britannica ha deciso di stanziare 22 milioni di sterline per sviluppare un carburante per aerei e camion derivante da rifiuti. Questa idea è strettamente legata all’impegno di ridurre le emissioni di gas a effetto serra, impegno che il governo di Londra sembra aver davvero preso a cuore, visto che pochi mesi fa ha anche annunciato che dal 2040 bloccherà la vendita di auto a benzina o gasolio. Dunque l’alternativa potrebbe giungere proprio dall’immondizia, infatti secondo il Dipartimento, il combustibile ottenuto dal trattamento dei rifiuti sarebbe molto simile a quelli tradizionali e apportando alcune modifiche permetterebbe l’utilizzo degli stessi motori. Inoltre questo nuovo carburante oltre a segnare un abbattimento notevole delle emissioni creerebbe anche uno sviluppo economico stimato a 600 milioni di sterline e 9.800 nuovi posti di lavoro entro il 2030. Nelle prossime settimane inizieranno i test pratici sulla base delle sperimentazioni condotte finora in laboratorio. Diverse aziende prenderanno parte, si parla di almeno 70 gruppi, fra le quali ci sarà la compagnia aerea Virgin del magnate britannico Richard Branson, che già nel 2008 aveva provato a lanciare il biofuel nel mondo dell’aviazione civile. Il procedimento seguito si basa sull’accelerazione controllata dei processi di decomposizione dei materiali organici, dunque sia i residui casalinghi sia quelli derivati dalle lavorazioni degli idro-
Si ridisegna così l’isolato di antica industrializzazione conservando e valorizzando, nell’ottica del riutilizzo urbano, gli edifici preesistenti di maggior pregio storico-architettonico, recuperati a funzioni di interesse collettivo. A breve sarà infatti inaugurato uno spazio espositivo, un museo e un auditorium oltre a un ristorante e una terrazza al terzo piano. Gli uffici Nuvola Lavazza, già operativi, sono candidati alla certificazione LEED GOLD (Leadership in Energy and Environmental Design), la certificazione internazionale per l’ottimizzazione delle prestazioni energetico-ambientali degli edifici, che attesta l’approccio integrato a 360 gradi alla sostenibilità nelle fasi progettuali e di realizzazione dei lavori. La riduzione dell’impatto ambientale è garantita da un sistema che monitora continuamente le polveri sottili e controlla il deflusso delle acque piovane. In tal modo si stima che circa il 35% del fabbisogno elettrico sarà prodotto da una fonte rinnovabile certificata e che si riuscirà a risparmiare oltre il 30% di acqua potabile, mentre l’impianto led, associato a un evoluto sistema di illuminazione, massimizzerà la luce naturale e abbatterà i consumi di energia.
carburi vengono raccolti in un “bioreattore” dove avviene la fermentazione controllata. I batteri favoriscono la scomposizione delle materie organiche, consumano i gas e di conseguenza fanno crescere la biomassa e contemporaneamente producono etanolo. Le sostanze prodotte durante il procedimento sono poi utilizzate direttamente come materiali intermedi per la produzione di plastica, nylon, gomma o come combustibili.
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NEWS RECUPERO DEL LEGNO: UN SISTEMA PER LA TRACCIABILITÀ DI OGNI SINGOLA CASSETTA Sono state ben 400 milioni le cassette immesse al consumo in Italia nel 2016 e gli utilizzatori come grossisti, commercianti, cooperative, centri di trasformazione, compratori della grande distribuzione possono contare, nella gestione del fine vita, sull’attività di Rilegno, il Consorzio nazionale per la raccolta, il recupero e il riciclo degli imballaggi di legno, che vigila e assicura che le cassette non più utilizzabili non finiscano in discarica, ma diventino nuova materia prima, come succede per altri materiali.
Il Presidente di Rilegno, Nicola Semeraro, ha dichiarato che: “oggi sembra che l’utilizzo di imballaggi monouso sia diventato un delitto. In realtà non è così come dimostra il lavoro svolto e i risultati ottenuti dal sistema Conai in questi 20 anni. I rifiuti di imballaggio vengono raccolti, viene riconosciuto ai Comuni un corrispettivo economico e si generano anche posti di lavoro. Rilegno insieme ai propri consorziati crede, inoltre, possibile una nuova crescita del mercato. Crescita che può avvenire facendo sistema e investendo in ricerca e innovazione. Sono due i progetti a cui Rilegno sta lavorando, il primo riguarda una ricerca scientifica sul legno a contatto con gli alimenti, il secondo è un’innovazione tecnologica di sistema legata all’Industria 4.0. Le cassette in legno andranno oltre la loro natura di contenitori per ortofrutta e diventeranno veicoli di informazioni digitali utilizzabili da tutti gli attori della filiera. La tracciabilità è alle porte”. Nel 2016 l’attività di Rilegno, svolta capillarmente su tutto il territorio nazionale, ha portato a una crescita sostanziale del flusso dei rifiuti di legno avviato a riciclo. Sono state riciclate 1.627.000 t, pari a un +3,64% rispetto all’anno precedente. Oltre all’incremento dei flussi avviati al riciclo tradizionale, si è registrata la continua crescita nel settore della rigenerazione dei pallet, arrivato a superare le 721mila t recuperate. Il sistema di recupero e riciclo può contare su un network di 410 piattaforme private, diffuse sul territorio, al servizio del tessuto industriale e commerciale.
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REMTECH EXPO 2017 Remtech Expo 2017 è l’unico evento permanente in Europa dedicato ai temi delle bonifiche dei siti contaminati e della protezione del territorio dai rischi naturali e ambientali. L’XI edizione si tiene a Ferrara dal 20 al 22 settembre 2017 presso FerraraFiere, Gruppo BolognaFiere. Sono attesi oltre 6.000 esperti nazionali e internazionali, pubblici e privati, e oltre 250 imprese altamente specializzate che presenteranno a un panel selezionato di visitatori e buyer potenziali, tecnologie, strumenti e servizi qualificati per la conoscenza, la gestione e la tutela del territorio. I settori di preminente interesse sono, le bonifiche dei siti contaminati e la riqualificazione (Remtech e Remtech Europe), la tutela delle coste, la gestione dei sedimenti e i porti (Coast), la gestione dell’acqua e la mitigazione del rischio idrogeologico (Esonda), il rischio sismico (Sismo), la sostenibilità delle opere (Inertia). Inoltre quest’anno viene presentato il nuovo segmento dedicato alla rigenerazione urbana (Rigenera city e Chemtech) sulle tecnologie di riconversione della chimica verde, mentre, in parallelo, è dibattuto per la prima volta il tema del rischio e del decommissioning nucleare. A Ferrara parte anche la prima International School on Land Monitoring, che affiancherà la storica Remtech School e che abbraccerà tutti i settori della conoscenza e della difesa del territorio con un’attenzione sempre più evidente alle tecnologie di ultima generazione. Nella prima giornata di mercoledì 20 settembre, aperta dal taglio del nastro del Ministro Galletti, sono in agenda gli Stati Generali delle Bonifiche, la Conferenza Nazionale dei Porti, la Conferenza Nazionale sul Rischio Idrogeologico, il Congresso sul Green Public Procurement e la Conferenza Nazionale sul Rischio Sismico e sulla conoscenza del territorio. Seguirà una tre giorni di dibattiti, meeting, incontri bilaterali, workshop internazionali, seminari ai più alti livelli della conoscenza, tecnica, tecnologica e scientifica, che vedranno la partecipazione dei massimi esperti e delle imprese migliori. Anche l’Europa sarà grande protagonista di questa edizione.
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L’EFFETTO TRAINANTE DEGLI ACQUISTI VERDI DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE I CRITERI AMBIENTALI MINIMI SONO DIVENTATI OBBLIGATORI PER GLI ACQUISTI DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E LA PRODUZIONE SOSTENIBILE È ORMAI UN VANTO E UNA STRATEGIA COMUNICATIVA PER TUTTI I TIPI DI IMPRESA di Alberto Marenco
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na svolta epocale per il passaggio dall’economia lineare all’economia circolare è avvenuta poco più di un anno fa grazie all’emanazione del nuovo codice appalti D.Lgs n.50 del 18 aprile 2016. In particolar modo, grazie all’art. 34 è diventato obbligatorio l’inserimento dei CAM (criteri ambientali minimi) nei documenti di gara per gli acquisti previsti dalla pubblica amministrazione. In altre parole gli Acquisti verdi della pubblica amministrazione, chiamati anche Green Public Procurement (GPP), che prevedono l’integrazione di considerazioni di carattere ambientale nelle procedure di acquisto della pubblica amministrazione sono diventati obbligatori per tutti i prodotti o i servizi per i quali il Ministero dell’ambiente ha emanato i criteri ambientali minimi. Tale politica unita per esempio alla tassazione ecologica non può che avere un effetto traino per l’intera economia nazionale e non solo; la Commissione europea, lo scorso febbraio ha pubblicato un documento titolato “Riesame dell’attuazione delle politiche ambientali dell’UE. Relazione per paese – ITALIA” in cui, sono analizzate e contestualizzate le politiche ambientali attuate finora nel nostro paese. Il giudizio che traspare è tutt’altro che negativo soprattutto se paragonato all’andamento medio dei paesi dell’Unione
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europea. Nel paragrafo Tassazione ecologica e sovvenzioni che hanno un impatto negativo sull’ambiente si sottolinea che “Tassare l’inquinamento e l’uso delle risorse può generare un aumento delle entrate e apporta importanti benefici sociali e ambientali. Nel 2014 l’Italia risulta avere entrate derivanti da tasse ambientali pari al 3,6% del PIL (media UE 28: 2,46% del PIL). Nello
stesso anno le entrate derivanti dalle tasse ambientali rappresentavano l’8,28% del totale delle entrate risultanti da imposte e contributi previdenziali (media EU 28: 6,35%)” [1]. Inoltre, nel paragrafo successivo Acquisti verdi della pubblica amministrazione, si ribadisce l’importanza del GPP, il cui concetto si basa su criteri ambientali chiari, verificabili, giustificabili e ambiziosi per prodotti e servizi,
SIMONA FACCIOLI - Direttrice di Remade in Italy Laureata in Giurisprudenza con successivo percorso di studi in Diritto ambientale, inizia la propria attività in uno Studio di consulenza ambientale multidisciplinare, a Milano. Dal 2003 al 2009 è all’Osservatorio nazionale sui rifiuti (Ministero dell’ambiente), dove segue in particolare le prime mosse per l’attuazione del Green public procurement (GPP) in Italia. E’ componente, da diversi anni, della Redazione normativa di ReteAmbiente e collabora con la Rivista Rifiuti - Bollettino di informazione normativa. Dal 2014 si occupa di Certificazioni ambientali per il GPP come Direttore di ReMade in Italy, prima certificazione accreditata in Italia per verifica della tracciabilità negli eco-prodotti da riciclo. “la Commissione ha proposto dei criteri UE per gli appalti pubblici verdi. Nel 2013 l’Italia ha adottato il piano d’azione nazionale per il GPP […] Il Collegato Ambientale (articolo 19) rende il GPP obbligatorio. Un esempio di buone pratiche è Remade, il regime di certificazione accreditato messo in atto in Italia che è specificamente finalizzato alla verifica del contenuto riciclato presente in un prodotto”. Remade in Italy è un’associazione senza finalità di lucro fondata nel 2009 da Regione Lombardia, Conai (Consorzio Nazionale Imballaggi), Camera di Commercio di Milano e Amsa (Azienda Milanese Servizi Ambientali). Nel 2013 è diventata proprietaria del primo schema di certificazione accreditato in Italia per la verifica del contenuto di materiale riciclato in un prodotto. Per approfondire meglio alcuni aspetti del lavoro svolto da Remade abbiamo intervistato la Direttrice Simona Faccioli, che già da diversi anni si occupa di Green Public Procurement. Ci può presentare brevemente le attività principali dell’associazione Remade in Italy e in che contesto normativo nazionale ed europeo si inseriscono? Vorrei iniziare dicendo che questo momento è molto interessante e molto vivace per quanto riguarda le tematiche sull’economia circolare e sui mercati di prodotti derivanti da riciclo. Proprio perché in questo momento per promuovere tali prodotti si sta attuando una disposizione normativa piuttosto coerente. Il Ministero dell’ambiente, insieme ad altre istituzioni, si sta muovendo molto bene e il suo operato, se paragonato agli altri paesi europei, si può definire un esempio di buona pratica.Dunque, è un momento fondamentale per lo sviluppo del mercato dei nuovi prodotti che arrivano dal riciclo e che ormai hanno raggiunto livelli di
qualità e di performance completamente in linea con quelli dei prodotti vergini. La base di tutto è il nuovo codice dei contratti pubblici, il decreto n. 50 del 2016, che in modo assolutamente rivoluzionario e innovativo rispetto alle normative di altri stati europei, ha introdotto l’obbligo per tutte le pubbliche amministrazioni di applicare criteri ambientali minimi a tutte le procedure di gara per servizi che richiedono e aggiudicano e per l’acquisto di prodotti di qualsiasi categoria. Per esempio nel settore dell’edilizia, argomento molto attuale, uno dei criteri più diffusi e richiesti, per qualsiasi tipologia di prodotto, è l’utilizzo di materiali che arrivano dal recupero dei rifiuti. In questo contesto agisce Remade in Italy, che si può dire si sia mossa in anticipo rispetto a quello che sta succedendo dal 2016. Remade è un’associazione costituita con lo scopo di cercare un canale efficace e concreto per la promozione e lo sviluppo di questi nuovi prodotti e materiali derivanti dal riciclo. Pertanto le certificazioni hanno un ruolo fondamentale dato che i criteri ambientali devono essere verificati con certificazioni veritiere e affidabili e non tramite marchi privati, per cui si tratta di uno strumento realizzato da soggetti pubblici e messo a disposizione delle aziende secondo criteri di democraticità, accessibilità, indipendenza. La certificazione, come richiesto dal codice appalti, è accreditata ed è uno strumento che semplifica il lavoro delle pubbliche amministrazioni nella ricerca di prodotti con criteri ambientali minimi, ma allo stesso tempo deve essere uno strumento serio e non creato per puro business o per fomentare il greenwashing.
Un’azienda si può rivolgere a noi per avere qualsiasi tipo di informazione, dopo di che istaura un rapporto con l’ente di certificazione che sceglie liberamente sul mercato, contratta le giornate di verifica e si mette in condizione di provare all’ente il valore del proprio processo che porta alla creazione dei materiali di riciclo. Dunque si verifica che i prodotti derivino effettivamente da ciò che è stato dichiarato, ovvero si percorre la cosiddetta “tracciabilità del prodotto”, in esito della quale è possibile determinare l’esatto contenuto di riciclato del prodotto finito, ovvero ciò che vene richiesto nelle gare GPP. L’esito della certificazione è un’etichetta su cui le azioni condotte dal produttore hanno una rispondenza anche in termini di impatti ambientali, perché fare riciclo vuol dire anche fare bene all’ambiente: quei prodotti non sono finiti in discarica, non sono stati inceneriti ma anzi
Come fa un’azienda a ottenere la certificazione e quali sono i vantaggi che ne derivano?
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E secondo lei, a tal proposito, che grado di consapevolezza hanno raggiunto le piccole medie imprese italiane? Io ho una visione delle imprese con le quali collaboriamo e che quindi hanno già un’attenzione “evoluta“ verso queste tematiche e che spesso hanno già fatto altri percorsi di certificazione. Tali imprese non vedono l’ora di poter posizionare sul mercato i loro prodotti con quelle caratteristiche di tutela ambientale e farne anche un motivo di vanto nella loro comunicazione. Parlando invece in modo più generale, la capacità di penetrazione di queste informazioni in imprese più piccole è più difficile, quindi in questi casi servirebbe un’azione da parte, per esempio, della Camera di Commercio affinché si coinvolgano anche le piccole realtà. Infatti, anche in Italia, fare una corretta e fondata comunicazione green sui propri prodotti è ormai considerato molto produttivo, dato che i consumatori sono diventati più attenti e sensibili alle tematiche ambientali, soprattutto le nuove generazioni.
Entrate derivanti da tasse ambientali espresse in percentuale rispetto alle entrate totali risultanti da imposte e contributi sociali (escludendo i contributi sociali figurativi) nel 2014
hanno prodotto nuove materie senza che ovviamente ci sia stata un’estrazione di materie prime. Oltretutto, rispetto a dieci anni fa, si è aggiunto un elemento fondamentale, ovvero grazie all’evoluzione tecnologica, le prestazioni di tali materiali sono assolutamente allineate con quelle dei materiali vergini e, con il supporto della normativa, si sta superando quel pregiudizio negativo verso i materiali riciclati che erano sinonimi di bassa qualità. Come giudica l’operato della Commissione europea in termini di sensibilizzazione e promozione delle tematiche inerenti la circular economy? Cambiare tutto il processo di acquisto, dai bandi di gara ai criteri di selezione dei fornitori, è sicuramente un percorso che richiede ancora del tempo, ma ormai è
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stato avviato un processo virtuoso che si colloca in modo assolutamente positivo in un contesto europeo nel quale la circular economy è un tema strategico e gli atti della Commissione europea ne danno ragione. Per esempio a maggio sono stati approvati gli ultimi aggiustamenti sul “pacchetto dell’economia circolare” i quali da una parte prevedono misure e piani d’azione per far sì che tutti i paesi europei sviluppino delle strategie sull’economia circolare e dall’altra prevedono la modifica puntuale di alcune direttive incentrate sulla gestione dei rifiuti. Questi cambiamenti devono essere supportati dalla normativa, dunque, a mio avviso, l’Unione europea in questo settore merita un giudizio positivo, visto che alla strategia comunicativa unisce misure concrete ed efficaci.
Per concludere ci può accennare i servizi di consulenza e formazione che mettete a disposizione? Visto che abbiamo messo a disposizione questo tipo di certificazione, abbiamo anche deciso di fornire dei servizi di formazione e di consulenza rivolti a tutti gli addetti ai lavori (aziende, pubbliche amministrazioni ed enti di certificazione). I servizi di consulenza sono atti a fornire un accompagnamento verso la certificazione e rientrano in un ambito di assoluta volontarietà, per cui è l’azienda che sceglie di usufruirne o meno. I corsi di formazione, invece, vengono organizzati solo quando ci sono delle modifiche disciplinari particolari. Riteniamo che una formazione in continuo aggiornamento sia fondamentale affinché si valorizzino le certificazioni ambientali, sembra una banalità ma è risaputo che nel mondo delle certificazioni non sempre è stato così.
NOTE
[1] Dati Eurostat, consultabili al seguente link: http://ec.europa.eu/eurostat/en/web/productsdatasets/-/T2020_RT320
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SCENARI DI RICICLAGGIO DEI R.A.E.E. L’INCIDENZA DELL’EVOLUZIONE TECNOLOGICA DI PRODOTTO di Emilio Guidetti*
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on l’acronimo R.A.E.E. (W.E.E.E. nella stesura originale inglese) vengono definiti i rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche. Una vasta gamma di elettrodomestici, piccoli e grandi che, dopo averci accompagnato nella quotidianità con una presenza a volte invisibile a volte meno, si avviano verso il fine vita e devono essere intercettati, raccolti e riciclati. Durante il loro utilizzo quasi mai ci si interroga sulla loro pericolosità ambientale una volta che vengono dismessi. Le componenti pericolose utilizzate, soprattutto in anni passati, sono invece tali e tante da destare più di una preoccupazione nella loro gestione; quasi mai la pericolosità è da intendersi sotto il profilo igienico sanitario (almeno ad apparecchiatura integra) mentre merita grande attenzione quella ambientale legata ai gas ozono lesivi e/o climalteranti oppure a metalli pesanti
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come piombo, cadmio e mercurio largamente usati in tempi passati. La direttiva europea ha individuato dieci diverse categorie di R.A.E.E. che in Italia sono state ridotte a cinque secondo lo schema nella figura sottostante. La suddivisione è funzionale all’organizzazione del sistema logistico e al loro stoccaggio presso i centri di raccolta e, nello specifico, tende ad individuare la tecnologia di trattamento e/o le problematiche ambientali. A puro titolo di esempio il raggruppamento R1, le apparecchiature refrigeranti, sono caratterizzate dalla presenza di gas ozono lesivi e/o clima alteranti sia nel circuito che nella schiuma espansa di isolamento. Per questo è necessaria, per il loro riciclaggio, una complessa tecnologia di macinazione, separazione e intercettazione delle componenti pericolose. In modo analogo il raggruppamento R3
che identifica le apparecchiature quali monitor e TV è caratterizzato dalla presenza delle polveri fluorescenti adsorbite sullo schermo (che ci consentono di vedere l’immagine), da condensatori elettrolitici di vecchia generazione e dalla presenza di ingenti quantità di vetro che devono essere avviate a recupero.
EVOLUZIONE TECNOLOGICA DI PRODOTTO
La direttiva W.E.E.E. e, più nello specifico il recepimento della stessa nella legislazione italiana con il decreto legislativo 49/2014, all’articolo 5 comma 1 recita (tra le altre cose) “promuovere la cooperazione tra produttori e operatori degli impianti di trattamento, recupero e riciclaggio”. Certamente un principio condivisibile e auspicabile che garantirebbe all’industria del riciclaggio delle conoscenze di base sulla composizione dei prodotti che per-
metterebbe di colmare più rapidamente il gap di conoscenze necessarie. Un principio mai applicato nel concreto per una serie di motivi di cui, di seguito, se ne possono elencare alcuni: a. alcune soluzioni tecnologiche adottate dai produttori sono vantaggi competitivi sul mercato da tenere ben celati durante la vita utile del prodotto; b. il ritorno delle A.E.E. dai centri di raccolta comunali è disordinato e casuale, impossibile quindi raggruppare prodotti di un singolo brand per standardizzare il trattamento; c. l’incremento del valore delle materie prime e la crisi economica favoriscono la cannibalizzazione delle A.E.E. pregiudicando, a volte, la finalità del trattamento; d. la logica con cui si affronta la progettazione di un A.E.E. non risponde all’esigenza del fine vita ma a quella tipicamente estetica e prestazionale che consente al brand di essere scelto sul mercato dal consumatore. L’approccio alla progettazione del prodotto assume come criteri principali la prestazione e la bellezza estetica e non la gestione del fine vita, i criteri sono scelti perché probabilmente sono quelli con cui il brand è misurato sul mercato. La bellezza o l’armonia estetica è un requisito necessario nella scelta di un elettrodomestico che deve stare nelle nostre case e ben armonizzarsi con l’arredamento, le tende e i pavimenti. Il criterio di scelta del consumatore è quindi, se si vuole sopravvivere sul mercato, uno dei principali input per la progettazione. Non meno importante è la prestazione tecnica dell’elettrodomestico declinata nelle diverse categorie a seconda del tipo di A.E.E. Il frigorifero che raffredda in modo specifico ogni singolo cassetto per garantire la temperatura ideale alle verdure, alla carne, al vino. La televisione che consente di vedere in alta definizione la partita di calcio e di accedere a menu interattivi per conoscere la biografia del calciatore. Lo smartphone che consente di navigare su internet e visualizzare fotografie o scaricare applicazioni. Non credo nessuno, autore compreso, abbia mai messo tra i principali criteri di scelta le performance ambientali del pro-
dotto che stava comprando. Unica e decisamente significativa eccezione l’aspetto energetico che, normativa a parte, ha fortemente attecchito tra i consumatori perché direttamente riconducibile ad un vantaggio personale ed economico. Il criterio ambientale ed energetico, raffreddo utilizzando meno energia, ha in realtà attecchito nel consumatore perché è stato monetizzato e valutato come un imprenditore valuta un investimento in una tecnologia, “compro il frigorifero in classe A+ perché in due anni mi ripago il costo e poi risparmio in energia elettrica”.
Sempre più persone ritengono che green sia meglio e vedono quindi con favore il protocollo LEED per le aree abitative ed i prodotti, anche di largo consumo, che possono vantare di contenere materiali provenienti dalla filiera del riciclo. Di recente la pubblicità di una nota marca di acque minerali afferma di utilizzare una significativa quantità di plastica biologica nella formatura delle bottiglie: ciò vuol dire che hanno probabilmente individuato una fascia di consumatori consapevoli che mettono al primo posto, o comunque sul podio, i requisiti ambientali del prodotto.
CONSUMATORI (IN NOMEN OMEN?!)
EVOLUZIONE DI PRODOTTO E RICICLAGGIO
Nelle definizioni dei vocabolari della lingua italiana sul web cercando consumatore viene proposto principalmente, come sostantivo maschile: 1 Chi acquista e adopera un bene di consumo o un servizio: c. di sigarette Quasi in secondo piano invece l’aggettivo: agg. lett. Che consuma, distrugge. Si potrebbe pensare ad una facile ironia ma, a ben ricordare, nelle statistiche e non solo chiamiamo gli elettrodomestici beni di consumo, in grado di soddisfare un bisogno e beni destinati a finire per essere sostituiti con un altro che meglio soddisfa le nostre esigenze di consumatori. Il benessere negli anni del boom economico ha alimentato una visione consumistica del mercato che ha portato a scelte miopi che hanno negato il buonsenso dei nostri padri e nonni. Ci lamentiamo delle difficoltà legate alla raccolta differenziata e della eccessiva specializzazione necessarie dimenticando, per colpa o interesse, che una volta il latte e l’acqua erano nel vetro a rendere, non esistevano imballaggi primari secondari e terziari ma tutto era limitato all’essenziale. Anche gli elettrodomestici erano limitati allo stretto indispensabile per agevolare la vita delle persone: un frigorifero, un televisore, una lavatrice, la cucina a gas e le inevitabili lampadine. L’essenziale. Certamente è il progresso, certamente ci agevola la vita e il benessere personale. Certamente ha delle conseguenze. Le responsabilità dei consumatori sono sicuramente importanti e, probabilmente, sta aumentando la loro consapevolezza in diversi settori della vita quotidiana.
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Hanno conseguenze i comportamenti e le scelte dei consumatori nella scelta dei prodotti ma ne hanno almeno altrettante le scelte progettuali e realizzative delle apparecchiature sulla filiera del riciclaggio. Estetica, prestazione, logistica, fruibilità sono i dogmi secondo i quali progettare e realizzare i prodotti; nella pagina successiva due esempi dell’evoluzione tecnologica, sui televisori e sui PC. Ci soffermiamo su queste due particolari categorie di R.A.E.E. in quanto, probabilmente, sono quelle che condividono lo stesso trend merceologico sintetizzabile nello slogan sempre maggiori prestazioni e fruizione da parte del consumatore a fronte di sempre minore peso e materiali utilizzati. Attualmente i produttori sono riusciti a ridurre i costi del prodotto rendendolo appetibile alla grande maggioranza del mercato, ridurre i materiali utilizzati e probabilmente ridurre anche la loro qualità come “scrap” [1]. Tutto questo eccellendo nelle prestazioni e nelle sensazioni offerte al consumatore. L’evoluzione tecnologica del prodotto ha un forte impatto sulle tecnologie di riciclaggio e sulle diverse frazioni ottenute con veri e propri stravolgimenti sia nel caso delle televisioni che nei PC.
IL CASO DEI TELEVISORI
L’evoluzione tecnologica dei televisori sta lentamente portando al fine vita le apparecchiature LCD (oggi non più del 7,5 – 10% del totale R3) mutando in modo drastico sia le tecnologie necessarie che la composizione e il valore dei materiali. Con gli LCD sparisce quasi totalmente il
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vetro che rappresentava la frazione dominante sui televisori CRT e si affacciano nuovi materiali come il PMMA (polimetilmetacrilato). L’elettronica è, in peso, decisamente diminuita. Dal punto di vista del trattamento, a parità di peso, si devono trattare tra 6 e 8 apparecchiature al posto di una con un aggravio della manodopera necessaria. Non meno importante è l’adeguamento autorizzativo e impiantistico necessario per poter affrontare questo nuovo mercato, un percorso non sempre facile nei meandri della burocrazia italiana.
TELEVISORI
Televisore CRT 28” Peso 40 – 60 kg Vetro 24 – 36 kg
Televisore LCD 45” Peso 6 – 8 kg Vetro 0,5 kg
PC CASE ED EVOLUZIONE
IL CASO DEI PC
L’evoluzione del PC ha invece connotazioni diverse legate a quella che possiamo chiamare miniaturizzazione e/o alla eliminazione di componenti come i lettori e masterizzatori CD/DVD. Siamo quindi di fronte alla presenza di una riduzione delle componenti e alla miniaturizzazione delle stesse con una conseguente riduzione del valore come scrap. La riduzione del peso delle componenti riduce il ricavo per la vendita delle frazioni, oggi la voce maggiore nel bilancio di una società di trattamento, e pone problemi tecnologici e autorizzativi. Mentre l’evoluzione del trattamento di un PC può essere accompagnata senza modifiche autorizzative o tecnologiche (almeno al momento) nel caso delle televisioni occorre una modifica tecnologica importante da inserire nell’autorizzazione al trattamento. Non sempre e non ovunque i tempi di rilascio delle autorizzazioni coincidono con quelli del mercato generando gap di competitività per le imprese soggette.
LO SCENARIO PROSPETTICO
L’evoluzione di prodotto, come abbiamo visto, risponde ad esigenze del consumatore e di fruibilità del servizio. Oggi si cambia il televisore non tanto per obsolescenza tecnologica ma per quella fruizionale: non va su internet, non mi permette di vedere film in streaming. Ci si troverà di fronte ad A.E.E. “meno vecchie” e probabilmente ancora funzionanti la cui destinazione alla preparazione per il riutilizzo è al momento solo nella normativa. Allo stesso tempo andrà diminuendo il valore dei materiali ottenuti ponendo un problema di equilibrio tariffario al si-
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Case PC vecchia generazione 7,0 – 9,0 kg
Case mini PC 0,5 – 1,5 kg
Stick PC 0,055 kg (55 g)
Scheda madre PC vecchia generazione 1.120 g
Scheda madre PC mini 139 g
HDD PC vecchia generazione 580 g
HDD PC mini 60,7 g
stema in generale. L’evoluzione dell’eco contributo per le A.E.E. nuove non è detto che sia tendenzialmente in diminuzione, non probabilmente da domani ma certamente il minore valore dei materiali ottenuti dovrà essere compensato con una maggiore “gate fee” (il prezzo che si paga all’impianto per il trattamento); ovviamente per gate fee negative vedremo una tendenziale riduzione della valorizzazione dei materiali. Il sistema R.A.E.E. ha bisogno di incrementare i tassi di raccolta rispetto all’immesso al mercato, soprattutto nel segmento dei piccoli elettrodomestici e di
farsi trovare pronto alla sfida con le nuove A.E.E. che arrivano al fine vita. La speranza è quella che il sistema delle autorizzazioni colga e accompagni questa opportunità sostenendola. *Ecoproject s.a.s.
