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www.recoverweb.it
Poste Italiane Spa - Sped. in a.p. - D. L. 353/2003 cov. in L. 46/2004, art1, c1 - CB-NO/Torino - Anno 11 n. 42 - ISSN 2421-2938 DEA edizioni s.a.s. Corso Tassoni 79/4 - 10143 Torino
MACCHINE MOVIMENTO TERRA: IN MOSTRA A INTERMAT LE NOVITÀ DI UN SETTORE IN LENTA RIPRESA IFAT: NEL 2018 L’EDIZIONE PIÙ GRANDE DI SEMPRE CON NUOVI PADIGLIONI, NUOVO LAYOUT E TANTE NOVITÀ
È PARTITA LA REALIZZAZIONE DI UNA GRANDIOSA OPERA DI INGEGNERIA PER LA COPERTURA DEI PARCHI PRIMARI DELL’ILVA DI TARANTO
IMPEDIMENTI E OSTACOLI SUL CAMMINO VERSO LA GREEN ECONOMY: LA POLITICA SPINGE GLI OPERATORI E LA BUROCRAZIA LI FRENA
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RUBRICHE
News 7 Nad 76 Vetrina 78
PRIMO PIANO
Green economy: tante opportunità nei convegni, scarsa pratica negli impianti di Emilio Guidetti
Riciclo, avanti così
di Maeva Brunero Bronzin
Perché abbiamo bisogno della green economy per la nostra economia di Bruno Vanzi
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Aspettando INTERMAT e una vera ripresa
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di Laura Veneri
di Laura Veneri
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WORK IN PROGRESS
Un impianto unico al mondo
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Il revamping della caldaia di Pozzilli
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di Luigi Bagnoli
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Economia circolare e mobilità sostenibile
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di Antonino Furfari
di Laura Veneri
FABBRICA DELLE IDEE
Inquinamento da petrolio, il futuro è adesso di Laura Veneri
PANORAMA AZIENDE
La zampata della tigre di Maria Beatrice Celino
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Gli archi dell’Ilva di Taranto
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L’intervento di messa in sicurezza permanente delle strade Waelz nel comune di Portoscuso 58 di Gianfranco Mulas
Microonde per la bonifica di sedimenti marini contaminati da idrocarburi di Fabiano Castrogiovanni
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NORMATIVA 29
On the rock 33 di Maria Beatrice Celino
Il made in Italy per la circular economy
PROGETTI E TECNOLOGIE di Maeva Brunero Bronzin
La plastica nell’economia circolare
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IFAT 2018 sarà l’edizione più grande di sempre
di Bruno Vanzi
ATTUALITÀ
di Laura Quarteroni
SPECIALE
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La responsabilità ambientale e gli obblighi gravanti sui proprietari di siti contaminati
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Valutazione di impatto ambientale: modifiche e novità
72
di Rosa Bertuzzi e Andrea Tedaldi
di Cinzia Silvestri
GRAZIE AGLI INVESTIMENTI NELLA GREEN ECONOMY LE AZIENDE ITALIANE RIPARTONO CON NUOVO SLANCIO E MAGGIOR COMPETITIVITÀ
18 SI TROVA IN PROVINCIA DI TREVISO IL PRIMO IMPIANTO AL MONDO IN GRADO DI RICICLARE I PRODOTTI ASSORBENTI USATI
49 L’IMPIEGO DI GEOMEMBRANE IN HDPE PER MESSA IN SICUREZZA PERMANENTE DI 23 KM DI STRADE WAELZ NEL COMUNE DI PORTOSCUSO
58 RESPONSABILITÀ AMBIENTALE E OBBLIGHI DEI PROPRIETARI DI SITI CONTAMINATI: LA RICOSTRUZIONE DEL QUADRO NORMATIVO E GIURISPRUDENZIALE
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NEWS UN QUADRO AGGIORNATO SULLA SALUTE DELL’AMBIENTE
nel 2015 le emissioni di CO2 sono scese notevolmente, raggiungendo i 115,1 grammi di CO2 per km (nel 2005 lo stesso valore era 149,5). In crescita la produzione dei rifiuti urbani (+2%), in linea con l’andamento degli indicatori socio-economici. La produzione pro capite, in aumento, passa da 487 kg/abitante nel 2015 a 497 kg/abitante nel 2016. La raccolta differenziata si attesta, invece, al 52,5% della produzione totale dei rifiuti urbani. L’analisi dei dati sulla gestione evidenzia che, nel 2016, lo smaltimento in discarica interessa il 25% dei rifiuti urbani prodotti. La discarica non è, dunque, la forma di gestione più diffusa.
Il 20 marzo scorso è stata presentata la prima edizione del Rapporto Ambiente-Snpa (il Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente), prodotto finale di un complesso lavoro di reporting che, attraverso la presentazione delle attività svolte nel Sistema, fornisce un quadro aggiornato della situazione ambientale nel paese. Tra le numerose tematiche ambientali trattate a richiamare la nostra attenzione è senz’altro il consumo di suolo che, pur segnando un importante rallentamento negli ultimi anni, continua a crescere nel nostro paese con circa 23.000 km quadrati del territorio nazionale ormai persi irrimediabilmente e, con loro, i rispettivi servizi ecosistemici. Solo in 6 mesi, tra il 2015 e il 2016, sono stati consumati 5000 ettari di territorio, equivalenti a 5700 campi di calcio, precisano i report. Ma c’è anche una nota positiva: oltre 300.000 ettari, nel 2016, sono stati convertiti ad agricoltura biologica: un’estensione pari quasi a quella della Regione Valle d’Aosta. Numerosi e significativi sono i segnali di miglioramento della qualità dell’aria: le emissioni dei principali inquinanti continuano infatti a diminuire, così come i livelli atmosferici di alcuni inquinanti mostrano trend generalmente decrescenti. La situazione della qualità dell’aria rimane però critica, in particolare per il particolato atmosferico (il 40% delle stazioni non rispetta il valore limite giornaliero), il biossido di azoto (il 13% delle stazioni non rispetta il valore limite giornaliero), per i quali continuano a registrarsi livelli elevati, che troppo spesso superano gli standard normativi. Il bacino padano rappresenta una delle aree di maggior criticità. In continua diminuzione le emissioni delle autovetture, grazie alle nuove immatricolazioni: in particolare,
FITORIMEDIO PER LA BONIFICA DI UN’AREA DEMANIALE DEI LAGHI DI MANTOVA Entra nel vivo la bonifica dell’area demaniale dei laghi di Mantova compresa tra Porto Catena e Diga Masetti. Si tratta di circa 86mila metri quadrati con una contaminazione da IPA e mercurio fino a una profondità media di circa 2 metri.
Il progetto prevede l’applicazione di tecniche di fitorimedio, prima su scala pilota e poi, sulla base degli esiti ottenuti, estese a tutto il sito. Lo staff di Ersaf, l’ente regionale per i servizi all’agricoltura e alle foreste, con la consulenza tecnica e scientifica dell’Università Cattolica Sacro Cuore di Piacenza sulla base dei campionamenti effettuati in fase di caratterizzazione ha selezionato le specie arboree e gli enzimi più indicati per il risanamento dell’area. La fase sperimentale avrà presto inizio con la preparazione del terreno dove verranno eseguite le prove pilota: 9 particelle di 8 metri per 8 dove verranno mes-
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se a dimora le specie festuca e arundo donax, insieme al trifoglio. Parallelamente verranno anche effettuate le prove “in vaso” utilizzando il terreno prelevato dal sito e le stesse piante presenti in campo a cui saranno aggiunti pioppo bianco e salice di ripa. Dai risultati che si otterranno con il progetto pilota, Ersaf sarà in grado di elaborare un progetto operativo di bonifica con l’obiettivo di restituire 86mila metri quadrati di bosco alla città.
UN’ISOLA DI PLASTICA ANCHE PER IL MEDITERRANEO Anche il Mediterraneo rischia di avere la sua isola di plastica. Con centinaia di chilogrammi di plastica per ogni chilometro cubo di acqua i rifiuti plastici stanno diventando un grave problema anche per i nostri mari. Durante il recente convegno organizzato a Lerici da Sea Shepherd, Marco Faimali, del CNR, ha spiegato che il 3% della produzione annuale di plastiche finisce in mare con conseguenze sull’ecosistema che non sono ancora chiare poiché i rifiuti plastici possono restare in acqua oltre 600 anni, sminuzzandosi in particelle sempre più piccole e insidiose, le nano e microplastiche, e al tempo stesso la plastica a sua volta assorbe altri inquinanti e si comporta come un vettore. Ogni anno nel mondo finiscono in acqua dagli 8 ai 10 milioni di tonnellate di spazzatura, il 75% della quale è plastica. Da qui al 2025 gli oceani riceveranno 64 milioni di tonnellate di rifiuti in più. Un’invasione tossica che ha un effetto devastante sulla fauna. Eppure, ha sottolineato ancora Faimali, bisogna considerare che il mare ha un valore economico importante, “il Mediterraneo vale 5mila 600 miliardi di dollari, corrispondenti a un prodotto marino lordo pari al 20% di quello mondiale”. Il Mare nostrum, se fosse uno stato, sarebbe il quarto in Europa a produrre economia senza considerare che contiene ben il 10% della biodiversità.
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GREEN ECONOMY: TANTE OPPORTUNITÀ NEI CONVEGNI, SCARSA PRATICA NEGLI IMPIANTI IL PENSIERO CONTRAPPOSTO TRA QUELLO CHE GLI OPERATORI DOVREBBERO FARE SECONDO LA POLITICA RISPETTO A QUELLO CHE NON POSSONO FARE SECONDO LA BUROCRAZIA. ESISTE UNA SOLUZIONE PERCORRIBILE?! di Emilio Guidetti*
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uesto articolo segue di quasi un anno un altro, sulla stessa rivista, che rappresentava le difficoltà attuative delle politiche economiche “verdi”; difficoltà che non risiedono tanto in carenze tecnologiche e/o infrastrutturali degli operatori ma nel “pensiero disgiunto” tra le opportunità che la politica (nell’accezione più generale del termine) ci illustra nei convegni e quello che la burocrazia impedisce di fare nella pratica. Nel frattempo abbiamo vissuto Ecomondo 2017, l’annuale kermesse sui temi energetici ed ambientali, dove al piano di sopra abbiamo ascoltato cosa si potrebbe fare sfruttando le opportunità dell’economia circolare mentre al piano di sotto, nei padiglioni, in molti si sarebbero accontentati che la burocrazia non li avesse ostacolati. Non favoriti ma semplicemente non ostacolati! Da quel momento possiamo dire una cosa: abbiamo certamente peggiorato! Lo scenario è ancor più cupo e confuso, a rischio c’è un intero settore, quello del recupero e del riciclaggio dei rifiuti. Leggendo articoli, atti di convegni, interviste sui diversi media tutti gli autori marcano con decisione le opportunità di una transizione verso la green economy riconoscendola come motore di sviluppo e occupazione e, in aggiunta, la risposta più lineare a serie politiche di gestione dei rifiuti secondo i criteri di priorità stabiliti dall’UE.
L’ECONOMIA CIRCOLARE
Economia circolare è un termine per definire un sistema economico pensato per potersi rigenerare da solo. Secondo la definizione che ne dà la Ellen MacArthur Foundation, in un’economia circolare i flussi di materiali sono di due tipi: quelli biologici, in grado di essere reintegrati nella biosfera, e quelli tecnici, destinati ad essere rivalorizzati senza entrare nella biosfera [1]. Nel comune sentire è una economia che si basa su risorse rinnovabili per l’energia e immagina che le risorse biologiche rientrino nella biosfera mentre quelle tecniche possano essere componenti di base per nuovi prodotti.
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LA SVOLTA GREEN (IN SENSO CONTRARIO?!)
Ho letto di recente un articolo di Claudio Strano sulla rivista di una nota catena della GDO italiana dal titolo “La svolta green che serve subito” con un accattivante sommario che recita “Conciliare la crescita economica con l’ecologia deve diventare un tema centrale anche della politica. Alla prossima legislatura si chiede un deciso cambio di passo e criteri di misurabilità degli obiettivi. Ecco a che punto è la transizione verso la green economy che, oggi, coinvolge il 42% delle imprese”. L’articolo è certamente molto bello e illustra nei dettagli tutte le opportunità e le necessità di questa svolta green; poi leggo la sentenza del Consiglio di Stato 1229/2018 ed il titolo dell’editoriale su LinkedIn del dr. Paolo Pipere, uno che di queste cose ne sa parecchio, che sentenzia nel titolo “Da rifiuto a rifiuto. Nessuna transizione alla Circular Economy”. Ci è stato insegnato che le sentenze si applicano e non si discutono, in questo caso credo che possa valere la pena di fare un’eccezione per comprendere come la svolta green è incappata, purtroppo, in un divieto di accesso. La sentenza n. 1229/2018 riserva esclusivamente allo Stato la possibilità di determinare i criteri di dettaglio che, in assenza di regolamenti europei, consentono di dimostrare il rispetto delle quattro condizioni indispensabili per la realizzazione dell’end of waste. È certamente una legittima posizione quella del Consiglio di Stato; forse solamente in ritardo, forse solamente distonica rispetto alle previsioni della filosofia di gestione dei rifiuti. Certa-
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mente una posizione che causa il blocco di gran parte del sistema di recupero e riciclaggio italiano soprattutto in quelle aree o su quelle frazioni di rifiuto che non rappresentano l’interesse primario delle lobby (nell’accezione anglosassone del termine).
NORMATIVE NON AL PASSO CON I TEMPI
Un commento merita la produzione normativa italiana in tema di gestione dei rifiuti tanto più copiosa quanto non fruibile rispetto alle vere esigenze degli operatori. Tralasciamo, quantomeno per decenza, il tema SISTRI che meriterebbe non un articolo ma un intero libro e ci concentriamo sulla normativa relativa al recupero dei rifiuti che prende vita con il famoso D.M. 05/02/98 che, molti probabilmente dimenticano, è un testo per le procedure di recupero semplificate. Un testo che risale a condizioni del mercato decisamente diverse da quelle attuali con conoscenze tecniche meno avanzate. Un testo che ha venti anni di vita, le modifiche introdotte successivamente infatti non possono considerarsi un adeguamento complessivo ma la risposta a specifiche esigenze di settori di mercato che possono far valere la loro rilevanza economica. Ancora oggi però viene indicato questo come il testo di riferimento per comprendere se un rifiuto (non pericoloso) può essere avviato al recupero o meno. Nel 2006 viene emanato il D.Lgs. 152/06, ottimisticamente definito come il testo unico ambientale. Di unico c’è ben poco e come sempre in Italia per avere un quadro della situazione (non esaustivo ma pur sempre
un quadro) occorre avere per le mani diversi testi (a loro modo unici) ed almeno una buona dozzina di sentenze per comprendere “dove si orienta la giurisprudenza”. In Italia pare che le leggi siano da applicare dopo che si è capito dove si orienta la giurisprudenza e quindi con una dilazione di tempo tra i bisogni dell’operatore e del mercato rispetto a quelli della P.A. La produzione normativa in Italia è probabilmente ultronea alla reale necessità ma purtroppo, o almeno questo è il mio parere, ha la tendenza a sostituirsi a quelli che dovrebbero essere criteri tecnici oggettivi e documentati che devono essere redatti a cura del personale tecnico dell’impianto che dichiara la cessazione della qualifica del rifiuto.
CIRCULAR ECONOMY SECONDO LA UE
“L’anello mancante”. Così la Commissione Europea ha ribattezzato le misure contenute nel nuovo Pacchetto Economia circolare. Adottato dall’Esecutivo Europeo, il Circular Economy Package fa né più né meno quanto già annunciato da Bruxelles in questi mesi: getta le basi per il passaggio dall’attuale modello lineare di crescita economica ad uno dove il valore dei prodotti e dei materiali si mantenga il più a lungo possibile. In altre parole va a costituire quell’anello che oggi manca nel ciclo di vita dei beni europei. Le nuove misure, ha spiegato il primo Vicepresidente Frans Timmermans, responsabile per lo Sviluppo sostenibile, propongono “un percorso credibile e ambizioso per una migliore gestione dei rifiuti in Europa, sostenuto da
azioni che riguardano l’intero ciclo dei prodotti; contiene sia una normativa intelligente sia incentivi a livello UE che aiuteranno le imprese e i consumatori - ma anche le autorità nazionali e locali - a guidare questa trasformazione” [2]. Certamente il pacchetto sull’economia circolare varato dall’UE ha obiettivi ambiziosi e certamente necessari rispetto alla gestione delle risorse naturali fatta fino ad oggi; crescono gli obiettivi di raccolta, crescono gli obiettivi di recupero e riciclaggio, potrebbero crescere i posti di lavoro che l’economia circolare genera. In una bella presentazione dal titolo “le sfide della circular economy” dello scorso 2 febbraio l’ex Ministro Edo Ronchi dettaglia tutte le opportunità dell’economia circolare soffermandosi poi sulle necessità tipicamente italiane: • occuparsi di politiche e misure, anche economiche, che portino il mercato ad assicurare sbocchi ai materiali e prodotti da riciclo in forte aumento riconoscendone i reali benefici; • incoraggiare la ricerca e l’innovazione per rendere il riciclo sempre più esteso, efficiente e vantaggioso. Credo che sia sul primo punto che vada posto l’accento ovvero comprendere che dove si parla di “politiche e misure, anche economiche” si debba inserire tra queste anche la chiarezza e la semplificazione di procedimenti autorizzativi e/o di implementazione di best practice. Non necessariamente la semplificazione è sinonimo di minori controlli ed anzi, in molti casi, ne migliora la performance da entrambe le
parti in quanto i parametri sono chiari, le richieste specifiche ed attuabili, i criteri oggettivi e misurabili.
LEGISLAZIONE O BUONA TECNICA OGGETTIVA
Traducendo dal tedesco l’affermazione di un importante funzionario di una multinazionale leader nel mondo nel settore del recupero dei rifiuti suonerebbe più o meno così “siete l’unico Paese al mondo in cui del recupero dei rifiuti ne parlano i politici e non i tecnici”. Per molto tempo ho creduto fosse lo sbrigativo e stucchevole modo per denigrare l’italiano operare secondo i peggiori stereotipi quali pizza, mandolino e mafia. Superando l’orgoglio italico e provando a ragionare sulla base dei fatti mi sono poi reso conto quanto questa affermazione fosse vera e purtroppo fatale per le possibilità di sviluppo italiane nel settore green. L’articolo 184-ter del D.Lgs. 152/06 recita che “un rifiuto cessa di essere tale quando è stato sottoposto a un’operazione di recupero, incluso il riciclaggio e la preparazione per il riutilizzo, e soddisfi i criteri specifici, da adottare nel rispetto delle seguenti condizioni: a. la sostanza o l’oggetto è comunemente utilizzato per scopi specifici; b. esiste un mercato o una domanda per tale sostanza od oggetto; c. la sostanza o l’oggetto soddisfa i requisiti tecnici per gli scopi specifici e rispetta la normativa e gli standard esistenti applicabili ai prodotti; d. l’utilizzo della sostanza o dell’og-
getto non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o sulla salute umana”. A questo punto si ritiene che sia il legislatore che individui i necessari criteri specifici nel rispetto delle predette condizioni, legislatore che non ha prodotto nessun criterio dopo dodici anni rimandando al quantomeno vintage D.M. 05/02/98 i criteri tecnici. Da un lato si chiede la svolta green verso l’economia circolare che in quasi tutti i piani regionali dei rifiuti emananti è fondamento per l‘ottenimento degli obiettivi, in quasi tutti i convegni è oggetto di specifica trattazione per far comprendere agli operatori del settore l’importanza strategica dell’operatore per produrre prodotti End of Waste. Quello che purtroppo non si è ben compreso è che gli operatori del settore hanno decisamente chiare le opportunità della green economy quello che manca è la certezza applicativa della normativa che permetta di avere un’autorizzazione adeguata alla produzione di prodotti. Affidare ad un disposto normativo i criteri per cessare la qualifica di rifiuto significa avere buchi regolatori di anni (lo vediamo con il DM 05/02/98) e dovere standardizzare procedure e prodotti che in molti casi sono peculiarità dell’unità produttiva che si rende disponibile ad introdurre quel materiale nel proprio ciclo produttivo. Personalmente ritengo che non sia la via legislativa quella con cui definire i criteri per la cessazione della qualifica di rifiuto ma sia quella tecnica; al legislatore il compito di definire i contenuti minimi informativi necessari di un’ipotetica scheda tecnica, le eventuali matrici ambientali da monitorare
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e/o valutare, le caratteristiche dei laboratori che devono svolgere le analisi. Un operatore professionale che opera nel campo dei rifiuti soprattutto nel riciclaggio degli stessi, è all’interno di un mercato regolato da molte normative, prescrizioni regolatorie dell’Ente autorizzante ed è dotato di impianti e tecnologie di buon livello. Nella grande maggioranza dei casi sono impianti indispensabili a collegare la raccolta ed il primo trattamento dei rifiuti con i settori industriali che sono interessati ad introdurre i prodotti end of waste nel ciclo produttivo ma non sono operatori del trattamento dei rifiuti. Sarà capitato anche a Voi sentire di stabilimenti ceramici, di laterizi, di stampaggio materie plastiche affermare che avevano l’autorizzazione a recuperare rifiuti ma che hanno preferito rinunciarvi per la mole di adempimenti burocratici a cui sono sottoposti; permane l’interesse tecnico, il vantaggio tecnologico e ambientale ad introdurre il prodotto nel ciclo produttivo ma non come rifiuto ma come prodotto, sostituendo, in tutto o in parte, una materia prima naturale (inerte) o vergine (plastica). Il senso si trova nei dettami dell’economia circolare, nel protocollo LEED, nei CAM (criteri ambientali minimi) e via dicendo. Un impalcato filosofico, normativo e regolatorio che si fonda sulla possibilità di recuperare risorse dai rifiuti (l’urban mining) che si scontra con la burocrazia che rallenta (nella migliore delle ipotesi) i processi autorizzativi legati al recupero o, spesso, li vanifica: “da rifiuto a rifiuto” cita nel suo titolo il dr. Paolo Pipere.
UNA PROPOSTA RIVOLUZIONARIA
Ho di recente scritto che in un mondo “normale” i criteri dell’articolo 184-ter dovrebbero essere sufficienti ad indicare le caratteristiche generali da rispettare per far cessare la qualifica di rifiuto utilizzando la stessa filosofia applicata in altri settori (chimica, macchine, ecc.) dove la responsabilità è in capo al produttore dell’apparecchiatura e/o della sostanza chimica immessa al commercio. Riprendiamo dal paragrafo precedente l’articolo 184-ter del D.Lgs. 152/06
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che recita che “un rifiuto cessa di essere tale quando è stato sottoposto a un’operazione di recupero (incluso il riciclaggio e la preparazione per il riutilizzo), e soddisfi i criteri specifici da adottare nel rispetto delle seguenti condizioni”; proviamo a identificare all’interno delle condizioni alcuni criteri generali che devono essere soddisfatti e che devono costituire un fascicolo tecnico interno a disposizione dell’autorità. a. La sostanza o l’oggetto è comunemente utilizzato per scopi specifici. Il gestore dell’impianto ha il compito di individuare i diversi settori applicativi in cui può essere indirizzato il prodotto che esce dal proprio ciclo produttivo; identificato il ciclo produttivo documenterà lo scopo specifico per il quale può essere utilizzato e manterrà aggiornato il fascicolo tecnico a disposizione delle autorità di controllo. b. Esiste un mercato o una domanda per tale sostanza od oggetto. Il gestore dell’impianto è certamente in grado di soddisfare questa condizione basando la sua attività industriale sulla valorizzazione dei prodotti a valle del ciclo produttivo. Un impianto di recupero della plastica si basa sulla capacità di vendere granulo, un impianto di trattamento degli inerti di vendere un succedaneo della sabbia o della ghiaia. Il gestore dell’impianto deve quindi documentare nel fascicolo tecnico le esigenze rappresentate dall’impianto di destinazione e tutte le ulteriori informazioni necessarie o anche soltanto utili a rappresentare correttamente il mercato potenziale. c. La sostanza o l’oggetto soddisfa i requisiti tecnici per gli scopi specifici e rispetta la normativa e gli standard esistenti applicabili ai prodotti. Il gestore dell’impianto negozierà gli standard necessari per l’introduzione del prodotto nel ciclo produttivo dell’azienda cliente, individuerà la presenza o meno di standard codificati utilizzabili per valorizzare il processo di recupero (p.e. marcatura CE per aggregati, ecc.) e , in assenza di questi, manterrà aggiornata una scheda tecnica sottoscritta dalle parti con chiara indicazio-
ne dei requisiti da ottenere e delle prove del controllo interno e di terzi necessarie al mantenimento dello standard di prodotto. L’assenza di standard codificati non può essere causa del mancato ottenimento della qualificazione di End of Waste. Il gestore dell’impianto, unitamente al destinatario del prodotto saranno quindi garanti della certezza dell’utilizzo e dello standard raggiunto. d. L’utilizzo della sostanza o dell’oggetto non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o sulla salute umana. Anche in questo caso, confusione interpretativa a parte, il criterio potrebbe essere un’analisi comparativa (chimica e merceologica) tra la materia prima sostituita ed il prodotto end of waste che la sostituisce identificando se vi siano “impatti complessivi negativi”. La tabella comparativa dovrebbe garantire il rispetto di questo criterio anche se la condizione di cui al punto d. si presta (come sempre) a qualche sfumatura. Per esempio se il prodotto
end of waste è leggermente più polveroso della materia prima che sostituisce ma consente un risparmio energetico significativo in un processo termico la condizione si può ritenere soddisfatta?! Solo attraverso la responsabilizzazione dei gestori degli impianti attraverso le loro strutture tecniche si potrà avere un sistema al passo con i tempi e capace di cogliere le opportunità del mercato; una responsabilizzazione che offre a chi deve controllare elementi oggettivi di analisi e valutazione e che garantisce la linearità della filiera tra chi dichiara la cessazione della qualifica di rifiuto e chi introduce nel proprio processo produttivo questo materiale.
gli atti formali degli Enti che devono autorizzare gli operatori a lavorare. È inutile continuare a parlare di economia circolare nei convegni, nei piani di gestione dei rifiuti, nei consigli regionali e comunali senza che poi, nella pratica, la burocrazia si metta nelle condizioni di potere dare le gambe a questo processo. Un processo che deve avere criteri discrezionali noti e condivisi (so su cosa e su quali parametri mi giudicano) e dei tempi certi (so che entro 6 mesi avrò una risposta) altrimenti non diventa attrattivo per gli investitori, anche stranieri, che stanno ben lontani dal Bel Paese per la paura, non infondata, di non vedere mai la luce in fondo al tunnel. *Ecoproject S.a.s.
CONSIDERAZIONI FINALI
Il sistema Paese ha necessità impellente di lavoro e di crescita e, certamente, l’economia circolare può rappresentare un elemento trainante. È necessario che si intervenga per allineare le parole spese nei convegni con
NOTE
[1] https://it.wikipedia.org/wiki/Economia_circolare [2] http://www.rinnovabili.it/green-economy/pacchetto-sull-economia-circolare-misure-ue-666/
A T T U A L I TÀ
RICICLO, AVANTI COSÌ L’INDUSTRIA ITALIANA HA RAGGIUNTO LIVELLI DI ECCELLENZA NEL RICICLAGGIO DEI RIFIUTI. È QUANTO EMERGE DALLO STUDIO ANNUALE “L’ITALIA DEL RICICLO” DI FONDAZIONE PER LO SVILUPPO SOSTENIBILE E FISE UNIRE di Maeva Brunero Bronzin
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rifiuti gestiti nei 5 maggiori Paesi dell’Unione Europea nel 2014 pesano poco meno della metà sul totale gestito dai 28 Stati membri, con il primato della Germania che tratta 371 Mt, seguita dalla Francia con 300 Mt e dal Regno Unito con 209 Mt; a grande distanza l’Italia con 129 Mt, mentre la Spagna chiude l’elenco con poco più di 103 Mt. Il 51% del totale dei rifiuti gestiti in Europa risulta avviato a recupero e il 49% a smaltimento, esclusi stoccaggi e pretrattamenti. In Italia e Germania l’incidenza del recupero sul totale trattato è significativamente superiore alla media europea, con punte del 79%; in Francia raggiunge il 69%. Sono i dati del Rapporto “L’Italia del Riciclo”, presentato a Roma a lo scorso dicembre. Analizzando i trend sulle quote di avvio a recupero, Germania e Italia mostrano le performance più soddisfacenti e peraltro in miglioramento nel periodo osservato, mentre la Francia ha un andamento piuttosto piatto; il Regno Unito vive una lenta crescita, al contrario della Spagna che raddoppia la sua quota di avvio al recupero, ma alla fine del periodo entrambi si collocano poco al di sopra del 50% rispetto al totale dei rifiuti trattati. In Europa il settore della gestione dei rifiuti genera un fatturato complessivo di 155 Mld€ e produce quasi 50 Mld€ di valore aggiunto; entrambe le voci mostrano inoltre una crescita nominale di circa il 10% rispetto al 2011. Anche in termini economici il Paese che si attesta sui livelli più alti è la Germania, mentre quello con la maggiore accelerazione nel tempo è la Spagna (+25% di fatturato e +50% di valore aggiunto tra il 2011 e il 2014). A livello nazionale, secondo l’indagine
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svolta da Ecocerved, nel 2015 la quantità di rifiuti complessivamente gestiti (esclusi quelli da bonifica e gli inerti da costruzione e demolizione), è pari a 116,5 Mt, di cui il 93% costituito da rifiuti non pericolosi. Il totale gestito nel 2015 ammonta a circa il 50% in più rispetto al 1999, quando si attestava a 76,6 Mt (per il 95% di tipo non pericoloso). Nel concentrarsi sul contesto italiano, la gestione dei rifiuti è stata analizzata in qualità di vera e propria filiera industriale, con riferimento a tutti i processi che si esplicano nell’esecuzione di una lavorazione. Si escludono quindi gli stoccaggi di rifiuti, ma si considerano i pretrattamenti cioè le lavorazioni intermedie. La quantità di rifiuti destinata al recupero è più che raddoppiata dal 1999 al 2015, passando da circa 29 a 64 Mt. L’avvio a smaltimento si è invece drasticamente ridotto da 35 a 18 Mt. Oltre al recupero, infatti, anche le operazioni di pretrattamento sono aumentate in misura considerevole (passando da 13 a 34 Mt), per effetto della maggiore articolazione della filiera nel corso degli anni.
