RECOVER magazine n. 43

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Poste Italiane Spa - Sped. in a.p. - D. L. 353/2003 cov. in L. 46/2004, art1, c1 - CB-NO/Torino - Anno 11 n. 43 - ISSN 2421-2938 DEA edizioni s.a.s. Corso Tassoni 79/4 - 10143 Torino

N°43

G I U G N O 2018

www.recoverweb.it

VIA LIBERA AL DECRETO DI INCENTIVAZIONE DEL BIOMETANO E DEI BIOCARBURANTI AVANZATI BUONE PRATICHE IN MATERIA DI END OF WASTE, NONOSTANTE I TENTATIVI DI BLOCCARE IL SISTEMA APPROVATO IL PACCHETTO UE SULL’ECONOMIA CIRCOLARE: NEL 2035 LA QUOTA RICICLO SALE AL 65% IL RECUPERO DELL’AMIANTO È POSSIBILE MA TROPPI SONO GLI OSTACOLI SUL PERCORSO VERSO IL TRATTAMENTO

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Poste Italiane Spa - Sped. in a.p. - D. L. 353/2003 cov. in L. 46/2004, art1, c1 - CB-NO/Torino - Anno 11 n. 43 - ISSN 2421-2938 DEA edizioni s.a.s. Corso Tassoni 79/4 - 10143 Torino

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VIA LIBERA AL DECRETO DI INCENTIVAZIONE DEL BIOMETANO E DEI BIOCARBURANTI AVANZATI BUONE PRATICHE IN MATERIA DI END OF WASTE, NONOSTANTE I TENTATIVI DI BLOCCARE IL SISTEMA APPROVATO IL PACCHETTO UE SULL’ECONOMIA CIRCOLARE: NEL 2035 LA QUOTA RICICLO SALE AL 65% IL RECUPERO DELL’AMIANTO È POSSIBILE MA TROPPI SONO GLI OSTACOLI SUL PERCORSO VERSO IL TRATTAMENTO

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S O M M A R I O S OM M A R I O

RUBRICHE

News 6 Vetrina 76 Appuntamenti 79

PRIMO PIANO

È arrivato il tanto atteso decreto biometano di Massimo Viarenghi

ATTUALITÀ

End of waste in pratica… nonostante tutto di Emilio Guidetti

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Le due Italie dei rifiuti

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di Maeva Brunero Bronzin

di Maeva Brunero Bronzin

FABBRICA DELLE IDEE

Le spiagge di vetro di Laura Veneri

PANORAMA AZIENDE

Coniugare impianti e ambiente di Maria Beatrice Celino

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Recupero sicuro dell’amianto?

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Progettare la tariffa puntuale

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di Giorgio Ghiringhelli

WORK IN PROGRESS

L’impianto circolare 57 Un nuovo impianto per la cernita delle macerie 60 di Bruno Vanzi

PROGETTI E TECNOLOGIE 30

THE BIG EYE

Demolito a New York il vecchio ponte Kosciuszko per far spazio al ponte nuovo

SPECIALE

di Laura Veneri

Il mercato si è rimesso in moto

Intermat 2018: un’ondata di innovazioni portatrice di opportunità

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A different way 45

di Claudia Ferrari et al.

di Maeva Brunero Bronzin

di Bruno Vanzi

di Laura Veneri

di Maria Beatrice Celino

L’Unione Europea approva il pacchetto sull’economia circolare 21

di Laura Veneri

Tutto ebbe inizio dalle idee di un “inventore per passione”

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Il trattamento dei PFAS da matrici acquose complesse

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Misurare la produzione di compost e le emissioni odorigene

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di Carlo Zaffaroni et al.

di Valeria Menichini Lunghi

NORMATIVA

Criteri Ambientali Minimi 70 36

di Cinzia Silvestri

La cessazione della qualifica di rifiuto di Rosa Bertuzzi

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944 CARICHE LINEARI CAVE HANNO ADAGIATO A TERRA IL VECCHIO PONTE KOSCIUSZKO CHE A NEW YORK COLLEGAVA BROOKLYN AL QUEENS

32 L’ADOZIONE DI SISTEMI DI MISURAZIONE DEI RIFIUTI URBANI IN DUE COMUNI LOMBARDI PER L’APPLICAZIONE DELLA TARIFFA PUNTUALE

52 IL TRATTAMENTO DEI PFAS DA MATRICI ACQUOSE COMPLESSE: LA RIMOZIONE DI SOSTANZE PERFLUOROALCHILICHE E POLIFLUOROALCHILICHE DAI PERCOLATI DI DISCARICA

62 EVOLUZIONE NORMATIVA E STRUTTURA TIPICA DEI CAM: I CRITERI AMBIENTALI MINIMI CHE LE STAZIONI APPALTANTI HANNO L’OBBLIGO DI PREVEDERE E PREMIARE

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RUBR I C H E

NEWS LIBERI DALL’AMIANTO?

Questa la domanda retorica che funge da titolo all’ultimo dossier di Legambiente che fa il punto sulla diffusione dei materiali contenenti amianto nel nostro Paese dopo 26 anni dall’emanazione della Legge che ha messo al bando la pericolosa fibra. Secondo il rapporto l’Italia è in fortissimo ritardo nell’applicazione della legge come emerge dalle risposte fornite dalle Regioni (15 su 21, mancano Abruzzo, Calabria, Liguria, Molise, Toscana e Umbria) da cui risultano 370 mila strutture in cui è presente amianto, per un totale di quasi 58 milioni di metri quadrati di coperture. Di queste, 20.296 sono siti industriali, 50.744 uffici pubblici, 214.469 edifici privati, 65.593 le coperture in amianto e 18.945 altre tipologie di siti. I siti mappati sono 66.087 e di questi 1.195 rientrano tra quelli per cui sarebbe necessario procedere con urgenza nella bonifica. A fronte di questa situazione le procedure di bonifica e rimozione dell’amianto nel nostro paese sono ancora in forte ritardo, come in ritardo sono ancora alcune Regioni nell’approvazione dei piani regionali amianto e nelle attività di censimento. Un quadro complessivo reso ancor più preoccupante dall’analisi dei dati sanitari: in Italia sono 21.463 i casi di mesotelioma maligno tra il 1993 e 2012 con oltre 6 mila morti all’anno. Le regioni più colpite, in questo senso, sono la Lombardia (4.215 casi), il Piemonte (3.560) e la Liguria (2.314). Legambiente ribadisce perciò la necessità di agire, anche ripristinando specifici incentivi per la sostituzione dei tetti in amianto con coperture solari che non sono stati previsti nella bozza di decreto di incentivo delle rinnovabili presentato dal governo e che in passato hanno permesso di bonificare 100 mila metri quadri di coperture. Il dossier evidenzia infine l’insufficienza degli impianti di smaltimento che, presenti solo in 8 regioni, sono del tutto insufficienti a smaltire i quantitativi di amianto ancora da bonificare. Secondo i dati Ispra infatti, nel 2015 in Italia sono state prodotte 369 mila tonnellate di rifiuti contenenti amianto e di queste ben 145 mila sono state esportate nelle miniere dismesse in Germania.

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NEL 2017 RICICLATO IL 75% DEGLI IMBALLAGGI IN ACCIAIO

L’Italia si conferma un’eccellenza nella raccolta differenziata degli imballaggi in acciaio, come barattoli per pomodori e scatolette per tonno, bombolette spray, tappi corona, latte, scatole per dolci e liquori, fusti, fustini e capsule per vasetti. Nel 2017 nel nostro Paese ne sono stati avviati al riciclo 361.403 tonnellate, un risparmio diretto di 686.660 tonnellate di minerali di ferro e di 216.842 tonnellate di carbone, oltre che di 646.922 tonnellate di CO2. Il tasso di recupero, pari al 75,3% rispetto alle quantità immesse a consumo, ci posiziona tra i migliori in Europa. I dati sono stati resi noti da RICREA, il consorzio nazionale senza scopo di lucro per la raccolta e il riciclo degli imballaggi in acciaio, nel corso dell’assemblea annuale. Rispetto all’anno precedente, gli indicatori operativi segnalano un aumento della quantità di imballaggi immessi al consumo (479.737 tonnellate, in crescita del +1,3%) e dei Comuni coinvolti in convenzioni (5.666), con una popolazione servita che ha raggiunto quota 82%. Nel 2017, grazie a un incremento significativo dei ricavi da cessione materiale, sono aumentati i ricavi del Consorzio e questo trend positivo ha consentito di ridurre ulteriormente il Contributo Ambientale CONAI (CAC), che dal 1° gennaio 2018 ha raggiunto quota 8 euro/ton, il valore più basso dalla costituzione di RICREA. Il CAC infatti negli ultimi anni ha continuato a ridursi: 31 euro/ton nel 2010, 26 euro/ton nel 2012, 21 euro/ton da aprile 2015, 13 euro/ ton da ottobre 2015 fino ad arrivare agli attuali 8 euro/ton. “Per la prima volta i ricavi generati dalla vendita di materiale hanno superato le entrate dovute al contributo ambientale - spiega Federico Fusari, Direttore Generale di Ricrea -. Il valore di 8 euro/ton, oltre ad essere un importante fattore competitivo per le imprese consorziate, rappresenta la misura dell’efficienza gestionale raggiunta dal Consorzio. La sfida che ci attende nei prossimi anni sarà quella di continuare a far fronte alle minori entrate dovute alla riduzione del CAC assicurando al tempo stesso un maggior impegno nei confronti dei Comuni, per migliorare ancora i già ottimi risultati ottenuti”.


MAXI BANCA DATI PER LA BONIFICA DELLE DISCARICHE ABUSIVE

Un Protocollo di collaborazione per la promozione e lo sviluppo della legalità e della sostenibilità ambientale nella bonifica delle discariche abusive è stato siglato dal generale di Brigata dei carabinieri Giuseppe Vadalà, Commissario straordinario per la bonifica delle discariche abusive, e il presidente del Comitato Nazionale dell’Albo Nazionale Gestori Ambientali Eugenio Onori.

Il comunicato dell’ufficio del “commissario straordinario per la realizzazione degli interventi necessari all’adeguamento alla normativa vigente delle discariche abusive presenti sul territorio nazionale” spiega come la collaborazione, attraverso lo scambio di esperienze e di informazioni, punti a migliorare le conoscenze e la tutela dell’ambiente e del territorio, per restituire ai cittadini porzioni importanti di territorio nazionale manomesse e utilizzate erroneamente come siti di discarica non conformi e oggi in via di riqualificazione e bonifica. Lo scambio avverrà attraverso l’utilizzazione della banca dati gestita dall’Albo gestori ai fini dell’attività conoscitiva dei contesti territoriali dei siti affidati al Commissario e delle procedure di gara dei lavori di messa in sicurezza e bonifica da effettuare. “Implementare gli standard di legalità delle procedure svolte dalle stazioni appaltanti è uno strumento necessario per svolgere al meglio la missione di bonifica che l’Europa ci ha assegnato” dichiara il Commissario. L’Albo nazionale gestori ambientali metterà a disposizione dell’Ufficio del Commissario “la propria banca dati con tutte le informazioni, aggiornate in tempo reale, relative alla gestione ambientale operata da oltre 150.000 imprese su tutto il territorio nazionale - spiega il Presidente Onori - Una mappatura così capillare dei soggetti operanti nel settore, soprattutto trasportatori di rifiuti, sarà un valido strumento per l’attività conoscitiva dei contesti economici” in cui avvengono messa in sicurezza e bonifiche e per la gestione delle gare.

LA STORIA INFINITA… DEI SACCHETTI BIO

A poche settimane dalla circolare del Ministero della Salute che conferma la possibilità per i consumatori di re-

perire autonomamente i sacchetti biodegradabili per l’acquisto dei prodotti ortofrutticoli, l’Ismea (Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare) ha reso noti i dati sugli acquisti di ortofrutticoli freschi relativi al primo trimestre 2018. A fronte di una riduzione degli acquisti di “sfuso” del 3,5% e del 7,8% della relativa spesa, si registra l’aumento delle vendite di ortofrutta fresca confezionata (+11% in volume e +6,5% la spesa). Il nesso causa effetto con l’entrata in vigore dell’obbligatorietà dei sacchetti biodegradabili a pagamento non è provata ma gli indizi sembrano portarci in questa direzione. Il risultato, conseguenza di un mix letale tra complottismo, disinformazione e burocrazia, rappresenta senza dubbio un paradosso ambientale poiché una norma che, nelle intenzioni del legislatore, avrebbe dovuto ridurre gli impatti sull’ambiente generati dal consumo eccessivo di sacchetti non biodegradabili, sta invece avendo l’effetto opposto di incrementare il consumo di imballaggi grazie all’aumento di vendite di ortofrutta confezionata. Se a questo aggiungiamo il fatto che, a parità di peso di prodotto, frutta e verdura confezionate costano mediamente il 43% in più, con picchi che arrivano anche al 75%, diventa chiaro che il bombardamento mediatico abbia addirittura stordito i consumatori che pur di non pagare il sacchetto bio sono disposti a pagare molto di più per lo stesso prodotto.

Non resta che sperare in un rinsavimento collettivo, dei consumatori, che facendo due conti si rendano conto che il risparmio dei 2 o 3 centesimi del sacchetto è più che vanificato dall’acquisto di prodotti confezionati più cari, e del legislatore che forse avrebbe potuto prendere in considerazione anche l’uso di retine riutilizzabili, il tutto sempre a vantaggio del nostro ambiente.

CINA: VIETATA L’IMPORTAZIONE DI 32 TIPI DI RIFIUTI

Il nuovo ministero cinese dell’ecologia e dell’ambiente ha annunciato che la Repubblica popolare cinese prevede di “vietare l’importazione di 32 tipi di rifiuti solidi al fine di ridurre l’inquinamento dell’ambiente”. Il provvedimento prevede inizialmente il divieto di importazione per

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RUBR I C H E

NEWS

16 tipologie di rifiuti a partire dal 31/12/18, tra questi troviamo rifiuti automobilistici e imbarcazioni. A partire dal 31/12/19 saranno poi vietate altre 16 tipologie di rifiuti tra cui quelli in acciaio inossidabile. L’importazione dei rifiuti in Cina, come fonte di materie prime, ha avuto inizio negli anni ‘80 ed è cresciuta tanto da rendere il Paese il più grande importatore di materie riciclabili del mondo. Una crescita che però ha avuto conseguenze drammatiche per l’ambiente e la salute umana a causa delle modalità non controllate in cui questi rifiuti vengono trattati e gestiti. Il divieto di importazione, seppur progressivo, avrà dirette conseguenze su tutti i mercati, come si è già verificato in questi mesi nel settore delle plastiche. La mancanza di un mercato di sbocco come quello cinese causerà l’intasamento della dotazione impiantistica europea con gravi conseguenze lungo tutta la filiera.

IL TURISMO COSTA, ANCHE ALL’AMBIENTE

Un recente studio, pubblicato su Nature Climate Change, ha evidenziato come l’impatto ambientale derivante dal turismo sia almeno quattro volte superiore a quello che si pensava finora, vicino all’8% del totale. Se fino ad

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oggi si riteneva che il turismo globale giocasse un ruolo tutto sommato trascurabile i dati dello studio ci fanno riflettere tanto più che sono destinati solo a peggiorare considerando che si tratta di un settore in costante e rapida crescita. I Paesi più inquinanti sono ovviamente quelli più grandi con le maggiori economie, quindi Stati Uniti, Cina e Germania. Si pensi infatti che secondo i dati della UNWTO nel 2017 i cinesi sono stati i viaggiatori che hanno speso di più al mondo, 258 miliardi di dollari, quasi il doppio degli americani. Il fattore che ha il maggior impatto sulle emissioni è ovviamente rappresentato dai voli aerei che in futuro incideranno sempre di più, visto l’aumento della domanda di viaggi anche nei paesi in via di sviluppo, e che tra l’altro non sono gravati da limiti e soglie a cui tendere poiché esclusi dagli accordi di Parigi. La stima include quasi un miliardo di catene di servizi connesse in un modo o nell’altro al turismo, in 189 paesi: oltre ai voli aerei, le emissioni connesse alla gestione di hotel e ristoranti per il soggiorno fuori casa, allo shopping e all’acquisto di souvenir.

DANIMARCA SEMPRE PIÙ GREEN

In questi giorni il governo danese ha reso noto il suo piano nazionale per l’energia 2020-2030, dal titolo “Energia per una Danimarca verde”. Il piano prevede una percentuale di energia da fonti rinnovabili del 50% al 2030, con un investimento di 563 milioni di euro, e l’abbandono del carbone per la stessa data. É prevista la costruzione di una megacentrale eolica offshore da 800 MW a 50 km dalla costa, con una cinquantina di turbine in grado di alimentare le 7 principali città del paese. Il piano prevede anche centrali a moto ondoso, a biomasse e a biogas e la razionalizzazione del sistema di incentivi per le rinnovabili. Ma oltre al piano energetico la Danimarca ha pensato anche alla mobilità green con l’istallazione di più di 40 colonnine a ricarica rapida per raggiungere l’obiettivo di arrivare al 2030 con il trasporto pubblico a emissioni zero. Gli autobus elettrici di Copenaghen faranno viaggiare ogni anno almeno 100 milioni di passeggeri che utilizze-


ranno gli autobus elettrici. Ma non è solo la capitale ad aver scelto la mobilità elettrica per il trasporto pubblico: in 45 municipalità e nella regione della Selandia gli autobus saranno ad emissioni zero entro il 2030. Decisione concordata con Movia, una delle maggiori aziende di trasporto pubblico della Danimarca, con l’obiettivo di ridurre emissioni di CO2 e inquinanti. La sola capitale prevede infatti di diventare “carbon neutral” entro il 2025.

AMBIENTE LAVORO: LA SICUREZZA IN PRIMO PIANO

Dal 17 al 19 ottobre ritorna a Bologna Fiere la 18a edizione di Ambiente Lavoro, l’unica manifestazione fieristica italiana dedicata alla promozione della salute e del benessere sul posto di lavoro che da oltre 20 anni è il punto di riferimento per gli addetti del settore. Ambiente Lavoro crede nella formazione come mezzo per radicare la cultura della sicurezza e per rafforzare di conseguenza il tessuto economico del Paese. Tra i temi portanti del 2018 il rischio chimico, la sicurezza stradale e il benessere lavorativo. Sono già aperte le iscrizioni per tutte le aziende che vorranno partecipare in qualità di espositori ad Ambiente Lavoro, mentre sarà pubblicato a partire da metà giugno, sul sito www.ambientelavoro.it, il programma preliminare degli incontri formativi, rivolti a tutte le figure professionali che a diverso titolo si occupano di sicurezza nei luoghi di lavoro.

Negli stessi giorni (17-20 ottobre), in una contestualità non casuale ma che vuole essere espressione del rapporto fondamentale esistente tra prevenzione e mondo del lavoro, si svolgerà l’edizione 2018 di SAIE, Tecnologie per l’edilizia e l’ambiente costruito 4.0. Si tratta di un sodalizio che tende a creare le migliori sinergie tra due mondi che si intersecano e dove sicurezza e produttività vanno di pari passo. Maggiori informazioni su www.ambientelavoro.it


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PR IMO

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È ARRIVATO IL TANTO ATTESO DECRETO BIOMETANO IN BASE ALLE NORME UE SUGLI AIUTI DI STATO, LA COMMISSIONE EUROPEA HA APPROVATO UN REGIME DI SOSTEGNO DA 4,7 MILIARDI DI EURO PER LA PRODUZIONE E LA DISTRIBUZIONE DI BIOCARBURANTI AVANZATI, TRA CUI IL BIOMETANO AVANZATO di Massimo Viarenghi

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biocarburanti e il biometano avanzati sono i biocarburanti più sostenibili e rispettosi dell’ambiente, e sono ottenuti da materie prime la cui produzione non necessita di terreni agricoli, quali rifiuti, residui agricoli, colture e alghe. Essi comportano pertanto un rischio significativamente più basso di emissioni indirette di CO2 causate dall’uso di ulteriori terreni per colture destinate alla produzione di biocarburanti anziché alimenti e mangimi e sono particolarmente adatti per aiutare l’Unione Europea a raggiungere i suoi obiettivi in materia di clima ed energia. I biocarburanti, tra cui il biometano, sono combustibili prodotti dalla biomassa. Il biometano è un combustibile gassoso, mentre altri biocarburanti come il bioetanolo e il biodiesel sono liquidi. Nell’ambito del regime di aiuti dell’UE, il 1 Marzo 2018 la Commissione Europea ha approvato delle misure per aiutare l’Italia a sviluppare il mercato del biometano, in particolare i produttori di biocarburanti e biometano avanzati riceveranno un premio che consentirà loro di compensare i maggiori costi di produzione e di competere con i combustibili fossili nel settore dei trasporti. I biocarburanti e il biometano avanzati, infatti, hanno costi di produzione molto più elevati rispetto ai combustibili fossili. Il premio può essere aumentato se i produttori effettuano anche

investimenti per migliorare la distribuzione e la liquefazione del biometano avanzato. Il livello del premio sarà aggiornato ogni anno in base ai costi di produzione per garantire che i produttori non beneficino di una compensazione eccessiva. Il regime di aiuti per l’Italia sostiene la produzione e la distribuzione di biocarburanti avanzati e di biometano avanzato, conosciuti anche come biocarburanti di seconda e terza generazione, che saranno usati nel settore dei trasporti. Gli aiuti considerano un bilancio indicativo di 4,7 miliardi di euro e saranno operativi dal 2018 al 2022. Le misure incoraggiano inoltre gli agricoltori a produrre biometano e biocarburanti da stallatico e da altri residui derivanti dalle attività agricole e ad avvalersene per alimentare macchinari agricoli e veicoli. Il regime sarà finanziato dai commercianti al dettaglio di carburanti per trasporto, che sono obbligati per legge a includere una certa percentuale di biocarburanti avanzati e di biometano nelle loro miscele di combustibili. In base a queste premesse, la Commissione Europea sostiene che la misura aiuterà l’Italia a raggiungere il suo obiettivo 2020 per l’uso di energie rinnovabili nei trasporti, per la lotta ai cambiamenti climatici e per sostituire i combustibili fossili nel

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settore dei trasporti, limitando al contempo distorsioni della concorrenza, in linea con la disciplina della Commissione in materia di aiuti di Stato a favore dell’ambiente e dell’energia del 2014. Successivamente all’approvazione del regime di aiuti europei, il Ministro dello Sviluppo Economico ha firmato il decreto interministeriale per la promozione dell’uso del biometano e degli altri biocarburanti avanzati nel settore dei trasporti (Decreto 2 Marzo 2018). Un provvedimento particolarmente atteso sia dal settore agricolo che da quello che si occupa della gestione del ciclo dei rifiuti. Con il decreto, l’Italia, già all’avanguardia in Europa, si pone l’obiettivo del 10% al 2020 del consumo di energie rinnovabili nel settore dei trasporti, al cui interno è stato fissato il sub target nazionale per il biometano avanzato e gli altri biocarburanti avanzati, pari allo 0,9% al 2020 e al 1,5% nel 2021. Il provvedimento è in linea con quanto previsto dalle Direttive UE sulla promozione dell’energia da fonte rinnovabile e dalla cosiddetta direttiva “ILUC”. Il meccanismo previsto nel decreto non incide in alcun modo sulle bollette del gas né dell’elettricità: infatti viene finanziato esclusivamente dai “soggetti obbligati” (operatori economici che vendono benzina e gasolio, e che quindi hanno da tempo l’obbligo di immetterne una parte sotto forma di biocarburanti, che quindi è oggi già incluso nel prezzo finale alla pompa). È inoltre previsto che si sostituiscano biocarburanti per lo più di importazione (biodiesel) con biometano prodotto sul territorio nazionale, promuovendo la filiera nazionale, aiutando il ciclo dei rifiuti (FORSU) e gli agricoltori nazionali. Infine Arera, l’Autorità per l’Energia, le Reti e l’Ambiente ha comunicato di aver avviato un procedimento per l’attuazione delle disposizioni del decreto 2 marzo 2018 in materia di incentivi alla produzione di biometano. La Delibera 173/2018/R/gas del 29 marzo 2018 riguarda infatti le modalità di misurazione del biometano, le modalità di determinazione della data di entrata in esercizio e di misurazione del biometano immesso in consumo, secondo le disposizioni dell’articolo 10, comma 3, del decreto 2 marzo 2018; nonché le eventuali disposizioni ritenute necessarie dall’Autorità per assicurare la corretta determinazione dei certificati di immissione in consumo, ai fini della loro applicazione con riferimento all’immissione nella rete del gas naturale. Nel procedimento, che si concluderà entro il 18 giugno 2018, Arera aggiornerà le direttive per le connessioni di impianti di biometano alle reti del gas naturale, avviate con la deliberazione 239/2017/R/gas.

LE POTENZIALITÀ DEL BIOMETANO IN ITALIA E IN EUROPA

La decisione della Commissione Europea è arrivata a pochi giorni dal Biogas Italy, l’evento annuale del CIB, Consorzio Italiano Biogas, durante il quale sono state presentate alcune stime sulle potenzialità della filiera italiana del biometano. Secondo il CIB, l’Italia sarebbe nelle condizioni di raggiungere una produzione di 10 miliardi di m3 di biometano al 2030, di cui almeno 8 da matrici agricole pari a circa il 15% dell’attuale fabbisogno annuo di gas naturale e ai due terzi della potenzialità di stoccaggio della rete nazionale. Uno studio presentato a Biogas Italy dalla società di consulenza ambientale Althesys parte da questa stima per definire uno scenario al 2050, dove un potenziamento della produzione di biometano potrebbe evitare emissioni di CO2 per 197 mln di tonnellate. Lo sviluppo della filiera consentirebbe, inoltre, già entro il 2030, di creare oltre 21mila posti di lavoro e di generare un gettito tributario di 16 mld di € tra imposte sulle imprese e fiscalità di salari e stipendi. Le ricadute economiche complessive al 2030 si misurerebbero in 85,8 mld di €, di cui 17,7 mld € nell’uso elettrico, 15 mld € nel settore dei trasporti e 53,1 mld € grazie all’immissione nella rete.

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INTERVISTA A PIERO GATTONI PRESIDENTE CIB Il CIB è un consorzio nazionale che rappresenta tutta la filiera del biogas agricolo, dai produttori di biogas, ai produttori di impianti e servizi per la produzione di biogas e biometano. Il CIB promuove attivamente il modello del Biogasfattobene® come modello sostenibile e concreto per la produzione di alimenti, foraggi ed energia che nel contempo permette la decarbonizzazione del settore agricolo. Attualmente il CIB conta quasi 800 aziende associate e più di 440 MW di capacità installata. Dr Gattoni, è stato finalmente approvato il decreto sul biometano, un decreto atteso da tempo. Quali sono i numeri delle aziende che sono interessate da questa normativa? Nel nostro Paese attualmente sono operativi oltre 1.500 impianti a biogas da matrici agricole che equivalgono a oltre 1.200 MW di potenza e a circa 7 TWh di energia. Il decreto di recente pubblicazione supporta la produzione di biometano nei trasporti, che presenta elementi di complessità maggiori rispetto alla produzione di energia elettrica e un plafond alla produzione. Il nostro auspicio è che presto il settore agricolo possa dare vita a una nuova stagione di investimenti per la costruzione di nuovi impianti o per l’adeguamento di quelli esistenti. Quali sono le vostre previsioni di crescita del comparto grazie al varo del decreto? Secondo le nostre previsioni, il decreto porterà ad una crescita notevole della filiera del biometano nel nostro Paese. L’Italia è nelle condizioni di raggiungere nel 2030 una produzione di 10 miliardi di m3 di biometano, di cui almeno 8 da matrici agricole pari a circa il 15% dell’attuale fabbisogno annuo di gas naturale e ai due terzi della potenzialità di stoccaggio della rete nazionale. Questo potenziale sarà raggiunto se verranno tenute in considerazione le peculiarità produttive delle aziende agricole e ci permetterà di aprire nuovi mercati al biometano, oltre quello dei trasporti. Secondo i dati di Althesys, entro il 2030 l’espansione del comparto potrebbe portare alla produzione di oltre 85 miliardi di euro di ricadute economiche positive, creando oltre 21mila nuovi posti di lavoro. La filiera italiana del biogas/biometano è pronta per le nuove sfide che il decreto ha lanciato? Certamente. Le tecnologie sono mature e disponibili, la volontà degli imprenditori agricoli a raccogliere la sfida è forte. È necessario che il percorso attuativo si ultimi con le procedure del GSE, che auspichiamo possano chiarire gli ultimi aspetti che potrebbero facilitare l’adesione del nostro settore a questa opportunità. Il programma di sostegno dell’Italia mette a disposizione circa 4,7 miliardi di euro per il 2018 - 2022 per incentivare la produzione e la distribuzione di biocarburanti avanzati, tra cui il biometano, finalizzati all’utilizzo nel settore dei trasporti. Auspichiamo ora un’accelerazione dell’iter di approvazione del decreto “FER 2”, che, confidiamo, fornirà alle aziende della filiera un quadro normativo certo, necessario per pianificare le attività nei prossimi anni, per programmare i necessari investimenti. L’utilizzo del biogas può aiutare il nostro paese nel raggiungimento delle quote sulle rinnovabili e gli Accordi di Parigi? Il gas prodotto da fonti rinnovabili utilizzato nelle infrastrutture già esistenti può avere un ruolo chiave nell’abbattimento delle emissioni in Europa entro il 2050 e nel raggiungimento dell’obiettivo dell’Accordo di Parigi di mantenere il riscaldamento globale ben al di sotto dei 2°C, soprattutto se il suo utilizzo verrà affiancato da tecniche di cattura e stoccaggio del carbonio (BECCS) e di cattura e utilizzo del carbonio (CCU). Secondo uno studio della società di consulenza ambientale Althesys, il potenziamento della produzione di biometano potrebbe evitare emissioni di CO2 per 197 milioni di tonnellate entro il 2050. Come si pone l’Italia rispetto alle altre nazioni europee nello sviluppo del settore? L’Italia è il secondo produttore di biogas in Europa e il quarto al mondo, ma quanto al biometano è rimasta indietro anche rispetto a paesi come la Francia che attualmente conta già 50 impianti. Complessivamente, gli impianti biometano in Europa al 2016 erano 503 di cui 196 in Germania. In Italia, a eccezione dell’impianto da FORSU di Montello, gli altri impianti a biometano presenti (in tutto 8) sono a livello pilota. Ci può spiegare cosa è il Biogasfattobene® e come può contribuire a ridurre le emissioni di anidride carbonica? Il Biogasfattobene® è un modello che il CIB ha elaborato e che le aziende agricole stanno già praticando concretamente. Il modello si basa sulla valorizzazione di effluenti zootecnici, residui agricoli e sottoprodotti agroindustriali e colture di integrazione per la produzione di energia rinnovabile e biocarburanti. Tra gli elementi qualificanti c’è la produzione di carbonio addizionale grazie alle doppie colture e a nuove rotazioni ottimizzate (Studio Ecofys, 2016), nonché l’incremento del carbonio stoccato nel suolo (ritorno del digestato e maggiore produzione di radici), ottimizzazione del riciclo dei nutrienti e dell’uso dell’acqua. Da tutto questo, deriva sia una riduzione dei costi di produzione dei prodotti alimentari (sicurezza alimentare) sia una diversificazione dei mercati, maggiore capacità di investimento, più innovazione nel settore primario e, in ultima analisi, una riduzione significativa delle emissioni di CO2 dell‘attività agricola e dei trasporti.