NOTE
[1] Le dorature delle vecchie schede madri, le terre rare presenti nei vecchi HDD sono minori e/o sostituite da materiali meno nobili e più prestazionali generando un upgrade qualitativo nella prestazione ma un decremento del valore del materiale come “rottame”.
MULTE E FINANZIAMENTI PER ABBATTERE LE EMISSIONI PER RAGGIUNGERE L’OBIETTIVO DI RIDUZIONE DEL 20% DELLE EMISSIONI, LA COMMISSIONE EUROPEA HA ISTITUITO UN SISTEMA CHE PREVEDE UNA QUOTA MASSIMA DI ACQUISTO DI EMISSIONI PER CIASCUNO STATO MEMBRO di Alberto Marenco
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ono ormai passati quasi dieci anni da quando, nel 2008, la Commissione europea propose una legislazione vincolante al fine di contrastare i cambiamenti climatici e migliorare la sicurezza energetica rendendola più competitiva. Il “Pacchetto per il clima e l’energia 2020” diventato legge nel 2009, prevede principalmente il raggiungimento degli obiettivi 20-20-20, chiamati così perché si riferiscono al taglio del 20% delle emissioni di gas a effetto serra (rispetto ai livelli del 1990), all’ottenimento del 20% del fabbisogno energetico ricavato da fonti rinnovabili e al miglioramento del 20% dell’efficienza energetica. L’Unione europea ha, dunque, predisposto diversi strumenti affinché si raggiungano gli ambiziosi obiettivi sopracitati. Focalizzandoci sul primo obiettivo, ovvero la riduzione del 20% delle emissioni nei paesi dell’UE, bisogna partire dal Sistema europeo di scambio delle quote di emissione (EU ETS) che è il principale strumento istituito e opera secondo il principio della limitazione e dello scambio delle emissioni. Come si legge dal sito web della Commissione europea grazie a questo sistema “viene fissato un tetto alla quantità totale di alcuni gas serra che possono essere emessi dagli impianti che rientrano nel sistema. Il tetto si riduce nel tempo di modo che le emissioni totali diminuiscono. Entro questo limite, le imprese ricevono o acquistano quote di emissione che,
se necessario, possono scambiare. Possono anche acquistare quantità limitate di crediti internazionali da progetti di riduzione delle emissioni di tutto il mondo. La limitazione del numero totale garantisce che le quote disponibili abbiano un valore. Alla fine di ogni anno le società devono restituire un numero di quote sufficiente a coprire le loro emissioni se non vogliono subire pesanti multe. Se un’impresa riduce le proprie emissioni, può mantenere le quote inutilizzate per coprire il fabbisogno futuro, oppure venderle a un’altra impresa che ne sia a corto. Lo scambio crea flessibilità e garantisce che le riduzioni delle emissioni avvengano quando sono più convenienti. Un solido prezzo della CO2 favorisce inoltre gli investimenti in tecnologie pulite e a basso rilascio di CO2”. Il sistema EU ETS si rivolge in particolar modo alle emissioni di gas per i quali è possibile effettuare misurazioni e relazioni molto precise, pertanto riguarda: l’anidride carbonica (CO2) generata dalla produzione di energia elettrica e di calore, derivante da settori industriali ad alta intensità energetica e dall’aviazione civile; l’ossido di azoto (N02) derivante dalla produzione di acido nitrico, acido adipico, acido gliossilico e gliossale e infine i perfluorocarburi (PFC) derivanti dalla produzione di alluminio. Tale sistema ha già dimostrato di funzionare, infatti le emissioni degli impianti che partecipano al sistema stanno diminuendo come auspicato, per esempio tra il
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2013 e il 2015 le emissioni sono calate del 5%. La stessa Commissione europea prevede che con questo metodo nel 2020 le emissioni dei settori disciplinati dal sistema saranno inferiori del 21% rispetto al 2005 e nel 2030 saranno inferiori del 43%. L’UE compie tali previsioni avvalendosi dell’ESD (Effort Sharing Decision), che stabilisce annualmente i limiti di emissioni per ogni paese membro (periodo 2013-2020), i quali includono anche limiti derivanti da diversi settori non presenti nel EU ETS, come i trasporti, l’edilizia, l’agricoltura e i rifiuti. Gli obiettivi annuali, chiamati AEAs (Annual emission allocations – Quote annuali delle emissioni) seguono una linea diretta tra il punto di partenza definito nel 2013 e l’obiettivo del 2020. Infatti gli Stati Membri che hanno preso parte all’obiettivo di riduzione delle emissioni devono assicurare che le loro emissioni nel 2013 non abbiano superato la media annuale registrata nel periodo fra il 2008 e il 2010 e gli Stati Membri che hanno il permesso di aumentare le loro emissioni devono assicurare che il loro livello del 2013 non abbia superato il livello definito dal percorso iniziale di riduzione delle emissioni del 2009. Le quote annuali delle emissioni sono state approvate dal Comitato dell’Unione europea per i cambiamenti climatici nell’ottobre 2012 e rettificati nel 2013 dalla Commissione europea. Per controllare le azioni degli Stati Membri e per aiutarli nell’adottare mi-
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sure correttive nel caso in cui fallissero i loro obiettivi, la Commissione europea ha istituito un efficace sistema disciplinare e di monitoraggio. Dal canto loro però i diversi stati devono redigere un resoconto annuale delle emissioni, specificando il tipo di utilizzo, la distribuzione geografica e tipi di crediti JI/ CDM [1] e i criteri qualitativi applicati. Inoltre devono fornire le informazioni riguardanti le politiche aggiuntive e le misure complementari previste per rispettare gli impegni. Ad oggi si può dunque dire che le politiche ambientali adottate dall’Unione europea stiano dando i risultati previsti dal “Pacchetto per il clima e l’energia 2020” e, sebbene si possa e si debba migliorare, la stessa Unione europea è a buon punto anche per quanto riguarda il raggiungimento degli obiettivi previsti dal protocollo di Kyoto. Il protocollo, redatto nel 1997 ed entrato in vigore nel 2005, conta sull’adesione di 192 paesi e gli obiettivi prefissati sono suddivisi in due periodi, 2008-2012 il primo, 20132020 il secondo. Rispetto agli obiettivi dell’UE per il 2020 il protocollo di Kyoto riguarda anche settori non inclusi nella normativa europea, come ad esempio il cambiamento d’uso dei suoli e la silvicoltura, ma allo stesso tempo non prevede il trasporto aereo inter-
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nazionale. Affinché si raggiungano tali obiettivi, ovviamente non è sufficiente redigere una normativa e controllare che sia rispettata. Il settore industriale, che è da sempre abituato a preoccuparsi poco del livello di emissioni, non può di certo cambiare dall’oggi al domani i metodi di produzione. Si tratta dunque di un percorso graduale che, grazie agli impegni che si sono presi con il “Pacchetto per il clima e l’energia 2020” a livello europeo e il protocollo di Kyoto a livello mondiale, è agevolato anche da finanziamenti per la ricerca e l’innovazione di tecnologie ambientali in grado di diminuire la quantità di emissioni. In particolare l’Unione europea sostiene e promuove due programmi. Il primo NER300 è uno strumento di finanziamento gestito congiuntamente alla Banca Europea degli Investimenti e Stati Membri. Si basa sull’obbligo che hanno le aziende dell’UE, che utilizzano combustibili fossili, di acquistare i diritti di emissione. I proventi della vendita di 300 milioni di permessi, ognuno dei quali equivale a una tonnellata di CO2, pari a circa 2,4 miliardi di Euro, sono utilizzati per sostenere l’installazione di tecnologie innovative per energie rinnovabili e per la cattura e sequestro di anidride carbonica.
Il secondo programma è chiamato Horizon 2020, con durata dal 2014 al 2020, ed è stato creato per sostenere e promuovere la ricerca nell’ERA - European Research Area - ovvero un sistema di programmi di ricerca scientifica che integrano le risorse scientifiche dell’Unione europea. Lo scopo del programma è quello di coordinare le singole politiche nazionali di ricerca e di riunire i finanziamenti in alcuni settori per evitare duplicazioni. Horizon 2020 prevede un finanziamento di circa 80 miliardi di euro, grazie al quale sono nati progetti che hanno un respiro internazionale e non solo europeo, come per esempio BECOOL, un programma di collaborazione fra Europa e Brasile per favorire la produzione di biocarburanti avanzati, compresi quelli per il trasporto marittimo e l’aviazione. Tale progetto è motivo di orgoglio per l’Italia in quanto è coordinato dall’Università di Bologna e, come si legge dal sito della stessa università, i tre obiettivi principali sono: “individuare sistemi di colture integrati sia per la produzione alimentare che per quella energetica, identificare sistemi logistici avanzati per la filiera dei biocarburanti e ottimizzare i processi di trasformazione biochimica e termochimica delle biomasse […]”. La ricerca e l’innovazione supportate da una normativa adeguata e in continuo aggiornamento sono dunque le armi vincenti per far sì che le imprese possano creare sviluppo mantenendo un’etica ambientale e sostenibile.
NOTE
[1] Il meccanismo di Joint Implementation (JI) è uno dei meccanismi flessibili previsti dal Protocollo di Kyoto che permette alle imprese dei paesi con vincoli di emissione di realizzare progetti che mirano alla riduzione delle emissioni in altri paesi con vincoli di emissione. I progetti JI sono “operazioni a somma zero” in quanto le emissioni totali permesse nei due paesi rimangono le stesse. Il meccanismo di Clean Development Mechanism (CDM) è uno dei meccanismi flessibili previsti dal Protocollo di Kyoto (art. 12) che permette alle imprese dei paesi industrializzati con vincoli di emissione di realizzare progetti che mirano alla riduzione delle emissioni di gas serra nei paesi in via di sviluppo senza vincoli di emissione (fonte: Ministero dell’Ambiente).
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LA GESTIONE DELLE MACERIE IN CENTRO ITALIA A UN ANNO DAL TERREMOTO DEMOLIZIONI E RECUPERO DELLE MACERIE NEI COMUNI DI AMATRICE E ACCUMOLI di Laura Veneri
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l devastante terremoto dell’agosto 2016 con le scosse che si sono succedute nei mesi successivi ha interessato un territorio esteso su quattro differenti Regioni e ha prodotto notevolissime quantità di macerie da gestire. Secondo Legambiente, che, la scorsa primavera insieme a Fillea Cgil, ha avviato un Osservatorio nazionale per una ricostruzione di qualità, a un anno dal sisma è stato rimosso solo l’8,57% delle macerie.
“Complessivamente rimangono da rimuovere oltre 2.400.000 tonnellate derivanti per la stragrande maggioranza dalle attività di demolizione parziale e totale dei fabbricati che permetteranno di ridimensionare le zone rosse. Sono macerie derivanti da edifici pubblici e da edifici privati pericolanti, la cui rimozione è propedeutica all’avvio della ricostruzione materiale e della rinascita delle comunità colpite. Aspettano di esserne liberati oltre 60 Comuni, con le loro nume-
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rose frazioni. Ma a fronte di questi numeri persino la scadenza prevista al 31 dicembre 2018 difficilmente potrà essere rispettata” – precisa l’associazione ambientalista. “C’è la necessità di fare molto prima di quella data - dichiara la presidente di Legambiente Rossella Muroni - È opportuno che il governo ripensi il ruolo della struttura del commissario straordinario per dargli più poteri e le risorse necessarie per un reale coordinamento. Le differenze nella gestio-
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dividuazione dei siti dove trattare e smaltire l’enorme quantità di inerti.
GESTIONE DELLE MACERIE DEI COMUNI DI AMATRICE E ACCUMOLI
ne delle macerie nelle quattro Regioni sono troppe. La rinascita dell’Appennino ha bisogno, ora, di una visione unitaria”. Dai dati presentati da Legambiente risulta che Marche e Lazio sono le zone più colpite. La Regione Lazio stima una quantità di macerie pari a 1.280.000 tonnellate, concentrate nei territori dei Comuni di Amatrice e Accumoli. A fine luglio quelle raccolte erano circa 100.000 tonnellate, pari al 7,77%. La stima della Regione Marche, con l’area del cratere più vasta, è di 1.120.000 tonnellate di macerie, di cui 117.500 già raccolte, il 10,50%. Su 87 Comuni colpiti, 52 sono ancora invasi dalle macerie e ben 9 sono ancora impossibilitati ad avviare la raccolta degli inerti poichè inaccessibili a causa dell’inagibilità delle vie di comunicazione. Situazione estrema è quella di Arquata del Tronto, con le sue frazioni di Pescara del Tronto, Tufo, Capodacqua, assolutamente impraticabili. L’Umbria e l’Abruzzo stimano rispettivamente 100.000 e 150.000 tonnellate di macerie. E se l’Umbria ne ha raccolto il 10,20%, la Regione Abruzzo non ne ha ancora avviato la raccolta. Ognuna delle quattro Regioni ha interpretato le varie norme e ordinanze nazionali che si sono succedute producendo pratiche diverse. Per questo, l’associazione ambientalista auspica un coordinamento fattivo da parte del Commissario straordinario, con l’obiettivo di individuare le migliori pratiche per ogni fase della filiera e renderle operative in ogni Regione.
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Sulla base di quanto osservato, infatti, secondo l’associazione ambientalista le differenze tra le Regioni sono troppe e non tutte giustificabili dalle specificità delle situazioni. Eclatante, per esempio, la diversità di gestione tra le due regioni maggiormente colpite. La Regione Marche si è affidata alle due società a partecipazione pubblica: Cosmari per la gestione delle macerie di tutta la provincia di Macerata (area territorialmente più vasta) e Picenambiente per quelle delle province di Ascoli Piceno e di Fermo. Le due società trasportano prima tutte le macerie presso i loro siti di deposito temporaneo, separano i materiali per poi destinarli in altri siti. Gli inerti, che costituiscono oltre il 98% delle macerie, riprendono quindi a viaggiare verso i siti di imprese private per il trattamento/smaltimento allungando, in alcuni casi raddoppiando, i chilometri percorsi. Inoltre, le demolizioni necessarie per rendere disponibili le macerie vengono messe a gara dai singoli Comuni, che significa rispettare i tempi dell’iter procedurale per ogni provvedimento di demolizione. La Regione Lazio ha affidato fin da subito tutto ai privati, prima organizzando gare separate per le fasi di separazione, trasporto e gestione dei due siti di deposito temporaneo individuati dalla stessa Regione nei Comuni di Posta e di Accumoli. Con l’ultima gara del 10 agosto scorso invece ha scelto di affidare alle ditte appaltatrici la gestione dell’intera filiera: dalla demolizione fino allo smaltimento, lasciando quindi ai privati l’in-
Il Presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti, durante le cerimonie di commemorazione per il terremoto, ha dichiarato che “sull’avvio della gestione delle macerie c’è stata attenzione massima con gare controllate per la rimozione dell’amianto, per evitare errori commessi in passato, e con tonnellate di macerie segnate dall’amianto rimosse. Siamo a oltre 100.000 tonnellate di macerie su aree pubbliche, circa l’80 per cento delle macerie di questa categoria. Sono a questo punto avviate totalmente le gare per la rimozione delle macerie private compreso il viale principale del Comune di Amatrice. Adesso deve entrare nel vivo quella fase di ricostruzione che sarà impegnativa e difficile”. Ed è stata vinta da Garc la gara per la gestione delle macerie dei Comuni di Amatrice e Accumoli. Garc, nata nel 1975, è un General Contractor in campo civile ed industriale, con una forte predisposizione alla gestione di progetti a forte integrazione tra tutte le competenze specifiche oggi richieste nelle costruzioni: edili, elettriche e meccaniche. Nell’ambito ambientale si occupa di tutte le tematiche relative al recupero di materia in ogni ambito possibile. Dal recupero di siti contaminati attraverso la realizzazione di interventi di bonifica sino alla valorizzazione dei rifiuti solidi nei propri impianti. Garc oggi impegna circa 200 collaboratori diretti e sviluppa un valore della produzione di 60 mln di euro. Ha la propria sede produttiva a Carpi e uffici commerciali a Milano, Assisi, Macerata e Amatrice. Garc nella fase emergenziale post sisma si è occupata dei siti di Accumoli e di Posta in cui sono state trattate le macerie che occupavano le strade di Amatrice e Accumoli e che ora sono stati chiusi perché la viabilità è pressoché libera in quei Comuni. La gestione delle macerie nella fase emergenziale ha seguito il seguente ordine: censimento, raccolta, trasporto, deposito temporaneo, trattamento, recupero e riutilizzo. Una prima differenziazione delle macerie riguarda la distinzione tra macerie pubbliche e macerie private. Nella filiera pubblica rientrano i materiali derivanti da crolli e insistenti su aree pubbliche, dalle attività di
demolizione e abbattimento degli edifici pericolanti su ordinanza sindacale e da interventi edilizi effettuati su incarico della pubblica amministrazione. Nella filiera privata i materiali derivanti da crolli di edifici privati su aree private o da interventi edilizi privati di vario genere. Nella Regione Lazio le amministrazioni competenti hanno avuto la responsabilità dell’individuazione dei siti di deposito temporaneo. L’individuazione dei siti è effettuata in conformità ai principi generali di salvaguardia dell’ambiente e della salute pubblica: aree pianeggianti molto prossime alle zone di operazione, non soggette a rischio idraulico o idrogeologico e adeguatamente segnalate e delimitate. I siti di deposito temporaneo dovevano inoltre garantire che i mezzi di trasporto potessero entrare senza problemi di sicurezza e dovevano essere dotati di pesa mobile per tracciare e quantificare il rifiuto in ingresso. Il sito infine doveva essere organizzato per garantire l’univoca attribuzione delle macerie a quel luogo di raccolta, anche per la rendicontazione. Le macerie sono classificate come rifiuti solidi urbani, in particolare come “rifiuti indifferenziati residui” limitatamente alle fasi di raccolta e trasporto (Codice CER Indicato: 20.03.99 Rifiuti Urbani non specificati altrimenti). La redazione di Recover per comprendere meglio le tempistiche e le difficoltà operative del lavoro effettuato da Garc Spa ha intervistato Giorgio Grillenzoni, coordinatore delle operazioni Centro Italia. “Siamo arrivati in questi territori a novembre 2016 - racconta Grillenzoni - in quanto ci sono state aggiudicate due gare per il trasporto e il trattamento finale degli inerti che erano posti sulla viabilità pubblica nei comuni di Amatrice e Accumoli e nelle rispettive frazioni. Il lavoro in quella fase emergenziale è stato quello di trasportare il materiale con i nostri veicoli presso due cave dismesse che sono state messe a disposizione dai Comuni come siti di stoccaggio”. Le cave sono state individuate dai rispettivi Comuni e in ognuna sono state ricevute, trattate e recuperate solo le macerie prodotte nei crolli dei territori comunali di competenza. I rifiuti da demolizione che sono stati prodotti nei siti sono stati riutilizzati dai Comuni stessi per le opere pubbliche come ad esempio per i basamenti delle casette. “Nei siti di stoccaggio - prosegue Grillen-
zoni - abbiamo inizialmente pulito e diviso le macerie per tipologia in quanto erano presenti svariati rifiuti. Dopo una prima fase manuale abbiamo industrializzato il processo, anche grazie alla consulenza di Impianti Industriali Srl che ci ha fornito a noleggio vagli e frantoi. In ogni cava abbiamo disposto un vaglio, alla cui uscita era inserito un nastro trasportatore lungo 20 metri su cui un numero di operatori variabile da quattro a sei svolgeva la selezione manuale togliendo le frazioni di carta e plastica e lasciando i rifiuti inerti che proseguivano il viaggio sul nastro trasportatore fino ad un frantoio per la riduzione volumetrica. Il prodotto alla fine del ciclo è stato certificato secondo la normativa”. Nei siti di stoccaggio per il trattamento delle macerie erano quindi presenti due linee, una composta da vaglio Warrior 800, nastro Telestack 420 e frantoio Premiertrak 300 e l’altra composta da vaglio Warrior 800, nastro e frantoio Metrotrak. Nella prima fase Garc ha messo a dispo-
sizione una forza lavoro che è arrivata alle quaranta unità. Nella gestione della fase emergenziale nei siti di Posta e Accumoli sono state trattate circa 100.000 t di macerie. Ad oggi la fase di prima emergenza per lo sgombero della viabilità è terminata e Garc ha vinto gli appalti della rimozione e dell’avvio allo smaltimento delle macerie del centro di Amatrice e delle frazioni di Accumoli. In questi nuovi bandi sono considerate anche demolizioni pubbliche e private. Questi nuovi bandi prevedono che il materiale venga smaltito in aree definite dalle aziende vincitrici dell’appalto. “Noi continueremo con il lavoro che abbiamo fatto sinora di pulizia dei rifiuti ma lo faremo nell’ambito dei cantieri utilizzando gli stessi macchinari - continua Grillenzoni - I due bandi che ci sono stati assegnati sono due appalti da 6 milioni di euro (uno da 5 milioni di euro e uno da 1 milione di euro) facenti parte di un lavoro complessivo da 10 milioni euro”.
LE MACCHINE IMPIEGATE NEI SITI DI STOCCAGGIO VAGLIO POWERSCREEN® WARRIOR 800
Il modello Powerscreen® Warrior 800 è un vaglio inclinato multiuso per carichi pesanti a 2 banchi, adatto ad operazioni di stoccaggio, classificazione a 3 frazioni e vagliatura a monte e a valle del frantoio. Con una produzione oraria fino a 280 t/h questa macchina presenta vantaggi legati ai tempi di messa in servizio ridotti, alla semplicità di utilizzo grazie ai trasportatori di coda e laterali a ripiegamento idraulico, ai fianchi rigidi della tramoggia di alimentazione e alla traslazione a due velocità.
FRANTOIO POWERSCREEN® METROTRAK
Il Powerscreen® Metrotrak è un frantoio a mascelle compatto, cingolato, con prestazioni elevate e una produzione oraria fino a 200 t/h. Grazie a un’energica azione di frantumazione e a una produzione elevata anche in condizioni estreme, il Metrotrak è perfetto per imprese di piccole e medie dimensioni operanti nel settore minerario, della frantumazione e del riciclaggio.
FRANTOIO POWERSCREEN® PREMIERTRAK 300
Il frantoio Powerscreen® Premiertrak 300 è realizzato per imprese di media grandezza operanti in applicazioni di frantumazione, estrazione, demolizione e riciclaggio. La serie comprende il Premiertrak 300 con regolazione idraulica e il Premiertrak R300 con apertura idraulica, entrambi con una produzione oraria fino a 280 t/h. Oltre ai vantaggi legati alla mobilità su cingoli che consente tempi di messa in servizio rapidi, la regolazione idraulica del frantoio permette un controllo totale delle dimensioni del prodotto e la protezione dal sovraccarico evita i danni dovuti a oggetti non frantumabili. www.impiantindustrialisrl.it
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PRIMA EDIZIONE PER BIE – BIOMASS INNOVATION EXPO SI TERRÀ A MILANO DAL 13 AL 16 MARZO 2018 IN CONCOMITANZA CON MCE-MOSTRA CONVEGNO EXPOCOMFORT di Flaminia Parrini*
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ervono i lavori per BIE – Biomass Innovation Expo 2018, la nuova manifestazione dedicata al riscaldamento da biomasse e alle tecnologie legate alla produzione di energia termica attraverso la combustione delle sostanze legnose. BIE si propone come una fiera ritagliata su misura per le esigenze della filiera di riferimento, una vetrina completa dedicata a prodotti e tecnologie di ultima generazione per il riscaldamento per uso domestico e industriale alimentati a biomasse che consentono di risparmiare rispettando l’ambiente: stufe, caminetti, cucine e caldaie a legna e pellet, termocamini, termostufe, accessori, bruciatori, barbecue, canne fumarie, macchine e tecnologie fra le più innovative. BIE si svolgerà a Milano, cuore pulsante del business italiano e internazionale, in una sede moderna e prestigiosa; l’evento sarà concomitante con la storica manifestazione MCE – Mostra Convegno Expocomfort e si svolgerà nel padiglione 6, adiacente ai padiglioni di MCE dedicati al riscaldamento, così da amplificare le sinergie tra le due manifestazioni. Seppure alla sua prima edizione, BIE avrà il vantaggio di poter godere della forza mediatica di MCE come palcoscenico internazionale dalla grande visibilità e risonanza nell’intera industria che a ogni edizione attira oltre 155.000 visitatori da tutto il mondo. Il Comitato Scientifico di BIE, formato dalle Associazioni di categoria ed Enti pubblici che hanno dato da subito il loro patrocinio all’iniziativa, è composto da organizzazioni in rappresentanza sia del mondo industriale, sia di quello tecnico professionale: Ceced, Unicalor, Assocamini, Assocosma, Anfus, Amici della Terra, Enea, Federforeste e Innovhub (Camera di Commercio di Milano). Il Comitato Scientifico sta lavorando alla costituzione di un programma di attività, workshop e iniziative di natura tecnico-scientifica che andranno ad arricchire significativamente l’offerta espositiva. Una piattaforma pensata appositamente per i tecnici del settore, installatori ITS e distributori, progettisti e interior designer, sempre alla ricerca di soluzioni eleganti, efficienti e tecnologicamente avanzate. “Il nuovo progetto BIE - Biomass Innovation Expo – spiega Massimiliano Pierini, Managing Director di Reed Exhibitions Italia – andrà ad aggiungere valore a quel tessuto imprenditoriale di MCE che lavora sull’efficienza energetica e sulla qualità ambientale delle nostre città, della nostra industria e delle nostre case”. BIE vuole offrire agli operatori una panoramica merceologica perfettamente integrata, in grado di rispondere al meglio alle necessità di una progettazione della climatizzazione invernale all’insegna dell’efficienza, della sostenibilità e del design. BIE ha inoltre il vantaggio di potersi avvalere della forza del Gruppo Reed Exhibitions, leader mondiale nell’organizzazione di fiere che gestisce oltre 500 eventi in 30 Paesi in 43 settori industriali e che, grazie alla sua presenza geografica capillare, garantisce un’ampia attività di promozione su un target internazionale altamente profilato. Gli aggiornamenti sul programma della manifestazione sono disponibili su www.bie-expo.it. *BIE, Ufficio Stampa
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SI FA STRADA IL TRATTAMENTO DELL’AMIANTO CON LE MICROONDE DALL’INCUBATORE DEL POLITECNICO DI TORINO È NATA UNA START-UP CHE RENDE AMORFO L’AMIANTO E LO TRASFORMA IN UN MATERIALE DA COSTRUZIONE di Maeva Brunero Bronzin
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n Italia è vietato produrre, vendere e utilizzare amianto da ormai 25 anni, ovvero dall’entrata in vigore della legge n. 257 del 1992, che stabilisce le modalità di dismissione delle attività connesse all’estrazione e alla lavorazione della fibra base dell’amianto ovvero l’asbesto. Tale legge, inoltre, è stata la prima a occuparsi anche della tutela dei lavoratori esposti alle varie tipologie di amianto, infatti l’asbestosi, la malattia polmonare conseguente all’inalazione di fibre di asbesto, è stata la prima malattia professionale correlata all’amianto riconosciuta dall’INAIL, successivamente, nel 1994, sono state riconosciute come tali anche il mesotelioma e il carcinoma polmonare.
L’Osservatorio Nazionale Amianto - ONA Onlus, il quale compie ricerche e studi inerenti alla presenza di fibre di asbesto in Italia con il fine di tutelare e assistere i lavoratori e i cittadini esposti ad amianto, ha sottolineato come si registrino una media di 6000 decessi annui per malattie amianto-correlate. Se a questo dato sommiamo il fatto che ci sono ancora 2400 scuole nelle quali sono presenti manufatti in amianto si realizza quanto sia seria la questione in Italia e quanto ancora sia rimasto da fare. Nel mese di maggio, a causa di un grave incidente avvenuto a Pomezia, dove ha preso fuoco l’impianto di stoccaggio rifiuti Eco X, il tema della sicurezza e della salute in merito alla presenza di amianto nelle nostre città è tornato a occupare le
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prime pagine dei giornali, dimostrando quanto sia necessario cercare di accelerare il processo di bonifica di questo materiale dagli edifici pubblici, privati e industriali. A tal proposito una start-up di Torino, Microwaste (www.microwaste.eu), sta sviluppando una nuova tecnologia, in grado di convertire i rifiuti contenenti amianto in un materiale sicuro mediante impianti mobili basati su una tecnologia a microonde. Il processo che rende inerte l’amianto consiste nel riscaldamento a temperature elevate (1000 - 1500°C), provocando una completa modifica della sua struttura chimica, rendendolo di conseguenza innocuo sia per l’uomo sia per l’ambiente. Inoltre questo processo oltre a eliminare la cancerogenicità del materiale, lo trasforma in un materiale che aggiunto al cemento crea uno speciale composto da costruzione. La start-up è ospitata presso I3P, l’incubatore d’imprese del Politecnico di Torino che si occupa di supportare start-up fondate sia da ricercatori universitari che da imprenditori esterni. Microwaste è fra i progetti selezionati per partecipare allo Stage 2 del programma Climate-KIC StartUp Accelerator Italy 2017, un percorso che prevede attività di coaching, formazione, accesso a spazi, assistenza sulla tutela della proprietà intellettuale e sugli strumenti di finanza agevolata e inoltre è fra gli 8
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vincitori (2017) del premio “YEI Franci@ Startup” organizzato dall’ambasciata francese in Italia rivolto alle start-up innovative italiane. Al fine di approfondire le peculiarità di tale innovazione abbiamo intervistato l’ideatore e amministratore delegato di Microwaste, Fabio Desilvestri, che ci ha aiutato a comprendere al meglio questa tecnologia. Com’è nata Microwaste? La società nasce da una collaborazione
personale con una società polacca che aveva lavorato per lo sviluppo di una tecnologia per il trattamento dell’amianto. Ho proposto a questa società di occuparmi della sperimentazione della tecnologia e da qui è nata Microwaste. La società dunque sviluppa macchinari innovativi per il trattamento dei rifiuti, in particolare in questa fase sperimentale ci siamo concentrati su quelli contenenti amianto, in quanto il contesto internazionale ne richiede una soluzione definitiva e affidabile.