Nel 2015 il 55% dei rifiuti gestiti è stato avviato a recupero, il 16% a smaltimento e il 29% a pretrattamenti, a fronte di percentuali che nel 1999 erano rispettivamente del 38%, 46% e 17%. I rifiuti più rilevanti in termini quantitativi sono quelli derivanti dal trattamento di altri rifiuti (39 Mt gestite nel 2015) e gli urbani che si attestano a poco meno di 30 Mt; seguono, molto distaccati, gli imballaggi con 9 Mt. Sui rifiuti urbani e da raccolta differenziata si è verificata, in particolare, un’inversione di tendenza notevole negli anni, con un deciso rafforzamento dell’avvio a recupero e la marginalizzazione dello smaltimento: se nel 1999 il 17% veniva avviato a recupero, il 68% a smaltimento e il 14% a pretrattamenti, la situazione nel 2015 è radicalmente mutata con il 50% a recupero, l’8% a smaltimento e il 42% a pretrattamenti. Altre evoluzioni significative interessano i rifiuti da trattamento fisico dei metalli, che hanno mantenuto nel tempo dei livelli altissimi di recupero e i rifiuti da imballaggio per i quali l’avvio a recupero è passato dal 48% del 1999 al 75% nel 2015, mentre lo smaltimento
si è ridotto dal 43% all’1% nello stesso periodo.
L’EVOLUZIONE DEL TESSUTO IMPRENDITORIALE
In Italia sono oltre 10.500 le imprese che svolgono in concreto attività di gestione dei rifiuti allo scopo di recuperarli o smaltirli. Le quantità di rifiuti gestite più rilevanti nel 2015 riguardano i metalli (quasi 16 Mt), l’organico (11,3) e la carta (6,4). Con riferimento alla quota di avviato a riciclo rispetto al gestito, le migliori performance sono registrate dal vetro (95%), metalli (93%) e carta (86%). Le unità locali, ovvero le singole sedi dove si espleta operativamente l’attività d’impresa, dove si riciclano rifiuti sono circa 7.200 nel 2015 (il 60% del totale, 11.700): il 55% si trova al Nord Italia, il 20% al Centro e il 25% al Sud e Isole. Nel 2015 la quantità media per unità locale avviata a recupero è pari a 7.859 t, oltre una volta e mezzo rispetto a quanto registrato nel 1999; l’indicatore di avvio a riciclo per addetto si attesta invece a 424 t nel 2015 e segna quasi un raddoppio nel periodo considerato. Un’ulteriore analisi, condotta sempre da Ecocerved, prende in considerazione circa 1.100 imprese incumbent del settore della gestione dei rifiuti in Italia, con posizione consolidata sul mercato, nel quale sono presenti in modo continuativo da oltre 10 anni. Secondo questo studio il gestore medio ha un fatturato di 16 Mln€, una cifra più che raddoppiata in termini reali rispetto al 2003; il valore aggiunto medio per impresa è di poco superiore a 4 Mln€ con una variazione analoga nello stesso periodo. Nel 2015 il valore aggiunto (fatturato al netto dei costi esterni, come ad es. acquisti materie, servizi ecc.) medio per addetto supera 85.000 €, oltre 1 volta e mezzo il livello del 2003 (in termini reali), e il margine operativo lordo medio, che si attesta a più di 35.000 € per addetto nell’ultimo anno, ha registrato una crescita ancora più rapida segnando quasi un raddoppio nel periodo considerato. Le piccole imprese (con un numero di addetti compreso tra 10 e 49), che ne-
gli anni hanno via via ampliato la loro quota di mercato, spiccano nel 2015 con il più alto livello di valore aggiunto. Si stima infine, sulla base di questo panel, che l’industria del riciclo produca 12,6 Mld€ di valore aggiunto nel 2015, equivalenti a circa l’1% dell’intero PIL italiano.
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LE CONCLUSIONI DELLO STUDIO
Il quadro generale delineato dallo Studio condotto da Ecocerved sulla gestione dei rifiuti in Italia a 20 anni dall’emanazione del D.Lgs. 22/97 mette in evidenza i seguenti aspetti rilevanti. • Lo schema di gestione è diventato progressivamente più virtuoso, la quota destinata ad attività di recupero (di materia/energia) nel 2015 è pari al 55% del totale gestito; lo smaltimento, di contro, si è drasticamente ridotto. Nello stesso periodo, per effetto della crescente articolazione della filiera di gestione, si registra inoltre un maggiore ricorso a operazioni di tipo intermedio per il pretrattamento dei rifiuti, la cui quota passa dal 17% al 29%.
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Anche il tessuto imprenditoriale è mutato: le circa 10.500 imprese che nel 2015 gestiscono rifiuti, a titolo di attività principale o secondaria, sono infatti diminuite rispetto al 1999, conseguentemente a processi di concentrazione e integrazione aziendale. La struttura stessa del settore si è trasformata, con un grosso aumento delle società di capitale e una riduzione costante delle imprese individuali, che si sono praticamente dimezzate tra il 1999 e il 2015. Dal punto di vista merceologico, i metalli registrano la quantità gestita più alta, quasi 16 Mt nel 2015; anche a livello di performance, i rifiuti metallici rappresentano uno dei raggruppamenti più significativi, con una quota di riciclo del 93% sul totale gestito, secondi solo al vetro (95%). Rispetto al 1999, gli pneumatici fuori uso e l’organico esibiscono i migliori progressi sulle loro quote di riciclo. Si stima che l’industria del riciclo produca 12,6 miliardi di euro di valore aggiunto nel 2015, equivalenti a circa l’1% dell’intero PIL italiano.
Avvio a riciclo degli imballaggi nel triennio 2014/2015/2016 in valore assoluto (2016) e in percentuale su immesso al consumo (Fonte: Fondazione per lo sviluppo sostenibile su dati CONAI)
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PERCHÉ ABBIAMO BISOGNO DELLA GREEN ECONOMY PER LA NOSTRA ECONOMIA IL 27% DELLE AZIENDE ITALIANE È RIPARTITO GRAZIE A SCELTE GREEN di Bruno Vanzi
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conomia, lavoro, occupazione sono temi fondamentali per ogni paese. L’Italia ha vissuto anni difficili per la crisi che ha stretto nella morsa la nostra economia. Alcuni settori sono ripartiti o lo stanno facendo, altri avranno bisogno ancora di tempo. Quello che abbiamo imparato, però, è che le aziende che hanno investito in green economy sono state più competitive, hanno esportato e assunto di più. Lo dimostrano i numeri di GreenItaly 2017, l’ottavo rapporto di Fondazione Symbola e Unioncamere. La green economy è un eccezionale motore di competitività ed è stata in questi anni critici la migliore risposta alla crisi. I numeri sono incoraggianti perché più di un’impresa su quattro dall’inizio della crisi ha scommesso sulla green economy, che in Italia significa più ricerca, innovazione, design, qualità e bellezza. Sono infatti 355 mila, ossia il 27,1% del totale, le aziende italiane dell’industria e dei servizi che dal 2011 hanno investito in tecnologie green per ridurre l’impatto ambientale, risparmiare energia e contenere le emissioni di CO2. Una quota che sale al 33,8% nell’industria manifatturiera, dove l’orientamento green si conferma un driver strategico per il made in Italy, traducendosi in maggiore competitività, crescita delle esportazioni, dei fatturati e dell’occupazione. Nel 2017 si è registrata una vera e propria accelerazione della propensione delle imprese a investire green: ben 209 mila aziende hanno investito su sostenibilità ed efficienza, con una quota sul totale (15,9%) che ha superato di 1,6 punti percentuali i livelli del 2011. GreenItaly 2017 ci dice che la green economy è una efficace spinta per lo sviluppo, un modello produttivo sempre più forte e diffuso nel Paese in termini di imprese, che in numero crescente fanno scelte green, e in termini di risultati, nei bilanci, nell’occupazione. Un modello che ha a cuore la crescita delle comunità e la qualità della vita dei territori. Il 69% delle medie imprese green si impegna in sostegno allo sviluppo del proprio territorio, mentre tra le imprese non green tale percentuale scende al 36%. Alla nostra green economy si devono già 2 milioni 972 mila green jobs, ossia occupati che applicano competenze ‘verdi’. Una cifra che corrisponde al 13,1% dell’occupazione complessiva nazionale. Dalla nostra economia ‘verde’ nel 2017 sono stati creati 320 mila green jobs e considerando anche le assunzioni per le quali sono richieste competenze green si aggiungono altri 863 mila occupati. Insieme all’occupazione la green economy crea anche ricchezza: i quasi 3 milioni di green jobs italiani contribuiscono infatti alla formazione di 195,8 miliardi di euro di valore aggiunto, pari al 13,1% del totale complessivo. Il salto competitivo e innovativo che la green economy riesce a far compiere alle imprese trae forza anche dal forte connubio “green-R&S”, perché, ad esempio, le medie imprese industriali che hanno investito quest’anno in ricerca e sviluppo sono il 27% tra quelle che puntano sull’eco-efficienza e solo il 18% tra le altre. Questo dato trova una conferma nei dati sui green jobs (ingegneri energetici o agricoltori biologici, piuttosto che esperti di acquisti verdi, tecnici meccatronici o installatori di impianti termici a basso impatto, ecc.): nell’area aziendale della progettazione e della ricerca e sviluppo i green jobs rappresentano il 60% delle assunzioni previste per
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il 2017. Un tema che si collega a doppio filo con il Piano Nazionale Impresa 4.0, ovvero l’impegno pubblico del governo per sostenere la quarta rivoluzione industriale. Molte delle tecnologie abilitanti richiamate nel Piano rispondono infatti a necessità delle imprese di ridurre impatti di tipo energetico e/o ambientale piuttosto che di rendere i processi più efficienti (ad esempio riducendo sprechi e riutilizzando materiali). Non è un caso che le medie imprese industriali che investono nel green siano molto più a conoscenza delle altre delle misure contenute nel Piano (due terzi contro neanche la metà delle non investitrici green).
IL PRIMATO DI IMPRESE GREEN SPETTA ALLA LOMBARDIA
Occupati che svolgono professioni green e occupati che svolgono altre professioni (dati 2016 fonte GreenItaly Rapporto 2017)
Con 63.170 imprese green la Lombardia è al primo posto in Italia nella graduatoria regionale per numero assoluto di aziende che hanno investito in tecnologie green. Passando dal livello regionale a quello provinciale, è Milano con le sue 22.300 imprese green la provincia più virtuosa della Lombardia. Seconda Brescia con 8.720 imprese green, terza Bergamo a quota 6.660. Seguono Monza e Brianza con 5.320, Varese con 5.190 imprese green, Como attestata a 3830 imprese green, Pavia a quota 2.580, Mantova con 2.240 imprese, Lecco a 2.100, Cremona 1.870, Lodi 1.220 e Sondrio 1.140. L’ottimo risultato della provincia di Milano è confermato anche su scala nazionale: Milano è al primo posto in Italia nella graduatoria provinciale per numero di imprese green. Più in generale è tutta la regione a confermare ottime performance ‘verdi’: nella top twenty delle provincie per valore assoluto di imprese che hanno investito o investiranno green entro l’anno, infatti, ci sono anche il sesto posto di Brescia, il decimo di Bergamo, il quattordicesimo di Varese e il diciottesimo di Monza e Brianza. Ma i primati della regione non si fermano qui: con 81.620 assunzioni di green jobs programmate dalle imprese per il 2017, più di un quarto del totale nazionale, la Lombardia è al vertice anche della graduatoria regionale per numerosità di assunzioni verdi programmate entro l’anno. Un primato nazionale che vanta anche Milano, con le sue 42.910 mila assunzioni previste di green jobs, a livello provinciale. Tra le aziende citate nella ricerca che vogliamo segnalare troviamo nella provincia di Brescia, Ecowood, che dal recupero di materiali legnosi di numerose aziende lombarde ha sviluppato una linea di complementi di arredo e un utile contenitore per la raccolta differenziata, oltre ad alimentare la centrale termica che consente il riscaldamento aziendale e la produzione di energia elettrica. La mantovana Fulgar produce invece filati di poliammide e da anni si dedica a sviluppare prodotti a ridotto impatto ambientale, come la fibra bio-based EVO®, che consente di risparmiare il 52% di acqua per kg prodotto. Per la provincia di Pavia possiamo citare Anemotech, start up che ha realizzato The Breath®, l’innovativa tecnologia ambientale capace di assorbire, bloccare e disgregare le molecole inquinanti presenti nell’atmosfera, grazie ad un tessuto multistrato, con cui è possibile rivestire le pareti degli edifici. Infine, nella provincia di Varese, c’è Mazzucchelli, che ha realizzato M49®, un nuovo polimero di acetato bio-based, biodegradabile e riciclabile ricavato da semi di cotone e scarti di legno con plastificanti e pigmenti naturali che è stato scelto da Gucci e Stella Mc-Cartney per gli accessori delle proprie collezioni.
LE IMPRESE GREEN SONO PROTAGONISTE DELLA RICERCA E DELL’EXPORT
Le aziende della green Italy sono più favorevoli a investire in ricerca: nel 2017 la diffusione della divisione ricerca e sviluppo tra le medie imprese manifatturiere che hanno investito in prodotti e tecnologie green nel triennio 2014-2016 è a quota 27%, contro il 18% delle non investitrici. Ricerca e sviluppo sorreggono i risultati in termini di fatturato ed export. Nel 2016 le medie imprese manifatturiere che investono green hanno avuto un dinamismo sui mercati esteri nettamente superiore rispetto al resto delle imprese: hanno incrementato l’export nel 49% dei casi, a fronte del 33% di quelle che non investono nel verde. Spinto da export e innovazione, il fatturato è aumentato, fra 2015 e 2016, nel 58% delle imprese che investono green, contro il 53% delle
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Incidenza percentuale delle assunzioni programmate dalle imprese nel 2017 relative a figure nuove in azienda tra i green jobs, e altre figure professionali (fonte GreenItaly Rapporto 2017)
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Imprese che hanno effettuato eco-investimenti nel periodo 2011–2016 e/o investiranno nel 2017 in prodotti e tecnologie green sul totale delle imprese, per settore di attività (fonte GreenItaly Rapporto 2017)
DOVE SONO PIÙ RICHIESTI I GREEN JOBS
altre. E per quest’anno si aspettano di avere un incremento del fatturato il 57% delle imprese green contro il 53% delle altre.
LA GREEN ECONOMY FA BENE ALL’OCCUPAZIONE
Le assunzioni di green jobs programmate dalle imprese per il 2017 sono 318.010. I green jobs, pur così importanti e di crescente interesse per il nostro sistema produttivo, sono figure che per le imprese sono di più difficile reperimento, per le quali è richiesta più esperienza e un livello di qualificazione più elevato. Aspetti che richiamano importanti implicazioni sul versante della formazione. Queste figure si caratterizzano poi per una maggiore stabilità contrattuale: le assunzioni a tempo indeterminato sono oltre il 46% nel caso dei green jobs, quando nel resto delle altre figure tale quota scende a poco più del 30%. Ai green jobs in senso stretto vanno poi aggiunte le assunzioni per le quali sono richieste competenze green che sono altre 863 mila.
La prima regione per numerosità assoluta di assunzioni programmate di green jobs in senso stretto è la Lombardia, dove se ne contano quasi 81.620, pari a poco più di un quarto del totale nazionale (25,7%), seguita a distanza dal Lazio, con 35.080 assunzioni (11% del totale nazionale), dall’Emilia Romagna con 32.960 green jobs (10,4%), quindi dal Veneto a quota 30.940 e dal Piemonte con 24.340. Troviamo quindi la Campania (17.680), la Toscana (16.470), la Puglia (14.300), la Sicilia (12.250) e la Liguria (9.300). Avvicinandoci ancor di più ai territori, le prime province per numerosità assoluta di assunzioni programmate di green jobs sono le grandi realtà di Milano, con 42.910 assunzioni, e Roma, con 29.480. In terza posizione c’è Torino, dove la domanda di green jobs è di 15.070 unità, quarta Napoli con 9.670 assunzioni e quinta Brescia con 9.110 assunzioni.
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LA PLASTICA NELL’ECONOMIA CIRCOLARE ANALISI DELL’ATTUALE ECONOMIA EUROPEA ALLA LUCE DELLA NUOVA STRATEGIA SULLE PLASTICHE E IL BLOCCO DELLE IMPORTAZIONI DI RIFIUTI PLASTICI IMPOSTO DALLA CINA di Antonino Furfari*
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a revisione delle Direttive sugli imballaggi e i rifiuti da imballaggio, sull’economia circolare e la strategia sulle plastiche, hanno posto il riciclaggio delle plastiche al centro dell’attuale acceso dibattito che interessa le plastiche in generale. Nonostante i dati Europei sulla gestione dei rifiuti abbiano registrato una crescita costante nel riciclaggio delle materie plastiche, questo risultato è incrementabile ulteriormente nel breve periodo. A tal fine, è fondamentale migliorare la raccolta e i tassi di riciclo, per garantire un’elevata qualità ai prodotti riciclati dalla plastica, un settore sottoposto recentemente a un ammodernamento grazie a un aumento negli investimenti.
Con l’introduzione di un auspicato standard Europeo e la creazione di un mercato unico per i rifiuti, si potrà armonizzare e standardizzare quelle che sono le pratiche che coinvolgono l’insieme dell’industria interessata dal riciclo delle plastiche. La strategia sulle plastiche, come la Direttiva sugli imballaggi e i rifiuti da imballaggio sono misure legislative necessarie, poiché hanno la poten-
zialità intrinseca di dare un contributo importante al riciclo delle plastiche. Il design pensato per il riciclo, la quantità minima riciclata nei nuovi prodotti e regimi separati per la raccolta, tra le altre, sono iniziative che indubbiamente contribuiscono a raggiungere target per il riciclo sempre più alti. Il blocco sulle importazioni di rifiuti plastici imposto dalla Cina rappresenta un’enorme opportunità per il setto-
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re, in quanto il flusso internazionale di rifiuti plastici da riciclare potrebbe finalmente convergere verso l’Europa, comportando per il mercato unico importanti risorse in termini economici e di materie prime. Sarà tuttavia possibile cogliere questa occasione solo nel momento in cui a livello comunitario la raccolta e lo smistamento saranno pratiche realizzate ed efficaci a gestire questi nuovi ton-
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nellaggi. Il blocco cinese deve essere per l’Europa un segnale di cambiamento, un punto di svolta nell’approccio verso la gestione dei rifiuti. Non solo perché i Paesi europei non potranno più fare affidamento sulla Cina quale primo paese importatore di rifiuti non desiderati al mondo, ma soprattutto perché un radicale miglioramento del sistema gestionale dei rifiuti è oggi più che mai necessario. Una raccolta separata efficace, ad esempio, provvederà a garantire un flusso di rifiuti di qualità, incidendo positivamente sulla qualità dei prodotti riciclati. Non va infine dimenticato il ruolo del design nel processo di riciclo delle plastiche, i prodotti devono essere pensati per il riciclo, nella nuova prospettiva europea che vede nella circolarità dell’economia il riciclo al centro della gerarchia sulla gestione dei rifiuti. Ripensare, ridisegnare e produrre oggetti da introdurre nel mercato comporterà una riduzione nei costi, migliorando considerevolmente il processo di smistamento si garantiranno prodotti riciclati di maggiore qualità. Con un turnover annuale di oltre 350 miliardi di Euro, e la volontà di innovare, l’industria della plastica europea è nella posizione ottimale per introdurre nuove soluzioni atte a migliorare la riciclabilità e quindi l’immagine delle plastiche. È importante sottolineare che la collaborazione nei processi che interessano la fase produttiva, la raccolta, lo smistamento, il riciclo e l’end-of-use è essenziale per migliorare e aprire nuovi orrizzonti al riciclo delle plastiche.
A PROPOSITO DI PLASTICS RECYCLERS EUROPE Plastics Recyclers Europe (PRE) è l’organizzazione per le aziende Europee impegnate nel riciclo delle plastiche e nella produzione di macchinari per la produzione di plastiche riciclate. Con oltre 20 anni d’esperienza nel portare la voce dell’industria del riciclo presso le istituzioni Europee, PRE rappresenta circa l’80% dell’industria delle plastiche riciclate. Tra le attività che interessano l’organizzazione si segnala Plastics Recycling Show Europe 2018, la fiera interamente dedicata alle plastiche riciclate che si terrà ad Amsterdam dal 24 al 25 Aprile. Per ulteriori informazioni: www.prseventeurope.com/prse2018/en/page/home
Antonino Furfari, Managing Director Plastics Recyclers Europe
*Managing Director Plastics Recyclers Europe
LA STRATEGIA EUROPEA SULLA PLASTICA Ogni anno gli europei generano 25 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica, ma meno del 30% è raccolta per essere riciclata. Nel mondo, le materie plastiche rappresentano l’85% dei rifiuti sulle spiagge. Le materie plastiche raggiungono anche i polmoni e le tavole dei cittadini europei, con la presenza nell’aria, nell’acqua e nel cibo di microplastiche i cui effetti sulla salute umana restano sconosciuti. Per questi motivi di ordine ambientale e sanitario, la Commissione Europea ha adottato a gennaio 2018 una nuova strategia europea sulla plastica che affronterà la questione in modo diretto. La strategia europea sulla plastica cambierà la progettazione, la realizzazione, l’uso e il riciclaggio dei prodotti nell’UE: troppo spesso il modo in cui le materie plastiche sono attualmente prodotte, utilizzate e gettate non permette di cogliere i vantaggi economici derivanti da un approccio più circolare e arreca danni all’ambiente. Il duplice obiettivo è quello di tutelare l’ambiente e, al tempo stesso, di porre le basi per una nuova economia delle materie plastiche, in cui la progettazione e la produzione rispettano pienamente le necessità del riutilizzo, della riparazione e del riciclaggio e in cui sono sviluppati materiali più sostenibili. Vi è un forte interesse commerciale nel modificare il modo in cui i prodotti sono progettati, realizzati, utilizzati e riciclati nell’UE e assumendo un ruolo guida in questa transizione si potranno creare nuove opportunità di investimento e nuovi posti di lavoro. Ai sensi dei nuovi piani, tutti gli imballaggi di plastica sul mercato dell’UE saranno riciclabili entro il 2030, l’utilizzo di sacchetti di plastica monouso sarà ridotto e l’uso intenzionale di microplastiche sarà limitato.
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L’ECONOMIA CIRCOLARE E I RIFIUTI Si è tenuta a ottobre 2017 la seconda edizione della TOMRA Global Conference, la conferenza organizzata da TOMRA Sorting Recycling. Alla conferenza hanno partecipato, oltre ad Antonino Furfari, Managing Director di Plastics Recyclers Europe, di cui abbiamo proposto l’intero intervento, relatori importanti quali Helga Vanthournout, del McKinsey and Company’s Center for Business and the Environment che ha presentato un intervento sull’impatto dell’economia circolare sulle imprese e Georges Kremlis, membro dell’Unione Europea, che ha portato una relazione dal titolo “Chiudere il Cerchio: il piano di azione dell’Unione Europea per l’Economia Circolare”, in cui ha ribadito l’importanza dell’economia circolare per l’Europa in quanto gli Stati europei sono estremamente dipendenti dall’importazione di materie prime. La conferenza è stata occasione per gli invitati per conoscere meglio le tecnologie per la selezione dei rifiuti e dei metalli TOMRA Recycling attraverso la dimostrazione diretta di selezione di varie tipologie di rifiuti presso il centro TOMRA destinato ai test. Successivamente sono state organizzate due sessioni dedicate ai rifiuti e ai metalli in cui è stato possibile approfondire la conoscenza sulle tecnologie dedicate e sui rispettivi mercati di riferimento. Due piacevoli tavole rotonde sono state inoltre occasione per un confronto sulle sfide future del riciclaggio dei rifiuti e dei metalli. Nella sessione dedicata ai rifiuti Fabrizio Radice, Global Sales & Marketing Director di TOMRA Sorting Recycling, ha ringraziato i partecipanti al convegno e ha introdotto i relatori. Kjell Fredriksen, Consulente Senior presso Mepex Consulting, ha parlato del futuro della selezione dei rifiuti in Norvegia e in Scandinavia. Jürgen Priesters, Direttore di TOMRA Sorting Business Development, ha discusso dell’importanza della qualità nella tecnologia di selezione della plastica, delle materie prime e dei costi e infine Laszlo Szekely, ingegnere di TOMRA Sorting Business Development, ha presentato una relazione sulla selezione del vetro dagli RSU grazie all’applicazione della tecnologia TOMRA in impianti dedicati alla selezione dei rifiuti in Europa. Nella sessione dedicata ai metalli Maarten Labberton, Direttore del Gruppo Packaging di European Aluminium, ha parlato delle sfide e del potenziale del riciclaggio degli imballaggi in alluminio. Il Prof. Geoff Scamans, Direttore scientifico presso Innoval Technology, ha ragionato sul perché il riciclaggio sarà il futuro dell’alluminio nelle auto. Frank van de Winkel, Responsabile sviluppo TOMRA Sorting, ha presentato un intervento sulla selezione automatica degli scarti di produzione in alluminio tramite spettroscopia laser. Infine Tom Jansen, Responsabile vendite, TOMRA Sorting, ha esaminato gli ultimi trend in fatto di tecnologie successive alla frantumazione dei veicoli a fine vita. Una volta terminate le due sessioni specifiche, è stata la volta di Tom Eng, Vicepresidente Senior e Responsabile di TOMRA Sorting Solutions Recycling, che ha così concluso la giornata di studi ringraziando i partecipanti: “L’aver messo insieme alcuni degli esperti più qualificati nel settore riciclaggio e gestione dei rifiuti ha stimolato un fantastico scambio di idee. I partecipanti hanno potuto ascoltare nuovi punti di vista su diversi argomenti: dalle idee ambientali di alta levatura ad aspetti tecnici più pragmatici ma altrettanto essenziali. Siamo lieti di aver ricevuto una risposta così positiva, con così tanti partecipanti che ci hanno detto di aver trovato l’evento molto istruttivo e stimolante. È bello per tutti noi essere al centro di un settore che va verso un futuro creativo in cui le tematiche ambientali saranno sempre più decisive”.