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IL PLAUSO DEL CONSORZIO ITALIANO COMPOSTATORI “Un decreto che finalmente darà la possibilità all’Italia di investire su un prodotto innovativo come il biometano: le aziende italiane sono pronte da tempo e finalmente ora avranno la possibilità di produrlo e commercializzarlo. Con la firma del Ministero dello Sviluppo Economico otteniamo il pezzo mancante per la reale attivazione del biometano”. Così Massimo Centemero, direttore del Consorzio Italiano Compostatori (CIC), commentando i decreti per la promozione dell’uso del biometano nel settore dei trasporti e le agevolazioni per le imprese a forte consumo di gas naturale che sono stati firmati venerdì 2 marzo al Ministero dello Sviluppo Economico. “Una bella notizia che arriva all’indomani del parere positivo espresso sul decreto biometano dalla Commissione Europea”. “Questo decreto costituisce un altro passo per la valorizzazione del rifiuto organico in Italia, valorizzazione che già avviene con la produzione di compost ed ora si aggiunge un altro possibile prodotto, il biometano destinato all’auto© Massimo Centemero trazione, tassello importante per la transizione del nostro Paese verso fonti di carburante rinnovabile e maggiormente rispettoso dell’ambiente. Si consideri che dall’umido proveniente dalla raccolta differenziata di ogni cittadino si può produrre biometano sufficiente a percorrere 100 km: questo è un esempio concreto di economia circolare”, aggiunge Centemero. “Il nostro Paese potrà finalmente provare a giocare un ruolo di primo piano a livello continentale nella produzione di carburanti sostenibili e rispettosi dell’ambiente. Oggi esiste già un’azienda italiana associata al CIC che produce su scala industriale il biometano da rifiuti organici. Ci potrebbero essere da subito una quindicina di altre imprese pronte a produrre biometano”, aggiunge Alessandro Canovai, Presidente del Consorzio Italiano Compostatori. Il CIC stima che se tutta la frazione umida dei rifiuti urbani fosse riciclata negli impianti dedicati, si potrebbe generare un quantitativo di biometano più che sufficiente ad alimentare le flotte di mezzi destinati alla raccolta di tutti i rifiuti solidi urbani prodotti. Inoltre, sul fronte dei trasporti, un veicolo a biometano ha le stesse emissioni di un veicolo elettrico alimentato interamente a energia prodotta da fonte eolica, ovvero 5 gC02eq/Km, il 97% in meno di un analogo veicolo alimentato a benzina. In più, per i motori alimentati a metano e biometano sono praticamente assenti le emissioni di particolato (-90/95% rispetto al gasolio) e gli ossidi di azoto sono ridotti del 50%.

LO STUDIO: UNA PANDA È STATA ALIMENTATA PER 1 ANNO SOLO A BIOMETANO Si è compiuto il primo anniversario della sperimentazione sulla Panda a metano alimentata esclusivamente con il biometano prodotto dall’impianto per la depurazione delle acque reflue del Gruppo CAP a Bresso-Niguarda (Milano). Era il 14 marzo 2017 quando al Mirafiori Motor Village di Torino FCA consegnò al Gruppo CAP la vettura e prese il via il progetto #BioMetaNow. Da allora la Panda Natural Power ha percorso migliaia di chilometri, sempre alimentata con il biometano del Gruppo CAP, ed è stata regolarmente verificata da approfonditi test effettuati presso il CRF (il Centro Ricerche di FCA) in modo da “certificare” come anche il biometano prodotto da acque reflue non ha controindicazioni né effetti sul motore, al pari di quello prodotto da rifiuti agricoli e solidi urbani. Dopo un anno, la Panda è stata sottoposta a due approfondite verifiche per confermare che l’uso del biometano non comporta per il motore alcuna differenza rispetto al gas naturale di origine fossile. La prima prova è il controllo delle emissioni allo scarico sul banco a rulli, per valutare l’efficienza del catalizzatore; la seconda è il controllo del motore per esaminarne le prestazioni. La Panda è stata alimentata dal biometano prodotto nel depuratore di BressoNiguarda, che raccoglie le acque reflue dei Comuni di Paderno Dugnano, Cormano, Cusano Milanino e Cinisello Balsamo, un bacino di quasi 300 mila persone. Il processo di depurazione delle acque determina all’interno dei digestori la formazione di biogas composto da circa il 65% di metano, che può essere estratto e “ripulito” fino a ottenere indici di purezza vicini al 99%: una volta compresso, questo biometano è pronto per essere immesso nelle vetture. Solo questo impianto del Gruppo CAP sarebbe in grado di produrre oltre 340 mila chilogrammi di biometano all’anno, cioè il carburante necessario a far viaggiare 416 Panda per 20 mila chilometri ognuna. Con due soli giorni di produzione di biometano, la Panda potrebbe percorrere abbondantemente il giro della Terra!

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A T T U A L I TÀ

END OF WASTE IN PRATICA… NONOSTANTE TUTTO ESEMPI DI BUONE PRATICHE CONCRETE SULL’UTILIZZO DEI PRODOTTI CHE DERIVANO DAL TRATTAMENTO DEI RIFIUTI, NONOSTANTE I TENTATIVI DI BLOCCARE IL SISTEMA di Emilio Guidetti*

U

n rifiuto che cessa di essere tale dopo essere stato sottoposto ad un processo di trattamento viene definito End of Waste (E.o.W.). Semplicissimo da comprendere molto più difficile da attuare nella pratica. Normativamente è l’articolo 184-ter del Decreto Legislativo 3 aprile 2006 numero 152 che regolamenta le modalità con le quali “un rifiuto cessa di essere tale quando è stato sottoposto a una operazione di recupero (incluso il riciclaggio e la preparazione per il riutilizzo), e soddisfi i criteri specifici da adottare nel rispetto delle seguenti condizioni: a. la sostanza o l’oggetto è comunemente utilizzato per scopi specifici; b. esiste un mercato o una domanda per tale sostanza od oggetto; c. la sostanza o l’oggetto soddisfa i requisiti tecnici per gli scopi specifici e rispetta la normativa e gli standard esistenti applicabili ai prodotti;

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d.

l’utilizzo della sostanza o dell’oggetto non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o sulla salute umana”. Nel parlare, soprattutto con i non addetti ai lavori, questi prodotti sono definiti materie prime secondarie retaggio di una vecchia normativa anche se, nel caso specifico, la definizione è sostanzialmente accoglibile. Personalmente me ne piace molto un’altra che è quella di materie prime sostitutive definizione tratta dal concetto che questi prodotti (o materiali) vanno ad inserirsi in un processo industriale esistente al posto, in tutto o in parte, delle materie prime naturali o di sintesi usualmente impiegate. Senza ritornare sulle dissertazioni di uno scritto precedente con il quale si sosteneva come la produzione normativa non possa temporalmente e sostanzialmente seguire l’evoluzione tecnologica credo si possa trarre un importante elemento di giudizio: se il prodotto (o materiale o sostanza) è idoneo a sostituire una materia prima naturale o di sintesi restituendo vantaggi tec-


nologici, di processo e/o ambientali possiamo ritenere che la stessa abbia le caratteristiche per essere un End of Waste.

L’OMBRA DEL PASSATO CI CONDIZIONA

Non sarebbe serio per un’analisi oggettiva omettere le problematiche che, nel passato e forse ancora oggi, una gestione illecita e/o tecnicamente non validata dei rifiuti ha creato e crea sull’ambiente. Alcuni settori industriali erano destinatari favoriti di determinate tipologie di prodotto (o rifiuto) semplicemente perché costavano meno di un impianto di trattamento discarica e/o di recupero che fosse e perché inseriti in percentuali minimali non davano fastidio al processo e/o al prodotto. Il presupposto di utilizzo era quindi del vantaggio economico per le parti: da un lato si spendeva meno di smaltimento dall’altro si spendeva meno per la materia prima. Questi nefasti auspici hanno, nei fatti, creato vere e proprie bombe ambientali nei sottofondi stradali per esempio e/o in miscele per calcestruzzo ed in altri settori. È giusto ricordarsi che la “fedina penale” dell’utilizzo dei rifiuti e/o dei prodotti che derivano dal trattamento degli stessi non è immacolata e questo pregiudizio pesa al momento dell’ottenimento di un permesso o in fase di controllo degli Enti.

CAMBIO DI STRATEGIA E NORMATIVA

Essere all’interno di un sistema più ampio di quello nazionale ha certamente favorito la conoscenza di altre esperienze in Europa e nel Mondo, potremmo spingerci a considerarlo un effetto positivo della globalizzazione. Standard internazionali che sempre di più hanno normato i settori e/o i prodotti hanno certamente contribuito a cambiare l’approccio del settore del recupero dei rifiuti; introdurre un End of Waste in un settore produttivo poteva prefigurare uno o più dei seguenti scenari: 1. certificare il prodotto ottenuto dal trattamento secondo uno o più standard internazionali (cfr. EN 12960 aggregati per il CLS); 2. garantire al cliente che introduce il prodotto E.o.W. nel ciclo produttivo di poter certificare il suo prodotto secondo standard di prodotto (UNI EN 538 e successive per tegole in laterizio); 3. garantire al cliente che introduce il prodotto E.o.W. che il prodotto in uscita (ceramica, laterizio, CLS o altro) soddisfi le caratteristiche estetiche necessarie per essere immesso sul mercato. Questi standard hanno quindi meglio definito il perimetro all’interno del quale muoversi. Non di meno alcune esperienze mutuate per esempio dagli USA hanno favorito l’aspetto legato al marketing e commerciale. Lo standard LEED ha per esempio definito le caratteristiche necessarie perché un quartiere e/o una costruzione possano essere certificati secondo il loro standard. Nella sezione materiali e risorse l’impiego di materiali prodotti con l’utilizzo di risorse sostenibili viene premiato, se queste risorse provengono dal recupero e riciclaggio dei rifiuti (post consumer) i crediti vengono raddoppiati. Nel caso specifico i cittadini, partendo da quelli dei Paesi più

evoluti, valutano durante l’acquisto di una casa elementi che vanno oltre l’estetica ed il prezzo. Su questa spinta “ecologista” molti produttori di materiale per edilizia si interessano all’introduzione di prodotti end of waste all’interno dei loro manufatti. Tutto questo molto prima che venisse coniato lo slogan economia circolare e con risultati decisamente tangibili sotto il profilo tecnico ed ambientale.

I METALLI, RICICLATI DA SEMPRE

È certamente un esempio di economia circolare il settore del recupero e riciclaggio dei metalli ferrosi e non ferrosi e, tra questi, i preziosi. È sempre stato normale che il “rottamaio” passasse a raccogliere il ferro, l’alluminio o il rame e più di recente che questi materiali fossero raccolti in modo differenziato nelle nostre città e poi, generalmente dopo un processo di cernita e pulizia, venissero avviati a fusione per tornare nel ciclo dei materiali. L’economia circolare legata al riciclaggio dei metalli è sempre stata nella nostra percezione e conosciuta, se non sotto il profilo tecnico e normativo, certamente sotto quello operativo. Sono numerosi gli studi che documentano il vantaggio ambientale di lavorare scarti provenienti dalla raccolta differenziata e/o dal trattamento di scarti metallici rispetto a quello legato all’estrazione e raffinazione dei minerali. Una serie di regolamenti UE hanno, per questo specifico settore, normato i criteri con i quali il rifiuto cessa di essere tale per il ferro, acciaio e alluminio (333/2011/UE) e per il rame (715/2013/UE).

LE PLASTICHE, ESIGENZA CRESCENTE

L’incremento della quantità di materiale plastico immesso sul mercato come imballaggio a seguito del ruolo sempre più centrale del packaging nella vendita dei prodotti ha reso necessario sviluppare in tempo recente la filiera del recupero e riciclaggio delle plastiche. I materiali plastici che provengono dalla raccolta degli imballaggi vuoti sono nella disponibilità del COREPLA il consorzio di filiera che si occupa della raccolta e del recupero e riciclaggio

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END OF WASTE, ESPERIENZE CONCRETE

Le righe che seguono presentano alcune esperienze attive sul territorio italiano e quali possano essere considerati i vantaggi tecnologici ed ambientali dell’utilizzo dei materiali che andremo a descrivere.

UTILIZZO DEL VETRO CRT NEL SETTORE DELLA CERAMICA

Le numerose esperienze effettuate permettono di affermare che l’aggiunta di una sabbia di vetro rappresenta un energico fondente che contribuisce ad incrementare le proprietà meccaniche del materiale e/o alla riduzione del gas metano (o altro combustibile) necessario per la cottura del prodotto. Per la composizione chimica, la reattività alla temperatura e le proprietà tecnologiche e meccaniche indotte sul ciclo e sul prodotto si ritiene che la sabbia di vetro tipo pannello proveniente dal riciclaggio dei tubi catodici (usualmente CRT) sia quella più idonea al raggiungimento dello scopo. La sabbia deve avere dimensioni tali, sotto i 5,00 mm, in quanto usualmente i processi ceramici di preparazione delle materie prime prevedono una fase di macinazione ad umido e di setacciatura della barbottina.

Caratteristiche tecniche dell’additivo fondente

Il prodotto End of Waste studiato per questa applicazione ha le seguenti caratteristiche principali: • Granulometria: 0,4 – 4,0 mm • Composizione: 100% vetro tipo pannello post consumer • Inquinanti organici: non presenti • Ferro: inferiore a 0,5% in peso Il materiale proviene da un processo di macinazione e classificazione granulometrica di vetro tipo cono proveniente dalla bonifica dei CRT, la garanzia di avvenuta bonifica è data dalle analisi chimiche di verifica dei marker identificati dal documento C.d.C. R.A.E.E. – A.R.P.A. Veneto.

Vantaggi tecnologici e ambientali

L’utilizzo della sabbia di vetro fondente consente l’ottenimento di una serie di importanti vantaggi che possiamo riassumere nel seguente modo: a. valorizzazione dell’inserimento di materiali recuperati per accreditamento LEED; b. chiusura etica ed ambientalmente compatibile del ciclo dei rifiuti senza nessun influsso negativo sulle fasi successive della gestione del fine vita della costruzione; c. riduzione delle emissioni complessive di CO2; d. l’utilizzo di vetri di recupero, oltre a diminuire l’impiego di risorse prime naturali, consente di creare un supporto più leggero: a parità di formato e spessore si hanno pesi inferiori del 12% al mq rispetto a un gres porcellanato tradizionale. L’impasto più chiaro esalta inoltre l’estetica, l’intensità dei colori e la definizione grafica del prodotto finito; e. razionalizzazione del processo produttivo per renderlo più efficiente e ridurne l’impatto ambientale, riuscendo ad ottenere nel ciclo di cottura, una diminuzione di 100°C rispetto alla produzione del gres porcellanato standard. Questo significa una riduzione dei consumi di energia e un abbattimento delle emissioni di CO2. f. il prodotto ottenuto presenta ottime caratteristiche meccaniche e di assorbimento, con performances superiori a livello di regolarità dimensionale rispetto al gres porcellanato tradizionale. g. valutazione dell’impatto dell’innovazione sul sistema: minore conferimento in discarica con ricadute positive per il territorio. Possiamo quindi affermare, nel caso specifico, che la materia prima di recupero, sostitutiva di quella naturale ha proprietà tecnologiche nell’impasto analoghe a quelle della materia prima sostituita e determina caratteristiche migliorate nel prodotto e benefici sul ciclo produttivo.

UTILIZZO DEL VETRO CRT NEL SETTORE DEI LATERIZI

Le numerose esperienze effettuate permettono di affermare che l’aggiunta di una sabbia di vetro, fondente, permette due vantaggi in contemporanea; la sabbia di

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vetro si comporterà come smagrante nella fase di essiccamento contribuendo alla riduzione dell’energia necessaria per il processo mentre, in forno, rappresenta un energico fondente che contribuisce ad incrementare le proprietà meccaniche del materiale e/o alla riduzione del gas metano (o altro combustibile) necessario per la cottura del prodotto. Per la composizione chimica, la reattività alla temperatura e le proprietà tecnologiche e meccaniche indotte sul ciclo e sul prodotto si ritiene che la sabbia di vetro tipo cono proveniente dal riciclaggio dei tubi catodici (usualmente CRT) sia quella più idonea al raggiungimento dello scopo. La sabbia deve avere dimensioni tali, sotto gli 1,50 mm, da interagire con l’impasto distribuendosi in modo uniforme nel prodotto e garantendo quindi un risultato omogeneo anche in termini di resistenza meccanica.

Caratteristiche tecniche dell’additivo fondente

Il materiale proviene da un processo di macinazione e classificazione granulometrica di vetro tipo cono proveniente dalla bonifica dei CRT, la garanzia di avvenuta bonifica è data dalle analisi chimiche di verifica dei marker identificati dal documento C.d.C. R.A.E.E. – A.R.P.A. Veneto e dal controllo colorimetrico della rimozione del coating. La buona capacità fondente è assicurata dalla presenza di ossidi alcalini come Ca e K nonché dalla presenza del PbO, energico fondente, presente come cristallo. Sperimentazioni industriali condotte dalla sezione di Modena e Reggio Emilia dell’ARPA Emilia Romagna hanno documentato come il settore dei laterizi sia il settore d’elezione per l’utilizzo di fondenti contenenti ossido di piombo. Lo studio in particolare era focalizzato sull’utilizzo di fanghi che contenevano piombo. A maggiore valorizzazione dei concetti espressi si ricorda che il vetro apporta il PbO come costituente dello stesso (si ricorda che il Cristallo di Boemia è definito in funzione della percentuale di PbO contenuto) e non è quindi soggetto a fenomeni di lisciviazione.

Vantaggi tecnologici e ambientali

L’utilizzo della sabbia di vetro fondente consente l’ottenimento di una serie di importanti vantaggi sia sotto il profilo tecnologico (qualità del prodotto), di processo (riduzione dei consumi energetici) e ambientale (minori emissioni di CO2).

UTILIZZO DI QUARZO R NEL SETTORE DEI LATERIZI

Sempre più il settore ceramico è caratterizzato da prodotti rettificati e lucidati per garantire, soprattutto nei grossi formati, costanza dimensionale e superfici gradevoli perché possano essere di interesse per il cliente finale. Molti stabilimenti hanno linee di post produzione che prevedono queste due importanti fasi e dalle quali residuano fanghi di levigatura e taglio.

Caratteristiche tecniche del prodotto

Il prodotto in esame è quindi composto dallo stesso materiale ceramico, in particolare da gres porcellanato in granulometria fine ed umido per l’utilizzo di acqua durante il processo. Parliamo quindi di prodotti di alta qualità tecnica che possono essere utilmente impiegati come filler in impasti per laterizi senza finalità fondenti. Il prodotto viene dosato con un apposito cassone che ne dosa la quantità predefinita nell’impasto che viene poi sottoposto alle fasi di miscelazione ed omogeneizzazione per l’ottenimento di un prodotto di qualità.

Vantaggi tecnologici ed ambientali

L’utilizzo del quarzo R consente l’ottenimento di una serie di importanti vantaggi che possiamo riassumere nel seguente modo: a. valorizzazione dell’inserimento di materiali recuperati per accreditamento LEED; b. chiusura etica ed ambientalmente compatibile del ciclo dei rifiuti senza nessun influsso negativo sulle fasi successive della gestione del fine vita della costruzione; c. il prodotto ottenuto presenta ottime caratteristiche meccaniche e di assorbimento, con performances superiori a livello di regolarità dimensionali rispetto al gres porcellanato tradizionale; d. valutazione dell’impatto dell’innovazione sul sistema: minore conferimento in discarica con ricadute positive per il territorio.


dei materiali plastici. Se la filiera della plastica di imballaggio, pur con alterne vicende legate al prezzo del petrolio e/o alla disponibilità della Cina a ritirare quei materiali che sarebbe impossibile lavorare in Europa, può considerarsi consolidata vi sono plastiche provenienti da altri prodotti che stanno diventando un serio problema ambientale. Citiamo in questo contesto tutte le plastiche che derivano dal trattamento dei rifiuti elettrici ed elettronici dove per quelle dei frigoriferi (generalmente PS) e dei televisori (PS o ABS) vi sono soluzioni abbastanza consolidate ci si trova davanti ad una incrementale produzione di plastiche miste provenienti dai c.d. piccoli elettrodomestici che hanno un alto tasso di obsolescenza e sono, sempre più, composti da materiale plastico. Da un punto di vista commerciale l’incremento del costo del petrolio spinge gli utilizzatori a cercare plastiche di riciclo che possono essere impiegate in percentuale all’interno della miscela di materia prima vergine. Per la definizione dei criteri per la cessazione della qualifica di rifiuto ci viene incontro la normativa UNIPLAST che definisce nello specifico requisiti e standard.

Codice CER

ALTRE FILIERE DA INDAGARE

L’impiego di prodotti End of Waste impone una seria e chiara collaborazione tra gli attori della filiera: chi ha il rifiuto, chi è in grado di recuperarlo, chi ha interesse ad impiegare il prodotto che viene a crearsi. Non è facile armonizzare le esigenze di tutti ma certamente i benefici ambientali diretti e indiretti sono tali da rendere questo segmento di attività di particolare interesse strategico. Nella tabella sono riportate alcune filiere in corso di indagine per l’individuazione di possibilità di utilizzo.

CONSIDERAZIONI FINALI

Il sistema di recupero e riciclaggio e, più in generale, l’intera filiera dei rifiuti necessita di sbocchi per i materiali e che gli stessi escano dalla classificazione dei rifiuti per ragioni commerciali ed amministrative. Alcune delle filiere descritte più come approccio e risultato che con la pretesa di esaustività della descrizione possono essere ampliate ed altre ancora indagate per dare corpo ai dettami dell’economia circolare, perché non resti uno slogan ma una concreta opportunità di sviluppo, lavoro, profitto e crescita. *Ecoproject S.a.s. Correggio (RE)

Descrizione

01.04.12

Sterili e scarti pulitura minerali

01.04.13

Scarti della lavorazione delle pietra

07.01.12

Fanghi da trattamento in loco effluenti (TiO2)

07.02.12

Fanghi da trattamento in loco effluenti

07.03.12

Fanghi da trattamento in loco effluenti

07.04.12

Fanghi da trattamento in loco effluenti

07.05.12

Fanghi da trattamento in loco effluenti

08.02.02

Fanghi acquosi contenenti materiali ceramici

10.12.01

Scarti non sottoposti a trattamento termico

10.12.08

Scarti sottoposti a trattamento termico

10.12.03

Fanghi da trattamento in loco effluenti

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A TT U AL I T À

L’UNIONE EUROPEA APPROVA IL PACCHETTO SULL’ECONOMIA CIRCOLARE LA QUOTA DI RIFIUTI URBANI DA RICICLARE PASSERÀ DALL’ATTUALE 44% AL 55% NEL 2025, FINO AL 65% NEL 2035 di Maeva Brunero Bronzin

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ell’Unione europea si producono ogni anno più di 2,5 miliardi di tonnellate di rifiuti. L’UE sta aggiornando la legislazione sulla gestione dei rifiuti per promuovere la transizione verso un’economia circolare (condivisione, prestito, riutilizzo, riparazione, ricondizionamento e riciclo dei materiali e prodotti esistenti il più a lungo possibile) in alternativa all’attuale modello economico lineare. Grazie alle nuove norme sui rifiuti e sull’economia circolare adottate a fine aprile, l’Unione Europea sostiene obiettivi ambiziosi in materia di riciclaggio. Migliorare la gestione dei rifiuti può portare benefici all’ambiente, al clima e alla salute, ma non solo. Questo pacchetto legislativo, composto da quattro atti, mira a promuovere la cosiddetta economia circolare. L’economia circolare è un modello di produzione e consumo che implica condivisione, prestito, riutilizzo, riparazione, ricondizionamento e riciclo di materiali e prodotti esistenti il più a lungo possibile. In questo modo si estende il ciclo di vita dei prodotti, contribuendo a ridurre i rifiuti al minimo. Una volta che il prodotto ha terminato la sua funzione, i materiali di cui è composto vengono infatti reintrodotti, laddove possibile, nel ciclo economico. Così si possono continuamente riutilizzare all’interno del ciclo produttivo generando ulteriore valore. I principi dell’economia circolare contrastano con il tradizionale modello economico lineare, fondato invece sul tipico schema “estrarre, produrre, utilizzare e gettare”. Il modello economico tradizionale dipende dalla disponibilità di grandi quantità di materiali ed energia facilmente reperibili e a basso prezzo. Il Parlamento europeo chiede l’adozione di misure anche contro l’obsolescenza programmata dei prodotti, strategia propria del modello

economico lineare. La transizione verso un’economia circolare è necessaria perché ci troviamo di fronte a un aumento della domanda di materie prime e allo stesso tempo a una scarsità delle risorse: molte delle materie prime e delle risorse essenziali per l’economia sono limitate, ma la popolazione mondiale continua a crescere e di conseguenza aumenta anche la richiesta di tali risorse finite. Questo bisogno di materie prime crea una dipendenza verso altri paesi: alcuni stati membri dell’UE dipendono infatti da altri paesi per quanto riguarda l’approvvigionamento. Non dobbiamo poi dimenticare l’impatto sul clima: i processi di estrazione e utilizzo delle materie prime producono un grande impatto sull’ambiente e aumentano il consumo di energia e le emissioni di anidride carbonica (CO2). Un uso più razionale delle materie prime può contribuire a diminuire le emissioni di CO2. Grazie a misure come prevenzione dei rifiuti, ecodesign e riutilizzo dei materiali, si stima che le imprese europee otterrebbero un risparmio netto di 600 miliardi di euro, pari all’8% del fatturato annuo, e ridurrebbero nel contempo le emissioni totali annue di gas serra del 2-4%. Inoltre si avrebbe un incremento dell’occupazione; si ritiene che nell’UE grazie all’economia circolare ci saranno 580.000 nuovi posti di lavoro.

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I NUOVI OBIETTIVI

Entro il 2025, almeno il 55% dei rifiuti urbani domestici e commerciali dovrebbe essere riciclato, si legge nel testo. L’obiettivo salirà al 60% nel 2030 e al 65% nel 2035. Il 65% dei materiali di imballaggio dovrà essere riciclato entro il 2025 e il 70% entro il 2030. Vengono fissati inoltre degli obiettivi distinti per materiali di imballaggio specifici, come carta e cartone, plastica, vetro, metallo e legno. La proposta di legge limita inoltre la quota di rifiuti urbani da smaltire in discarica a un massimo del 10% entro il 2035. Nel 2014, Austria, Belgio, Danimarca, Germania, Olanda e Svezia non hanno inviato praticamente alcun rifiuto in discarica, mentre Cipro, Croazia, Grecia, Lettonia e Malta hanno interrato più di tre quarti dei loro rifiuti urbani. L’Italia nel 2016 ha smaltito in discarica 26,9 milioni di tonnellate di rifiuti, circa 123 chili pro capite che corrispondono al 27,64% della quota di rifiuti prodotti. I prodotti tessili e i rifiuti pericolosi provenienti dai nuclei domestici dovranno essere raccolti separatamente entro il 2025, così come i rifiuti biodegradabili che potranno essere riciclati anche direttamente nelle case attraverso il compostaggio.

RIDURRE GLI SPRECHI ALIMENTARI DEL 50%

In linea con gli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite, gli Stati membri dovrebbero ridurre gli sprechi alimentari del 30% entro il 2025 e del 50% entro il 2030. Al fine di prevenire lo spreco di alimenti, i Paesi UE dovrebbero incentivare la raccolta dei prodotti invenduti e la loro ridistribuzione in condizioni di sicurezza. Per i deputati si deve puntare anche sul miglioramento della consapevolezza dei consumatori circa il significato dei termini “da consumarsi entro” e “da consumarsi preferibilmente entro”. Nell’UE si producono 88 milioni di tonnellate di rifiuti alimentari all’anno, ovvero circa 173 kg a persona. I prodotti alimentari vengono persi e sprecati lungo tutta la filiera alimentare: nelle aziende agricole, nella lavorazione e produzione, nei negozi, nei ristoranti e in casa. Sempre secondo stime, i settori che in media contribuiscono maggiormente allo spreco dei generi alimentari nell’UE sono le famiglie (53%) e l’industria della trasformazione alimentare (19%). È necessario che i consumatori siano meglio informati sullo spreco di cibo e sulle sue cause. Secondo un sondaggio dell’Eurobarometro la data di scadenza sui prodotti alimentari è mal compresa, anche se quasi 6 europei su 10 dicono di controllare sempre le diciture “da consumarsi preferibilmente entro” e “da consumarsi entro” sulle etichette. L’incomprensione riguardo alle date di scadenza contribuisce all’au-

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mento dei tassi di spreco. Lo spreco di alimenti implica anche uno spreco di risorse preziose e spesso limitate (acqua, suolo, ore di lavoro, energia, ecc.) contribuendo inoltre al cambiamento climatico. Secondo la FAO, i rifiuti alimentari creano un inquinamento da anidride carbonica equivalente a circa l’8% delle emissioni totali di gas ad effetto serra prodotte dall’uomo. Questo perché per ogni chilo di cibo prodotto vengono rilasciati 4,5 kg di CO2 nell’atmosfera. La riduzione dei rifiuti alimentari non è solo un obbligo economico e ambientale, ma anche morale. Secondo i dati forniti dalla FAO, circa 793 milioni di persone nel mondo sono malnutrite. I dati Eurostat ci mostrano che 55 milioni di persone (il 9,6% della popolazione dell’UE-28) non sono riuscite a permettersi un pasto di qualità ogni due giorni nel 2014.