Quindi la tecnologia si basa su un trattamento termico, ci può dire qualcosa in più? La tecnologia consiste nel riscaldamento dell’amianto ad alte temperature (tra i 1000 e 1500°C), questo processo ne modifica la struttura chimica, di conseguenza la struttura fibrosa diventa amorfa e il materiale in uscita, che è un inerte, non è nocivo né per l’uomo né per l’ambiente. Inoltre è stato verificato che questo materiale se aggiunto al cemento crea un materiale da costruzione con proprietà simili al cemento pozzolanico, assumendo dunque una valorizzazione dal punto di vista di materia prima secondaria. Quindi l’eventuale pericolosità di sottoprodotti è stata esclusa? E’ stata esclusa ma ovviamente, in ogni nazione in cui esporteremo questa tecnologia svolgeremo una sperimentazione specifica con i vari enti preposti, in modo da dimostrare ancora una volta la bontà del processo. Per quanto riguarda l’amianto in forma amorfa si tratta di dargli una marchiatura specifica CE, che faremo nella fase di sviluppo sperimentale. Mentre oltre a questo non si hanno altri sottoprodotti. In che fase siete nel processo di industrializzazione? In questo momento siamo in una fase di sperimentazione industriale, una fase in cui andiamo a contestualizzare l’innovazione tecnologica. Si tratta di andare sul campo con impianti pilota a validare tutto quello che è stato testato in ambito di laboratorio.
Stato delle bonifiche dei siti d’amianto d’origine antropica (ANSA)
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Per questa fase avete dei partner nel mondo del trattamento dei rifiuti? Stiamo finalizzando le trattative con due partner, uno studio di ingegneria e una
società di bonifica amianto, entrambe in Italia e con 20 anni di esperienza nel settore. All’estero invece stiamo finalizzando una trattativa con un gruppo francese che opera anche in altri stati europei. Nei decenni passati sono state tante le tecnologie più o meno innovative che sono state vagliate tentando una risoluzione definitiva per il trattamento dell’amianto. Qual è dunque il punto di forza della vostra tecnologia rispetto a quelle passate? Il punto di forza è che l’impianto è pensato su scala industriale, la tecnologia e il metodo sono stati sviluppati nel corso di due progetti FP7 (Framework Programmes for Research and Technological Development) della Commissione europea, quindi non da Microwaste ma da altre società che hanno sviluppato questa tecnologia con finanziamenti europei. Vi sono dunque dei rapporti finali della sperimentazione che sono molto incoraggianti, nel senso che un estratto di questo rapporto afferma appunto che l’uso massiccio del dispositivo risolverà il problema dei rifiuti contenenti amianto su larga scala con minime minacce per l’ambiente in confronto al metodo dello stoccaggio. Un altro aspetto per me fondamentale di questa tecnologia è che non produce emissioni in atmosfera. Parlando invece degli aspetti che spesso scoraggiano anziché invogliare l’innovazione, come si inserisce questo trattamento in quella che è la normativa italiana per il trattamento dei rifiuti? Per quel che mi risulta c’è già una normativa specifica (D.M. 248/2004), tuttavia è chiaro che serve un supporto di tutto il sistema dal punto di vista autorizzativo, per il semplice fatto che probabilmente la normativa non prevede nello specifico questo tipo di trattamento. Crediamo sia necessario un supporto istituzionale relativo agli aspetti normativi. Può capitare infatti che un determinato progetto innovativo trovi ostacoli a causa di un “grigio” normativo su quella specifica materia, lasciando l’Imprenditore impotente. Per quanto riguarda il nostro settore, a livello istituzionale, c’è stata la risoluzione del Parlamento europeo nel 2013 che ha chiarito alcuni punti, per esempio esplicitando la preferibilità
di impianti di inertizzazione dell’amianto rispetto alla realizzazione di discariche dedicate, poiché queste rappresentano solo una soluzione provvisoria del problema. Questo è stato un punto di partenza sul quale abbiamo voluto focalizzarci. Un altro punto importante riguarda il rapporto INAIL del 2015, il quale afferma che la capacità residua delle discariche italiane era intorno ai 2,4 milioni di metri cubi, quindi circa 14 anni di autonomia. Infatti secondo diverse stime, che non sono mai definitive perché molte volte sono in crescita, è risaputo che ci aspettano circa 80 anni di bonifiche, quindi abbiamo ancora una enorme quantità di amianto a livello nazionale che non trova destinazione nelle sole discariche italiane. Un ultimo punto è che il 50% dell’amianto rimosso nei luoghi di vita e di lavoro viene spedito all’estero, confermando una forte dipendenza dalle discariche estere e una non autosufficienza negli anni a venire. Avete già fatto un passaggio con gli enti pubblici per promuovere questa tecnologia? Siamo stati convocati in audizione in commissione ambiente al Senato e, di recente, ai lavori di un convegno al Campidoglio. Sicuramente c’è un grande interesse sia mediatico che tecnico per definire quelle che sono le strategie nazionali. Si può dire comunque che il riscontro è stato positivo anche per il fatto che la nostra idea nasce nell’ottica della filiera corta di smaltimento e dunque si pone in contrapposizione con la costruzione di grandi impianti che processano centinaia di migliaia di tonnellate di rifiuti all’anno. Il nostro obiettivo è di istituire una filiera corta di smaltimento diffusa sul territorio nazionale ed è proprio questo l’aspetto che ha suscitato maggiore interesse, oltre alla possibilità di generare lavoro locale, evitando il trasporto dell’amianto stesso per chilometri e chilometri. Dal punto di vista autorizzativo noi ci sentiamo fiduciosi, visto che utilizziamo, di fatto, tecnologie consolidate, ciò che bisogna dimostrare è che il materiale in uscita non sia dannoso, che non vengano rilasciate emissioni in atmosfera e che dunque non ci sia alcun tipo di impatto diretto o indiretto sull’ambiente.
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Quindi parliamo di filiera corta perché la vostra tecnologia è applicabile con modalità di impianto mobile? L’impianto mobile è stata una scelta strategica iniziale poiché di fatto sono state progettate entrambe le soluzioni, impianto mobile e impianto fisso dove ovviamente è possibile processare quantità di materiali nettamente maggiore impiegando sempre la stessa tecnologia. La nostra scelta di promuovere l’impianto mobile è dovuta al fatto che, occupando il volume di due container, l’impianto può essere utilizzato direttamente in cantiere o nei centri preliminari di stoccaggio. L’idea è proprio quella di collocare i nostri impianti in questi centri, che in Italia sono più di 500, e che fungono da punto di raccolta prima che l’amianto sia trasportato in discarica. Questo trattamento lo state sperimentando su determinate tipologie di amianto e di manufatti o è adattabile a tutti i prodotti in amianto? La tecnologia è applicabile a tutti i manufatti contenenti amianto sia in forma compatta che friabile. Dal punto di vista del processo è possibile avere qualche dato in più sulla capacità dell’impianto? Per la configurazione mobile si parla di una portata di 500 kg/h, mentre per la configurazione fissa sarà di 5000 kg/h circa. La società è concentrata solo sul trattamento dell’amianto o sulle tecnologie di trattamento dei rifiuti in generale? Ci occupiamo di tecnologie di trattamento dei rifiuti in generale, perché ci sono tecnologie diverse che possono essere dedicate ai rifiuti urbani, ai rifiuti ospedalieri e alle fibre artificiali vetrose, altro materiale sul quale ci stiamo concentrando a causa delle sue caratteristiche di cancerogenicità.
NOTE
[1] Risoluzione del Parlamento europeo del 14 marzo 2013 sulle minacce per la salute sul luogo di lavoro legate all’amianto e le prospettive di eliminazione di tutto l’amianto esistente.
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25 ANNI DI TREVI BENNE LA SOCIETÀ DI NOVENTA VICENTINA HA FESTEGGIATO I PRIMI 25 ANNI DI ATTIVITÀ di Laura Veneri
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ono venuti da tutto il mondo per festeggiare il traguardo dei 25 anni di Trevi Benne Spa. In tantissimi hanno partecipato per dimostrare l’amicizia che li lega all’azienda, in una festa sontuosa che ha celebrato l’imprenditoria made in Italy. I fratelli Vaccaro, insieme alla dirigenza Trevi Benne, hanno ringraziato tutti i partecipanti per la vicinanza dimostrata ma soprattutto i dipendenti, alcuni con loro dall’inizio dell’avventura. La storia dell’azienda inizia nel 1992 quando il padre di Luca e Lucia, Tiberio Vaccaro fondò la Trevi Benne, che oggi produce circa 4.000 benne all’anno, un’azienda leader nel mondo il cui fatturato è rivolto prepotentemente all’estero. Il giorno della festa è stato il momento per inaugurare anche un nuovo capannone di 900 m2 con una copertura di 420 m2 che lo unisce allo stabilimento già operativo dal 2007. La nuova struttura è dotata di tre carroponti di cui uno da 35 t e una decina di nuove postazioni di lavoro. La festa è stata l’occasione per raccogliere qualche dichiarazione della proprietà e degli ospiti che vi riproponiamo, in quanto dalle parole dei singoli si percepisce la grandezza dell’azienda. Lucia Vaccaro, Vice Presidente: “Vi ringraziamo tutti del vostro calore e affetto in una giornata così importante per noi”. Luca Vaccaro, Presidente Trevi Benne: “Ringrazio tutti gli ospiti per la presenza a questa festa. Un ringraziamento speciale ai miei dipendenti, soprattutto a quelli che sono con noi da tanti anni e alcuni dall’inizio dell’avventura. Nonostante le varie difficoltà nell’essere imprenditore, sono felice di essere arrivato a questo traguardo”. Mattia Veronese, Vicesindaco di Noventa Vicentina: “L’importante di un’azienda è trovare il terreno fertile in un territorio che sa valorizzare le forze produttrici della nostra realtà e Trevi Benne su questo ha il pieno appoggio dell’amministrazione comunale di Noventa Vicentina e degli altri comuni del territorio e di tutta la Regione Veneto. 25 anni di storia sono un traguardo assai importante che questa azienda vuole condividere con tutta la comunità noventana. Trevi Benne è una realtà produttiva che merita di essere guardata come esempio anche dagli altri settori perché siamo in una situazione di crisi ancora da superare totalmente e questa azienda vincente dà forza, coraggio e ottimismo anche per gli altri settori”.
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Michele Botton, Direttore generale e Consigliere di amministrazione di Trevi Benne: “25 anni sono un traguardo importante, un percorso lungo e impegnativo che però non consideriamo un punto di arrivo ma una solida base per ripartire verso nuovi obiettivi futuri e ambiziosi. Riteniamo però doveroso iniziare questa giornata con un ringraziamento a tutti coloro (persone e aziende) che hanno contribuito agli attuali risultati della Trevi Benne. Prima di tutto i nostri clienti esteri e italiani, i rivenditori, i dealers che con la loro fiducia ci hanno consentito di crescere costantemente in questi anni. Grazie anche ai nostri fornitori per la loro disponibilità e flessibilità, agli agenti e ai professionisti che ci hanno assistito e che ci assistono tuttora. Una menzione particolare ai nostri dipendenti e a tutte le donne e agli uomini che quotidianamente condividono con noi questo progetto, in questi 25 anni ci sono stati momenti belli di soddisfazione ma anche alcuni momenti di difficoltà che abbiamo superato insieme. Abbiamo sempre creduto nella qualità del nostro lavoro e questo è fondamentale perché non è facile fare impresa”.
Il consiglio del direttivo dell’associazione conferisce al presidente Luca Vaccaro l’onorificenza di ambasciatore WellDone in Italy 2018 con la seguente motivazione: “Per aver sempre creduto nel proprio istinto inseguendo un’idea di impresa del domani che vede nella somma delle singole professionalità la forza di un gruppo. Luca Vaccaro ambasciatore del benfatto in Italia”.
Flavio Lorenzin, Presidente di APIndustria-Confimi di Vicenza: “Ringraziamo Luca e Lucia per averci voluto qui a festeggiare i primi 25 anni. Un traguardo sicuramente importante ma da imprenditore voglio credere che sia un punto di partenza. Un punto di partenza che ha dei buonissimi presupposti perché le ambizioni, le prospettive e la crescita di questa azienda sono un punto di riferimento per il territorio e le persone che in quest’azienda lavorano e ripongono la propria fiducia e le speranze per il futuro. Vorrei sottolineare anche il valore sociale delle nostre imprese che non vivono solo per produrre utili ma hanno nel loro dna un forte valore sociale, una voglia di creare rete e benessere sul territorio. Questo è uno dei grandi valori delle imprese venete come Trevi benne. Aspettiamo l’invito per la festa dei cinquant’anni!”.
Il consiglio direttivo dell’associazione WellDone in Italy conferisce a Lucia Vaccaro il premio WellDone in Italy 2018 con la seguente motivazione: “Per l’audacia, l’innovazione e l’attenzione profusa in questi 25 anni prima di tutto ai propri lavoratori e al prodotto, creando opportunità di sviluppo nel territorio. Trevi Benne: orgoglio del benfatto in Italia”.
Paolo de Giuli, lavora in Trevi Benne da 12 anni: “Luca Vaccaro è una persona molto generosa e modesta. È uno di noi, con cui ci si interfaccia volentieri. È una gran bella azienda”.
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Valter Carlesso, consulente esterno: “In Trevi Benne è bello lavorare perché sembra di essere in una grande famiglia, dai titolari a tutti i colleghi. Nel bene e nel male ma soprattutto nel bene, c’è un confronto con tutti”.
Sandra Trentini e Valentina Ferronato di Samoter. “Trevi benne è un’azienda fantastica e Made in Italy al 100%. Complimenti a Christian Tadiotto che ha organizzato una festa perfetta”.
Francesco Garavini Carmi Spa, Concessionario Emilia Romagna: “Lavoriamo con Trevi Benne da circa cinque anni e abbiamo potuto vedere la crescita dell’azienda. I loro prodotti sono molto validi, si lavora bene con loro perché sono professionali e puntuali. Vogliamo ringraziare soprattutto Simone Piva per il rapporto di fiducia che ha nei nostri confronti”.
Stefano Bonini SSAB Swedish Steel: “Ancora una volta la Trevi Benne ha dimostrato di essere un’azienda con un passo più veloce degli altri. 25 anni sono tanti se si pensa che Luca Vaccaro è ancora un ragazzo. Un grosso riconoscimento a Luca, alla famiglia, ai dipendenti per il bellissimo percorso che hanno fatto fino ad ora”.
Hand Baumaschinen AG, Concessionario Svizzero: “La festa è stata grandiosa, il cibo buonissimo e la compagnia ottima. Facciamo tanti auguri alla Trevi Benne”.
Famiglia Paolieri Fercart: “Nel corso degli anni in cui abbiamo avuto modo di relazionarci con questa azienda ci siamo convinti che il merito maggiore da riconoscere alla proprietà sia stato quello di saper “vedere dentro” alle persone e di saper scegliere i giusti collaboratori, i quali assieme alla famiglia Vaccaro hanno fatto di Trevi Benne una realtà importante, un sinonimo di successo industriale del nostro territorio”.
Pietro Cosola, Demolscavi: “Siamo clienti di Trevi Benne da una ventina di anni e siamo molto contenti dei loro prodotti. Siamo venuti in cinque per festeggiare con loro questo importante traguardo”.
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INTERVISTA DOPPIA UNA DOPPIA OCCASIONE PER CONOSCERE MEGLIO TOMRA RECYCLING E APPROFONDIRE IL MERCATO DEI METALLI di Laura Veneri
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OMRA Sorting Recycling progetta e realizza sistemi per la separazione di frazioni specifiche dal flusso dei rifiuti. La qualità della tecnologia Tomra è ormai nota, lo conferma il fatto che sempre più aziende si affidano alla casa nor-
vegese ottenendo elevati livelli di resa e di redditività. Le macchine TOMRA le abbiamo incontrate spesso negli ultimi impianti di trattamento rifiuti che abbiamo visitato, ma la nostra curiosità non si sofferma solo sulle tecnologie.
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Vogliamo conoscere meglio gli uomini che muovono le fila di questa azienda. Siamo quindi andati a fare la conoscenza di Fabrizio Radice, Global Sales & Marketing Director, e Frank van de Winkel, Responsabile della divisione metalli.
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FABRIZIO RADICE, GLOBAL SALES & MARKETING DIRECTOR Fabrizio Radice ricopre la funzione di Global Sales & Marketing Director da febbraio 2017. Si occupa dello sviluppo e dell’implementazione della strategia commerciale e di marketing di breve e lungo periodo per la divisione Recycling di TOMRA, riportando direttamente a Tom Eng, Senior Vice President and Head of TOMRA Sorting Recycling. Fabrizio Radice ha consolidato un’esperienza ventennale a livello dirigenziale nello sviluppo di reti commerciali e marketing internazionali, specialmente nel settore B2B, all’interno di importanti multinazionali quali Philips, Yageo, FLIR e, più di recente, Agilent. Nella sua carriera ha inserito nuovi leader nei team che ha guidato e sviluppato nuove strategie e strutture commerciali. Si è laureato in ingegneria elettronica al Politecnico di Milano nel 1996, dove ha anche conseguito nel 2004 un Executive MBA in International Business Studies. Commentando il nuovo ruolo Tom Eng ha dichiarato: “Fabrizio guiderà il team con passione ed energia. È entusiasta nell’affrontare questa importante sfida in un nuovo settore e pronto a cogliere l’opportunità di costruire e far crescere questo nuovo business. Tutto ciò è molto importante perché, sebbene negli ultimi vent’anni abbiamo fatto enormi progressi in molti mercati e segmenti differenti, ci sono ancora tantissime nuove opportunità nel riciclo di materiali diversi, che permetteranno di ampliare le potenzialità di business per i nostri clienti e il loro ciclo produttivo, tutto ciò in linea con la filosofia aziendale di TOMRA di impegno sostenibile e di recupero delle risorse. Fabrizio aumenterà la nostra già ottima presenza sul mercato e porterà un punto di vista nuovo oltre a una grande energia ed esperienza nel rapporto con i nostri clienti internazionali e nelle nuove soluzioni di riciclaggio a livello globale”.
Ing. Radice, quali sono le prime azioni che ha promosso nel suo nuovo ruolo in Tomra e quali strategie commerciali ha adottato?
TOMRA è un marchio conosciuto a livello mondiale e io sono entusiasta di intraprendere questa importante sfida a livello internazionale e sono fiero di essere entrato a far parte dell’azienda leader di mercato nel settore del riciclaggio. Ci sono paesi in cui siamo molto forti e altri che devono essere maggiormente sviluppati. La nostra strategia di marketing nell’ambito di copertura del mercato è orientata verso una migliore organizzazione per un presidio territoriale globale più efficace. Abbiamo diviso i mercati maturi dove disponiamo già di filiali e dove continuiamo a vendere direttamente dai mercati emergenti dove vorremmo trovare delle coperture territoriali attraverso distributori o agenti, per far crescere il business e il nome di TOMRA. Inoltre ritengo che un altro mercato da presidiare sia quello dei grandi colossi mondiali. Penso ad esempio a Henkel o Ikea, anche se sono in settori diversi. Queste grandi multinazionali sono sempre più orientate all’environmental friendly e si presume che si occuperanno nell’imminente futuro del riciclaggio della plastica. Noi crediamo che questi mercati saranno la prossima sfida da cogliere.
Che differenze ci sono tra il mercato italiano e il mercato europeo?
Il momento è molto buono per entrambi i mercati. Il mercato europeo sta crescendo dal 3 al 5 per cento all’anno e anche in Italia abbiamo riscontrato un’ottima crescita negli ultimi due anni. Gli imprenditori hanno compreso che investire nel riciclo, oltre alla tutela ambientale, porta notevoli profitti. Dotarsi di un impianto con capacità tecnologiche elevate è la migliore garanzia per ottenere guadagni dal proprio lavoro. Stiamo infatti pensando a sviluppare campagne di ripristino dei vecchi macchinari perché, secondo noi, l’efficienza sarà l’elemento che davvero pagherà nel business. Ovviamente nei mercati emergenti questo processo è più complesso perché il costo della manodopera è molto basso, ma in Europa ormai è un dato consolidato.
Può fornirci un quadro di come si stanno muovendo i mercati extraeuropei?
L’Asia e i mercati emergenti del sud America potrebbero essere un ulteriore potenziale per noi. Il mercato cinese potrebbe nel prossimo futuro non assorbire più ingenti quantità di rifiuti in quanto potrebbero esserci delle restrizioni. Stiamo cercando di analizzare quali mercati potrebbero assorbire i rifiuti se la Cina dovesse limitarne l’import, quindi stiamo analizzando come tutelare le aziende e come avere copertura anche nel sud-est asiatico qualora parte dei rifiuti vadano altrove.
Come sviluppate le nuove tecnologie?
Tutti gli anni TOMRA investe tra l’otto e il dieci per cento dell’utile in ricerca e sviluppo. Questo è un vantaggio per un’azienda che è leader di mercato e vuole continuare a esserlo. Dobbiamo essere sempre più vicini al cliente per capire quali materiali devono essere recuperati dagli scarti e quindi sviluppare in questo senso la tecnologia per trovare nuovi ricavi dai rifiuti. Vogliamo sviluppare macchine che permettano di riciclare il più possibile. Il futuro è lo sviluppo di nuovi macchinari per fare il sorting di nuovi materiali o di quei materiali che adesso vengono inceneriti e di cui ancora non c’è un mercato. La nostra azienda crea business grazie alla necessità delle aziende di essere sempre più sostenibili e all’esigenza di sfruttare sempre meno le risorse del pianeta.
Come vede il mercato italiano? Crede che ci sarà un mercato maggiore nello sviluppo di nuovi impianti o nel potenziamento di quelli attuali?
Tutto è vincolato alle politiche di governo. Abbiamo bisogno di politiche forti che aiutino la crescita di questo mercato a livello nazionale ed europeo perché il riciclaggio è il futuro.
FRANK VAN DE WINKEL, RESPONSABILE DELLA DIVISIONE METALLI Frank van de Winkel è attualmente Responsabile dello sviluppo dell’area metalli in TOMRA Sorting Recycling. Ha iniziato la sua carriera come ingegnere in TOMRA nel 2005. Da allora ha svolto diversi ruoli all’interno dell’azienda, tra cui Responsabile del settore metalli nel Test Center di TOMRA in cui si effettuano i test sui materiali da selezionare e Responsabile vendite per il mercato dei metalli in nord America. Dal 2015 è Responsabile Globale dell’area metalli. Il settore dei metalli è molto importante per TOMRA: si stima che ogni anno grazie alla tecnologia TOMRA sia possibile recuperare a livello mondiale 715.000 tonnellate di metallo. Abbiamo incontrato Frank van de Winkel durante la fiera Metef a Verona, dove l’azienda ha partecipato con uno stand.
Ci troviamo alla fiera Metef. Cosa vi porta in questo settore che non è esclusivamente orientato al riciclaggio?
Questa fiera si concentra prevalentemente sulle fonderie metalliche e non sul riciclaggio, ma poiché ci sono persone che lavorano con l’alluminio, queste avranno il problema di selezionare i materiali. Tipicamente, le fonderie di alluminio hanno un materiale di ingresso in impianto che è composto da scarti (materiale secondario, non primario). Il nostro business si inserisce proprio qui: grazie alle nostre tecnologie siamo in grado di aumentare la qualità del materiale in entrata selezionando gli scarti che le fonderie dovranno fondere. Quanto più selezionati saranno questi rottami, migliore sarà il prodotto in uscita.
Il metallo è tra gli scarti che si recuperano da più tempo nel settore del riciclaggio. Ci può fornire un quadro del settore?
I metalli vengono recuperati e riciclati da più tempo perché sono preziosi e riciclandoli si risparmia energia. Inoltre hanno un vantaggio incommensurabile: possono
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essere riciclati all’infinito senza che perdano le loro qualità e caratteristiche. In Europa, relativamente al riciclaggio dei metalli, TOMRA Sorting opera in diversi settori di attività: riciclaggio delle autovetture, riciclaggio dei rifiuti elettrici ed elettronici, fonderie e termovalorizzazione da rifiuti domestici. In tutti questi segmenti di business proponiamo soluzioni per recuperare metalli preziosi affinché possano essere reinseriti nel ciclo produttivo. Nell’industria automobilistica, ad esempio, vige una legislazione, la direttiva sui veicoli a fine vita, che obbliga a differenziare e recuperare i materiali dalle automobili destinate a rottamazione. Oggi dobbiamo assicurarci di riciclare con la massima qualità possibile. Prendiamo ad esempio l’alluminio: se lo smaltiamo in discarica, dopo dieci o quindici anni, sarà ossidato e quindi poco pregiato. È importante intercettare i metalli dai flussi dei rifiuti per recuperarli al massimo della qualità possibile. Ecco perché le tecnologie che sta sviluppando TOMRA stanno andando verso una selezione più elevata che è in grado di separare metalli e leghe in modo che la qualità del successivo recupero sia migliore e di conseguenza siano migliori anche i prodotti.
Ci può riassumere alcune macchine Tomra per la selezione dell’alluminio e dei metalli?
Abbiamo iniziato a recuperare i metalli con la TOMRA Finder. Pensiamo a un’automobile che viene triturata: recuperiamo l’alluminio grazie alla corrente di Foucault e l’acciaio con un magnete. Rimangono degli scarti metallici che sono formati da acciaio inossidabile, fili di rame, circuiti stampati, ecc. I selettori TOMRA permetteranno di recuperare questo mix di metalli per renderli disponibili al processo di riciclo. La Combisense è una macchina che seleziona in base ai colori e la X Tract seleziona per densità. Entrambe servono a selezionare ulteriormente i metalli recuperati con una qualità più elevata. Dopo che gli scarti passano attraverso le correnti di Foucault, abbiamo due frazioni: una frazione che vola e una frazione che scende. La frazione che scende viene indirizzata alla macchina per recuperare i metalli residui: acciaio inossidabile e filo di rame. La frazione che vola andrà in un’altra macchina che separa per densità (X Tract) e dividerà zinco, ottone, rame dall’alluminio e dai metalli più leggeri. Dopo il passaggio attraverso la macchina che separa per densità abbiamo da un lato metalli pesanti e da un lato metalli leggeri. Il passaggio successivo è in una macchina che classifica per colore, la Combisense (i metalli pesanti sono infatti rossi, gialli e grigi) che servirà a ottenere frazioni più pulite di rame, ottone ecc.
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DA QUARANT’ANNI SERVIZI E SICUREZZA SEAB BOLZANO E BRIGADE ELETTRONICA, DUE REALTÀ DA SEMPRE IMPEGNATE NELL’INNOVAZIONE GREEN di Maria Beatrice Celino
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l 1976 vede la nascita di due realtà apparentemente lontane che, invece, a distanza di quarant’anni, collaborano strettamente per garantire servizi, in sicurezza, ai cittadini bolzanini. La prima è la struttura comunale ideata per gestire, appunto, i servizi pubblici (acqua, gas, igiene urbana…) del capoluogo dell’Alto Adige, divenuta nel 2000 l’attuale SEAB, Servizi Energia Ambiente Bolzano. La seconda, Brigade Elettronica, viene fondata in Inghilterra e ha un ruolo di primo piano nel settore della sicurezza veicolare: i suoi sistemi sono, infatti, degli ausili preziosi per salvaguardare vite e prevenire incidenti. SEAB, che negli anni ha assunto sempre più funzioni (parcheggi pubblici, pulizia strade, palazzetto sport…) ed è arrivata ad avere oggi 270 dipendenti, ripone molta attenzione in ogni sua attività, poiché strade pulite e un paesaggio urbano curato sono il miglior biglietto da visita di una città, nonché indici di un’ottima qualità di vita. Adotta, pertanto, le soluzioni più innovative per svolgere i propri compiti in piena efficienza e sicurezza, senza dimenticare l’aspetto green. Come riconoscimento degli elevati standard ambientali e di sicurezza sul posto di lavoro, SEAB ha, infatti, ottenuto le certificazioni volontarie ISO 14001 e OHSAS 18001. Diversi gli accorgimenti in chiave ecologica: dall’installazione dei pannelli solari sui tetti
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delle sedi, all’utilizzo della sola carta riciclata, da un sistema di illuminazione all’avanguardia, alla sostituzione dei mezzi per la raccolta rifiuti datati con altri di ultima generazione per ridurre l’impatto ambientale. Proprio per tali nuovi compattatori di grandi dimensioni, SEAB ha imposto a capitolato Backeye®360 Select di Brigade Elettronica, un sofisticato sistema di telecamere che fornisce all’autista una panoramica completa del veicolo, per manovrare senza alcuna difficoltà, anche in vie strette e zone affollate. Backeye®360 Select si compone di quattro telecamere ad angolo molto ampio con lenti a 187° che azzerano gli angoli ciechi, riproducendo una vista a 360° dall’alto intorno al mezzo in una sola immagine. Un software intelligente, appositamente studiato da Brigade, appiattisce le immagini grandangolari, elimina istantaneamente le distorsioni fisheye e, in contemporanea, bilancia le differenti luminosità delle varie inqua-
drature, riunendole in un’unica ripresa mostrata in tempo reale sul monitor in cabina. Backeye®360 Select è un alleato prezioso sia per gli spostamenti, sia per le operazioni di raccolta rifiuti, in particolare per verificare che nei dintorni non vi siano pedoni o ciclisti, spesso fuori visuale e quindi più esposti. Il sistema è stato testato su 5 mezzi, tra cui un mono-operatore da 26 m3 completamente automatico (l’autista avvia e sovraintende allo svuotamento del cassonetto senza dover uscire dalla cabina), e ha riscosso il pieno consenso degli operatori, che svolgono il proprio lavoro con maggior tranquillità, sentendosi tutelati. Attenzione alla sicurezza e volontà di arrecare meno disagio possibile ai residenti hanno fatto aumentare gli equipaggiamenti voluti da SEAB, che ha installato sulle proprie macchine un altro dispositivo Brigade Elettronica: bbstek, un avvisatore acustico a banda larga che va a sostituire il tradiziona-
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le avvisatore per la retromarcia, tanto utile per segnalare il rischio del mezzo in opera quanto fastidioso per gli abitanti quando in azione di notte o di primo mattino. bbs-tek emette un caratteristico “shhshh” simile ad un “soffio forte”, un “suono bianco”, direzionale, e, quindi, prontamente localizzabile. Un suono facilmente udibile solamente nella zona di vero pericolo, circoscritto laddove realmente serve, che riduce drasticamente l’inquinamento acustico, arrivando, grazie a una rapida dispersione, a eliminarlo. Inoltre è stato così apprezzato da venir montato, in alcuni mezzi dotati di attrezzature particolari, anche internamente alla cabina, per avvertire l’autista durante specifiche operazioni, senza disturbarlo. Oltre a Backeye® 360 Select e bbs-tek, SEAB sta valutando l’impiego di altri dispositivi Brigade Elettronica perché entrambe le realtà, forti di oltre quarant’anni di esperienza, sono rivolte a un futuro sempre più green e sicuro.