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ECONOMIA CIRCOLARE E MOBILITÀ SOSTENIBILE LA MOBILITÀ DEL FUTURO SARÀ CONDIVISA, CIRCOLARE, SOSTENIBILE E INTERMODALE di Laura Veneri
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ome sarà l’auto del futuro? I ricercatori del polo della Meccatronica di Rovereto (Trento) la stanno studiando grazie a un accordo di programma sulla mobilità sostenibile elaborato da Fiat Chrysler Automobiles FCA e dal centro ricerche CRF, oggetto la scorsa primavera di un protocollo d’intesa con il Ministero dello sviluppo economicoMise, la Provincia autonoma di Trento e le Regioni Piemonte, Campania e Abruzzo. L’accordo individua le finalità del progetto e gli impegni a carico di ciascun partecipante. Il Trentino è coinvolto in una delle quattro attività fondamentali, quella ribattezzata “Veicolo connesso, geo-localizzato e cybersicuro VeGa”, in particolare il progetto esecutivo “Veicolo digitale 2025”. Il progetto impegna FCA Italy e CRF (centro ricerche) a sviluppare una serie di attività insieme ai soggetti pubblici e privati dell’industria, della ricerca e del sistema presenti in Trentino. Il prossimo passo sarà insediare a Rovereto, entro il 2018, un nucleo di persone che si occupino della sperimentazione di veicoli innovativi su
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strade digitali e di testare nuove iniziative sul versante della mobilità sicura. Il Trentino ha una straordinaria opportunità: diventare un territorio-leader in questo settore di punta dell’innovazione tecnologica, un referente a livello italiano ed europeo per chiunque progetti e sperimenti modalità nuove, sicure e intelligenti per muoversi, viaggiare, trasportare persone e merci. Vediamo qual è lo scenario tracciato da questo Accordo di programma, che prevede in totale investimenti nei siti di Orbassano, Pomigliano d’Arco, Torino e TrentoRovereto per quasi 157 milioni di euro. In Italia il settore automotive rappresenta uno dei principali assi portanti dell’intero comparto manifatturiero, con un fatturato totale di 82,5 miliardi di euro, pari al 5,1% del Pil e investimenti in ricerca e sviluppo per circa 3 miliardi di euro all’anno. La filiera è composta da circa 3.200 imprese e gli addetti negli stabilimenti dei produttori e dei fornitori, pari a 1,2 milioni, incidono per circa il 10% sugli addetti del settore in Europa. L’Italia è il settimo paese produttore di autoveicoli in Europa. Nel 2016 la pro-
duzione industriale del settore automotive ha registrato un aumento di circa il 9% rispetto all’anno precedente, attestandosi su 1,1 milioni di veicoli prodotti. Il settore della mobilità, a livello globale, è chiamato dal canto suo ad affrontare una profonda trasformazione. In ambito EUCAR (European Council for Automotive R&D) i costruttori di automobili hanno identificato come priorità di Ricerca e Sviluppo per l’intero settore automotive i seguenti filoni tematici: sistemi di propulsione sostenibile, mobilità sicura e integrata, accessibilità e competitività. Nell’ambito dei suddetti filoni tematici le linee di ricerca su cui concentrare le attività di ricerca e sviluppo sono indirizzate verso: soluzioni powertrain e veicoli a basso impatto ambientale ed elevata efficienza; approcci innovativi e sostenibili per sviluppare e produrre veicoli in Italia/Europa in grado di competere nel mercato mondiale; veicoli sicuri e smart per persone e merci, integrati in modo cyber-sicuro nei sistemi intelligenti del trasporto, per muoversi verso una mobilità inclusiva, con massima efficienza e sempre minore incidentalità. A livello europeo, il Programma quadro europeo per la ricerca e l’innovazione 2014 2020 (Horizon 2020), in particolare il programma “Leadership nelle tecnologie abilitanti e industriali” (secondo pilastro della Strategia industrial leadership) individua tra le aree prioritarie di intervento: • i materiali avanzati che possono introdurre nuove funzionalità e proprietà migliorate, e allo stesso tempo, aggiungere valore ai prodotti e ai processi esistenti, con un approccio sostenibile; • la produzione e lavorazione avanzata per la riemersione del settore manifatturiero dell’UE come parte della nuova economia sostenibile - in ter-
la prima volta in Italia - che un’auto di proprietà giace per circa il 95% del suo tempo inutilizzata, mentre nel caso di un mezzo in car sharing la percentuale scende al 60%. Per questo diventa fondamentale promuovere nuovi modelli di mobilità condivisa”. Un compito che spetta agli individui, ma anche agli enti pubblici, come ha ricordato Oren Ezer, il fondatore della compagnia israeliana Electroroad che, in collaborazione con la città metropolitana di Tel Aviv sta brevettando un circuito stradale magnetico a induzione su cui camion, autobus e veicoli elettrici possano circolare senza preoccuparsi della ricarica. Sfide logistiche che riguardano sempre di più anche le nostre città, “sempre più divise - spiega Edouardo Barreiro della società di spedizioni UPS - in zone pedonali e zone a traffico limitato, dove per consegnare un pacco bisogna ingegnarsi, per esempio promuovendo l’uso di cargo bike o reinventando in chiave automotive i carrelli che le nostre nonne usavano per portare a casa la spesa e che adesso, grazie alla tecnologia, possono trasportare fino a 50 chili di peso”. “Anche nell’ambito del trasporto pesante la differenza la fanno la ricerca e la capacità di costruire un ecosistema integrato” ha ricordato Paolo Carri di Scania, sottolineando l’importanza delle piattaforme digitali intelligenti attraverso cui i camion possono viaggiare in convoglio risparmiando energia oppure scambiarsi informazioni sia tra loro che con l’infrastruttura su cui stanno viaggiando, offrendo un servizio, per esempio sullo stato del traffico o delle condizioni atmosferiche avverse di cui, tramite una app per smartphone possono beneficiare anche gli automobilisti privati. Hanno destato interesse le tante startup presenti, da Energy con il suo sistema di accumulo per le colonnine fast-charge, SiWeGo, il nuovo BlaBlaCar… per pacchi, GardaSolar, con le prime barche elettriche made in Italy, Nevicam, produttori di software gestionali per la ricarica dei mezzi elettrici, Route220 uno dei principali installatori di colonnine in Italia. “Il settore automobilistico è rimasto molto silenzioso in questi anni sulle trasformazioni che lo stanno attraversando in tutto il mondo - spiega Gianni Silvestrini di Kyoto Club, uno degli ideatori del forum - sia sul prodotto (che auto guideremo domani), sia sul processo (come è possibile realizzare auto in maniera realmente sostenibile e efficiente) sia sul modello di business (dal possesso all’uso del mezzo di trasporto). Oggi questa rivoluzione va abbracciata e governata”.
mini tecnici, ambientali e sociali - attraverso la continua innovazione nei prodotti e nei processi di base. Le attività previste dal Programma quadro, basate su programmi di ricerca e innovazione definiti dai settori produttivi, insieme con la comunità di ricerca, e con un forte accento sulla promozione degli investimenti da parte del settore privato, riguardano l’intera catena dell’innovazione, con livelli di Technology Readiness che vanno dai livelli medi ai livelli elevati che precedono la produzione di massa. A livello nazionale, il Ministero dello Sviluppo Economico, di concerto con il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, in applicazione della normativa comunitaria riguardante la programmazione 2014-2020 dei fondi di sviluppo e di investimento europei (fondi SIE), ha definito a sua volta, in materia di ricerca e innovazione, una strategia nazionale di specializzazione intelligente, intesa come strategia di innovazione nazionale che individua specifiche aree tematiche prioritarie di intervento che riflettono un elevato potenziale imprenditoriale in termini di posizionamento competitivo, in grado di rispondere alle opportunità emergenti e ai futuri sviluppi del mercato. In particolare, tale strategia nazionale di specializzazione intelligente individua, tra le aree tematiche prioritarie di intervento, quella relativa a “Industria intelligente e sostenibile, energia e ambiente” e quella relativa a “Agenda digitale, smart communities e sistemi di mobilità intelligente”, finalizzate a combinare lo sviluppo produttivo con la sostenibilità ambientale e l’innovazione tecnologica e digitale, con riferimento alla ricerca di soluzioni tecnologiche destinate a ottimizzare i processi produttivi, i sistemi di mobilità e a sviluppare metodi di produzione avanzati e prodotti realizzati con nuovi materiali, attraverso l’utilizzo della meccatronica, della robotica e di tecnologie ICT avanzate.
FORUM INNOVAZIONE MOBILITÀ SOSTENIBILE
Il Trentino è stata la sede della seconda edizione del Forum Innovazione Mobilità Sostenibile, che si è tenuto a dicembre 2017 a Rovereto, presso il Polo Meccatronica. Oggi il settore automobilistico assorbe il 60% dei materiali della global supply chain. Con l’aumento della domanda di automobili, cresce la domanda di materie prime, metalli comuni e rari, plastiche, vetri di qualità, vernici. “E pensare - ha ricordato Ashima Sukdev della Ellen MacArthur Foundation, il colosso inglese dell’economia circolare per
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INQUINAMENTO DA PETROLIO, IL FUTURO È ADESSO UNA RIVOLUZIONARIA INNOVAZIONE PER ELIMINARE L’INQUINAMENTO DA IDROCARBURI IN AMBIENTE MARINO di Laura Veneri
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ono impresse nella memoria di tutti noi immagini di uccelli acquatici o animali ricoperti di greggio, incapaci di muoversi. Oppure riprese video di chiazze di petrolio che galleggiano sul mare e poco alla volta si allargano sempre più. I disastri ambientali causati da incidenti di petroliere o piattaforme petrolifere sono solo la punta dell’iceberg dell’inquinamento da idrocarburi nei nostri mari. Pensiamo ad esempio alle acque dei porti e a quegli aloni cangianti che galleggiano in superficie, oppure all’inquinamento provocato dalle acque di sentina non opportunamente scaricate. La tecnologia che può farci scordare queste immagini esiste, è naturale ed è stata messa a punto da Bio-on con la collaborazione dell’Istituto per l’Ambiente Marino Costiero (IAMC) del CNR di Messina. Minerv Biorecovery permette in circa tre settimane di eliminare in modo naturale l’inquinamento da idrocarburi in ambiente marino. Minerv Biorecovery è una soluzione tecnologica che si basa su micro polveri, della dimensione di pochi micron e di una forma particolare, rea-
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lizzate con la rivoluzionaria bioplastica PHAs di Bio-on, naturale e biodegradabile al 100%. Le particelle di queste micro polveri, gettate nel mare inquinato, formano una struttura porosa adatta ad ospitare una serie di batteri, presenti naturalmente in ambiente marino, che si nutrono della bioplastica, si moltiplicano e si rafforzano fino ad attaccare il petrolio. I processi biodegradativi si attivano in circa 5 giorni e la frazione degradabile degli idrocarburi (ad esempio il petrolio) viene eliminata in circa 20 giorni. “È la natura che cura se stessa - spiega Marco Astorri, Presidente e CEO di Bio-on - perché la nostra bioplastica, di origine vegetale, serve a proteggere e a nutrire questi batteri accelerandone la loro naturale azione”. Le micro polveri alla base di Minerv Biorecovery sono biodegradabili al 100% e non rilasciano quindi alcun residuo in mare a differenza di molte soluzioni applicate oggi in questi casi. Il processo di biodegradazione della polvere di PHAs è sufficientemente lento (1-2 mesi a seconda delle condizioni) da permettere l’azione biorimediante dei microrganismi che, dopo
aver eliminato gli inquinanti, tornano ai normali livelli dell’ambiente marino. La bioplastica PHAs (poliidrossialcanoati) sviluppata da Bio-on è ottenuta da fonti vegetali rinnovabili senza alcuna competizione con le filiere alimentari, può sostituire numerosi polimeri tradizionali oggi ottenuti con processi petrolchimici utilizzando idrocarburi, inoltre è completamente eco sostenibile e biodegradabile al 100% in modo naturale. È ottenuta da fonti di scarto di lavorazioni agricole (tra cui melasse e sughi di scarto di canna da zucchero e di barbabietola da zucchero). La sperimentazione di Minerv Biorecovery è stata eseguita all’Istituto per l’Ambiente Marino Costiero del CNR di Messina che ha testato, misurato e validato la tecnologia. Grazie a questi studi Bio-on è in grado di definire un’applicazione totalmente nuova, nel campo della oil-bioremediation, un’articolata attività che ha lo scopo di “rimediare” all’impatto negativo sull’ambiente di sversamenti di molecole e prodotti inquinanti, come gli idrocarburi, grazie all’azione metabolica degradante, e biodegradante, di microrganismi, attività svolta da aziende spe-
cializzate in bonifiche ambientali, Capitanerie di Porto, Marina Militare, società di navigazione, ecc. “Il principio della oil-bioremediation - spiega il dottor Simone Cappello responsabile del progetto Bioremediation presso l’IAMC, lstituto per l’Ambiente Marino Costiero a Messina - si basa sull’esistenza di microrganismi, batteri in primis, in grado di attaccare la struttura molecolare di molti dei componenti la formulazione naturalmente complessa degli idrocarburi. Questi microrganismi tuttavia - spiega Cappello - sono presenti in ambiente marino ma in condizioni metaboliche, fisiologiche e in quantità non sufficiente a permettere una sostanziale riduzione degli idrocarburi sversati ed è grazie alla bioplastica PHAs che è possibile invece favorire e accelerare un processo altrimenti lunghissimo di trasformazione a CO2, prodotto finale della biodegradazione. L’uso della bioplastica PHAs è inoltre sicuro per l’ambiente e per la fauna marina perché non lascia alcuna traccia”. L’applicazione di questa nuova tecnologia consentirà la pulizia non solo in caso di eventi disastrosi, ma anche nella quotidiana manutenzione di porti o siti industriali. “Siamo orgogliosi di annunciare questa scoperta straordinaria e dare il nostro contributo per proteggere l’ambiente marino - ha dichiarato Marco Astorri, Presidente e CEO di Bio-on - concederemo in licenza questa tecnologia che è un ulteriore esempio delle molteplici applicazioni realizzabili con le micro polveri in bioplastica PHAs che produrremo nello stabilimento di Castel San Pietro Terme (Bologna) a partire dal 2018. Continueremo ad ampliare ancora di più la nostra presenza diretta nei settori della bioremediation, cosmetica, biomedicina e nano-medicina. Lavorare con l’IAMC, eccellenza mondiale nel settore delle ricerche marine, ci riempie di orgoglio”. Lo stabilimento, che verrà inaugurato entro metà 2018 e inizierà la produzione di bioplastiche PHAs grazie ad un investimento dell’ordine di 15 milioni di euro, darà lavoro a regime a circa 40 persone. L’impianto, sorgerà su un’area di 30.000 mq, di cui 3.700 coperti e 6.000 edificabili, e avrà una capacità produttiva di 1.000 tonnellate all’anno espandibile rapidamente a 2.000; sarà dotato delle più moderne tecnologie e dei più avanzati laboratori di ricerca dove Bio-on sperimenterà e svilupperà nuovi tipi di bioplastica PHAs utilizzando come materia prima scarti agricoli e agro industriali. Anche nella scelta del sito produttivo Bio-on ha dimostrato una particolare attenzione alla sostenibilità ambientale poiché ha deciso di riconvertire una ex fabbrica senza sprecare nuova terra. Bio-on nasce nel 2007 con l’intento di operare nel settore delle moderne Biotecnologie applicate ai materiali di uso comune con lo scopo di dare vita a prodotti e soluzioni completamente naturali, al 100% ottenuti da fonti rinnovabili o scarti della lavorazione agricola. I PHAs, ovvero i poliidrossialcanoati (plastica veramente biologica) trovano applicazione in svariati campi tra cui il packaging generico, il packaging alimentare, il design, l’abbigliamento, l’automotive, la cosmesi e la produzione di giocattoli.
Marco Astorri, Presidente e CEO di Bio-on
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LA ZAMPATA DELLA TIGRE TIGER DEPACK: NASCITA ED EVOLUZIONE DI UN MACCHINARIO LE CUI APPLICAZIONI SONO SVARIATE. L’ULTIMO IMPIEGO STUDIATO È PER IL TRATTAMENTO DEL PULPER DI CARTIERA di Maria Beatrice Celino
Sarà possibile vedere la NUOVA Tiger Depack allo stand 327/426 PADIGLIONE A4 alla fiera IFAT di Monaco di Baviera www.tigerdepack.com
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iger è un macchinario che conosciamo perché ne abbiamo parlato in precedenti articoli e l’abbiamo visto nelle fiere più importanti. Ora Tiger è cresciuto ed è diventato Tiger Depack. Per capire meglio questo cambiamento e comprendere meglio cosa c’è dietro la nuova zampata della tigre, abbiamo incontrato Andrea Piccioni, product manager Tiger Depack di Cesaro Mac Import. All’ultima fiera Ecomondo di Rimini, abbiamo visto il nuovo Tiger Depack in esposizione. Cosa lo differenzia rispetto alla precedente versione? Tiger è stato fino allo scorso anno un singolo macchinario estremamente performante. In 10 anni di produzione, le esigenze di mercato si sono ampliate e Cesaro Mac Import ha pensato di modificare l’approccio creando un brand che è proprio Tiger Depack (da depackaging, che è la principale applicazione di questo macchinario). All’interno di questo nuovo brand abbiamo ampliato la gamma prodotti e ora produ-
ciamo 3 macchinari con caratteristiche differenti: • Tiger che fino al 2017 si chiamava HS 640 ora si chiama HS 10; • l’unità HS 20 con capacità di trattamento maggiori e dimensioni di poco superiori; • la versione più piccola HS 5, la cui caratteristica principale è la dimensione molto contenuta per volumi di produzione limitati; • HS 20 PPS (paper pulp solution), un modello HS 20 modificato, sviluppato per l’applicazione in cartiera. Abbiamo l’ambizione di portare ulteriori prodotti nel brand Depack perché i settori nel trattamento ambientale sono in evoluzione e diventano sempre più specifici. Un nuovo brand con una gamma prodotti per abbracciare diverse esigenze di mercato. In quali settori può essere impiegato Tiger Depack? Il settore principale e quello per cui la macchina è stata studiata all’inizio è il depackaging (deconfezionamento), cioè
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l’esigenza di recuperare l’imballaggio e il contenuto in matrici ben definite, come ad esempio imballaggi di cibi scaduti, ecc. Un’altra applicazione è il recovery (recupero) di prodotti in processi di smaltimento. Tiger Depack in quest’ambito può essere impiegato per il trattamento del pulper di cartiera che non è un prodotto ma è uno scarto di trattamento del processo delle cartiere. Allo stesso tempo trova impiego negli impianti di trattamento dell’organico in cui è presente una grande quantità di plastica. Questi impianti, grazie a Tiger Depack, riescono a recuperare le plastiche che altrimenti andrebbero smaltite generando un costo per l’azienda. L’esperienza che abbiamo maturato in impianto ci insegna che da un peso del 27% di plastiche in ingresso all’impianto, con Tiger Depack si manda allo smaltimento solo il 7%. Per fare un esempio: se un impianto tratta 40.000 tonnellate di rifiuto in ingresso e all’uscita si ritrova circa 12.000 tonnellate l’anno di materiale da smaltire, grazie a Tiger Depack invia a smaltimento solo il 7%. L’ultimo settore di impiego è il produc-
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Pulper di cartiera
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tion. In queste applicazioni trova impiego il modello più piccolo in quanto viene inserito nelle catene di produzione già operative. Le produzioni industriali generano scarti per controlli di qualità: etichette storte sugli imballaggi, impianti che producono pet food, aziende che producono gelati. Inserendo Tiger Depack, all’interno del processo produttivo, si recupera lo scarto permettendo di evitare la produzione di rifiuti alla fonte. Facciamo un passo indietro: come è nato questo macchinario? Quali sono state le intuizioni che vi hanno spinto a crearlo? La Tiger è stata ideata 10 anni fa per supplire a una carenza tecnologica che avevamo riscontrato negli impianti che visitavamo. È un macchinario prodotto e ideato da Cesaro Mac Import, azienda veneta dealer di importanti marchi tedeschi nel settore dei rifiuti. Abbiamo cominciato con una sperimentazione, poi abbiamo fatto le modifiche necessarie per produrre un macchinario industriale integrabile in impianti esistenti. Fatto questo, abbiamo iniziato a commercializzarlo in Italia e poi in maniera autonoma sono arrivate richieste dall’estero e a quel punto ci siamo strutturati con dealer esteri e abbiamo iniziato a vendere anche all’estero. Le prime vendite estere sono state in Francia e Finlandia. Tiger è coperto da brevetto e si differenzia in maniera netta rispetto agli altri macchinari che si dicono concorrenti. Quali sono le caratteristiche di Tiger Depack? La tecnologia Tiger si distingue rispetto alle tecnologie concorrenti perché è stata studiata anche per l’inserimento negli impianti di produzione. La nostra tecnologia è stata ideata perché nel mercato non vedevamo un sistema performante in questo settore. Tiger Depack è dotata di un sistema tecnologico in grado di avere due uscite con due flussi di buona qualità. È fornita di un sistema orizzontale del rifiuto che garantisce un’ottima performance. È una macchina estremamente compatta. Il modello medio occupa 20 metri quadri, cioè 7 metri per 2,5, quindi è una macchina molto contenuta che può essere facilmente inserita in linee di processo esistenti. È elettrica e può lavorare sia all’interno di un impianto sia all’aperto. La macchina è user friendly perché ha un sistema intuitivo che lavora sia in maniera manuale che automatica. Grazie alle applicazioni motoristiche e tecnologiche del software di cui è dotata, è possibile gestire in modo preciso e continuo i parametri principali della macchina, come la velocità di caricamento e i quantitativi di liquidi aggiunti al processo. Un efficiente e preciso sistema integrato di rilevatori permette ai sistemi Tiger di autoregolarsi ottimizzando i consumi e riducendo lo sforzo. Un ampio
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pannello touchscreen aiuta a monitorare in tempo reale consumi e sforzi di ciascun motore così come la percentuale di liquidi aggiunti al processo. Quando la macchina è inserita in impianti di trattamento in cui la Tiger è uno step di un processo complesso, la macchina interagisce con i sistemi di gestione esterni con estrema facilità. Quindi può lavorare con operatore o senza operatore. La macchina è accessibile in maniera completa e con soluzioni di design degli accessi che garantiscono in primis la sicurezza perché il settore in cui operiamo non è semplice né standard (tutto è eterogeneo). L’accessibilità e la sicurezza sono gli aspetti che hanno impegnato di più nella progettazione dell’unità perché ogni elemento è accessibile da posizione eretta. La macchina è anche coadiuvata da parapetti e sistemi di sicurezza che permettono di scongiurare eventuali errori umani che porterebbero ad infortuni. Allo stesso tempo le operazioni di manutenzione si riducono molto avendo l’opportunità di operare in maniera comoda e accessibile. La manutenzione e il post vendita sono aspetti molto importanti per il cliente finale. Come è organizzata Cesaro Mac Import a riguardo? Per quel che concerne l’aspetto manutentivo, il sistema che abbiamo ideato è un sistema centrifugo orizzontale e non verticale, che diminuisce molto l’usura dei componenti perché riduce al minimo gli attriti. Manteniamo un contatto costante con i clienti nel post vendita in modo da avere un quadro aggiornato dell’attrezzatura e i loro feed back che per noi sono molto importanti. In Italia siamo direttamente responsabili del post vendita e disponiamo di una fitta rete che copre tutta la nazione. All’estero ci appoggiamo a dealer o operiamo direttamente. Ad esempio, abbiamo un cliente in Australia che 6 anni fa ha comprato un macchinario e noi lo seguiamo in maniera autonoma da allora senza alcun tipo di problema. Questo è possibile perché il macchinario vanta caratteristiche di affidabilità massime e quindi programmando le manutenzioni è difficile incorrere in fermi macchina. Alla consegna della macchina dotiamo il cliente dei pezzi di ricambio strategici. Quando questi pezzi di ricambio vengono sostituiti per la prima volta dal cliente, noi abbiamo un quadro di informazione sulla tipologia di lavoro del cliente e capiamo che range ci possiamo aspettare per le successive sostituzioni e così lavoriamo in manutenzione programmata. Anche il fatto che il cliente sostituisca i pezzi di ricambio in autonomia, denota la semplicità di costruzione del macchinario.
TIGER DEPACK IN CARTIERA Abbiamo visto la Tiger HS 20 PPS al lavoro presso una cartiera del Gruppo RDM e abbiamo avuto il piacere di incontrare l’ing. Scaglioni, responsabile dell’impianto, che ha risposto alle nostre domande.
Ing. Scaglioni, può descriverci brevemente la vostra realtà di grande gruppo industriale?
Il Gruppo RDM è il primo produttore italiano e il secondo europeo di cartoncino ricavato da materiale riciclato ma grande importanza all’interno del portfolio prodotti ha anche la produzione di cartoncino ricavato da fibra vergine, in modo da soddisfare le esigenze più diverse. Il Gruppo è quotato sul segmento Star di Borsa Italiana S.p.A. e sulla Borsa di Madrid; ha il proprio headquarter a Milano ma può vantare una presenza strategica a livello internazionale grazie ai suoi 6 stabilimenti produttivi - di cui 3 in Italia, 2 in Francia e 1 in Germania -, ai 2 centri di taglio e lavorazione, e a una rete commerciale attiva in 70 Paesi. L’ampia gamma di prodotti, dal tradizionale cartoncino patinato da imballaggio su base fibre riciclate (WLC - White Lined Chipboard) al nuovo segmento del cartoncino per astucci pieghevoli su base fibre vergini (FBB – Folding Box Board Segment), consente di rispondere a bisogni e richieste diversi. Il portfolio prodotti del Gruppo si rivolge infatti a tutti i principali settori merceologici attraverso differenti linee commerciali.
Come siete entrati in contatto con Cesaro Mac Import e come sono stati i rapporti con la società?
Da tempo stavamo valutando possibili soluzioni per riuscire ad aumentare il secco e recuperare ulteriormente fibra dal nostro scarto pulper: l’obiettivo era infatti contenere i continui aumenti dei costi di smaltimento e minimizzare l’impatto ambientale. In tale ottica abbiamo avuto i primi contatti con la ditta Cesaro che ci ha proposto una prova con la loro macchina Tiger.
Tiger Depack è una nuova soluzione che avete da poco inserito nel ciclo di lavorazione. Quali sono i risultati che vi permette di ottenere?
Sono ormai più di tre mesi che abbiamo inserito Tiger Depack nel nostro processo produttivo: in questo arco temporale abbiamo stimato circa un 20% di recupero fibra nonché un aumento di secco di circa il 15% dello scarto pulper con riduzione dei costi di smaltimento. Un vantaggio ulteriore è rappresentato dalla possibilità di poter valutare ulteriori separazioni con diverse destinazioni dei materiali di scarto del processo visto che la componente fibra è stata praticamente azzerata.
Siete soddisfatti delle prestazioni della macchina?
Assolutamente sì, fino ad oggi le prestazioni ottenute sono in linea con le più rosee aspettative anche se siamo convinti che ci possano essere ulteriori benefici nel medio periodo.
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ON THE ROCK LA DIVISIONE INGEGNERIA CIVILE, CAVE E MINIERE DI ATLAS COPCO SI È TRASFORMATA IN UNA NUOVA SOCIETÀ, EPIROC ITALIA SRL di Maria Beatrice Celino
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ra gennaio 2017 quando il consiglio di amministrazione di Atlas Copco anIL NUOVO BRAND nunciò la divisione del gruppo in due distinti Gruppi multinazionali: Atlas Copco per il settore industriale ed Epiroc per quello del minerario e dell’in2 maggio 2017 nasce a Stoccolma Epiroc AB gegneria civile. Il nome Epiroc è stato selezionato tra quasi 1000 nomi va3 Mld € di fatturato lutati. Epi è un prefisso che significa “su” o “sopra” in greco, roc indica stabilità 150 società di vendita dedicate e durata, e si traduce con “roccia” che è uno dei materiali più importanti con cui Presenza in 180 paesi l’azienda lavora. Quotazione al Nasdaq prevista per giugno 2018 Epiroc è nata ufficialmente il 2 maggio 2017 a Stoccolma. Questa novità internazionale riguarda anche il nostro paese infatti la Divisione Ingegneria Civile, Cave e Miniere di Atlas Copco Italia si è trasformata dal 1° ottobre 2017, nella nuova società Epiroc Italia Srl. Il nuovo assetto darà modo ad entrambi i gruppi – che hanno mercati di riferimento diversi – di continuare ad essere leader nei rispettivi settori (infrastrutture per Epiroc e industria per Atlas Copco). La gamma di prodotti Epiroc è focalizzata sulle macchine per le attività minerarie e di ingegneria civile in superficie e sottosuolo nonché sul materiale di perforazione e le attrezzature idrauliche da demolizione. La distribuzione delle macchine e attrezzature è ovviamente supportata dalle relative attività di Service. “Questa nuova sfida ci permetterà di essere ancora più vicini alle imprese del settore sviluppando ulteriori soluzioni e sinergie per aumentare la loro produttività” ha affermato Edoardo Angelucci, Amministratore Delegato di Epiroc Italia, durante la presentazione alla stampa della nuova società. Il nuovo Gruppo Epiroc avrà un organico di 13.000 dipendenti in tutto il mondo e nel 2018 sarà quotato alla borsa di Stoccolma diventando così un Gruppo multinazionale completamente autonomo e indipendente. Le ragioni di questa operazione sono che Atlas Copco ed Epiroc hanno mercati di riferimento diversi, con diverse esigenze. Questo importante cambiamento garantirà ad Atlas Copco e ad Epiroc: • le migliori opportunità di crescita nei rispettivi mercati; • un CEO e un board dedicati; • un management totalmente focalizzato ai settori dell’ingegneria civile e del minerario; • la possibilità di offrire ai propri Clienti le migliori soluzioni.