SIMONA BONAFÈ, RELATRICE DEL PACCHETTO SULL’ECONOMIA CIRCOLARE “Con questo pacchetto l’Europa punta con decisione a uno sviluppo economico e sociale sostenibile, in grado di integrare finalmente politiche industriali e tutela ambientale. L’economia circolare, infatti, non è solamente una politica di gestione dei rifiuti ma è un modo per recuperare materie prime e non premere oltremodo sulle risorse già scarse del nostro pianeta, anche innovando profondamente il nostro sistema produttivo”, ha detto la relatrice Simona Bonafè. “Certo, il pacchetto che andremo ad approvare contiene anche importanti misure sulla gestione dei rifiuti e, allo stesso tempo però, va oltre a queste, definendo norme che prendono in considerazione l’intero ciclo di vita di un prodotto e si pongono l’obiettivo di modificare il comportamento di aziende e consumatori. Per la prima volta gli Stati membri saranno obbligati a seguire un quadro legislativo univoco e condiviso. Un piano ambizioso, con dei paletti chiari e inequivocabili”, ha aggiunto.


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A T T U A L I TÀ

IL MERCATO SI È RIMESSO IN MOTO AL SAMOTER DAY LE PROIEZIONI SUL MERCATO DEL MOVIMENTO TERRA GRAZIE ALLO STUDIO DI PROMETEIA di Laura Veneri

I

n vista del SaMoTer 2020, il salone internazionale non rinuncia ad affiancare gli operatori del settore organizzando importanti appuntamenti quali il SaMoTer Day. Il 28 Marzo abbiamo partecipato al primo SaMoTer Day, l’osservatorio sul mondo delle macchine per costruzioni realizzato da SaMoTer in collaborazione con Prometeia e con il contributo informativo di Unacea, in cui gli organizzatori della fiera ci hanno annunciato le importanti novità della prossima edizione. La 31a edizione di SaMoTer si terrà dal 22 al 25 marzo 2020, con una diversa collocazione, da domenica a mercoledì, e un’anteprima su invito, sabato 21, riservata alla stampa specializzata e ai top client delle aziende espositrici. “Abbiamo ricalibrato la data da febbraio a marzo, cogliendo le esigenze dei costruttori per offrire una partecipazione alla fiera sempre più su misura” spiega il direttore generale di Veronafiere Giovanni Mantovani. Anche per la prossima edizione, confermato il format della precedente. Oltre alla parte espositiva e business, che nel 2017 ha visto la presenza di 450 aziende di cui il 25% estere, resta forte il focus su innovazione tecnologica, contenuti e approfondimenti formativi per gli operatori. SaMoTer sarà affiancato anche nella prossima edizione 2020 da Asphaltica, il salone dedicato alla filiera dell’asfalto e delle infrastrutture stradali, organizzato insieme a Siteb (Associazione italiana bitume asfalto strade). Rinnovate, inoltre, le principali partnership strategiche con CECE (Committee for European Construction Equipment) e Unacea (Unione Nazionale Aziende Construction Equipment & Attachments), mentre il SaMoTer Outlook, monitor sui dati del comparto, viene fornito ancora con la consulenza dal centro studi di Prometeia e il contributo informativo di Unacea.

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Proprio grazie alla collaborazione tra SaMoTer e Prometeia possiamo aggiornarvi sugli ultimi dati disponibili delle macchine per costruzioni che hanno superato i 2,4 miliardi di euro di export nei primi 11 mesi del 2017.

IL MERCATO MONDIALE DELLE MACCHINE MOVIMENTO TERRA

L’asticella è fissata a quota 1 milione, tante saranno le macchine movimento terra comprate nel 2020 in tutto il mondo, con un testa a testa giocato sempre più tra Nord America e Cina. Il mercato di escavatori e bulldozer si è rimesso in moto dopo gli anni di crisi. Dopo aver chiuso il 2017 con il record storico di 825mila mezzi venduti, in aumento del 23% sull’anno precedente, nel prossimo triennio il settore punta a consolidare la ripresa, con una crescita costante che dal +5,3% del 2018 raggiungerà +7,6% nel 2020. Tra le economie mature, il Nord America si conferma anche nel futuro il mercato di riferimento, con il 9% in più di ordinativi nel 2020, sostenuti da investimenti in costruzioni in aumento del 2,5% annuo di media. L’Europa, grazie ad una crescita media della domanda di macchine movimento terra del 5% tra il 2018 e il 2020 tornerà ai livelli pre-crisi del 2007, con un totale di 205mila unità. Frenata prevista per il Giappone, con un rallentamento fino ad un +1% delle vendite tra il 2019 e il 2020. Le prospettive per le aree emergenti vedono una nuova accelerazione edilizia in America Latina, con relativa domanda di macchinari da cantiere che fa segnare un +17% tra il 2019 e il 2020. Per la Cina, oggi secondo mercato mondiale con il 21% delle quote, si prevede una stabilizzazione intorno alle 180mila vendite e un ritmo medio di crescita del 2-3 per cento che porterà il gigante asiatico ad eguagliare sostanzialmente i competitor nordamericani. L’Europa centro-orientale toccherà nel 2020 il suo primato assoluto di 44mila macchine (+11%), per la metà comprate dalla Russia. Buona crescita ipotizzata anche per l’India con 50mila unità nel 2020 (+12%). A spingere la ripresa, il rafforzamento del ciclo positivo del comparto delle costruzioni: nel 2017 gli investimenti mondiali hanno toccato i 6.912 miliardi di euro, in aumento del 3,1% sul 2016. Una fase espansiva che continuerà fino al 2020, ad una media ancora superiore al 3 per cento.

ITALIA: CRESCITA A DOPPIA CIFRA FINO AL 2020

Con 13.700 macchine movimento terra vendute, in aumento del 16% sul 2016, per l’Italia il 2017 è stato il quarto anno di crescita consecutivo, dopo il tracollo dell’80% toccato tra il 2008 e 2013. Lo sviluppo previsto continuerà su tassi a doppia cifra con 15.600 macchine vendute nel 2018 (+14,3%), per arrivare a 19.800 nel 2020 (+12,6%). Numeri che confermano il nostro Paese quale 4° mercato in Europa, anche se il suo ridimensionamento appare ormai strutturale, se confrontato con le 30mila unità vendute nel 2007. A trainare la progressione positiva nel 2017, oltre alla sostituzione del parco mezzi, è l’andamento degli investimenti nel campo delle costruzioni, soprattutto nel residenziale (+1,9%):

il segno positivo dei permessi a costruire rilasciati mostra una graduale ripartenza per le nuove abitazioni, anche se rimane fondamentale il capitolo di spesa per la manutenzione e la ristrutturazione degli immobili esistenti. Deciso recupero anche per le opere pubbliche, spinte dalla crescita dei bandi di gara (+33,1% in valore), dopo un 2016 condizionato dalle incertezze legate al nuovo Codice degli appalti. Nel Paese, dal 2018 al 2020, la ripresa del comparto costruzioni tenderà a consolidarsi intorno ad un tasso di crescita medio annuo dell’1,5 per cento. In questo periodo, le principali misure di stimolo saranno costituite da 14,4 miliardi di euro del Fondo di Investimenti (infrastrutture, trasporti, edilizia scolastica e sanitaria, opere contro il dissesto idrogeologico); 6 miliardi della Legge di Stabilità per la ricostruzione delle aree terremotate; 2 miliardi per la messa in sicurezza del patrimonio immobiliare. A questo si aggiungono la proroga degli incentivi fiscali per ristrutturazioni e riqualificazione energetica; l’ecobonus per i condomini; il sisma bonus; maggiori spazi di manovra per gli investimenti dei Comuni in edilizia scolastica e sportiva. Sul fronte delle grandi opere, RFI, gestore dell’infrastruttura ferroviaria nazionale, metterà sul piatto 13,3 miliardi di euro dal 2017 al 2021, mentre Anas fino al 2020 mobiliterà risorse per 21 miliardi.

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UNACEA: CRESCE IL MERCATO ITALIANO NEL PRIMO TRIMESTRE 2018

Nel primo trimestre del 2018 sono state immesse sul mercato italiano 2.713 macchine per costruzioni, con una crescita del 30% rispetto a quanto rilevato nello stesso periodo dello scorso anno. Più in dettaglio, sono 2.620 le macchine movimento terra vendute e 93 le macchine stradali. “Il mercato italiano si conferma in crescita anche nei primi mesi del 2018 - ha dichiarato Paolo Venturi, Presidente di Unacea - va ricordato tuttavia come una parte consistente di questo incremento nelle vendite sia più legato ai livelli di obsolescenza del parco esistente che a una effettiva ripresa del settore dell’edilizia. Durante gli anni della crisi, infatti, il tasso di sostituzione delle macchine obsolete ha subito una drastica riduzione. I segnali di ripresa e le aspettative stanno stimolando la domanda di nuove macchine, ma è solo in presenza di un rilancio degli investimenti nel settore delle costruzioni che si potrà stabilizzare una crescita di medio periodo”. Guardando al mercato estero, nei dodici mesi del 2017 l’export italiano di macchine per costruzioni ha raggiunto i 2,8 miliardi di euro, con una crescita annua del 7%. In particolare, secondo quanto emerge dall’ultimo monitor commercio estero del SaMoTer Outlook realizzato da Prometeia con il contributo di Unacea, crescono le esportazioni di macchine stradali (20%), di macchine per la preparazione degli inerti

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(15%), di macchine per il movimento terra (14%), di gru a torre (9%) e di macchine per il calcestruzzo (7,5%). In calo invece l’export di macchine per la perforazione (-18%). Positive le importazioni, che crescono del 13%, così come l’avanzo della bilancia commerciale (+4,6%) che supera 1,8 miliardi di euro. Riguardo ai mercati di destinazione è la Francia il primo partner commerciale di settore per l’Italia nel 2017, con oltre 265 milioni di euro di export assorbito, in crescita del 27% rispetto a quanto rilevato nel 2016.


LE DUE ITALIE DEI RIFIUTI NEI DATI SULLA GESTIONE DEI RIFIUTI URBANI IN ITALIA PUBBLICATI SUL GREEN BOOK 2018 DI UTILITALIA, LA FOTOGRAFIA DI UN PAESE DIVISO IN DUE di Bruno Vanzi

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randi differenze tra Nord e Sud Italia nella gestione dei rifiuti: la raccolta differenziata viaggia a due velocità così come gli investimenti sugli impianti. Lo rivela il GREEN BOOK 2018, realizzato per Utilitalia dalla Fondazione Utilitatis in collaborazione con Cassa Depositi e Prestiti. Il Nord Italia raggiunge in media il 64% di raccolta differenziata e quasi tutte le province sono sopra il 50%, mentre il Sud con situazioni fortemente arretrate non raggiunge la media del 38%. Per i rifiuti rimane un forte squilibrio sugli impianti soprattutto in relazione ai target europei: un settore che avrebbe bisogno di investimenti per almeno 4 miliardi di euro. Da una mappatura degli operatori emerge una larga prevalenza di aziende a partecipazione pubblica al Centro-Nord e una presenza residuale al Sud (al 33%). Nel Mezzogiorno si ricorre in modo preponderante al trattamento in discarica (62%) mentre al Nord il 69% dei rifiuti è avviato a trattamento negli impianti di recupero energetico. Ed è proprio dove il servizio è peggiore che la spesa media annuale per famiglia è più elevata. “Non si può non mettere in evidenza l’eterogeneità che caratterizza la situazione naziona-

le. Significative differenze anche sul livello qualitativo e sui costi del servizio, con il paradosso - osserva il vicepresidente di Utilitalia, Filippo Brandolini - che si registrano costi maggiori là dove qualità ed efficacia del servizio sono invece inferiori. Dipende dal livello di industrializzazione e dalla presenza o meno di imprese strutturate. Il via libera del Parlamento Europeo al pacchetto di misure sull’economia circolare, comporterà un’evoluzione nell’organizzazione dei servizi e delle imprese, ma c’è molta attesa anche dall’avvio concreto della regolazione sul settore rifiuti da parte dell’Autorità di regolazione per energia, reti e ambiente (ARERA)”. “Utilitalia auspica che con il lavoro del regolatore - afferma Brandolini - potremo giungere gradualmente al superamento della legislazione concorrente tra Stato e Regioni, accelerare il riassetto della governance, favorire il superamento della frammentazione, e accelerare il percorso verso l’adozione di una tariffa corrispettiva, capace di commisurare il costo alla quantità e alla qualità del servizio, nel rispetto del principio europeo ‘chi inquina paga’”. “Il Green Book scatta la fotografia del settore rifiuti all’avvio della regolazione di ARERA - rileva Valeria Garotta, direttore

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della Fondazione Utilitatis - I dati cristallizzano il mancato compimento del disegno normativo secondo cui il ciclo integrato dei rifiuti deve essere organizzato per ambiti territoriali di dimensioni adeguate: dal permanere dell’inoperatività di alcuni enti di governo d’ambito, all’elevata frammentazione gestionale; dagli squilibri territoriali nell’assetto impiantistico, all’elevato numero di gare bandite per singoli comuni e brevi durate. L’auspicio è che la prossima edizione del rapporto possa catturare importanti cambiamenti, messi in moto dall’intervento di ARERA. Inoltre, rispetto alle precedenti edizioni, il Green Book si arricchisce di una mappatura puntuale dei gestori nei singoli comuni e di un focus sui grandi centri urbani”.

PRODUZIONE E RACCOLTA DIFFERENZIATA

La produzione dei rifiuti prodotti in Italia ha ripreso a crescere nel 2016, dopo alcuni anni di stabilizzazione: l’incremento è stato del 2% rispetto all’anno precedente, soprattutto per via della ripresa economica. La raccolta differenziata ha raggiunto il 52,5% nel 2016, anche se con molte differenze tra aree del Paese: il Nord arriva al 64%, il

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ne gestito il 98% della frazione organica da raccolta differenziata; gli impianti di compostaggio della stessa tipologia di rifiuti sono invece in prevalenza al Sud (il 49% trattata in impianti a partecipazione pubblica e il 51% privati). Gli impianti di trattamento meccanico biologico (Tmb) sono più diffusi al Sud (con il 49% del trattamento). Per lo smaltimento in discarica il Sud supera il resto del Paese: con il 62% del rifiuto urbano residuo a livello nazionale smaltito in questo modo. La situazione si capovolge sugli impianti di recupero energetico: concentrati soprattutto al Nord dove viene trattato il 69%, il 12% al Centro e il 19% al Sud.

DATI ECONOMICI

Nel 2016, dall’analisi dei 575 gestori individuati, il settore dell’igiene urbana ha registrato oltre 12 miliardi di fatturato, occupando 90.433 addetti. Il 75% delle aziende è rappresentato da monoutility legate al settore ambiente, il restante 25% da aziende multiutility. Gli operatori di piccole dimensioni (con fatturato inferiore ai 10 milioni di euro) rappresentano il 55% del totale anche se contribuiscono a solo il 10% del fatturato nazionale. Il 37% del fatturato di settore è generato dal 3% di operatori con un volume d’affari superiore ai 100 milioni di euro. Gli operatori della categoria ‘Raccolta e Ciclo Integrato’ (cioè che gestiscono tutto il processo dalla produzione alla fine del rifiuto) rappresentano il 73% del totale, registrano il 73% del fatturato e occupano l’89% degli addetti; la categoria ‘Gestione Impianti’ comprende il restante 27% degli operatori, genera il 27% del fatturato complessivo ed impiega l’11% della forza lavoro. Dal punto di vista dell’assetto proprietario il 34% delle aziende ha natura completamente privata e il 66% risulta partecipato dal pubblico. Centro al 48,6% e il Sud al 37,6%. Per quanto riguarda la riforma dell’assetto organizzativo del servizio di igiene urbana, sono oggi presenti 57 Ambiti Territoriali Ottimali (ATO), con una riduzione del 55% rispetto ai 129 ATO del 2007; prevalgono gli Ambiti regionali anche se ci sono ATO con dimensione che varia dalla scala regionale a quella sub-provinciale.

SPESA PER FAMIGLIA E GRANDI CITTÀ

Dall’analisi sulle tariffe per il 2017, su una popolazione complessiva di oltre 18 milioni di abitanti nei comuni capoluogo, una famiglia tipo (3 persone che vivono in 100 metri quadri) nel 2017 ha speso mediamente 227 euro in un comune sotto i 50.000 abitanti e 334 euro in un comune con popolazione superiore a 200.000 abitanti. In media sempre nel 2017 al Nord la spesa è stata di 271 euro, di 353 al Centro e 363 al Sud. Il paradosso è nella disomogeneità del servizio nelle diverse aree del Paese (dalla raccolta differenziata alla presenza di impianti fino all’intera filiera del riciclo): i costi che sono più alti proprio dove la qualità è peggiore. Nel 2017 si registra un valore medio del costo per abitante di 232 euro, con punte minime di 155 e massime di 366.

IMPIANTI

Dalla mappatura degli operatori, sia per il servizio di raccolta che per la gestione degli impianti, emerge una situazione molto frammentata, con una larga prevalenza di aziende a partecipazione pubblica al Centro-Nord e una presenza residuale al Sud (dove il 33% degli abitanti è servito da aziende pubbliche o miste). Quanto agli impianti e alla loro localizzazione, quelli di trattamento integrato aerobico e anaerobico sono concentrati al Nord dove vie-

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INVESTIMENTI

La stima del fabbisogno nazionale di investimenti in raccolta differenziata e nuovi impianti – in base a un’analisi su un panel di gestori a partecipazione pubblica - viene valutata in circa 4 miliardi di euro. Gli investimenti complessivamente realizzati dai gestori del campione nell’arco temporale 2012-2017 ammontano a 1,4 miliardi di euro, pari a 82,5 euro per abitante in sei anni (14 euro a testa all’anno). Il 46% degli investimenti è destinato alla raccolta e allo spazzamento, mentre il 54% agli impianti di selezione, avvio a recupero e smaltimento. Nel 2017 il trend degli investimenti in raccolta sono aumentati del 73% rispetto al 2012. Sul versante degli impianti, c’è stato un netto calo degli investimenti in impianti di incenerimento (meno 55% rispetto al 2012); in controtendenza rispetto al recupero energetico risultano gli investimenti in discarica che nel 2017 crescono rispetto al 2012 di oltre il 200%. Gli investimenti in impianti di selezione e valorizzazione delle frazioni differenziate passano da 9 milioni di euro nel 2012 a circa 18 milioni di euro nel 2017. Infine, mentre gli investimenti in compostaggio e Tmb hanno un andamento crescente, quelli in digestione anaerobica sono fermi fino al 2016, per l’incertezza sul meccanismo di incentivazione. Rispetto agli investimenti realizzati sulla fase impiantistica, solo il 39% ha riguardato la realizzazione di nuovi impianti; mentre la voce più importante è sugli interventi di manutenzione straordinaria e revamping (46%), seguita dall’ampliamento di impianti esistenti (15%). Dai Piani di investimento dei gestori - parte dell’analisi - emerge un incremento complessivo di circa il 60% del volume di investimenti pianificati tra il 2018 e il 2021, rispetto a quelli realizzati nei quattro anni precedenti.


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INTERMAT 2018: UN’ONDATA DI INNOVAZIONI PORTATRICE DI OPPORTUNITÀ 173.300 VISITATORI PROVENIENTI DA 160 PAESI SI SONO RIUNITI ATTORNO AI 1.400 ESPOSITORI, NONOSTANTE UN CONTESTO DI MOVIMENTI SOCIALI IN FRANCIA di Maeva Brunero Bronzin

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naugurata il 23 aprile da Bruno Cavagné, presidente della FNTP (Federazione nazionale dei lavori pubblici) e dai rappresentanti industriali del settore (CECE, CISMA, SEIMAT...), INTERMAT Paris si è svolta al Parc des Expositions di Paris-Nord Villepinte in un clima di effervescenza, confermando le prospettive di crescita di un settore trainato dall’innovazione e decisamente proiettato verso il futuro. Le imprese di costruzione, i produttori, i fornitori di attrezzature e soluzioni, i noleggiatori e i distributori della zona EMEA hanno potuto misurare questa tendenza positiva in termini concreti. “Per questa edizione, l’implementazione del nuovo servizio di business meeting ha riscosso un gran successo, con oltre 3.000 contatti registrati, a testimonianza della rinnovata vitalità del mercato e della rilevanza del connubio tra domanda e offerta”, afferma Isabelle Alfano, Direttrice della fiera.

INNOVAZIONE E NUOVE TECNOLOGIE AL CENTRO DEGLI SCAMBI

Attraverso i quattro poli di competenza (Movimento terra & Demolizione; Strada, Industria dei materiali & Fondazioni; Edilizia & Filiera del calcestruzzo; Sollevamento, Movimentazione & Trasporto), i tre nuovi villaggi a tema (Villaggio Start-up; Villaggio Building Smart; Villaggio Demolizione & Riciclaggio) e i cicli di conferenze e workshop, INTERMAT è stato al passo con le innovazioni per l’intera settimana. Automazione del materiale, assistenza alla guida, elettromobilità, robotizzazione, esoscheletro, BIM… La fiera ha valoriz-

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zato l’introduzione degli strumenti digitali e delle nuove tecnologie in tutte le fasi della costruzione, e il miglioramento delle prestazioni delle attrezzature e dei materiali. Per la prima volta, in aree dedicate, start-up, PMI e grandi imprese sono state in grado di sviluppare sinergie su temi come riciclaggio, mobilità, connettività, sicurezza, decostruzione e modularità delle opere.... e di dimostrare la propria creatività per rendere i territori di domani più efficienti e rispettosi dell’ambiente. Dal cobot-esoscheletro che permette di ridurre gli sforzi e i disturbi muscoloscheletrici al cemento collegato per accedere a tutti i dati e garantire la tracciabilità delle opere, dalle creative pavimentazioni luminose e in grado di interagire con l’ambiente agli speakers di cemento connesso… la creatività delle start-up è stata promossa dai visitatori. Rolland Melet, CEO di 360SmartConnect, specialista del cemento connesso, conferma l’entusiasmo dei congressisti: “Abbiamo incontrato potenziali clienti interessati e futuri partner, e abbiamo diffuso il seguente messaggio attraverso il portavoce del Forum World Of Concrete Europe: il mondo cambia, non possiamo subire questo cambiamento, ma esserne attori collegandoci l’un l’altro”.

INTERMAT DÉMO: LO SPETTACOLO DELLE MACCHINE DA CANTIERE IN AZIONE!

In quasi 30.000 mq, l’area esterna dedicata alle prove delle nuove macchine da costruzione, testate in condizioni reali, ha attirato una vera e propria folla. Le prove dinamiche di terne, miniescavatori, pale caricatrici, livellatrici, vagliatrici, frantoi, macchine e attrezza-


ture da demolizione hanno attratto i visitatori con la loro spettacolarità, le loro prestazioni tecnologiche e ambientali, ma anche con le loro principali evoluzioni in termini di sicurezza e produttività.

INTERMAT RENTAL DAY: LE PROSPETTIVE DEL MERCATO DEL NOLEGGIO

Il Rental Day, giornata dedicata al mercato del noleggio, ha riunito quasi 200 persone il 26 aprile per discutere delle prospettive di sviluppo e dei cambiamenti in atto nel settore. Gérard Deprez, Presidente di LOXAM, ha inaugurato la tavola rotonda “Essere noleggiatore tra 10 anni” dedicata ai grandi sviluppi del prossimo decennio attraverso uno scambio di vedute tra i vari attori francesi e stranieri.

IL WORLD OF CONCRETE EUROPE: UNA PANORAMICA DELLE ULTIME TENDENZE

La 2° edizione della fiera interamente dedicata al settore del Cemento, che si è tenuta insieme a INTERMAT Paris, ha riunito 200 espositori. La combinazione di uno spazio espositivo, di un congresso e di un’area prove ha permesso ai visitatori di scoprire l’offerta innovativa del settore, da monte della filiera (materiali, prodotti e additivi) a valle (cementi decorativi, rivestimenti, intonaci, ingegneria e servizi). Un panorama delle ultime tendenze del mercato europeo è stato elaborato attraverso otto settori integrati nel polo “Edilizia & Settore Cemento” e il ciclo di quindici conferenze del Forum “Il contributo del cemento nelle nuove sfide collettive”. La tavola rotonda guidata da Thierry HuyguesBeaufond, responsabile dell’Unità infrastrutture e metodi di costruzione presso la Societé du Grand Paris, per la presentazione dei cantieri del Grand Paris Express, accanto al modello digitale 3D esposto, ha registrato il tutto esaurito. La prossima edizione di INTERMAT Paris si svolgerà nel 2021.

COSA PENSANO GLI ESPOSITORI “Con alcune vendite concluse in loco, la fiera è stata un successo commerciale in un clima particolarmente positivo che riflette l’economia attuale. Per noi, in quanto costruttori in Francia e in Europa, la fiera INTERMAT è una vera e propria vetrina del nostro know-how” Martin Schickel, Amministratore Delegato di Liebherr-France SAS. “L’edizione Intermat 2018 è stata ottima per il gruppo Fayat e tutti i suoi marchi, uno dei migliori Intermat da quando partecipiamo. Una prima tendenza è intanto il forte incremento dei visitatori nel nostro stand, un aumento a 2 cifre rispetto al 2015, con una quota significativa di visitatori stranieri e una forte partecipazione dei grandi gruppi francesi (Colas, Eurovia, Eiffage). I nostri 2 “digital corner”, che presentavano le nostre soluzioni digitali di servizi, hanno riscosso un grande successo, in particolare il cinema 3D che illustrava la nostra soluzione TRX 100% premiata agli Intermat Innovation Awards” Stéphane Guillon, Direttore Marketing & Comunicazione del Gruppo FAYAT. “Per Komatsu, l’edizione 2018 di Intermat è stata una grande annata. Grazie a questa edizione, abbiamo potuto riaffermare il nostro totale impegno con il mercato francese e africano. Presentando le nostre ultime innovazioni, abbiamo anche avuto l’opportunità di creare un enorme interesse tra i numerosi visitatori che sono venuti a trovarci” Naser Memic Rendon, Responsabile Marketing & Comunicazione del Gruppo KOMATSU.

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DEMOLITO A NEW YORK IL VECCHIO PONTE KOSCIUSZKO PER FAR SPAZIO AL PONTE NUOVO 944 CARICHE LINEARI CAVE POSIZIONATE STRATEGICAMENTE SUL PONTE HANNO ADAGIATO LA STRUTTURA AL TERRENO. AL LAVORO ANCHE LA CESOIA ISS 45/90 INDECO di Maeva Brunero Bronzin

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perto nel 1939, il vecchio ponte Kosciuszko attraversava il fiume Newtown, collegando Brooklyn al Queens. Il ponte, lungo 1.835 metri, è stato chiuso al traffico ad aprile 2017 per essere demolito. Nonostante fossero state compiute operazioni di ripristino nel 1973 e ancora tra il 1996 e il 1997, la struttura era continuamente monitorata fin dai primi anni 2000. Lo Stato di New York nel 2009 ha varato un piano per la costruzione di due nuovi ponti strallati che, pur mantenendo il nome di quello costruito nel 1939, lo sostituiranno, permettendo così di migliorare notevolmente la viabilità in quell’area di New York. Per abbattere il vecchio ponte è stato deciso di intervenire con l’esplosivo. L’abbattimento con microcariche è stato il processo scelto dato che si trattava del metodo più sicuro, efficace e rapido per demolire il vecchio ponte, inoltre si tratta del metodo meno invasivo per la circostante comunità. La demolizione fa parte del progetto da 873 milioni di dollari relativo al ponte Kosciuszko, il quale sostituirà il precedente ponte, costruito 78 anni fa, con due nuovi ponti strallati d’avanguardia. È stata la prima implosione della storia che ha visto l’utilizzo di esplosivi per demolire uno dei

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ponti principali di New York City. I lavori sul nuovo ponte Kosciuszko a campata gemella sono stati velocizzati e il completamento è programmato per il 2019, con ben quattro anni di anticipo rispetto ai tempi di progetto previsti. Il Governatore Cuomo ha inaugurato la prima campata del nuovo ponte Kosciuszko ad aprile 2017, celebrando il completamento della prima fase da 555 milioni di dollari del progetto, il più grande singolo appalto mai intrapreso dal Dipartimento dei trasporti (Department of Transportation, DOT) dello Stato di New York. Il ponte in direzione Queens porta tre corsie di marcia in ciascuna direzione della Brooklyn-Queens Expressway (BQE) finché il secondo ponte, in direzione Brooklyn, non sarà completato attraverso un separato appalto per la Fase II, stimato a 318 milioni di dollari. Quando il nuovo ponte verrà completato, vi saranno cinque corsie di marcia della BQE in direzione Queens e quattro corsie di marcia in direzione Brooklyn, per un totale di nove corsie. Il ponte è percorso da circa 200.000 pendolari al giorno. Il processo relativo alla demolizione con esplosivo isola parti strutturali chiave per il supporto del ponte, e le taglia grazie a cariche lineari cave in modo da demolire le travature d’acciaio facendole cadere


a terra in un’area appositamente predisposta. L’abbattimento si è svolto in pochi secondi, minimizzando qualsiasi possibile impatto sul lungo termine rispetto alle proprietà adiacenti e ai veicoli in viaggio sul nuovo ponte. Sono state abbattute 20 campate con travature d’acciaio: 10 campate dell’entrata da Brooklyn e 10 campate dell’entrata dal Queens, per una lunghezza totale di quasi 1 km. Una quantità totale pari a 10.000 tonnellate d’acciaio proveniente dai vecchi tratti d’accesso al ponte da Brooklyn e dal Queens, verrà riciclata come rottame metallico. Le travi in acciaio sono state abbattute in modo lineare, la caduta dall’altezza maggiore è avvenuta da 9 metri nei pressi delle torri della campata principale. In aggiunta alla rimozione della barriera centrale in cemento e della copertura in asfalto dell’impalcato del ponte, l’azienda appaltatrice ha inoltre alleggerito l’implacato su varie campate, in modo da ridurne il peso, riducendo così le vibrazioni generate dall’impatto delle travature d’acciaio sui cumuli di caduta. L’analisi delle vibrazioni ha considerato le proprietà adiacenti e il nuovo ponte adiacente in modo da assicurare che i cumuli di caduta, quando richiesto, assorbissero l’impatto del ponte garantendo che l’effetto delle vibrazioni fosse trascurabile. I cumuli di caduta erano dei terrapieni di altezza variabile tra 4,5 e 7,5 metri realizzati con cemento o materiale riciclato. Gli stessi terrapieni sono stati progettati per trattenere il tirante inferiore delle travi reticolari durante la caduta, in modo che la travi non potessero muoversi lateralmente nella direzione sbagliata in seguito all’impatto. Le cariche lineari cave sono state utilizzate da Controlled Demolition, Inc. come carica primaria per tagliare l’acciaio. Una quantità realmente piccola di cariche esplosive cave è stata posizionata strategicamente per indebolire ogni campata. L’utilizzo degli esplosivi è stato minimizzato infatti sono stati utilizzati solo 5 kg di esplosivo per ogni campata. Un totale di 944 cariche è stato piazzato sul vecchio ponte. Gli esplosivi sono stati posizionati strategicamente come strumenti chirurgici in grado di tagliare le connessioni chiave in acciaio permettendo alla gravità di fare il resto. Sono stati effettuati oltre 1.600 tagli negli elementi in acciaio, includendo tiranti delle travature montanti e controventature, per indebolire l’acciaio e permettere l’utilizzo di un ammontare minimo di esplosivo per far crollare le campate .