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QUALITÀ GIAPPONESE, INGEGNO ITALIANO NON SEMPRE OGNI OGGETTO HA UNA SOLA FUNZIONE, A VOLTE SI POSSONO SCOPRIRE NUOVE APPLICAZIONI CHE ANCORA NON SONO STATE SPERIMENTATE. È IL CASO DEL PRIMO SK 210 CAR DISMANTLING VENDUTO IN ITALIA di Laura Veneri
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ncontriamo la Bsm perché Marco Ferroni, Business Manager Kobelco, ci racconta della vendita del primo SK 210D Car Dismantling in Italia da parte dell’azienda lombarda. La notizia è molto interessante e vorremmo vedere all’opera la nuova macchina che abbiamo scoperto all’ultima edizione di Samoter. Bsm, concessionaria Kobelco per le province di Brescia, Bergamo, Mantova, Cremona, Sondrio e Lecco, è una società specializzata nella vendita di mezzi movimento terra, ma è molto presente anche nella ricambistica e possiede una flotta noleggio di buone dimensioni. Nella sede della società alle porte di Brescia ci ricevono i proprietari, Sergio e Marco Tempini (padre e figlio), che ci raccontano il loro rapporto commerciale con il marchio giapponese. La società è nata nel lontano 1973 commercializzando negli anni vari marchi di macchine movimento terra e accessori. Ci raccontano di un territorio molto attivo in cui c’è molta competizione in quanto “operano i concessionari più forti e alcune case costruttrici hanno la propria sede”. È una zona in continuo fermento dove i concessionari storici perseguono la politica di essere un punto fermo
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per il cliente sul territorio. “Noi abbiamo sempre puntato a servire il cliente a 360° offrendogli anche un servizio per tutti i prodotti che abbiamo venduto in passato - ci racconta Marco Tempini - vogliamo essere un punto di riferimento per il cliente che seguiamo “in toto” nonostante i cambiamenti che possono accadere nel corso degli anni. Per questo ad esempio disponiamo di un magazzino ricambi molto rifornito”. Kobelco è un costruttore molto affidabile che offre prodotti di qualità molto elevata. Il marchio è ancora poco conosciuto in Italia perché è solo da pochi mesi che viene distribuito attraverso dealer selezionati. Il mercato europeo è considerato strategico dalla casa giapponese in quanto la qualità dei prodotti Kobelco è conosciuta e ammirata soprattutto dal pubblico italiano. Il costruttore giapponese sta affrontando il mercato europeo e italiano in maniera decisa e convinta: ha costruito un rifornito magazzino ricambi in Olanda e ha creato uno stock di macchine sempre disponibili per il mercato europeo. “Le prime macchine che abbiamo consegnato - prosegue Tempini - hanno dato un ottimo feedback da parte dei clienti che sono molto soddisfatti.
Da parte nostra stiamo affinando sempre più quelli che sono i nostri servizi: i nostri tecnici stanno facendo vari corsi di formazione, abbiamo ampliato la nostra rete commerciale e abbiamo
Marco Ferroni, Business Manager Kobelco
acquisito nuove figure professionali per zone nuove”.
IL MERCATO E LE PRIME MACCHINE VENDUTE
Le macchine che oggi hanno più mercato nelle province seguite da Bsm sono di taglia medio-piccola dal momento che la tipologia dei cantieri che le aziende stanno affrontando in questo periodo sono di dimensioni medio piccole. Le vendite maggiori per ora hanno riguardato i mini escavatori e le macchine di medie dimensioni come l’SK140SR (a raggio ridotto) che è una macchina molto interessante e molto richiesta perché utilizzabile in tantissimi campi di applicazione. Il modello SK140SR è in grado di operare in spazi limitati e offre prestazioni di grande potenza, eccellente stabilità, fluidità di manovra, rumorosità eccezionalmente bassa e maggiore efficienza nei consumi di carburante. Nella zona di Brescia un capitolo a parte è dedicato alle cave di marmo botticino. Bsm, nel corso degli anni, ha venduto molte macchine ai cavatori ed è convinta di poter continuare a offrire prodotti ideali per questa tipologia di lavoro, come l’escavatore SK500 dotato di carro variabile e dimensioni contenute. “Il mercato delle cave è molto importante per noi. Vogliamo mantenere il filo di continuità che abbiamo avuto negli anni passati e soprattutto, introducendo le prime macchine, far capire che la qualità del prodotto Kobelco è molto elevata e che i clienti si possono fidare di questo nuovo marchio”.
I PUNTI DI FORZA DEI PRODOTTI KOBELCO
Chiediamo ai Signori Tempini quali siano le qualità maggiori degli escavatori Kobelco e subito ci viene risposto che la precisione nell’assemblaggio e l’idraulica della casa costruttrice giapponese sono i punti di forza. “La precisione dei movimenti e l’affidabilità delle macchine sono le qualità che più contraddistinguono un escavatore Kobelco. Da evidenziare anche il risparmio di carburante, che non è solo uno slogan ma è un’altra peculiarità delle macchine Kobelco. Il costruttore ha ef-
Marco e Sergio Tempini, titolari di BSM, concessionaria Kobelco
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fettuato svariati studi di comparazione con altri marchi per dimostrare che il livello di risparmio di carburante con i prodotti Kobelco è maggiore rispetto agli altri escavatori di pari gamma. I consumi contenuti e il risparmio di carburante - prosegue Tempini - rientrano tra le considerazioni positive che i clienti hanno riportato dopo i primi mesi di utilizzo delle macchine”. L’attenzione all’ambiente è pertanto un impegno che il costruttore sta portando avanti e che trova la sua massima espressione nella serie ibrida. La serie 10 ibrida è una macchina totalmente innovativa perché è la prima a installare batterie al litio che permettono di accumulare l’energia prodotta dal motore e a distribuirla nei vari movimenti della macchina. Questa macchina è sicuramente il riferimento Kobelco per quanto riguarda l’efficienza energetica, il risparmio di carburante, le emissioni contenute e la bassa rumorosità. Il mercato italiano ancora non ha percepito le potenzialità di questa serie, ma in futuro questa tipologia di macchine troverà grandi applicazioni in cantieri cittadini o in galleria.
SK210D CAR DISMANTLING
Il 210 versione Car Dismantling è una macchina unica che Kobelco costruisce di serie. In Giappone è un prodotto diffuso e in Italia è stato venduto il primo esemplare da Bsm qualche settimana fa. Il modello SK210D viene prodotto in due versioni: il multi dismantling e il car dismantling. A dif-
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ferenza dei modelli tradizionali, le due versioni dismantling sono dotate di due lunghi bracci all’altezza del carro che possono essere alzati e abbassati nella versione car dismantling e manovrati anche in altre posizioni nella versione multi dismantling. Come suggerisce il nome, il 210 Car Dismantling nasce per essere venduto nei centri di riciclaggio autovetture o presso i rottamatori. Grazie ai bracci, l’escavatore blocca la vettura da demolire per sezionarla un pezzo alla volta così da differenziare i vari componenti e avviarli a corretto riutilizzo o smaltimento. Una importante azienda italiana di demolizione, già cliente di Bsm, ha acquistato l’escavatore SK210D Car Dismantling per una demolizione impiantistica “innovativa”. Essendo specifica per la demolizione delle vetture, Bsm ha dovuto fare delle piccole modifiche per adattarla alle esigenze del cliente prima della consegna. È stato effettuato uno studio approfondito in simbiosi con i tecnici del cliente per preparare l’impianto idraulico ed è stato montato un radiocomando per manovrare l’escavatore a distanza e la macchina è stata consegnata in poco tempo. Le operazioni effettuate sulla macchina sono state rese necessarie al fine di lavorare in sicurezza. Il cantiere in cui è stato utilizzato il car dismantling è una struttura totalmente in metallo molto alta che aveva recentemente subito un incendio che ne aveva minato la solidità. L’escavatore è stato sollevato da
una imponente gru, portato all’altezza di quasi 100 metri e posizionato vicino alla struttura da demolire. Una seconda gru sosteneva un cestello con gli operatori specializzati che manovravano l’escavatore per la demolizione. Ma perché è stata scelta la versione car dismantling? “Perché grazie alle staffe in dotazione - ci spiega Marco Tempini - l’escavatore è in grado di ancorarsi alla struttura senza pesare su di essa e senza oscillare vicino a essa. Gli operatori, grazie al radiocomando e alla loro posizione privilegiata, manovrano l’escavatore che poco alla volta taglia la struttura in ferro in pezzi che vengono calati al suolo. La cosa che mi stupisce in positivo è la capacità e la fantasia che noi italiani abbiamo di prendere un prodotto e adattarlo a un’altra tipologia di lavoro scoprendo magari altre applicazioni che forse in futuro potranno essere adottate anche da altre aziende. Ora speriamo che questa tipologia di macchine possa trovare uno spazio anche nel settore per cui è predisposta. In questa zona tra l’altro ci sono molte aziende strutturate che fanno demolizioni di autovetture e riciclaggio di rottami metallici a cui stiamo presentando questa tipologia di macchine”.
ESCAVATORI E ALTRO
Bsm è concessionaria non solo Kobelco ed è in grado di offrire anche attrezzature. È dealer dei martelli demolitori Socomec da circa 25 anni: “È un prodotto conosciuto e di buon livello - racconta Tempini - e soprattutto noi abbiamo una grossa esperienza sulle riparazioni e gestione di problematiche che possono derivare dall’uso della macchina; abbiamo ricambi disponibili di tutta la gamma Socomec in magazzino”. Bsm commercializza anche il marchio Okada, anch’esso un costruttore giapponese di attrezzature per la demolizione e il riciclaggio. Il rapporto con Okada è stato un passo naturale per i rapporti che lo stesso Kobelco intrattiene con Okada in Giappone. I due costruttori collaborano insieme e molto spesso su una macchina Kobelco è montata un’attrezzatura Okada. Infine distribuisce attrezzature Weber per la compattazione stradale.
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SUBIRE L’INEVITABILE TRANSIZIONE ENERGETICA O APPROFITTARNE PER RILANCIARE L’ECONOMIA? AL FESTIVAL DELL’ENERGIA DI MILANO, MANAGER, INGEGNERI ED ESPERTI SI SONO CONFRONTATI PER QUATTRO GIORNI SUI NUOVI SCENARI NAZIONALI E INTERNAZIONALI. ACCOLTO POSITIVAMENTE ANCHE L’INTERVENTO DEL MINISTRO CALENDA di Alberto Marenco
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l Presidente di Allea/Festival dell’Energia, Alessandro Beulcke, nel presentare i quattro giorni di evento ha voluto precisare che: “I cambiamenti geopolitici, demografici e climatici in atto rappresentano un rischio da fronteggiare, ma anche un’opportunità da cogliere. Spetta alle istituzioni, alle imprese e all’opinione pubblica accompagnare in maniera intel-
ligente la transizione energetica. Pensare a un’energia del futuro che sia responsabile è il primo step di un percorso lungo e complicato”. Il Festival dell’Energia, che ha avuto luogo dal 7 al 10 giugno presso l’Unicredit Pavilion di Milano, sito in uno dei quartieri più innovativi e moderni d’Italia, ha offerto a esperti del settore energia, a giornalisti e a
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chiunque fosse interessato un’opportunità di confronto e di studio sulle tematiche attuali inerenti al consumo, alla produzione e al commercio di energia. Efficienza energetica e fonti rinnovabili sono stati gli argomenti principali sui quali si basavano i vari interventi che si sono succeduti, e non poteva essere altrimenti dato il periodo storico che stiamo vivendo nel
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quale le più potenti multinazionali al mondo stanno spostando i loro investimenti dalle risorse estrattive a quelle rinnovabili. Proprio mentre Trump dichiara di voler uscire dagli accordi di Parigi le compagnie americane dichiarano di voler adottare misure concrete per diminuire le emissioni e combattere il cambiamento climatico. Per esempio la Exxon Mobil, la più grande multinazionale petrolifera americana, il 31 maggio scorso ha annunciato che il 62,3% degli azionisti ha votato a favore di una mozione per chiedere che le scelte aziendali tengano conto degli sforzi contro il cambiamento climatico. E’ un cambio di rotta epocale se si pensa che solo un anno fa la stessa mozione aveva avuto il consenso di soltanto il 38% degli azionisti. E in Italia a che punto siamo? Proprio durante la prima giornata del festival uno degli appuntamenti più attesi era l’intervista del giornalista del Corriere della Sera, Luciano Fontana, al Ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda. Il Ministro ha voluto sottolineare che, nonostante Trump si sia schierato contro, gli Accordi di Parigi non sono assolutamente in discussione e nei giorni seguenti dichiarazioni simili sono state rilasciate anche dal Ministro dell’ambiente Gianluca Galletti e da altri rappresentanti dello Stato. Si inizia dunque a intravedere una soluzione programmatica a medio termine per l’implementazione dell’utilizzo di fonti rinnovabili e per la gestione consapevole di questo
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periodo di transizione dalle fonti fossili a quelle rinnovabili. Il lunedì successivo lo stesso Ministro Calenda ha lanciato la Strategia Energetica Nazionale che rimarrà in consultazione pubblica fino al 12 settembre. Sui portali dei due Ministeri (Sviluppo e Ambiente) il messaggio firmato da Calenda e Galletti sottolinea il percorso di continuità che i due Ministeri stanno attuando da quasi 30 anni: “Si tratta di un percorso che parte da lontano: già nel 1990, l’Unione europea, nel documento ‘Una politica energetica per l’Unione europea’ indicava questi tre obiettivi - aumentare la competitività del Paese, migliorare la sicurezza dell’approvvigionamento e della fornitura e decarbonizzare il sistema energetico - e lungo queste direttrici ha continuato a sviluppare nel tempo la propria azione, fino al ‘Clean Energy Package’, presentato a novembre 2016 dalla Commissione europea”. Tuttavia allo stesso tempo si sono sollevate diverse critiche nei confronti della SEN, soprattutto per quanto riguarda il “Piano Gas”. Sembra infatti eccessiva la centralità del gas nel nuovo piano energetico, il rischio è di costruire nuove infrastrutture che, se nei prossimi 10/20 anni dovesse calare la domanda di gas, potranno risultare inutili o poco utilizzate. Legambiente, tra le voci più critiche, si è espressa così: “nella SEN di ‘lungo termine’ molto precise sembrano solo le politiche e le strategie legate al rafforzamento dell’intera filiera del gas, da gasdotti e rigassificatori, alla metanizza-
zione di intere porzioni di territorio, come nel caso della Sardegna […]. Già previste le modalità di finanziamento del “Piano Gas” con molti investimenti per privati, ma, se fallimentari, pagate attraverso le bollette dei cittadini, senza una reale valorizzazione degli impianti esistenti e oggi sottoutilizzati, vedi il caso dell’OLT di Livorno”. Durante la prima giornata del Festival abbiamo incontrato l’Ingegnere Gianni Silvestrini, Direttore Scientifico del Kyoto Club, Presidente del Green Building Council Italia e autore di diversi libri, l’ultimo dei quali 2 °C, Innovazioni radicali per vincere la sfida del clima e trasformare l’economia (Edizioni Ambiente). Data la crescente importanza delle tematiche ambientali, come è cambiato, in questi ultimi anni, l’approccio verso questi argomenti? Sono diventati, in vari settori – dall’economia circolare alla decarbonizzazione – così importanti da orientare la politica economica, industriale e agricola di moltissimi paesi dell’Europa, ma anche di tanti altri paesi in giro per il mondo. In particolare i temi della decarbonizzazione dopo l’accordo di Parigi stanno diventando degli elementi portanti sul versante della generazione dell’energia, dell’efficienza energetica in senso lato, della mobilità (con il passaggio verso la mobilità elettrica) e anche in altri settori come l’agricoltura, la ricerca ecc. E questa diversa attenzione sta manifestando dei
Gianni Silvestrini, Direttore Scientifico del Kyoto Club
risultati molto interessanti soprattutto per la rapidità con cui avvengono questi cambiamenti e per la loro radicalità. Fermo restando la centralità delle questioni inerenti al cambiamento climatico, per l’associazione Kyoto Club quali sono i settori su cui si concentra il maggior interesse? Segue esattamente quelle che sono le dinamiche in atto sul fronte della decarbonizzazione in Italia, ciò significa da un lato sulle fonti rinnovabili e dall’altro lato sull’efficienza energetica, con un’attenzione particolare per l’efficienza energetica nel parco edilizio; poi ci sono altri settori come l’economia circolare, la forestazione (abbiamo un progetto che si chiama Parchi per Kyoto). Recentemente c’è una grossa attenzione sul tema della mobilità sostenibile come il car sharing, ma soprattutto mobilità elettrica. Sostanzialmente in una situazione in cui le condizioni cambiano così rapidamente l’attività del Kyoto Club mira a essere un’azione di stimolo nei confronti del governo centrale, delle regioni e anche delle imprese affinché si comprenda che ci sono grandi rischi, ma anche grandi opportunità per il Sistema Paese Italia e per le imprese. Saper cogliere per tempo questi scenari di cambiamento significa riuscire a non rimanere spiazzati come siamo rimasti in alcune situazioni, per esempio pensiamo alla mobilità elettrica settore nel quale siamo particolarmente indietro. Lo scopo del mio ultimo libro, intitolato 2° C Innovazioni radicali per vincere la sfida del clima e trasformare l’economia, è proprio quello di far comprendere le dinamiche delle disruptive technologies (tecnologie che hanno un effetto dirompente nel settore in cui si applicano). I cambiamenti stanno avvenendo in modo molto rapido. Se riuscissimo, come comparto industriale e Sistema Paese, a intercetta-
re questi cambiamenti potremmo evitare di essere travolti ma anzi cogliere l’onda ascendente. Devo dire che finora c’è stata una certa difficoltà a comprendere tali nuovi scenari e ad avere una visione sul lungo periodo. Per esempio i rischi di investimenti inutili, tema che abbiamo trattato in questi giorni al Festival dell’Energia, sono conseguenze di programmazioni a breve periodo. Se un paese vuole portare la decarbonizzazione al 90% entro il 2050 si deve anche domandare quale sarà il ruolo del gas tra 33 anni. Ovvero se viene fatto uno sforzo economico oggi per costruire infrastrutture utilizzabili fra 5 o 10 anni bisogna considerare il fatto che se la domanda non crescerà, le infrastrutture rimarranno inutilizzate e non si recupereranno i soldi degli investimenti. Da un lato bisogna saper cogliere le nuove opportunità che stanno sorgendo come il fotovoltaico, l’accumulo, la mobilità elettrica ecc. e dall’altro evitare di fare gli errori fatti sul parco centrali sovradimensionato che obbligano a chiudere impianti nuovissimi. Nella SEN che sarà presentata spero ci sia uno scenario fino al 2050 e non solo fino al 2030 (la Strategia Energetica Nazionale precedente arrivava solo al 2020). Finora, mentre altri governi europei come Germania, Danimarca, Svezia, Francia hanno programmazioni fino al 2050, in Italia a livello istituzionale non è mai stata fatta. Sarebbe importante delineare scenari al 2030, 2040 e 2050 perché ogni arco temporale significa investimenti da fare e da non fare. Inoltre, parlando in ottica europea e non solo italiana, c’è la questione della ricerca: se alcuni settori diventeranno strategici come la mobilità elettrica bisognerebbe investire fin da subito per imporsi come leader trainanti di questo settore. Ad oggi invece nello sviluppo della mobilità elettrica i primi due paesi sono la Cina e gli Stati Uniti, e l’Europa? Meno male che c’è stato lo scandalo Volkswagen! L’azienda tedesca infatti ha cambiato strategia proprio grazie allo scandalo, una salvezza vera e propria, sebbene arrivata un po’ tardi. Fosse successa due anni prima sarebbe andata meglio per la Volkswagen e per l’industria europea. A proposito del car sharing, perché non si basa esclusivamente sulla mobilità elettrica?
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Perché il car sharing è un concetto che si basa sul passaggio da macchina di proprietà a uso condiviso del mezzo, la mobilità elettrica è un’opzione che verrà utilizzata su larga scala quando si passerà all’auto autonoma. L’auto senza guidatore sarà infatti elettrica e condivisa, sarà usata per tutto l’arco della giornata e non come avviene adesso per un’ora o due al giorno. Sarà un modello che spiazzerà completamente quello esistente perché significa dimezzare il numero di auto in circolazione, significa ridurre drasticamente le emissioni e significa mettere in crisi alcuni settori. Per esempio pensiamo agli Stati Uniti dove il settore del trasporto merci occupa circa un paio di milioni di persone, anche di più se pensiamo ai numeri dell’occupazione connessa. In questo settore sono molto preoccupati perché la prima applicazione di auto senza guidatore sarà per il trasporto merci a lunga distanza. Oppure pensiamo al petrolio che subirà una drastica riduzione della domanda o alle assicurazioni che diminuiranno il fatturato perché il numero di incidenti diminuirà sempre di più. In Italia su questi temi non c’è una programmazione precisa, sebbene ci siano delle eccellenze. A Parma, per esempio, la Vislab (Vision e intelligent systems laboratory) ha sviluppato strumentazioni molto innovative: nel 2010 è riuscita a far viaggiare un veicolo autonomo per 13mila chilometri, da Parma fino a Shangai. Tuttavia nel 2015 è stata comprata per 30 milioni di dollari dalla società americana Ambarella. Purtroppo da noi non c’è la possibilità di fare sperimentazione di auto senza guidatore, ovvero non ci sono aree protette come in Inghilterra, negli Stati Uniti o in altri paesi. Inoltre l’aspetto giuridico rappresenta una criticità rispetto alla rapidità dei cambiamenti di tale settore. Quali sono dunque le maggiori difficoltà che avete riscontrato nel perseguire la vostra mission? Abbiamo riscontrato che spesso le aziende sono più avanti della politica. Per esempio l’ENEL che è socio del Kyoto Club, 5 anni fa aveva una strategia molto differente. Ora parla solo di rinnovabili, efficienza energetica, servizi agli utenti, smart utilities e così via… Non parlano più di aprire nuove centrali ma anzi chiudono quelle che ancora ci sono. L’Eni invece è
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completamente diversa, ha annunciato un piano per fare 220 MegaWatt di fotovoltaico nelle sue aree industriali dismesse, ma sono piccoli fiori all’occhiello. Quello che si deve fare e che si farà, perché sarà necessariamente così, è ciò che stanno già facendo altre grandi aziende come la norvegese Statoil, che sta investendo nell’eolico offshore o la francese Total che ha comprato la statunitense Sunpower e investe in fotovoltaico e accumuli. A me non sembra che l’Eni abbia ancora questa mentalità, cioè una strategia di diversificazione a lungo termine, tuttavia credo che fra 5 anni sarà come l’Enel oggi. Sempre ragionando in un’ottica di efficienza energetica e fonti rinnovabili, a che punto siamo in Italia riguardo l’utilizzo di materie prime seconde? In generale la raccolta differenziata da un lato e poi il processo di recupero vede l’Italia in una posizione molto avanzata a livello europeo; se guardiamo le percentuali siamo messi bene. Per esempio Milano a proposito della raccolta dell’umido è considerata una città vetrina d’Europa ed è molto interessante visto che dalla raccolta dell’umido nasce la parte del compostaggio a cui si innesta la produzione di
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biometano. E’ diventata un valore aggiunto, per cui chi opera in questo settore è attento a valorizzare la propria filiera, oggi il compostaggio e il biometano, domani (il prossimo decennio) sarà il turno della produzione di biopolimeri e quindi di tutta la chimica verde. In quest’ambito la produzione di energia rappresenta un aspetto limitato, il grosso sforzo è quello di valorizzare le frazioni di raccolta differenziata; a livello nazionale le percentuali sono di tutto rispetto e in alcune città del nord sono elevatissime. Invece un ambito nel quale siamo molto indietro e dove bisogna intervenire sono i prodotti di scarto del settore edile. Entro il 2020 abbiamo l’obiettivo di arrivare al 70% di recupero, ora siamo intorno al 10/20%. In questo momento c’è un’attività di studio e riflessione che il Centro Materia Rinnovabile ha messo in piedi coinvolgendo l’Anci, il CNA, il Green Building Council e tutti i vari settori dell’edilizia e dialogando con il Ministero dell’ambiente per creare delle norme che renderanno interessante recuperare e conferire i prodotti che saranno riutilizzati. Ecco, questo è un settore dove siamo indietro rispetto ad altre nazioni come l’Olanda, la Germania ecc. in cui possiamo recuperare rapidamente
terreno ed è un tema molto interessante perché chi riuscirà a trovare delle soluzioni adeguate dal punto di vista di modello organizzativo, soluzioni tecnologiche e mercati di sbocco, avrà un grandissimo mercato, visto che si tratta di un volume di rifiuti nettamente superiore a quello urbano. Per concludere vuole parlarci in particolare di qualche progetto che state portando avanti? In questo momento ci sono diversi progetti a cui partecipiamo a livello nazionale e internazionale. Ci impegniamo soprattutto sul piano dell’informazione e della formazione riguardo i temi che abbiamo trattato: dalle rinnovabili all’efficienza energetica, dalla gestione dei rifiuti all’economia circolare e così via, proprio perché siamo convinti che bisogna mantenere un’azione di sollecitazione costante verso i decisori pubblici ma al tempo stesso bisogna preparare gli alunni nelle scuole, fin dalle elementari. E’ provato che una buona azione di informazione e formazione dei bambini si ripercuote anche sui comportamenti dei genitori.
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LA FABBRICA DEL RICICLO IL GRUPPO BENFANTE HA INAUGURATO UN NUOVO IMPIANTO PER IL TRATTAMENTO DELLE FRAZIONI LEGGERE DEI RIFIUTI PROVENIENTI DA RACCOLTA DIFFERENZIATA di Bruno Vanzi
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a famiglia Benfante rappresenta l’esempio di famiglia italiana che, dopo la seconda guerra mondiale, poco a poco e con tanti sacrifici è stata in grado di riscattarsi e costruire un’azienda che oggi è all’avanguardia in Italia. Il genovese Domenico Benfante inizia la raccolta della carta negli anni ‘50, attività che i figli Marco e Paolo negli anni ‘90 allargano anche allo smaltimento di materiali ferrosi, scarti di plastica, legno, pneumatici e apparecchiature elettroniche fuori uso. Nel 2014 entra nella compagine societaria un Fondo di private equity, che permette una crescita maggiore dell’azienda, allargando il proprio raggio d’azione a tutto il territorio nazionale e raggruppando otto società in soli due anni, tra il 2015 e il 2016. Nel 2016 ha raggiunto un fatturato consolidato di quasi 70 milioni di euro ed è oggi tra i leader nazionali del recupero
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industriale di carta e cartone, con stabilimenti in Liguria, Piemonte, Veneto e Toscana. A fine maggio 2017, ha inaugurato il nuovo impianto Recycling Factory, un insediamento ad alta tecnologia, in grado di massimizzare l’avvio a riciclo delle raccolte differenziate di carta/cartone, plastica, cartoni per bevande, metalli, legno e dei rifiuti speciali secchi non pericolosi, realizzando un impianto industriale moderno e affidabile che garantisce i migliori standard qualitativi per trasformare davvero il rifiuto in una risorsa per loro e per l’ambiente. “A valle e a monte di questo nuovo impianto - ha dichiarato durante l’inaugurazione Enzo Scalia, Direttore Generale del Gruppo - c’è l’intero network Benfante, profondamente inserito nei mercati di riferimento nazionali e internazionali, e per questo in grado di fornire al clien-
te, sia esso Pubblica Amministrazione o Impresa, un servizio di assistenza completo e personalizzato. Impianti di questo tipo, permettono anche di ripensare la raccolta differenziata, consentendo maggiore efficienza a costi più competitivi. Per questo pensiamo che questa inaugurazione sia un fatto rilevante non solo per la nostra realtà aziendale, ma anche perché rappresenta un passo in avanti per l’intero sistema: dalla raccolta al riciclo, che sempre più assume le caratteristiche di un vero comparto industriale, importante per le ricadute in termini di innovazione tecnologica, di PIL, di esportazioni, di occupazione, oltre che per gli indubbi benefici ambientali”. L’impianto è situato nell’area industriale dell’Interporto di Rivalta Scrivia ed è autorizzato a trattare fino a 100.000 tonnellate di rifiuti all’anno e insiste su di un sito industriale di 14.000 metri quadri di
ciò avviene in una cornice di assoluta sicurezza e sostenibilità ambientale, con impatti pressoché nulli: le lavorazioni riguardano esclusivamente rifiuti “secchi”, senza organico, e idonei sistemi di captazione delle polveri derivanti da tutte le fasi di lavorazione consentono il ricambio d’aria nei locali di lavorazione dove sono presenti operatori (cabine di cernita), a garanzia del rispetto delle norme relative agli ambienti di lavoro e il successivo abbattimento delle polveri prima dell’emissione in atmosfera.
ECONOMIA CIRCOLARE: UNA TAVOLA ROTONDA IN OCCASIONE DELL’INAUGURAZIONE
cui 6.500 coperti, che si affianca a quello attiguo di 26.000 metri quadri già in uso da parte di Benfante e specializzato prevalentemente nel recupero di carta e cartone, venendo così a costituire un polo di complessivi 40.000 metri quadri interamente dedicato al recupero delle frazioni secche riciclabili. Grazie all’innovativa linea di selezione, al personale qualificato e alla capacità di movimentazione dei flussi di rifiuti in entrata e in uscita, l’impianto raggiunge una capacità operativa di lavorazione superiore a 5.000 kg/h di multi materiale leggero/ plastica e di oltre 15.000 kg/h di rifiuti cellulosici.