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IL MADE IN ITALY PER LA CIRCULAR ECONOMY EFFICIENZA ENERGETICA, ROBUSTEZZA, MASSIMA PERSONALIZZAZIONE E POSSIBILITÀ DI USUFRUIRE DELL’IPER-AMMORTAMENTO FISCALE SONO I PRINCIPALI BENEFICI DEGLI IMPIANTI REALIZZATI DA MOLINARI di Laura Quarteroni*
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a filiera del recycling corre sui binari dell’innovazione alla Molinari, azienda di Lenna, in provincia di Bergamo, specializzata nella realizzazione di trituratori, granulatori industriali e macchinari per la frantumazione di materiale proveniente da scarti di produzione, post-consumo e biomasse che trovano applicazione nell’economia circolare della valorizzazione dei rifiuti e del recupero delle materie prime. Appena aggiudicatasi il prestigioso riconoscimento come ‘Miglior Innovazione tecnologica nell’Uso dei Combustibili Alternativi’ in occasione del Convegno Global Cemfuels di Berlino dello scorso 20 febbraio, l’azienda bergamasca è pronta per i prossimi eventi fieristici in Italia e in Europa. Sarà presente al Salone Internazionale Progetto Comfort, che si terrà a Catania (12- 14 aprile), a IFAT di Monaco (14-18 maggio) e al The Tyre di Colonia (29 maggio – 1 giugno). Dalla plastica all’alluminio fino agli pneumatici fuori uso, l’azienda guidata da Giovanni Gervasoni da sempre si è distinta per l’elevata innovazione dei suoi prodotti, progettando e costruendo macchinari dove la robustezza, i ricercati angoli di taglio e le ridotte velocità di rotazione degli alberi garantiscono ottime performance produttive e risparmi energetici importanti. Dopo il brevetto nel 1995 del Mulino Granulatore Molinari, una macchina totalmente nuova nel campo della macinazione che ha ottenuto importanti risultati nel settore della granulazione di plastica, rifiuti, legno e pneumatici, la vocazione all’innovazione ha infatti portato l’azienda bergamasca a sviluppare un’ampia gamma di soluzioni personalizzate al servizio del recycling e del waste-to-energy, ovvero nella trasformazione del rifiuto in materia prima secondaria o in energia. Soluzioni diverse in grado di soddisfare le esigenze di frantumazione dell’industria in base alla dimensione e tipologia del materiale iniziale e al tipo di valorizzazione che si intende attuare: un’innovazione di processo che strizza l’occhio anche ai dettami dell’industria 4.0 e che trova conferma nei tanti impianti installati sul mercato italiano ed estero dove sempre più aziende hanno “sposato” il know how di Molinari usufruendo, in Italia, dell’iper-ammor-
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Giovanni Gervasoni, titolare di Molinari s.r.l.
tamento del 250% sull’acquisto di beni strumentali altamente digitalizzati finalizzati a incentivare l’abbattimento dei consumi energetici. Il premio ricevuto a Berlino testimonia il successo di un’azienda che ha scelto di camminare a fianco dei suoi clienti, cogliendone le sfide e le esigenze, portando avanti da sempre il binomio ‘innovazione & professionalità’. Questo spirito di farsi carico delle richieste del mercato, è dovuto sicuramente alla figura di riferimento dell’azienda, il signor Gervasoni, che è lui stesso un imprenditore. “Provengo dal mondo della meccanica di precisione. La mia azienda storica, la Meccanica Gervasoni, è specializzata nella lavorazione di pezzi di grandi dimensioni - dice il proprietario Giovanni Gervasoni - ed ho voluto trasferire alla progettazione di Molinari la stessa rigidità che ho nelle macchine della mia officina. Quando ho fondato Meccanica Gervasoni, avevo solo 22 anni. L’inesperienza e la mancanza di risorse finanziarie talvolta mi costringevano ad acquistare macchinari di basso costo e quindi bassa qualità. Ho imparato sulla mia pelle cosa vuol dire rimanere fermo con la produzione perché ti si rompe un impianto! Mi piace parlare coi miei clienti e confrontarmi. Il tessuto imprenditoriale italiano di oggi è fatto da tanta gente come me, che è partita con poco ed è cresciuta facendo grandi sacrifici. Ora che mi trovo ad essere io un fornitore di tecnologia produttiva, voglio dare il meglio. Spesso la gente si stupisce del peso dei nostri trituratori. Io rispondo che se vuoi processare trenta tonnellate all’ora di rifiuti, per ventiquattro ore al giorno, non lo puoi fare con un giocattolo. Bisogna avere i piedi ben piantati in terra”. Lo spirito del self made man è molto apprezzato dalle aziende italiane e straniere a gestione diretta del titolare, dove i fornitori vengono attentamente valutati nella loro globalità: non contano solo il prezzo e le performance della macchina, ma anche la possibilità di parlare faccia a faccia con un altro imprenditore, che empaticamente capisce cosa vuol dire fare un investimento in tecnologia produttiva che deve ripagarsi da solo. L’ultimo trituratore nato è il TPm2500, si tratta di un monoalbero dotato di spintore, per trattare soprattutto prodotti voluminosi. “Abbiamo scelto di costruire una versione adatta a tutti quelli
Molinari sono i consumi energetici ridotti, la robustezza e l’affidabilità d’insieme che garantiscono performance elevate in ogni ambito di macinazione, soprattutto per gli pneumatici fuori uso. L’intero processo produttivo delle macchine, avviene internamente nello stabilimento di Lenna dove ogni fase, dalla progettazione al settaggio fino all’installazione finale, è seguita direttamente da personale interno all’azienda: ingegneri, tecnici ed operai specializzati. “Un team di figure professionali che si assicurano il raggiungimento degli elevati standard qualitativi che contraddistinguono da sempre il nostro operato e il soddisfacimento delle esigenze di macinazione, anche particolari, espresse dal cliente - conclude Gervasoni -. La nostra offerta, infatti, non è più limitata alla fornitura della singola macchina ma può contare su un servizio di progettazione e fornitura di impianti completi chiavi in mano, con la possibilità di realizzare macchine su misura con forma e design personale. Il tutto dando l’opportunità di visionarle e testarle per un periodo di prova”.
che nel trituratore TP hanno apprezzato le lame trapezoidali, la ridotta velocità di rotazione, e la robustezza, ma che non avevano grandi quantità di materiale da trattare - continua Gervasoni - Abbiamo deciso così di progettare la versione con un solo rotore, per rendere l’investimento più accessibile anche in termini di costo d’acquisto, pur garantendo ottime performance in termini di consumi energetici, produzione e manutenzione”. La versione TPm (dove m sta per monoalbero) è adatta a tutti coloro che hanno bisogno di ridurre il consumo di materie prime recuperando gli scarti di lavorazione e la gestione dei rifiuti complessi tramite il loro trattamento e smaltimento: “Grazie alle lame trapezoidali e alla ridotta velocità di rotazione è in grado di garantire ottime performance in termini di consumi energetici, produzione e manutenzione - spiega Giovanni Gervasoni -. La struttura della macchina è costituita da lamiere elettrosaldate di grosso spessore, tali da garantirne robustezza e affidabilità nel tempo. La triturazione avviene tramite l’azione di taglio delle lame rotanti sulle lame fisse che sono montate su una traversa regolabile. Uno spintore garantisce la macinazione anche di corpi voluminosi, evitando fenomeni di galleggiamento. La motorizzazione varia in base ai requisiti del materiale da trattare. È data da un motore oleodinamico con relativa centralina, calettato ad un riduttore epicicloidale. Sotto il rotore è installata una griglia di vagliatura”. A differenza dei trituratori già presenti sul mercato, questa macchina consente di ottenere un prodotto macinato dalle dimensioni molto omogenee e definite in base alla dimensione dei fori della griglia. “Il lato dei fori quadrati può variare dai 40 ai 400 mm - prosegue Gervasoni - Il PLC di gestione permette al cliente di modificare alcuni parametri di funzionamento in modo autonomo, oppure di seguire dei cicli di lavorazione preimpostati”. La prima macchina è stata installata in provincia di Pavia presso Aboneco Recycling. Viene utilizzato per la preparazione di combustibili alternativi da rifiuti speciali non pericolosi. Un altro trituratore è stato consegnato in Francia per la triturazione primaria degli pneumatici fuori uso di mezzi pesanti e agricoli. I fili conduttori di ogni soluzione per il recycling firmate
*Molinari s.r.l.
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IFAT 2018 SARÀ L’EDIZIONE PIÙ GRANDE DI SEMPRE
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CRESCE LA FIERA DI RIFERIMENTO PER IL SETTORE DELL’AMBIENTE. NUOVI PADIGLIONI, NUOVO LAYOUT E TANTE NOVITÀ di Maeva Brunero Bronzin
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artina alla mano perché quest’anno occorre prepararsi prima di visitare la fiera. Gli organizzatori hanno annunciato un layout differente rispetto alle altre edizioni per cui conviene “studiare” la nuova disposizione per non perdersi nella vastità dell’esposizione che conta 260.000 metri quadri, considerando anche l’area esterna! Sono stati costruiti due nuovi padiglioni ed ora in tutto saranno 18 i padiglioni occupati dalla manifestazione. In seguito all’ampliamento sono state riorganizzate le aree espositive del salone. Il settore dedicato ad acque chiare e reflue occuperà i padiglioni ovest e l’area esterna a nord dei padiglioni C, mentre le tecnologie di riciclo e le soluzioni per la pubblica amministrazione saranno collocate nei padiglioni est e nell’adiacente area esterna F7 e F8. Stefan Rummel, direttore generale di Messe München, ha dichiarato che “con questa organizzazione tematica chiara avremo una migliore gestione dei flussi di visitatori. Gli operatori potranno così visitare tutte le aziende espositrici di loro interesse. Inoltre abbiamo margini di crescita che ci consentiranno di allargare la partecipazione a Ifat a nuovi espositori” IFAT 2018 avrà luogo dal 14 al 18 maggio nel centro fieristico di Monaco di Baviera. Per chi visita l’area Acqua/Acque reflue è consigliato entrare dall’ingresso ovest (metro “Messestadt West”), per chi visita l’area Rifiuti/Materie prime secondarie è preferibile l’ingresso est (metro “Messestadt Ost”). I visitatori internazionali di entrambi i segmenti possono raggiungere IFAT dall’ingresso nord. Saranno oltre 3.100 gli espositori presenti in fiera, che mostreranno le soluzioni più all’avanguardia per la gestione di acqua, acque reflue, rifiuti e materie prime. Nelle aree esterne sono previste dimostrazioni dal vivo di macchinari e tecnologie. Nel padiglione B4 i visitatori troveranno ad attenderli una nuova piattaforma dedicata ai pionieri e ai giovani: experience. science.future. riunisce scienza e ricerca, formazione e training, lavoro e carriera, senza dimenticare le start-up. Su un’area di oltre 1.000 metri quadrati, le università, le start-up, le associazioni e le ONG forniscono informazioni su particolari tecnologie, strategie e progetti di ricerca innovativi. In una sala dedicata al networking, gli studenti potranno informarsi sulle professioni “verdi” ed entrare in contatto con potenziali datori di lavoro. Tra le novità, una nuova area speciale sulla “sostenibilità nella costruzione delle strade”, collocata nel padiglione C5, che copre l’intera catena del processo della costruzione stradale, dallo smantellamento alla preparazione e all’utilizzo dei materiali da costruzione fino alla realizzazione, concentrandosi sull’aspetto della sostenibilità. Le innovazioni del prodotto e le conferenze tecniche associate sono destinate ai partecipanti degli enti pubblici, alle aziende di costruzione, agli studi di ingegneria e alle agenzie dedicate alla manutenzione stradale. L’Italia è uno dei principali mercati di riferimento per IFAT, non solo dal punto di vista dei visitatori, ma anche per numero di espositori. Nel 2016 l’Italia era il Paese con più espositori dopo la Germania, con 223 aziende in totale. Per quanto riguarda i visitatori, il Paese occupava il terzo posto, dietro a Germania e Austria, con 4.668 visitatori. Già adesso si sono registrati a IFAT 2018 più espositori italiani rispetto alle edizioni precedenti (circa 250 al 19 febbraio 2018), tra cui una collettiva di aziende dal Piemonte. A gennaio abbiamo avuto il piacere di partecipare agli incontri dedicati a espositori e giornalisti, in cui le aziende partecipanti hanno parlato delle innovazioni che verranno presentate durante la fiera. Vediamo insieme quali sono le principali novità.
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FASSI INSIEME A MARREL E CRANAB Lo stand del gruppo Fassi si troverà nell’area aperta, posizione 810/8 e si svilupperà su una superficie di 300 mq. Fassi Gru S.p.A. si presenterà in occasione di questo importante appuntamento insieme all’azienda svedese Cranab AB e alla francese Marrel SAS. Tre marchi leader nei rispettivi settori che, riunendo le proprie competenze, offrono oggi il loro meglio con molteplici soluzioni di prodotto anche combinate, raccogliendo i frutti delle nuove opportunità derivate dalla presenza ormai dal 2014 in nuovi settori con una gamma di prodotti di straordinaria ampiezza nei settori del riciclo, dell’ecologia e del legname. Un’unione di eccellenze europee, quella che si presenta alla 27° edizione dell’IFAT di Monaco di Baviera. Molteplici soluzioni di prodotto anche combinate sono oggi proposte dal gruppo Fassi. Per quanto riguarda il prodotto, il continuo sviluppo da parte della progettazione di Fassi di sistemi elettronici, che esaltano l’automazione delle gru applicata al loro utilizzo, è una caratteristica fondamentale delle ultime proposte presentate dal marchio italiano. L’obiettivo comune di tutti i nuovi sistemi di controllo automatico è quello di offrire agli operatori funzionalità che migliorano l’efficienza complessiva dei loro interventi riducendone i tempi di esecuzione a vantaggio della precisione e dell’efficacia. In particolare Fassi dal 2017 propone come abbinamento alle sue gru i seguenti sistemi: • ACF per l’apertura e la chiusura automatica della gru; • AWC per il mantenimento della posizione del gancio durante lo svolgimento della carrucola del verricello e l’estensione/accorciamento degli sfili idraulici, anche con jib; • IoC per gestire da remoto la posizione dei mezzi allestiti con gru, per avere sotto controllo le condizioni di operatività della gru e per intervenire (sempre in remoto) in caso di mal funzionamenti. Inoltre è stato messo a punto un sistema di controllo automatico di verticalità/orizzontalità, funzione che permette il movimento perpendicolare/orizzontale del carico con un solo comando. Questa funzione è particolarmente utile nella movimentazione automatizzata di contenitori di rifiuti interrati fatta con gru di 16-20 tm con max 2 sfili idraulici.
KAESER: SOFFIANTI A VITE HBS Nella gamma di potenza da 132 a 250 kW con portate tra 60 e 160 m³/min e pressioni differenziali fino a 1100 mbar, le soffianti a vite della serie HBS rappresentano una nuova pietra miliare nella tecnologia dei compressori: i modelli della categoria “big” non si distinguono solo per la regolazione ottimale, le basse emissioni sonore, la ridotta superficie d’ingombro e lo scarso fabbisogno di manutenzione, ma soprattutto risultano estremamente efficienti su tutta la gamma di regolazione. La spiccata efficienza delle soffianti a vite HBS rende queste macchine una interessante alternativa ai turbocompressori. Queste nuove soffianti a vite per la gamma di bassa pressione sono il risultato di lunghi anni di esperienza KAESER nello sviluppo degli efficienti compressori a vite, dell’automazione e di macchine intelligenti per le esigenze di Industria 4.0. Le nuove soffianti a vite KAESER sono fino al 35% più efficienti delle soffianti rotative convenzionali, ma non solo: offrono evidenti vantaggi energetici anche rispetto a molte soffianti a vite e turbosoffianti già presenti sul mercato. Grazie alla trasmissione diretta senza slittamento con gruppo moltiplicatore di giri integrato nel blocco, le soffianti HBS convincono non solo per il loro alto livello di rendimento e la ridotta necessità di manutenzione, ma sono anche unità salvaspazio e particolarmente silenziose.
STEINERT PER RIMUOVERE LE PELLICOLE Finora smistare a macchina le pellicole di PVC, le pellicole a base biologica e quelle agricole era molto difficile. La Steinert GmbH ha osservato che le pellicole trasportate dai nastri degli impianti tradizionali non rimangono in posizione e si sollevano, impedendo alle telecamere di distinguere i materiali con sicurezza. Per risolvere il problema, l’azienda ha sviluppato la selezionatrice UniSort Film, che verrà esposta a IFAT. Sopra il nastro trasportatore della selezionatrice è stato montato un tunnel stabilizzante che produce una corrente d’aria sufficientemente forte da spingere le pellicole di plastica sul nastro tenendole in posizione. Ciò consente alle aziende specializzate nel riciclaggio di lavorare con nastri che si muovono a una velocità da due a cinque metri al secondo e ottenere volumi di smistamento più elevati. Una fonte luminosa illumina il nastro trasportatore, mentre una telecamera a raggi infrarossi registra la luce riflessa. Un software ne analizza lo spettro riconoscendo così il tipo di plastica. Steinert afferma che in questo modo è possibile smistare in maniera completamente automatica diverse tonnellate di plastica all’ora, con un tasso di successo che raggiunge il 99%.
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DRYLET AQUA ASSIST RIDUCE I FANGHI DALLE ACQUE REFLUE Drylet è un’azienda californiana che propone un sistema naturale per ridurre la produzione di fanghi negli impianti di trattamento delle acque. La società ha sviluppato Aqua Assist un substrato secco specificamente formulato per le acque reflue. Se aggiunto quotidianamente negli impianti permette di ridurre in maniera significativa la produzione di fanghi che dovranno essere successivamente smaltiti. Una dose giornaliera di 1 chilogrammo per 3.800 metri cubi riduce il volume dei fanghi fino al 50%. I risultati di Aqua Assist sono stati comprovati direttamente negli impianti e sono sempre di più gli impianti americani che hanno scelto di utilizzare questa tecnologia. Aqua Assist riduce la produzione dei fanghi di depurazione, i costi di trasporto dei fanghi, l’utilizzo di polimeri e l’ammoniaca, aumentando la capacità di carico e la conformità degli impianti in dimensioni che vanno da poche decine di metri cubi al giorno a 19.000 metri cubi al giorno. Il processo biologico, inoltre, è intrinsecamente scalabile per impianti di qualsiasi dimensione. Aqua Assist non richiede alcun impegno per attrezzature nuove o costose. Il prodotto può essere facilmente applicato in qualsiasi struttura nel bacino di aerazione o nel digestore.
ECOSTAR MOSTRA L’“X FACTOR” CON HEXTRA E HEXACT Ecostar presenterà al pubblico di Ifat le principali novità per il 2018. Tra di esse, la nuova macchina vagliatrice mobile Hextra, e il vaglio fisso Hexact, entrambe basate sull’“X Factor” di Ecostar, la tecnologia Dynamic Disc Screening (DDS), il sistema brevettato che consente di vagliare qualsiasi tipo di materiale con grande precisione, riducendo al minimo gli attorcigliamenti grazie alla tecnologia “Anti Wrapping”, e con un livello di produttività fino a 200 t/h. Hextra porterà con sé innovazioni importanti come la tramoggia traslante ”Smart Hopper” (Patent Pending) che permette di dosare il materiale di carico, escludere la terza frazione nella versione a 3 frazioni e di creare una formazione a loop con qualsiasi trituratore. “Siamo orgogliosi di questo prodotto perché rappresenta la sintesi dei nostri valori, esperienza, innovazione e qualità”, - afferma Filippo Cappozzo, Sales Director dell’azienda - “A partire dal lancio e dall’inizio della produzione avvenuto a fine 2017 la nostra nuova Hextra sta riscuotendo un successo mondiale tra tutti i nostri distributori e clienti internazionali”. Hexact è il vaglio fisso, anch’esso basato su tecnologia Dynamic Disc Screening (DDS), realizzato con sezioni modulari da 2 o 3 metri. Questo sistema permette di commisurare le potenzialità della macchina in funzione delle esigenze di lavoro e dello spazio disponibile del committente. L’efficienza della tecnologia Dynamic Disc Screening consente di utilizzare motori elettrici da 7,5 kW. In questa maniera Hexact è molto conveniente anche dal punto di vista dei consumi, fino al 70% in meno rispetto ai sistemi di vaglio tradizionali. Ecostar è sinonimo della più avanzata e raffinata tecnologia nel settore della separazione meccanica dei rifiuti e dei materiali di scarto. Grazie alla tecnologia brevettata Dynamic Disc Screening, oggi molte tipologie di rifiuto possono essere impiegate con efficienza per fornire combustibili e fonti d’energia puliti, come biomassa e CSS, oppure sostanze utili all’agricoltura e alla silvicoltura, come il compost. La tecnologia Ecostar rivoluziona gli standard acquisiti in termini di consumo, performance produttiva, ingombro, aspettativa d’ammortamento, ritorno economico e di emissioni provocate nel corso del processo.
IL NUOVO SISTEMA DI SELEZIONE LASER DI TOMRA IDENTIFICA GLI OGGETTI NERI E IL VETRO TOMRA Sorting presenta LOD (Laser Object Detection), il nuovo sistema di individuazione oggetti tramite laser che, in abbinamento a AUTOSORT e FINDER, aumenta le capacità di selezione del circuito, consentendo agli impianti di riciclaggio rifiuti e rottami di raggiungere livelli di purezza del prodotto finale unici sul mercato e mai visti fino ad oggi. Con la tecnologia laser di TOMRA, che seleziona il materiale in ingresso in base alle sue caratteristiche spaziali e a quelle dello spettro ottico, il nuovo LOD individua il materiale che la tecnologia a infrarossi NIR non è in grado di identificare. LOD fornisce ai centri di riciclaggio una soluzione efficiente e a basso consumo energetico per rispondere alle stringenti richieste di purezza dei clienti. Il nuovo sistema di selezione di TOMRA ottimizza la purezza del prodotto finale del 4%, senza sacrificare la produttività dell’impianto. Il suo design modulare consente al sistema flessibile LOD di venire aggiunto alla stessa piattaforma delle selezionatrici di TOMRA di ultima generazione. In alternativa, può essere aggiunto al circuito come tappa di selezione indipendente.
VECOPLAN AG PRESENTA IL POTENTE V-ECO CHE PERMETTE UN’EFFICIENTE LAVORAZIONE DELLA PLASTICA Questa macchina garantisce un elevato risparmio in termini di tempo ottimizzando sia i costi, sia la quantità di materiale grezzo utilizzato. Al padiglione B5, stand 229 e 328, Vecoplan AG esporrà il suo alto livello d’esperienza nell’ambito della tecnologia di triturazione su un’area di 270 metri quadrati. In questo, l’azienda produttrice leader può vantare quasi 50 anni d’esperienza e una vasta gamma di prodotti. Tutti i macchinari sono dotati di concetti di azionamento a risparmio energetico e mirati a fornire una valida soluzione. La gamma di trituratori V-ECO, ad esempio, è una delle migliori sul mercato per la triturazione della plastica. Queste macchine sono di semplice manutenzione, riparazione e funzionamento. Il fondo oscillante ad apertura idraulica e la griglia oscillante facilitano l’accesso al rotore per l’operatore che sarà così in grado di rimuovere immediatamente corpi metallici, ruotare o sostituire facilmente le controlame e riconfigurare la macchina, ad esempio, sostituendo la griglia con una di diametro differente quando si cambia prodotto. Il materiale viene alimentato continuamente grazie al design angolare del basamento macchina e al cassetto spintore regolabile. Queste due caratteristiche assicurano un funzionamento sicuro e continuo. Un IBC può essere triturato in soli 30 secondi. Il cliente, in questo modo, risparmia tempo, riduce considerevolmente l’area di stoccaggio e, inoltre, ottimizza la sua efficienza economica relativa ai costi e alla quantità di materiale grezzo utilizzato. Il sistema può processare fino a 5.000 kg di materiale all’ora.
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FLOTTWEG: IL NUOVO IMPIANTO MOBILE PER LA DISIDRATAZIONE DI FANGHI BASATO SU CONTAINER
LA FRANCIA SCEGLIE FORREC PER IL TRATTAMENTO DEI FRIGORIFERI Il 2017 è stato un anno di grandi traguardi e conferme: due importanti aziende francesi hanno scelto la tecnologia e l’esperienza Forrec applicata al trattamento dei frigoriferi per la realizzazione dei loro impianti che saranno i più grandi al mondo per capacità in ingresso: 120 frigoriferi/ora. Le linee si caratterizzano per la gestione finale del gas estratto durante il processo: il primo impianto, che sarà operativo entro maggio 2018, utilizza un innovativo e sofisticato sistema di termodistruzione del gas direttamente in loco; il secondo impianto, che sarà operativo per la fine dell’estate 2018, applica il tradizionale sistema criogenico (ad azoto) già sperimentato e attualmente operativo in diversi impianti Forrec in tutto il mondo. La progettazione interna con uno staff di 9 ingegneri ha permesso un’attenta analisi di tutta la parte riguardante le emissioni in atmosfera (elemento fondamentale per il rispetto delle regolamentazioni vigenti in Europa) e la realizzazione di due impianti che rispondono esattamente alle richieste dei clienti, sia in termini di affidabilità che di performance. Forrec conferma la propria leadership nel settore Raee in particolare nel segmento frigoriferi inclusi i sistemi di condizionamento e gli scaldabagno o boiler, trattamento peculiare che solo gli impianti Forrec riescono a garantire grazie al continuo aggiornamento tecnologico e alla flessibilità di affiancarsi al proprio cliente nella definizione e realizzazione dei progetti.
Gli impianti mobili basati su container consentono di evitare i costi per la costruzione di nuove strutture o per l’ampliamento di aree già esistenti. I container possono essere installati per lunghi periodi o fungere da soluzione di passaggio semi-mobile per un periodo di alcune settimane o mesi. Essi consentono tuttavia anche un uso completamente mobile. I lavori da eseguirsi in loco consistono soltanto nel collegare le condotte di alimentazione e di scarico e l’alimentazione della corrente. Dopo lo svolgimento di queste operazioni, l’impianto può essere messo in funzione. Dato che il container viene collegato dall’esterno, al suo interno non occorre posare tubi o condotte volanti. Ciò garantisce un’operatività confortevole e la sicurezza delle persone. La nuova struttura e le numerose dotazioni, quali una gru o un dispositivo di sollevamento idraulico, rendono possibile il comando dell’impianto da parte di un solo operatore. Le aperture di drenaggio e i rubinetti di scarico assicurano un facile lavaggio del container. Il rivestimento interno, il pavimento del container, tutte le condotte e la centrifuga decanter sono realizzati in pregiato acciaio inossidabile. Questo dettaglio di non poco conto migliora il ciclo di vita dei singoli componenti rispetto alle alternative convenzionali. Anche l’armadio elettrico è realizzato in acciaio inossidabile ed è dotato di un climatizzatore, pensato per proteggere i componenti elettrici più sensibili. Per mostrare le prestazioni dei nostri container in condizioni operative reali, i nostri impianti mobili sono disponibili anche come macchine a noleggio per consentire lo svolgimento di ampi test in loco.
LA NUOVA GENERAZIONE DI FRANTUMATORI DOPPSTADT Doppstadt, costruttore di macchine per il riciclaggio, presenterà a Monaco la sua ampia gamma di macchine per il trattamento e la separazione, pensate in maniera specifica per la biomassa e i materiali minerali. L’azienda ha annunciato che durante la fiera sarà possibile osservare da vicino l’«Inventhor Type 9», che non solo rappresenta il trituratore per biomassa e rifiuti più potente dell’azienda, ma anche la prima di una nuova generazione di frantumatori Doppstadt. Il gruppo esporrà in collaborazione con l’azienda statunitense Scarab e con lo specialista di robotica OPTeknik. Un’altra novità che sarà possibile vedere in fiera è il nuovo vaglio separatore Basic 518, una soluzione economica e intelligente per il settore del riciclaggio.
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POLARIS: TRITURAZIONE IN UN SOLO PASSAGGIO Il lancio sul mercato del trituratore Polaris di Lindner a Ifat 2016 ha innescato un boom della domanda per l’innovativa macchina altamente specializzata. La serie Polaris è stata sviluppata per la triturazione in un solo passaggio di rifiuti per la produzione di combustile da rifiuti. In occasione di Ifat 2018, Lindner presenterà il nuovo modello Polaris 1800 che presenta dimensioni più piccole e ha una velocità di produzione fino a 16 tonnellate all’ora. La serie Polaris vanta anche un nuovo sistema di taglio ed è - rispetto a tutti gli altri trituratori monoalbero - la più efficiente in termini di costi per tonnellata, secondo uno studio condotto all’Università di Leoben, in Austria, nel maggio 2017.
IN ANTEPRIMA MONDIALE IL NUOVO SOLLEVATORE TELESCOPICO 355 E Sennebogen presenterà in anteprima mondiale a Ifat il nuovo sollevatore telescopico 355 E. I modelli dell’attuale serie E di Sennebogen offrono soluzioni personalizzate per la movimentazione dei materiali e tutte le attività di riciclaggio. Oltre al sollevatore telescopico 817 E Sennebogen presenterà anche il nuovo sollevatore telescopico Sennebogen 355 E presso lo stand situato al padiglione C5 stand 241/340 su un’area di 300 m² (poco meno di 1000 piedi quadrati) e presso l’area demo. Pochissime informazioni sono state anticipate circa il nuovo movimentatore 355 E, che sarà in esposizione a Ifat 2018. Con questo nuovo movimentatore telescopico, Sennebogen ha voluto fissare standard ancora più elevati per il comfort del conducente e il controllo della macchina. La collaudata qualità made in Germany e il design robusto per un funzionamento continuo necessario nel settore dei rifiuti sono destinati a conquistare il pubblico.