UNA DEMOLIZIONE COMPLESSA

La costruzione del primo ponte strallato è stata aggiudicata a

un’associazione temporanea di imprese composta da Skanska, Kiewit e ECCO-III Enterprises, che ha concluso i lavori ad aprile 2017. All’ATI è però stata assegnata anche la demolizione del vecchio ponte, cominciata a luglio 2017 quando la campata centrale che attraversava il fiume Newtown (lunga 91,5 metri, larga 27,12 metri e con un peso di 2.268 tonnellate) è stata prima separata dal resto della struttura e, dopo essere stata calata per 38 metri grazie all’impiego di un sistema di martinetti idraulici, è stata appoggiata su delle chiatte che l’hanno portata in un centro di riciclaggio dove è stata sezionata. Rimaneva tuttavia il problema di come demolire le due rampe dal lato Queens e dal lato Brooklyn che di fatto costituivano la parte più consistente dell’intero ponte (sommate erano lunghe oltre 1.700 metri). Si trattava infatti di 21 campate con luce compresa tra 36 e 70 metri che appoggiavano su pile in cemento armato per un totale di 31.500 tonnellate di acciaio e oltre 68.000 metri cubi di cemento armato. Dopo un’attenta analisi dei disegni originali, risultava evidente che il metodo più efficiente per procedere alla demolizione delle strutture era quello di sezionarla in punti determinati e di farla “appoggiare” con l’esplosivo, in un’unica volata per tutte le 21 campate su un letto di terra che ne avrebbe attutito l’impatto. Così facendo, la struttura sarebbe stata poi demolita al suolo con sistemi meccanici (cesoie per le strutture in acciaio e martelli idraulici per le pile in cemento armato). La demolizione del Kosciuszko Bridge è stata subappaltata dall’ATI a Breeze, una delle più importanti imprese specializzate in questo genere di interventi nella città di New York, che ha già realizzato importanti e complesse demolizioni, quali quelle del vecchio stadio Shea e dell’Hotel Dorset che ha permesso l’espansione del Museo di Arte Moderna (MOMA). Viste le dimensioni della struttura e i tempi assegnati per completare la demolizione, Breeze ha deciso di ridurre al minimo l’utilizzo della fiamma ossiacetilenica favorendo invece l’utilizzo di cesoie idrauliche montate su escavatore. Per questo motivo Breeze ha aggiunto alla propria flotta di macchine e attrezzature la cesoia Indeco ISS 45/90, acquistandola dal concessionario Alessi Equipment. La demolizione è iniziata dalla prima campata dalla rampa del lato Queens, questa è stata infatti interamente demolita con la cesoia, senza cioè portarla a terra con l’esplosivo, sia perché non si poteva bloccare l’unico accesso all’ultima uscita in direzione Brooklyn, sia perché l’utilizzo dell’esplosivo

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avrebbe potuto indurre stress alle successive campate, che erano già state preparate con tagli e sezionamenti per il successivo abbattimento con esplosivo.

UNA GRANDE DEMOLIZIONE PER UNA GRANDE CESOIA

Il numero degli elementi strutturali del ponte e le loro dimensioni richiedevano una cesoia di grande potenza e robustezza. Le ali di alcune travi IPE avevano uno spessore di due pollici (oltre 5 cm) mentre i correnti superiori misuravano 34 cm in altezza, 54 cm in larghezza ed erano realizzati con elementi di acciaio di 32, 19, 16 e 13 millimetri di spessore. Breeze, da tempo cliente Indeco (l’impresa dispone di 22 martelli, 2 cesoie e 2 multi grabs) ha dunque deciso di acquistare la ISS 45/90 non per mera lealtà al marchio, ma perché la cesoia è la migliore della sua categoria di peso (9700 kg) in termini di forza di taglio (2.500 tonnellate), massima forza in punta (275 tonnellate) e massima apertura (1.100 millimetri). La ISS 45/90 è interamente realizzata in Hardox e, disponendo di un cilindro che può gestire pressioni fino a 700 bar, ha quindi la robustezza strutturale e la potenza per affrontare qualsiasi tipo di intervento. La cesoia è inoltre dotata di una doppia guida che mantiene le ganasce sempre perfettamente allineate prevenendo le flessioni su tutto il movimento di taglio. La doppia valvola di rigenerazione rende più rapido il movimento della ganascia, (velocizzando l’apertura e la chiusura e quindi migliorando la produttività), mentre il doppio sistema di incisione nella punta superiore e inferiore consente una più efficace progressione del taglio. Come tutte le altre cesoie Indeco, la ISS 45/90 può inoltre vantare un rapporto peso/potenza molto favorevole, che migliora l’efficienza dell’attrezzatura. Breeze ha accoppiato l’attrezzatura a un escavatore Komatsu PC800 attraverso una sella speciale che ha permesso di assicuralo al monoblocco. In certi momenti il taglio delle varie strutture si è dimostrato difficile proprio per le loro dimensioni. Come noto, quando si tagliano sezionano travi IPE la cesoia di fatto prima piega anima e ali, raddoppiando quindi (e a volte triplicando) lo spessore che deve essere tagliato. Nonostante le dimensioni delle varie carpenterie e l’enorme quantità di acciaio che deve essere sezionato, la ISS 45/90 sta fornendo ottime prestazioni.

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LE SPIAGGE DI VETRO UN NUOVO MODO PER RICICLARE IL VETRO E NUOVE IDEE PER IL RIUTILIZZO di Laura Veneri

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n nuovo concetto di raccolta differenziata, innovativa ed eco-sostenibile, che consiste nel differenziare il vetro trattandolo direttamente nei luoghi di utilizzo. I volumi da trasportare si riducono e con esso i costi. Il progetto parte e si sviluppa da un piccolo ma innovativo macchinario: “Sbriciola”. Si tratta di una nuova soluzione che riduce fino a 1/10 i volumi degli oggetti di vetro di uso comune come le bottiglie e i contenitori di vetro. Il macchinario è composto da una struttura mobile in cui è presente un piccolo trituratore e un secchio che contiene il materiale tritato. Il progetto ha preso avvio nel 2015 ad opera della società YES. Nel 2017 la macchina è stata perfezionata e presentata anche presso la fiera Ecomondo di Rimini. Le bottiglie o i barattoli di vetro vengono inseriti in un cappello di inserimento dotato di linguetta in gomma e sportello per garantire la sicurezza dell’operatore. Nel macchinario sono presenti sensori per il conteggio delle bottiglie e il controllo del peso.

IL PROGETTO “SPIAGGE DI VETRO”

Il progetto “Spiagge di Vetro” porta la firma di Gianfranco Raimondi e Giovanni Cannata e si basa sull’idea di rivoluzionare le modalità attualmente in uso per la raccolta e

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il riciclo del vetro, e del materiale derivante dalla frantumazione. Questo progetto permette una più agevole gestione dei rifiuti in termini di riduzione di spazio di occupazione e riduzione di costi di smaltimento di materiali, oltre a consentire all’utente di poter autonomamente e immediatamente provvedere all’eliminazione del vetro. La peculiarità di questa idea sta nel fatto che, ad oggi, la raccolta del vetro, che rientra nel circuito della cosiddetta raccolta differenziata di materiali per il riciclo, viene effettuata dai Comuni esclusivamente attraverso la rete di contenitori di grandi dimensioni – le campane – sparse sul territorio e collocate per le strade e/o all’interno di condomini. Tali contenitori una volta riempiti di materiale vengono svuotati in camion compattatori per essere consegnati ad aziende che si occupano proprio di riciclo e in parte finire in discarica. Queste operazioni risultano essere oltremodo costose, sostengono gli autori. In particolare gli stessi contenitori (le campane per la raccolta vetro) devono essere lavati e sostituiti, i compattatori del materiale raccolto sono ingombranti e inquinanti sia sotto il profilo dei carburanti utilizzati che sotto il profilo del rumore. A ciò bisogna aggiungere poi i costi per il personale addetto alla raccolta, i costi di discarica e

l’ingombro in termini di spazio di tali operazioni. Le ragioni esposte hanno portato gli autori a pensare ad un’idea innovativa, che avesse come obiettivo la riduzione dei costi, dell’inquinamento atmosferico e acustico e la semplificazione del ciclo di raccolta differenziata e riciclo. Il progetto “Spiagge di Vetro” presentato si compone di diverse fasi, tutte complementari tra loro, e fondamentali per il raggiungimento dell’obiettivo finale di semplificazione del sistema di raccolta del vetro e riutilizzazione del materiale: macchina tritavetro; raccolta del materiale; riutilizzo del materiale. Gli autori del progetto ritengono che sia necessario un cambiamento delle modalità di raccolta del vetro e del relativo riciclo del materiale, raccogliendo lo stesso alla fonte, e quindi presso lo stesso utilizzatore. Per attuare questo nuovo sistema si ritiene fondamentale partire dall’utilizzazione di un macchinario tritavetro che abbia la potenzialità di ridurre i volumi di scarto prodotti fino ad un decimo trasformando il materiale vetro in sabbia e/o scaglie di vetro. Ecco che entra in capo Sbriciola, che nella fase di triturazione macina sia le etichette che eventuali capsule di plastica e/o materiale ferroso anche se sarebbe preferibile, laddove possibile, rimuovere almeno i materiali ferrosi prima di inserire il materia-


le nella macchina, allo scopo di ottenere un materiale interamente formato da residui di vetro tritato e non anche altri residui. Una volta inserita la bottiglia o il contenitore nella macchina il tempo di macina è brevissimo. In qualche secondo il vetro viene tritato e trasformato in sabbia. Questo consente all’utente di poter tritare in poco tempo, di seguito, anche un centinaio di bottiglie o contenitori, eliminando così un ingombro di materiale non indifferente. L’obiettivo del progetto è innanzitutto quello di diffondere questa macchina tritavetro nel settore food & beverage, presso esercizi commerciali, in particolare bar, catene di ristorazione, e poi anche presso abitazioni private, condomini, strutture pubbliche come strutture sanitarie, istituti scolastici. O ancora, viste le ridotte dimensioni della macchina la stessa potrebbe avere una grande utilità sulle navi passeggeri, carghi e/o imbarcazioni da diporto. La seconda fase del progetto, spiegano gli

autori, è quella relativa alla raccolta del materiale, o meglio sabbia o scaglie, derivanti dalla frantumazione del vetro. Il vetro infatti così trattato, sotto forma di sabbia e/o scaglie di vetro, viene raccolto dalla Società che produce il macchinario, Y.E.S. S.r.l., la quale contrattualizzerà il rapporto con l’utente finale, utilizzatore della macchina. In particolare, la Y.E.S., contestualmente alla vendita del macchinario, sottoscriverà con il cliente/utilizzatore del macchinario un contratto che prevede la fornitura dei bidoni per la raccolta della sabbia e il ritiro degli stessi una volta riempiti, a cadenze da stabilire. Il ritiro potrà essere effettuato direttamente dalla Y.E.S. oppure da sue consociate che si occuperanno di trasportare il materiale in siti idonei al trattamento, che si può riassumere in tre fasi affinché le scorie di vetro possano essere classificate come materiale inerte: • depurazione delle scorie cartacee (etichette);

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depurazione delle scorie ferrose (tappi residuali e capsule); • lavaggio finale, ove richiesto nella filiera del riciclo. Gli autori, in riferimento poi ai tappi delle bottiglie, hanno corredato la macchina, oltre ai bidoni di raccolta del vetro frantumato, anche di contenitori per la raccolta dei tappi, che verrebbero anche questi ritirati da altre consociate che si occupano di riutilizzo degli stessi per finalità ecologiche e/o artistiche. La fase del ciclo relativo alla raccolta del materiale derivante dalla frantumazione da parte di aziende private è fondamentale per la realizzazione del progetto, in quanto tale aspetto consente di portare al superamento dell’attività delle aziende municipalizzate nel settore dei rifiuti, e può essere di stimolo al miglioramento della catena del riciclo totale dei rifiuti trattati. Questo perché un’azienda privata è più incentivata nella ricerca e nel miglioramento dei cicli di lavorazione, laddove ciò possa aumentare i profitti. Il progetto iniziale infatti è improntato alla raccolta del vetro, ma lo stesso potrà essere ampliato anche ai rifiuti in plastica e alluminio. La raccolta dei bidoni contenenti il materiale derivante dalla frantumazione del vetro sarà eseguita con furgoni, preferibilmente piccoli, che si potranno muovere all’interno degli spazi urbani con maggiore facilità, consumando carburanti meno inquinanti, senza produrre rumori per lo sversamento oppure odori sgradevoli. Per quanto riguarda il riutilizzo del materiale, il progetto prevede, dopo aver effettuato la raccolta, l’utilizzo di queste due nuove forme di vita del vetro residuale - sabbia e scaglie - identificando sul territorio nazionale le diverse esigenze territoriali, allo scopo di abbattere quanto più possibile i costi legati alla movimentazione del prodotto. Più specificamente si indirizzerà la vendita della macchina tritavetro a scaglie maggiormente nelle zone dove esistono fonderie per il vetro, che utilizzano questo formato per il rifacimento di nuovi imballaggi, mentre nelle altre zone si punterà sulla sabbia di vetro che, opportunamente insacchettata potrà essere destinata a molteplici utilizzi. La sabbia potrà essere insacchettata ed utilizzata come filtro per piscine, o nel settore dell’edilizia la stessa potrà essere utilizzata per sabbiature, impasti in calce-

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struzzo, realizzazione di pannelli fonoassorbenti etc. Nel settore industriale avrà un utilizzo nelle industrie di ceramiche (igienici, piastrelle, etc.), nella realizzazione di vetri artistici... Trattandosi poi di materiale inerte, si potrebbe ipotizzare un utilizzo, ad esempio, nelle isole, per effettuare il ripascimento delle spiagge e molto altro ancora; un altro suo utilizzo potrebbe diventare, nelle zone alluvionali, quello di insacchettarla per impiegarla come salva argine evitando l’attuale filiera che prevede il dragaggio della sabbia nei fiumi, con mezzi meccanici, il trasporto della stessa ai siti di insacchettamento e la successiva distribuzione. Secondo gli autori questo progetto potrebbe rivoluzionare il concetto di quello che ad oggi è in concreto la c.d. raccolta differenziata. Attraverso l’utilizzo di questa tecnologia infatti, e di ulteriori che sono in fase di studio e applicazione futura, si potrebbe portare a ridurre notevolmente gli spazi attualmente occupati nelle discariche, e ciò in quanto il materiale potrà essere riciclato quasi del tutto e concretamente riutilizza-

to, anche nell’ambito di in un altro ciclo di produzione (ad es. realizzazione di oggetti e prodotti con la sabbia di vetro). La motivazione per cui operatori commerciali o privati cittadini possano essere invogliati all’acquisto ed all’utilizzo della macchina tritavetro è in primis quella legata alla riduzione dei volumi di scarto accumulato, e la conseguente riduzione dello smaltimento, oltre ai benefici ad esso collegati, quale riduzione delle imposizioni comunali, come previsto dalla vigente legislazione (D.Lgs. 152/2006), minor spreco dei tempi legati all’accatastamento del vetro e utilizzo di minor spazio per gli ingombri derivanti. Ridurre gli spazi di accumulo per un esercizio commerciale, come ad esempio un ristorante, oppure un albergo, un villaggio vacanze, che consumano quotidianamente un numero elevato di bottiglie di vetro, e avere la possibilità di eliminarle totalmente, trasformandole praticamente in sabbia o frantumi, senza nemmeno doversi preoccupare dello smaltimento del materiale derivante dalla frantumazione, che verreb-

be ritirato da terzi, costituisce un vantaggio non indifferente ed un risparmio in termini di costi come di spazio oltre al vantaggio costituito dal costo contenuto della macchina. Il coinvolgimento dell’apparato pubblico per la realizzazione di questo progetto, sostengono gli autori, è fondamentale affinché questo ridistribuisca agli utenti quei considerevoli risparmi che potrà ottenere aderendo a questa nuova metodologia di raccolta degli scarti di vetro, così che questi abbiano una motivazione in più per acquisire una nuova mentalità e contribuire ad un ambiente più pulito e più sano. Difatti, nell’attuazione del progetto sarà necessario anche stipulare accordi o convenzioni con le istituzioni per poter ottenere quegli sgravi fiscali previsti dalla vigente legislazione e che non tutti gli Enti preposti hanno deliberato. Cambiare il modo di differenziare e di raccogliere i rifiuti partendo dal vetro fornisce la speranza che, anche attraverso la partecipazione di altre realtà lavorative, si possano creare i presupposti per un ambiente ecologicamente più vivibile. L’idea qui esposta, secondo gli autori del progetto, potrebbe costituire un vero e proprio beneficio per le aziende del settore vetro, e quelle a loro legate, in quanto una migliore, più comoda ed economica raccolta dei residui di vetro, del loro trattamento e del riutilizzo, potrà indurre ad un incremento dell’utilizzo dei contenitori in vetro, con conseguente minore utilizzazione della plastica e dell’alluminio.

IL RICICLO DEL VETRO: NUOVE FRONTIERE NELL’UTILIZZO DEGLI SCARTI L’industria del vetro è sempre più vicina al concetto di economia circolare perfetta. È questo l’obiettivo con cui CoReVe – Consorzio Recupero Vetro ha affidato alla Stazione Sperimentale del Vetro una serie di ricerche per ridurre ulteriormente la quota di vetro che, benché raccolto, non può essere destinata al riciclo. Attualmente, una quota significativa pari al 9,5% del vetro proveniente dalla raccolta differenziata finisce in discarica anziché in vetreria. Questo perché, durante la fase di trattamento, nonostante l’impiego di apparecchiature molto sofisticate, si perde una quota significativa del vetro o perché di dimensioni troppo ridotte (pezzatura inferiore ai 10 mm) o perché troppo compromesso dalla presenza di inquinanti. Negli ultimi anni, però, si è riusciti a recuperare quasi la metà di questi scarti di materiale grazie a un trattamento secondario che ha portato alla produzione della cosiddetta “sabbia di vetro”. Ora, proprio con l’obiettivo di riciclare quanto più vetro possibile e ridurre al minimo la quota di materiale destinato allo smaltimento in discarica, dal 2014 CoReVe ha commissionato alla Stazione Sperimentale del Vetro (SSV) una serie di ricerche per incrementare l’impiego della sabbia di vetro nella produzione di nuovi imballaggi e per individuare nuove forme di recupero ed utilizzo degli scarti in altri settori industriali. Queste ricerche hanno dimostrato, da un punto di vista teorico e sperimentale, che la massimizzazione dell’utilizzo della “sabbia di vetro” nell’industria vetraria e in altri settori industriali (edilizia) è possibile… Perché questa possibilità si concretizzi definitivamente, a breve sarà avviata un’importante prova industriale per validare sul campo i risultati forniti dalla ricerca. “Il CoReVe ha nella sua mission - ha dichiarato il Presidente Ing. Franco Grisan, - oltre allo sviluppo della raccolta differenziata del vetro, anche le attività di prevenzione: è proprio in questa ottica che si inquadrano le ricerche commissionate alla SSV. È nostro compito collaborare con l’industria del vetro per individuare soluzioni e innovazioni che consentano al Paese di raggiungere gli obiettivi posti dall’Unione Europea di riciclare entro il 2030 il 75% del vetro immesso al consumo”. Antonio Lui, Presidente della Stazione Sperimentale del Vetro, ha dichiarato: “L’iniziativa di CoReVe è estremamente importante per quanto riguarda lo sviluppo di queste ricerche, ma ancora di più, per avere dato vita a un tavolo di confronto tra tutti i protagonisti della filiera del vetro. È solo “facendo sistema” che obiettivi sfidanti come quelli fissati dall’Unione Europea possono essere raggiunti”.

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CONIUGARE IMPIANTI E AMBIENTE GLI IMPIANTI INTEGRATI SONO LA SOLUZIONE PER LA VALORIZZAZIONE DEI RIFIUTI di Maria Beatrice Celino

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ispettare il territorio fornendo una soluzione di corretta gestione dei rifiuti che non produce scarti ma prodotti. Questo il tema di cui abbiamo parlato con il Responsabile Progettazione e Ufficio Tecnico della Cesaro Mac Import.

Il mercato italiano della gestione dei rifiuti si sta orientando verso la costruzione di impianti che forniscono soluzioni per la produzione di nuovi prodotti dai rifiuti. Quali soluzioni di impianti integrati fornisce Cesaro Mac Import? Cesaro Mac Import negli ultimi 10 anni ha sviluppato e realizzato numerosi impianti integrati di biodigestione anaerobica e compostaggio. Questo processo unisce 2 tecnologie: quella della digestione anaerobica e quella del compostaggio, entrambe da lungo tempo applicate nel mondo del trattamento dei rifiuti. L’unione di questi due sistemi in un unico ciclo ha determinato l’ottimizzazione delle matrici in uscita facendole diventare dei veri prodotti primari. Negli ultimi anni la qualità del rifiuto organico in Italia è aumentata considerevolmente grazie a politiche di raccolta differenziata sempre più stringenti e questo ha determinato la possibilità di realizzare impianti con percentuali di rifiuto da mandare in discarica sempre più basse. La caratteristica principale degli impianti integrati progettati dalla Cesaro Mac Import è la completa autosufficienza energetica degli stessi, il bassissimo impatto ambientale e l’elevata capacità produttiva. In un impianto integrato la matrice in ingresso proviene dalla frazione organica della raccolta differenziata del territorio che, miscelata con una parte di rifiuto verde, viene inserita all’interno di un digestore anaerobico iniziando così la prima fase di trattamento cioè la fermentazione anaerobica del rifiuto producendo biogas. Tale prodotto viene impiegato in quota parte per gli autoconsumi all’interno dello stesso impianto opportunamente trasformato in energia elettrica e calore mentre la parte eccedente viene trasformata in biometano utile per il trasporto veicolare. Al termine della prima fase del processo anaerobico il materiale digestato, estratto dai fermentatori, inizia la seconda fase di compostaggio in biotunnel, questa fase consente di ottenere compost di qualità che è un prodotto primario per le agricolture del territorio. Al termine del trattamento in impianti integrati della Cesaro Mac Import quindi si ottengono due prodotti primari: il compost e il biometano con un bassissimo scarto di plastiche che sarà inviato a discarica e che dipende dalla qualità della raccolta differenziata. La capacità di creare prodotti di valore da un rifiuto si integra perfettamente nelle nuove direttive sulla gestione ambientale. Questa tipologia di impianti inoltre ha un bassissimo impatto ambientale sia dal punto di vista estetico e paesaggistico che, soprattutto, dal punto di vista delle manifestazioni odorigene in quanto sono tenute sotto controllo gestendo i processi totalmente in aree chiuse e sottoponendo l’aria interna agli ambienti di lavoro ad un adeguato sistema di filtraggio con biofiltro. È stato da poco approvato il Decreto sul biometano. Quali opportunità si aprono per il mercato secondo il vostro punto di vista? Il Decreto sul biometano si inserisce nelle politiche di valorizzazione dei rifiuti e come è stato per le politiche di incentivo per la produzione elettrica da fonti rinnovabili, questo Decreto consentirà di valorizzare ciò che già da tempo si era evidenziato. La gestione del rifiuto urbano differenziato per quanto riguarda principalmente la frazione organica, rappresenta non solo una problematica logistica e di processo in capo alle amministrazioni ma può diventare risorsa per le stesse. In tale contesto anche impianti integrati di biodigestione anaerobica e compostaggio già avviati stanno inserendo stazioni di upgrading del biogas al fine di produrre biometano. Infatti, come accennato prima, la maggiore qualità del rifiuto in entrata comporta che la produzione di biometano sia maggiore e soprattutto possa essere immagazzinata ed utilizzata solo quando è veramente necessario a differenza di quanto accaduto fino ad oggi con la trasformazione del biogas in energia elettrica che normalmente non viene accumulata ma utilizzata istantaneamente. La possibilità che questo decreto offre, cioè di produrre un carburante ecologico come il biometano, fa sì che gli impianti possano completare il ciclo di valorizzazione. Il decreto biometano è importante perché permette all’Italia e all’Unione Europea di raggiungere gli obiettivi 2020 in materia di clima ed energia. Quali sono le tecnologie che voi sviluppate o che commercializzate che aiutano l’Italia nella lotta ai cambiamenti climatici? La nostra azienda negli anni si è specializzata sulle tecnologie che consentono il recupero e la valorizzazione dei rifiuti raccolti in modo differenziato, siano essi rifiuti organici o secchi come materie plastiche, carta, cartone, ferro, allumino, ecc. Riteniamo che il recupero delle risorse sia la strada a cui tendere e su questa strada Cesaro Mac Import ha sviluppato e commercializza diverse tecnologie quali ad esempio i sistemi di digestione anaerobica a secco e di compostaggio accelerato in biocelle per il recupero di energia dai rifiuti e la produzione di

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compost per l’impiego in agricoltura biologica; sistemi di upgrading del biogas per la sua trasformazione in biometano impiegabile per l’autotrazione, sistemi di selezione automatica e recupero di materie prime e seconde dai flussi differenziati di rifiuti secchi. A tale scopo Cesaro collabora con aziende che nei loro settori sono leader nel mercato come Doppstadt, Steinert, Hitachi INOVA, oltre a sviluppare delle tecnologie proprie come i sistemi di compostaggio Girasole e sistemi di trattamento delle matrici organiche come il bioseparatore TIGER. Ogni rifiuto intercettato e opportunamente trattato permette di evitare la produzione di gas serra. L’Agenzia dell’Ambiente Europea stima che le emissioni di gas serra in Europa nel 2012 (EU-28) siano dovute per il 3% circa al settore dei rifiuti. Una gestione dei rifiuti sostenibile che premia il riciclaggio rispetto ad esempio alla termovalorizzazione o ad una cattiva gestione delle discariche permette di contenere la produzione di anidride carbonica e metano responsabili del cambiamento climatico. Ad oggi state completando diversi impianti in tutta Italia. Quali anticipazioni possiamo dare ai lettori? Attualmente sono in fase di completamento avanzato diversi impianti in Italia. Il principale in termini di volumi raggiunti che andrà a trattare è quello di proprietà della società Hera spa che si trova a Sant’Agata Bolognese e conterà ben 4 digestori anaerobici con una capacità annua di trattamento di 100.000 tonnellate di frazione organica proveniente dalla raccolta differenziata. Un ulteriore impianto in fase di avvio si trova in provincia di Perugia ed è di proprietà di Asja Ambiente spa che conta di diventare un esempio di impianto inserito in un territorio molto particolare come già l’impianto di Trento - Faedo di proprietà della società Bioenergia. Questi impianti hanno un basso impatto ambientale e sono sostenibili? Tutti gli impianti costruiti negli ultimi anni, così come gli impianti che stiamo costruendo ora, sottostanno alle più rigide prescrizioni in materia di impatto ambientale ed emissioni. Inoltre come negli ultimi impianti inaugurati di Faedo, Novi Ligure e Terni, la Cesaro Mac Import è precorritrice di molte soluzioni ancora non obbligatorie ma che rendono i suoi impianti all’avanguardia e sempre meglio integrati nel territorio. Così anche per quanto riguarda la sostenibilità, tali impianti si inseriscono nelle prescrizioni di legge in materia potendo vantare una completa autonomia energetica, che li avvantaggia dal punto di vista ambientale. L’impianto infatti è in grado di autosostenersi dal punto di vista energetico grazie alla produzione di biogas e non produce percolati da trattare o smaltire. Un esempio di impianto già attivo è il biodigestore di Faedo che è perfettamente integrato nel territorio e ben tollerato dalla popolazione. Anche gli altri impianti cui state lavorando fanno propri gli stessi principi? I principi di integrazione con il territorio fanno parte integrante della filosofia Cesaro Mac Import nella costruzione degli impianti per la gestione dei rifiuti. Tali principi vanno ben oltre l’ottemperanza dei dettami legislativi che peraltro in Italia sono sempre più stringenti. Il concetto di integrazione supera il principio legislativo che si basa sulle emissioni o sulle caratteristiche del processo. Ottemperate tali incombenze l’impianto deve entrare a far parte di una comunità che ne senta non solo i benefici in termini di gestione dei rifiuti ma anche nella effettiva integrazione del territorio dal punto di vista estetico. Poter vantare un impianto che oltre non emettere emissioni odorigene è anche ben integrato nel territorio è un vanto per le popolazioni. Pensiamo ad esempio all’impianto di Faedo che ha ottenuto la bandiera blu di Legambiente. In esso i macchinari e le lavorazioni sono realizzate al chiuso al fine di consentire di ridurre al minimo l’impatto acustico e odorigeno verso l’esterno. Inoltre gli accorgimenti tecnici inseriti, permettono di neutralizzare quei disagi olfattivi che nel passato hanno generato lo sviluppo di comunità “not in my backyard”. Oggi la popolazione che vive vicino ad un impianto non risente di impatti negativi e comprende l’utilità degli stessi. Per maggiori informazioni www.cesaromacimport.com Foto ©Cesaro Mac Import

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TUTTO EBBE INIZIO DALLE IDEE DI UN “INVENTORE PER PASSIONE” LA STORIA DI ERWIN SICK, CHE CREÒ OLTRE 70 ANNI FA L’AZIENDA CHE PORTA IL SUO NOME E CHE OGGI È UN GRUPPO INTERNAZIONALE CON IL PIÙ AMPIO CATALOGO DI SENSORI PER L’AUTOMAZIONE DI FABBRICA, LOGISTICA E DI PROCESSO di Laura Veneri

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ICK è un’azienda che produce analizzatori, sensori, dispositivi e prodotti innovativi per il rilevamento, la misurazione, il monitoraggio e il controllo in svariati campi di applicazione. Abbiamo incontrato l’Ing. Alberto Pronzati, Sales Manager Process Automation di SICK S.p.A. per comprendere meglio le soluzioni dedicate al settore dell’ambiente. SICK è un’azienda che fornisce soluzioni per vari settori. Ci può descrivere brevemente la storia dell’azienda? Da oltre 70 anni SICK è sinonimo in tutto il mondo di soluzioni e prodotti innovativi in grado di definire nuovi standard di riferimento nella tecnologia dei sensori. Tutto è iniziato in Germania, nel 1946, quando “l’inventore per passione” Erwin Sick ha deciso di impiegare l’ottica applicandola all’elettronica. Aiutato dalla moglie Gisela, tutt’ora attiva nella guida dell’azienda in veste di membro onorario del Comitato Direttivo, Erwin Sick si è quindi concentrato nello sviluppo tecnologico di dispositivi opto-elettronici parallelamente a quella che era la sua vera attività: la costruzione e la vendita di apparecchi radiofonici. Dopo anni di studi, nel 1951 presenta alla “Fiera degli inventori tedeschi e dei nuovi sviluppi tecnologici” il primo modello di barriera fotoelettrica di sicurezza basata sul principio di autocollimazione, il suo primo brevetto registrato. Nel 1956 il secondo brevetto, quello per un nuovo tipo di sensore fotoelettrico a riflessione, il prodotto più venduto nell’intera storia dell’azienda, seguito, nel

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Alberto Pronzati, Sales Manager Process Automation di SICK S.p.A.