Il ciclo di lavorazione, interamente controllato da un moderno sistema di gestione software che consente un costante monitoraggio dell’intero impianto, è estremamente lineare pur in presenza di una tecnologia sofisticata, e si compone di fasi e procedure ben distinte, grazie alla presenza di importanti supporti tecnologici che permettono di ridurre al minimo l’apporto umano nella fase di selezione, concentrandolo invece in quella di controllo della qualità dei prodotti selezionati: vaglio rotante, magnete, apparecchiatura a correnti indotte, lettori ottici con tecnologia NIR (vicino infrarosso) e VIS (a luce visibile). Tutto
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L’inaugurazione dell’impianto è stata l’occasione per un nutrito convegno sull’economia circolare cui hanno partecipato relatori di spicco del panorama italiano. La tavola rotonda, intitolata “L’economia circolare in movimento”, ha accolto gli interventi di Giovanni Mondini, Presidente Confindustria Genova, di Daniele Fortini, manager nel settore dei rifiuti, di Stefano Ciafani, Direttore Generale di Legambiente, di Andrea Fluttero, Presidente di FISE‐UNIRE, di Simona Malaspina di Plastipoliver e, infine, di Flavio Attramini di Epson Italia. Il dibattito, condotto da Gianluca Bertazzoli di Hub15, è stato chiuso da Enzo Scalia, Direttore Generale del Gruppo Benfante, con una battuta scherzosa che ha ricordato le origini genovesi del Gruppo: “Mi piange il cuore pensare che l’impianto sia fermo per il convegno e che non stia producendo reddito”. Il tema centrale della tavola rotonda è stato la gestione dei rifiuti che, in Italia deve essere sottratta alle ideologie politiche e alle logiche emergenziali. È indispensabile un approccio interamente industriale al settore con una ragionevole capacità progettuale ma soprattutto con la possibilità e la determinazione di realizzare gli impianti che occorrono, con le istituzioni che sappiano semplificare le procedure e gli adempimenti ma anche vigilare con efficacia. Su questo si sono trovati d’accordo, pur partendo da punti di vista necessariamente differenti, un manager di lungo corso nel settore dei rifiuti come Daniele Fortini, che negli anni ha guidato grandi imprese
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pubbliche anche in città “difficili” come Napoli e Roma, e il Direttore Generale di Legambiente Stefano Ciafani. Per rendere la realtà attuale del comparto del recupero, è poi intervenuto Andrea Fluttero, Presidente di FISE UNIRE, la maggiore associazione rappresentativa del settore, il quale, con semplicità, ha saputo evidenziare come il ruolo delle imprese del recupero sia uno snodo fondamentale per rendere “concreta” la circular economy, passando dall’enunciazione teorica alla realtà dei materiali preparati per il riciclo. Fluttero ha anche spiegato il lavoro che l’associazione sta portando avanti con il Tavolo Interassociativo Recupero e Riciclo (TAIRR). Il Tavolo opera sull’efficienza e concorrenza nel mercato del recupero e riciclo, eccessivamente condizionato da fenomeni di monopolio a causa della posizione dominante degli operatori pubblici, favorita dall’indiscriminata assimilazione dei rifiuti speciali agli urbani, attraverso cui ingenti quantitativi di rifiuti di provenienza commerciale e industriale vengono sottratti al libero mercato per essere gestiti in regime di esclusiva da pubbliche amministrazioni e loro partecipate. Tale situazione, lamenta l’associazione, impedisce di fatto l’effettivo contenimento dei costi della gestione dei rifiuti che ricadono immancabilmente su imprese e cittadini. E’ stata poi la volta di due brevi case history di economia circolare, molto diverse tra loro perché una “a chilometri zero” in quanto espressione dello stesso territorio su cui ora sorge Recycling Factory, rappresentata da Simona Malaspina di Plastipoliver, storica impresa di riciclo degli imballaggi in plastica a base poliolefinica. L’altra invece “globale” come solo una multinazionale come Epson Italia può essere, con Flavio Attramini, il quale ha presentato l’avveniristica soluzione tecnologica di una stampante Paperlab A-8000 in grado di produrre da sé i fogli bianchi partendo da quelli già utilizzati. In chiusura Enzo Scalia, Direttore Generale del Gruppo Benfante, ha voluto lanciare a un pubblico di “addetti ai lavori” una riflessione sui possibili futuri scenari della raccolta differenziata che, come da tutti auspicato e come recepito nel “pacchetto economia circolare” in fase di approvazione a Bruxelles, dovrà essere sempre più stru-
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mento funzionale all’effettivo riciclo, che diverrà per tutti i soggetti coinvolti nella filiera l’obiettivo di legge principale.
L’IMPIANTO RECYCLING FACTORY
Vediamo il funzionamento di Recycling Factory, il nuovo impianto del Gruppo Benfante. Prima di essere depositati in un piazzale
di stoccaggio, i rifiuti derivanti dalle raccolte differenziate cittadine o dalla raccolta dei rifiuti speciali secchi non pericolosi delle imprese sono sottoposti a pesatura all’ingresso dell’impianto. Successivamente vengono scaricati a terra dove viene effettuata una prima ispezione visiva per verificare la conformità del rifiuto al formulario e la sua lavorabilità. Superata questa fase, ven-
gono presi da un caricatore e inseriti in una lacerasacchi che alimenta l’impianto. A seconda della provenienza dei rifiuti, sia esso multi materiale cittadino o industriale, è possibile tarare l’impianto per la massima efficienza. La lacerasacchi libera i rifiuti dai sacchetti di plastica che li contengono e li deposita sul nastro trasportatore. Attraverso il nastro trasportatore i rifiuti vengono convogliati in un vaglio rotante che li suddivide in tre tipologie differenti: • sottovaglio, costituito da corpi di piccola e piccolissima pezzatura non recuperabili e destinati quindi allo smaltimento; • sopravaglio, costituito da materiali di grosse dimensioni che vengono inviati direttamente alla cabina di selezione per la cernita manuale; • selezione automatica, costituito da materiali che per caratteristiche dimensionali sono destinati alle successive fasi automatizzate. I rifiuti avviati a selezione automatica sono indirizzati, grazie ad altri nastri trasportatori, prima a un magnete, in grado di intercettare i metalli ferrosi, e successivamente a selettori che separano l’alluminio e i metalli non ferrosi e lettori ottici che riconoscono i materiali dalle caratteristiche della loro luce riflessa, permettendo di selezionare ad esempio specifiche matrici polimeriche di imballaggi in plastica o i cartoni per bevande in base alla combinazione programmata.I selettori ottici cui è affidato il compito di suddividere automaticamente i materiali da recuperare sono due unità Autosort di Tomra. I selettori sono in grado di riconoscere attraverso uno spettro vicino all’infrarosso la tipologia dei materiali e a selezionarli utilizzando degli ugelli che, soffiando aria compressa, indirizzano i rifiuti nelle camere di separazione. La produzione delle unità Tomra è controllata grazie ad un monitor aggiornato costantemente con cui è possibile tarare le macchine a seconda delle frazioni da intercettare. Infine le differenti frazioni selezionate sono stoccate in appositi box e sono compattate da una pressa continua per la riduzione volumetrica e l’ottimizzazione logistica.
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IN THAILANDIA SI RISOLVE IL PROBLEMA DEI RIFIUTI CON TECNOLOGIA ITALIANA GRANDI COMMESSE IN SUD-EST ASIATICO PER FORREC CHE HA FORNITO 4 LINEE PER IL TRATTAMENTO DEI RIFIUTI PROVENIENTI DALLA SANIFICAZIONE DI DISCARICHE E ALTRE SEGUIRANNO di Laura Veneri
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e vecchie discariche della Thailandia non sono impianti costruiti con i moderni criteri dell’ingegneria sanitaria in grado di preservare la fuoriuscita di percolato prevenendo l’inquinamento dei terreni e captando il biogas che ne fuoriesce. No, le discariche nel sud-est asiatico assomigliano più a montagne di rifiuti fuori terra che creano problemi all’ambiente e alla popolazione. Per fortuna ora si è capito che i rifiuti, oltre a essere un grave problema, sono una risorsa economica, e uno tra i primi operatori thailandesi nella produzione di cemento, la TPI Polene, ha valutato di differenziare il business e diventare il primo operatore nella trasformazione di combustibili da rifiuti in energia elettrica (waste to energy). Da lì al contatto con il distributore Forrec in loco il passo è stato breve: Pierangelo Tondelli ha potuto presentare le tecnologie Forrec, le quali hanno conquistato il colosso del cemento thailandese che ha quindi commissionato 4 linee per la trasformazione del rifiuto in CSS. Le linee sono già state prodotte e spedite e sono
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ora in fase di montaggio. Questi sistemi sono composti da multi-laceratori della serie FR (il modello 5000 più grande della gamma), vagli a dischi di selezione per la separazione della parte organica e per la calibratura del prodotto in uscita inferiore a 100 mm, separatore magnetico, nastri trasportatori. Questa tipologia di trattamento si è già dimostrata efficace e innovativa, sia in termini di tecnologia applicata sia di costi di acquisto e gestione. L’impianto dovrà trattare sia i rifiuti provenienti dalle vecchie discariche sia i rifiuti solidi urbani di provenienza domestica. “Grazie a questo impianto, molte discariche potranno essere poco alla volta bonificate” spiega Tondelli. “Inoltre, anche i rifiuti freschi subiranno un trattamento che garantirà il recupero di risorse altrimenti sprecate. Nel trattamento del rifiuto proveniente da discarica - continua Tondelli - si andrà a eliminare la parte inerte mentre la restante parte verrà avviata a combustione. Nel trattamento del rifiuto fresco ci sarà invece una prima separazione operata da vagli per eliminare la frazione organica. La rimanente frazione combustibile verrà avviata anch’essa a termovalorizzazione”. L’impianto è stato concepito in modo semplice per avere costi di gestione conte-
nuti. Non sono presenti, infatti, trituratori secondari che avrebbero comportato un aumento dei costi dell’impianto, incidendo negativamente anche sul prezzo del prodotto in uscita. Gli impianti saranno installati sulle discariche e sono composti da un trituratore primario alimentato da una benna che lavora i rifiuti ottenendo una pezzatura regolare tra i 100 e 200 mm. Successivamente il rifiuto triturato viene sottoposto a vagliatura per eliminare la parte più fine che, se proveniente dalle discariche da bonificare, comprende terra, sassi e inerti. Qualora il rifiuto da vagliare provenga da rifiuti solidi urbani freschi, la parte inerte sarà minima, mentre sarà rilevante la quantità di rifiuto organico. Terminata la prima vagliatura, il rifiuto viene sottoposto a una seconda vagliatura che permette di selezionare un prodotto di pezzatura media intorno ai 100 mm. La frazione più grossa di 100 mm viene inviata di nuovo al trituratore che la riduce alla misura opportuna e una elettrocalamita provvede a intercettare i metalli per avviarli a recupero. Il prodotto in uscita dall’impianto con pezzatura di circa 100 mm è pronto per essere utilizzato come combustibile in termovalorizzatori o cementifici. La produzione dell’impianto in ingresso è di circa 40 tonnellate all’ora. Le 4 linee che sono state commissionate sono dotate tutte della stessa impiantistica. “Il fiore all’occhiello di questo impianto - conclude Tondelli - è che con una linea semplice e macchine standard si riesce
a ottenere un prodotto interessante che permette buoni ricavi”. I trituratori primari, scelti per questo lavoro dai progettisti Forrec, sono le macchine più performanti della
serie multi laceratori. Il multi laceratore FR 5000 è progettato per il trattamento di rifiuti solidi urbani, rifiuti ingombranti, rifiuti industriali e per materiali imballati e sfusi.
Il ciclo di rotazione degli alberi è gestito da PLC e consente di lavorare elevate quantità di materiale, senza la necessità di installare ulteriori optional. I costi di gestione, nonostante le alte prestazioni, sono particolarmente contenuti, specialmente per quanto riguarda le parti in contatto con il rifiuto, lame e controlame, che possono essere ricostruite in modo veloce ed economico. Altre macchine di progetto esclusivo Forrec sono i vagli a dischi serie DS, costruiti specificamente per applicazioni pesanti, con tutte le parti a contatto dei rifiuti realizzate in acciai temperati per minimizzare l’usura. Sono in grado di effettuare una efficace vagliatura su grandi portate di materiali molto “difficili”, come rifiuti con grandi quantità di terra e inerti. Il progetto studiato e realizzato da Forrec assume caratteristiche fondamentali per il mercato asiatico. La linea, semplice e compatta, con bassi costi di gestione ed elevate performance è destinata a essere replicata in altri siti in Thailandia, contribuendo alla prevenzione dell’inquinamento che sta fortemente minacciando questi territori.
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LA STORIA CHE VA E LA STORIA CHE RIMANE DEMOLIZIONE DELL’EX STABILIMENTO FRETTE IN PROVINCIA DI MONZA BRIANZA di Laura Veneri
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Concorezzo in provincia di Monza Brianza sono in tanti a ricordare i fasti della Frette, storica azienda tessile che ha dato lavoro a intere famiglie del posto. Ma il mercato è cinico e l’economia detta le sue regole, per cui lo stabilimento aperto nel 1865, cui hanno fatto seguito ampliamenti nel corso degli anni, ha dovuto chiudere i battenti nel 2007. L’area è stata risanata da poche settimane dalla PRO.GER. srl, azienda di demolizioni bergamasca che ha proceduto alla demolizione di tutti gli edifici (a eccezione del primo edificio costruito, che sarà adibito a museo). A differenza della Frette, l’azienda di demolizione PRO.GER. è giovane e molto determinata: Alex Bonacina, fondatore e
LA STORIA DI FRETTE Frette è tutt’oggi sinonimo di biancheria di lusso per la casa. Edmondo Frette era un industriale francese, che nel 1838 aprì uno stabilimento tessile a Grenoble, in Francia, e successivamente, nel 1865, si trasferì in Brianza, aprendo due stabilimenti, uno a Sovico e l’altro a Concorezzo. Frette fu una delle prime industrie tessili della provincia di Monza Brianza. Lo stabilimento di Concorezzo chiuse i battenti in seguito a decisioni manageriali qualche anno fa dopo oltre 140 anni di produzione. La biancheria firmata Frette si narra sia stata scelta da importanti famiglie reali europee e italiane, come i Savoia, il Vaticano, i più esclusivi hotel del mondo, persino il Titanic, il più lussuoso transatlantico dell’epoca e l’Orient Express.
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amministratore unico, che ha rilevato interamente l’attività nel 2005, vanta un’alta specializzazione in demolizioni, bonifiche e recuperi ambientali, interventi che la società ha effettuato ordinariamente negli ultimi anni. Attualmente l’area è di proprietà della Concorezzo Costruzioni, che ha affidato 26.000 m² alla PRO.GER. per l’opera di demolizione. In data 26 aprile 2017 sono ufficialmente iniziati i lavori che si sono conclusi il 20 luglio con la firma del fine lavori e il passaggio del testimone all’impresa di costruzioni che proseguirà il risanamento e la rinascita di quest’area storica; con l’abbattimento delle strutture ex-Frette si è probabilmente scritta una nuova pagina nella storia della città di Concorezzo. Nell’area, ora è prevista la realizzazione di un centro commerciale e una parte abitativa.
LE FASI DELLA DEMOLIZIONE
Entrando nel dettaglio della parte tecnica, ufficialmente si è trattato di demolire circa 84.000 m3 con rispettive pavimentazioni e fondazioni. Gli edifici da demolire, costruiti in periodi storici differenti, presentavano dimensioni e altezze diverse. La parte storica dell’azienda infatti era costituita da edifici bassi, mentre nei successivi ampliamenti erano stati costruiti edifici a più piani. Data l’elevata altezza degli edifici più recenti, sono state utilizzate delle macchine operatrici caratterizzate da bracci estendibili fino a 20 m, tutte munite di
apposite attrezzature per la demolizione, la frantumazione e la cernita dei rifiuti prodotti. Sono stati utilizzati contemporaneamente fino a sei escavatori dai 200 ai 450 quintali (Volvo, Komatsu, Hitachi); attrezzature quali pinze, frantumatori e martelli NPK di ultima generazione; una pala cingolata Caterpillar per la movimentazione e il carico di autocarri, mezzi d’opera rigorosamente MAN Truck e, non ultimi, l’uso di nebulizzatori della ditta WLP srl per l’abbattimento delle polveri. Tutte le opere sono state eseguite nel pieno rispetto delle norme in materia di sicurezza. Tutti gli operatori presenti in cantiere sono stati dotati di appositi dispositivi di protezione come previsto dalla Legge, sempre sotto la supervisione del direttore tecnico Alex Bonacina. La demolizione è stata di tipo selettivo, per cui sono stati inizialmente differenziati i materiali per tipologia direttamente in cantiere, prima di procedere con l’abbattimento delle strutture. “Parlando di demolizione si dà poca importanza alla fase finale, - ci spiega Alex Bonacina - si pensa che una volta demolito un edificio si sia conclusa la parte principale dell’opera, invece eseguire un corretto smaltimento e/o trattamento di tutto quanto prodotto durante le lavorazioni è altrettanto fondamentale. Si tratta di un campo molto delicato, per il quale sono necessarie conoscenze tecniche e personale specializzato e adeguatamente formato per operare in sicurezza secondo le
norme stabilite dal codice ambientale. Nello specifico, prima dell’inizio delle opere, è stato fondamentale effettuare con la direzione lavori una mappatura degli edifici da demolire, con una preliminare valutazione circa le tipologie e le quantità di rifiuti che sarebbero poi stati prodotti e con la definizione di una precisa area di collocamento temporaneo per il successivo passaggio: la cernita”. La cernita dei rifiuti è un’operazione necessaria ai fini dello smaltimento e del trattamento: si tratta di un’accurata selezione e separazione dei rifiuti in base alla tipologia e alle caratteristiche degli stessi. La PRO.GER. con la demolizione diventa il “produttore” dei rifiuti e ha quindi l’obbligo di stabilirne la natura, attribuendo un corretto CER (Codice Europeo dei Rifiuti), ovvero un codice identificativo che viene assegnato a ogni tipologia di rifiuto in base alla composizione e al processo di provenienza. Una parte dei rifiuti è stata conferita presso siti autorizzati al recupero e/o allo smaltimento, una parte è stata invece accatastata per la successiva riduzione volumetrica. Il cantiere si è concluso rispettando i tempi che erano stati preventivati.
i numeri del cantiere:
Dimensioni area: 26.000 mq Cubatura edifici da demolire: 84.400 mc vpp Cubatura fondazioni: 685 mc
Macchine utilizzate:
Hitachi 280 High reach demolition Volvo EC300 E – Volvo EC220 E - Volvo EC210 C Komatsu 290 – Komatsu 210 – Komatsu 200 – Komatsu WA320 Cat 963
Attrezzature utilizzate:
NPK S-22 - NPK S-15–– NPK G30-JR - NPK U21JR– NPK D2000 – MBI 800
Autocarri Utilizzati:
mezzi d’opera MAN Truck
ABBATTIMENTO POLVERI Per abbattere le polveri della demolizione è stato installato in cantiere un DEMOLITOR 50 WLP che fa parte della linea Light Duty. Le macchine di questa linea si distinguono per la semplicità di utilizzo, per i bassi consumi energetici e idrici e per i ridotti ingombri che ne facilitano la movimentazione ovunque ci sia la necessità di abbattere le polveri e gli odori. La formula tutto a bordo (pompa dell’acqua, sistema di filtraggio e rotazione automatica) abbinata a un pannello di comando di facile utilizzo, semplifica notevolmente l’utilizzo delle macchine.
DATI TECNICI
DEMOLITOR 50
Potenza installata
8 Kw
Potenza ventilatore
5,5 Kw
Potenza pompa acqua
2,2 Kw
Grado di protezione
IP55
Alimentazione
32A 3P + (N) + T 400 Volts 50 Hz
Alzo
-20° + 45°
Distanza max del getto
40 m
Rumorosità
< 93 Lwa
Peso a secco
240 Kg
Dimensioni (mm)
L = 1800 H = 2000 W = 1500
Pressione minima
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QUESTIONE DI SICUREZZA POTER LAVORARE IN SICUREZZA RICHIEDE L’USO DI TECNOLOGIE IDONEE: L’IMPIEGO DEI BLINDAGGI IN UN CANTIERE DI BONIFICA IN CENTRO ABITATO di Maria Beatrice Celino
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ares è una società che opera nel settore della progettazione e costruzione di impianti di carburante attraverso servizi di ingegneria ambientale e di bonifica di siti contaminati. Attualmente sta portando a termine la bonifica di un’area nel centro di Milano in cui era presente un distributore di carburanti. Per il cantiere di bonifica, la Mares ha scelto di utilizzare i sistemi di blindaggio forniti dalla Elto Srl. Abbiamo avuto il piacere di intervistare il Dr. Geol. Francesco Leoni di Mares e l’Ing. Matteo Savriè di Elto, che ci hanno fornito indicazioni sulle operazioni di bonifica e sulle tecnologie utilizzate per lavorare in sicurezza. La bonifica dei suoli dell’ex distributore di carburante a Milano ci permette di conoscere meglio la società Mares. Dr. Leoni ci può descrivere meglio come è strutturata la vostra società? È un’azienda multisettoriale e multispecialistica che, attraverso cinque sedi, opera su tutto il territorio nazionale. La nostra struttura è divisa in tre settori: impianti, servizi, ambiente. Siamo un partner a 360 gradi di Q8 e ci
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occupiamo di bonifiche e monitoraggi per conto dei punti vendita Q8 attivi o dismessi, dalla fase di ristrutturazione del nuovo impianto di carburanti, alla fase di bonifica e monitoraggio dei distributori che rimangono attivi in presenza di contaminazioni. In sostanza ci occupiamo di protezione dell’ambiente. Relativamente al cantiere di bonifica del distributore di carburante dismesso a Milano, noi siamo affidatari della bonifica e ci occupiamo della gestione del cantiere, della gestione dei materiali di risulta (rifiuti speciali non pericolosi) che sono gestiti in base alla normativa vigente. Questi materiali vengono poi smaltiti in impianti di conferimento autorizzati che ruotano nel nostro indotto. La bonifica di cui vi state occupando ora a Milano è per voi un cantiere di routine o presenta delle criticità? È un cantiere senza criticità che permette di seguire la procedura in modo lineare. È stato avviato il procedimento ambientale di caratterizzazione e, in seguito alla stessa, sono iniziate le operazioni di bonifica, che in questa particolare situazione hanno previsto uno scavo con smaltimento dei terreni in impianti di conferimento. Le accortezze impiegate riguardano la ne-
cessità di mantenere lo scavo e gli edifici circostanti in sicurezza. Operiamo in pieno centro abitato a ridosso delle abitazioni e per questo abbiamo optato per una soluzione di blindaggio degli scavi per lotti: per le tecnologie impiegate ci siamo rivolti alla Elto che è già nostro fornitore da tempo. Il cantiere da bonificare è stato diviso in dodici lotti di scavo: asporteremo il terreno fino a 4,50 metri di profondità per un totale di circa 2.700 m3 di materiale da smaltire in impianti autorizzati. Attualmente stiamo sfruttando un impianto a Peschiera Borromeo dove abbiamo trasportato all’incirca l’80% del terreno escavato dal cantiere, ma a seconda delle necessità sfruttiamo anche altri impianti che operano nel nostro indotto. A livello di contaminazione non si registrano inquinanti pericolosi e le analisi evidenziano elementi tipici del suolo di Milano, quali metalli pesanti, nonché idrocarburi policiclici aromatici. Come e quando vengono effettuate le analisi dei terreni? Operiamo facendo il monitoraggio in corso d’opera della bonifica con analisi chimiche per ogni avanzamento. Le analisi servono per produrre le omologhe per lo smaltimento dei rifiuti (ogni camion viaggia con il
formulario e le analisi di quello che trasporta nel cassone). Il nostro è un laboratorio mobile attrezzato su un furgone che viene parcheggiato vicino al sito di intervento e che utilizziamo nei nostri cantieri in tutta Italia. Il laboratorio produce le omologhe dei rifiuti ed effettua le analisi di verifica del fondo scavo quando arriviamo alla quota definita. Per la sicurezza del cantiere che tecnologie avete utilizzato? Ci siamo rivolti a Elto che ha un prodotto innovativo che dà ottime garanzie in termini di stabilità e di velocità del lavoro. Per il blindaggio dello scavo abbiamo utilizzato moduli preformati molto veloci da assemblare
sul campo e molto vari come dimensioni; quindi anche per quanto riguarda la geometria dello scavo si adattano molto bene a qualunque situazione. Questi moduli, pur essendo di dimensioni diverse sono unibili fra di loro e sono molto facili da installare per cui si tratta solo di montare, smontare, prolungare o accorciare. Un’altra caratteristica rilevante di questa tecnologia, oltre alla velocità e alla flessibilità, è il costo. Noi abbiamo optato per il noleggio dei pannelli, in quanto per la tipologia e la durata di questo cantiere, il noleggio è la soluzione più economica. Elto nasce nel 1991 e offre attrezzature e soluzioni per ogni tipologia di cantiere. La
famiglia Tornimbeni ha creato un team di professionisti e tecnici che fornisce consulenza e assistenza direttamente sul luogo di lavoro per garantire risultati sicuri nelle attività di costruzione. Elto è distributore esclusivo in Italia per i blindaggi Emunds+Staudinger - KringsVerbau (ThyssenKrupp) e per i sistemi mobili ABI. Elto si occupa di protezione degli scavi, offrendo soluzioni in noleggio o vendita di tutti i materiali adatti per la protezione degli scavi come palancolati, blindaggi o blindoscavi. Ing. Matteo Savriè ci può descrivere le soluzioni utilizzate nel cantiere a Milano? Per quanto riguarda questo cantiere in particolare, si è scelto di intervenire con i blindaggi. Spesso si usano anche le palancole ma non in questo caso perché il cantiere è in centro abitato e questo non consente una idonea distanza di sicurezza dalle abitazioni. Rispetto alle altre attrezzature vagliate (un’altra possibile soluzione sono i micropali), la scelta è stata fatta in base a valutazioni tecniche di sicurezza, di costi e di tempo, optando quindi per l’utilizzo di pannelli (blindaggi) per la protezione dello scavo. Come si procede all’installazione dei blindaggi per lo scavo? Inizialmente si divide l’area in vari lotti, che vengono completati uno a uno prima di iniziare il successivo. Viene dapprima fatto un prescavo profondo circa 1 metro e sul perimetro dello scavo vengono posizionati i pannelli dotati di guide in cui vengono inserite le palancole (queste palancole non sono quelle tradizionali che vengono vibrate nel terreno, ma scendono per autofondazione nel terreno mano a mano che lo scavo prosegue). Questi pannelli si chiamano KKP e orizzontalmente fra loro vengono inseriti dei puntoni. In questo modo, il pannello rimane in posizione grazie al puntone interno posizionato tra pannello e pannello e alla controspinta del terreno. Una volta messi i pannelli nel prescavo si inizia a scavare fino ad arrivare alla quota definita. Quando lo scavo supera i tre metri di profondità bisogna effettuare il classico giro di briglie, in pratica bisogna appoggiare delle travi HEV all’interno dello scavo in modo che queste puntellino i pannelli e le palancole continuino a scendere perpen-
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dicolarmente. Generalmente dai 2,5 ai 3 metri c’è il primo giro, poi se si superano i 4,5 metri si effettua il secondo giro. Altre considerazioni da fare sul campo riguardano la presenza di acqua di falda, le caratteristiche del terreno, la vicinanza degli edifici, ecc. Tutti i pannelli sono certificati e permettono agli operai di lavorare in condizioni di sicurezza all’interno dello scavo. Ad esempio, queste soluzioni sono particolarmente utilizzate per posizionare i tubi delle fognature.
un tipo di blindaggio che viene montato in magazzino, caricato sul camion e posizionato così com’è direttamente nello scavo effettuato in cantiere per poter lavorare in sicurezza all’interno dello scavo. Queste soluzioni sono ideali per la posa di tubi di qualsiasi tipo, pozzetti, camere di spinta, vani ascensore, fondazioni di case, interrati, piscine, ecc. Sono ideali anche per cantieri di grandi dimensioni; sono stati ad esempio impiegati per gli scavi della linea C della metropolitana di Roma.
Elto fornisce anche soluzioni di noleggio? Certamente, Elto offre soluzioni di noleggio in quanto le attrezzature sono molto costose e difficilmente una ditta ha convenienza nell’acquisto. A seconda delle esigenze, Elto consiglia le palancole o i pannelli, ma per i cantieri di bonifica in zone urbane i blindaggi sono la soluzione migliore anche da un punto di vista economico. Con i blindaggi abbiamo lavorato in tutta Italia (Torino, Milano, Parma, Verona, ecc.). Si rivolgono a noi anche piccole aziende che chiedono box standard,
È necessaria una formazione specifica per montare questi blindaggi? Per i blindaggi a box non è necessario alcun tipo di formazione perché il blindaggio viene calato direttamente nello scavo. Per i sistemi misti o a rotaie che si montano direttamente in opera, facciamo un giorno di formazione alla squadra che monterà i blindaggi noleggiati. Offriamo soluzioni semplici da usare, infatti le aziende che hanno collaborato con noi una volta sanno già cosa richiedere per il cantiere successivo.