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ASPETTANDO INTERMAT E UNA VERA RIPRESA IL MERCATO DELLE MACCHINE MOVIMENTO TERRA SI È RISVEGLIATO, MA È UNA RIPRESA LENTA CHE IN PERCENTUALI DI VENDUTO È MOLTO ALTA, MA CHE IN NUMERI ASSOLUTI HA BISOGNO ANCORA DI TEMPO di Laura Veneri
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macchine con un incremento rispetto al 2015 pari al +21,6%. Se si raffronta il dato con quello del 2014 l’aumento è pari al +63,8%. Occorre tornare indietro nella serie storica dell’Osservatorio OMIC al dato del 2011 per avere un totale di vendite superiore alle 10.000 macchine. E la crescita della domanda interna, costante anche in questi mesi del 2017, porta il totale delle macchine movimento terra e lavori stradali a 12.769 macchine vendute o destinate alle flotte noleggio. Il raffronto con la quantità di macchine rilevate nel 2016 è pari a un incremento del +15,0%, che sale al +39,9% se le raffrontiamo con il dato del 2015. Ma, come detto in precedenza, se nel 2016 le macchine erano tornate in linea con i dati del 2011, le 12.769 del 2017 sono il 18,9% in più. Il settore delle macchine movimento terra tradizionali con 3.585 macchine vendute supera il dato del 2016 del +23,2% e del +48,9% quello del 2015, ma supera anche il dato del 2011 del +29,8%. Tra le tipologie di macchine del settore i dozer, ancora in calo del -28,0% a fine 2016, nel 2017 hanno cominciato a recuperare parte del mercato perso e rispetto al 2016 crescono del +88,9%, anche se ancora rimangono in flessione rispetto al 2011 del -33,3%. Per gli escavatori cingolati, la tipologia di macchine più vendute all’interno del settore, che totalizzano 2.185 macchine, l’incremento è pari al +18,9% su base annua e del +45,0% rispetto al 2015. Anche gli escavatori gommati nonostante il decremento delle vendite registrato nel 1° trimestre, totalizzano a fine periodo 196 macchine pari al +18,8% su base annua mentre le pale gommate, con 1.167 macchine, superano del +31,7% il dato del 2016 e del +54,0% quello del 2015. Le terne, che erano risultate in flessione costante nei primi 9 mesi dell’anno, grazie al significativo numero di macchine vendute/destinate alle flotte noleggio nel 4° trimestre 2017, chiudono l’anno con un incremento del +8,5% rispetto al 2016, ma anche del +7,4% rispetto al 2015. Sono state le terne Aws a far da traino al settore tanto che aumentano rispetto al 2016 del +70,7%, mentre le terne rigide, che rimangono comunque, con 105 macchine, la tipologia
dati diffusi dal Cresme con l’Osservatorio vendite macchine e impianti per le costruzioni, promosso da Cantiermacchine – Ascomac registrano dati incoraggianti. Il mercato interno di macchine movimento terra e lavori stradali, con 4.803 macchine vendute o destinate alle flotte noleggio, cresce rispetto alle vendite realizzate nel 4° trimestre 2016 del +18,1% e si attesta come il trimestre più considerevole degli ultimi 7 anni. Possiamo ufficialmente parlare di ripresa, cominciata nel 1° trimestre 2014 e proseguita costantemente nel corso degli ultimi 4 anni. La totalizzazione dei dati trimestrali raccolti nel 2017, pari a 12.769 macchine vendute o destinate alle flotte noleggio, cresce del +15,0% rispetto al 2016, del +39,9% rispetto al 2015, ma supera anche del +18,9% le vendite/ noleggi registrati nel 2011, anno in cui erano state rilevate 10.741 macchine. Numeri che mettono di buon umore anche se Ruggero Riva, Presidente Ascomac Confcommercio, vuole rimetterci con i piedi per terra: “La ripresa è innegabile e consistente ma… se analizziamo i volumi espressi in numero di unità vendute o immesse nelle flotte noleggio del nostro mercato, negli anni 2005, 2006 e 2007, rileviamo una media del triennio di 27.000 macchine delle tipologie sopra indicate, con un picco “storico”, nel 2007, di 29.000 macchine. Possiamo quindi misurare le dimensioni della crisi epocale che abbiamo vissuto, con un crollo verticale del mercato che ha toccato il fondo o meglio, l’abisso, nel 2013 con 5.600 macchine: - 80% sul 2007! Quindi nell’anno appena concluso, con circa 12.500 macchine abbiamo più che raddoppiato i volumi del 2013, ma queste macchine sono meno della metà di quelle immesse mediamente nel triennio “d’oro” 2005, 2006, 2007”.
L’ANNO 2017
Nel 2015 sono state vendute o noleggiate 9.128 macchine, erano 6.778 nel 2014 e 6.089 nel 2013. Rispetto al 2014 la crescita delle vendite è stata del +34,7% e rispetto al 2013 le quantità vendute sono state poco meno del doppio e pari al +49,9%. Totalizzando i dati trimestrali del 2016 sono state vendute/noleggiate 11.103
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più numerosa all’interno del settore, calano del -19,2%, sempre rispetto al 2016. Per i mini, il settore più rappresentativo dell’intero comparto, che passano da 7.387 macchine vendute o destinate alle flotte noleggio nel 2016 a 8.319, l’incremento si attesta al +12,6%, con i miniescavatori, che rappresentano l’85% del totale di settore, al +13,1% rispetto al 2016 e al +42,9% rispetto al 2015. Anche per questo settore il raffronto con il dato del 2011 è del tutto positivo; in quell’anno, infatti, le macchine vendute o destinate alle flotte noleggio erano 6.631, quindi la crescita è stata del +25,5%. I rulli, con 330 macchie vendute/noleggiate, superano il dato del 2016 del +9,3%, con i rulli tandem, la tipologia di macchine più rappresentativa del settore, che crescono del +0,8%. Per le vibrofinitrici, l’acquisizione del dato negativo del 4° trimestre 2017, ha comportato la flessione del dato annuale che si attesta al -2,4% rispetto al 2016, anche se permane l’incremento rispetto alle vendite/noleggi realizzati nel 2015 che è pari al +38,8%. Di contro, per i dumper articolati, che avevano chiuso il 2016 in calo del -31,8% rispetto al 2015, l’acquisizione del dato del 4° trimestre ha comportato un notevole aumento della sommatoria per il 2017, tanto che le 63 macchine superano il dato del 2016 del +110,0%. Per i sollevatori telescopici, il calo costante delle vendite/noleggi cominciato nel 1° trimestre 2016, interrotto solamente dall’incremento registrato nel 1° trimestre 2017, ha comportato una flessione su base annua del mercato nel 2017 pari al -12,3% che segue il -68,6% registrato nel 2016. Solamente per una tipologia di macchine, ovvero gli S.Front.6.31-10, il mercato nel 2017 cresce del +9,1%, tanto che, superando di 1 macchina il totale degli S.Front.<= 6.3 ne prendono il posto come tipologia più rappresentativa.
COSA CI DOBBIAMO ASPETTARE
Potremo mai ritornare quindi a quei livelli di vendite? Quali potrebbero o dovrebbero essere le condizioni essenziali per una ripresa stabile e ancora più energica? A queste domande cerca di dare una risposta Ruggero Riva, Presidente Ascomac Confcommercio: “È noto e logico che questo nostro mercato macchine sia strettamente correlato al mercato delle costruzioni. Abbiamo quindi chiesto la collaborazione dell’ANCE (Associazione Nazionale Costruttori Edili) che ci ha fornito la serie storica della loro elaborazione, su dati ISTAT, del mercato delle costruzioni (tutta l’edilizia pubblica e privata, tutte le infrastrutture, tutte le manutenzioni straordinarie) ed abbiamo comparato i dati. L’indice ha un andamento praticamente parallelo all’andamento del nostro mercato sino agli anni della crisi profonda del 2013/2014 e registra un volume di investimenti di 120,7 miliardi di euro nel 2014, -34% sul 2007, anno che è stato il picco positivo anche per gli investimenti in costruzioni con 183,5 miliardi di euro. Ma dati estremamente preoccupanti sono rappresentati dai volumi degli ultimi tre anni che, in netta crescita per le macchine come visto sopra, per gli investimenti in costruzioni sono stati modesti, in ulteriore calo rispetto al 2014: nel 2015 gli investimenti sono stati infatti di 117,4 miliardi, nel 2016 di 116,7 miliardi (dato peggiore dal 2007) e nel 2017 dovrebbero raggiungere i 117 miliardi (stima a finire): praticamente 3 anni “piatti”, al minimo storico. La crescita del nostro mercato macchine è stata quindi spinta, quasi esclusivamente, dagli importantissimi incentivi di natura fiscale che sono stati saggiamente prorogati anche per il 2018 (superammortamento, iperammortamento, credito di imposta, Sabatini
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agevolata), unita alla volontà dei nostri coraggiosi imprenditori di rinnovare parchi macchine obsoleti. Assolutamente doveroso e necessario quindi un pressante invito alle autorità preposte affinché il sistema costruzioni/infrastrutture, quale vero motore del Paese, sia messo al centro delle politiche per la crescita. Giova ricordare che ad oggi gli stanziamenti statali in conto capitale sono crollati (-43% dal 2008 al 2015) mentre le spese correnti hanno continuato a crescere. Far ripartire il settore delle costruzioni, e con esso tutta la filiera, comporta a livello operativo incrementare il PIL di mezzo punto in più all’anno e soprattutto recuperare oltre 600 mila posti di lavoro persi nel decennio della grande crisi. Occorre adottare misure che realizzino rapidamente le opere pubbliche necessarie per il benessere dei cittadini e per la crescita e la competitività del sistema industriale, distributivo e dei servizi unitamente alla necessaria rigenerazione delle periferie e delle aree degradate e alla manutenzione del territorio, per uno sviluppo sociale e sostenibile del nostro Paese. Queste a nostro parere le azioni essenziali (ma non le sole) per una ripresa stabile e importante del nostro mercato che per certo contribuirebbero in modo determinante a riportarci ai livelli pre-crisi”.
CRESCONO LE ESPORTAZIONI
Il dato dei primi 30 paesi di destinazione dell’export (fonte Cresme), rappresentativi del 78,2% dell’export italiano, a fronte di un incremento del +5,2% del totale, risulta in crescita +6,6% rispetto ai primi 10 mesi del 2016. Nel periodo gennaio-ottobre gli Stati Uniti con 236,7 milioni di euro di macchine acquistate in Italia, in crescita del +21,7% rispetto al 2016, si confermano il 1° paese di riferimento per l’export. La Francia, con un incremento costante degli acquisti di macchine italiane, +23,8% rispetto ai primi 10 mesi del 216, si conferma al 2° posto e il divario con gli Stati Uniti si assottiglia mese dopo mese, tanto che la differenza è poco più di 7 milioni di euro. Per quanto riguarda il 3° e 4° posto della classifica, la situazione rimane immutata con la presenza della Germania, che registra un incremento del valore dell’export del +9,0% e del Regno Unito, anche se con un valore delle esportazioni in calo del -2,6% rispetto ai primi 10 mesi del 2016. Pur rimanendo stabile al 5° posto, continua la flessione delle esportazioni verso la Turchia: il calo rispetto al valore dei primi 10 mesi del 2016 è del -15,9%. La Russia, nonostante l’incremento del valore di macchine acquistate pari al +81,8%, rimane stabile al 10° posto nella classifica ed è superata dall’Australia che a inizio del 2017 era ancora al 14° posto. Mentre la Cina, nonostante l’incremento del +5,6% rispetto ai primi 10 mesi del 2016, rimane all’8°. Con la sola eccezione del dato della Norvegia, -4,4%, per tutti gli altri stati europei, il valore delle macchine italiane acquistate cresce rispetto al 2016, con l’incremento percentuale su base annua più alto registrato in Svezia pari al +40,2%.
INTERMAT 2018
In questo dinamico contesto si colloca l’edizione 2018 di INTERMAT, salone internazionale dell’edilizia e delle infrastrutture, che si svolgerà dal 23 al 28 aprile 2018 a Parigi. INTERMAT 2018 si preannuncia come un’opportunità di incontri privilegiati per gli attori del settore nella zona EMEA (Europa, Medio Oriente, Africa): imprese edili, produttori, fornitori di attrezzature e soluzioni potranno così realizzare i propri progetti al servizio dello sviluppo territoriale.
Polo SOLLEVAMENTO, MANUTENZIONE E TRASPORTO • PREMIO ATTREZZATURE: Hinowa s.p.a.– Navicella cingolata lightlift 33.17 - Performance IIIS (portata di sollevamento operativo 16,5 metri, altezza di lavoro di 32,5 metri, capacità di carico 230 kg, molteplici movimenti simultanei e nuovo cestino più largo e confortevole). • PREMIO COMPONENTI E ACCESSORI: Manitou GROUP – Sistema di riconoscimento di stabilizzazione della macchina (MRT 2470 e MRT 3050 sono attrezzati di un estensimetro negli assi dei cilindri di stabilizzazione per leggere l’informazione inerente lo sforzo applicato al terreno). Polo EDILIZIA E FILIERA DEL CALCESTRUZZO • PREMIO ATTREZZATURE: ALPHI - MaxUpDown (strumento d’ausilio alla manutenzione dei pannelli di casseforme MaxiDalle. Il sistema, composto da un albero telescopico ad aria compressa, permette di sollevare e abbassare senza sforzo pannelli di casseforme MaxiDalle a grandi altezze dal suolo). • PREMIO COMPONENTI E ACCESSORI: 360SMARTCONNECT – Calcestruzzo connesso (trasformando il calcestruzzo in interfaccia in base ai dati e ai servizi associati al lavoro, 360 Smart Connect permette ad ogni operatore di creare un nuovo valore per se stesso o per i suoi successori nella catena).
INTERMAT si afferma come il salone di riferimento per il settore edile e delle infrastrutture, in risposta alle sfide di tutti gli attori di questo ecosistema: saranno oltre 1.500 gli espositori e gli organizzatori attendono oltre 200.000 visitatori professionisti provenienti da 167 paesi. “Mobilità, abitazioni, energia, occupazione… Il settore edile e delle infrastrutture gioca un ruolo fondamentale nello sviluppo dei territori e della loro attrattiva. Alla luce dei profondi cambiamenti economici, sociali e ambientali in atto, INTERMAT accompagna gli attori del settore in questa trasformazione con nuovi strumenti e contenuti a forte valore aggiunto. Il risultato è una nuova organizzazione del salone per poli di attività, attraverso un’offerta diversificata incentrata sulle innovazioni tecnologiche del settore” afferma Isabelle Alfano, Direttore del salone INTERMAT. INTERMAT ha riorganizzato la sua settorizzazione per rispondere alle aspettative degli espositori e dei visitatori: presentazione più chiara delle attrezzature, soluzioni e tecniche della filiera, maggiore efficacia della visita e valorizzazione delle innovazioni del settore. Il salone è organizzato in 4 poli di competenza: Movimento terra & Demolizione; Strada, Industria dei materiali & Fondazioni; Edilizia & Filiera del calcestruzzo; Sollevamento, Movimentazione & Trasporto. Per rispondere alle sfide della digitalizzazione nel settore Edilizia e Lavori Pubblici e proporre un’offerta diversificata, INTERMAT 2018 valorizza le innovazioni tecnologiche del settore attraverso la creazione di spazi dedicati: il villaggio ConstructionTech 100% Start Up, il villaggio Smart Road, il villaggio Smart Building – BIM e il villaggio Demolizione. L’organizzazione di conferenze su argomenti fondamentali del mercato in ogni zona tematica favorirà le discussioni e la condivisione di informazioni tra i professionisti.
TREVI BENNE Trevi Benne per la sesta edizione consecutiva prenderà parte ad INTERMAT, Salone Internazionale delle Attrezzature per Edilizia e Materiali da Costruzione, che si terrà a Parigi dal 23 al 28 Aprile 2018. Innovazione, design, qualità sono le caratteristiche che si potranno riconoscere nelle 12 attrezzature da demolizione, riciclaggio, movimento terra e forestale che verranno esposte dall’azienda vicentina nel Padiglione 4 - Stand C 006. Ben tre le attrezzature da demolizione equipaggiate con il dispositivo moltiplicatore di potenza Impact Booster. Il Multi Kit MK 23P, un frantumatore universale costituito da un telaio a cui vengono agganciati diversi kit da demolizione e taglio metalli; la pinza primaria HC 18P per le operazioni di abbattimento in altezza, consigliata per essere installata su bracci lunghi da demolizione; un frantumatore fisso secondario modello F 21P dotato di kit magnete per la raccolta del materiale ferroso durante la demolizione. Come da tradizione un ampio spazio living sarà dedicato all’accoglienza dei visitatori e distributori, a testimonianza di quello che è lo spirito di ospitalità che da oltre venticinque anni contraddistingue Trevi Benne.
INTERMAT INNOVATION AWARDS
Sotto la presidenza della FNTP (Federazione Francese dei Lavori Pubblici), il concorso degli INTERMAT Innovation Awards premia le attrezzature, le tecniche, i servizi o prodotti che contribuiscono al progresso del settore edile e delle infrastrutture. Per l’edizione 2018 sono stati decretati vincitori: Polo MOVIMENTO TERRA E DEMOLIZIONE • PREMIO ATTREZZATURE: VOLVO EX2 (Prototipo di mini escavatore completamente elettrico a emissioni zero, con un rendimento energetico 10 volte superiore al modello di mini escavatore standard e con emissioni sonore 10 volte inferiori). • PREMIO COMPONENTI E ACCESSORI: DMIC - UBIWAN® SMART (Soluzione di gestione connessa per le attrezzature da cantiere). Polo STRADA, INDUSTRIA DELLE ATTREZZATURE E FONDAMENTA • PREMIO ATTREZZATURE: FAYAT - TRX 100% (Il primo impianto di miscelazione a caldo continuo mobile per la produzione di asfalto che consente di riciclare fino al 100% di aggregati di asfalto). • PREMIO COMPONENTI E ACCESSORI: RB3D - EXO PUSH (Esoscheletro che assiste gli sforzi dell’operaio in lavori stradali nelle operazioni di livellatura manuale del conglomerato. È il primo “wearbot” elettrico ad entrare nel mondo dei lavori pubblici).
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BOBCAT Bobcat e Doosan Portable Power presenteranno nuovi prodotti in anteprima al salone Intermat 2018. Particolarmente attesi sono gli innovativi escavatori compatti Bobcat classe 2-4 tonnellate. Questi saranno affiancati dal debutto nel nuovo telescopico compatto TL30.70 e dalla nuova versione della pala compatta cingolata top di gamma T870. Intermat darà ulteriore dimostrazione del perché Bobcat è leader di mercato per gli accessori per le macchine compatte: la sua gamma di accessori, già oggi la più ampia del mercato, si arricchirà di diversi nuovi modelli per pale compatte, incluso lo scavacanali a disco WS-SL20, autolivellante e con disco a segmenti variabili. Anche Doosan Portable Power avrà una forte presenza, che includerà il lancio del nuovo compressore portatile 7/53R. Come nelle precedenti edizioni di Intermat, l’accattivante esposizione statica dello stand Bobcat nel padiglione 5b sarà completata dalle emozionanti dimostrazioni dal vivo nell’area demo esterna. Con una dimostrazione ogni ora, Bobcat presenterà i prodotti della sua intera gamma, puntando l’attenzione sulla grande versatilità e l’efficacia d’uso delle pale compatte e degli accessori Bobcat, con soluzioni diversificate per le applicazioni di costruzione, servizi pubblici, paesaggistica, manutenzione dei suoli, noleggio e molto altro.
DOOSAN Doosan presenterà per la prima volta a Intermat 2018 la sua nuova pala gommata DL280-5, macchina dedicata per l’industria della gestione dei rifiuti e la raccolta differenziata e le applicazioni industriali in genere. La DL280-5 è l’ultimissima novità nella gamma di pale gommate ad alte prestazioni Doosan, gamma che comprende 12 modelli con pesi operativi da 12 a 35 tonnellate. La DL280-5 offre grandi prestazioni, elevata produttività, forza di strappo e carico di ribaltamento eccezionali e una maggiore potenza. Il braccio caricatore è azionato da un impianto idraulico a centro chiuso con pompa a pistoni assiali da 210 l/min. Il sistema assicura le massime prestazioni idrauliche, ma senza eccedere in capacità non necessaria, con una maggiore efficienza dei consumi ed estendendo durata e affidabilità dei componenti vitali. La DL280-5 sfrutta la cinematica a Z con un semplice sistema di sollevamento a pistone progettato per impieghi gravosi. La forza di strappo di 145 kN si combina con un angolo della benna mantenuto sempre costante nell’intero arco di movimento. Gli angoli della benna sono ottimizzati anche nelle posizioni di traslazione e al suolo. Il braccio caricatore sfrutta anche i vantaggi offerti dal sistema di stabilizzazione del carico LIS (Load Isolation System), in pratica un sistema antibeccheggio, dotazione di serie che migliora significativamente la qualità di traslazione della macchina e il comfort dell’operatore, garantendo una marcia fluida sui terreni accidentati e tempi di ciclo ridotti grazie alla maggiore stabilità del mezzo durante i movimenti. Ciò migliora la produttività e riduce i consumi nelle applicazioni di carico e movimentazione. La velocità di attivazione automatica del sistema LIS è regolabile dall’operatore.
KOHLER I motori KDI sono inarrestabili: Kohler presenta un ulteriore sviluppo della piattaforma di motori diesel, ideata per soddisfare le necessità di un mercato che richiede sempre più flessibilità applicativa e conformità alle diverse norme, oltre a performance e produttività. Con la soluzione Stage V, Kohler è ancora una volta “the game changer” per tutti i costruttori di macchine, riaffermando quegli elementi che hanno decretato il successo dei KDI fin dal loro lancio nel 2011: compattezza, performance elevate, consumi ridotti, semplicità di installazione e soluzioni ottimizzate per tutte le norme in materia di emissioni. Kohler aggiunge ulteriori modelli alla propria gamma con lo sviluppo dello Stage V. I motori KDI sono caratterizzati da una combustione estremamente pulita e ora, con l’introduzione del DPF, sfruttano appieno l’efficienza della combustione per offrire ai clienti la tecnologia più avanzata e il sistema di aftertreatment più compatto sul mercato. KOHLER Flex™ è la gamma di soluzioni per il filtraggio delle emissioni che Kohler ha progettato per permettere a ciascuna configurazione dei motori della piattaforma KDI di essere conforme a tutti gli standard e le norme in materia di emissioni, in tutto il mondo. Il fulcro di KOHLER Flex™ è la combustione pulita dei motori KDI che, in ottica Stage V, permette l’adozione di un DPF compatto e all’avanguardia.
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EPIROC I demolitori idraulici pesanti sono da oggi dotati del sistema IPS (Intelligent Protection System). Coniugando tra loro in modo perfetto le famose funzioni AutoControl e StartSelect di Epiroc, questo sistema completamente automatizzato offre un funzionamento più semplice, più efficiente e più redditivo che mai. AutoControl e StartSelect sono funzioni famose che contraddistinguono da anni i demolitori idraulici di Epiroc. AutoControl ottimizza le prestazioni del demolitore regolando automaticamente la lunghezza della corsa del pistone. Il sistema StartSelect offre la commutazione manuale tra due modalità: la modalità AutoStart consente il facile posizionamento all’inizio del ciclo di lavoro, mentre nella modalità AutoStop il demolitore si arresta automaticamente per evitare i colpi a vuoto alla fine del ciclo di lavoro. Il sistema IPS di Epiroc è il risultato della sapiente fusione di queste funzioni. Esso fa sì che il demolitore idraulico si avvii sempre in modalità AutoStart. Quando la pressione di contatto tra scalpello e materiale aumenta e AutoControl passa dalla modalità corsa breve a quella corsa lunga del pistone, il sistema IPS assume automaticamente la modalità AutoStop. A perforazione completata del materiale, il demolitore si spegne automaticamente per evitare i colpi a vuoto. Il sistema IPS rende il lavoro ancora più semplice adattando automaticamente il comportamento operativo del demolitore a qualsiasi condizione di lavoro. La produttività aumenta in quanto, con la sua funzionalità completamente automatizzata, il sistema IPS non richiede alcun intervento da parte dell’operatore e dunque non ci sono interruzioni del lavoro. Il sistema assicura un posizionamento più accurato e notevolmente più veloce del demolitore, grazie all’effetto di centraggio ed evita i colpi a vuoto che spesso danneggiano l’utensile. Ciò elimina inoltre le sollecitazioni meccaniche sulla macchina portante e prolunga la vita utile di tutti i componenti soggetti all’usura.
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BKT Una presenza sempre più consolidata quella di BKT al prossimo Intermat di Parigi, in programma dal 23 al 28 aprile, dove la multinazionale indiana porterà l’ampio portafoglio di proposte adatte a molteplici necessità e applicazioni, tra cui i prodotti di punta della linea Earthmax per il settore OTR e una selezione di pneumatici per veicoli industriali. Perfetti per gli ambienti OTR sono invece i tre pneumatici selezionati della linea Earthmax, tutti accomunati da una resistente struttura All Steel. Nella versione 26.5 R 25 sarà presentato al pubblico Earthmax SR 53, progettato per loader e dozer che operano su terreni rocciosi, insieme a Earthmax SR 31, appositamente realizzato per dumper rigidi e pale gommate, in mostra a Intermat nella misura 26.5 R 25. Infine, nella versione 26.5 R 25, Earthmax SR 50, pneumatico dal battistrada classificato L5, profondo e aggressivo, studiato per l’applicazione su pale caricatrici impegnate in operazioni di carico e spianamento.
GENERAC Anche in questa edizione 2018 della Fiera Intermat a Parigi, la grande famiglia Generac sarà presente con uno spazio espositivo dedicato al mondo dell’energia e dell’abbattimento polvere. Presso lo stand Pramac Europe, in collaborazione con la società sorella Generac Mobile Product, verranno esposti i modelli di generatori più venduti e, nel campo dell’abbattimento polvere, i due prodotti DF Mini e DF Smart. Questi ultimi rappresentano due soluzioni che trovano uso in applicazioni che vanno da demolizioni, a trattamento inerti. Per abbattimenti polvere in aree medio – piccole il più indicato è il DF Smart: infatti questo prodotto ha una gittata di 13 mt (dato rilevato in assenza di vento) e grazie alla sua compattezza può essere facilmente trasportato e movimentato all’interno dell’area di lavoro. Il DF Mini, invece, trova la sua applicazione in aree “indoor” dove non è richiesta una grossa quantità di acqua, ma una certa precisione in direzione dell’area in cui si crea la polvere da abbattere: infatti questa soluzione è completa di tre tipi di ugelli diversi in base al tipo di gittata richiesta. PR Europe e Generac Mobile Products vi aspettano allo Stand 5A E021 per poter visionare questi modelli ed altre novità.
CMB I risultati ottenuti lo scorso anno sono andati ben oltre le aspettative. Il duro lavoro sul campo, l’impegno rivolto alla soddisfazione del cliente, la ricerca e la passione con i quali CMB punta a risultati sempre più importanti, sono stati ampiamente ripagati dalla fiducia di acquirenti nuovi e storici. Sulla scia del crescente entusiasmo e con l’intenzione di ampliare il proprio mercato di riferimento, CMB sarà presente ad INTERMAT Parigi. La prestigiosa esposizione consentirà a CMB di presentare la nuova spacca rotaie CRR20 e la nuova pinza per deforestazione MW580. La CRR20 è un’attrezzatura progettata per il taglio rapido e produttivo dei binari a standard europeo. L’attrezzatura è dotata di un cilindro pivotante e lavora a una pressione di esercizio tale da consentirne l’utilizzo anche su escavatori-caricatori ferroviari. È completa di rotazione a 360° e lame reversibili e intercambiabili su 4 lati. La pinza MW con motosega oscillante è un’attrezzatura progettata per telescopici e escavatori e consente l’abbattimento di alberi in sicurezza. L’attrezzatura è dotata di una sega a catena, completa di sospensioni e di un dispositivo di inclinazione durante il processo di taglio. Può essere fornita nella versione “short”, dotata di una sola pinza, oppure full optional con doppia pinza. Garantisce importanti diametri di taglio e grazie alla sua velocità assicura un’elevata produttività, sia nell’abbattimento che nella riduzione di tronchi già precipitati.
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UN IMPIANTO UNICO AL MONDO È IL PRIMO IMPIANTO AL MONDO CHE RICICLA I PRODOTTI ASSORBENTI USATI ED È IN ITALIA, IN PROVINCIA DI TREVISO di Bruno Vanzi
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bbiamo avuto il piacere di assistere all’inaugurazione del primo impianto su scala industriale al mondo in grado di riciclare il 100% dei prodotti assorbenti usati (pannolini per bambini, per l’incontinenza e assorbenti igienici). La tecnologia che sta dietro l’impianto è esclusiva ed è frutto di un progetto dedicato che è durato anni e che ha preso vita presso Contarina Spa a Lovadina di Spresiano in provincia di Treviso. L’impianto si basa sull’innovativa tecnologia, sviluppata e brevettata da Fater, joint venture paritetica tra Procter & Gamble e il Gruppo Angelini, che consente di riciclare i prodotti assorbenti per la persona usati, ricavandone plastica, cellulosa e polimero super assorbente sterilizzati da poter riutilizzare come materie prime secondarie, rendendo così riciclabile una nuova categoria di prodotti, con vantaggi ambientali tangibili. Fater produce prodotti per la cura della persona quali pannolini e salviettine per bambini Pampers, gli assorbenti femminili Lines, i tamponi interni Tampax e i prodotti per l’incontinenza Lines Specialist. Con lo sviluppo di questa tecnologia, riproducibile in altri mercati e altre nazioni, l’azienda intende chiudere il cerchio e recuperare e rendere innocuo un rifiuto molto difficile da riciclare che per anni ha riempito le nostre discariche o è stato incenerito. L’impianto vanta un sistema completamente “made in Italy”, che ha ricevuto il riconoscimento Circular Economy Champion nel 2011 da parte della Commissione Europea.
IL TERRITORIO E LA GESTIONE DEI RIFIUTI
Il territorio e il partner Contarina non
sono stati scelti a caso, infatti Contarina Spa è realtà d’eccellenza a livello nazionale ed europeo nella gestione integrata dei rifiuti. Attiva dal 1989, svolge il servizio di gestione dei rifiuti nei 50 Comuni della provincia di Treviso appartenenti al Consiglio di Bacino Priula servendo oltre 550.000 abitanti. Ad oggi la società, a partecipazione interamente pubblica, ha raggiunto oltre l’85% di raccolta differenziata con una tariffa che si attesta ben al di sotto della media nazionale e ha fissato il traguardo di RD da raggiungere entro il 2022 al 96,7%. In questi anni ha messo in opera importanti investimenti: oltre 60 milioni di euro in attività di sensibilizzazione e formazione e in progetti di ricerca e sviluppo quali il potenziamento delle proprie strutture, dagli impianti industriali di compostaggio e di selezione del rifiuto riciclabile al proprio parco mezzi, che si compone di oltre 500 veicoli e che oggi si sta interamente riconvertendo verso sistemi ad alimentazione green, come l’ibrido, l’elettrico e il metano. Il core business di Contarina si basa su un sistema di gestione integrata dei rifiuti che parte dalla produzione del rifiuto e ne considera l’intero ciclo di vita, con l’obiettivo di essere sostenibile in tutte le sue fasi concretizzando il processo di economia circolare.