1958, dal brevetto per il primo dispositivo al mondo creato per il controllo dei fumi, atto a evitare danni alla salute causati dalle emissioni nocive presenti nell’atmosfera. Uno strumento davvero innovativo per l’epoca, che ha rappresentato il punto di partenza per lo sviluppo del settore dedicato al monitoraggio ambientale. Gli anni ’70 hanno visto l’espansione internazionale dell’azienda e il susseguirsi di numerose innovazioni tecniche, come ad esempio i sensori con tecnologia a tempo di volo e le camere bi e tridimensionali, oltre all’estensione della gamma tecnologica mediante l’acquisizione di altre aziende. La globalizzazione ha permesso all’azienda di espandersi in tutto il mondo contando una presenza in oltre 20 Paesi già nel 2006. Oggi SICK è l’azienda con il più vasto catalogo di sensori per l’automazione di fabbrica, logistica e di processo, ed è un vero e proprio global player con oltre 8.000 dipendenti e un fatturato di oltre 1,4 miliardi di Euro. La filiale italiana, nata nel 1996, conta oggi più di 130 persone ed è una delle più importanti.

la più vasta gamma di soluzioni per il monitoraggio degli inquinanti. Nel nostro catalogo si trovano, infatti, analizzatori in situ per misure di polveri, ossigeno, NOx e H2O direttamente sui condotti o camini; soluzioni estrattive a freddo per il monitoraggio di componenti più semplici come CO, NOx e O2 per impianti di cogenerazione; estrattivi a caldo laddove è richiesto il monitoraggio di inquinanti facilmente condensabili come HCl, HF e Hg garantendone la massima ripetibilità.

Specificamente per il settore dell’ambiente, SICK fornisce sistemi di misura e monitoraggio di inquinanti nei fumi. Quali sono gli strumenti di punta? SICK, fin dagli anni ’50, fornisce prodotti e sistemi innovativi per il monitoraggio delle emissioni. Come già detto, siamo stati la prima azienda a brevettare i misuratori in continuo di opacità sulle ciminiere in anni in cui non si parlava ancora di inquinamento. Lo sviluppo di prodotti sempre più innovativi ha fatto sì che SICK, oggi, possa fornire

Lo scorso anno l’Unione Europea ha ratificato la Convenzione di Minimata per contrastare l’inquinamento da mercurio. Quali sono le tecnologie che proponete per il controllo del tenore di mercurio nei fumi? Vantiamo decine di anni di esperienza nel monitoraggio di questa sostanza. L’esperienza accumulata nello sviluppare sistemi in continuo di analisi ha permesso di progettare MERCEM300Z, una soluzione all’avanguardia in materia di monitoraggio in continuo.


precisioni e maggiore velocità; tutti aspetti che con il MERCEM300Z vengono risolti, visto che parliamo dell’analizzatore in continuo con la più bassa incertezza estesa sul mercato e tra i più bassi tempi di risposta. Non ultimo, con le nuove BAT è stata introdotta la consapevolezza che non è più sufficiente monitorare all’emissione questo componente ma che, per una più efficace regolazione in continuo dei carboni attivi (così come previsto dalle BAT), è indispensabile monitorare la concentrazione di Hg sui fumi grezzi in uscita caldaia. E il nostro MERCEM300Z è in grado di soddisfare anche questa richiesta perché offre diversi campi di misura, utilizzando un solo dispositivo.

Tale sistema di analisi è stato concepito per rispondere ai sempre più stringenti limiti emissivi imposti dalle diverse organizzazioni di protezione dell’ambiente e dai governi stessi, e infatti risponde ai requisiti EPA americani ed è conforme alle norme CEN EN15267 grazie alle certificazioni presso enti europei accreditati quali TUV e SIRA. Ci può descrivere il funzionamento di MERCEM300Z? Il gas di combustione viene estratto con una sonda di campionamento e trasportato all’analizzatore tramite una speciale linea di trasporto gas campione, studiata e realizzata al fine di evitare depositi di mercurio sul percorso. Tutti i componenti che vengono a contatto con il gas campione, come ad esempio la sonda, la linea del gas di misura e convertitore nell’analizzatore, sono riscaldati ad alta temperatura (200°C) in modo che non si possa verificare alcun assorbimento ed eluizione. Ciò significa che nessuna parte di mercurio viene persa e il gas campione viene passato inalterato all’analizzatore. La conversione di mercurio avviene nel convertitore ad una temperatura di 1000°C senza l’ausilio prodotti chimici o convertitori catalitici. L’analizzatore utilizza un sistema a caldo di trattamento dei gas senza la

necessità di raffreddare lo stesso campione, utilizzando un sistema di aspirazione con eiettore. L’aspirazione avviene senza parti in movimento al fine di ridurre i costi di manutenzione. MERCEM300Z misura in continuo il tenore di mercurio nei fumi con un campo di misura certificato in accordo alla EN 15267, ed offre affidabilità di misura sia su piccoli range da 0 a 10 μg/m³ sia su quelli elevati fino a 1.000 μg/m³. Per questa ragione è la soluzione ideale per misure di processo in uscita caldaia e per ottemperare ai limiti di emissione che entreranno in vigore nel prossimo futuro con le nuove BAT di settore. Avete una stima di quanti impianti (in Italia e in Europa) potrebbero risultare non più a norma con la nuova normativa? Difficile per noi parlare di Europa perché come filiale italiana lavoriamo prevalentemente nel nostro paese. Possiamo però dire che, certamente in Italia, il livello tecnologico raggiunto in diversi impianti di incenerimento rifiuti consente di mantenere il livello di emissioni di mercurio molto basso, in alcuni casi già sotto i livelli previsti dalle nuove BAT. La vera difficoltà per i gestori sarà proprio la misura che, visto i valori in gioco (spesso sotto i 5 μg/m³), richiede tecnologie di misura con sempre più alte

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Industria 4.0 e iperammortamento: queste misure sono state confermate anche nel 2018. Le vostre soluzioni hanno le caratteristiche per rientrare nei vantaggi fiscali? Assolutamente sì. Il mercato chiede sempre di più sistemi facilmente interfacciabili alle reti digitali, presenti sugli impianti. La possibilità, quindi, di offrire diversi protocolli di comunicazione digitale (OPC, MODBUS TCI-IP) è ormai una peculiarità di molti analizzatori/prodotti di SICK, che offrono quindi la possibilità di trasmettere numerose informazioni in poco tempo, controllare in remoto il sistema e operare a distanza tramite emulatori HMI, in due parole: Sensor Intelligence. Affiancate il cliente con dei corsi di formazione? Singoli prodotti, sistemi completi, e anche servizi. L’offerta SICK accompagna il cliente dalla scelta del prodotto più adatto alle sue esigenze fino oltre all’installazione. Oltre alla consulenza per la messa in sicurezza degli impianti, offriamo anche diversi livelli di formazione specifici per le soluzioni installate. Accanto alle lezioni teoriche si svolgono anche lezioni pratiche, che possono tenersi direttamente negli impianti di produzione nel momento della messa in servizio dei prodotti adottati. Ricordiamo, poi, che i nostri tecnici sono sempre reperibili in caso di necessità per dare supporto e risolvere problematiche di qualsiasi tipo. Com’è strutturata la vostra rete vendita? SICK è presente sul territorio nazionale attraverso una rete capillare costituita da

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P A NO R A M A

A Z IEND E

circa 40 Sales Engineer divisi per area geografica e/o comparto industriale. Tutti i nostri venditori sono estremamente preparati e formati affinché supportino il cliente durante tutte le fasi di vendita. Non ultimo offriamo, in caso di necessità, anche un’attività di consulenza tecnica specifica fornita dalla nostra organizzazione interna di

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Product Manager e Proposal che guidano il cliente nell’identificazione del prodotto o del sistema più corretto per le sue esigenze. Quali novità porterete a mcT il prossimo 15 maggio? Tra le numerose soluzioni di SICK, abbiamo deciso di presentare il fotometro MCS300P.

Grazie alla combinazione del metodo di misurazione non dispersivo con il concetto di intercambiabilità della cella di misura, MCS300P rileva tutti i componenti attivi sia nel range infrarosso che in quello visibile. L’utilizzo di due ruote filtri consente l’analisi simultanea fino a 6 componenti. Durante il monitoraggio dei processi MCS300P considera anche parametri esterni come pressione, temperatura, portata volumetrica e tenore di ossigeno, garantendo la massima affidabilità in range variabili da basse ad alte concentrazioni (ppm… %vol). MCS300P lavora con temperature fino a 200°C e pressioni fino a 60 bar; le celle di misura sono testate per un utilizzo sicuro sia con gas che con liquidi combustibili, corrosivi e tossici. Inoltre, il fotometro è disponibile in versione per aria sicura o classificata per zona 1 e zona 2. I moduli I/O integrati e i protocolli di comunicazione Modbus, TCP e OPC semplificano l’accesso e l’uso dell’analizzatore, che può essere controllato attraverso un display integrato o mediante un software di configurazione e diagnostica con accesso da remoto.


A DIFFERENT WAY VTN, 45 ANNI DI STORIA CELEBRATI CON UN NUOVO LOGO E UN NUOVO MOTTO di Maria Beatrice Celino

È

stato in occasione dell’Intermat di Parigi che VTN Europe ha accolto i visitatori della fiera e i clienti con una nuova immagine. La rivisitazione del logo, in cui le 3 lettere VTN si compenetrano, si abbina ad un nuovo payoff che si riassume in 3 parole: “A Different Way”. La scelta di questo nuovo motto è così spiegata dall’azienda di Poiana Maggiore: “Possiamo leggerlo come preferiamo, ma per VTN è quasi un monito che l’azienda rivolge a se stessa, per non dimenticare la vocazione al cambiamento. Forti di quel che c’è, pronti a fare ancora di più (nelle orecchie di molti risuona ancora il vecchio payoff che accompagnava il logo precedente: “make more”), ma in un’ottica differente. È forse solo una questione di accenti, di priorità: non tanto il quanto, ma piuttosto il come. Di diverso oggi, in azienda, ci sono l’approccio, il coinvolgimento, la voglia di mettersi in discussione di una seconda generazione che raccoglie i valori dei predecessori e li anima di vita nuova. Cambiare significa ascoltare, accogliere, accettare, trasformare, rinnovare. Cambiare significa essere ricettivi, flessibili, disponibili. Cambiare significa soprattutto aprire: a nuove possibilità, nuove soluzioni, nuove ricerche, nuovi paesi e nuovi mercati in cui essere vicini e presenti. Tutto questo senza mai tradire la propria storia. Una storia fatta di modelli unici firmati VTN, di alto livello tecnico e qualitativo, apprezzati perché in grado di soddisfare tutte le esigenze del cantiere. Una gamma di prodotti che si distingue da qualunque altra, per la cura e l’attenzione al dettaglio, la qualità delle lavorazioni, l’eccellenza del servizio

post-vendita. Ma la storia di oggi si tinge di nuovo: perché la diversità - di approccio e di pensiero - significa forza. La diversità è una qualità che deve essere protetta, preservata e vissuta per quello che è: un valore”.

LA STORIA DI VTN

La storia di VTN inizia nel 1973, quando Nerio Vaccaro cominciò la sua avventura nel garage della propria abitazione. È la storia di una famiglia che ora è leader indiscussa di attrezzature a livello mondiale. Agli inizi, con VTN Benne, la produzione era di sole benne. Nel 1988 l’azienda cominciò a studiare e commercializzare le prime pinze demolitrici e i frantumatori che hanno aperto la strada alla divisione dedicata alla demolizione e al riciclaggio. Nel 1993 la separazione delle due linee produttive è coincisa con la nascita dell’attuale VTN Europe. Alla guida della società troviamo oggi i figli di Nerio - Antonio, Matteo ed Elisa - e, nel ruolo di Presidente, la moglie, Doris Lunardi. Unita, la famiglia Vaccaro porta avanti principi e valori di un lavoro iniziato con passione e sempre gestito con professionalità, competenza e voglia di crescere. Attualmente la produzione è presso lo stabilimento di Poiana Maggiore, in provincia di Vicenza. La gamma dei prodotti è ampia e idonea per le necessità degli operatori dei diversi settori cui l’azienda si rivolge: demolizione, movimentazione, cava e miniera, riciclaggio, movimento terra. Le attrezzature, costruite in acciaio Hardox, sono sinonimo di affidabilità, forza e durezza.

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SPE C I AL E

RECUPERO SICURO DELL’AMIANTO? UN PROBLEMA RISOLVIBILE PER LA SCIENZA, MA COMPLESSO PER LA POLITICA di Claudia Ferrari*, Cristina Leonelli** e Alessandro Gualtieri**

I

l 27 marzo del 1992 l’amianto viene bandito nel nostro Paese con l’emanazione della Legge n. 257. Dopo decenni in cui prove della sua pericolosità e cancerogenicità erano state prodotte in vari paesi nel mondo [1], finalmente con una legge di stato sono definite norme per la cessazione del suo impiego, ne viene vietata l’estrazione, l’importazione ed esportazione e sono indicati criteri per il suo smaltimento controllato. Ma non in tutto il mondo è così: Cina, Russia, Brasile ad esempio continuano ad utilizzarlo, in Canada sarà bandito da quest’anno. Questo ci porta a fare attenzione ai prodotti commercializzati da questi Paesi; da un report dell’Agenzia ECHA, l’amianto è stato ritrovato in catalizzatori, thermos, pastiglie dei freni: nel 13,6% dei prodotti controllati, anche se per lo più provenienti da mercati di 2° mano [2]. Dal 1992, nel nostro paese, la produzione di norme ai fini sanitari e ambientali è elevatissima, tant’è che il 21 novembre 2016, al Senato, fu presentato un Disegno di Legge con l’obiettivo di unificare le 250 disposizioni nazionali e le circa 400 regionali, che risultano in alcune parti obsolete o a volte in contraddizione tra loro: obiettivo non conquistato.

PERCHÉ L’AMIANTO

Le ottime proprietà tecnologiche riconosciute a questo materiale e la sua economicità ne hanno favorito un ampio utilizzo industriale; in particolare in campo edilizio l’amianto è stato largamente utilizzato. In combinazione con il cemento sono stati prodotti manufatti in “cemento-amianto” noti con il nome commerciale di Eternit, dalla omonima società produttrice, con sedi a Casale Monferrato e a Siracusa. La pericolosità dell’amianto è dovuta alla presenza delle sue fibre, che in alcuni prodotti o applicazioni, possono essere libere o debolmente legate, o sono fortemente le-

gate. Nel primo caso si parla di amianto in matrice friabile, mentre se le fibre sono presenti in matrice stabile e solida (come il cemento-amianto o il vinil-amianto), si parla di amianto in matrice compatta. Ovviamente nel primo caso l’amianto è molto più pericoloso perché la dispersione delle fibre è molto elevata. L’amianto è definito “killer silenzioso” perché la cancerogenicità si manifesta anche dopo 15/20 anni dal contatto e provoca una forma tumorale inguaribile, il mesotelioma. Accertata questa pericolosità mortale, dove lo si trova deve essere rimosso o messo in sicurezza, e quindi particolare attenzione oggi è riposta all’applicazione delle norme di sicurezza per chi lo deve asportare, incapsulare o confinare, trasportare e smaltire.

SMALTIRLO O RECUPERARLO?

Da stime riportate da INAIL sarebbero ancora 10 milioni le unità immobiliari con coperture in amianto, e coi ritmi attuali di rimozione saranno eliminate in 80 anni. Solo le coperture, senza contare l’amianto di rivestimenti, pavimenti, coibentazioni, ammonterebbero a 2 miliardi di mq, circa altre 30 milioni di tonnellate. Finora 10 sono i siti d’interesse nazionale (SIN) da bonificare, identificati anche in base ai numerosi decessi causati dalle lavorazioni dell’amianto che in quei siti sono state effettuate. La denuncia e la valutazione dello stato delle coperture è addossato alle proprietà, per questo è difficile censire tutto l’amianto ancora presente e determinarne lo stato qualitativo da cui discendono i tempi necessari alla rimozione; il Piano nazionale Amianto non ancora approvato e molti dei Piani regionali denunciano la carenza di indirizzi uniformi in merito all’informazione, alla creazione di mappature sulla presenza e sullo stato delle coperture da parte dei Comuni, alla formazione di figure specializzate ai diversi livelli, partendo dagli sportelli informativi dei Comuni.

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S PE CI A L E

bile il riutilizzo come materia prima (nel rispetto dei requisiti indicati nell’All. 3 dello stesso decreto). I processi richiamati dal DM 248/2004 sono vari: modificazione chimica, modificazione meccanochimica, litificazione, vetrificazione, vetroceramizzazione, litizzazione pirolitica, produzione di clinker e ceramizzazione. Da allora il mondo della ricerca, CNR, ENEA, Università hanno prodotto più di 30 brevetti, alcuni dei quali sono arrivati a studi di fattibilità per la loro industrializzazione, con valutazioni positive e interessanti sia in termini economici che ambientali. Ma tanti sono gli ostacoli che si infrappongono alla loro incentivazione e autorizzazione, più un mondo economico che ancora si basa sull’utilizzo della “discarica”. Una volta rimosso l’amianto viene inviato a smaltimento in discarica, ma… 1. le discariche in Italia sono insufficienti al fabbisogno, 2. sono difficili da localizzare (i cittadini non le vogliono), 3. il Comitato Economico e Sociale Europeo (CESE), con Parere 2015/C 251/03, conferma una risoluzione del 2013 ribadendo che: “La realizzazione di discariche per i rifiuti dell’amianto è una soluzione solo provvisoria del problema, che così viene lasciato alle future generazioni, essendo la fibra di amianto pressoché indistruttibile nel tempo. Il CESE invita pertanto la Commissione (quale Commissione?) a promuovere sistemi per la distruzione definitiva dei prodotti contenenti amianto … facendo riferimento alle migliori tecniche disponibili (BAT — Best Available Techniques). Andrebbero sostenute azioni di ricerca e innovazione per attuare tecnologie sostenibili per il trattamento e l’inertizzazione dei rifiuti contenenti amianto, in vista del riciclo sicuro, del riutilizzo e della riduzione dello smaltimento in discarica di questi rifiuti.” 4. Paesi come la Germania, che riutilizzano più facilmente l’amianto e hanno discariche, assorbono gran parte dell’economia italiana connessa a tali attività. Il 5 ottobre del 2004 il Ministero dell’Am-

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biente emana il DM n. 248, regolamento in cui, oltre a classificare i RCA (rifiuti contenenti amianto), a dare disposizioni in merito alla gestione e conferimento degli stessi in discarica, sono descritti i processi di trattamento che possono modificare la struttura cristallochimica

dell’amianto e quindi, effettuando una totale trasformazione delle fibre, rendono possi-

BREVETTI UNI MO-RE E L’ECONOMIA CIRCOLARE PER L’AMIANTO

Una delle eccellenze tutte italiane, vede l’ateneo di Modena e Reggio Emilia attivo sia nello studio che nella brevettazio-

Immagini ad alto ingrandimento che mostrano una completa ricristallizzazione (pseudomorfosi) dopo trattamento a 1200°C.


ne di “semplici” processi termici di inertizzazione completa e definitiva di RCA: Trattamento INAMI/riscaldamento a microonde (rif prof. Cristina Leonelli del Dipartimento di Ingegneria “Enzo Ferrari”) e Trattamento KRYAS/Forno a tunnel (rif prof. Alessandro Gualtieri del Dipartimento di Scienze Chimiche e Geologiche). I processi termici indicati sono migliorati rispetto ad altri processi termici nella performance per avere sicurezza per gli operatori (il materiale è trattato così come preparato per la discarica) e certezza per la non presenza di fibre alla fine del processo (come richiedono i requisiti della normativa “END OF WASTE) [3÷]. Nelle tabelle di seguito viene confrontato lo smaltimento in discarica e l’inertizzazione termica evidenziando le criticità del primo e i vantaggi del secondo sulla base di tre elementi: ambientali, tecnici ed economici. Da questo

confronto emergono quindi 10 buoni motivi per abbandonare la discarica e promuovere gli impianti d’inertizzazione.

CONCLUSIONI

Si auspica che a breve, visto che i tecnici delle strutture pubbliche predisposte per il controllo, la normazione e l’autorizzazione sono disponibili, sia istituita una COMMISSIONE da parte dei Ministeri Salute e Ambiente, per definire le BAT e valutare i pro e i contro dei diversi sistemi brevettati. Stesso auspicio per la valutazione e l’emanazione del Teso Unico per l’Amianto, che unisca, sintetizzi e aggiorni i contenuti delle 650 norme attive nel nostro Paese. * Regione Emilia Romagna. Direzione G. Cura del territorio e dell’ambiente ** Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia

NOTE

[1] Pericoli e fattori di Rischio – Rappresentanti dei lavoratori per la Sicurezza (UNIPD http://www.unipd-org.it/rls/pericolirischi/Pericoli/Amianto/Amianto. html) [2] ECHA – Forum REF-4 Project Report (1° ediz. Dell’ 8 feb 2018) [3] Art.6 della Direttiva 2008/98, art.184-ter DLgs 152/2006, nota MATT n.10045 del luglio 2016, Sentenza del Consiglio di stato n. 1129 del 28 febbraio 2018. [4] C. Ferrari, C. Leonelli, A. Gualtieri, Ecoscienza n. 1/2018 -Rivista di Arpae Emilia-Romagna – pag.26-28 [5] A.F. Gualtieri, C. Cavenati, I. Zanatto, M. Meloni, G. Elmi, M. Lassinantti Gualtieri, “The transformation sequence of cement–asbestos slates up to 1200°C and safe recycling of the reaction product in stoneware tile mixtures” - J. Haz. Matls, . 152(2),563-570 (2008). [6] A.F. Gualtieri, M. Boccaletti,”Recycling of the product of thermal inertization of cement–asbestos for the production of concrete”, Construc. Build. Matls, 25, 3561–3569 (2011). [7] D.N.Boccaccini, C.Leonelli, M.R. Rivasi, M. Romagnoli, P. Veronesi, G.C. Pellacani, A.R. Boccaccini, “Recycling of microwave inertised asbestos containing waste in refractory materials”, J. Europ. Ceram. Soc., 27(2-3), 1855-1858 (2007). [8] C. Leonelli, P. Veronesi, D.N.Boccaccini, M.R.Rivasi, L. Barbieri, F. Andreola, I. Lancellotti, D. Rabitti, G.C. Pellacani, “Microwave thermal inertisation of asbestos containing waste and its recycling in traditional ceramics”, J. Haz. Matls., 135(1-3), 149-155 (2006). [9] C. Leonelli, D.N. Boccaccini, M.R. Rivasi, M. Romagnoli, P. Veronesi, G.C. Pellacani, A.R. Boccaccini, “Refrattari contenenti amianto inertizzato come materia prima”, Ceramurgia & Ceramica Acta, 35(3), 159-168 (2005)

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S PE CI A L E

ELEMENTI TECONOMICI

ELEMENTI TECNICI

ELEMENTI AMBIENTALI

DISCARICA

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INERTIZZAZIONE TERMICA

La discarica crea problemi e costi per le generazioni future.

Inertizzando risolvo il problema e riutilizzo i materiali per sfruttarne le caratteristiche positive.

I viaggi lunghi verso la Germania, spesso risolvono in discariche abusive o abbandoni lungo i corsi d’acqua in Italia; le discariche saranno aree degradate e pericolose.

Le tecniche termiche (Forno a tunnel o Microonde) trattano sia il materiale accumulato che il materiale appena sigillato in cantiere. Le precauzioni da assumere nell’ambiente di lavoro sono identiche a quelle già affrontate nel cantiere di bonifica dell’amianto o per il trasporto all’impianto fisso. Se l’impianto è il Forno “fisso”, non si aggiungono problemi rispetto a quelli già conosciuti in impianti di trattamento termici, visto che non è necessario aprire gli imballaggi per trattarlo. Per il microonde, che può operare come impianto mobile elimino il trasporto, in termini di sicurezza e di costi.

La discarica costa poco e in pochi anni produce alti guadagni per chi la gestisce, generalmente non si considerano i costi del dopo – post mortem, non correttamente conteggiati, che saranno a carico delle generazioni future.

In 2 anni i costi di costruzione e gestione dell’impianto di inertizzazione vengono recuperati e poi si guadagna nella vendita del materiale trattato in quanto riutilizzabile. I costi variano a seconda del riutilizzo. Si stima un prezzo di vendita della materia prima - secondaria di 20 €/t (stima minima). Per i pigmenti per piastrelle, ad esempio sono inferiori di 1 o 2 ordini di grandezza rispetto ai costi di produzione con materie prime naturali. Il recupero riduce l’impatto ambientale.

Consumo suolo e l’amianto (indistruttibile) tornerà nell’ambiente.

Non consumo suolo se non quello necessario per gli impianti, per il tempo di utilizzo.

DISCARICA

INERTIZZAZIONE TERMICA

Sotterrando un elemento persistente, che nel corso dei decenni potrebbe interessare il sistema idrologico superficiale, potrebbe crearsi l’esigenza di un monitoraggio complesso.

La conversione cristallochimica dell’amianto, sia crisotilo che anfibolo, trattato a temperature di 1200°C, si trasforma in fasi cristalline innocue, con completa distruzione delle fasi fibrose originali. Il materiale ricristallizzato, innocuo e inerte, può essere RICICLATO in altri processi industriali creando lavoro. Per il microonde sono sufficienti temperature minori.

Il Comitato UE CISE ritiene la discarica una soluzione provvisoria, potrebbe vietare a breve lo smaltimento in discarica e obbligare risoluzioni tecniche alternative a breve termine.

La ricerca e l’innovazione per attuare tecnologie sostenibili per il trattamento e l’inertizzazione dei MCA, possono sviluppare know-how da esportare con creazione di lavoro per tecnici esperti e ricercatori preparati.

Se la copertura non viene correttamente controllata, nel tempo potrebbero svilupparsi emissioni di fibrille e di reflui contaminati da fibrille in falda ed in aria.

Assenza assoluta di emissioni nocive e di prodotti secondari (solidi o liquidi) nel ciclo di inertizzazione. Durante il processo termico di conversione cristallo chimica vengono emessi acqua e CO2, oltre al materiale solido inerte trattato termicamente, che viene completamente riciclato. Stessa sorte per tutti gli scarti.

DISCARICA

INERTIZZAZIONE TERMICA

Consumo e spreco di suolo per sempre

Non consumo/spreco di suolo, ma recupero del materiale che può essere riutilizzato come inerte in varie tipologie di prodotti: piastrelle, plastiche, leghe…

Costo smaltimento dai 120 ai 200 € ton (elemento molto variabile) non sempre effettivi.

Costo trattamento termico dai 67 (imp. fisso) ai 96-150 (microonde/variabile) €/t; per il microonde non vi sono costi di trasporto dell’amianto.

Il consumo energetico e la produzione di CO2 non sono nulli perché la discarica viene coperta strato per strato, con mezzi che consumano combustibile.

Consumo energetico = 67 Nmc di gas metano per ton di prodotto da trattare. Per la produzione di 78000 ton/anno si emettono ca. 29000 ton di CO2. Per l'impianto mobile a microonde la stima è di 0,8-1 kWh/kg. La CO2 emessa per la cottura delle lastre di cemento-amianto non è aggiuntiva: la CO2 rilasciata è quella originariamente assorbita dall’ambiente durante il periodo di posa della copertura a contatto con gli agenti atmosferici. L’unica aliquota di CO2 immessa ex novo nell’ambiente è quella dovuta alla combustione del gas metano.