PR OGE TTI
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UTILIZZO DI SURFATTANTI PER LA BONIFICA DI SITI CONTAMINATI DA IDROCARBURI CON PRESENZA DI FASE LIBERA UNA NUOVA TECNOLOGIA AMBIENTALE SVILUPPATA DA UN’AZIENDA SPECIALIZZATA NELLO SVILUPPO E NELL’APPLICAZIONE DI PRODOTTI INNOVATIVI PER IL RISANAMENTO DI ARIA, SUOLO E ACQUE SOTTERRANEE di Claudio Sandrone, Andrea Campi e Federico Accorsi*
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a Ivey-sol® Surfactant Technology è una tecnologia brevettata, che utilizza una specifica formulazione di surfattanti non ionici biodegradabili in grado di desorbire in maniera selettiva dalla matrice solida i contaminanti di interesse (COC) (i.e. adsorbiti e/o assorbiti) e rendere miscibili in fase liquida i Non Aqueous Phase Liquids (NAPL). Tale tecnologia è in grado di trattare un’ampia gamma di contaminanti LNAPL (idrocarburi di origine petrolifera) così come DNAPL (i.e. solventi clorurati). L’azione dei surfattanti (Surfactant = SURface ACTive AgeNT) Ivey-sol, ideati e prodotti da Ivey International Inc. e distribuiti in Italia da BAW s.r.l., permette di abbassare la tensione superficiale del liquido (i.e. acqua di falda) da 73 a < 30 dynes, la tensione interfacciale tra due liquidi e quella interfacciale tra solido e liquido. La dimensione del cluster della molecola d’acqua (Fig.1) risulta ridotta agevolando così l’infiltrazione e la mobilità dell’acqua anche in matrici poco permeabili (i.e. sabbie limose, limi argillosi). I tensioattivi sono composti da molecole cosiddette anfifiliche, costituite da una “coda” idrofoba e una “testa” idrofila; contengono cioè al proprio interno
sia una parte idrosolubile che una componente non solubile in acqua (o oliosolubile). La particolare composizione
Figura 1. La riduzione del cluster dell’acqua ad opera dei surfattanti Ivey-sol® (tensione superficiale inferiore) favorisce miglior infiltrazione e trasporto anche in terreni poco permeabili
Figura 2. Concentrazione Micellare Critica
Figura 3. Desorbimento del contaminante (LNAPL o DNAPL) dal terreno ad opera del tensioattivo Ivey-sol® e formazione delle micelle parziali, che rendono il contaminante più disponibile per trattamenti successivi
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chimica dei surfattanti Ivey-sol permette di operare a valori ben al di sotto della concentrazione micellare critica (CMC, Fig.2) grazie alla formazione di micelle “parziali” che sono in grado di desorbire selettivamente il contaminante evitando di inglobarlo completamente (Fig.3). In questo modo il contaminante viene reso disponibile per i successivi trattamenti fisici, chimici e/o biologici. Questa particolare modalità di azione dei surfattanti Ivey-sol comporta un minor consumo di surfattante, conseguentemente minori costi e un ridotto impatto ambientale (già basso dal momento che il composto è biodegradabile) rispetto ai tensioattivi tradizionali. Inoltre, la caratteristica di essere un tensioattivo non-ionico consente al prodotto Ivey-sol di non essere soggetto ai fenomeni di trasporto elettrochimico nell’acquifero, tipici dei tensioattivi convenzionali, aumentandone la permanenza nell’area in cui viene immesso. In base ai contaminanti di interesse (COC) presenti in sito sono applicabili differenti formulazioni dell’Ivey-sol®, eventualmente combinabili fra loro in caso di contaminazioni multiple. In sintesi, l’applicazione dei surfattanti Ivey-sol:
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o attraverso piezometri vicini (un’animazione dell’applicazione Push&Pull è disponibile sul BTEX, MTBE, Gasoline, Jet Fuel 103 sito www.iveyinternational.com/ Diesel (Light-Medium Heavy), PAH 106 videopresentation). Ivey InternaChlorinated Solvents (DNAPL, API <10) 106 (CI) tional Inc. ha ideato e prodotto un test qualitativo istantaneo Motor Oil, Lubricants, Bunker-C 108 (Fig.4) che permette di determi1. permette di superare i problemi nare in campo, in tempo reale, la presenza e la concentrazione di surfattanrelativi alla dissoluzione dei NAPL, te nell’acqua di falda consentendo così all’assorbimento dei contaminanti di gestire efficacemente il processo di sulla matrice solida e alla loro basestrazione e limitare la quantità di acsa solubilità; 2. riduce la tensione superficiale qua estratta a quella realmente necessaria. dell’acqua, migliora la bagnabilità e Le caratteristiche idrogeologiche del la conducibilità idraulica (K); 3. lavorando al di sotto della CMC sito e della contaminazione presente permettono di definire il numero di ci(concentrazione micellare critica), cli Push&Pull necessari (mediamente migliora, per un ampio range di il numero di cicli varia da 6 a 12) per contaminanti, l’efficacia dei trattaraggiungere l’obiettivo di risanamento menti di bonifica (fisici, biologici e prefissato. chimici, in situ ed ex situ) successivi.
CONTAMINATION OF CONCERN (COC)
APPLICAZIONE PUSH&PULL
IVEY-SOL®
L’applicazione dei prodotti Ivey-sol avviene generalmente con la tecnica denominata Push&PullTM, con lo scopo di rimuovere la contaminazione assorbita sulla matrice solida, disciolta nell’acquifero e presente in frangia capillare. Il prodotto viene miscelato con acqua in proporzioni che variano in base alla contaminazione presente nel sito (il rapporto Ivey-sol / acqua varia in genere da 1:50 a 1:25) e l’immissione avviene per gravità in piezometri fenestrati alle profondità in corrispondenza delle quali occorre effettuare l’intervento (si consiglia di utilizzare piezometri con diametro 4 pollici). Ogni evento Push&Pull è caratterizzato dall’immissione di una certa quantità di miscela nei piezometri e dalla successiva estrazione attraverso pompaggio. La fase di pompaggio viene avviata trascorso un tempo precedentemente stimato (ore o giorni) in base alla caratteristiche sito-specifiche. L’obiettivo del pompaggio è la rimozione della massima parte del tensioattivo iniettato, unitamente ai contaminanti che, grazie all’azione del tensioattivo stesso, sono stati resi più miscibili all’acqua di falda e quindi più disponibili per la rimozione. L’estrazione può avvenire negli stessi piezometri di iniezione
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CASO STUDIO: EX PUNTO VENDITA CARBURANTI
Il sito è costituito da un ex punto vendita di carburanti, il quale nel passato ha registrato la perdita da una delle tre cisterne interrate da 30 m3, di un quantitativo non noto (in ogni caso ingente) di diesel. Il tempo intercorso tra l’inizio della perdita e la dismissione del sito (una decade), ha comportato l’adsorbimento dell’inquinante sulla matrice solida del terreno, a profondità a partire da ca. 4 m da p.c. fino a raggiungere la smear zone tra 8 e 9 m da p.c., livello in cui è stata riscontrata la contaminazione più significativa, oltre alla presenza di fase libera nell’acquifero superficiale. Le attività di messa in sicurezza d’emergenza del sito si sono sviluppate con l’installazione di skimmer per la rimozione della fase libera (ca. 30 cm) riscontrata nei piezometri di monitoraggio; dopo ca. un anno di rimozione con tale tecnica, gli spessori di fase libera hanno raggiunto valori inferiori (3-5 cm), senza che fosse tuttavia possibile procedere ulteriormente con una significativa rimozione della stessa. E’ stato pertanto progettato e applicato un intervento di bonifica con la Ivey-sol Surfactant Technology, implementato con l’installazione di dieci punti di iniezione/ estrazione, fenestrati in corrispondenza degli orizzonti maggiormente contami-
Figura 4. Ivey-sol® surfactant test
nati. Il trattamento della porzione insatura (4-6 m da p.c.) è stato eseguito posizionando un packer a 6 m da p.c. e iniettando per gravità sopra di esso (creazione di una colonna di lavaggio che trasporta il contaminante sulla tavola d’acqua dove viene così estratto mediante emungimento). Successivamente al trattamento della porzione insatura è stato effettuato il trattamento della frangia capillare, iniettando i surfattanti sul pelo libero ed emungendo mediante l’utilizzo di pompe elettrosommerse posizionate con il pescante ca. 50 cm sotto la tavola d’acqua e regolando la portata in modo da ottimizzare il recupero di surfattante senza necessità di rimuovere eccessivi volumi di acqua di falda. L’azione del surfattante Ivey-sol ha permesso, come previsto, di rendere miscibile il contaminante in acqua migliorandone la resa di estrazione (v. Fig.5).
Figura 5. Azione del Surfattante Ivey-sol®: acqua emunta da un piezometro composta da acqua e idrocarburo in soluzione
Durante l’applicazione delle diverse fasi di intervento si è assistito a una significativa diminuzione della fase libera rilevata nei piezometri, grazie all’azione dei surfattanti Ivey-sol che, determinando un aumento della miscibilità in acqua dei contaminanti idrocarburici adsorbiti al terreno, hanno favorito una migliore resa nell’estrazione dei contaminanti stessi nelle fasi di Pull (emungimento dai piezometri). Sono stati eseguiti complessivamente otto cicli di Push&Pull; il monitoraggio dell’intervento condotto durante l’esecuzione di tali cicli ha permesso di verificare l’efficacia dell’applicazione, rappresentata da una significativa e progressiva diminuzione dello spessore di fase libera (Fig.6), con il raggiungimento degli obiettivi di bonifica previsti per il sito (assenza di fase libera e concentrazioni nei terreni insaturi e nelle acque di falda conformi ai valori definiti nel Progetto Operativo). Durante l’implementazione degli otto cicli Push&Pull è stata eseguita l’im-
geologiche del sito e della contaminazione presente, anche dalle modalità stesse di applicazione, con particolare riferimento alla capaciFigura 6. Andamento dello spessore di surnatante misurato all’inizio dei cicli di Push
missione di 1.600 L di concentrato Iveysol 106 diluito in 80 m3 di acqua (soluzione al 2%) e un conseguente recupero di acque contaminate pari a ca. 240 m3, destinate a smaltimento. Sulla base di valutazioni in merito alle concentrazioni dei contaminanti sulle acque emunte e alla fase libera recuperata è stato possibile stimare un volume di idrocarburo rimosso pari a ca. 5.500 litri. Il successo di tali tipologie di intervento è determinato, oltre che da una buona conoscenza delle caratteristiche idro-
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tà da parte dei tecnici di interpretare quanto osservato durante i primi cicli di Push&Pull e di migliorare le modalità di applicazione in modo da adeguarle al reale comportamento dei reagenti immessi e della contaminazione rimossa; a tale scopo possono essere previsti test pilota di campo su aree ridotte (fino a un paio di piezometri) e con un numero di cicli inferiori rispetto al full-scale (per un test pilota si consigliano almeno tre cicli Push&Pull). BAW s.r.l.
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REPLACEBELT IL NASTRO TRASPORTATORE REALIZZATO IN PLASTICA RICICLATA NON DA IMBALLAGGIO di Laura Veneri
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ePlaceBelt è un progetto europeo Life che ha visto coinvolti vari attori per lo sviluppo di un prototipo di nastro trasportatore industriale le cui componenti strutturali sono in plastica riciclata anziché in metallo. Il progetto intendeva analizzare i flussi di rifiuti di plastica non da imballaggio, per trovarne applicazioni di riuso industriale. Si stima che 800 mila tonnellate di materiali in plastica dura finiscono ogni anno in Italia in discarica in quanto non esiste (ancora) la possibilità di riutilizzarli e quindi non sono state pensate raccolte ad hoc, come succede con la plastica da imballaggio. Che questi materiali possano invece essere riutilizzati, con processi ambientalmente ed economicamente sostenibili lo ha dimostrato il programma europeo “RePlaCeBelt”, un progetto pilota che si propone proprio di individuare i possibili percorsi di riutilizzo e valorizzazione della plastica urbana o assimilata. Al programma hanno aderito in Italia tre aziende specializzate nella lavorazione delle materie plastiche ed Etra, azienda multi utility gestore della raccolta di rifiuti. “Abbiamo avviato iniziative specifiche di raccolta di questi materiali - commenta il Presidente di Etra, Andrea Levorato - coinvolgendo 13 Comuni, per oltre 130.000 abitanti. Gli utenti, in occasione della consegna dei nuovi contenitori per la raccolta differenziata, erano stati invitati a portare gli oggetti di plastica rigida rotti o inutilizzati, per contribuire al loro recupero. Più di 2.700 persone hanno conferito quasi 500 metri cubi di plastica dura, circa 18 tonnellate. Quindi, insieme agli altri partner, con il materiale plastico raccolto è stato realizzato un nastro trasportatore e alcune componenti strutturali, che solitamente sono in alluminio e materiali
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plastici vergini. Il manufatto, testato nel nostro impianto di Camposampiero, è risultato idoneo all’utilizzo in ogni settore, dall’industria tecnica a quella alimentare, grazie alle diverse possibili capacità di carico e alla sua efficienza alle sollecitazioni statiche e dinamiche. È la prova concreta che è possibile avviare una filiera di recupero e di riutilizzo sostenibile della plastica
dura. Un tema di particolare rilievo nello scenario dove l’economia circolare rappresenta il contesto di riferimento”. Le altre aziende partner del progetto sono Vivi srl e F.lli Virginio srl: Plastic Metal S.p.A si occupa della produzione di presse a iniezione per lo stampaggio dei termoplastici caratterizzati da sistema di chiusura a doppia ginocchiera e da forza di chiusura da 35 a 3200
t. L’azienda, oltre a essere il beneficiario responsabile e il coordinatore delle attività progettuali, ha progettato e realizzato le attrezzature per lo stampaggio delle componenti in plastica riciclata. Vivi S.r.l. ha da anni sviluppato un know-how nel settore dell’arredo, sviluppando e producendo componenti per la realizzazione di mobili, sedie e poltrone di elevato valore estetico e funzionale. L’azienda si è occupata della progettazione degli stampi e del successivo stampaggio dei componenti per il nastro trasportatore, impiegando specifiche competenze di stampaggio e attrezzature speciali. F.lli Virginio S.r.l. produce, da oltre quarant’anni, sistemi di trasporto, automazioni e accessori utilizzati nel corso della lavorazione industriale di materie plastiche. La realizzazione di isole di lavoro completamente automatizzate è uno dei risultati ottenuti unendo esperienza e aspirazione all’innovazione. Questa azienda si è occupata della progettazione del prototipo e successivo assemblaggio per consentirne i test operativi. Nell’ambito del progetto, Etra ha realizzato uno studio del possibile flusso e degli scenari di raccolta e riciclaggio a livello nazionale. Nel corso dello studio è emerso che nel territorio servito da Etra vengono prodotti oltre 13 chilogrammi per abitante/anno di plastica non da imballaggio, poco più di 400 chilogrammi per abitante/anno. Si tratta di circa il 3,3% del totale dei rifiuti prodotti, una quantità non trascurabile, che proiettata a livello nazionale corrisponde a circa 800.000 tonnellate all’anno di materiali che non trovano una via di riutilizzo. “Se i risultati del progetto ReplaceBelt potranno essere estesi alla produzione di altri manufatti in plastica rigida riciclata - spiega Levorato - sarà possibile un forte aumento dell’uso di questo materiale come materia prima secondaria, a vantaggio dell’ambiente”.
Ce coinvolgendo gli stessi soggetti. Il progetto RePlaCe, sviluppato dal 2009 al 2012, ha visto la realizzazione di componenti strutturali di un nastro trasportatore in materiale plastico riciclato (ad esempio le barre laterali, che solitamente sono realizzate in alluminio). I risultati soddisfacenti hanno posto le basi per la prosecuzione del progetto: l’utilizzo della plastica riciclata per realizzare anche il tappeto, solitamente fatto di materiali vergini (PVC, gomma sintetica e plastica vergine). RePlaCeBelt, dopo un’analisi finalizzata a individuare le tipologie di materiali plastici riciclati idonei alla produzione dei componenti modulari, ha visto la realizzazione di un prototipo di nastro trasportatore con un nuovo tappeto modulare interamente in plastica riciclata, una frazione della quale derivata da riciclo urbano. Il prototipo è stato testato nell’impianto di bio-trattamento di Etra a Camposampiero (PD), per avere dati e informazioni sulle reali capacità operative e testare la resistenza in condizioni gravose di utilizzo. Si è dimostrato dunque che la plastica riciclata può essere utilizzata anche per altri componenti in applicazioni che richiedono tolleranze strette ed elevata
resistenza. Per i cittadini sono state realizzate campagne informative finalizzate al miglioramento della qualità di plastica post-consumo raccolta, recapitando materiali di approfondimento e invitandoli a portare i loro rifiuti in plastica rigida. A completamento del progetto è stato inoltre elaborato uno studio che identifica la sostenibilità anche a livello nazionale della raccolta di questa tipologia di plastica, con l’obiettivo di promuovere la raccolta dei rifiuti urbani in plastica rigida e ingombrante nella Regione Veneto. Lo studio ha delineato un possibile scenario di sviluppo della raccolta e valorizzazione di materiali post-consumo, evidenziando che un mercato specifico già esiste, anche se va ulteriormente incentivato e valorizzato. Il progetto ha dunque dimostrato che è “virtualmente” possibile chiudere il ciclo tra raccolta e selezione di scarti post consumo e produzione industriale con plastiche riciclate. In futuro si dovrà lavorare affinché gli scambi e la circolarità della filiera siano sempre più fluidi, rimuovendo gli ostacoli tecnici e normativi e introducendo sistemi di certificazione e tracciabilità.
L’EVOLUZIONE DEL PROGETTO
RePlaCeBelt è un’iniziativa pilota, cofinanziata dal programma europeo LIFE+, che prosegue l’esperienza iniziata con il precedente progetto RePla-
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PROGETTI EMILIANI DI RESPIRO EUROPEO IN PROVINCIA DI REGGIO EMILIA SONO ATTIVI DUE PROGETTI FINANZIATI DAL PROGRAMMA LIFE+ NELL’AMBITO DEL RECUPERO DELLE ACQUE E DEL BIOMETANO di Laura Veneri
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maggio si sono celebrati i 25 anni di Life, il programma europeo per finanziare i progetti di salvaguardia ambientale e della natura. In questi anni, grazie ai fondi europei, è stato possibile studiare e promuovere tecnologie per la sostenibilità come quelle che vogliamo presentarvi e che vedono protagonista il gruppo Iren, accanto ad altri partner qualificati nel settore ambiente, come il Gruppo Hera. Iren è una multiutility che opera nei settori dell’energia elettrica, dell’energia termica per teleriscaldamento, del gas, della gestione dei servizi idrici integrati e dei servizi ambientali. Iren ha sede direzionale a Reggio Emilia e proprio in provincia di Reggio Emilia ha promosso due progetti sul biometano e sul recupero delle acque.
IL BIOMETANO IN EMILIA ROMAGNA
Il biometano è un gas, costituito prevalentemente da metano, prodotto dalla digestione anaerobica o dalla gassificazione di biomassa. Viene ottenuto dalla
purificazione (o upgrading) del biogas sino a raggiungere la qualità del gas naturale, producendo così un metano rinnovabile. In Italia, la produzione di biogas è cresciuta significativamente negli ultimi anni e conta circa 1800 impianti operativi, di cui circa 1360 nel settore agricolo e 440 nel settore rifiuti e fanghi di depurazione, per circa 1400 MWe installati, che posizionano l’Italia al quarto posto al mondo dopo Cina, Germania e Stati Uniti (GSE 2014). In Emilia-Romagna, la disponibilità di biomasse residuali è molto elevata, è pari a circa 17 milioni di t/anno solo di reflui zootecnici (CRPA, 2015), infatti la regione è seconda in Italia per numero di impianti di biogas (GSE, 2014). Il progetto BioMethER LIFE+, finanziato dal programma LIFE+ della Commissione europea, è coordinato da ASTER con il supporto della Regione EmiliaRomagna, e coinvolge CRPA Lab, laboratorio di ricerca industriale della Rete Alta Tecnologia dell’Emilia-Romagna, HERAmbiente, IREN Spa, IRETI e IREN
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Rinnovabili, e il partner tecnico SOL Spa. Obiettivo del progetto è quello di dimostrare la fattibilità tecnica e la sostenibilità della produzione di biometano per promuovere la filiera bioenergetica mediante la realizzazione di due impianti dimostrativi e una serie di azioni di sistema (strumenti di indirizzo, regolamentazione del settore) che possano dare avvio alla produzione di biometano in regione. Gli impianti dimostrativi processeranno il biogas da discarica e da fanghi di depurazione per produrre biometano destinato all’immissione in rete e al trasporto. Le azioni di sistema utilizzeranno i dati prodotti dai due prototipi di impianto realizzando linee guida regionali a supporto dello sviluppo della filiera del biometano tenendo conto degli impatti ambientali e della fattibilità economica specifici nel contesto regionale (disponibilità biomasse, criteri per la localizzazione degli impianti, possibili sistemi di incentivazione). I due impianti dimostrativi di upgrading del progetto BioMethER sono collocati
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presso il sito di HERAmbiente a Ravenna e presso l’impianto gestito da IRETI a Roncocesi (Reggio Emilia). A Ravenna, il biometano viene prodotto dal biogas proveniente dalla digestione anaerobica in alcuni comparti delle discariche HERAmbiente. Alla produzione dimostrativa di biometano verrà destinato un flusso di biogas, attualmente non utilizzato, di 100-150 m3/h contenente circa il 45-55% di metano. L’obiettivo è quello
di produrre biometano conforme alle caratteristiche necessarie per l’immissione nella rete del gas naturale. A Roncocesi, nell’impianto gestito da IRETI, un flusso di circa 70 m3/h di biogas derivante dalla digestione anaerobica dei fanghi di depurazione alimenta l’impianto di upgrading per produrre biometano da autotrazione. Il biogas di partenza ha un contenuto in metano che varia tra il 60 e il 65% e attualmente
viene utilizzato solo in parte all’interno dell’impianto per sostenere il processo di digestione anaerobica, mentre l’eccedenza viene smaltita in torcia. Attraverso i due impianti dimostrativi, il progetto BioMethER produrrà presso l’impianto HERAmbiente fino a 675.000 m3 di biometano per l’immissione in rete, e fino a 420.000 m3 di biometano per autotrazione nell’impianto gestito da IRETI. Questi quantitativi di biometano comportano una riduzione delle emissioni in atmosfera di circa 2.100 t di CO2.
IL PROGETTO BIOMETHER PRESSO IL DEPURATORE DI RONCOCESI
Il depuratore di Roncocesi è uno dei più grandi a servizio della città di Reggio Emilia e ha una potenzialità di circa 150.000 abitanti equivalenti. Le acque reflue vengono raccolte e collettate attraverso le reti fognarie e inviate al depuratore. Il processo depurativo è di tipo classico: dopo un pretrattamento del refluo per rimuovere sostanze grossolane, sabbie e oli, si attua una prima sedimentazione per rimuovere il materiale separabile per gravità dal resto del fluido; il materiale sedimentato, ricco di sostanza organica, è avviato alla digestione anaerobica descritta in seguito. Il refluo prosegue in una sezione che attua il vero e proprio processo depurativo: grazie all’azione di flore batteriche, mantenute in condizioni di processo specifiche, le sostanze inquinanti contenute nel refluo sono assimilate dagli stessi batteri e pertanto sottratte al fluido da depurare; in altri termini, i batteri “inglobano” tutte le sostanze che risulterebbero dannose se sversate nell’ambiente. Per separare i batteri dal refluo depurato vi è una seconda fase di sedimentazione nella quale la flora batterica (chiamata “fango di depurazione”) si adagia sul fondo dei sedimentatori, permettendo al refluo depurato di “sfiorare” nella parte superiore. Questo refluo di sfioro, avviato a una fase finale di trattamento per rimuovere eventuali contenuti batterici rimasti in sospensione, presenta caratteristiche previste dalla normativa per essere immesso in corpi idrici ricettori. Il fango depositato nella seconda fase di sedimentazione, è in parte riutilizzato
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per garantire, nella fase depurativa, una corretta presenza di flora batterica utile a rimuovere gli inquinanti, e in parte avviato alla fase di digestione anaerobica. La digestione anaerobica è il processo biologico attraverso cui il fango di depurazione (che ha in sé gli “inquinanti” sottratti dal refluo fognario) viene stabilizzato trasformando la sostanza organica, presente in forma concentrata, in biogas. Questo processo avviene ad opera di colonie batteriche diverse da quelle impiegate nel precedente processo depurativo e che richiedono condizioni ambientali molto particolari: assenza di ossigeno (è per tale motivo che si parla di processo “anaerobico”) e temperature costanti (circa 38-40°C); tali condizioni di processo sono mantenute in apposite vasche circolari (digestori), coperte e coibentate, nelle quali il fango di depurazione è riscaldato e ricircolato per diversi giorni (fino a quando la sostanza organica presente nel fango è in buona parte trasformata in biogas). Il biogas prodotto è estratto dai digestori e avviato a un serbatoio di stoccaggio (gasometro) per il successivo utilizzo; il fango stabilizzato è avviato a una fase di disidratazione per rimuovere l’acqua in eccesso (che è inviata di nuovo in testa all’impianto di depurazione) e suc-
cessivamente avviato a smaltimento. Il biogas è un gas con un’elevata percentuale di metano, circa il 65-70%, la rimanente quota è prevalentemente anidride carbonica e infine vi sono tracce di materiali inquinanti. Considerata l’elevata presenza di metano, il biogas è impiegato in apposite caldaie che consentono il mantenimento delle condizioni termiche nei digestori e di riscaldare l’acqua per i fabbisogni civili del depuratore (riscaldamento locali e acqua calda sanitaria). L’eccedenza di biogas, prima dell’avvento del progetto BioMethER, era bruciata in torcia come prescritto dalle autorizzazioni impiantistiche. Grazie al progetto BioMethER, il biogas eccedente sarà invece trasformato in biometano tramite l’impianto di upgrading. Lo scopo del progetto BioMethER da parte di Iren è quello di condurre uno studio approfondito sull’upgrading del biogas da depurazione e sull’uso del biometano prodotto per autotrazione. Il biogas in eccedenza prelevato dal gasometro viene in primo luogo deumidificato attraverso un apposito impianto di separazione delle condense per raffreddamento; il biogas essiccato è successivamente avviato a una sezione di filtrazione a carboni attivi per rimuovere le impurità in esso presenti (prevalen-
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temente acidi e composti del silicio). Il biogas pretrattato è successivamente compresso a circa 8-10 bar e avviato alle membrane che costituiscono il cuore del processo di raffinazione del biogas a biometano: le membrane sono costituite da piccoli tubicini (simili a “spaghetti fini” cavi al loro interno) aventi una parete permeabile alle molecole di anidride carbonica e non permeabile alle molecole di metano; quando il biogas compresso attraversa la membrana, si concentra in un effluente (ritentato) più ricco di metano, mentre il permeato va a costituire l’offgas (ricco di CO2). Per inciso, nell’impianto di upgrading installato a Roncocesi, vi sono due gruppi di membrane collegati in serie fra loro: quando il biogas attraversa il primo gruppo di membrane, si verifica la separazione fra un effluente (ritentato) più ricco di metano (che entrerà nel secondo stadio di membrane per ulteriore raffinazione), ed un effluente ricco di CO2 che costituisce l’offgas dell’impianto di upgrading; il fluido che entra nel secondo stadio è più ricco di CH4, ma contiene ancora tracce di CO2 e pertanto all’uscita del secondo stadio di membrane avremo il biometano finale (con il 96% di metano) ed un offgas che presenta un contenuto di CH4 maggiore
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rispetto all’offgas del primo stadio, e per tale motivo è ricircolato (unito al biogas) in ingresso al primo stadio. Ricircolando più volte il permeato nelle membrane si ottiene un gas con una percentuale di metano equivalente a quella del gas naturale impiegato nelle case. È opportuno sottolineare che il biometano, per poter essere impiegato in autotrazione o come gas domestico, deve rispettare specifiche normative tecniche e pertanto prima di essere immesso in rete è sottoposto ad analisi chimico-fisiche in un’apposita “cabina di consegna”, che blocca l’immissione in rete automaticamente qualora si verificassero dei superamenti nei limiti imposti. Come accennato, la normativa impedisce l’immissione in rete del biometano prodotto da biogas proveniente da fanghi di depurazione, pertanto il biometano prodotto nell’impianto gestito da IREN sarà reimmesso nel gasometro. In questa prima fase saranno condotti tutti i test utili ad approfondire le caratteristiche dei due gas prodotti nel processo di upgrading (biometano e gas di scarto) e ad affinare lo stesso processo affinché nella successiva fase si possa procedere alla produzione continuativa di biometano per raggiungere gli obiettivi originari del progetto BioMethER. Al superamento del vincolo normativo, infatti, il biometano prodotto nell’impianto di Roncocesi sarà immesso in una rete del gas (distante circa 700 metri dal depuratore) per poter essere veicolato tramite la stessa alle stazioni di rifornimento di metano presenti sul territorio e impiegate dalle auto del Gruppo IREN
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per effettuare rifornimento. L’obiettivo di progetto è quello di produrre circa novantamila chilogrammi di metano per auto, che costituiscono, ad oggi, il fabbisogno del parco auto del Gruppo IREN per la sola provincia di Reggio Emilia (circa 60 autovetture). Si stima che il biometano potenzialmente producibile in un anno (90.000 kg circa) con il progetto BioMethER a Roncocesi, consenta un risparmio di anidride carbonica equivalente (per evitato uso di carburante tradizionale) pari a circa 300 tonnellate, equivalente al quantitativo di anidride carbonica che potrebbe essere assimilata in un anno da circa 30.000 alberi (più o meno 60 ettari di bosco). Pertanto, ci si augura che l’esempio del progetto BioMethER possa essere di stimolo per altre iniziative analoghe nel resto del territorio nazionale.
IL “LAGO” DI ACQUA DEPURATA PER L’IRRIGAZIONE
A Mancasale di Reggio Emilia è stato portato a termine il progetto finanziato dall’Unione europea nell’ambito del Programma Life Plus Ambiente ReQpro. Con il progetto ReQpro, la provincia di Reggio Emilia, riutilizza, a fini irrigui, le acque reflue, in parziale sostituzione delle acque superficiali e di falda. Una quantità d’acqua recuperata e distribuita, che oscilla tra i 3,5 milioni e i 5 milioni di metri cubi, paragonabile a quella di un bacino di medio-grandi dimensioni, strategico in periodi siccità. La sperimentazione è stata avviata nella primavera 2016 in base a uno specifico Accordo di Programma fra Regio-
ne Emilia Romagna, Amministrazione Provinciale di Reggio Emilia, Agenzia Territoriale dell’Emilia Romagna per i Servizi Idrici e Rifiuti, IREN Acqua Gas S.p.A. (ora IRETI) e Consorzio di bonifica dell’Emilia Centrale; l’Accordo ha definito i valori-soglia che le acque affinate dovevano rispettare per poter essere immesse nella rete ai fini irrigui, regolando anche le modalità del monitoraggio e di gestione delle eventuali non conformità. Tale traguardo è stato raggiunto, sviluppando uno specifico modello di recupero e riuso per irrigare colture agrarie di pregio; le attività sono condotte presso il depuratore urbano, gestito dall’azienda multi servizi IRETI e le acque sono state distribuite e coordinate dal Consorzio di bonifica dell’Emilia Centrale. Il riuso ai fini irrigui delle acque reflue ha contribuito ad aumentare la disponibilità di acqua per l’irrigazione, contenendo la necessità di prelevare acque di elevata qualità dalla falda e diminuendo i costi energetici. Di questo intervento per il recupero delle acque infatti si era iniziato a discutere già dalla fine degli anni ’90 e in seguito sono stati fatti tutti i passi per arrivare alla sua realizzazione. La realizzazione dell’impianto, negli anni 2014 e 2015, ha coinvolto 18 imprese. Nel corso del primo anno di funzionamento, il 2016, l’impianto di depurazione e il servizio di consegna delle acque agli agricoltori hanno funzionato senza intoppi, permettendo di recuperare un quantitativo complessivo di risorsa idrica di tutto rispetto: dei 5,5 milioni di metri cubi di acqua che sono stati trattati da aprile a settembre, circa 3,5 milioni sono stati effettivamente indirizzati al riuso irriguo, consentendo di soddisfare le esigenze idriche di circa 800 ettari di terreno investiti con le colture tipiche dei nostri sistemi agricoli, dai prati, al mais, al vigneto. Il sistema complessivo di recupero e riuso irriguo delle acque è stato seguito attraverso il progetto LIFE+ ReQpro che ha dimostrato la validità tecnico-economica e l’efficacia del modello proposto, costituito dall’impianto di trattamento, dalla rete di distribuzione delle acque e dalle aziende agricole, e in particolare ha consentito di favorire la destinazione ai fini produttivi di una risorsa altrimenti destinata allo scarico in acque di superficie.