L’IMPIANTO: DALLA FASE SPERIMENTALE ALLA SCALA INDUSTRIALE
La tecnologia dell’impianto utilizza il vapore per eliminare dai prodotti assorbenti usati i potenziali agenti patogeni e abbattere i cattivi odori, trasformandoli così in materie prime ad alto valore aggiunto come plastica, cellulosa e polimero super assorbente che potranno
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essere riutilizzati in nuovi processi produttivi. Lo studio e lo sviluppo di questa tecnologia hanno preso il via nel 2008, dapprima attraverso l’utilizzo di macchine su piccola scala che, tramite vapore e pressione, aprivano e sterilizzavano i prodotti assorbenti usati, separando meccanicamente le loro componenti. Ottenuti risultati positivi dai primi due modelli di macchina a volumi crescenti, nel 2015 Fater è arrivata alla realizzazione di una terza macchina sperimentale, pensata per i volumi industriali, che poteva operare fino a 1.500 tonnellate annue. Grazie all’autorizzazione della Regione Veneto e alla collaborazione con Contarina Spa, la macchina ha operato costantemente per validare l’efficacia della sua applicazione su scala industriale: i dati prodotti e le esperienze maturate in tre anni di sperimentazioni sono stati così impiegati per la versione inaugurata della macchina, pronta per la validazione dell’efficienza su scala industriale. Ora l’impianto, a regime, è in grado di: • trattare 10.000 tonnellate annue di rifiuti da prodotti assorbenti per la persona, • evitare oltre 3.000 tonnellate annue di emissioni di CO2, pari a quelle generate ogni anno da oltre 1.000 autoveicoli, • produrre ogni anno 3.000 tonnellate di materie prime riciclate di elevata qualità.
LE FASI DEL RICICLO
La tecnologia utilizzata è coperta da brevetto e quindi non è possibile descrivere nel dettaglio come avviene il riciclaggio di questi rifiuti. I pannolini e i prodotti assorbenti che saranno processati nell’impianto provengono dal
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porta a porta, da strutture centralizzate quali case di riposo, ospedali o asili nido, dai centri di raccolta differenziata cittadini. La raccolta differenziata dei prodotti assorbenti usati è il presupposto fondamentale del sistema di riciclo. All’ingresso dell’impianto avviene l’accumulo e lo stoccaggio di questo tipo di rifiuti. I rifiuti posizionati su un nastro trasportatore vengono avviati nell’autoclave dove subiscono un processo di sanificazione. Qui, attraverso la forza del vapore a pressione e senza combustione, i pannolini e gli assorbenti vengono aperti e sterilizzati. Dall’autoclave i rifiuti passano all’essiccatore in cui i prodotti sanificati vengono asciugati grazie a un flusso di aria calda ascendente, che attraversa il materiale distribuito sui nastri trasportatori. Terminate le fasi di sanificazione e asciugatura il materiale risulta sterile e inodore. L’ultima fase è quella di separazione e produzione di materie prime seconde. Una batteria di separatori in serie, mediante azione meccanica e trasporto pneumatico, garantisce in quest’ultima fase la separazione delle tre materie prime secondarie che compongono i prodotti assorbenti: cellulosa, plastica e polimero super assorbente. Le nuove materie prime seconde, di elevata qualità, potranno quindi essere utilizzate in nuovi processi produttivi: le plastiche sono adatte per essere impiegate nei principali processi di lavorazione della plastica, mentre la parte cellulosica può essere utilizzata per diverse applicazioni, tra cui prodotti assorbenti per animali domestici, carte di elevata qualità, prodotti tessili e fertilizzanti. Il polimero super assorbente, invece, sarà reintrodotto per la realizzazione di nuovi prodotti assorbenti e nel settore florovivaistico.
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VANTAGGI DELLA TECNOLOGIA
I vantaggi ambientali ed economici sono evidenti: innanzitutto l’eliminazione dei prodotti assorbenti da discariche e inceneritori e le evitate emissioni di CO2 equivalenti a quelle assorbite ogni anno da oltre 30 mila alberi. Se esteso a tutto il territorio nazionale, questo sistema industriale consentirebbe di ridurre le emissioni climalteranti prodotte ogni anno da oltre 100 mila automobili. Non dimentichiamo poi il riciclo in materie prime di elevata qualità che saranno utilizzabili in molteplici nuove produzioni. Da 1 tonnellata di rifiuti raccolti in maniera differenziata infatti sarà possibile ricavare fino a 150 kg di cellulosa, 75 kg di plastica e 75 kg di polimero super assorbente, che potranno essere impiegati in nuovi processi produttivi restituendo dunque una nuova vita – sotto una diversa forma – ai prodotti assorbenti usati. “Puntiamo all’industrializzazione del nostro processo di riciclo entro il 2018 e a breve installeremo un altro impianto con ulteriori innovazioni in Olanda - ha dichiarato Giovanni Teodorani Fabbri, Fater AHP Recycling BU General Manager - La nostra soddisfazione è duplice: aver fatto la cosa giusta per l’ambiente e aver strutturato un modello di business che si autosostiene sotto il profilo finanziario, a conferma dell’impegno di Fater, e dei suoi azionisti P&G e Gruppo Angelini, nei confronti dei principi dell’Economia Circolare”.
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IL REVAMPING DELLA CALDAIA DI POZZILLI LA MODIFICA DEL PROFILO TERMICO PER RIDURRE SPORCAMENTI E CORROSIONE RENDENDO L’IMPIANTO PIÙ EFFICIENTE E REDDITIZIO di Luigi Bagnoli*
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ell’impianto di trattamento rifiuti la caldaia costituisce un elemento critico in quanto è l’elemento maggiormente soggetto a fenomeni di sporcamento e a fenomeni di corrosione e, allo stesso tempo, l’elemento in cui le fermate per interventi straordinari hanno durata maggiore e richiedono molto spesso la presenza di un ente certificato per il controllo delle parti in pressione. Allo stesso tempo si è riscontrata negli anni la tendenza ad aumentare la pressione e la temperatura del vapore surriscaldato in modo da massimizzare la produzione di energia e rendere questi impianti economicamente sempre più redditizi. Questa tendenza porta ad un aggravio di quelle che sono le condizioni della caldaia che, se progettata senza le dovute attenzioni, può andare incontro a fenomeni seri di corrosione in breve tempo. Nel presente articolo verrà illustrato il revamping di caldaia eseguito per far fronte sia a esigenze di riduzione dei costi di manutenzione, sia a esigenze di mercato e di massimizzazione della redditività dell’impianto. Nella fattispecie verrà analizzato l’impianto Hera di Pozzilli, situato a pochi km da Roma.
CONFIGURAZIONE ORIGINARIA PRIMA DELL’INTERVENTO
L’impianto di Pozzilli (IS), situato a circa 150 km da Roma, di proprietà HERA SpA, è un impianto di combustione di RDF equipaggiato con griglia Martin e caldaia CNIM. L’impianto è entrato in funzione nel 2007 ed è destinato alla produzione di 61 t/h di vapore a 400°C e 60 barg, che alimenta una turbina
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a vapore per la produzione di energia elettrica. Nella figura è illustrato uno schema della caldaia in oggetto.
Caldaia di Pozzilli
terzo giro fumi è stata chiusa l’apertura esistente per il passaggio alla zona degli economizzatori ed è stata praticata lateralmente un’apertura di sezione rettangolare. Da essa i fumi passano in un quarto canale vuoto a pareti membranate, provvisto di parete deviatrice di flusso, e si immettono nella nuova zona convettiva, dove sono installati quattro nuovi surriscaldatori e un nuovo economizzatore. A valle del nuovo economizzatore i fumi sono reimmessi nella zona degli economizzatori esistenti attraverso una condotta e una nuova apertura laterale. In pianta la nuova zona convettiva ha un andamento a ferro di cavallo. Questa nuova disposizione dei surriscaldatori permette di migliorare il profilo termico della caldaia, facendo in modo che i fumi entrino nella zona convettiva a temperature più basse, riducendo drasticamente i fenomeni di corrosione. Inoltre il sistema di pulizia adottato per i nuovi componenti è un sistema di pulizia a martelli. Particolare attenzione è stata prestata allo studio fluidodinamico dei fumi, in modo da assicurarsi che questi entrassero e si distribuissero il più uniformemente possibile nelle nuove unità di scambio. Inoltre è stato anche necessario minimizzare le perdite di carico lato fumi, in quanto la specifica imponeva valori di garanzia molto bassi, dovuti al fatto che non era prevista la sostituzione dell’estrattore esistente. Questo tipo di approccio è totalmente rivoluzionario per casi di “major revamping” di caldaie esistenti, in quanto estende la possibilità a tutte le caldaie a sviluppo verticale di essere trasformate in caldaie a sviluppo orizzontale con i noti vantaggi che questo comporta: minori sporcamenti, caldaie meno soggette a fenomeni di corrosione e di conseguenza minori costi di manutenzione e maggiore disponibilità annuale dell’impianto.
La caldaia è a sviluppo verticale ed è costituita da 5 percorsi fumi: il primo vuoto, il secondo con surriscaldatori di alta e bassa temperatura, il terzo con un vaporizzatore a bandiera e il quarto e quinto con economizzatori. La caldaia ha sin da subito mostrato evidenti problemi di corrosione dei surriscaldatori dovuti alle elevate concentrazioni di composti clorurati, tipici dei prodotti di combustione del RDF, e a un profilo termico sfavorevole, in quanto i fumi ad alta temperatura incontravano subito le superfici dei surriscaldatori, che presentano le più alte temperature di pelle del tubo. Questi fenomeni si traducevano in una vita media dei surriscaldatori inferiore a un anno. Nelle successive sostituzioni dei surriscaldatori è stato deciso di sostituirli con elementi rivestiti in Inconel 625, ma, nonostante questa modifica, la durata di vita dei surriscaldatori non ha mostrato evidenti benefici, attestandosi su circa 2 anni.
SOLUZIONI TERMODINAMICAMENTE SEMPLICI A PROBLEMI COMUNI
Sporcamenti superiori al previsto e fenomeni di corrosione evidenti sono i principali problemi che si riscontrano in questo tipo di impianti. Tali fenomeni portano a indisponibilità impreviste dell’impianto con tempi lunghi di fermata, che si trasformano in elevati costi di manutenzione straordinaria e mancato guadagno per impossibilità di esercizio dell’impianto. L’approccio tipico dei gestori per risolvere i problemi di sporcamento è spesso quello di installare sistemi di pulizia aggiuntivi, come i soffiatori di fuliggine, che si dimostrano molto aggressivi, aggravando i consumi di vapore dell’impianto e aumentando i problemi di corrosione. Per quanto riguarda i problemi di corrosione, si ricorre solitamente alla sostituzione delle parti interessate con elementi rivestiti in Inconel 625, con un cospicuo aumento dei costi. Il nostro approccio è quello di modificare il profilo termico della caldaia in modo da ridurre le temperature dei fumi in ingresso ai banchi di scambio, per ridurre la possibilità che le ceneri ancore fuse possano depositarsi e causare sporcamenti fuori controllo, e di bilanciare in modo corretto le temperature fumi con le temperature di pelle dei tubi, in modo che i fenomeni di corrosione risultino naturalmente ridotti.
*Ruths S.p.A.
MODIFICHE APPORTATE AGLI IMPIANTI
Dopo aver esaminato attentamente le specifiche emesse dai gestori degli impianti e i dati di funzionamento, sono state decise le modifiche più consone da apportare. L’intervento realizzato nell’impianto di Pozzilli è senza dubbio complesso in quanto è volto a trasformare la convettiva della caldaia esistente da una zona a sviluppo verticale a una zona a sviluppo orizzontale. La modifica, in fase di realizzazione, è stata ultimata a novembre 2017 e la messa in servizio della caldaia è avvenuta dicembre 2017. Le modifiche apportate alla caldaia sono mostrate nella figura. Come si può vedere, sono stati eliminati i surriscaldatori dal secondo percorso fumi e il vaporizzatore dal terso canale, in modo da creare tre percorsi radianti completamente vuoti che permettono di abbassare la temperatura in ingresso ai banchi di scambio e di depolverare i fumi. Nella zona superiore del
Modifiche apportate alla caldaia di Pozzilli dopo il revamping
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GLI ARCHI DELL’ILVA DI TARANTO CIMOLAI HA INIZIATO LA REALIZZAZIONE DI UNA DELLE OPERE DI INGEGNERIA PIÙ COMPLESSE A LIVELLO MONDIALE: LA COPERTURA DEI PARCHI PRIMARI PRESSO LO STABILIMENTO ILVA DI TARANTO di Maeva Brunero Bronzin
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e polveri dell’Ilva a Taranto fanno male alla salute. Le vedi che si disperdono nell’aria, che si depositano sui balconi e le senti nei polmoni. A partire dal 2012, il Comune e Arpa Puglia hanno previsto un Piano per l’Aria per limitare l’esposizione dei cittadini alle polveri. Arpa Puglia emana un bollettino di previsioni di vento, e in caso di superamento dei limiti (assai frequente) il Comune chiude le scuole vicine allo stabilimento e l’Asl suggerisce alcune prescrizioni per la tutela della salute, come tenere chiuse
le finestre e limitare le attività all’aperto negli orari ritenuti più pericolosi. Il Wind Day, il giorno di vento, fa riferimento ad eventi meteorologici nei quali la velocità del vento supera determinati limiti e soffia dall’area industriale dell’Ilva in direzione della città, in particolar modo sui quartieri Tamburi e Paolo VI. In queste condizioni il vento soffiando dall’area industriale disperde inquinanti di origine industriale, in particolare PM10 e benzoapirene. Proprio per evitare le dispersioni delle polveri provenienti dall’acciaieria, sono iniziate le
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operazioni di costruzione di un’opera senza eguali che vede in prima linea la società di ingegneria Cimolai Spa. La copertura del parco minerale e del parco fossile dell’Ilva di Taranto vedrà la realizzazione di due enormi capannoni lunghi 700 metri e larghi 250. La copertura modulare sarà suddivisa in due fasi che prevedono rispettivamente la copertura delle aree del Parco Minerale in 24 mesi a partire dal 1° febbraio 2018 e la copertura delle aree del Parco Fossile in 24 mesi a partire da giugno 2018, con la rimozione
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METODO DI MONTAGGIO
1. Sollevamento archi
Ogni arco (capriata) viene ottenuto assemblando n. 5 conci premontati a terra: • n. 2 conci laterali (1 per lato, rispettivamente da nodo di base a M4 e da nodo di base a M20) vengono posizionati direttamente sulle rulliere, ciascuno sollevato con gru di adeguata portata (che agisce dall’area di montaggio compresa tra i nastri delle macchine bivalenti); • n. 1 concio di simmetria (colmo della capriata, da M8 a M16) di lunghezza pari a circa 110 m da assemblare a terra e collocare in quota, in appoggio sulle barelle delle 4 pile provvisorie principali; • n. 2 conci intermedi (di collegamento tra i conci laterali e il concio di simmetria, ovvero M4‐M8 e M16‐M20), lunghi 50 m ciascuno, da assemblare a terra, sollevare e collegare in quota al concio di simmetria in modo tale da arrivare a terra con le estremità. Il sollevamento alla quota definitiva della parte centrale della copertura (compreso tra gli allineamenti M4 e M20, ovvero concio di simmetria e i 2 conci intermedi) avviene una volta avvenuto il posizionamento in appoggio su n. 4 pile provvisorie di altezza H ≈ 60 m, dotate di barelle, di gruppi di n. 6 archi consecutivi, sollevati uno per volta e collegati gli uni agli altri tramite gli elementi di infill. La lunghezza longitudinale di tale modulo è di 84 m (70 + 14 m). Sollevata in quota con l’impiego degli strand jack la parte di copertura centrale (n. 6 archi consecutivi, da M4 a M20), si realizzano i giunti con i conci laterali (già opportunamente sollevati e fissati a terra), si procede all’abbassamento delle barelle e alle operazioni di traslazione longitudinale della copertura; Si evidenzia che la sequenza di sollevamento dei singoli conci laterali d’arco (compresi tra gli allineamenti M1 e M4, M20 e M23) è condizionata dalla posizione della controventatura provvisoria, che varia al variare del modulo. I conci laterali d’arco (porzioni tra M1 e M4, tra M20 e M23) vengono sostenuti tramite puntoni provvisori fino all’avvenuto collegamento con la parte centrale di arco (M4‐M20).
2. Traslazione sottomoduli e moduli
Si hanno due “tipologie” di traslazione longitudinale, identiche nelle modalità di esecuzione ma differenti per il ruolo che rivestono: • traslazione parziale: si traslano longitudinalmente parti di copertura costituite progressivamente da n. 6, 12 e 18 archi consecutivi per andare a costituire il singolo modulo completo. Le traslazioni parziali hanno una corsa di 84 m; • traslazione dei moduli: si traslano longitudinalmente i singoli moduli da 18 archi per il posizionamento in sede definitiva. La traslazione più lunga è di 294 m circa. La traslazione dei moduli avviene senza manto di copertura ma con gli arcarecci e gli impianti montati.
del materiale polverulento dalle aree non utilizzate. Le prime zone dei parchi che verranno coperte saranno quelle più vicine al quartiere Tamburi per poi proseguire lungo il resto dell’area prevista. Per realizzare l’opera saranno utilizzate 60.000 tonnellate di acciaio e 200.000 m3 di calcestruzzo. Ogni giorno lavorano per questa immensa opera circa 200 operai. La misura chiesta da anni dalla popolazione tarantina è stata inserita nell’AIA Ilva ed è parte integrante del piano ambientale. L’investimento complessivo per la rea-
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lizzazione dell’opera è di circa 300 milioni di euro, con oneri che saranno interamente a carico dell’investitore AM Investco, come previsto nel contratto sottoscritto con i Commissari Straordinari.
IL PROGETTO DELLA COPERTURA REALIZZAZIONE DELLE FONDAZIONI
Lungo le fiancate della copertura è prevista la realizzazione di plinti su pali, collegati da travi correnti lungo tutto lo sviluppo
della copertura, pari a 700 m. La sezione della trave di collegamento è opportunamente sagomata in sommità per l’alloggiamento delle vie di corsa, necessarie ad effettuare la traslazione dei moduli in fase di montaggio della copertura. I pali avranno diametro pari a 1,5 m e lunghezza compresa tra 35 e 40 m. I 2 frontoni poggiano su plinti isolati, realizzati su pali di diametro 1,2 m e lunghezza pari a circa 30 m. All’interno delle coperture saranno inoltre realizzati dei muri di contenimento dei cu-
muli di materiale stoccati sotto le coperture stesse.
STRUTTURA METALLICA
La copertura in oggetto, di lunghezza pari a 700 m, è suddivisa in tre blocchi per il Parco Minerale e sette per il parco Fossile chiamati “moduli”, con giunti di dilatazione longitudinali posizionati in corrispondenza dell’interruzione dei singoli moduli. La struttura dell’edificio è costituita da una sequenza di archi reticolari, 53 per il Parco Minerale e 56 per il Parco Fossile, ciascuno dei quali di luce pari a 254 m, posizionati ad un interasse di 14 m, ad eccezione degli archi in prossimità del giunto di dilatazione, dove il passo si riduce in modo da garantire un giunto tecnico. Completano la struttura, le facciate realizzate alle due estremità della copertura e collegate agli archi principali tramite giunti di dilatazione. Ciascuna facciata è provvista di 2 portoni di altezza pari a circa 45 m che consentiranno la fuoriuscita delle macchine bivalenti in occasione degli interventi di manutenzione.
MACROFASI DI MONTAGGIO
L’esigenza di mantenere i Parchi in esercizio durante la costruzione delle coperture, e la conseguente limitata estensione dell’area di cantiere a disposizione per il montaggio a terra ed il sollevamento in quota delle strutture, comporta la necessità di montare la copertura in un’area che non coincide con la posizione definitiva dei moduli; si dovrà quindi procedere con una traslazione in sede definitiva dei moduli di copertura, precedentemente montati nell’area di cantiere prestabilita. Il montaggio delle strutture prevede pertanto le seguenti macrofasi: 1. montaggio del modulo est, che, una volta completato, dovrà essere traslato per il posizionamento in sede definitiva; 2. montaggio del modulo centrale, con successiva traslazione in posizione finale e collegamento in quota al modulo est traslato in precedenza; 3. montaggio del modulo ovest in posizione pressoché definitiva e collegamento in quota al modulo centrale.
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Ciascuno dei 3 moduli (est, centro, ovest) viene a sua volta suddiviso preventivamente in n. 3 sottomoduli da 6 archi ciascuno, i quali vengono assemblati e sollevati in quota singolarmente, per poi essere traslati per un breve tratto tale da consentire il completo collegamento tra loro. L’esigenza di dover traslare i moduli in posizione definitiva dopo essere stati completati nell’area di assiemaggio, ha comportato una serie di accorgimenti strutturali, finalizzati a permettere e agevolare le operazioni di montaggio e di movimentazione: • i basamenti degli archi sono stati appositamente conformati e progettati per poter poggiare su idonei dispositivi di traslazione; • i plinti di fondazione degli archi sono collegati mediante una trave di fondazione in calcestruzzo opportunamente sagomata in sommità per consentire l’alloggiamento delle vie di corsa e delle rulliere necessarie ad effettuare la traslazione dei moduli.
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L’INTERVENTO DI MESSA IN SICUREZZA PERMANENTE DELLE STRADE WAELZ NEL COMUNE DI PORTOSCUSO L’IMPIEGO DI GEOMEMBRANE IN HDPE SOTRAFA PER L’IMPERMEABILIZZAZIONE DELLE SCORIE WAELZ IMPIEGATE IN PASSATO PER LA REALIZZAZIONE DI STRADE di Gianfranco Mulas*
STRADE WAELZ Alla fine degli anni settanta alcune strade sterrate del Comune di Portoscuso sono state livellate utilizzando una pavimentazione stradale formata in gran parte da rifiuti industriali (scorie Waelz) misti con un aggregante costituito da malta cementizia. Le scorie Waelz sono costituite da una matrice amorfa grigiastra dall’elevato potere cementante e sono caratterizzate dalla presenza di ossidi di ferro, silice e ossidi di calcio come componenti primari, e da ossidi di potassio, magnesio e alluminio come componenti secondari. La scoria Waelz, in virtù della stabilità dei legami silicatici presenti nella sua struttura, ha tenori rilevanti di metalli pesanti con valori di 5,5% di zinco, 5,44% di piombo e 0,2% di arsenico. I rifiuti utilizzati per la realizzazione delle strade Waelz provenivano dagli scarti di lavorazione dello stabilimento AMMI SARDA (oggi gestito da Portovesme S.r.l.), che trattava minerali arricchiti per flottazione, di piombo e di zinco. Lo Stabilimento AMMI SARDA di proprietà dell’EGAM fu costruito nel 1968 con lo scopo di trattare minerali sardi (solfuri e ossidi) di Pb e Zn e per svolgere attività di metallurgia primaria nel campo dei non ferrosi. Nel dicembre del 1978 la Società viene rilevata dalla Samim S.p.A. (Società Azionaria Minerario Metallurgica) a partecipazione statale Eni, che nel 1985 diventa Nuova Samim S.p.A. e poi Enirisorse. Le produzioni riguardavano sempre Piombo o Zinco, con tecnologie ed impianti rinnovati legati agli investimenti operati dalla Società del gruppo Eni negli anni successivi all’acquisizione dell’impianto.
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l Comune di Portoscuso, ubicato nella costa sud occidentale della Sardegna, si estende per una superficie di 39,06 km 2. L’intero territorio comunale di Portoscuso è stato compreso all’interno del sito di interesse nazionale del Sulcis-Iglesiente-Guspinese (D.M. 12 marzo 2003) all’interno del quale sono ricomprese anche le Strade Waelz, strade carrarecce che, alla fine degli anni settanta ed inizio degli anni ottanta, in accordo tra AMMI SARDA SpA e Comune di Portoscuso, sono state rese praticabili utilizzando una pavimentazione stradale costituita dai rifiuti provenienti dallo stabilimento metallurgico per la produzione di Piombo e Zinco primario sito nel Polo di Portovesme (scorie Waelz). Nell’ambito della caratterizzazione ambientale sono state individuate e mappate, in tutto il territorio Comunale di Portoscuso, 39 strade per uno sviluppo complessivo di circa 23 km. Le strade sono state accorpate in 5 subzone (denominate A, B, C, D, E) che comprendono territori a uso del suolo simile (aree urbane, agricole, libere) e caratteristiche geologico-stratigrafiche ed idrogeologiche omogenee. L’esecuzione del piano di indagine previsto nel Piano della Caratterizzazione ha permesso di determinare le caratteristiche costruttive delle strade, che presentano vari quantitativi di scorie posizionate in maniera non omogenea lungo le carreggiate, evidenziando spessori variabili da pochi centimetri ad oltre un metro (mediamente si riscontrano spessori intorno ai 40 cm).
INDAGINI ESEGUITE
In totale il piano di indagine ha comportato l’esecuzione di: • n. 71 sondaggi superficiali spinti alla profondità media di circa 1,50 metri dal p.c. (salvo casi isolati in cui sono stati messi alla luce spessori di scorie maggiori); • n. 22 sondaggi adibiti a piezometro spinti sino al raggiungimento della falda superficiale (ove presente) con profondità variabili da circa 8 metri a circa 15 metri dal p.c. In fase di definizione del piano di indagine lo spessore massimo delle scorie, stimato sulla base dei dati forniti dagli studi pregressi, è stato considerato mediamente di circa 40 cm.
Per tale motivo, il piano di campionamento definito per i sondaggi superficiali prevedeva per ogni punto di “sondaggio superficiale”, il prelievo di tre aliquote di campione di terreno così definite: • campione 1, campione medio composito dello strato di scorie Waelz nell’intervallo 0–40 cm; • campione 2, campione medio composito del terreno naturale posto subito al di sotto dello strato delle scorie Waelz, nell’intervallo 40–90 cm; • campione 3, campione medio composito del terreno naturale posto nell’intervallo 90–150 cm. Le indagini realizzate hanno confermato tali indicazioni solo in parte, evidenziando infatti situazioni in cui gli spessori di scorie variano da qualche centimetro sino ad oltre il metro, con una distribuzione delle scorie lungo le strade che non presenta uniformità nelle tre dimensioni.
RISULTATI DEI CAMPIONAMENTI
Le analisi dei campioni del suolo superficiale e profondo hanno mostrato il superamento dei limiti della normativa, previsti dal D.Lgs 152/06 e s.m.i. Allegato 5 tabella 1A (Siti ad uso verde pubblico, privato e residenziale), per i seguenti analiti: Antimonio, Arsenico, Cadmio, Mercurio, Piombo, Stagno, Zinco, Berillio, Vanadio, Idrocarburi C>12, Benzo(a) antracene, Dibenzo(a,e)pirene, Benzo(a)pirene, Dibenzo(a,l) pirene, Benzo(g,h,i)terilene, Indenopirene. Tra i superamenti rilevati nei suoli di alcuni sondaggi superficiali è importante sottolineare che sono stati riscontrati valori fuori limite anche per una serie di elementi non correlabili alle scorie, quali i policiclici aromatici e gli idrocarburi pesanti. Nell’ambito della Caratterizzazione delle Strade Waelz sono stati realizzati 21 piezometri, di cui 13 hanno intercettato una falda campionabile e hanno permesso l’analisi delle acque sotterranee. Le analisi delle acque hanno evidenziato sui piezometri PZ5, PZ7, PZ15, PZ22, PZ24, PZ26, PZ27 concentrazioni di manganese superiori ai limiti di Tab. 2 All. 5 D.Lgs. 152/06 ma comunque inferiori al valore di fondo definito nell’ambito delle aree esterne al PdC dell’intero territorio comunale, mentre sui piezometri PZ15, PZ22, PZ23, PZ24, PZ26 si ha un superamento dei limiti per i solfati, ma solo PZ15 supera il valore di fondo determinato per i solfati.
BONIFICA DEGLI HOT SPOT E MESSA IN SICUREZZA PERMANENTE DELLE STRADE
Tutte le strade (anche se sterrate) sono assiduamente utilizzate ed il manto stradale, costituito in parte da scorie, si presenta in condizioni precarie per effetto di un’azione continua di erosione, il cui effetto è quello di creare accumulo lungo i margini stradali di polveri e frammenti di scorie; in un simile contesto si è resa necessaria l’attivazione della messa in sicurezza di tutte le strade. In base agli esiti delle analisi si è delineata dunque la necessità di interventi che mirassero a neutralizzare la possibilità di fenomeni di migrazione della contaminazione, sia dovuta a fenomeni di lisciviazione dei livelli contaminati ad opera di fluidi percolanti, sia causata dal trasporto del-
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le frazioni più fini presenti negli strati superficiali. In generale sono state attuate tre diverse tipologie di intervento: • la rimozione dei volumi contaminati in prossimità degli hot spots; • la messa in sicurezza permanente delle strade; • il monitoraggio delle acque di falda e gli eventuali interventi di MISE. L’intervento di bonifica degli Hot Spot contaminati ha previsto la totale asportazione delle scorie e del terreno contaminato in prossimità di quei punti in cui sono stati rilevati superamenti non attribuibili alla tipica azione contaminante delle scorie.