S PE CI A L E

PROGETTARE LA TARIFFA PUNTUALE L’APPLICAZIONE DI SISTEMI DI MISURAZIONE DEI RIFIUTI URBANI IN DUE COMUNI LOMBARDI di Giorgio Ghiringhelli*

N

el nostro paese, cresce la spinta, soprattutto da parte degli amministratori locali, verso l’introduzione di sistemi di misurazione dei rifiuti urbani, finalizzati all’applicazione puntuale della tariffa (Tarip) alle utenze sulla base dei rifiuti prodotti. E’ sempre più chiaro che è questo lo strumento economico fondamentale per far evolvere la gestione dei rifiuti secondo il principio “chi inquina paga”, ovvero uno dei principi cardine delle politiche UE per la salvaguardia delle risorse che stanno alla base dell’“economia circolare”. Inoltre l’esperienza dimostra con sempre maggiore evidenza come l’applicazione puntuale della tariffa sia vantaggiosa sia dal punto di vista economico che da quello ambientale. Per finanziare le spese e i costi dei servizi pubblici per la gestione dei rifiuti urbani l’ordinamento legislativo ha subito un’evoluzione continua nell’ultimo ventennio: si sono succedute la tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (Tarsu), la tariffa per la gestione dei rifiuti urbani (Tia o Tia 1), la tariffa integrata ambientale (Tia 2), la Tassa rifiuti e servizi (TARES), fino alla tassa sui rifiuti (TARI). In Italia dal ’99 si discute delle modalità di determinazione della tariffa da applicare per la gestione dei rifiuti. In particolare, nel DPR 158/1999 viene definito un sistema presuntivo di determinazione della tariffa che non prevede la differenziazione dell’importo del tributo di ciascuno in ragione del suo comportamento reale. L’evoluzione della normativa, probabilmente anche grazie alle direttive europee in materia, ha portato di recente all’emanazione del DM 20 aprile 2017 che stabilisce i criteri per la realizzazione da parte dei comuni di sistemi di misurazione puntuale. A tal proposito

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è di fondamentale importanza sottolineare la recente istituzione dell’Autorità di regolazione per energia, reti e ambiente (ARERA, ex AEGSII). Nel disegno di legge di bilancio approvato al Senato il 30/11/2017, sono infatti assegnati all’ARERA anche compiti in materia di rifiuti: definizione degli schemi tipo dei contratti di servizio per l’affidamento del servizio rifiuti, predisposizione del metodo tariffario per il servizio integrato rifiuti, fissazione criteri per le tariffe di accesso agli impianti di trattamento, approvazione delle tariffe del servizio definite dall’Ato.

ELEMENTI CHIAVE DELLA TARIFFA PUNTUALE

Per poter applicare la parte variabile della tariffa in modo puntuale è necessario che questa possa essere attribuita ad ogni utenza sulla base delle propria produzione di rifiuti, che deve quindi essere misurata in modo certo. Il sistema si compone quindi di contenitori per la raccolta, strumenti di identificazione delle utenze e sistemi di rilevazione/acquisizione. I sistemi di misurazione e identificazione delle utenze sono numerosi e hanno ormai raggiunto un buon livello di maturità economica e tecnologica. I sistemi descritti oltre ad essere sempre più affidabili sono anche più economici, tant’è che il costo di investimento e gestione dell’intero sistema, composto da contenitori con identificazione dell’utenza e sistema di lettura e software di trasmissione e elaborazione dati, è spesso compensato già nel primo anno di applicazione dai risparmi conseguibili con la riduzione degli oneri di smaltimento della frazione indifferenziata e l’incremento degli introiti da raccolta differenziata. La tariffa puntuale prevede la definizione di ruoli e compiti precisi


tra gli “attori” coinvolti nel “progetto” di tariffa puntuale. Il soggetto regolatore è il Comune, che esercita le sue funzioni da solo o associato (ad esempio in ATO - Ambiti Territoriali Ottimali), ovvero approva il Regolamento, il Piano Finanziario, le tariffe, eventuali agevolazioni da applicare in tariffa e definisce il livello qualiquantitativo dell’assimilazione dei rifiuti speciali agli urbani. La tariffa si basa sul Piano finanziario, che parte dall’analisi dei costi del servizio di gestione rifiuti di cui, dopo il riconoscimento giuridico-normativo, fanno parte anche quelli per la prevenzione. Il soggetto gestore, individuato dal soggetto regolatore, secondo le norme vigenti, redige il piano finanziario, gestisce il servizio di igiene ambientale, gestisce, accerta e riscuote direttamente la tariffa, nel rispetto del regolamento e inserisce nel proprio bilancio la tariffa, applicando l’iva all’aliquota vigente al momento della fatturazione, e le relative entrate finanziarie. Il soggetto passivo è l’utente del servizio, il cui rapporto con il soggetto gestore è regolato, per quantificare il livello di prestazione richiesta, da un apposito regolamento e da una carta dei servizi. Perché si possa parlare di “tariffa puntuale” è necessario misurare (peso e/o volume) almeno la quantità di rifiuto secco residuo, superando, rispetto alla tassa rifiuti, l’impiego della superficie degli immobili e della composizione del nucleo famigliare come unici parametri di riferimento. Alla tariffa, così come descritta, si applica inoltre l’IVA, con aliquota del 10%, chiaramente deducibile per le attività produttive. L’introduzione della tariffa infine richiede alcune scelte e attività operative elencate per brevità: • la predisposizione del Regolamento tariffa; • la delibera approvazione tariffe; • il consolidamento / innovazione uffici tariffa; • la dotazione di un adeguato software gestionale; • la definizione di un percorso per la riscossione.

Figura 1. Schema delle principali tipologie di strumenti necessari per applicare la tariffa puntuale (fonte: Payt Italia - 2015)

Figura 2. Campagna di comunicazione per il lancio della tariffa puntuale a Cornaredo

IL CASO DI CORNAREDO

Il Comune di Cornaredo (MI), con i suoi 20.000 abitanti distribuiti in un territorio che alterna edilizia intensiva a situazioni edilizie meno concentrate, decide di avviare un percorso verso la tariffa puntuale, provvedendo a giugno 2016 a dotare i cittadini di sacchi e contenitori per la raccolta del rifiuto residuo con sistemi di riconoscimento (Tag Rfid UHF). Il Comune di Cornaredo ha esternalizzato il servizio di gestione dei rifiuti urbani affidandolo “in house” così come previsto dall’art. 113 del D.lgs. 267/2000 e s.m.i. alla società ACSA Azienda Comunale Servizi Ambientali Spa di cui il Comune è uniproprietario. ACSA Spa si occupa dell’intero ciclo di gestione dei rifiuti, quali la raccolta ed il trasporto agli impianti di smaltimento e/o trattamento e lo spazzamento delle strade. Il servizio di raccolta della frazione secca non riciclabile viene effettuato con sistema porta a porta presso le utenze domestiche (RSU) e non domestiche (RSAU). La raccolta prevede l’utilizzo di sacchetti a perdere in polietilene e lo svuotamento di cassonetti di varia dimensione, prevalentemente da 1.100 lt; il servizio prevede la raccolta dei sacchetti un giorno alla settimana e l’orario di raccolta è compreso tra le ore 6,00 e le ore 12,00. Le squadre di raccolta sono composte da autocompattatori con caricamento posteriore con uno o più mezzi a vasca che fungono da veicoli satellite. Partendo da risultati prossimi al 50% di raccolta differenziata l’a-

Figura 3. Andamento raccolta frazioni rifiuti (kg/abitante.a) e %RD a Cornaredo

zienda ed il Comune nel 2015 hanno deciso di raggiungere e superare gli obiettivi normativi del 65% della raccolta differenziata, mediante l’introduzione del rilevamento puntuale dei conferimenti della frazione indifferenziata dei rifiuti mediante sacchi dotati di chip Rfid e sistema di lettura a bordo mezzo. I risultati quantitativi non si fanno attendere, infatti, come riportato nel dal grafico (Figura 3), è possibile evidenziare una riduzione dei rifiuti indifferenziati del 34% e del totale rifiuti del 15%, a fronte dell’incremento del 26% dell’intercettazione di Forsu e carta, di ben il 53% di plastica+lattine e della percentuale della raccolta differenziata (+10%).

IL CASO DI SEVESO

Seveso è una municipalità della Provincia di Monza-Brianza in Regione Lombardia. La popolazione al 2016 contava 23.561 abitanti e una densità di 3.175 ab/km2. I rifiuti totali generati si aggirano

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S PE CI A L E

Figura 4. Logo del progetto WASTE4think

filiera. Nell’ambito del progetto da ottobre 2015 è stata attivata, e nel 2016 estesa a tutta la città, la raccolta del RUR (Rifiuto Urbano Residuo) mediante sacco blu dotato di tag RFID (110 l). Il sacco taggato permette di identificare univocamente l’utenza associata, domestica o non domestica, al momento della raccolta del sacco. I mezzi di GELSIA sono infatti dotati di un’antenna per la lettura dell’RFID e di un software dedicato per l’elaborazione e l’archiviazione dei dati. L’introduzione del sacco blu ha agito sulla consapevolezza dei cittadini che hanno iniziato a differenziare di più e meglio riducendo il rifiuto indifferenziato. A fronte della riduzione del rifiuto indifferenziato, rispetto al mese di marzo, in giugno 2016 è aumentata la produzione di FORSU del 12% (da 138 a 155 ton/mese) e di ingombranti del 28% (da 60 a 77 ton/mese); la produzione di carta e cartone è rimasta sostanzialmente invariata, mentre si sono ridotte le produzioni di multi-leggero, del 17%, e vetro, del 13%. Complessivamente la produzione di rifiuti è scesa del 3%, passando da 615 a 596 ton/mese.

CONCLUSIONI

Figura 5. Campagna di comunicazione per il lancio della tariffa puntuale a Seveso

Figura 6. Andamento raccolta frazioni rifiuti (kg raccolti) a Seveso

intorno alle 9.000 ton/anno. La gestione dei rifiuti, in capo all’azienda GELSIA Ambiente, si basa sulla raccolta domiciliare dell’indifferenziato e delle frazioni riciclabili che comprendono il rifiuto biodegradabile, carta e cartone, vetro, plastica e multi-materiale. Il territorio è stato diviso in tre distretti in cui si effettua la raccolta porta a porta in giorni differenti della settimana a seconda della frazione. Il Comune di Seveso fa parte del Consorzio Europeo che si è aggiudicato nel 2016 il finanziamento Horizon 2020 per il progetto WASTE4think Moving Towards Life Cycle Thinking By Integrating Advanced Waste Management Systems (W4T). Il progetto si propone di creare e sperimentare in 4 differenti contesti urbani europei (Zamudio (ES), Halandri (GR), Seveso (IT) e Cascais (P)) soluzioni avanzate e integrate per la gestione dei rifiuti in tutta la

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La gestione dei rifiuti è parte finale della più grande gestione delle risorse dell’“economia circolare” in cui nelle priorità è posta in testa la “prevenzione”, seguita della “preparazione per il riutilizzo” e, al terzo posto, il riciclaggio, per finire con le opzioni “meno preferibili” ovvero il recupero energetico e lo smaltimento in discarica. Per spingere le utenze a comportamenti in linea con questa gerarchia l’applicazione puntuale della tariffa, è uno strumento efficace sul piano economico, perché premia automaticamente gli atteggiamenti virtuosi, sviluppando le responsabilità individuali e collettive, perché sollecita comportamenti virtuosi. La tariffazione puntuale deve essere capace di aderire a diversi sistemi di raccolta rifiuti (sacchi, bidoncini, cassonetti, container, ecc.) fornendo inoltre indicatori che permettono di monitorare l’efficacia, la qualità e la precisione del servizio. Il passaggio a tariffa puntuale non ha come obiettivo “pagare di meno” ma “pagare il giusto”, premiando le utenze che riducono i loro rifiuti e li avviano a recupero e riutilizzo, introducendo quindi concetti di equità, trasparenza e partecipazione. L’esperienza di Cornaredo ha già portato ad un miglioramento quali quantitativo della gestione, con riduzione della produzione dei rifiuti e aumento delle raccolte differenziate. Il coinvolgimento attivo degli attori sociali ed economici (popolazione, attività e loro associazioni) contribuisce a far considerare la tariffa puntuale un valore comune di trasparenza ed equità e non una imposizione burocratica. Il Comune di Seveso, nell’ambito del progetto Europeo Horizon 2020 WASTE4think Moving Towards Life Cycle Thinking By Integrating Advanced Waste Management Systems (W4T) di cui è caso pilota, ha messo in atto una serie di azioni mirate al continuo miglioramento della gestione dei rifiuti. L’iniziativa più significativa è stata l’introduzione della tariffa a misura che si basa sull’attribuzione della parte variabile della TARI in base all’effettivo conferimento di rifiuto indifferenziato. Dall’introduzione della PAYT si è già raggiunto l’80% di raccolta differenziata, dato che rende il Comune di Seveso tra i più virtuosi nel panorama nazionale. Il rifiuto indifferenziato in tre mesi è calato del 17%, e il rifiuto totale del 3%, a fronte dell’aumento del rifiuto organico, cresciuto del 12%. *ARS ambiente Srl (rete RERA) e Università Cattaneo - LIUC


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L’IMPIANTO CIRCOLARE IL NUOVO CENTRO DI RICICLAGGIO ECORED OFFRE UN NUOVO PUNTO DI VISTA di Laura Veneri

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Minerbio in provincia di Bologna è stato da poco inaugurato un nuovo centro di riciclaggio dedicato prevalentemente ai rifiuti da costruzione e demolizione. Quando arriviamo, il giorno dell’inaugurazione, stentiamo ad indentificare il luogo nonostante siamo in aperta campagna e la vista si perda all’orizzonte. Nascosto da una macchia alberata e dietro a lievi collinette, troviamo il centro di riciclaggio Ecored gestito dalla famiglia Rossi. L’impianto è notevolmente differente rispetto a quanto siamo abituati. Circondato da colline artificiali per mitigare i rumori e la dispersione delle polveri, presenta una forma circolare. L’impatto ambientale è minimo e il risultato è armonico e funzionale. “Un impianto a regola d’arte” come lo definisce Fabio Rossi, il proprietario. Progettato dall’architetto Antonio Bellogini è concepito con una grande area uffici centrale dalle cui vetrate è possibile controllare tutto l’impianto che si sviluppa a raggiera. Il giorno dell’inaugurazione le aree per lo stoccaggio dei materiali sono vuote per garantire la sicurezza delle persone invitate ma noi ce lo immaginiamo con i mucchi di prodotti differenziati e divisi da un attento studio logistico. La divisione degli spazi è realizzata con i divisori cublock, dei grossi cubi a forma di mattoncini per le costruzioni che si legano uno con l’altro e che possono

arrivare fino a 5 metri di altezza. L’impianto vanta un’autorizzazione ordinaria e non semplificata quindi può trattare molti materiali: dalle terre da scavo al cemento, dalle piastrelle ai mattoni, dalla carta catramata alle miscele bituminose, dalla sabbia di fonderia ai rifiuti misti, legno, plastica, tutti i tipi metalli, e possono essere attivate anche le categorie dei pericolosi. Le macchine che lavorano nell’impianto sono fornite dalla Cams Srl di Castel San Pietro Terme, che dal 2001 progetta, produce e vende frantumatori, trituratori e vagli per il riciclaggio. Presso l’impianto lavorano due frantumatori

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della serie UTM, un UTM 750-2 e un UTM 1500-2, il più grande della gamma. Tutti i frantumatori mobili per inerti della serie UTM sono in sagoma per il trasporto, risultando così molto semplici da trasportare. Sono stati progettati e realizzati con una forma compatta per consentirne l’installazione anche in spazi ristretti, risultando perfetti per lavorare il materiale direttamente in cantiere. Necessitano di poca manodopera per il funzionamento ed è sufficiente un solo operatore per gestirli, in quanto sono completamente automatizzati e gestibili tramite radiocomando. Sono dotati di una tramoggia con bocca di

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dimensioni molto ampie, che permette di lavorare anche macerie di forma particolare come travi, cordoli di marciapiede, pilastri, ecc. Grazie alla bassa velocità delle parti rotanti, i frantoi mobili per inerti della serie UTM producono pochissima polvere ed hanno un’usura molto modesta. Inoltre, i costi di manutenzione e tempi di fermo macchina sono ridotti al minimo, grazie ad una soluzione brevettata che consente la sostituzione dei denti di cui sono dotati i dischi fresanti con una semplice e rapida operazione. Caratterizzati da bassi consumi e da un’elevata produttività, gli impianti UTM sono inoltre dotati di un sistema brevettato per la regolazione idraulica della pezzatura in uscita e di un sistema integrato per la separazione dei metalli.

LO SVILUPPO DEL PROGETTO

L’impianto di recupero di materiali inerti di Minerbio vede la luce dopo un percorso piuttosto lungo, grazie alla lungimiranza e tenacia dei Committenti e grazie all’incontro, lungo il cammino, con persone di indubbio valore e preparazione, fra cui alcuni funzionari della Provincia di Bologna – ora Città Metropolitana e del Comune di Minerbio. La stessa Amministrazione di Minerbio, accertate le intenzioni dei Committenti di realizzare un impianto moderno e virtuoso, rispettoso delle normative e che non producesse rischi di alcun tipo per la popolazione, è stata determinante per il buon esito dell’iter autorizzativo. L’impianto, già completo e attrezzato con le più moderne tecnologie per trattare la quantità di materiali massima

FRANTOIO CAMS UTM1500-2 Larghezza (trasporto): m 2,50 Lunghezza (trasporto): m 10,55 Altezza (trasporto): m 3,00 Tipo Trituratore: FTR 1500 Peso: Kg 22.500 Gruppo Elettrogeno: Diesel IVECO N67 TE3F 260 CV at 1500 rpm Alternator210 KVA Vantaggi: • Alta produttività fino a 180 t/h • Veloce installazione • Massima mobilità su terreno pesante, basso carico distribuito sui cingoli • Telecomando con cavo smontabile • Motorizzazione Elettrica, per ottimizzare il rendimento al fine di ridurre i consumi • Non produce inquinamento acustico per cui può operare anche all’interno di aree urbane • Non produce inquinamento atmosferico (polveri) grazie alla bassa velocità di rotazione • Non trasmette vibrazioni non essendo presenti masse eccentriche • Separazione dei metalli • Bassi costi di gestione e manutenzioni • Denti intercambiabili (Soluzione brevettata) • Regolazione della pezzatura (Soluzione brevettata) • Opzione radio comando senza fili • Possibilità di distribuire energia elettrica al cantiere

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autorizzabile, attualmente non lavora al pieno delle possibilità: il raggiungimento della massima quantità di materiali trattati coinciderà con la realizzazione di un tratto di viabilità, che consentirà ai mezzi di evitare di transitare nei pressi dell’abitato di Minerbio. Per quanto riguarda strettamente la morfologia dell’impianto sono stati tenuti fin da subito in grande considerazione, prima ancora perché richiesti dagli enti, aspetti rilevanti quali l’inserimento paesaggistico e le mitigazioni ambientali; anche in questo ambito i Committenti hanno abbracciato con entusiasmo gran parte delle proposte progettuali, mostrando sensibilità non comune, consapevoli di non percorrere talvolta la via economicamente più vantaggiosa. L’impianto è caratterizzato da una forma pressoché circolare e traduce l’idea iniziale che prende spunto dal simbolo triangolare del riciclaggio, disegnato nel 1971 da Gary Anderson. Da qui si è sviluppata la distribuzione in pianta, che lega fortemente la forma alle funzioni e governa le lavorazioni in una successione ordinata: come in strutture analoghe i materiali in ingresso, dopo le operazioni di pesatura e controllo, vengono collocati in aree specifiche in attesa delle operazioni di trasformazione. Nell’impianto della Ecored la presenza di un unico percorso centrale e la sistemazione dei materiali nei settori circolari ottimizzano e minimizzano i transiti dei mezzi d’opera, riducendo tempi di lavorazione e consumo di combustibile. Lungo il perimetro della struttura è realizzato un terrapieno inverdito, cui sono affidate molteplici funzioni: • nascondere alla vista l’impianto: nonostante l’altezza del terrapieno non sia trascurabile (circa quattro metri), tale misura si perde nella vista da lontano e il rilievo inerbito raccorda dolcemente la pianura circostante alla sommità dei muri di contenimento; • limitare fortemente la propagazione dei rumori prodotti durante lo svolgimento delle lavorazioni; • allocare l’impianto di nebulizzazione dell’acqua per l’abbattimento delle polveri. Le mitigazioni ambientali si completa-


no con un sinuoso percorso pedonale alberato che lambisce l’impianto attraversando il lotto da nord a sud, conducendo nei pressi della ampia vasca di laminazione di forma libera e profondità variabile, dove saranno messe a dimora specie igrofile, arricchendo la vegetazione. La realizzazione del bacino risponde alla necessità di disporre della quantità di acqua necessaria per il funzionamento dell’impianto di abbattimento delle polveri e di irrigazione delle aree verdi, nonché di costituire un accumulo sufficientemente ampio perché lo smaltimento delle acque meteoriche provenienti dalle superfici impermeabilizzate non gravi sul sistema esistente. Alla vasca di laminazione sono convogliate acque meteoriche e acque provenienti dall’impianto di abbattimento delle polveri, dopo il trattamento di separazione delle acque di prima pioggia e filtrazione. Gli uffici sono collocati nei pressi dell’ingresso, in un’area di snodo e separazione fra gli spazi adibiti alla pesatura e controllo, quelli adibiti alle lavorazioni e quelli destinati allo stoccaggio, così che ogni zona dell’impianto sia visibile dalle ampie finestrature. La copertura è piana e inclinata, con una geometria tale da raccordarsi con il terreno vegetale e il terrapieno; coerentemente con il progetto delle mitigazioni è inverdita, così da ridurre l’impronta delle strutture, oltre che garantire i noti benefici delle coperture verdi (estetici, di isolamento, di contenimento del fenomeno isola di calore, di riduzione della propagazione di polveri, di riduzione della velocità con cui le acque meteoriche sono convogliate al sistema di captazione e così via). Il risultato finale è fonte di soddisfazione ed apprezzamento poiché raggiunge l’obiettivo di coniugare la necessità di un layout funzionale e pratico, quello di generare un posto di lavoro piacevole e quello di essere notevolmente rispettoso dell’aspetto paesaggistico e percettivo; non ultimo si discosta dalla comune considerazione di questi impianti, ritenuti spesso fonte di degrado e dimostra che con sensibilità e attenzione è possibile raggiungere obiettivi di grande qualità.

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UN NUOVO IMPIANTO PER LA CERNITA DELLE MACERIE INAUGURATO IL NUOVO IMPIANTO PER LA CERNITA DELLE MACERIE GESTITO DA COSMARI IN GRADO DI TRATTARE OGNI GIORNO 1.600 TONNELLATE DI INERTI di Bruno Vanzi

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osmari è oggi un’importante società pubblica costituita da 55 comuni della provincia di Macerata a cui si è recentemente aggiunto il Comune di Loreto, per una popolazione di circa 335.000 abitanti. Le attività del consorzio sono oggi distinte secondo le seguenti direttrici: servizi di raccolta differenziata e indifferenziata dei rifiuti solidi urbani, gestione dell’impianto di smaltimento e recupero rifiuti solidi urbani, gestione dell’impianto di compostaggio,

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gestione dell’impianto di selezione manuale del multi materiale leggero e di carta e cartone, gestione delle discariche di appoggio, gestione dei centri di conferimento comunale, piattaforma provinciale per Raee e ingombranti. Inoltre Cosmari si occupa della cernita delle macerie provenienti dai Comuni colpiti dal terremoto del 2016. Ogni giorno negli impianti consortili vengono trattate 400 tonnellate di rifiuti e vengono erogati servizi mediante l’utilizzo di 200 automezzi, con oltre 300 dipendenti tra

impiegati, autisti mezzi complessi, operai e addetti alle varie linee. Attualmente si occupa della raccolta differenziata e dei servizi per oltre 260 mila cittadini e del recupero e smaltimento dei rifiuti per l’intero ambito provinciale. Quasi tutti i Comuni soci hanno avviato la raccolta differenziata spinta “Porta a Porta”. La raccolta differenziata è in costante crescita tanto che si è attestata, su scala provinciale, su valori superiori al 75% con molti Comuni che stabilmente hanno percentuali superiori all’80%. In virtù di que-


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FIRMATO IL PROTOCOLLO DI INTESA PER IL RIUTILIZZO DELLE MACERIE DELLE MARCHE Il primo protocollo di intesa per il riutilizzo, da parte dei Comuni, delle macerie già trattate nei siti di deposito è stato sottoscritto a inizio febbraio 2018 tra la Protezione civile della Regione Marche e il Comune di Monteprandone. Si tratta di un modello che realizza i principi europei dell’economia circolare e che sarà applicato a tutte le stazioni appaltanti. L’accordo prevede che gli aggregati trattati siano usati per la costruzione di opere pubbliche, come strade, marciapiedi e nuovi fabbricati. Prende il via così una nuova fase virtuosa del processo di rimozione, trattamento e recupero delle macerie, che permette di limitare, attraverso il riuso, il volume dei rifiuti e anche di incentivare la costruzione di nuove opere. Questo nuovo step si inserisce all’interno di un percorso che ha consentito di rimuovere il 99 per cento delle macerie in area pubblica e di avviare a recupero il 99,9 per cento dei materiali, con valori, in termini assoluti, che nel mese di gennaio 2018, hanno superato la quota di 300.000 tonnellate di macerie rimosse (il saldo alla fine del mese scorso era precisamente di 306.416,60 tonnellate). sti risultati la provincia di Macerata è al primo posto nella raccolta differenziata nelle Marche. Cosmari è l’unico Consorzio del centrosud Italia presente nella speciale classifica redatta dal Ministero dell’Ambiente e da Legambiente dei “Consorzi Ricicloni”. Molti i progetti caratterizzanti realizzati e attualmente adottati sul territorio: eliminazione delle stoviglie usa e getta da sagre e feste paesane e utilizzo di materiali in mater-bi. Raccolta differenziata spinta negli stabilimenti balneari e nelle spiagge. Oltre 5.000 compostiere distribuite alle famiglie per il compostaggio domestico nelle zone rurali. Sistema di misurazione e controllo dei sacchetti conferiti mediante microchip con identificazione delle utenze. Progetti specifici di comunicazione rivolti alle diverse tipologie di utenze. Laboratori e progetti di educazione ambientale rivolti a tutte le scuole. Collaborazioni con le Università. Progetto contro lo spreco alimentare “Fatti gli avanzi tuoi… Tieni il resto”. Il Gruppo Cosmari è da sempre orientato a indirizzare la propria mission aziendale verso servizi che, oltre alla qualità e alla economicità, guardano alla sostenibilità e ai comportamenti responsabili, sia dei sistemi adottati, che dei cittadini coinvolti nella raccolta differenziata dei rifiuti con il Sistema “Porta a Porta” e con il sistema tradizionale dei cassonetti stradali.

tempi cambiano e Cosmari si adegua continuamente a quelle che sono le esigenze degli utenti, contribuendo a creare una nuova educazione al consumo, impegnandosi per un corretto riutilizzo dei materiali provenienti dalla raccolta differenziata in sinergia con Conai e con i Consorzi di filiera, per una nuova immagine di rifiuto, per una nuova consapevolezza da parte di tutti i cittadini. Nuovi orizzonti, cambiamento, progresso, riciclo, meno rifiuti e meno spreco, più equilibrio e più ecostenibilità ed ecocompatibilità... in una parola: cambiamento responsabile. Tutto questo dimostra, in modo pratico, che un’adeguata sensibilizzazione sul “sistema ambiente” e una visione complessiva dei problemi, consentono la diffusione di quelle “buone pratiche” che, se adottate da tutti i cittadini permettono una corretta gestione dei rifiuti, favorendo un giusto riutilizzo, un equo impiego dei consumi e quindi uno sviluppo sostenibile, rispettoso dell’individuo e della natura.

IL NUOVO IMPIANTO PER LA CERNITA DELLE MACERIE

È stato inaugurato a fine 2017 il nuovo impianto per la cernita delle macerie finanziato dalla Regione Marche, realizzato e gestito da Cosmari srl. 2.400 metri quadri di superficie coperta divisi in tre distinti capannoni larghi 20 metri per 40 metri di profondità e 10 metri di altezza a cui si aggiungono le 3 tettoie esterne di 15 metri per 15 per una superficie di 450 metri quadrati. L’impianto è dotato di impianti di depolverizzazione, di nebulizzazione per l’abbattimento delle polveri e per la pulizia dei mezzi in uscita (cassoni e pneumatici), impianti di aspirazione dell’aria con filtri a maniche e di decontaminazione dalle polveri per il personale. I costi sostenuti dalla Regione Marche sono pari a 3.925.508,27 euro così ripartiti: primo stralcio, piazzale e vasca 439.642,40 euro, tettoie 105.029,00 euro; secondo stralcio: capannone e piazzali 2.743.621,28 euro, impianto elettrico 297.215,59 euro, impianto di depolverizzazione 40.000,00 euro, impianto di selezione (attualmente in appalto) 300.000,00 euro. Nel nuovo impianto è possibile trattare ogni giorno 1.600 tonnellate di macerie impiegando fino a 40 unità lavorative.