SMART SENSOR TECHNOLOGY: MONITORAGGIO AUTOMATICO DI PERDITE DI IDROCARBURI E PRESENZA DI VAPORI UNA SOLUZIONE TECNOLOGICA ALTERNATIVA GRAZIE ALL’INSTALLAZIONE DI SENSORI IN GRADO DI RISCONTRARE IDROCARBURI A MEZZO DI UNA REAZIONE CHIMICO-FISICA di Alessandro Raffi, Paolo Berutti e Jean Pierre Davit*
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n materia ambientale tutte le attività volte al monitoraggio delle acque sotterrane ricoprono un ruolo di fondamentale importanza. Più in generale, in qualsiasi sito avvenga lo stoccaggio nel sottosuolo di prodotti potenzialmente contaminanti, è fortemente consigliato
condurre periodiche campagne di monitoraggio della matrice acque sotterranee, oltre a una puntuale gestione degli apparati presenti (e.g. prove di tenuta, piani di controllo e manutenzione per serbatoi e tubazioni). Allo stato attuale dell’arte, il monitoraggio ambientale è condotto
Figura 1. Layout del sistema SST
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da personale qualificato a mezzo di strumentazione di campo (e.g. fotoionizzatore portatile, freatimetro, sonda interfase, etc.). Tali attività, impattanti dal punto di vista logistico per un sito attivo e onerose dal punto di vista economico, vengono perlopiù eseguite nel solo caso in cui sia in corso un iter ambientale. A seconda delle diverse attività condotte in sito, i vantaggi derivanti dal monitoraggio delle acque sotterranee possono essere molteplici. Per esempio, in un deposito per oli minerali, le attività di monitoraggio possono fungere da campanello d’allarme per piccole e non contabilizzabili perdite provenienti da grandi serbatoi; invece, in siti in cui sono presenti punti vendita di carburanti di limitate dimensioni, il monitoraggio permette di riscontrare prontamente la presenza di contaminazione potenzialmente non attribuibile alla gestione dell’esercizio in essere. Da oggi la Golder Associates S.r.l. propone una soluzione tecnologica alternativa, brevettata per il monitoraggio continuo, a basso costo e 24 ore su 24,
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VANTAGGI Non sono necessari lavori civili
I dispositivi SST sono di tipo wireless e vengono installati senza dover eseguire lavori civili. Un’installazione tipica dura tra 10 minuti e qualche ora.
Nessun falso allarme
Figura 2. Sensori da ubicare nei pozzi di monitoraggio
I sensori rilevano una reazione fisico/chimica solo in presenza di contaminati, prevenendo la possibilità di falsi allarmi. I sensori conservano anche l’evidenza della presenza di contaminante.
Non è necessaria l’installazione di software
I sistemi sono di tipo “plug and play”, quindi non è necessaria l’installazione di software. L’accesso ai dati è possibile da ogni computer o smartphone.
Non serve manutenzione
Il sistema non richiede manutenzione, essendo progettato per durare più di 7 anni in virtù delle sue doti di robustezza e lunga durata della batteria. 7 giorni su 7, della presenza di idrocarburo in fase separata o di alte concentrazioni di vapori di BTEX nei pozzi di monitoraggio identificati come “pozzi spia”. Il sistema prevede l’installazione di sensori in grado di riscontrare idrocarburi a mezzo di una reazione chimicofisica e trasmettere l’eventuale segnale di allarme in testapozzo dove il ripetitore lo invierà prontamente in modalità wireless al gateway (Figura 1). La centralina provvederà quindi all’elaborazione del segnale e all’invio di una mail con i dettagli dell’evento (e.g. identificativo pozzo, data e orario). Lo strumento tecnologico utilizzato è chiamato Smart Sensor Technology (“SST”) ed è caratterizzato dalle seguenti specifiche: • la totalità della strumentazione posta all’interno dei pozzi di monitoraggio è classificata e certificata ATEX II2G (Zona I); • la comunicazione dei segnali avviene in modalità wireless WiFi (868 MHz), permettendone l’installazione senza nessuna attività civile accessoria; • permette il rilevamento chimicofisico degli idrocarburi e meccanico dei liquidi;
•
garantisce l’immediato invio di un segnale di allarme a mezzo mail; • non necessita di alcun tipo di manutenzione e ha una durata media di funzionamento pari a 7 anni. La soluzione è composta da: • uno o più sensori da installare direttamente nei pozzi di monitoraggio all’interfaccia (Figura 2); • uno o più trasmettitori/ripetitori wireless IP68 da ubicare in testapozzo per recapitare il segnale a un gateway per una durata di circa 7 anni con un consumo medio pari a circa 25 mW (Figura 3); • un gateway che riceve tutti i segnali wireless provenienti dalla rete di sensori messa in campo e li trasmette tramite connessione GPRS all’utente finale (Figura 4).
SENSORI
Galleggiano all’interfaccia acqua/ aria e si riposizionano automaticamente in funzione delle variazioni del livello di falda. Nel caso di una perdita il sensore è in grado di rilevarla e inviare l’infor-
Figura 3. Trasmettitore/ripetitore WiFi IP68
Figura 4. Gateway
mazione tramite il trasmettitore e i ripetitori associati. Sono disponibili diversi tipi di sensori a seconda dei contaminanti di interesse e del grado di sensibilità strumentale richiesto.
TRASMETTITORE
Dispositivo certificato ATEX zona II e collegato al sensore, allo scopo di acquisire e inviare le informazioni acquisite al gateway. Utilizzabile per pozzi di monitoraggio di diametro 2” o superiore.
GATEWAY
In grado di collegarsi direttamente a un router o di utilizzare una SIM card. Utilizzando un segnale wifi è possibile facilmente accedere alla pagina di configurazione senza dover aprire o manipolare il gateway, è necessario solo uno smartphone o un computer. Il gateway è anche flessibile al punto da potersi collegare a sensori di altre compagnie. I dati acquisiti possono essere inviati ai nostri server o a server esterni. *Golder Associates srl
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IL SECOLO DELLA QUALITÀ IL SISTEMA DELLE CERTIFICAZIONI, DELLE ISPEZIONI E DELLE VERIFICHE AMBIENTALI STA CRESCENDO SEMPRE DI PIÙ. LA RELAZIONE ANNUALE DI ACCREDIA CONFERMA IL TREND POSITIVO di Valeria Menichini Lunghi*
S
e Joseph M. Juran, che è stato uno dei più eminenti esperti di qualità, intesa come qualità delle esperienze coscienti, ha dichiarato che “Il ventesimo secolo sarà ricordato come quello della produttività mentre il ventunesimo lo ricorderemo come il secolo della qualità”, occorre riflettere sul compito a cui sono chiamati tutti i professionisti che raccolgono, elaborano e interpretano dati ambientali, tra i quali ci sono: coloro che progettano e producono strumenti per la misura di questi dati, altri che misurano utilizzando questi strumenti e infine ci sono quelli che elaborano i dati per fornire un quadro accurato e completo a chi dovrà poi prendere una decisione, grande o piccola che sia. A tutti spetta il compito di lavorare in qualità, in qualsiasi punto di questa catena e sotto ogni profilo. Questo approccio è confermato anche da Accredia, unico ente nazionale di accreditamento designato dal Governo il 22 dicembre 2009, nato dalla fusione di SINAL e SINCERT e con il contributo di SIT - INRIM, ENEA e ISS. Nella relazione annuale 2016 emerge chiaramente che cresce la fiducia delle istituzioni, delle imprese e dei consumatori nelle certificazioni, ispezioni, prove e tarature svolte sotto accreditamento. Il significativo riscontro in termini di maggiori accreditamenti degli organismi e dei laboratori, passati da 1.629 a 1.676, con un incremento del 39% dall’inizio delle attività di Accredia nel 2010, testimonia il valore che il mercato ha riconosciuto al sistema delle certificazioni, delle ispezioni e delle verifiche ambientali, nonché delle prove,
delle analisi mediche e delle tarature svolte sotto accreditamento. Coerentemente, il numero delle organizzazioni e delle aziende certificate per i sistemi di gestione ha superato quest’anno le 87.000 unità, 2 mila in più sull’anno precedente, a testimoniare che anche negli anni della crisi le imprese hanno continuato a investire nella qualità accreditata. Lo stesso studio riporta altri dati interessanti: le certificazioni più diffuse rimangono quelle dei sistemi di gestione per la qualità ai sensi della norma UNI EN ISO 9001, con circa 126 mila siti certificati. Più un’impresa cresce sul mercato globale, maggiore è la sua esigenza di verificare la qualità e la sicurezza dei prodotti attraverso dei test di laboratorio, così da prevenire e identificare eventuali criticità fin dalle fasi di progetto. La rapida risoluzione dei problemi permette di ridurre i costi, garantire la puntuale immissione sui mercati, oltre a salvaguardare l’immagine dell’azienda, evitando il ritiro dei prodotti dal mercato ed eventuali dispendiose vertenze legali. Nel corso degli ultimi anni la società LSI LASTEM, facendo propria la citazione di Jack Welch, ex CEO General Electric, “la qualità è la nostra miglior assicurazione sulla fidelizzazione dei clienti, la nostra difesa più forte contro la competizione che viene dall’estero e la sola strada che vediamo per una crescita sostenibile e per ottenere un profitto” sta investendo proprio nella certificazione di qualità e in quella dei laboratori perché crede che questa sia la strada giusta da percorrere per un’azienda che mira a crescere sui mercati,
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ridurre i costi e aprirsi a livello internazionale con metodo e giusti strumenti. Il primo strumento utile per affrontare questo tema è la definizione di taratura. La taratura (in inglese calibration) di strumenti di misura è l’operazione, eseguita in condizioni specificate, che in una prima fase stabilisce una relazione tra i valori di una grandezza forniti da strumenti campione e i corrispondenti forniti dallo strumento oggetto della taratura, tenendo conto delle rispettive incertezze di misura associate. In una seconda fase si usano queste informazioni per stabilire una
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P ROG ETTI
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TE CNO LO G IE
relazione che consente di ottenere un risultato di misura, cioè un insieme dei valori attribuiti allo strumento in taratura completi di tutte le altre informazioni disponibili (Joint Committee for Guides in Metrology (JCGM), International Vocabulary of Metrology, Basic and General Concepts and Associated Terms (VIM) - III ed., Pavillon de Breteuil: JCGM 200:2008, 3.9.) L’operazione serve a garantire quindi la tracciabilità della misura riferita al sistema di misura SI, riconosciuto a livello internazionale e garantito da enti nazionali come “ACCREDIA” (Italia), il “DAkkS” (Germania), “UKAS” (Gran Bretagna), “SCS” (Svizzera), “PTB” (Germania) o “NVLAP” (Stati Uniti). Questi enti nazionali possono accreditare i laboratori di taratura e ne garantiscono la tracciabilità al SI validando le procedure seguite per la taratura con rigorosi controlli periodici. La norma di riferimento relativa ai laboratori di Taratura è la ISO 17025 che esprime i “Requisiti generali per la competenza dei laboratori di prova e di taratura” e l’accreditamento ne garantisce l’applicazione. La taratura è possibile anche da parte di un laboratorio con sistema di qualità accreditato ISO 9001, in questo caso la taratura, eseguita per “confronto” con strumenti tracciabili a laboratori accreditati, segue procedure interne non validate da un ente esterno di accreditamento. Inoltre è consentito che l’incertezza della taratura sia maggiore rispetto alle tarature di grandezze accreditate. L’operazione di taratura consiste nel
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confrontare le sonde da tarare con strumenti di riferimento dotati di un Certificato di Taratura emesso da un ente accreditato. La sonda in taratura e quella di riferimento sono poste nelle stesse condizioni, si attende la stabilità delle misure e si effettua una “fotografia” dei valori misurati da entrambi. L’analisi delle differenze dei due rilievi permette di valutare la precisione della sonda da tarare. Ogni misura è naturalmente affetta da una incertezza, che indica la bontà della misura effettuata, ovvero l’intervallo entro il quale il valore misurato si discosta da un valore considerato il valore “vero” di riferimento. Nelle tarature, sia accreditate sia ISO 9001, sono forniti i valori dell’incertezza della taratura rispetto al valore di riferimento nel punto di taratura considerato. Questa incertezza è valida, in termini statistici, su circa il 95% delle misure che si possono effettuare con la sonda in taratura (incertezza estesa). Le operazioni di taratura si concludono con l’emissione di un Certificato di Taratura (grandezza accreditata) o di un Rapporto di Taratura (grandezza secondo ISO 9001), che riporta i dati anagrafici dello strumento, le procedure e le condizioni di taratura e i valori di riferimento nei vari punti di taratura, il valore medio delle misure della sonda in taratura e l’incertezza estesa che somma quadraticamente l’incertezza relativa del laboratorio (compreso il riferimento utilizzato), la deviazione standard delle misure e, se presente, l’incertezza della risoluzione dello strumento di lettura.
LSI LASTEM, nella sua sede alle porte di Milano, dispone di laboratori di calibrazione per assicurare la bontà e l’affidabilità delle misure, infatti ogni sensore prodotto è calibrato in accordo con gli standard applicabili. Il laboratorio LSI LASTEM è accreditato da Accredia (Lat. 205) che garantisce la correttezza del processo in accordo alla norma ISO/IEC 17025 per la temperatura, mentre per le altre grandezze è possibile la taratura a norma ISO 9001. Recentemente il laboratorio di LSI LASTEM si è arricchito di un tunnel del vento di tipo a ciclo aperto modello Westenberg 500x500mm con range di funzionamento da 0.5 a 65 m/s, in attesa di accreditamento da parte di Accredia (disponibile da ottobre 2017), diventando così uno dei pochi centri in Italia dotato di una simile attrezzatura. I laboratori LSI LASTEM eseguono controlli periodici e riparazioni sulla strumentazione dei clienti per garantire una qualità costante del dato raccolto con accurati controlli, certificazioni e tarature o per ripristinarne le funzionalità a seguito di un guasto. La taratura degli strumenti di misura della temperatura è condotta in camera climatica o in bagno ad acqua termostatata (se sonde immergibili in acqua) per confronto con un sensore di riferimento tarato presso un laboratorio accreditato da Accredia. Le procedure di taratura utilizzate e validate da Accredia sono denominate “PdTtemp” e “PdTcat-term”. La taratura delle sonde di umidità relativa è eseguita in vasche con soluzioni saline con corpo di fondo per confronto con un sensore di riferimento tarato presso un laboratorio accreditato da Accredia. La taratura delle sonde di velocità dell’aria del tipo “tacogonioanemometri” singoli o combinati, anemometri sonici e tubi di Pitot è eseguita nel tunnel del vento “Westenberg” 500x500 mm 0.5÷65 m/s per confronto con un sensore di riferimento tarato presso un laboratorio accreditato. La taratura delle sonde di velocità dell’aria del tipo “hot wire”, ventolino e tubi di Pitot è effettuata nel tunnel del vento “Westenberg” 22.500 mm 20.3 ÷ 34,0 m/s per confronto con un sensore di riferi-
mento tarato presso un laboratorio accreditato. La misura dell’energia ricevuta dal sole è sempre più richiesta per misurare, sugli impianti fotovoltaici, l’energia effettivamente ricevuta dal sole rispetto a quella trasformata dagli impianti stessi sotto forma di energia elettrica per valutarne l’efficienza. Lo strumento primario per la misura dell’energia ricevuta dal sole è il piranometro perché, con sensibilità praticamente costante, “vede” tutto lo spettro solare (da 0,4 a 2,9 um). Negli ultimi anni per misurare l’energia ricevuta dal sole sugli impianti fotovoltaici si sta diffondendo anche l’uso di solarimetri a effetto fotovoltaico, questi hanno però una risposta spettrale più limitata (da 0,4 a 1,1 um per celle al silicio) e una sensibilità spettrale non uniforme. Inoltre sotto un certo angolo di elevazione solare si presentano fenomeni di riflessione, che non è uguale per tutte le frequenze e dipende dal tipo di protezione esterna
della cella solare. Nonostante questi limiti, le celle possono sostituire i piranometri purché tarati per confronto con un piranometro di riferimento e nonostante l’accuratezza finale della misura giornaliera (daily total) effettuata sia peggiore rispetto a un piranometro, i risultati di recenti studi evidenziano che tuttavia rientra nel 10% del valore dell’integrale giornaliero (daily total) dell’energia solare ricevuta. La taratura delle sonde di radiazione solare, piranometri e solarimetri (celle solari) è eseguita seguendo le indicazioni della norma ISO 9847-1992 (calibration of field pyrano meter). In particolare i piranometri e i solarimetri a effetto fotovoltaico sono calibrati in laboratorio per confronto con piranometri campioni di riferimento certificati annualmente presso il “WRC-PMOD” di Davos. In questo caso si segue la norma ISO9847 al punto 5.3.2 per tarature “indoor”. Per gli altri tipi di piranometri è necessaria la taratura sotto sole,
LABORATORIO PERMANENTE
TABELLA DI ACCREDITAMENTO Grandezza Temperatura (2)
Strumento di taratura
Campo di misura
Incertezza (*)
Termometri a resistenza di platino
da -25 °C a 0 °C da 0 °C a 100 °C
0,2 °C 0,1 °C
Catene termometriche - termometri a resistenza
da -25 °C a 0 °C da 0 °C a 100 °C
2
0,102+°u2ris °C
2
0,05 +°u 2
2 ris
°C
(*) L’incertezza di misura è espressa al livello di fiducia del 95% ① uris è il contributo di incertezza dovuto alla risoluzione dello strumento Tabella Accredia Lat 205
Note
①
che segue la norma ISO 9847 al punto 5.2 per “outdoor calibration”. La taratura è eseguita sotto sole, per confronto con piranometri campioni di riferimento certificati annualmente presso il “WRC-PMOD” di Davos. La taratura di sensori per radiazione ultravioletta A e B, è eseguita per comparazione con sensori di riferimento di UV-A e UV-B in galleria della luce con una sorgente (lampada alogena a 3550 K) che emette radiazioni anche nel range 0.280 ÷ 0.400 nm. La taratura degli strumenti per la misura del flusso termico è eseguita per confronto su termocoperta riscaldata che genera un flusso termico stabile, su cui sono adagiati vicini il sensore da tarare e il sensore di riferimento. La taratura di sensori per radiazione netta è eseguita tra due corpi neri (emissività 0.98) per comparazione con un radiometro netto di riferimento. Uno dei due corpi neri è scaldato ad una temperatura di diversi gradi superiore alla temperatura ambiente per generare un flusso termico stabile tra le due piastre. Il luxmetro in taratura è posto in galleria della luce davanti a una lampada a incandescenza da 150 W stabilizzata e confrontato con un luxmetro di riferimento tarato al “PTB”. Il pluviometro è sottoposto a un volume di acqua misurato (1 litro) con “matraccio tarato in CL-A” per circa 10-15 minuti. La quantità di pioggia è misurata da un contatore di impulsi, che misura il numero di volte in cui la bascula del pluviometro si ribalta. Questo succede ogni volta che ha raggiunto una quantità di acqua pari a 0.2 mm di pioggia. I sensori per la misura dei gas sono collegati all’uscita della bombola certificata e sono tarati con i trimmer di inizio scala e poi di fondo scala. Il barometro è tarato per comparazione in un punto di misura con barometro di riferimento Druck posizionato nel laboratorio. Il sensore di pressione differenziale è tarato con generatore di pressione differenziale, con sensore interno di riferimento Druck, che genera una pressione o una depressione, rispetto a quella ambiente, tale che risulti pari a 1/3 e 2/3 della scala del sensore da tarare. *LSI LASTEM
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STRADE E RIFIUTI NORMATIVA E GIURISPRUDENZA LEGATE AI RIFIUTI PRODOTTI NELLE ATTIVITÀ DI GESTIONE, MANUTENZIONE E COSTRUZIONE DELLE STRADE di Rosa Bertuzzi* e Andrea Tedaldi**
A
i sensi dell’art. 14 del d.lgs. n. 285/1992 (cd. Codice della strada) fra i compiti degli enti proprietari delle strade rientra la manutenzione e la pulizia delle stesse. E proprio la gestione dei rifiuti giacenti sul manto stradale è oggetto di una disciplina specifica che merita approfondimento al fine di evitare di incorrere in pesanti sanzioni. A fianco alla pulizia delle strade occorre però soffermarsi, anche alla luce del nuovo D.P.R. n. 120/2017, su un’altra tipologia di materiali che possono assumere rilevanza in riferimento alla “vita” di una strada, le terre e rocce scavate per la realizzazione di opere infrastrutturali (quali gallerie e strade, per l’appunto), le quali -in presenza di particolari requisiti- usciranno dal novero dei rifiuti, per essere ricomprese in quello dei sottoprodotti. Partendo dal primo aspetto, bisogna ricordare come i rifiuti siano classificati, secondo l’origine, in rifiuti urbani e speciali e, secondo le caratteristiche di pericolosità, in rifiuti pericolosi e non pericolosi. Ai sensi dell’art. 184, c. 2, lett. c) e d) del d.lgs. n. 152/2006 (cd. Codice dell’Ambiente) sono qualificati come rifiuti urbani “i rifiuti provenienti dallo spazzamento delle strade”, nonché “i rifiuti di qualunque natura o provenienza, giacenti sulle strade ed aree pubbliche o sulle strade ed aree private comun-
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que soggette ad uso pubblico o sulle spiagge marittime e lacuali e sulle rive dei corsi d’acqua”. Identificati con il codice CER 20.03.03 (“residui della pulizia stradale”), i rifiuti abbandonati sulle strade e, più in generale, quelli risultanti dalla loro pulizia (terre, sabbie, ghiaie, etc.) sono inclusi ex lege nel novero dei rifiuti urbani, sebbene presentino -con tutta evidenza- un’origine che non permette di associarli né ai rifiuti domestici (art. 184, c. 2, lett. a) cod. amb.) né ai rifiuti non pericolosi a questi assimilati (art. 184, c. 2, lett. b) cod. amb.). La ragione dell’inclusione nella categoria dei rifiuti urbani è da ricercare -come indicato da eminente dottrina [1] nella volontà di facilitare la gestione dei rifiuti provenienti dalle strade da parte del servizio municipale, al fine di garantire l’igiene pubblica, la salvaguardia ambientale, collocando i costi dell’attività all’interno del servizio pubblico. Come difatti precisato dalla giurisprudenza, il servizio di spazzamento delle strade comunali, da cui si origina una percentuale non irrilevante (circa il 5%) dei rifiuti urbani totali prodotti, è rivolto “non già a vantaggio dell’amministrazione, ma riguarda in modo generalizzato la collettività locale rappresentata dal comune” (T.A.R. Lombardia-Milano, Sez. III, 13 aprile 2004, n. 1452) [2]. Esistono attualmente differenti tecniche e impianti di trattamento dei rifiuti provenienti dalla spazzatura delle
strade. A seguito di siffatte operazioni di trattamento si ottengono molteplici materiali che, dopo essere stati sottoposti ad analisi chimiche sulla loro composizione e pericolosità, potranno essere riutilizzati (si pensi a sabbia, ghiaia, materiali ferrosi, etc.) ovvero dovranno essere inviati ad impianti autorizzati allo smaltimento quali termovalorizzatori o discariche. E proprio l’importanza di analizzare la composizione dei rifiuti da spazzamento delle strade ai fini di individuare la presenza di eventuali sostanze pericolose quali idrocarburi o oli rilasciati dagli autoveicoli, è stata affermata dalla giurisprudenza in relazione ad una complessa vicenda conclusasi con la sentenza n. 10937 pubblicata dalla Corte di Cassazione, Sez. III pen., l’8 marzo 2013 [3]. I rifiuti da spazzamento non sono tuttavia gli unici ad essere presenti sul manto stradale. Significativo rilievo è difatti assunto pure dai rifiuti derivanti da incidente stradale. Se, anche in questo caso, a tali materiali è estendibile la qualificazione di rifiuti urbani ai sensi dell’art. 184, c. 2 cod. amb., si pongono alcuni profili problematici relativi agli obblighi di rimozione [4]. Al riguardo occorre distinguere due ipotesi. Qualora, a seguito di un incidente stradale, non sia necessario far intervenire una forza di polizia (sono questi i casi in cui si perviene alla compilazione del foglio della cd. constatazione amiche-
vole) e non vi sia stato il versamento di liquidi pericolosi, i conducenti devono attivarsi a rimuovere eventuali resti di veicoli o della merce trasportata, i quali -peraltro- non necessariamente saranno qualificati come rifiuti (con i conseguenti obblighi di gestione dettati dalla parte IV del Codice dell’Ambiente) se riutilizzabili. Quando invece interviene una forza di polizia e, a causa dell’incidente, la strada è ingombrata da materiali solidi e liquidi difficilmente rimovibili, il compito di liberare la carreggiata compete all’ente proprietario della stessa, il quale, il più delle volte, affida i lavori di rimozione dei rifiuti a ditte esterne specializzate, con oneri a carico dei conducenti. Fino a questo momento si sono presi in considerazione i rifiuti collocati sul manto stradale, ma -come accennatosussiste pure un’altra ipotesi, la costruzione dell’infrastruttura stradale vera e propria, in cui si producono notevoli quantitativi di terre e rocce che, qua-
lora non siano rispettate le condizioni fissate dal nuovo D.P.R. n. 120/2017 [5], costituiranno rifiuti, identificati con i codici CER 17 05 03* (terre e rocce contenenti sostanze pericolose) e 17 05 04 (terre e rocce diverse da quelle di cui alla voce 17 05 03*) [6]. Entrato in vigore il 22 agosto 2017, il D.P.R. 13 giugno 2017, n. 120 qualifica le terre e rocce da scavo, indipendentemente dalla dimensione del cantiere da cui sono estratte, come sottoprodotti purché: 1. siano generate durante la realizzazione di un’opera, di cui costituiscono parte integrante e il cui scopo primario non è la produzione di tale materiale; 2. il loro utilizzo sia conforme alle disposizioni del piano di utilizzo (per i cantieri di grandi dimensioni sottoposti a VIA o AIA) o della dichiarazione richiesta per i cantieri di piccole dimensioni, o per quelli di grandi dimensioni non sottoposti a VIA o AIA;
3. siano
utilizzate nell’esecuzione della stessa opera nella quale sono stati generati o di un’opera diversa; 4. siano utilizzate direttamente, ossia senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale; 5. soddisfino i requisiti di qualità ambientale espressamente previsti dal Capo II, III o IV dello stesso D.P.R. Il regolamento distingue due differenti procedure per l’utilizzo delle terre e rocce in base alla quantità estratta, procedure che andranno -ben inteso- coordinate con le pratiche edilizie necessarie per la realizzazione delle opere in cui tali materiali saranno impiegati. Anzitutto, il Capo II (artt. 8-19) detta disposizioni specifiche applicabili ai cantieri di grandi dimensioni, ovvero ai cantieri in cui sono prodotte terre e rocce da scavo in quantità superiori ai 6.000,00 m³, calcolati dalle sezioni di progetto, nel corso di attività o di ope-
LA TECNOLOGIA PER IL TRATTAMENTO DEI RIFIUTI PROVENIENTI DALLO SPAZZAMENTO STRADALE L’ampia gamma dei macchinari Doppstadt è l’ideale per far fronte alle differenti esigenze che si pongono quando è necessario un trattamento di tipo meccanico per la riduzione volumetrica e la separazione di diverse matrici. Così l’efficienza delle macchine Doppstadt la possiamo verificare in molte tipologie di trattamento: dai terreni ai cantieri al trattamento dei rifiuti da spazzamento stradale. La gamma Gritbuster di separatori ad acqua infatti è perfetta nel trattamento dei rifiuti da spazzamento in cui sono presenti anche frazioni leggere, come fogliame, plastiche e possibile materiale organico. Queste macchine sfruttando l’acqua e la diversa densità dei materiali sono capaci di trattare i rifiuti in ingresso ottenendo 4 diverse frazioni. A seconda della pezzatura del materiale in ingresso si può optare per il modello WT 250, capace di lavorare materiali più piccoli, separando tra loro sassi, sabbia, flottante leggero e organico inferiore a 10 mm, oppure per il modello HDS-M capace di ottenere le stesse frazioni in uscita partendo da materiali di pezzatura maggiore. La gamma Doppstadt dispone inoltre di separatori ad acqua specifici per le biomasse, il WB 518 Racoon e il WB 620 Racoon eccezionali sistemi di lavaggio mobili pensati per la rimozione dal prodotto in ingresso di tutti i materiali adesi come fango, organico in film, terra, ecc. Se invece si devono separare materiali più leggeri e senza necessità dell’acqua per la pulizia, è possibile servirsi degli ormai insostituibili vagli a tamburo della serie SM. Si parte dal più piccolo SM 518 Plus con il suo tamburo da 4700 mm di lunghezza e 1800 mm di diametro. Questa macchina è disponibile sia in versione gommata che cingolata ed è in grado di vagliare fino a 100 t/ora di rifiuti da costruzione. L’SM 518 Plus può essere equipaggiato anche con motorizzazione elettro-idraulica da 30 kW di potenza. Per volumi di produzione maggiori
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re soggette a procedure di VIA o AIA. E ciò purché, sulla base della caratterizzazione ambientale effettuata in conformità agli allegati 1 e 2 del T.U., le concentrazioni dei parametri di cui all’allegato 4 non superino le CSC fissate dal Codice dell’Ambiente per le modalità di utilizzo specifico indicate nel Piano di Utilizzo. Ai sensi dell’art. 9, il Piano di Utilizzo delle terre e rocce
da scavo (P.U.) deve essere redatto secondo le modalità indicate nell’allegato 5 e presentato all’autorità competente, nonché all’Agenzia di protezione ambientale territorialmente competente, almeno 90 giorni prima dell’inizio dei lavori. Nel caso in cui l’opera sia oggetto di una procedura di VIA o AIA, la trasmissione del piano deve avvenire prima
della conclusione del procedimento. Decorsi 90 giorni dalla presentazione del P.U., il proponente può avviare la gestione, senza che quindi sia più richiesta -come in passato- un’autorizzazione esplicita. Permane tuttavia in capo all’autorità competente il potere di verificare la sussistenza dei requisiti di cui all’art. 4 e di disporre, qualora ne accerti la mancanza, il divieto di inizio ovvero di prosecuzione dell’utilizzo delle terre e rocce da scavo. Le terre e rocce prodotte in cantieri di piccole dimensioni, ovvero in quei cantieri in cui sono estratte terre e rocce in quantità non superiori a 6.000,00 m³, sono invece espressamente disciplinate dal Capo III (artt. 20 e 21). Disposizioni, queste, che si applicano pure ai cantieri di grandi dimensioni non sottoposti a VIA o AIA. Ai sensi dell’art. 21, il produttore deve attestare la sussistenza delle condizioni previste dall’art. 4 tramite la trasmissione, almeno 15 giorni prima dell’inizio dei lavori, del modulo di cui all’allegato 6,
fino a 150 t/ora ci si può affidare alla robustezza e alla precisione del nuovo SM 620 Plus, anch’esso disponibile in versione elettro-idraulica da ben 55 kW. SM 620 Plus, con il suo tamburo da 5500 mm di lunghezza e 2 metri di diametro, è disponibile in versione rimorchio gommata, semi-rimorchio gommata o addirittura cingolata. Per raggiungere invece il massimo della produzione, ben 180 t/ora, la scelta ricade sul nuovissimo SM 720 Plus provvisto di un tamburo da oltre 7 m di lunghezza e 2 m di diametro. Doppstadt propone inoltre una vasta serie di accessori adattabili alle diverse esigenze di trattamento: griglie per inerti, griglie vibranti, vagli stellari per tramoggia, separatori aeraulici e moduli stellari. Un diverso trattamento è poi quello proposto dalla spremitrice DSP 205
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avente valore di dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà. Specifiche previsioni sono poi dettate in presenza di valori di fondo naturale (ovvero per l’utilizzo come sottoprodotti delle terre e rocce provenienti da siti in cui, per fenomeni di origine naturale, le concentrazioni dei parametri di cui all’allegato 4 superino i valori di CSC fissati dal Codice dell’Ambiente) e per le terre e rocce da scavo prodotte in un sito oggetto di bonifica. Un cenno va infine riservato dall’art. 24, il quale detta un procedimento specifico per l’utilizzo delle terre e rocce da scavo che siano conformi ai requisiti di cui all’art. 185, c. 1, lett. c) cod. amb. e, in particolare, siano utilizzate all’interno del medesimo sito di produzione. Fattispecie, questa, che rientra tra le ipotesi di esclusione dall’ambito di applicazione della normativa sui rifiuti già per espressa previsione del Codice dell’Ambiente. *Ambienterosa, Consulenze Legali Ambientali **Università degli Studi di Bologna, Studio Ambienterosa
NOTE
[1] Cfr. P. Dell’Anno, Diritto dell’ambiente, CEDAM, IV ed., p. 84. [2] L’affidamento del servizio di spazzatura delle strade comunali, costituendo un servizio pubblico locale di rilevanza economica, deve avvenire a favore di società di capitali individuate attraverso una procedura ad evidenza pubblica, essendo possibile derogare a tale principio nelle sole ipotesi di affidamento diretto a società a capitale misto, nelle quali il socio privato sia stato individuato a mezzo di procedure ad evidenza pubblica, o di affidamento in house a società a dominanza pubblica. [3] Nella vicenda menzionata gli amministratori di un impianto di trattamento rifiuti erano imputati dei reati di cui agli artt. 260 (“attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti”), 256, c. 1, lett. b) (“attività di gestione di rifiuti non autorizzata”) e 258, c. 4 (“violazione degli obblighi di comunicazione, di tenuta dei registri obbligatori e dei formulari”) cod. amb. in quanto ritiravano come rifiuti urbani (non pericolosi) con codice CER 20.03.03 un ingente quantitativo di terre di spazzamento strade con un’alta concentrazione di idrocarburi totali superiori a 1000 mg/kg, li gestivano (attraverso la sola vagliatura) all’interno del loro impianto e, senza particolari trattamenti idonei a modificarne lo stato di pericolosità, li conferivano a diversi impianti e discariche classificandoli come rifiuti speciali non pericolosi con codice CER 19.12.09 (“minerali, ad esempio sabbia, rocce”) o 20.03.03 (“residui della pulizia stradale”). Fermo l’obbligo di sottoporre i rifiuti in uscita dall’impianto di vagliatura a controlli per definirne il livello di pericolosità, tutta la questione è ruotata attorno alle modalità di analisi da applicare, nel caso in esame volte a definire la concentrazione di idrocarburi, e a comprendere se fosse o meno necessaria pure la presenza di marker cancerogeni ai fini di definire i rifiuti come pericolosi. In tema si veda pure Cass. Pen., Sez. III, 16 dicembre 2005, n. 4503. [4] In argomento, R. Bertuzzi, Rifiuti da incidente stradale, in Lexambiente, 2011. [5] Ai sensi dell’art. 27, il nuovo T.U. non si applica ai piani e progetti già approvati (così come alle loro modifiche ed aggiornamenti intervenuti dopo il 22 agosto), nonché ai progetti per i quali al 22 agosto è ancora in corso una procedura. In quest’ultimo caso è fatta comunque salva la facoltà di presentare, entro 180 giorni dall’entrata in vigore del D.P.R., il piano di utilizzo o l’autodichiarazione di cui all’art. 21 optando dunque per l’applicazione delle disposizioni del nuovo regolamento. [6] In argomento, R. Bertuzzi, A. Tedaldi, Il nuovo testo unico in materia di terre e rocce da scavo, in Lexambiente, 2017.