MESSA IN SICUREZZA PERMANENTE DELLE STRADE
Il Progetto di messa in sicurezza permanente delle strade aveva l’obiettivo di interrompere i potenziali percorsi di migrazione degli inquinanti, isolare in modo definitivo la sorgente inquinante rispetto alle matrici ambientali circostanti e garantire il ripristino e la funzionalità delle strade. L’intervento è consistito nella messa in sicurezza permanente delle scorie Waelz mediante l’esecuzione delle seguenti fasi di lavoro: • sistemazione del piano stradale esistente mediante la stesa di uno strato di regolarizzazione; • stesa di un Tessuto Non Tessuto da 100 g/mq; • stesa di geomembrana Sotrafa Alvatech 5002 in HDPE da 1.5 mm; • stesa di un Tessuto Non Tessuto da 200 g/mq; • stesura di uno strato di protezione del sistema di impermeabilizzazione. In particolare per il telo impermeabile in HDPE e i teli in Tessuto Non Tessuto è stato previsto l’ammorsamento in una canala ad una profondità inferiore di almeno 50 cm dal fondo delle scorie, al fine di garantire l’impermeabilizzazione non solo delle scorie ma anche del primo strato di suolo sottostante campionato. Al fine di quantificare la profondità delle scorie si è fatto riferimento ai sondaggi eseguiti nell’ambito del PdC
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Strade Waelz. Nelle aree contaminate si è proceduto alla rimozione del terreno. Tutto il materiale asportato è stato caratterizzato per il conferimento a smaltimento ai sensi del Decreto Ministero Ambiente del 27 settembre 2010, successivamente trasportato con mezzi autorizzati verso siti idonei alla gestione e smaltimento dei rifiuti.
RIPRISTINO PAVIMENTAZIONE STRADALE
Successivamente alla messa in sicurezza permanente delle scorie mediante la posa in opera del sistema di impermeabilizzazione costituito da: • sistemazione del piano stradale esistente mediante la stesa di uno strato di regolarizzazione; • stesa di un Tessuto Non Tessuto da 100 g/mq; • stesa di geomembrana Sotrafa Alvatech 5002 in HDPE da 1.5 mm; • stesa di un Tessuto Non Tessuto da 200 g/mq; • stesura di uno strato di protezione del sistema di impermeabilizzazione; si è proceduto al ripristino della sede stradale secondo modalità costruttive definite per ciascuna Strada. Lo schema costruttivo prevedeva:
•
stesa di uno strato di Binder (sp. 8 cm); • stesa di un tappettino d’usura (sp. 3 cm). Al fine di migliorare le condizioni di sicurezza, si è prevista sia la segnaletica orizzontale che verticale lungo tutta l’estensione delle strade oggetto di intervento. In corrispondenza della Strada n. 19, visto il particolare pregio paesaggistico, è stata prevista una superficie finita di scorrimento di colore rosso, ottenuta mescolando degli ossidi di ferro al conglomerato bituminoso del manto di usura. Questa soluzione tecnica, permetterà di ottenere una colorazione duratura nel tempo rispetto ad un’applicazione superficiale di vernice colorante. Nelle strade interne alla pineta di Guruneddu il ripristino della pavimentazione stradale è già avvenuto con l’utilizzo di pavimentazione ecologica in terra stabilizzata per i percorsi ciclopedonali e con pavimentazione architettonica con inerti a vista in conglomerato cementizio armato disattivato per le strade carrabili. Inoltre lungo la sede stradale sono state previste delle staccionate di protezione in legno in corrispondenza dei tratti più scoscesi. *Comune di Portoscuso
GEOMEMBRANA SOTRAFA ALVATECH 5002 HDPE La geomembrana Sotrafa Alvatech 5002 HDPE è una barriera impermeabile realizzata in polietilene ad alta densità e liscia su entrambe le superfici. L’utilizzo in produzione di specifiche formulazioni le conferisce un’eccellente saldabilità e ne esalta le proprietà meccaniche e la resistenza chimica. Il sistema di fabbricazione a testa piana (calandrato) ricorre alle più recenti tecnologie, assicurando un eccellente controllo dello spessore e una perfetta uniformità della superficie (con un accenno in rilievo che favorisce l’installazione del prodotto in sito). La geomembrana è disponibile in due larghezze: 5,8 m e 7,5 m. L’utilizzo della larghezza da 7,5 m ottimizza i costi di installazione ed il controllo qualità sul posto, riducendo di oltre il 20% il numero di saldature rispetto alla versione di larghezza di 6 m. La geomembrana Sotrafa è prodotta con la Certificazione di Qualità ISO 9001, pienamente conforme ai requisiti standard richiesti dalle norme vigenti in ogni mercato: • Norme europee armonizzate: UNI EN 13361:2013 (bacini e dighe) // UNI EN 13362:2013 (canali) // UNI EN 13491:2013 (gallerie e strutture in sotterraneo) // UNI EN 13492:2013 (discariche per smaltimento e gestione rifiuti liquidi) // UNI EN 13493:2013 (discariche per accumulo e smaltimento rifiuti solidi) // UNI EN 15382:2013 (infrastrutture di trasporto) e certificazioni di qualità come ASQUAL. • Norme italiane: UNI 11309 per la geomembrana in HDPE liscia, UNI 11498 per la geomembrana in HDPE strutturata. Sotrafa impiega nelle sue produzioni unicamente resine di prima qualità, vergini al 100%. In funzione dei diversi spessori è in grado di offrire da oltre 10 anni un prodotto garantito con prestazioni affidabili.
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MICROONDE PER LA BONIFICA DI SEDIMENTI MARINI CONTAMINATI DA IDROCARBURI UNA TECNICA INNOVATIVA CHE COMBINA L’AZIONE SIMULTANEA DI IRRADIAMENTO A MICROONDE E L’UTILIZZO DI ACIDO CITRICO E GLICEROLO PER RIMUOVERE GLI IDROCARBURI TOTALI DAI SEDIMENTI MARINI di Fabiano Castrogiovanni*
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’intenso sviluppo industriale dell’ultimo secolo, se da un lato ha generato ricchezza e sviluppo per la nostra società, dall’altro ha determinato un significativo impatto sulle diverse matrici ambientali. A tal proposito, tra le varie problematiche che la società è chiamata ad affrontare vi è quella della contaminazione dei sedimenti marini. Le principali cause di inquinamento sono da individuare nelle attività connesse alla raffinazione del petrolio, all’industria chimica, petrolchimica e a quella metallurgica. Ciò rappresenta un grave problema che necessita di efficaci strumenti di risanamento ambientale. Data l’enorme varietà di inquinanti e la necessità di contenere i costi di intervento, sono state definite una rapida e costante crescita del settore tecnicoscientifico per il miglioramento delle tecnologie a disposizione e la nascita di nuovi strumenti per la bonifica dei sedimenti contaminati. Fra i trattamenti di rimozione degli idrocarburi dai sedimenti, i metodi tradizionali possono risultare inefficaci. Di contro, le caratteristiche del sedimento, come la sua composizione mineralogica e l’elevata presenza di
acqua, potrebbero rappresentare degli elementi di vantaggio per un trattamento ultimamente ampiamente studiato, vale a dire il desorbimento termico a microonde. Fra i vantaggi che esso mostra è da sottolineare la possibilità di provocare un riscaldamento rapido, uniforme ed efficiente da un punto di vista energetico, senza un diretto contatto tra la sorgente e il materiale da riscaldare. Non meno importanti sono la rapidità e la flessibilità di applicazione del processo, la facilità di controllo, la riduzione delle dimensioni impiantistiche e dei rifiuti prodotti. Infine, il riscaldamento a microonde permette di mantenere le temperature entro un certo limite, in modo da evitare la termodistruzione del materiale trattato. Obiettivo del lavoro è stato quello di valutare la possibilità di bonificare con successo sedimenti marini severamente contaminati da idrocarburi del petrolio (Total Petrol Hydrocarbons, TPHs) mediante trattamento di desorbimento termico a microonde. L’attività di ricerca si è basata su una sinergica collaborazione tra i Dipartimenti di Ingegneria Civile e Architettura, di Fisica e Astronomia e quello di Scienze Chimiche
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dell’Università degli Studi di Catania.
BASE DI PARTENZA SCIENTIFICA E OBIETTIVI DEL LAVORO
Limitate sono le tecniche documentate per poter trattare sedimenti marini contaminati da TPH. Tra essi vi sono i trattamenti di bioremediation, i quali hanno dimostrato un alto livello di rimozione, circa il 90%, ma a fronte di tempi di trattamento troppo lunghi. Vi sono inoltre i trattamenti di phytoremediation, con rendimenti di rimozione del 12% in 150 giorni di trattamento o del 65%, ma in 365 giorni. Al contrario, la decontaminazione elettrocinetica raggiunge efficienze del 90% in soli 30 giorni, sebbene presenti costi elevati. I risultati ottenuti mediante trattamenti termici convenzionali hanno restituito un’alta percentuale di rimozione, richiedendo però costi più alti e temperature di esercizio elevate. Le caratteristiche dei sedimenti e l’alto contenuto di acqua potrebbero rappresentare dei vantaggi importanti nell’applicazione delle tecniche a microonde, le quali negli ultimi anni sono aumentate grazie alla loro elevata efficienza di rimozione di contaminanti dal suolo e anche per i costi minori rispetto alle tecniche convenzionali. Il fattore chiave del processo di bonifica a micro-
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onde è rappresentato dal meccanismo di parziale dissipazione dell’energia del campo elettromagnetico e della sua conversione in calore necessario per il desorbimento dei contaminanti. I minerali che costituiscono i sedimenti marini hanno proprietà dielettriche superiori ai minerali del suolo e questo rappresenta un fattore chiave per il raggiungimento delle alte temperature, necessarie per attivare la rimozione termica degli idrocarburi dai sedimenti. Pertanto, l’irradiamento tramite MW potrebbe rivelarsi una tecnica alternativa per la bonifica di sedimenti marini contaminati da TPH. L’applicazione di tensioattivi per migliorare la solubilizzazione e l’estrazione degli inquinanti idrofobici è stata oggetto di numerosi studi. Tuttavia, tenendo conto degli effetti sull’ambiente dei composti chimici da utilizzare, si sta promuovendo l’indagine sull’uso di tensioattivi altamente degradabili in sostituzione dei prodotti tossici. Un agente chimico con un ottimo potenziale di degradazione del contaminante, altamente degradabile e non tossico è l’acido citrico; la sua capacità di solubilizzazione dipende dal tipo di suolo/sedimento, dal contenuto di sostanza organica, dal pH e dal livello di sostanze tossiche. Diversi materiali vengono utilizzati come amplificatori della temperatura i quali, se in forma solida, alla fine del trattamento devono essere rimossi dalla matrice trattata. Per ovviare tale problematica e utilizzare un materiale altamente biodegradabile ed ecosostenibile, oltre che con ottime capacità dielettriche, si è deciso di utilizzare per la prima volta il glicerolo liquido, con lo scopo di far raggiungere al sedimento un’elevata temperatura e, quindi, facilitare la rimozione del contaminante dal sedimento. Il glicerolo presenta una costante dielettrica relativa εr di 42,6, il che lo rende adatto all’utilizzo come amplificatore della temperatura nel trattamento a microonde. Gli obiettivi dell’attività sperimentale sono stati quelli di investigare la capacità di una tecnica innovativa ibrida per la rimozione di idrocarburi totali (TPH) da sedimenti marini contaminati. Ciò include l’azione simultanea di irradiamento a microonde a basse potenze, insieme all’utilizzo di acido citrico e glicerolo altamente biodegradabili ed ecosostenibili. In particolare, è stata valutata l’influenza del tempo sulle temperature raggiungibili durante il trattamento, nonché sulle cinetiche di rimozione degli idrocarburi totali.
MATERIALI E METODI DELL’ATTIVITÀ SPERIMENTALE
I sedimenti analizzati durante l’attività sperimentale sono stati ottenuti da attività di dragaggio presso uno dei SIN costieri della Regione Sicilia. È stata effettuata una caratterizzazione completa sia in termini di caratteristiche chimico-fisiche sia di livelli di contaminazione (Tabella 1). Dalle analisi effettuate è stata rilevata un’elevata concentrazione di idrocarburi totali pari a 33530 mg kg-1. La verifica dell’efficienza di rimozione degli idrocarburi tramite microonde è stata simulata mediante l’utilizzo di un setup sperimentale bench-scale il cui schema di impianto è riportato in Figura 1. Il trattamento a microonde è stato simulato posizionando un campione di sedimento all’interno della cavità del forno, irradiato alla potenza di 350 o 650 W per tempi variabili da 0,5 a 30 min; sono stati considerati anche dei trattamenti con sedi-
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PROPRIETÀ FISICHE
VALORE
Densità (g cm-3)
2,5
pH
8,4
Contenuto di umidità (%)
28,0
Materia organica (%)
8,2
Solfuri (mg kg-1)
61,0
Salinità (%)
4,4
MINERALI PRINCIPALI
CONCENTRAZIONE (%)
Calcite (CaCO3)
66,4
Quarzo (SiO2)
22,4
Minerali argillosi
5,0
Altro
6,2
DISTRIBUZIONE DELLE DIMENSIONI DELLE PARTICELLE
CONCENTRAZIONE (%)
Argilla
3,0
Limo
77,4
Sabbia
19,6
CONTENUTO DI TPH
CONCENTRAZIONE (MG KG-1)
∑TPH frazioni (C12-C40)
33530
Tabella 1. Proprietà fisico-chimiche dei sedimenti dragati.
Figura 1. Layout dell’impianto realizzato in laboratorio. 1) forno, 2) crogiolo in ceramica, 3) termocoppia di tipo k, 4) sistema di acquisizione dati, 5) separatore di condensa sotto ghiaccio, 6) filtro a carboni attivi, 7) pompa a vuoto, 8) cappa aspirante.
mento essiccato precedentemente in stufa a 70°C, e altri condizionati mediante l’utilizzo di agenti chimici: acido citrico e glicerolo; il loro impiego è stato di 0,1 - 0,2 - 0,3 - 0,4 e 0,5 M per il primo e nelle percentuali del 2,5% - 5% - 10% - 20% e 30% per il secondo. La Tabella 2 riporta una sintesi delle prove condotte.
RISULTATI E DISCUSSIONI
I risultati ottenuti mostrano un incremento di temperatura nel tempo dovuto alle caratteristiche del sedimento, le quali favoriscono la conversione delle microonde in calore. Un parametro fondamentale che caratterizza l’irradiamento a microonde è il fattore di perdita dielettrica (ε”) che definisce indirettamente la capacità di trasformare in calore l’energia assorbita dalle mi-
PROVA
AGENTE CHIMICO
TEMPO DI CONTATTO (MIN)
POTENZA (W)
TEMPO (MINUTI)
MW
-
-
650
0,5 - 1 - 3 - 5 - 10 - 15 - 30
MW - DRY
-
-
650
0,5 - 1 - 3 - 5 - 10 - 15 - 30
MW - CA
acido citrico (0,1M)
60
350 - 650
0,5 - 1 - 3 - 5 - 10 - 15 - 30
MW - CA
acido citrico (0,2 - 0,3 - 0,4 - 0,5 M)
60
650
3
MW - CA
acido citrico (0,1M)
5 - 30 - 12 h - 24 h
650
3
MW - G
glicerolo (5%)
60
650
0,5 - 1 - 3 - 5 - 10 - 15
MW - G
glicerolo (10% - 20% - 30%)
60
650
0,5 - 1
MW - G
glicerolo (2,5% - 10% - 20%)
60
650
3-5
MW - G
glicerolo (10 %)
60
350
0,5 - 1 - 3 - 5 - 10
Tabella 2. Riepilogo delle prove MW effettuate in laboratorio
croonde. L’acqua, essendo un composto altamente polare con una costante dielettrica relativa elevata (εr = 80), è maggiormente sottoposta all’azione delle microonde e subisce un tasso di riscaldamento superiore rispetto al gasolio, per cui si può affermare che l’acqua migliora le caratteristiche dielettriche del sistema sedimento-contaminante. Le caratteristiche dielettriche del glicerolo (εr = 42,6), anche se minori rispetto a quelle dell’acqua, hanno permesso ai campioni di sedimento di raggiungere temperature elevate, permettendo l’evaporizzazione diretta del contaminante Figura 2. Profilo di temperatura al variare del tempo di trattamento nei trattamenti MW; MW-DRY; MW-CA non appena il glicerolo passa dalla fase liquida a quella gassosa. I valori di temperatura raggiunti dal sedimento senza agenti chimici (acido citrico e glicerolo) sono stati quasi nella maggior parte dei casi minori. Come è possibile osservare nei grafici delle Figure 2 e 3, i valori di temperatura ottenuti hanno dimostrato le ottime capacità dielettriche del materiale in esame. Particolarmente interessante è stato il comportamento del glicerolo che ha permesso ai vari campioni di sedimenti di raggiungere temperature uguali e, in alcuni casi, superiori a quelli raggiunti dal cloruro di sodio puro (Figura 3). L’effetto di riscaldamento del sistema sedimento-contaminante e quello di azione diretta delle microonde sul contaminante, hanno determinato il desorbimento di Figura 3. Profilo di temperatura al variare del tempo di trattamento nei trattamenti MW; MW-DRY; MW-G quest’ultimo e il conseguente abbattimento della concentrazione iniziale C0 (33530 mg kg-1). Come previsto, la concentrazione residua di TPH è diminuita all’aumentare del tempo di trattamento. Durante il trattamento, l’acqua viene gradualmente convertita in vapore già nei primi minuti e, all’aumentare della temperatura, si ha la conseguente rimozione del contaminante. Quindi, tanto maggiore è la temperatura, quanto maggiore sarà il vapore generato dal riscaldamento della matrice e, al tempo stesso, la presenza di vapore potrà modificare la struttura
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P ROG ETTI
E
TE CNO LO G IE
Figura 4. Tasso di abbattimento della concentrazione di TPH nei trattamenti MW; MW-DRY; MW-CA in funzione della potenza utilizzata e del tempo di trattamento
Figura 5. Tasso di abbattimento della concentrazione di TPH nei trattamenti MW; MW-DRY; MW-G in funzione della potenza utilizzata e del tempo di trattamento
TIME (MIN)
R(%) -MW (650W)
R(%) MW (650W) - DRY
dei sedimenti, aumentandone la porosità e quindi favorendo l’allontanamento del contaminante. Le modellazioni dei dati di concentrazione residua, ottenuti al variare della potenza (350-650 W) e, in funzione dei tempi di trattamento analizzati (0,5-30 min.), sono riportate nei grafici delle Figure 4 e 5. Accanto ai valori sperimentali ottenuti sono riportate le equazioni delle rette di abbattimento e la retta che individua il valore di TPH limite ammesso (750 mg kg-1). Nelle Tabelle 3 e 4 sono riportati i rendimenti di rimozione R ottenuti nei vari trattamenti effettuati. I risultati delle prove condotte mostrano come dopo soli 10 minuti di irradiamento alla potenza di 650 W, l’efficienza di rimozione sia del 95,59% mentre dopo un irradiamento di 30 minuti si raggiunga una rimozione di contaminante del 99,87%. L’elevata temperatura, raggiunta grazie alla conversione dell’energia delle microonde in calore, è stata un parametro molto significativo, da essa è dipesa infatti l’ottima efficienza della tecnica di desorbimento termico a microonde applicata ai sedimenti. Per quanto riguarda le prove MW con l’aggiunta di acido citrico al sedimento, quelle con potenza di irradiamento di 650 W hanno mostrato ottime capacità di rimozione facendo raggiungere efficienze del 99,90%, mentre quelle con potenza di 350 W non hanno permesso di raggiungere efficienze superiori al 77%. Per quanto riguarda le prove MW con l’aggiunta di glicerolo al sedimento, quelle in cui è stato aggiunto il 5% a una potenza di irradiamento di 650 W hanno mostrato eccellenti capacità di rimozione facendo raggiungere efficienze del 99,99% per tempo di trattamento di 15 minuti, mentre quelle con potenza di 350 W, con il 10% di glicerolo, hanno permesso di raggiungere efficienze superiori al del 98,80% per tempi di trattamento di 10 minuti.
R(%) MW (650 W) - CA (0.1M)
R(%) MW (350 W) - CA (0.2M)
0,5
31,33
1,25
36,91
16,46
1
40,43
21,15
44,99
23,49
3
60,34
31,42
47,75
37,04
5
70,07
51,12
76,87
47,96
10
95,59
76,21
96,49
59,15
15
99,57
95,84
99,71
68,27
30
99,87
99,83
99,90
77,17
Tabella 3. Efficienze di rimozione in percentuale nelle prove MW; MW-DRY; MW-CA
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TIME (MIN)
R(%) -MW (650W)
R(%) MW (650W) - DRY
R(%) MW (650 W) + G(5%)
R(%) MW (650 W) + G(10%)
R(%) MW (350 W) + G(10%)
0,5
31,33
1,25
33,99
36,40
18,36
1
40,43
21,15
43,40
67,47
31,77
3
60,34
31,42
80,75
99,64
55,12
5
70,07
51,12
97,71
99,95
72,19
10
95,59
76,21
99,96
15
99,57
95,84
99,99
98,80
Tabella 4. Efficienze di rimozione in percentuale nelle prove MW; MW-DRY; MW-G.
CONCLUSIONI
La simulazione a scala di laboratorio del trattamento termico a microonde per la rimozione di idrocarburi pesanti da sedimenti contaminati ha restituito ottimi risultati. In particolare, sono state raggiunte elevate temperature, grazie alla composizione mineralogica che costituisce i sedimenti, principalmente calcite, la quale possiede un elevato fattore di perdita dielettrica ε’’. Questa caratteristica ha fatto sì che, a differenza dei suoli, sia stato possibile raggiungere elevate temperature e di conseguenza avere una maggiore rimozione di contaminante. Per quanto riguarda la concentrazione di TPH, è stata osservata una drastica diminuzione all’aumentare del tempo di irradiamento, inoltre l’elevato contenuto di acqua presente nei sedimenti ha favorito il processo di abbattimento della concentrazione del contaminante, determinando un maggiore riscaldamento del sistema sedimento-contaminante e, di conseguenza, un maggior grado di rimozione, dovuto sia alle maggiori temperature raggiunte, sia allo strippaggio fisico del contaminante da parte del vapore. In definitiva, l’esito delle prove effettuate ha dimostrato come il trattamento termico a microonde in combinazione con l’utilizzo di agenti chimici opportunamente aggiunti sia una tecnica valida per la bonifica dei sedimenti contaminati da TPH. *Università degli Studi di Catania, Dipartimento di Ingegneria Civile e Architettura
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LA RESPONSABILITÀ AMBIENTALE E GLI OBBLIGHI GRAVANTI SUI PROPRIETARI DI SITI CONTAMINATI RICOSTRUZIONE DEL QUADRO NORMATIVO E GIURISPRUDENZIALE ALLA LUCE DELLA NOTA MATTM N. 1495 DEL 23 GENNAIO 2018 di Rosa Bertuzzi e Andrea Tedaldi*
I
n considerazione delle numerose richieste di chiarimenti circa la gestione dei procedimenti di bonifica, il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare (di seguito, “MATTM”), con nota dirigenziale n. 1495 del 23 gennaio 2018, ha fornito un indirizzo comune in merito agli obblighi del proprietario non responsabile della contaminazione del proprio sito. La nota del ministero rappresenta dunque l’occasione per affrontare un tema di grande interesse: la responsabilità ambientale e l’individuazione dei soggetti su cui incombono gli obblighi di bonifica/ripristino ambientale di un’area contaminata.
L’INDIVIDUAZIONE DEI SOGGETTI RESPONSABILI
Secondo ormai consolidata giurisprudenza, i soggetti responsabili dell’inquinamento, su cui ricadono gli oneri di cui all’art. 242 del D.lgs. 152/06 (cd. Codice dell’Ambiente) (i.e. comunicazione ai soggetti pubblici competenti, adozione delle misure di prevenzione e di messa in
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sicurezza d’emergenza, indagini e caratterizzazione, interventi di bonifica o messa in sicurezza, operativa o permanente), sono coloro che hanno in tutto o in parte causato la contaminazione tramite un proprio comportamento commissivo od omissivo, legato all’inquinamento da un preciso nesso di causalità (cfr., da ultimo, T.A.R. Lombardia-Milano, Sez. IV, 18 gennaio 2018, n. 144). Un soggetto è dunque responsabile in ragione del suo agĕre o non agĕre, ovvero della mancata adozione degli accorgimenti e delle cautele che l’ordinaria diligenza suggerisce per prevenire le compromissioni ambientali che possono essere causate dall’attività da lui condotta.
LA PROVA DELLA RESPONSABILITÀ
Quanto alla dimostrazione della responsabilità, ad un primo orientamento che richiedeva che siffatta prova andasse raggiunta in modo rigoroso, è ora succeduta la regola del “più probabile che non”: la ricostruzione del nesso causale può avvenire prendendo in considera-
zione elementi di fatto dai quali possano trarsi indizi gravi, precisi e concordanti che inducano a ritenere verosimile che l’inquinamento verificatosi sia attribuibile a determinati autori. La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha, a tal riguardo, esplicitamente ammesso che l’Amministrazione possa disporre di presunzioni, quali la vicinanza dell’impianto dell’operatore all’inquinamento, o la corrispondenza tra le sostanze inquinanti ritrovate e i componenti impiegati da detto operatore nell’esercizio della sua attività (CGUE, grande sez., 9 marzo 2010, causa C-378/08). Particolari difficoltà emergono in riferimento ai fenomeni di inquinamento generati da una pluralità di soggetti. In tal caso, sembra aver preso spazio l’orientamento giurisprudenziale, più rispondente al principio “chi inquina paga”, secondo cui ciascuno dei responsabili deve rispondere unicamente dell’inquinamen-
to da lui provocato, non sussistendo un’obbligazione solidale di ripristino ambientale fra i soggetti coinvolti nella compromissione di un medesimo ambito territoriale. Emerge dunque, ancora una volta, l’importanza della prova della responsabilità. Ferma, come visto, la possibilità di ricorrere a presunzioni, vi sono tuttavia casi in cui la responsabilità non è riconducibile a uno o più soggetti. Si tratta dei fenomeni di “inquinamento diffuso”, definiti dall’art. 240, c. 1, lett. r) cod. amb. come “la contaminazione o le alterazioni chimiche, fisiche o biologiche delle matrici ambientali determinate da fonti diffuse e non imputabili ad una singola origine”. La nota MATTM n. 1495/2018 ha, a tal riguardo, precisato come l’inquinamento diffuso non si identifichi con l’inquinamento di un’area vasta, al contempo rimarcando l’erroneità della tesi secondo cui, in caso di mancata diretta individuazione del soggetto responsabile della contaminazione, si sia automaticamente al cospetto di inquinamento diffuso. I criteri per definire la contaminazione “diffusa” sono invece i seguenti: l’origine non puntuale della contaminazione; la vastità dell’area interessata dall’inquinamento; la non riconducibilità della responsabilità a uno o più soggetti, né come nesso causale, né secondo il criterio del “più probabile che non”.