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IL TRATTAMENTO DEI PFAS DA MATRICI ACQUOSE COMPLESSE LA RIMOZIONE DI SOSTANZE PERFLUOROALCHILICHE E POLIFLUOROALCHILICHE DAI PERCOLATI DA DISCARICA: LA SITUAZIONE ITALIANA E INTERNAZIONALE di Carlo Zaffaroni, Jean Pierre Davit e Nicla Cea*

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e sostanze perfluoroalchiliche e polifluoroalchiliche (collettivamente chiamate PFAS) sono diventate uno dei principali focus emergenti di pubblico dominio, soprattutto a causa della loro presenza diffusa, della loro persistenza, del potenziale bioaccumulo e della loro tossicità. A livello normativo numerose nazioni (tra le quali Regno Unito, Germania, Danimarca, Svezia, Olanda, Norvegia, Stati Uniti d’America, Canada, Australia…) hanno aggiornato le relative normative ambientali, includendo concentrazioni guida per alcuni PFAS. Anche in Italia l’Istituto Superiore di Sanità ha emesso un parere indicando delle concentrazioni obiettivo per le acque destinate al consumo umano. Tuttavia affrontare contaminazioni da PFAS rappresenta una sfida in tutto il mondo, sia per le Autorità che per i privati, a causa della limitata esperienza, dei pochi riferimenti normativi e metodologici e delle caratteristiche peculiari dei PFAS che possono consistere in migliaia di sostanze diverse (una frazione delle quali è analizzabile in laboratorio e regolata) e sono in grado di generare picchi di contaminazione molto estesi sia nelle acque superficiali che in quelle di falda; la tematica del trattamento dei PFAS, recentemente emersa in modo importante in Veneto con riferimento alle acque potabili, è un esempio “locale” che si aggiunge a situazioni simili in altre parti del mondo. Nello specifico il tema dei PFAS nelle acque potabili è stato affrontato per primo, data la sua importanza, andando ad individuare delle soluzioni efficaci per rimuovere i PFAS e rendere sicura l’acqua per uso potabile, sia che essa provenga da falda

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che da acque superficiali. Sono state sperimentate e testate varie soluzioni, andando ad individuarne: • alcune di provata efficacia nella rimozione di PFAS quali la filtrazione su carbone attivo granulare (GAC, da Granular Activated Carbon) o in polvere , con dosaggi elevati (PAC, da Pulverized Activated Carbon), osmosi inversa (RO, da Reverse Osmosis), nanofiltrazione (NF, anche se meno efficace); • altre efficaci, ma con rendimenti che possono differire a seconda delle varie “macro-famiglie” dei PFAS, quali le resine a scambio ionico, di cui alcune efficaci per PFOS (PerFluoroOttano Sulfonato), meno per PFNA (Acido PerFluoroNonanoico) e PFPA (Acido Fosfonico Polifluorurato); • altre scarsamente efficaci e, pertanto, non più impiegate, quali processi ossidativi, raggi ultravioletti (UV), perossido di idrogeno (H2O2 e loro combinazioni) e/o la sola coagulazione/flocculazione (in alcuni casi può funzionare abbinata con PAC). Le considerazioni di efficacia sono oramai consolidate nella rimozione dei PFAS dalla matrice “acqua per uso potabile” che, pur avendo caratteristiche differenti in termini di composizione chimica costituisce, di fatto, una matrice semplice e pressoché priva di contenuto organico (COD, TOC…) che interferisca e/o entri in competizione con i processi di rimozione dei PFAS. Anche su tale matrice “semplice”: • si è infatti osservato/verificato che tanto maggiore è il contenuto di organico complessivo tanto più difficoltosa è la


rimozione dei PFAS (inoltre l’adsorbimento di PFAS è nettamente inferiore a quello di altre specie quali gli idrocarburi, con conseguente necessità di rigenerazione più frequente); • si consiglia comunque la prova pilota prima dell’applicazione full-scale. In generale le soluzioni di trattamento per acque potabili sono orientate sull’applicazione dei GAC che, oltre alla sopra citata efficacia di abbattimento, non genera concentrati da smaltire (cosa che invece accade con le membrane e con le resine a scambio ionico, a meno che siano “a perdere” e vadano ad incenerimento) ma rende possibile poi la distruzione dei PFAS durante la riattivazione del carbone (i PFAS vengono rilasciati dai carboni durante la rigenerazione a 700-900°C e poi termodistrutti nel burn-out dei gas ad oltre 1000°C) “togliendoli” dal ciclo. Si noti che i GAC sono meno efficaci con i PFAS a catena corta (C<6) e che pertanto, se richiesto dalla “distribuzione” delle specie di PFAS, possono essere seguiti da resine di polishing. Tale soluzione è pertanto quella che, per le acque potabili, è più diffusa, definitiva (in quanto porta alla distruzione dei PFAS) e attualmente più sostenibile (non genera concentrati che contengono tutti i PFAS di partenza e che vanno comunque gestiti in quanto “rimettono in ciclo” i PFAS non eleminandoli dall’ambiente).

PFAS NELLE MATRICI COMPLESSE

Se, come sintetizzato sopra, è possibile individuare dei processi di trattamento che possano configurarsi come “appositi apprestamenti” per abbattere i PFAS presenti nelle acque (di falda e/o di superficie) da potabilizzare, la situazione non è altrettanto definita per matrici complesse quali le acque reflue e/o i percolati. In tali matrici infatti i PFAS, presenti con concentrazioni dell’or-

dine di microgrammi/l e/o decine di nanogrammi/l, sono “miscelati” ad altri composti organici che – espressi come COD – possono essere dell’ordine delle migliaia e/o decine di migliaia di mg/l. In tali casi gli effetti da considerare sono molteplici ed, in particolare: • il fatto che la presenza di organico interferisca nei processi di rimozione, già rilevato nel campo della potabilizzazione (dove il COD è dell’ordine della decina di mg/l), è molto superiore, e verosimilmente tale da inficiare il processo di rimozione sul refluo e/o percolato tal quale; pertanto processi quali GAC, Osmosi e resine possono essere applicati per rimuovere PFAS da acque reflue e/o percolati solo dopo che i flussi sono stati pretrattati; • alcuni processi di trattamento, quali l’ossidazione nei sistemi biologici, incrementano la concentrazione di PFAS in quanto operano una conversione dei precursori dei PFAS stessi che, spesso, è maggiore del parziale adsorbimento dei PFAS (di alcuni di essi) nel fiocco di fango attivo. Per tale motivo, anche all’estero, le linee guida relative al trattamento di flussi contenenti PFAS in impianti di depurazione centralizzati in genere consigliano di non considerare i depuratori (processo primario + biologico) in grado di rimuovere i PFAS; • per contro, il fatto che l’applicazione ai percolati delle tecnologie idonee per la rimozione dei PFAS alle acque potabili richieda significativi pretrattamenti, porta a considerare potenzialmente applicabili soluzioni che, per il loro costo energetico e di sostenibilità, non vengono prese in considerazione per rimuovere i PFAS dalle acque potabili: tali tecnologie sono quelle di evaporazione (sulla quale resta comunque il

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potenziale rischio di contaminazione del distillato) e l’incenerimento (che – effettuato a temperature di 1100°C – è idoneo per distruggere i PFAS; • sono poi in fase sperimentale delle tecnologie che massimizzano la vita dei GAC (es. PerfluorAd) e/o che tendono a rimuovere i PFAS lasciando passare la parte polare dell’organico (es. MPPE); tali tecnologie, pur promettenti su scala pilota, non sono ad oggi applicate in modo significativo su larga scala. Si deve infine considerare che, dato che i PFAS sono persistenti, non “escono” dal sistema se non vengono distrutti e si trasferiscono da una matrice all’altra; in particolare i fanghi prodotti (e/o i concentrati) da processi chimicofisici applicati a percolati contenenti PFAS contengono comunque PFAS che “trasportano” alle loro destinazioni finali, tipicamente altre discariche, “contaminandole” con PFAS, che a loro volta saranno in futuro presenti nei percolati di tali discariche. Pertanto, per individuare trattamenti idonei, non si deve tenere conto solamente della rimozione dei PFAS dal percolato, ma anche evitare di “diffondere” la con-

COMPOUND

ACRONYM

MOLECULAR WEIGHT (G/MOLE)

Perfluorobutanesulfonic Acid

PFBS

300

Perfluoroheptanoic Acid

PFHpA

364

Perfluorohexanesulfonic Acid

PFHxS

400

Perfluorooctanoic Acid

PFOA

414

Perfluorononanoic Acid

PFNA

464

Perfluorooctano Sulfonate

PFOS

500

>90% removal

NOTE:

>10% <90% removal

taminazione di PFAS con i sottoprodotti di trattamento. E’ quindi necessario prevedere linee di trattamento dedicate ai soli percolati contaminati da PFAS in modo da poter minimizzare, controllare e gestire al meglio i sottoprodotti (es. miscelare percolati con PFAS 1:10 con altri flussi privi di PFAS in un pretrattamento convenzionale di chiariflocculazione/sedimentazione porta a contaminare con PFAS tutti i fanghi prodotti). Quindi, in aggiunta ai punti sopra esposti in merito alla difficoltà di applicare ai percolati tecnologie di rimozione PFAS idonee per acque potabili, occorre prevedere di dedicare al trattamento dei PFAS un’intera filiera di trattamento (inclusiva di eventuale disidratazione fanghi e raccolta acque da disidratazione) segregandola dalle altre linee di trattamento. Nell’ottica di limitare la diffusione dei PFAS sarebbe inoltre opportuno prevedere, con le dovute tempistiche, la realizzazione di impianti di trattamento (non sempre realizzabili per esiguità di spazi) a piè di discarica che: • trattino i percolati contaminati da PFAS, • scarichino in acque superficiali e/o

AERATION

COAGULATION DISSOLVED AIR FLOATATION

unknown

<10% removal

COAGULATION FLOCCULATION SEDIMENTATION FILTRATION

in fognatura i percolati trattati; mandino i sottoprodotti (concentrati, GAC esausto, fanghi) a rigenerazione termica e/o termodistruzione oppure li reimmettano nella discarica di partenza (ciclo chiuso). In ragione della diffusione della problematica dei percolati contenenti PFAS è anche opportuno, come accade all’estero, fissare dei criteri di soglia per definire delle priorità di trattamento di tali flussi, dando la priorità al trattamento dei percolati maggiormente contaminati.

ESPERIENZE INTERNAZIONALI

Anche all’estero il settore più consolidato è quello del trattamento per la rimozione dei PFAS dalle acque ad uso potabile; esistono numerose esperienze consolidate e riassunte in varie “best practices” relative all’applicabilità e all’efficacia attesa dei vari processi unitari di trattamento per la rimozione dei PFAS. A solo titolo di esempio si citano due tabelle riassuntive contenute nel documento della National Groundwater Association: “Groundwater and PFAS, State of Knowdedge and Practice”. Entrambe le tabelle sono di supporto a quanto già indicato in precedenza.

CONVENTIONAL OXIDATION (MnO4, O3, ClO2, CLM, UV-AOP)

ANION EXCHANGE (SELECT RESINS TESTED)

GRANULAR ACTIVATED CARBON

assumed

assumed

NANO FILTRATION

REVERSE OSMOSIS

Efficacy of Different Remedial Treatments on PFAS (adapted from E. Dickenson et al. 2016)

“assumed”: treatment performance is assumed based on the PFAA size/charge and/or known removal data of shorter or longer chain homologues CLM: Chloramination, Cl2: Hypochlorous/Hypochlorite, ClO2: Chlorine Dioxide, O3: Ozone, MnO4: Permanganate, RO: Reverse Osmosis, SED: UV: UV Photolysis, UV-AOP: UV Photolysis with advanced Oxidation (Hydrogen Peroxide) (Fonte Dickenson E., and C. Higgins. 2016. Treatment Mitigation Strategies for Poly- and Perfluoroalkyl Substances Web Report 4322. Denver, Colorado: Water Research Foundation)

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Summary of Treatment Options for Removal of PFNA, PFOA, and PFOS for Drinking Water (Cheremisinoff 2016) TREATMENT

NOTES

OPTIONS

APPLICATION

REMOVAL RATES PFNA

PFOA

PFOS

>90%

>90%

>90%

>90%

>90%

>90%

Granular Activated Carbon (GAC)Carbon (GAC)

GAC is the most common treatment method for long-chain PFAS removal. Competition for adsorption with other contaminants can reduce effectiveness. Thermal reactivation of gas is effective.

Powdered Activated Carbon (PAC)

High concentrations of PAC are necessary. PAC may be useful in responding to spills but the required high concentrations may make this an infeasible option for water treatment. PAC combined with waste residuals may create a challenge for disposal of waste products.

Membrane Filtration (Reverse Osmosis and Nanofiltration

Multi-contaminant removal. Rejection rate can be high. Waste/by-products must be managed. Mineral addition may be necessary.

Surface Water, Groundwater, PWSs, Households (RO)

>90%

>90%

>90%

Anion Exchange (Special ion exchange material shaped as beads exchange anions and replace hydroxyl groups)

Single-use system do not produce contaminantcontaining brine but require replacement and proper disposal. High capacities may lead to less frequent changeouts compared to GAC. Regenerable system produce brine that must be disposed of responsibly; such system are automated, have small footprints and high regeneration efficiencies. Competition with common ions for binding sites on resins can impact effectiveness. Organics, total dissolved solids, minerals can clog resins and reduce efficiency.

Surface Water, Groundwater

>67%

10-90%

>90%

Advanced Oxidation (UV/ H2O2; UV/S2O8

Low removal rate. Can destroy pollutants to produce less complex compounds. Other organic contaminants will compete for hydroxyl radicals and reduce efficiency.

Surface Water, Groundwater

<10%

<10%

<10-50%

Surface Water, Groundwater, PWSs, Households Surface Water, Groundwater, PWSs, Households

(Fonte: Cherisinoff, N.P. 2016. Overview of Water Treatment Technology Options in: Perfluorinated Chemicals (PFCs) Contaminants of Concern. Veverly, Massachusetts: Schrivener Publishing)

E’ anche considerato come consolidato il fatto che i processi di trattamento acque reflue convenzionali, basate su processi chimico fisici e biologici, non sono idonei alla rimozione dei PFAS; i processi biologici possono, all’opposto, produrre nuovi PFAS dall’ossidazione dei precursori (es. da linee guida in elaborazione per il Vermont, USA “Review of literature indicates we should not anticipate much if any removal of PFOA and PFOS during wastewater treatment. Effluent PFOA and PFOS concentrations are often higher than influent concentrations due to PFAS precursors breaking down (to PFOS and PFOA) during treatment”).

In alcune giurisdizioni del Nord America per il trattamento dei percolati contenenti PFAS, dato che le capacità di rimozione dei trattamenti acque reflue convenzionali vengono considerate pressoché nulle: • si considera l’obiettivo di mantenere, per lo scarico dei depuratori, la concentrazione massima di 20 ppt di PFAS; • si impongono delle restrizioni per i gestori degli impianti di trattamento reflui conto terzi per accettare percolati contenenti PFAS a seconda delle concentrazioni dei PFAS nei percolati.

COLUMN 2

COLUMN 3

COLUMN 4

Landfill Leachate concentration requiring no restrictions

Landfill Leachate concentration which may require restrictions

Landfill Leachate concentration requiring pretreatment

PFOA

0.120 mg/L

0.120 mg/L to 1.2 mg/L

>1.2 mg/L

PFOS

0.001 mg/L

0.001 mg/L to 0.010 mg/L

>0.010 mg/L

PFAS ANALYTE

PFOA & PFOS Guideline Levels for Accepting Landfill Leachate at permitted WWTF

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Il criterio alla base è quello che, sino a certe soglie di concentrazioni di PFAS i percolati possano essere accettati senza restrizioni dagli impianti di trattamento acque reflue, mentre al di sopra di tali soglie siano previste restrizioni sull’accettabilità e/o si rimandi al gestore della discarica per la predisposizione di un pretrattamento in sito. Si riporta come esempio l’estratto da una linea guida in elaborazione nel Vermont (USA), che prevede due soglie: • una soglia di concentrazioni “basse”: se i PFAS sono al di sotto di tale soglia gli impianti di trattamento acque reflue possono accettare i percolati senza restrizioni; • un campo di concentrazioni “intermedie” per le quali l’Autorità può stabilire delle condizioni aggiuntive prima di consentire la ricezione dei percolati; • una soglia di concentrazioni “alte”, al di sopra della quale in ogni caso l’Autorità richiederà pretrattamenti dei percolati presso la discarica e/o altri centri prima di farli accettare ai depuratori. *Golder Associates

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P ROG ETTI

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TE CNO LO G IE

MISURARE LA PRODUZIONE DI COMPOST E LE EMISSIONI ODORIGENE UNA DELLE PRODUZIONI PIÙ ATTIVE E IN ESPANSIONE IN QUESTI ULTIMI 10 ANNI È QUELLA DEL COMPOST E DELLE BIOMASSE, UN’ESPANSIONE CHE HA VISTO UNA CRESCITA DEL 25% DEGLI IMPIANTI PIÙ GRANDI E UNA RIDUZIONE DI QUELLI PIÙ PICCOLI di Valeria Menichini Lunghi*

I

l trattamento dei rifiuti organici e del compost in particolare ha preso un posto di rilievo e di interesse, portando quindi i produttori a lavorare ricercando una sempre maggiore qualità e produttività. È quindi diventato centrale, durante

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tutto il ciclo di lavorazione dei rifiuti, il monitoraggio dei parametri fisici e chimici che accompagnano la materia prima alla produzione di compost di qualità per gestire al meglio ogni fase di lavorazione. Il processo di biofermentazione del

materiale organico nei processi di tipo aerobico è definito da una serie di fasi separate che portano alla formazione del compost, in ogni fase il monitoraggio è di grande importanza per comprendere lo stato del processo. Nella fase detta mesofila per la pre-


senza dei batteri “mesofili” la temperatura di crescita è il parametro fondamentale da monitorare, infatti questi batteri sono responsabili della trasformazione della massa organica più semplice, come carboidrati, lipidi e proteine in acqua, calore e CO 2. Il calore quindi è un elemento importante in quanto è proprio l’innalzamento progressivo della temperatura che provoca l’attività metabolica ottimale dei batteri mesofili che è responsabile a sua volta di un ulteriore aumento della temperatura provocando così la comparsa di popolazioni batteriche più resistenti, i “termofili”, che innescano la fase successiva. La temperatura in questa fase è l’unico parametro di interesse. La fase termofila vede il proliferare di popolazioni di batteri capaci di vivere a temperature elevate (fino a 90°C) che sfruttano le sostanze chimiche come l’idrogeno per la produzione dell’energia necessaria per fissare l’anidride carbonica presente in composti energetici. In questa fase si sviluppano grandi nubi di vapore che evaporando innalzano la temperatura che può oscillare intorno ai 70°C. La mancanza d’acqua porta ad una rapida scomparsa dei batteri e quindi al termine di questa fase, per questo è importante monitorare la temperatura, l’ossigeno e il contenuto idrico della massa. Si arriva così all’ultima fase di lavorazione, la cosiddetta fase di maturazione. La bassa umidità favorisce la crescita di funghi, che si erano propagati al momento dell’innalzamento della temperatura, che provocano una progressiva degradazione delle sostanze più complesse come la cellulosa, la lignina e le emicellulose con l’emissione di specifici enzimi. Anche in questa fase è di interesse monitorare la temperatura, l’ossigeno e il contenuto idrico. Esistono due tipologie di lavorazione del compost: in cumuli rivoltati e in cumuli statici. Il primo caso è adatto a matrici di bassa fermentescibilità, quali scarti verdi e quelli con elevata componente cellulosica. La matrice di partenza è disposta in lunghi cumuli,

IL SISTEMA DI MONITORAGGIO DELL’IMPIANTO AIMAG DI FOSSOLI AIMAG ha investito negli anni molte risorse per lo sviluppo delle attività di raccolta della frazione organica dei rifiuti perché ha ritenuto e ritiene prioritario l’avvio a recupero di quella che è la parte principale dei rifiuti prodotti nelle nostre case e che costituisce un’importante risorsa da restituire all’ambiente. Grazie ai buoni risultati ottenuti con la raccolta differenziata domiciliare, sia per la quantità che per la qualità dei materiali, si favorisce la valorizzazione del rifiuto destinato agli impianti di recupero e la contestuale riduzione degli scarti destinati a smaltimento. LSI LASTEM ha fornito un sistema completo per l’impianto di Fossoli, attivo dal 1996. Nel corso degli anni questo impianto è stato oggetto di numerosi investimenti strutturali, che hanno portato alla realizzazione della sezione a biotunnel (a 3 platee coperte di 2.200 m2), di un capannone di stoccaggio finito del compost, di un piazzale per lo stoccaggio dei materiali lignocellulosici, di una condotta per il trattamento delle acque che collega l’impianto con il depuratore e di un impianto di selezione e stabilizzazione meccanica del rifiuto urbano indifferenziato. Inoltre, sono stati costruiti 3 biofiltri per il trattamento dell’aria ed è stata installata una stazione fissa di vagliatura. L’impianto di Fossoli è dotato anche di una linea di selezione (o TMB) che tratta i rifiuti urbani indifferenziati. Le fasi del compost di alta qualità prodotto in questo impianto sono seguite da dieci sensori di misura della doppia temperatura in compost che trasmettono via radio i dati alla centrale per integrare il sistema di supporto alle decisioni attivo nell’impianto. Sensori per il monitoraggio di temperatura e contenuto idrico sono installati nel biofiltro e un sistema composto da un sensore di temperatura e umidità dell’aria è presente nella condotta di ingresso al biofiltro. Un sensore di pressione differenziale completa il sistema di monitoraggio per il controllo delle perdite di carico nella condotta. Nelle tre discariche di AIMAG di Finale Emilia, Medolla e Mirandola sono in funzione stazioni meteo per la misura delle emissioni e diffusioni degli odori.

generalmente a sezione triangolare o trapezoidale, di altezza variabile; periodicamente è rivoltata in modo che il materiale interessato sia efficacemente aerato. Il rivoltamento consente il miscelamento dei materiali di partenza, ne riduce la pezzatura, ne facilita l’areazione e ne regola la temperatura, garantendo una sufficiente igienizzazione ed una omogenea stabilizzazione. I rivoltamenti sono più frequenti nel primo periodo, nel quale l’attività microbica è più intensa e si deve evitare l’accumulo eccessivo

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di calore; successivamente la stabilizzazione aumenta e i rivoltamenti possono essere meno frequenti. In questo processo è interessante monitorare la temperatura. La seconda tipologia invece prevede il compostaggio in cumuli statici, è quindi più adatto al trattamento di biomasse ad elevata fermentescibilità, in particolare residui agroalimentari (industrie conserviere, ittica, scarti di macellazione, liquami zootecnici), caratterizzati da elevati impatti olfattivi o notevoli concentrazioni di composti

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azotati. Il materiale è posto in cumuli non movimentati, quindi il condizionamento, prima della formazione dei cumuli, è particolarmente importante. L’ossigenazione avviene con tubi diffusori in cui circola l’aria in forma passiva o forzata. I cumuli non superano di norma l’altezza di 1–1,2 m e possono essere ricoperti con uno strato coibentante, solitamente costituito da compost maturo che assorbe anche le emissioni maleodoranti. In questa fase è possibile monitorare con una stazione meteorologica la dispersione degli odori. Nei bioreattori, tecnica più intensiva adatta al trattamento di biomasse ad elevata fermentescibilità, come frazioni umide domestiche, scarti mercatali e della ristorazione collettiva, fanghi civili e agroalimentari, la prima fase fermentativa più intensa, che avviene in bioreattori chiusi o aperti, ne-

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cessita del monitoraggio dei parametri, in primo luogo della temperatura. L’ultima struttura che in un impianto di compostaggio necessita di stringenti monitoraggi dei parametri ambientali è il biofiltro, così come richiesto da una serie di obblighi che vertono sui seguenti aspetti: • il biofiltro deve essere in funzione durante le ore di lavorazione; • il biofiltro deve garantire un tempo di contatto medio > 30 sec, umidità relativa pari a 50-70% del peso, pH compreso tra 5 e 8,5 e temperatura compresa tra 10 e 45°C, inoltre deve essere dotato di sistemi di umidificazione dell’aria in ingresso e di un sistema di bagnatura del letto filtrante; • il biofiltro deve essere dotato di strumentazione automatica per la misura in continuo della

temperatura, dell’umidità e della perdita di carico all’ingresso del biofiltro, tutti i dati devono essere resi disponibili per i controlli. Per l’autorizzazione sono spesso richiesti anche i monitoraggi di qualità dell’aria in uscita del biofiltro e in particolare l’acido solfidrico, ammoniaca e VOC. Tra le problematiche nella gestione di queste attività produttive come anche di altre ad elevato impatto ambientale, industrie chimiche, concerie, allevamenti, industrie alimentari e impianti di compost e depuratori per esempio, si annovera anche quella relativa alle emissioni odorigene, che negli ultimi anni sta assumendo un ruolo pari a quello delle altre tipologie di inquinamento. Il legislatore ha provveduto in questo senso con normative e prescrizioni che evidenziano come il problema della misurazione sia centrale per la valutazione e il rilascio delle autorizzazioni ambientali, ma ha rilevato che manca sia nell’ordinamento nazionale sia in quello comunitario una disciplina che indichi valori di soglia, metodi e parametri per la sua misurazione. Appare quindi chiaro come si siano sviluppate negli anni diverse metodologie di misura, tra cui quella dei modelli di dispersione e diffusione che LSI LASTEM ha scelto per l’implementazione di GIDASADM, il proprio software di valutazione della diffusione degli odori. LSI Lastem, azienda storica nel mercato della strumentazione per il monitoraggio dei parametri fisici, ha sviluppato con Maind Srl, un software per il calcolo della diffusione dell’odore in due versioni, una installabile sul client e l’altra disponibile su web. Il programma utilizza i dati misurati dalla stazione meteorologica automatica installata presso l’impianto stesso in modo che sia rappresentativa delle condizioni meteorologiche, di norma si consiglia di posizionarla sul tetto o almeno parzialmente sul camino di emissione o in un’area libera da ostacoli, di sottoporla periodicamente a interventi di manutenzione da parte di personale tecnico specializzato e di verificare i dati quotidia-


namente per assicurare la massima qualità delle misure. Il modello integrato nel software è di tipo gaussiano stazionario adattato alla diffusione di inquinanti emessi da sorgenti areali fredde o in modalità forzata, le equazioni del calcolo sono derivate da quelle dei modelli Windimula, già inserito nell’elenco dei modelli consigliati da APAT (confluita in ISPRA) per la valutazione e gestione della qualità dell’aria, di Maind e Industrial Source Complex Dispersion Model della americana Environmental Protection Agency. I modelli gaussiani si basano su una soluzione analitica esatta dell’equazione di trasporto e diffusione in atmosfera ricavata sotto particolari ipotesi semplificative. Nel caso delle sorgenti areali in modalità forzata la formulazione è modificata per tener conto delle specificità di questo tipo di sorgenti. Il calcolo è eseguito su base oraria e il risultato presenta

il valore medio calcolato su tutto il periodo selezionato. Nel caso ci siano disponibili le unità odorimetriche di emissione è possibile definire un valore di picco (peak to mean ratio, cioè il valore di picco utile a valutare la differenza esistente tra la percezione dell’odore e il risultato di un calcolo che è tipicamente effettuato su base oraria) utilizzato per moltiplicare i valori orari calcolati dai modelli, come suggerito ad esempio dalle Linee guida per la caratterizzazione e l’autorizzazione delle emissioni gassose in atmosfera della attività ad impatto odorigeno – Allegato 1 (Regione Lombardia); in caso non fosse possibile fornire l’esatta valutazione dell’emissione il modello presenterà i risultati in percentuale rispetto al valore massimo che si verifica in genere nell’impianto stesso. I dati necessari per il calcolo si riferiscono ai parametri fisici quali temperatura, velocità e direzione del vento e

la sua deviazione standard, il modello migliora le proprie prestazioni se è arricchito dei dati di radiazione globale e netta. Si inizializza la sorgente e l’emissione prevedibile, si configura la mappa da usare come sfondo per la visualizzazione e si sceglie il periodo su cui ottenere i risultati oppure si richiede il calcolo real-time. I vantaggi dell’uso di questo software sono molteplici, prima di tutto permette di individuare real time eventuali problematiche di emissioni odorigene di interesse per la cittadinanza limitrofa, permette inoltre di ricostruire le condizioni anche dopo l’evento, garantendo così la massima trasparenza e il controllo da parte delle autorità competenti allertate su segnalazione di residenti. La personalizzazione e la disponibilità dei dati in rete permettono di verificare tutte le fasi del calcolo a partire dai dati raccolti dalla stazione meteorologica. *LSI-LASTEM Srl

LA STAZIONE DI MONITORAGGIO DELL’IMPIANTO LAMINAM DI BORGO VAL DI TARO LAMINAM, innovativa realtà nella produzione di lastre ceramiche di grande superficie e minimo spessore, di cui detiene il brevetto, ha scelto il sistema LSI LASTEM per il monitoraggio ambientale. LAMINAM si avvale di un sistema di produzione altamente automatizzato per produrre una rivoluzionaria lastra ceramica di grande dimensione in svariati spessori che permette, grazie a sofisticate tecnologie, raffinati sistemi di decorazione all’avanguardia e sistemi di taglio a secco che riducono il consumo di acqua e i costi di depurazione. Da sempre attenta ai temi energetici e ambientali LAMINAM ha posto alla base del proprio sistema produttivo il riciclo energetico, l’utilizzo di materie prime naturali, tecnologie sostenibili (basso consumo di energia, zero emissioni inquinanti, minime emissioni di CO2) e prodotti interamente riciclabili sono i pilastri su cui si fonda l’approccio eco-compatibile di LAMINAM. I processi produttivi immettono nell’atmosfera solo vapore acqueo, gli scarti di produzione sono reimpiegati per altre applicazioni senza sfruttare ulteriori risorse, e le caratteristiche di leggerezza e ingombro dei prodotti consentono di limitare l’impatto ambientale del trasporto, rispetto a prodotti analoghi tradizionali. Questa attenzione per le emissioni in atmosfera e per i temi dell’inquinamento ha mosso LAMINAM a dotarsi di un sistema di monitoraggio completo e di un servizio dati via web. In particolare LSI LASTEM ha fornito e installato sul tetto della sede di Borgo Val di Taro (PR) una stazione meteorologica completa di sensore di direzione e velocità del vento, temperatura e umidità dell’aria, radiazione solare e precipitazione. I dati giungono automaticamente ogni 10 min al server di LSI LASTEM, archiviati sul database GIDAS. Resi disponibili real time su una pagina web dedicata alimentano l’applicativo GIDASADM per il calcolo e la visualizzazione della dispersione degli odori. Una soluzione semplice che LSI LASTEM offre a tutte le realtà che vogliono monitorare l’ambiente senza doversi preoccupare di gestire la strumentazione.

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CRITERI AMBIENTALI MINIMI L’EMISSIONE DEL DM 28.3.2018 RAPPRESENTA UN’OCCASIONE PER RICORDARE L’EVOLUZIONE NORMATIVA E LA STRUTTURA TIPICA DEI CAM di Cinzia Silvestri*

I

l Ministero dell’Ambiente ha emesso il Decreto del 28.3.2018 (pubbl. Gazz. Uff. 28.4.2018) sui C.A.M. relativi alla illuminazione pubblica (servizio) con vigenza entro 120 giorni ovvero al 28.8.2018. Il DM/Illuminazione è occasione per ricordare l’evoluzione normativa e la struttura tipica dei CAM che impone la previsione nei bandi di gara di alcune clausole contrattuali basiche e premianti, il cui mancato rispetto viene sanzionato con la previsione di apposite penali.