che, equipaggiata con una speciale tramoggia di carico, garantisce una miscelazione omogenea dei materiali in ingresso rendendo più semplice ed efficace la successiva spremitura che ha una resa ottimale anche con i materiali più difficili grazie alle possibilità di regolazione del cono di spremitura. Sia a livello di triturazione che di vagliatura poi Doppstadt offre diverse soluzioni sia dal punto di vista delle applicazioni che della produttività oraria. Compromesso tra produzione oraria, consumi e versatilità è il modello DW 3060, l’ammiraglia di casa Doppstadt che può essere ordinato in versione gommata o cingolata e addirittura in configurazione rimorchio semi-rimorchio. Tutte le versioni del modello DW 3060 possono essere configurati in versione BioPower, con un motore potenziato da ben 360 kW, un riduttore maggiorato e capace di aggredire i materiali più difficili grazie alla maggiore pressione esercitata dalla doppia fila di denti. DW 3060 è in grado di trattare ben 80 t/ora di materiale da costruzione. Tutti i nuovi modelli DW della nuova serie F possono essere equipaggiati con rotori di diversa taglia ciascuna fornita di un diverso numero di denti dalle diverse dimensioni. Grazie ad un sistema di sfilo rapido, in pochi minuti è possibile sostituire un rotore a 14 denti in grado di dare una pezzatura media di 250-400 mm con uno da 125 denti in grado di portare la pezzatura a 80-150 mm. Tutti i nuovi trituratori della serie F sono dotati di motorizzazioni conformi alle ultime normative anti inquinamento Euromot III B e Tier IV. Altra fase indispensabile è la vagliatura per la quale sono presenti diverse soluzioni a seconda della tipologia di materiali che si devono separare. La nuova gamma Splitter, ultima arrivata in casa Doppstadt, è pensata per chi deve separare inerti dalle sabbie o dalla terra, plastiche e lamiere dalle pietre o dai materiali voluminosi di grandi dimensioni e dal peso importante. La particolarità degli Splitter è il loro piano di vagliatura composto da una serie di robuste coclee, disposte parallelamente tra loro e libere da un lato. Questa particolarità offre due vantaggi insieme: da un lato evita che i materiali filamentosi e lunghi rimangano attorcigliati tra le spire e dall’altro permette alle stesse di rimanere pulite anche dopo molte ore di lavoro. Con Splitter è possibile ottenere fino a 3 frazioni con livelli di contaminazione davvero minimi. Gli Splitter possono trovare impiego nella vagliatura delle terre di bonifica per la rimozione contemporanea dalla terra degli inerti di grosse dimensioni e dei materiali leggeri bidimensionali intrappolati in mezzo. Oppure essere impiegate nelle bonifiche nei cantieri durante le demolizioni quando la complessità del rifiuto è tale da renderne difficile la separazione negli elementi singoli. Per maggiori informazioni è possibile contattare direttamente Cesaro Mac Import allo 0421-231101 o inviando una email all’indirizzo cesaro@cesaromacimport.com.
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LA PRESCRIZIONE E LA RESPONSABILITÀ DEGLI ENTI SECONDO IL D.LGS. 231/2001 CONSIDERAZIONI ALLA LUCE DELLA RIFORMA PENALE INTRODOTTA DALLA LEGGE 103/2017 di Cinzia Silvestri*
L
a Legge 103/2017, che ha riformato l’istituto della prescrizione dei reati allungandone i termini, offre spunto di riflessione sulla diversa prescrizione prevista dal Dlgs. 231/2001 relativa alla responsabilità degli Enti. Si consideri che la “prescrizione” prevista nel codice penale non coincide con la “prescrizione“ prevista dalla normativa sulla responsabilità degli Enti (Dlgs. 231/2001) che ha vita propria e risente di aspetti civilistici che la distinguono. E invero la nuova Legge di riforma penale non ha inciso né modificato la disciplina della prescrizione del Dlgs. 231/2001 che mantiene il proprio carattere di autonomia e diversità. Al fine di cogliere, pur sommariamente, le differenze tra i due sistemi normativi è utile precisare:
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1. La
prescrizione, nel sistema penale, è riferibile alla commissione del reato presupposto (ad esempio art. 137 Dlgs. 152/2006 come previsto dal Dlgs. 231/2001 art. 25 undecies) da parte della persona fisica. Caratteristica della prescrizione è di imporre la definizione dei tre gradi di giudizio, entro un certo tempo fissato dal legislatore; tempo che varia in ragione del reato commesso (delitto o contravvenzione). La prescrizione, nel codice penale, incide direttamente sul “processo” imponendo un termine. Nel caso di reati ambientali contravvenzionali (arresto-ammenda) il termine massimo di prescrizione è di 5 anni dal momento della consumazione del reato (salvo che per
i reati permanenti). Entro 5 anni, secondo la previgente disciplina, dovevano consumarsi i tre gradi di processo, salvo interruzione del termine [1]. Ebbene, l’impatto della nuova normativa sulla prescrizione del reato (L. 103/2017) è rilevante laddove il termine più lungo di prescrizione aumenta le possibilità di definire il giudizio. La Legge n. 103/2017 ha modificato i termini di prescrizione dei reati (artt. 158,159,160,161 c.p.) prevedendo, ad esempio,la sospensione della prescrizione di 18 mesi dalla sentenza di condanna di primo grado e altri 18 mesi (1 anno e mezzo) dalla sentenza di secondo grado. A oggi la nuova prescrizione aggiunge, di fatto, almeno 3 anni (e più) ed è applicabile solo ai fatti commes-
si dopo il 3.8.2017. Si apre così un doppio binario per i fatti ante e post il 3.8.2017. 2. La prescrizione prevista dal Dlgs. 231/2001 artt. 22 [2], 59, 60 è diversa dalla prescrizione prevista dal Codice penale in quanto la responsabilità degli enti non può essere del tutto assimilata alla responsabilità da illecito penale riferito alle persone fisiche. La Cassazione penale n. 28299/2015 infatti ha statuito di recente che: È manifestatamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 22 D.Lgs. n.231 del 2001, per asserito contrasto con gli artt. 3, 24, comma secondo, e 111 Cost., in relazione alla presunta irragionevolezza della disciplina della prescrizione prevista per gli illeciti commessi dall’ente-imputato rispetto a quella prevista per gli imputati-persone fisiche, atteso che la diversa natura dell’illecito che determina la responsabilità dell’ente, e l’impossibilità di ricondurre integralmente il sistema di responsabilità “ex delicto” di cui al D.Lgs. n.231 del 2001 nell’ambito e nella categoria dell’illecito penale, giustificano il regime derogatorio della disciplina della prescrizione…”. Si consideri che la Legge di riforma del codice penale L. n. 103/2017 non ha modificato gli artt. 22, 59, 60 del Dlgs. 231/2001 proprio in forza dell’autonomia dei due sistemi normativi. E invero il legislatore del Dlgs. 231/2001 non usa il termine “reato” con riferimento alla responsabilità dell’Ente ma il diverso termine “illecito amministrativo dipendente da reato” cfr. art. 59 Dlgs. 231/2001. A differenza del sistema penale, la prescrizione, nel sistema della responsabilità degli enti, ha natura civilistica e dunque una volta iniziato il processo nei termini di legge (ovvero prima della prescrizione del reato) il processo continua il suo corso indisturbato [3]. E’ corretto affermare che l’unico termine di prescrizione ex Dlgs. 231/2001 è quello che impo-
ne di iniziare il processo prima che il fatto reato sia prescritto ovvero entro 5 anni dalla consumazione (sia esso delitto o contravvenzione). In particolare: a. Il Dlgs. 231/2001 relativo alla responsabilità degli Enti, prevede la prescrizione (del reato) in 5 anni dalla data di consumazione del reato- presupposto, ad esempio ambientale (art. 22 Dlgs. 231/2001), a prescindere che si tratti di delitto o contravvenzione; e ciò a differenza del sistema penale. b. L’illecito amministrativo da reato subisce un solo limite: non può essere contestato quando il reato presupposto è prescritto (art. 60 Dlgs. 231/2001); ciò significa che entro i 5 anni dalla consumazione del reato deve essere contestato alla Società l’illecito amministrativo dell’ente (Dlgs. 231/2001). c. Entro 5 anni dalla data di consumazione del reato presupposto deve avvenire la contestazione ex Dlgs. 231/2001 e la notifica regolare all’ente. Non è sufficiente la sola emissione della contestazione ma è necessaria anche la regolare notifica entro i 5 anni, secondo i principi civilistici. Scrive il Tribunale di Brescia Sez. II, 20-02-2015: “La disciplina contenuta nel D.Lgs. n. 231 del 2001 e, in specie, negli artt. 22 e 59, ispirandosi a principi di natura civilistica, richiede, ai fini interruttivi della prescrizione, non già la semplice emissione del decreto di citazione diretta a giudizio, ma la sua regolare notificazione all’ente”. Cfr. anche Cass. pen. 18257/2015. d. Nel caso invece avvenga la contestazione dell’illecito amministrativo dipendente da reato (entro i 5 anni dalla commissione del reato - Dlgs. 231/2001), la prescrizione non decorre fino al momento in cui passa in giudicato la sentenza anche di primo grado (Cass. pen. 10822/2011). Pertanto una volta che viene contestata l’imputazione all’En-
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e.
te ex Dlgs. 231/2001, il processo non soffre termini di prescrizione [4]. Tuttavia, a differenza del caso di cui sopra alla lettera d), qualora, una volta iniziato il processo all’ente, intervenga in corso di causa la prescrizione del reato presupposto, la Cass. pen. n. 20060/2013 si è espressa affermando che tale situazione non determina l’estinzione: “In tema di responsabilità da reato degli enti, l’intervenuta prescrizione del reato presupposto successivamente alla contestazione all’ente dell’illecito non ne determina l’estinzione per il medesimo motivo, giacché il relativo termine, una volta esercitata l’azione, non corre fino al passaggio in giudicato della sentenza che definisce il procedimento nei confronti della persona giuridica”. La prosecuzione del processo a carico dell’Ente anche in presenza di estinzione del reato presupposto sancisce la differenza tra i due sistemi e l’autonomia della normativa ex Dlgs. 231/2001. *Studio Legale Ambiente www.studiolegaleambiente.it
NOTE
1] Termine relativamente breve considerate le lungaggini processuali [2] Art. 22. Prescrizione 1. Le sanzioni amministrative si prescrivono nel termine di cinque anni dalla data di consumazione del reato. 2. Interrompono la prescrizione la richiesta di applicazione di misure cautelari interdittive e la contestazione dell’illecito amministrativo a norma dell’articolo 59. 3. Per effetto della interruzione inizia un nuovo periodo di prescrizione. 4. Se l’interruzione è avvenuta mediante la contestazione dell’illecito amministrativo dipendente da reato, la prescrizione non corre fino al momento in cui passa in giudicato la sentenza che definisce il giudizio. [3] Il processo civile infatti non subisce termini di prescrizione. [4] E’ bastevole dunque che entro i 5 anni dalla commissione del fatto - contravvenzione la società subisca la contestazione dell’illecito amministrativo, ad esempio ex art. 25 undecies Dlgs. 231/2001 (reati ambientali).
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PRODURRE RIFIUTI DI ‘QUALITÀ’ CON LA TECNOLOGIA BAIONI SI PUÒ Made in Italy, passione e innovazione: è la ricetta di Baioni per il case study di Ecosistem Group di Lamezia Terme, uno dei primari gruppi industriali attivo nel settore della valorizzazione del rifiuto e nella progettazione e gestione di impianti di depurazione. Il recente impianto di Soil Washing realizzato da Baioni per Ecosistem ha permesso di raggiungere ottimi rendimenti produttivi: dal processo infatti il cliente è in grado di ottenere aggregati riciclati di elevata qualità, lo dimostra il fatto che è riuscito non solo a ‘certificare’ il prodotto finale ottenuto, ma anche a ‘certificare’ l’intera linea tecnologica. Per la sabbia in uscita dal processo di Soil Washing, l’uso previsto è in accordo infatti alla specifica tecnica armonizzata, ossia aggregati riciclati per calcestruzzo da utilizzare in costruzioni, strade e altre opere di ingegneria civile, in conformità alla norma EN 12620:2008. Analisi granulometrica: Sopravaglio 10 mm - 0,6%, Frazione 4-10 mm -2,0%, Frazione 0,063-4 mm - 80,4% , Sottovaglio 0,063 mm - 17,0%. L’impianto, totalmente modulabile, conferisce al cliente la possibilità di programmare l’intera linea in base al materiale da trattare di volta in volta, senza dover modificare le macchine; le tipologie di terreni trattati sono ad esempio i detriti da perforazione, i terreni da bonifica, i rifiuti derivanti da spazzamento stradale. In quest’ottica l’impianto di Soil Washing, oltre a recuperare la parte pregiata di terreno attraverso un processo di separazione fisica dell’inquinante, permette anche di produrre residue quantità di materiale di scarto quali rifiuti recuperabili (parti in ferro, plastica, legno, ecc.) e non recuperabili (materia organica, acque di lavaggio esauste, ecc.).
B&R È IL CENTRO GLOBALE PER L’AUTOMAZIONE DI MACCHINA E DI FABBRICA DI ABB Dopo l’approvazione da parte delle autorità garanti della concorrenza dell’Unione Europea, l’acquisizione è divenuta giuridicamente effettiva il 6 luglio 2017. B&R opererà come un’unità di business indipendente nell’ambito della divisione Industrial Automation del Gruppo ABB. Il presidente della divisione Peter Terwiesch e il direttore esecutivo B&R Hans Wimmer hanno annunciato una serie di investimenti a rafforzamento delle attività di ricerca e sviluppo e di ampliamento della capacità produttiva. “Costruire strette relazioni di collaborazione con i nostri clienti è e rimane essenziale per quella che è l’identità stessa della nostra azienda”, afferma Wimmer, annunciando la conclusione del processo di acquisizione. “Continueremo a lavorare insieme ai nostri clienti per sviluppare le soluzioni più innovative e non ci saranno cambiamenti per loro nel quotidiano, manterranno gli stessi punti di contatto”. L’obiettivo primario di B&R resteranno i costruttori di macchine, insieme all’automazione di fabbrica, per la quale ci sarà un’estensione del portfolio di prodotti. Con B&R che si affianca alla presenza globale di ABB, forte di un’offerta complementare, i clienti sperimenteranno notevoli benefici dalla fusione. B&R intensificherà inoltre le proprie attività nell’arena dell’IoT integrando le soluzioni digitali di ABB, già riferimento per il mercato industriale. “ABB e B&R sono unite nell’innovazione e nel focus sul cliente”, aggiunge Terwiesch. “Questi saranno fattori centrali mentre procederemo e ci evolveremo insieme”. Per continuare a garantire la capacità di B&R di gestire la domanda sempre crescente di soluzioni avanzate, ABB sta investendo in un nuovo centro di ricerca e sviluppo presso la sede centrale di B&R a Eggelsberg, estendendo inoltre la capacità produttiva nello stabilimento di Gilgenberg, a pochi chilometri di distanza. Inoltre, l’ufficio tecnico di Salisburgo è stato ampliato per fare spazio a 50 nuovi sviluppatori nelle aree del controllo, del controllo di movimento e della comunicazione industriale e IoT. “Investiremo fortemente nell’espansione dell’infrastruttura di ReS e nell’aumento di capacità produttiva”, afferma Hans Wimmer, amministratore delegato di B&R
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LIBRI BIM E PROJECT MANAGEMENT GUIDA PRATICA ALLA PROGETTAZIONE INTEGRATA A CURA DI ANDREA FERRARA ED EVA FELIGIONI
Il Building Information Modeling, in italiano Modello d’Informazioni di un Edificio, consiste nell’utilizzare un software per ottimizzare la pianificazione, la realizzazione e la gestione di costruzioni, in questo modo i dati sono raccolti, combinati e collegati digitalmente. Il testo, rivolto a professionisti e studiosi del settore, offre, attraverso la presentazione di un caso di studio, un approfondimento delle tecniche e delle procedure del BIM e del Project Management: dalla pianificazione del progetto alla modellazione architettonica, strutturale e impiantistica; dall’analisi di tempi e costi delle lavorazioni alle attività di gestione del costruito. Analizzando i vantaggi operativi ed economici propri della progettazione integrata, il libro si sofferma sui meccanismi di interoperabilità e condivisione dei dati, nonché sulla necessità di adeguare i flussi di lavoro interni alle aziende e alle pubbliche amministrazioni.
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LA DIREZIONE DEI LAVORI NEGLI APPALTI PRIVATI EDILI DAL CONTRATTO AL COLLAUDO A CURA DI SALVATORE LOMBARDO
Dalla notevole esperienza maturata dall’autore nel campo della legislazione urbanistica, dei lavori pubblici e dei controlli in edilizia nasce questo manuale che illustra l’operato sequenziale per il direttore dei lavori nell’esecuzione dell’appalto privato in edilizia, con l’obiettivo di eliminare l’insorgere del contenzioso. Al contrario di quanto accade nella esecuzione degli appalti pubblici, la figura del direttore dei lavori – fermo restando le vincolanti disposizioni delle Norme Tecniche per le Costruzioni e i dettami del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 – non ha specifiche disposizioni operative nella fase esecutiva dell’appalto di un lavoro privato in edilizia. Questo volume è quindi in grado di fornire delle linee guida sistematiche in un ambito in cui fanno da cardine solamente le norme delineate dal Codice Civile e quelle meglio definite dalla Giurisprudenza in materia.
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DUE GRADI INNOVAZIONI RADICALI PER VINCERE LA SFIDA DEL CLIMA E TRASFORMARE L’ECONOMIA A CURA DI GIANNI SILVESTRINI
Come si evince dal titolo, il fulcro di questo libro è il COP21, ovvero gli Accordi di Parigi del 2015 che hanno posto l’obiettivo di un incremento massimo di due gradi della temperatura globale entro il 2100. Come fare dunque a vincere questa sfida? Gianni Silvestrini, direttore scientifico del Kyoto Club, ci offre una guida critica per il raggiungimento di tale obiettivo, mantenendo una visione lucida e consapevole del contesto politico economico nazionale e internazionale, approfondendo molteplici tematiche che spaziano dalle fonti rinnovabili all’efficienza energetica, dalla mobilità elettrica alla stampa 3D, dall’edilizia sostenibile alla carbon tax ecc. La nuova edizione del 2016 offre sia agli addetti ai lavori sia ai lettori comuni un serio e approfondito aggiornamento sulle trasformazioni in atto, analizzando i rischi, gli errori fatti in passato e da non ripetere, ma soprattutto le straordinarie opportunità da cogliere in questo periodo di transizione verso un’economia sostenibile.
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APPUNTAMENTI FORUM MECCATRONICA
ANCONA, 26 SETTEMBRE
Forum Meccatronica è una mostra-convegno ideata dal Gruppo Meccatronica di ANIE Automazione e realizzata in collaborazione con Messe Frankfurt Italia. Il quarto appuntamento dal titolo “Le tecnologie abilitanti per la digitalizzazione 4.0 dell’industria” si svolgerà presso la Mole Vanvitelliana di Ancona. Qui le più importanti aziende fornitrici di prodotti e soluzioni per l’automazione industriale incontreranno i system integrator, i costruttori di macchine e gli utilizzatori finali, alternandosi in una serie di interventi organizzati su diverse sessioni convegnistiche volte a presentare approfondimenti tecnici in tema di motion control, robotica, software industriale, impiantistica con una particolare attenzione alla progettazione meccatronica e a tutte quelle tecnologie che si inseriscono nel paradigma di Industria 4.0.
www.forumeccatronica.it
SARDINIA
SANTA MARGHERITA DI PULA (CA), DAL 2 AL 6 OTTOBRE
La sedicesima edizione del Simposio Sardinia durerà cinque giorni e includerà più di 500 presentazioni, selezionate dalla Commissione Internazionale di Programma, sulla base della qualità, tra più di 800 abstract ricevuti. Il simposio sarà strutturato in otto sessioni parallele, per un totale di 81 sessioni orali e 35 workshop, indirizzati soprattutto agli esperti del settore e presieduti da un numero selezionato di autori che presenteranno le loro ricerche tramite “introductory lecture” con l‘obiettivo di aprire la discussione tra i partecipanti.
www.sardiniasymposium.it
MCTER COGENERAZIONE
VERONA, 18 OTTOBRE
mcTER Cogenerazione - Mostra Convegno sulle Applicazioni di Cogenerazione, giunto alla ventesima edizione, è un evento che unisce alla parte espositiva una parte dedicata a convegni e corsi di formazione sulle tematiche della cogenerazione, Biogas, Biomasse ed energia. Sarà possibile partecipare a numerosi workshop di approfondimento e aggiornamenti professionali con esperti del settore incontrando gli espositori anche durante gli eventi paralleli. L’edizione di Verona mcTER Cogenerazione si svolge in contemporanea con MCM, SAVE, ACQUARIA, Home & Building, VPC.
www.mcter.com
FORUM TELECONTROLLO
VERONA, DAL 24 AL 25 OTTOBRE
Il Forum, suddiviso in diverse sessioni verticali e momenti di confronto plenari, costituisce un’occasione consolidata per approfondire i temi tecnologici, le applicazioni e i servizi a valore aggiunto connessi ai sistemi di telecontrollo e automazione e diretti ad incrementare le prestazioni delle reti e migliorare la qualità della vita della comunità. I principali fruitori dei contenuti del Forum sono i tecnici e i manager delle aziende di Pubblica Utilità e della Pubblica Amministrazione oltre a tutti coloro che a vario titolo operano su una filiera che oggi, peraltro, è sempre più articolata a causa dei molteplici cambiamenti che avvengono a livello di regolamentazione, di convergenza tecnologica e di modelli di business.
www.forumtelecontrollo.it
BIOENERGY
CREMONA, DAL 25 AL 28 OTTOBRE
BioEnergy è l’unica manifestazione in Italia specializzata nelle agroenergie, con focus professionali inscritti nella cornice tematica dell’economia circolare. Dall’edizione 2017 BioEnergy si svolgerà nel contesto delle Fiere Zootecniche Internazionali di Cremona, l’unico evento agro-zootecnico in Italia e uno tra i più importanti al mondo, che riunisce nei padiglioni di CremonaFiere tutti gli attori del settore. Il binomio tra BioEnergy e Fiere Zootecniche Internazionali è una garanzia di successo perché è in grado di offrire risposte efficaci al settore delle agroenergie trattando concretamente gli argomenti più caldi del settore e trovando soluzioni effettive ed efficaci grazie all’autorevolezza delle aziende presenti e alla collaborazione con le principali istituzioni scientifiche del settore.
www.bovinodalatte.it
ECOMONDO
RIMINI, DAL 7 AL 10 NOVEMBRE
Un evento internazionale con un format innovativo che unisce in un’unica piattaforma tutti i settori dell’economia circolare: dal recupero di materia ed energia allo sviluppo sostenibile. Per questo motivo, Ecomondo si posiziona nel panorama internazionale come appuntamento di riferimento per incontrare tutte le aziende leader di mercato, conoscere i trend, le innovazioni e le nuove tecnologie e confrontarsi con i professionisti del settore. All’interno della fiera si conferma anche quest’anno Decommissioning, l’evento dedicato alla demolizione e riqualificazione delle aree dismesse che da questa edizione si rinnova e propone gli Stati Generali delle Demolizioni, un appuntamento di approfondimento tecnico su normativa, tecnologie e sicurezza nelle demolizioni civili e industriali.
www.ecomondo.com
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Anno 10 - Numero 40 – Settembre 2017 ISSN 2421-2938
Direttore responsabile: Massimo Viarenghi Direttore commerciale: Maria Beatrice Celino Coordinamento editoriale: Maeva Brunero Bronzin Collaboratori: Federico Accorsi, Rosa Bertuzzi, Paolo Berutti, Andrea Campi, Maria Beatrice Celino, Jean Pierre Davit, Emilio Guidetti, Alberto Marenco, Valeria Menichini Lunghi, Laura Quaternoni, Flaminia Parrini, Alessandro Raffi, Claudio Sandrone, Cinzia Silvestri, Andrea Tedaldi, Laura Veneri.
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Comitato Scientifico: Maria Rosaria Boni (Sapienza Università di Roma) Daniele Cazzuffi (CESI spa) Laura D’Aprile (MATTM, Roma) Luciano De Propris (Consulente ambientale) Ennio Forte (Università degli studi di Napoli) Luciano Morselli (Università di Bologna) Andrea Quaranta (Giurista ambientale – Cuneo) Gian Luigi Soldi (Città Metropolitana di Torino) Federico Vagliasindi (Università di Catania) Maria Chiara Zanetti (Politecnico di Torino)
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Poste Italiane Spa - Sped. in a.p. - D. L. 353/2003 cov. in L. 46/2004, art1, c1 - CB-NO/Torino - Anno 10 n. 40 - ISSN 2421-2938 DEA edizioni s.a.s. Corso Tassoni 79/4 - 10143 Torino
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CRITERI AMBIENTALI MINIMI E SOSTENIBILITÀ NELLA PRODUZIONE SONO ORMAI VANTO E STRATEGIA COMUNICATIVA PER LE IMPRESE DEMOLIZIONI E RECUPERO DELLE MACERIE NEI COMUNI DI AMATRICE E ACCUMOLI A UN ANNO DAL TERREMOTO L’INCIDENZA DELL’EVOLUZIONE TECNOLOGICA DI PRODOTTO SUGLI SCENARI DI RICICLAGGIO DEI RAEE L’APPLICAZIONE DI UNA NUOVA TECNOLOGIA CHE UTILIZZA I SURFATTANTI PER LA BONIFICA DI SITI CONTAMINATI DA IDROCARBURI
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