IL PROPRIETARIO DI UN SITO INQUINATO NON RESPONSABILE DELLA CONTAMINAZIONE
Particolare attenzione è stata posta in capo alla figura del proprietario incolpevole di un sito contaminato. L’orientamento, suffragato da una parte di giurisprudenza specialmente sotto la vigenza del precedente D.lgs. n. 22/1997 (cd. decreto Ronchi), secondo cui il soggetto che ha acquistato un’area contaminata subentrerebbe automaticamente nei connessi obblighi ambientali, può ad oggi considerarsi definitivamente superato. In applicazione del principio “chi inquina paga” e dalla corretta ricostruzione del quadro normativo delineato dagli artt. 239 ss. cod. amb., si deve ormai ritenere che l’Amministrazione non può imporre al proprietario di un’area contaminata, il quale non sia l’autore dell’inquinamento, l’obbligo di provvedere alla bonifica di siffatta area (ex multis, Cons. Stato, Sez. V, 21 novembre 2016, n. 4875). Orientamento, questo, che la Corte di Giustizia ha ritenuto compatibile con la normativa comunitaria, nello specifico la direttiva n. 2004/35 sulla responsabilità ambientale (cfr. CGUE, Sez. III, 4 marzo 2015, causa C-534/13). I successivi interventi giurisprudenziali hanno poi precisato come “una volta riscontrato un fenomeno di potenziale contaminazione di un sito, gli interventi di caratterizzazione, messa in sicurezza d’emergenza o definitiva, di bonifica e di ripristino ambientale possono essere imposti dalla Pubblica amministrazione solamente ai soggetti responsabili dell’inquinamento” (ex multis, Cons. Stato, Sez. V, 14 aprile 2016, n. 1509). L’assenza di obbligo risulta dunque allargata, oltre che alla bonifica, anche al piano di caratterizzazione del sito inquinato e alle misure di messa in sicurezza. Sul punto, si deve tuttavia dare atto di un certo filone giurisprudenziale che tende a qualificare la “messa in sicurezza del sito” come “misura di prevenzione dei danni”, escludendone la finalità sanzionatoria o ripristinatoria, con la conseguenza che “l’affermazione dell’obbligo del proprietario di adottare misure di prevenzione per eliminare/ridurre rischi sanitari e ambientali derivanti dalla contaminazione è conforme al regime giuridico vigente” (da ultimo, Cons. Stato, Sez. V, 8 marzo 2017, n. 1089). Ebbene, cercando di schematizzare, sul proprietario incolpevole grava l’obbligo di comunicare la contaminazione rilevata alle autorità competenti e di adottare le necessarie misure di prevenzione. L’Amministrazione non può però imporre l’esecuzione delle indagini preliminari sulle CSC, gli interventi di caratterizzazione, di bonifica e di ripristino ambientale, avendo il proprietario incolpevole unicamente una facoltà di intervento in tal senso. Maggiori dubbi riguardano invece l’adozione delle misure di messa in sicurezza, in considerazione della giurisprudenza contrastante succitata. La nota MATTM del gennaio 2018 non prende una precisa posizione sul punto, limitandosi a richiamare la pronuncia Cons. Stato n. 1089/2017 cit., ma (al contempo) non indicando le misure di messa in sicurezza nello schema illustrativo delle azioni che devono essere adottate dal proprietario incolpevole. Ferma la necessità di un intervento chiarificatore, anche alla luce dell’art. 245 cod. amb., si ritiene che, a tutto voler concedere, l’Amministrazione potrebbe imporre al proprietario non responsabile l’adozione di misure di messa in sicurezza d’emergenza,
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in quanto interventi che devono essere adottati in tempi brevi per contenere le sorgenti primarie di contaminazione, ma non anche la messa in sicurezza operativa e permanente, che invece presentano un carattere di stabilità e si pongono in alternativa alla bonifica. Da ultimo, si precisa come l’insussistenza degli obblighi di bonifica e ripristino ambientale in capo al proprietario incolpevole vada di pari passo a specifiche ricadute di carattere patrimoniale. Qualora i responsabili della contaminazione non provvedano o non siano individuabili, e non intervengano né il proprietario incolpevole del sito né altri soggetti interessati, l’art. 250 impone alle Amministrazioni competenti di agire d’ufficio, recuperando le somme sostenute nei limiti del valore di mercato del sito determinato a seguito degli interventi (art. 253 cod. amb.).
SEGUE: LA LOCAZIONE DELL’AREA
Altra questione dibattuta riguarda la responsabilità del proprietario per l’inquinamento causato dal soggetto a cui l’area è stata concessa in locazione. Il Consiglio di Stato ha sostenuto che i principi civilistici in base ai quali incombe al proprietario la responsabilità per i danni che il bene locato arreca ai terzi trovano applicazione in via sussidiaria, “dovendosi dare prevalenza al principio di rango comunitario… in base al quale “chi inquina paga” e sempre che sussista un comportamento colpevole (a titolo di dolo o colpa) del proprietario il quale, avendo acquisito consapevolezza dell’inquinamento non abbia preteso dal conduttore responsabile le necessarie opere di bonifica” (Cons. Stato, Sez. V, 30 luglio 2015, n. 3756). La responsabilità del proprietario appare pertanto ipotizzabile solo nel caso di un suo comportamento colpevole, che non può essere presupposto “in base ad un’asserita e indimostrata culpa in vigi-
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lando del proprietario”, sicché i relativi obblighi di bonifica/ripristino ambientale graveranno sul locatore all’origine dell’inquinamento. Ciò posto, si deve al contempo dare atto di un orientamento che individua la responsabilità del proprietario in base alla semplice “conoscenza della pericolosità dell’attività svolta e dello stato di inquinamento del sito”, “essendo ciò sufficiente a far sorgere un obbligo di attivarsi al fine di eliminare, nel più breve tempo possibile ed anche in assenza di intervento dell’autore dell’inquinamento, lo stato di contaminazione” (T.A.R. Marche, Sez. I, 6 marzo 2015, n. 190).
LE MODIFICHE SOGGETTIVE INTERESSANTI IL SOGGETTO RESPONSABILE
Ulteriore tema dibattuto riguarda le modifiche soggettive interessanti gli operatori economici identificati quali responsabili dell’inquinamento. Due fattispecie assumono particolare rilievo: il fallimento della società responsabile della contaminazione e la sua scomparsa a seguito di trasformazioni societarie. Quanto alla prima fattispecie, la giurisprudenza, chiamata a pronunciarsi sulla legittimità delle ordinanze di bonifica/ rimozione rifiuti dirette alla curatela fallimentare della società responsabile della compromissione ambientale, ha chiarito che il Fallimento non può essere considerato successore dell’impresa fallita, la quale conserva la propria soggettività e rimane titolare del proprio patrimonio seppure ne perde la disponibilità. La curatela “non può essere destinataria, a titolo di responsabilità di posizione, di ordinanze sindacali dirette alla tutela dell’ambiente, per effetto del comportamento omissivo o commissivo dell’impresa fallita” (T.A.R. Lombardia- Milano, Sez. III, 3 marzo 2017, n. 520), così che non sussiste alcun dovere del curatore di adottare particolari comportamenti
attivi, finalizzati alla tutela sanitaria degli immobili destinati alla bonifica da fattori inquinanti (T.A.R. Lombardia- Milano, Sez. III, 5 gennaio 2016, n. 1). Affianco a tale orientamento, occorre tuttavia dare atto di una parte di giurisprudenza che fa residuare una responsabilità ambientale in capo alla curatela fallimentare qualora questa prosegua l’attività inquinante (cfr. T.A.R. PugliaLecce, Sez. III, 11 maggio 2017, n. 746). Molto complesso è il tema delle trasformazioni societarie interessanti gli operatori economici responsabili di un inquinamento.Pur consapevoli che tale tema meriterebbe un approfondimento specifico, si ritiene tuttavia utile fornire alcune linee di orientamento. Secondo un primo orientamento giurisprudenziale, nell’ipotesi in cui una società abbia provocato una compromissione ambientale prima dell’entrata in vigore del D.lgs. n. 22/1997, cd. decreto Ronchi, gli obblighi di bonifica introdotti dall’art. 17 di siffatto decreto possono trovare applicazione solo a condizione che il soggetto che ha posto in essere la condotta sia lo stesso che opera al momento del verificarsi dell’inquinamento successivamente all’entrata in vigore di tale normativa (T.A.R. Lombardia- Milano, Sez. I, 19 aprile 2007, n. 1913) [4]. In altre parole, “nei confronti dei successori di società responsabili degli inquinamenti che si siano estinte prima del 1997 non è possibile applicare l’art. 17 del decreto Ronchi (oggi artt. 239 e ss.)” (Cons. Stato, Sez. V, 5 dicembre 2008, n. 6055). Occorre tuttavia dare atto di un più recente orientamento che tende a superare lo schermo delle modifiche societarie intervenute, applicando gli obblighi di bonifica di cui all’art. 17 del decreto Ronchi anche a soggetti estintisi prima del 1997 e ai loro successori universali (cfr., inter alia, T.A.R. Piemonte, Sez. I, 13 maggio 2016, n. 674). * Studio AmbienteRosa - Consulenze legali ambientali
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VALUTAZIONE DI IMPATTO AMBIENTALE: MODIFICHE E NOVITÀ LE REVISIONI AL SISTEMA SANZIONATORIO INTRODOTTE DAL D.LGS. 104/2017 di Cinzia Silvestri*
L
’art. 29 del Dlgs. 152/06, che disciplina il sistema sanzionatorio della V.I.A. [1], è stato ampiamente revisionato dal Dlgs. 104/17. Si segnalano alcune novità. 1. Controllo: viene espunto dal testo del nuovo art. 29 ogni riferimento al sistema di controllo affidato al “sistema agenziale” ovvero all’ARPA. L’art. 29 è dedicato solo al “sistema sanzionatorio” e non a “controllo e sanzioni”. 2. Sanzioni nel sistema previgente: L’art. 29 previgente articolava le sanzioni come misure ripristinatorie tese a reintegrare il danno; non erano sanzioni afflittive e si declinavano in: a) sospensione dei lavori (misura cautelare); b) obbligo di adegua-
3.
mento del progetto; c) demolizione e ripristino. Sanzioni art. 29 Dlgs. 152/06 vigente: L’art. 29, riformato, modifica radicalmente il sistema sanzionatorio introducendo le sanzioni amministrative nel testo legislativo; sanzioni che costituiscono novità nell’ambito della V.I.A.; si aggiunge la previsione di diffida/sospensione/revoca da parte della P.A. alla stessa stregua di quanto già previsto nel Codice Ambientale (ad esempio l’art. 29 decies Dlgs. 152/06 in materia di A.I.A. [2]; l’art. 130 Dlgs. 152/06 relativo allo scarico delle acque); rimane la sanzione ripristinatoria della demolizione/ripristino con le dovute revisioni; rimane immutata la previsio-
4.
5.
6.
ne dell’annullamento per violazione di legge nel caso di provvedimenti adottati senza la V.I.A. E’ utile soffermarsi sulle sanzioni amministrative previste all’art. 29 commi 4, 5, 6, 7 Dlgs. 152/06. Il legislatore prevede e precisa la sanzione amministrativa sia nella condotta che nell’importo da pagare [3]. Le sanzioni previste dai commi 4, 5 dell’art. 29 oggi vigente sono piuttosto alte e colpiscono condotte che omettono la V.I.A. o la verifica di assoggettabilità ma anche condotte che non osservano le condizioni ambientali. Di seguito breve schema. Condizioni ambientali [4]: il legislatore abbandona, nel nuovo testo, la
SOGGETTO
CONDOTTA
SANZIONE
Chiunque
realizza un progetto o parte di esso SENZA previa VIA o verifica assoggettabilità a VIA, ove prescritte
Da € 35mila a 100mila
Colui che
Pur essendo in possesso del provvedimento di verifica di assoggettabilità o di valutazione di impatto ambientale NON NE osserva le CONDIZIONI AMBIENTALI
Da € 20mila a 80mila
72
ART. 29 CONTROLLI E SANZIONI VIGENTE DAL 13.2.2008
ART. 29 SISTEMA SANZIONATORIO VIGENTE DAL 21.7.2017
1. La valutazione di impatto ambientale costituisce, per i progetti di opere ed interventi a cui si applicano le disposizioni del presente decreto, presupposto o parte integrante del procedimento di autorizzazione o approvazione. I provvedimenti di autorizzazione o approvazione adottati senza la previa valutazione di impatto ambientale, ove prescritta, sono annullabili per violazione di legge.
1. I provvedimenti di autorizzazione di un progetto adottati senza la verifica di assoggettabilità a VIA o senza la VIA, ove prescritte, sono annullabili per violazione di legge.
2. Fermi restando i compiti di vigilanza e controllo stabiliti dalle norme vigenti, l’autorità competente esercita il controllo sull'applicazione delle disposizioni di cui al Titolo III della parte seconda del presente decreto nonché sull'osservanza delle prescrizioni impartite in sede di verifica di assoggettabilità e di valutazione. Per l'effettuazione dei controlli l’autorità competente può avvalersi, nel quadro delle rispettive competenze, del sistema agenziale.
2. Qualora siano accertati inadempimenti o violazioni delle condizioni ambientali di cui all’articolo 28, ovvero in caso di modifiche progettuali che rendano il progetto difforme da quello sottoposto al procedimento di verifica di assoggettabilità a VIA, al procedimento di VIA, ovvero al procedimento unico di cui all’articolo 27 o di cui all’articolo 27-bis, l’autorità competente procede secondo la gravità delle infrazioni: a) alla diffida, assegnando un termine entro il quale devono essere eliminate le inosservanze; b) alla diffida con contestuale sospensione dell’attività per un tempo determinato, ove si manifesti il rischio di impatti ambientali significativi e negativi; c) alla revoca del provvedimento di verifica di assoggettabilità a VIA, del provvedimento di VIA, in caso di mancato adeguamento alle prescrizioni imposte con la diffida e in caso di reiterate violazioni che determinino situazioni di pericolo o di danno per l’ambiente.
3. Qualora si accertino violazioni delle prescrizioni impartite o modifiche progettuali tali da incidere sugli esiti e sulle risultanze finali delle fasi di verifica di assoggettabilità e di valutazione, l’autorità competente, previa eventuale sospensione dei lavori, impone al proponente l'adeguamento dell'opera o intervento, stabilendone i termini e le modalità. Qualora il proponente non adempia a quanto imposto, l’autorità competente provvede d'ufficio a spese dell'inadempiente. Il recupero di tali spese è effettuato con le modalità e gli effetti previsti dal regio decreto 14 aprile 1910, n. 639, sulla riscossione delle entrate patrimoniali dello Stato.
3. Nel caso di progetti a cui si applicano le disposizioni del presente decreto realizzati senza la previa sottoposizione al procedimento di verifica di assoggettabilità a VIA, al procedimento di VIA ovvero al procedimento unico di cui all’articolo 27 o di cui all’articolo 27-bis, in violazione delle disposizioni di cui al presente Titolo III, ovvero in caso di annullamento in sede giurisdizionale o in autotutela dei provvedimenti di verifica di assoggettabilità a VIA o dei provvedimenti di VIA relativi a un progetto già realizzato o in corso di realizzazione, l’autorità competente assegna un termine all’interessato entro il quale avviare un nuovo procedimento e può consentire la prosecuzione dei lavori o delle attività a condizione che tale prosecuzione avvenga in termini di sicurezza con riguardo agli eventuali rischi sanitari, ambientali o per il patrimonio culturale. Scaduto inutilmente il termine assegnato all’interessato, ovvero nel caso in cui il nuovo provvedimento di VIA, adottato ai sensi degli articoli 25, 27 o 27-bis, abbia contenuto negativo, l’autorità competente dispone la demolizione delle opere realizzate e il ripristino dello stato dei luoghi e della situazione ambientale a cura e spese del responsabile, definendone i termini e le modalità. In caso di inottemperanza, l’autorità competente provvede d’ufficio a spese dell’inadempiente. Il recupero di tali spese è effettuato con le modalità e gli effetti previsti dal testo unico delle disposizioni di legge relative alla riscossione delle entrate patrimoniali dello Stato approvato con regio decreto 14 aprile 1910, n. 639.
4. Nel caso di opere ed interventi realizzati senza la previa sottoposizione alle fasi di verifica di assoggettabilità o di valutazione in violazione delle disposizioni di cui al presente Titolo III, nonché nel caso di difformità sostanziali da quanto disposto dai provvedimenti finali, l’autorità competente, valutata l’entità del pregiudizio ambientale arrecato e quello conseguente alla applicazione della sanzione, dispone la sospensione dei lavori e può disporre la demolizione ed il ripristino dello stato dei luoghi e della situazione ambientale a cura e spese del responsabile, definendone i termini e le modalità. In caso di inottemperanza, l’autorità competente provvede d'ufficio a spese dell'inadempiente. Il recupero di tali spese è effettuato con le modalità e gli effetti previsti dal testo unico delle disposizioni di legge relative alla riscossione delle entrate patrimoniali dello Stato approvato con regio decreto 14 aprile 1910, n. 639, sulla riscossione delle entrate patrimoniali dello Stato.
4. Salvo che il fatto costituisca reato, chiunque realizza un progetto o parte di esso, senza la previa VIA o senza la verifica di assoggettabilità a VIA, ove prescritte, è punito con una sanzione amministrativa da 35.000 euro a 100.000 euro.
5. In caso di annullamento in sede giurisdizionale o di autotutela di autorizzazioni o concessioni rilasciate previa valutazione di impatto ambientale o di annullamento del giudizio di compatibilità ambientale, i poteri di cui al comma 4 sono esercitati previa nuova valutazione di impatto ambientale.
5. Salvo che il fatto costituisca reato, si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da 20.000 euro a 80.000 euro nei confronti di colui che, pur essendo in possesso del provvedimento di verifica di assoggettabilità o di valutazione di impatto ambientale, non ne osserva le condizioni ambientali.
6. Resta, in ogni caso, salva l’applicazione di sanzioni previste dalle norme vigenti.
6. Le sanzioni sono irrogate dall’autorità competente. 7. Alle sanzioni amministrative pecuniarie previste dal presente articolo non si applica il pagamento in misura ridotta di cui all’articolo 16 della legge 24 novembre 1981, n. 689. 8. I proventi derivanti dall’applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie di competenza statale per le violazioni previste dal presente articolo, sono versati all’entrata del bilancio dello Stato e sono successivamente riassegnati ai pertinenti capitoli di spesa del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare per essere destinati al miglioramento delle attività di vigilanza, prevenzione e monitoraggio ambientale, alle attività di cui all’articolo 28 del presente decreto per la verifica dell’ottemperanza delle condizioni ambientali contenute nel provvedimento di verifica di assoggettabilità a VIA o nel provvedimento di VIA, nonché alla predisposizione di misure per la protezione sanitaria della popolazione in caso di incidenti o calamità naturali.
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titolo III parte 2 Dlgs. 152/06; in caso di annullamento o in autotutela dei provvedimenti di verifica di assoggettabilità a VIA o dei provvedimenti di VIA relativi a un progetto già realizzato o in corso di realizzazione. 12. Termine: nei casi sopra riferiti l’autorità competente assegna un termine all’interessato entro il quale avviare un nuovo procedimento e può consentire la prosecuzione dei lavori e delle attività a condizione che tale prosecuzione avvenga in termini di sicurezza con riguardo agli eventuali rischi sanitari, ambientali o per il patrimonio culturale. Nella pagina precedente viene proposto uno schema di confronto [7] del testo dell’art. 29 Dlgs. 152/06 prima e dopo le modifiche di cui al Dlgs. 104/2017. *Studio Legale Ambiente
7.
8.
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parola “prescrizioni” che viene rimodulata nella “condizione ambientale” definita espressamente dall’art. 5 lettere o-ter e o-quater del Dlgs. 152/06 [5]. Diffida, sospensione e revoca (art. 29 comma 2): Il comma 2 dell’art. 29 oggi vigente (che richiama in parte l’art. 29 comma 3 previgente) prevede la sanzione della diffida, sospensione e revoca del provvedimento; provvedimento che ESISTE, è operativo ma viene violato. Si tratta di violazioni minori, non idonee a determinare effetti pregiudizievoli sull’ambiente (salvo revoca). In quali casi si procede a diffida, sospensione e revoca? Nel primo caso qualora siano accertati inadempimenti (esempio nell’art. 28 comma 5) o violazioni delle condizioni ambientali (esempio nell’art. 28 comma 1 – monitoraggio). Nel secondo caso si tratta di modifiche progettuali che rendano il progetto difforme da quello sottoposto al procedimento di verifica di assoggettabilità a VIA; al procedimento di VIA; ovvero al procedimento unico di cui all’art. 27 (procedimento unico in materia ambientale); o all’art. 27bis (provvedimento autorizzatorio unico regionale). Gradazione della sanzione: L’autorità competente procede secondo
la gravità delle infrazioni alla diffida, assegnando un termine entro il quale devono essere eliminate le inosservanze; alla diffida con contestuale sospensione dell’attività per un tempo determinato, ove si manifesti il rischio di impatti ambientali significativi [6] e negativi; alla revoca del provvedimento di verifica di assoggettabilità a VIA, del provvedimento di VIA, in caso di mancato adeguamento alle prescrizioni imposte con la diffida e in caso di reiterate violazioni che determinano situazioni di pericolo o di danno per l’ambiente. 10. Demolizione: tale misura ripristinatoria, prevista anche nel sistema previgente, nel nuovo sistema trova attuazione “differita”; non è più una misura di attuazione immediata a discrezione della P.A. ma segue all’apertura di un procedimento e alla conclusione del termine fissato dall’autorità competente. La demolizione e ripristino rimane a cura e spese del responsabile della violazione. 11. Demolizione ex art. 29 comma 3 Dlgs. 152/06: in particolare è prevista la demolizione di opere già eseguite in caso di: progetti realizzati SENZA procedimento di Verifica assoggettabilità VIA, senza VIA ecc…; violazione delle disposizioni di cui al
NOTE
[1] Valutazione Impatto Ambientale [2] Autorizzazione Integrata Ambientale [3] Non si applica misura ridotta (art. 16 L. 689/81):1/3 del massimo della sanzione prevista o se più favorevole e qualora sia stabilito il minimo della sanzione edittale pari al doppio del relativo importo) [4] In questo contesto dedicato alle sanzioni non è possibile approfondire tale modifica che merita trattazione apposita. [5] «o-ter) condizione ambientale del provvedimento di verifica di assoggettabilità a VIA: prescrizione vincolante, se richiesta dal proponente, relativa alle caratteristiche del progetto ovvero alle misure previste per evitare o prevenire impatti ambientali significativi e negativi, eventualmente associata al provvedimento negativo di verifica di assoggettabilità a VIA; o-quater) condizione ambientale del provvedimento di VIA: prescrizione vincolante eventualmente associata al provvedimento di VIA che definisce i requisiti per la realizzazione del progetto o l’esercizio delle relative attività, ovvero le misure previste per evitare, prevenire, ridurre e, se possibile, compensare gli impatti ambientali significativi e negativi nonché, ove opportuno, le misure di monitoraggio; [6] l’art. 5 lett. c) nuova definizione di Impatti ambientali ma non descrive quando l’impatto è significativo [7] i testi sono tratti dal sito www.parlamento.it
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’ultimo settenario ci ha messo di fronte ad una realtà imprescindibile: il mercato è cambiato, si è trasformato, portando con sé un’accelerazione alla sempre più pressante necessità di rispondere in modo concreto ad alcuni temi importanti tra cui quello ambientale, oggi più comunemente denominato economia circolare. A questa chiamata ha risposto prontamente anche l’associazione NAD - Associazione Nazionale Demolitori Italiani, coinvolta dal CMR - Centro Materia Rinnovabile, una struttura nata per fornire orientamenti e soluzioni concrete alle imprese che vogliono migliorare la valorizzazione dei flussi di rifiuti prodotti dalla loro attività. CMR, nella sua ricerca, ha l’obiettivo di realizzare un programma operativo allo scopo di favorire i rapporti tra domanda e offerta di materiali recuperati nelle filiere dell’edilizia e delle infrastrutture. Da qui è nata una naturale collaborazione essendo NAD rappresentante di una parte importante della filiera. La Commissione tecnica ha così istituito un tavolo di lavoro specifico che ha affiancato il suo Coordinatore, ing. Ivan Poroli, al fine di fornire al CMR il punto di vista dell’Associazione sull’attuale situazione italiana allo scopo di sviluppare proposte future per il miglioramento della categoria; la Commissione tecnica, dopo aver raccolto le osservazioni degli Associati, ha elaborato un documento comune che è stato fornito al CMR come posizione ufficiale della nostra associazione. In data 25 luglio 2017 tutte le proposte sono state ascoltate dalla Commissione Bicamerale sul Ciclo dei Rifiuti e in data 26 luglio 2017 al Tavolo Ministeriale alla presenza del Capo di Gabinetto, Raffaele Tiscar, e del Direttore Rifiuti, Mariano Grillo, incassando il loro pieno sostegno ed approvazione. CMR con NAD, partner ufficiale della ricerca, sta lavorando al fine di concretizzare le proposte condivise e continuare il lavoro di costruzione dell’intero sistema. La Commissione tecnica ha lavorato in
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Emilio Omini, Presidente NAD Associazione Nazionale Demolitori Italiani
questi mesi per predisporre la parte di competenza del comparto demolizioni (sia per la parte di modifica del cantiere come processo produttivo che per l’audit di pre-demolizione). NAD ha elaborato una proposta per i contenuti minimi dell’audit pre-demolizione, un documento che prevede elevati contenuti tecnici e gestionali e che costituirà la base su cui articolare tutta la progettazione del cantiere nell’ottica dell’economia circolare. Ma l’attività associativa di NAD opera anche in altri ambiti. Da sempre sensibile ai temi della sicurezza in cantiere, l’associazione continua in modo costante la formazione degli operatori di cantiere delle aziende associate e il rinnovo dei patentini in scadenza oltre ad essere sempre più spesso coinvolta nella partecipazione a convegni e iniziative formative, in particolar modo dagli enti quali l’Ordine degli ingegneri (recentemente è intervenuta a Brescia) e le Università. Nel mese di marzo un rappresentante di NAD è intervenuto sul tema della demolizione selettiva in tre convegni organizzati da ANCE a Brescia, Bergamo e Milano. In occasione dell’assemblea di fine anno, svoltasi a Gavi (AL), il presidente Emilio Omini ha sottolineato, in modo particolare, la necessità che anche l’associazione segua naturalmente le trasformazioni del mercato andando a coinvolgere sem-
pre più imprese al fine di poter essere veramente “massa critica”, proprio in un momento come questo nel quale c’è la possibilità di essere presenti ai tavoli ministeriali e poter esprimere le proprie linee di pensiero. Essendo NAD presente, tramite EDA – Associazione Demolitori Europei, anche presso i tavoli europei, stiamo assistendo alla possibilità che si verifichino importanti cambiamenti per il nostro comparto, per i quali è indispensabile esprimersi ma certamente è ancora più importante portare con sé una rappresentanza del comparto che sia sempre più significativa. Il presidente Omini ha così espresso la volontà, condivisa dal Consiglio direttivo, di dedicare uno spazio dell’attività associativa al coinvolgimento di quelle aziende che oggi intendono essere parte attiva nelle azioni che le vedranno coinvolte nell’esprimere l’esperienza di un’attività super specialistica negli importanti cambiamenti in atto, sia a livello nazionale che a livello europeo. È necessario infatti essere parte proattiva del cambiamento, far sì che le evoluzioni normative si trasformino in opportunità di crescita e non in ulteriori chiusure del mercato e le imprese che NAD rappresenta, con la loro esperienza ed i contenuti tecnici, sono sicuramente le più titolate per svolgere questo ruolo guida.
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VENTILAZIONE INDUSTRIALE: SISTEMA DI ABBATTIMENTO SOSTANZE LESIVE PER L’OZONO Ventilazione Industriale opera nel campo della depurazione e trattamento degli effluenti gassosi inquinati da quasi 50 anni in territorio nazionale e internazionale. Ad oggi il 70% dei frigoriferi da smaltire contengono schiume di poliuretano espanse con CFC e questo inquinante, essendo un composto ozonolesivo, deve per legge essere catturato e depurato. Per questo motivo Ventilazione Industriale ha realizzato un impianto per l’abbattimento dei CFC (Cloro Fluoro Carburi) derivanti dallo smaltimento dei frigoriferi dismessi. Il sistema prevede la captazione dei gas direttamente dai sistemi di triturazione e la successiva depurazione attraverso quattro diversi gradi di abbattimento (depolverazione, combustione, neutralizzazione degli acidi derivanti dalla combustione, adsorbimento su carbone attivo). Il sistema di abbattimento prevede un’emissione di CFC residuo al di sotto di 20 grammi all’ora. L’impianto è caratterizzato da un contenuto investimento iniziale e da un ridotto costo di gestione. L’impianto funziona completamente in automatico e può essere progettato per lavorare a cicli di 24 ore al giorno.
AUTOMAZIONE ESTREMA: SOLUZIONI DI AUTOMAZIONE B&R PER VEICOLI INDUSTRIALI Si è tenuto a Parma lo scorso 22 febbraio il sesto appuntamento annuale con Innovations Day, l’evento B&R dedicato alle innovazioni e alle nuove tecnologie destinate a migliorare il modo di fare automazione. Tanti sono stati gli spunti in questa giornata dedicata a chi sviluppa e integra, ma anche a chi opera, gestisce e manutiene macchine e impianti. Tra le varie presentazioni B&R si è concentrata anche sulla tecnologia di automazione per i veicoli industriali che si trova attualmente in uno stato di transizione: di fronte a richieste di una produttività sempre maggiore le industrie agricole e delle costruzioni si rivolgono a macchinari sempre più automatizzati e collegati in rete. B&R apre nuovi scenari nella mobile automation consentendo di implementare più semplicemente ed efficacemente che mai concetti di automazione per macchine movimento terra, veicoli municipali e applicazioni agricole e forestali. L’innovativa linea di prodotti X90 consente ai clienti grandi vantaggi grazie ad un ambiente di sviluppo facile da utilizzare, un sistema operativo real time ad alte prestazioni, safety integrato e componenti software pronti all’uso il tutto gestito da un’elettronica in grado di operare in condizioni di vibrazioni, temperatura, polvere e umidità veramente estreme.
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Anno 11 - Numero 42 – Marzo 2018 ISSN 2421-2938
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Comitato Scientifico: Maria Rosaria Boni (Sapienza Università di Roma) Daniele Cazzuffi (CESI spa) Laura D’Aprile (MATTM, Roma) Luciano De Propris (Consulente ambientale) Ennio Forte (Università degli studi di Napoli) Luciano Morselli (Università di Bologna) Andrea Quaranta (Giurista ambientale – Cuneo) Gian Luigi Soldi (Città Metropolitana di Torino) Federico Vagliasindi (Università di Catania) Mariachiara Zanetti (Politecnico di Torino)
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MACCHINE MOVIMENTO TERRA: IN MOSTRA A INTERMAT LE NOVITÀ DI UN SETTORE IN LENTA RIPRESA IFAT: NEL 2018 L’EDIZIONE PIÙ GRANDE DI SEMPRE CON NUOVI PADIGLIONI, NUOVO LAYOUT E TANTE NOVITÀ
È PARTITA LA REALIZZAZIONE DI UNA GRANDIOSA OPERA DI INGEGNERIA PER LA COPERTURA DEI PARCHI PRIMARI DELL’ILVA DI TARANTO
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