QUADRO NORMATIVO

E’ interessante la premessa del Decreto ministeriale che ripercorre la storia legislativa/normativa dei CAM. Punto di partenza nel 2006 (legge 27 dicembre 2006, n. 296) con riferimento al Piano d’Azione Nazionale sul Green Public Procurement (PAN GPP [1]) “…al fine di integrare le esigenze di sostenibilità ambientale nelle procedure d’acquisto di beni e servizi delle amministrazioni competenti sulla base di specifici criteri e categorie merceologiche”. Piano (PAN) che ha bisogno di attuazione e trova primo approdo nel decreto interministeriale 11 aprile 2008, che all’art. 2, reca la disciplina dei “Criteri ambientali minimi per le diverse categorie di prodotti e servizi”. La premessa del DM CAM – Illuminazione del 28.3.2018 sopra citato, richiama la revisione del 2013 (decreto 10 aprile 2013 del Ministro dell’ambiente) del PAN GPP nonché il Codice Appalti (decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 - che ha abrogato gli artt. 18,19 della L. 221/2015 nelle more intervenuta). L’art. 34 Codice appalti prevede che le stazioni appaltanti

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contribuiscano al conseguimento degli obiettivi ambientali previsti dal Piano di azione per la sostenibilità ambientale dei consumi nel settore della pubblica amministrazione attraverso l’inserimento nella documentazione progettuale e di gara almeno delle specifiche tecniche e delle clausole contrattuali contenute nei Criteri ambientali minimi. L’importanza è anche segnata dal fatto che le stazioni appaltanti sono obbligate ad attenersi ai CAM (cfr. art. 34 citato come modificato dal D.Lgs. 56/2017) qualsiasi sia l’importo dell’appalto. Non si dimentichi che i CAM trovano espressione, con finalità diverse, nel Codice appalti (D.Lgs. 50/2016 art. 34 ss.) ma anche nel Codice Ambientale (D.Lgs. 152/2006 - artt. 206 bis ss. [2] e allegato L- bis parte IV).

DM – ILLUMINAZIONE/ SERVIZIO

In questo quadro di riferimento intervengono diversi decreti ministeriali che fissano per ciascuna categoria merceologica le indicazioni base da seguire per la stesura dell’appalto ed i requisiti minimi (ad oggi risultano in vigore 17 DM consultabili sul sito del Ministero ambiente). Quest’ultimo DM riguarda invero l’illuminazione pubblica intesa come servizio [3]; l’attenzione cade sulle clausole contrattuali di base e premianti che vengono indicate dal DM – illuminazione quali: “clausole contrattuali (criteri di base): criteri di sostenibilità che l’Offerente si impegna a rispettare durante lo svolgimento del contratto; criteri (clausole) premianti (criteri di aggiudicazione): criteri di valutazione dell’offerta cui debbono es-

sere attribuiti, nei documenti della procedura d’acquisto, specifici punteggi. I criteri premianti definiti in questo documento sono atti a selezionare servizi più sostenibili di quelli che si possono ottenere con il rispetto dei soli criteri di base di cui sopra…”. Ciò che si evidenzia è la parola “sostenibilità” (di cui al PAN GPP) che ricorre in entrambe le clausole (di base e premianti). La stazione appaltante dunque deve prevedere clausole basiche e premianti che hanno finalità diverse. L’inserimento delle clausole richiede anche la verifica del rispetto delle clausole inserite nel bando ed assume particolare rilevanza lo strumento della “penale” che deve essere prevista dalla stazione appaltante. Per comprendere la struttura si precisa quanto segue, riportando alcuni estratti del testo del DM: a. Con riferimento alle clausole basiche, l’attenzione cade sul punto 4.5.4 “Bilancio materico” finalizzato a valutare anche il fine vita delle risorse. Fine vita del “bene” che si collega proprio al D.Lgs. 152/2006 e al concetto stesso di sostenibilità ambientale. Così l’Offerente deve provvedere ad indicare l’uso efficiente delle risorse impiegate per la realizzazione e manutenzione degli impianti impiegati nel servizio oggetto del bando. “…Il bilancio materico deve comprendere i seguenti elementi: una quantificazione delle risorse materiche oggetto dell’impianto in input ed in output (fine vita dei manufatti) andando ad indicare la destinazione dei materiali giunti a fine vita (a titolo di esempio riuso, riciclo, valorizzazione energetica, discarica, ecc.). La quantificazione delle


risorse materiche deve essere suddivisa per singoli componenti dell’impianto (a titolo di esempio; palo, apparecchio di illuminazione, cavi, basamento, pozzetto, ...), e comprensiva di una somma totale di tutti i componenti;…”. Il punto 4.5.4 continua l’elenco di ciò che l’offerente “deve provvedere” ma alla fine del paragrafo il DM impone anche la “verifica” da adottare per il rispetto di tale impegno: “Verifica: l’offerente deve presentare annualmente una relazione gli elementi su indicati. Impegno contrattuale sottoposto a penale per ritardo nell’adempimento”. La stazione appaltante deve fissare dunque adeguata penale per il non soddisfacimento del criterio. b. Infine è utile valutare la “Clausola premiante”, nella sua struttura, di cui al punto 4.6.1. sul “Bilancio materico”. Clausola premiante che serve a incentivare l’operatore attribuendogli un punteggio. Scrive il DM: “…Viene attribuito un punteggio premiante pari ad almeno 5 punti su 100 all’offerente che si impegna a realizzare annualmente un bilancio materico relativo all’uso efficiente delle risorse impiegate per la realizzazione e manutenzione degli impianti e/o impiegati nel servizio oggetto del bando nel rispetto dei requisiti indicati nei successivi punti a), b), c), d), e) e f): a) una quantificazione delle risorse materiche oggetto dell’impianto in input ed in output (fine vita dei manufatti) andando ad indicare la destinazione dei materiali giunti a fine vita (a titolo di esempio riuso, riciclo, valorizzazione energetica, discarica, ecc.). La quantificazione delle risorse materiche deve essere suddivisa per singoli componenti dell’impianto (a titolo di esempio; palo, apparecchio di illuminazione, cavi, basamento, pozzetto), e comprensiva di una somma totale di tutti i componenti; b) una quantificazione della durata media prevista per ciascun componente dell’impianto indicando, per ciascuno di questi, quelli che sono oggetto di manutenzione rispetto alla durata complessiva dell’impianto stesso”. Chiude il DM prevedendo la “verifica: il rispetto del criterio è dimostrato mediante presentazione, ogni anno, della relazione richiesta. La relazione dovrà inoltre comprendere una parte descrittiva dell’impianto e delle modalità di gestione delle risorse in fase di installazione e manutenzione oltre ad una tabella che ne presenti la quantificazione dell’uso delle risorse in input e in output...”. Anche in questo caso la stazione appaltante deve fissare adeguata penale per il non soddisfacimento del criterio. *Studio Legale Ambiente

NOTE

[1] Acquisti Verdi [2] L. 221/2015 che all’art. 23 ha inserito gli articoli 206 bis ss. (da bis a sexies) e l’allegato L-bis al D.Lgs. 152/2006 (Codice Ambiente). [3] Segue il DM relativo alla illuminazione pubblica, con riferimento alla (fornitura e progettazione) ha trovato disciplina nel DM 27.9.2017 (Acquisizione di sorgenti luminose per illuminazione pubblica, l’acquisizione di apparecchi per illuminazione pubblica, l’affidamento del servizio di progettazione di impianti per illuminazione pubblica).


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LA CESSAZIONE DELLA QUALIFICA DI RIFIUTO RICOSTRUZIONE DELLA DISCIPLINA IN MATERIA DI END-OF-WASTE ALLA LUCE DELLA SENTENZA CONS. STATO N. 1229/2018 di Rosa Bertuzzi*

L

a recente sentenza n. 1229 del 28 febbraio 2018 emessa dalla quarta sezione del Consiglio di Stato ha provocato una tempesta perfetta in materia di End-of-Waste (di seguito, “EoW”), affermando che, in assenza di regolamenti europei e decreti ministeriali, i criteri dell’EoW non possono essere stabiliti per ciascun singolo caso dalle Regioni, nel rispetto dei principi posti dall’art. 184-ter, c. 1 del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (“cod. amb.”), in sede di rilascio delle autorizzazioni ordinarie degli impianti di recupero dei rifiuti o di Autorizzazione Integrata Ambientale (“AIA”).

IL QUADRO NORMATIVO IN MATERIA DI EOW

Occorre anzitutto chiarire che per Endof-Waste, ovvero per “Cessazione della qualifica di rifiuto”, si intende un processo di recupero a cui vengono sottoposti i

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rifiuti, a seguito del quale questi acquisiscono la natura di prodotti. L’attuale disciplina in materia di EoW è contenuta all’interno dell’art. 184-ter cod. amb., introdotto nell’ordinamento giuridico italiano dal D.Lgs. 3 dicembre 2010, n. 205, che ha recepito la direttiva 2008/98/CE sui rifiuti e abrogato l’art. 181-bis cod. amb. (“Materie, sostanze e prodotti secondari”). Il primo comma dell’art. 184-ter cod. amb. indica le condizioni generali che devono essere rispettate nella fissazione dei criteri specifici in materia di EoW, criteri che devono includere, se necessario, valori limite per le sostanze inquinanti e tenere conto di tutti i possibili effetti negativi sull’ambiente della sostanza o dell’oggetto. E’ previsto che “un rifiuto cessa di essere tale, quando è stato sottoposto a un’operazione di recupero, incluso il rici-

claggio e la preparazione per il riutilizzo, e soddisfi i criteri specifici, da adottare nel rispetto delle seguenti condizioni: a) la sostanza o l’oggetto è comunemente utilizzato per scopi specifici; b) esiste un mercato o una domanda per tale sostanza od oggetto; c) la sostanza o l’oggetto soddisfa i requisiti tecnici per gli scopi specifici e rispetta la normativa e gli standard esistenti applicabili ai prodotti; d) l’utilizzo della sostanza o dell’oggetto non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o sulla salute umana”. Il comma 2 dell’articolo in esame, dopo aver precisato che l’operazione di recupero può consistere anche semplicemente nel controllare i rifiuti per verificare se soddisfano i criteri elaborati conformemente alle predette condizioni, prevede che tali criteri devono essere adottati in conformità a quanto stabilito dalla disciplina comunitaria ovvero, in


mancanza di criteri comunitari, caso per caso per specifiche tipologie di rifiuto, attraverso uno o più decreti del Ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare (“MATTM”). Al riguardo, si precisa che ad oggi, a livello europeo, sono stati adottati solo tre regolamenti in materia di EoW, dedicati ai rottami metallici (regolamento n. 333/2011/UE) [1], di vetro (regolamento n. 1179/2012/UE) [2] e di rame (regolamento n. 715/2013/UE) [3]. Il MATTM ha poi emanato il D.M. 14 febbraio 2013, n. 22, “Regolamento recante disciplina della cessazione della qualifica di rifiuto di determinate tipologie di combustibili solidi secondari (CSS)”, fornendo in seguito alcuni chiarimenti interpretativi con circolare del 27 marzo 2018 sulla “Cessazione della qualifica di rifiuto del CAR FLUFF (CER 191004) per successivo utilizzo come CSS - combustibile nei cementifici - chiarimenti interpretativi sul decreto ministeriale 14 febbraio 2013, n. 22”. Il comma 3 dell’art. 184-ter cod. amb. chiarisce che, nelle more dell’adozione dei decreti ministeriali, continuano ad applicarsi le disposizioni di cui ai decreti MATTM del 5 febbraio 1998 [4], 12 giugno 2002, n. 161 [5] e 17 novembre 2005, n. 269 [6], i quali dettano specifiche previsioni per le attività di recupero di rifiuti non pericolosi, pericolosi e pericolosi provenienti dalle navi, esercitate in regime semplificato. Tale comma fa altresì rinvio all’art. 9-bis, lett. a) e b) del D.L. 6 novembre 2008, n. 172 (convertito, con modificazioni, dalla L. 30 dicembre 2008, n. 210), il quale, “allo scopo di fronteggiare il fenomeno dell’illecito abbandono di rifiuti e... superare, nell’immediato, le difficoltà riscontrate dagli operatori del settore del recupero dei rifiuti nell’applicazione del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, come modificato dal decreto legislativo 16 gennaio 2008, n. 4”, prevedeva che fino alla data di entrata in vigore del decreto di cui all’articolo 181-bis, c. 2 cod. amb., le caratteristiche dei materiali ottenuti dal recupero dei rifiuti si considerano altresì conformi alle autorizzazioni rilasciate ai sensi degli articoli 208, 209 e 210 cod. amb. e del D.Lgs. 18 febbraio 2005, n. 59. Tramite il rinvio alla lett. a) dell’art. 9-bis

del D.L. 6 novembre 2008, n. 172 pare (o almeno pareva prima della sentenza del Consiglio di Stato) che l’art. 184-ter abbia ammesso la possibilità che, in attesa dell’adozione dei decreti ministeriali, i criteri in materia di EoW possano essere fissati in sede di rilascio delle singole autorizzazioni al recupero dei rifiuti o di AIA [7], così ragionevolmente evitando che l’assenza di disposizioni ministeriali o comunitarie provochi uno stallo nelle attività di recupero dei rifiuti.

LA CIRCOLARE MATTM 1 LUGLIO 2016, N. 10045

Con la circolare n. 10045 del 1 luglio 2016 “Disciplina della cessazione delle qualifica di rifiuto (“End of Waste”) - applicazione dell’art. 184-ter del d.lgs 152/2006” il MATTM ha chiarito esplicitamente che, sulla base dell’art. 9-bis, lett. a) e b) del D.L. 6 novembre 2008, n. 172 su richiamato e dell’art. 214, c. 7 cod. amb., le Regioni (o gli Enti da questa individuati) possono in via residuale, in sede di rilascio delle singole autorizzazioni, definire criteri EoW rispetto a rifiuti che non sono stati oggetto di apposita disciplina nei regolamenti comunitari o decreti mini-

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steriali, previo riscontro della sussistenza delle condizioni indicate al comma 1 dell’art. 184-ter cod. amb. Il Ministero precisa al riguardo che sono state individuate tre modalità di definizione dei criteri di EoW, gerarchicamente ordinate. I criteri fissati dai regolamenti europei prevalgono sui criteri definiti con i decreti ministeriali, laddove abbiano ad oggetto le stesse tipologie di rifiuti. A loro volta, i criteri definiti con i decreti ministeriali prevalgono, salvo uno specifico regime transitorio stabilito dal rispettivo decreto ministeriale, sui criteri che le Regioni (o gli Enti da questi delegati) definiscono in fase di autorizzazione ordinaria di impianti di recupero dei rifiuti, sempre che i rispettivi decreti ministeriali abbiano ad oggetto le medesime tipologie di rifiuti.

LA SENTENZA N. 1229/2018 DEL CONSIGLIO DI STATO

La sentenza trae origine dal ricorso presentato da una società che era stata autorizzata ad esercitare un’attività sperimentale per il trattamento e il recupero di rifiuti urbani ed assimilabili, costituiti da pannolini, pannoloni ed assorbenti igie-

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nici. In sede di autorizzazione, le frazioni recuperate dal processo di sanificazione di tali rifiuti (frazioni composte da cellulosa in fiocchi e da plastica in foglia) erano state classificate come rifiuti. La società ha quindi presentato alla Regione Veneto una domanda di modifica dell’autorizzazione al fine di ottenere la classificazione di siffatte frazioni come materie prime secondarie. Di fronte al diniego opposto dalla Giunta Regionale, motivato dal fatto che l’art. 184-ter cod. amb. non contemplerebbe la discrezionalità delle autorità competenti al rilascio dell’autorizzazione riguardo la definizione di criteri specifici per la cessazione della qualifica di rifiuto, la società ha proposto ricorso dinnanzi al Tribunale Amministrativo Regionale. Con sentenza semplificata n. 1422/2016, la terza sezione del T.A.R. Veneto ha affermato che “la mancanza di regolamenti comunitari o di decreti ministeriali relativi alle procedure di recupero di determinati rifiuti, lungi dal precludere sic et simpliciter il potere dell’Autorità competente di valutare comunque, caso per caso, l’eventuale rilascio (nel rispetto delle quattro condizioni previste dall’art. 184-ter, comma 1, D.Lgs n.152/2006) delle relative autorizzazioni, comporta al contrario il potere ed il dovere appunto di procedere ad una analisi, ad una valutazione e ad una decisione casistica, rilasciando la autorizzazione integrata ambientale qualora la sostanza che si ottiene dal trattamento e dal recupero del rifiuto soddisfi le quattro condizioni previste dall’art. 184-ter, comma 1, d.lgs n.152/2006, in conformità all’art. 6, par. 1, della Direttiva 2008/98/CE”. La sentenza del Consiglio di Stato, emessa a seguito del ricorso in appello presentato dalla Regione, ha però annullato la pronuncia del Tribunale veneto, statuendo che, in mancanza di criteri fissati da regolamenti europei o da decreti ministeriali, le Regioni non possono consentire il recupero di rifiuti in sede di rilascio delle singole autorizzazioni. Il ragionamento dei giudici di Palazzo Spada si basa essenzialmente sul richiamo alla direttiva 2008/98/CE, il cui art. 6 prevede che, nelle sole ipotesi in cui difettino indicazioni a livello comunitario, è possibile una valutazione “caso per caso” dello Stato membro, con notifica

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della decisione assunta alla Commissione [8]. I giudici ritengono dunque che “destinatario del potere di determinare la cessazione della qualifica di rifiuto è, per la Direttiva, lo “Stato”, che assume anche obbligo di interlocuzione con la Commissione... posto che la predetta valutazione non può che intervenire, ragionevolmente, se non con riferimento all’intero territorio di uno Stato membro”. Nell’ordinamento italiano, si legge nella sentenza, il legislatore statale ha attribuito tale potere al Ministero dell’Ambiente, chiamato a definire una lettura “caso per caso” in sede di emanazione dei relativi decreti ministeriali, “non già riferita al singolo materiale da esaminare ed (eventualmente) declassificare con specifico provvedimento amministrativo, bensì inteso come “tipologia” di materiale da esaminare e fare oggetto di più generale previsione regolamentare”. Secondo la Corte, del resto, laddove si consentisse ad ogni singola Regione di definire cosa è da intendersi o meno come rifiuto ne risulterebbe vulnerata la ripartizione costituzionale delle competenze fra Stato e Regioni, in quanto l’art. 117, c. 2, lett. s) della Costituzione attribuisce la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema alla potestà legislativa esclusiva dello Stato. Quanto al richiamo, operato dall’art. 184ter cod. amb., alla lett. a) dell’art. 9-bis del D.L. 6 novembre 2008, n. 172, il Consiglio di Stato afferma che tale disposizione prende in considerazione i materiali (di cui al comma 2 del vecchio art. 181-bis cod. amb.) per dichiararli “conformi” alle autorizzazioni già rilasciate (in linea con il dichiarato carattere emergenziale e transitorio della disposizione medesima), ma non attribuisce un potere di declassificazione ex novo in sede di rilascio di nuove autorizzazioni. Tale potere di declassificazione, del resto, non “potrebbe essere ritenuto conforme al quadro normativo di livello comunitario e costituzionale”. Né il quadro così definito, in cui la competenza a fissare i criteri in materia di EoW spetta solo allo “Stato”, può, secondo la Corte, essere scalfito da eventuali da “diverse considerazioni desumibili da circolari emanate dal Ministero dell’Ambiente, cui compete, più propriamente, l’esercizio del potere regolamentare in materia”. Il riferimento è, con tutta evi-

denza, alla summenzionata circolare MATTM 1 luglio 2016, n. 10045.

I DUBBI LASCIATI DALLA SENTENZA DEL CONSIGLIO DI STATO... E ORA?

Il presente contributo non vuole soffermarsi sull’analisi puntuale delle critiche che possono essere mosse nei confronti della pronuncia del Consiglio di Stato [9]. Ci si limita a rilevare come l’interpretazione dell’art. 9, lett. a) del D.L. 6 novembre 2008, n. 172 offerta dalla Corte paia contrastare con il reale contenuto di tale disposizione, la cui intenzione è chiaramente quella di ammettere la possibilità di definire i criteri dell’EoW in sede di singola autorizzazione. Inoltre, pure in riferimento alla ricostruzione del quadro normativo comunitario è possibile avanzare alcune riserve, alla luce dei chiarimenti contenuti nelle Linee guida sull’interpretazione delle previsioni della direttiva 2008/98/CE, emesse dalla Commissione Europea nel giugno 2012. Le Linee guida hanno difatti precisato, in riferimento all’art. 6 della direttiva 2008/98/CE, che, in assenza di criteri sull’EoW definiti a livello comunitario, gli Stati membri possono decidere quando un rifiuto cessa di essere tale. Viene precisato che nelle loro decisioni, le quali possono prendere in considerazione classi di materiali o ciascun singolo caso, gli Stati (ovvero qualsiasi livello all’interno della struttura amministrativa statale) sono vincolati dalle direttive applicabili e devono tener conto della giurisprudenza della Corte di Giustizia. Gli Stati devono poi provvedere a notificare alla Commissione Europea i criteri definiti, ad eccezione delle decisioni adottate caso per caso [10]. Orbene, formulate queste brevi considerazioni, appare necessario interrogarsi su quali conseguenze possano derivare dalla sentenza del Consiglio di Stato. Tralasciando le possibili ripercussioni sul piano penale di tale pronuncia (le quali, in verità, appaiono, almeno lo si spera, alquanto irrealistiche) [11], si osserva che il principio affermato dal Consiglio di Stato, secondo il quale le Regioni non potrebbero più definire i criteri dell’EoW, ha già creato una grande incertezza a livello operativo. I problemi maggiori si pongono nell’ipo-


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tesi in cui un operatore voglia sottoporre a recupero rifiuti non regolati da regolamenti comunitari o decreti ministeriali, i quali, secondo quanto affermato dal Consiglio di Stato, non potrebbero essere oggetto di EoW. Si considerino, poi, le ulteriori incertezze che sorgono nei casi di riesame o rinnovo delle autorizzazioni all’EoW già rilasciate, qualora in relazione ai rifiuti indicati nell’autorizzazione non siano nel frattempo stati adottati né regolamenti comunitari né decreti da parte del MATTM. Orbene, se nell’ordinamento italiano non sussiste il principio dello stare decisis, l’autorevolezza della pronuncia del Consiglio di Stato è innegabile e rischia di comportare un blocco delle operazioni di recupero dei rifiuti. Al riguardo, le Regioni, nella conferenza svoltasi il 19 aprile 2018, hanno chiesto al Governo di integrare l’art. 184-ter cod. amb., precisando espressamente

che, fino a quando l’Unione Europea o il MATTM non avranno definito criteri specifici in materia di EoW per una determinata categoria di rifiuto, siffatti criteri potranno essere stabiliti dalle Regioni e dalle Province autonome per ciascun caso in sede di rilascio delle singole autorizzazioni. I tempi di un’eventuale modifica normativa in tal senso non sono conoscibili. Peraltro, alla luce della chiara ricostruzione del quadro normativo europeo formulata dai giudici amministrativi, ci si deve domandare se la riformulazione dell’art. 184-ter cod. amb. nel senso prospettato dalle Regioni sarebbe compatibile con l’art. 6 della direttiva 2008/98/CE o rischierebbe, di fatto, di essere disapplicata per contrasto con la normativa comunitaria. Nell’attesa di una “soluzione tampone” del Ministero dell’Ambiente, che si auspica prenda atto della pronuncia del Consiglio di Stato e chiarisca al

più presto come comportarsi in materia di EoW, la “soluzione a tutti i mali” potrebbe consistere in una modifica diretta alla fonte, ovvero in una riformulazione della normativa comunitaria in materia di EoW. A tal proposito, si dà atto che la Proposta di revisione della direttiva 2008/98/UE avanzata dal Parlamento Europeo il 18 aprile scorso prevede la modifica dell’art. 6 nel senso di precisare espressamente che, in assenza di criteri stabiliti a livello europeo o nazionale, gli Stati membri possono adottare una soluzione caso per caso in materia di EoW, la quale non necessita di essere notificata alla Commissione Europea [12]. Allo stato non si può dire se, e in quali tempi, tale modifica verrà approvata. Quel che è certo è che tale riforma a livello comunitario farebbe venir definitivamente meno le attuali difficoltà incontrate dall’EoW. *Studio AmbienteRosa - Consulenze legali ambientali

BIBLIOGRAFIA

[1] Regolamento n. 333/2011/UE, recante “i criteri che determinano quando alcuni tipi di rottami metallici cessano di essere considerati rifiuti ai sensi della direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio”. [2] Regolamento n. 1179/2012/UE, recante “i criteri che determinano quando i rottami di vetro cessano di essere considerati rifiuti ai sensi della direttiva 2008/98/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio”. [3] Regolamento n. 715/2013/UE, recante “i criteri che determinano quando i rottami di rame cessano di essere considerati rifiuti ai sensi della direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio”. [4] “Individuazione dei rifiuti non pericolosi sottoposti alle procedure semplificate di recupero ai sensi degli articoli 31 e 33 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22”. [5] “Regolamento attuativo degli articoli 31 e 33 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, relativo all’individuazione dei rifiuti pericolosi che è possibile ammettere alle procedure semplificate”. [6] “Regolamento attuativo degli articoli 31 e 33 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, relativo all’individuazione dei rifiuti pericolosi provenienti dalle navi, che è possibile ammettere alle procedure semplificate”. [7] Al riguardo, alcuni commentatori hanno rilevato come “benché l’art. 9-bis sia inserito nel testo di una disciplina di natura territorialmente emergenziale, risult[i] chiaro dal suo dettato («territorio nazionale») che l’intenzione del legislatore non è di certo quella di escludere la possibilità di definire in sede di autorizzazione di specifici impianti i criteri per la cessazione della qualifica di rifiuto”, S. MAGLIA, S. SUARDI, Il recupero di rifiuti dopo la sentenza 1229/18 del Consiglio di Stato: fine dell’EoW o della corretta gestione dei rifiuti?, in tuttoambiente. it, 2 maggio 2018. [8] Ai sensi dell’art. 6, c. 4 della direttiva 2008/98/CE “se non sono stati stabiliti criteri a livello comunitario in conformità della procedura di cui ai paragrafi 1 e 2, gli Stati membri possono decidere, caso per caso, se un determinato rifiuto abbia cessato di essere tale tenendo conto della giurisprudenza applicabile. Essi notificano tali decisioni alla Commissione in conformità della direttiva 98/34/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 22 giugno 1998 che prevede una procedura d’informazione nel settore delle norme e delle regolamentazioni tecniche e delle regole relative ai servizi della società dell’informazione, ove quest’ultima lo imponga”. [9] Al riguardo, si rinvia ai seguenti contributi: S. MAGLIA, S. SUARDI, Il recupero di rifiuti dopo la sentenza 1229/18 del Consiglio di Stato: fine dell’EoW o della corretta gestione dei rifiuti?, cit.; P. FICCO, End of Waste: una sentenza sbagliata che non ha rango di “diritto consolidato”, in Rete Ambiente, 20 marzo 2018; A. MURATORI, Una doccia fredda dal Consiglio di Stato sulla competenza delle Regioni a sancire l’EoW mediante provvedimenti autorizzativi, in Ambiente&Sviluppo, n. 4/2018. [10] Le Linee guida precisano che “in cases where EoW criteria have not been set at EU level (Article 6(4) WFD), Member States may decide at national level whether certain waste has ceased to be waste. This can relate to classes of materials recovered from waste or to single-case decisions. In their decisions, Member States (this means any level within the Member State entrusted with the task of developing such criteria under the national administrative structure) are bound by, the applicable directives and must take account of CJEU case law”. “Member States have to observe the notification requirements in accordance with Directive 98/34/EC. Any draft technical regulations by Member States on EoW criteria have to be notified so that they can be compliance-checked by the Commission against Article 6(1) WFD and as regards their impacts on the functioning of the Internal Market. This includes de facto technical regulations, such as administrative provisions or voluntary agreements... Single-case decisions do not have to be notified, even though they may be based on general administrative provisions for which notification is mandatory”. [11] Sul punto, si rimanda a C. PARODI, M. GEBBIA, End of Waste: c’è il rischio di responsabilità penale?, in ambientesicurezzaweb.it [12] Nella proposta di modifica dell’art. 6 della direttiva 2008/98/CE, si prevede espressamente che “where criteria have not been set at Union level under paragraph 2, Member States may establish detailed criteria on the application of the conditions laid down in paragraph 1 to certain types of waste. Those detailed criteria shall take into account any possible adverse environmental and human health impacts of the substance or object and shall satisfy the requirements laid down in points (a) to (e) of paragraph 2”.

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DF 3000 MPT: UNA SOLUZIONE COMPLETA PER L’ABBATTIMENTO POLVERI La linea DF Ecology - Dust Fighter di Generac Mobile Products è composta dalla più ampia gamma al mondo di cannoni nebulizzatori per l’abbattimento della polvere e degli odori in diversi campi applicativi: cave, demolizioni, riciclaggio inerti, discariche e molto altro. L’esperienza pluriennale della società ha fatto sì che, partendo da un unico modello lanciato sul mercato nel 2010, si arrivasse agli attuali 12 modelli che si differenziano tra loro non solo per la diversa gittata del flusso di acqua nebulizzata, ma anche per l’utilizzo specifico in una particolare applicazione. Il modello più recente della linea si chiama DF 3000 MPT (Mobile Power Tank) ed è uno dei due modelli “all-in-one” disponibili. È infatti equipaggiato con un serbatoio d’acqua da 1000 litri e con un gruppo elettrogeno dedicato al funzionamento del cannone nebulizzatore. Questo modello è disponibile su base, in modo che possa essere eventualmente installato ad esempio sul pianale di un veicolo, oppure su carrello stradale omologato. Grazie a queste caratteristiche, il DF 3000 MPT è utilizzabile in qualsiasi contesto, anche in aree in cui non siano disponibili elementi essenziali per il funzionamento del nebulizzatore, quali acqua ed elettricità. L’autonomia di questo modello è di ben 160 minuti e il getto d’acqua nebulizzata può arrivare ad una distanza di circa 20 metri. Il serbatoio in plastica rappresenta un vantaggio sia per il peso della macchina (solo 490 kg a secco), sia per la maggior resistenza ad eventuali urti. Leggerezza e compattezza sono peculiarità che fanno del DF 3000 MPT un valido strumento al servizio della clientela più esigente nel settore costruzione e demolizione.

IFAT 2018: ECOSTAR MOSTRA L’“X FACTOR” CON HEXTRA E HEXACT In occasione di IFAT, il principale salone internazionale di tecnologie per l’ambiente, Ecostar ha presentato al pubblico le principali novità per il 2018. Tra di esse, la nuova macchina vagliatrice mobile Hextra, basata sull’“X Factor” di Ecostar, la tecnologia Dynamic Disc Screening (DDS), il sistema brevettato che consente di vagliare qualsiasi tipo di materiale con grande precisione, riducendo al minimo gli attorcigliamenti grazie alla tecnologia “Anti Wrapping”, e con un livello di produttività fino a 200 t/h. Hextra porterà con sé innovazioni importanti come la tramoggia traslante ”Smart Hopper” (Patent Pending) che permette di dosare il materiale di carico, escludere la terza frazione nella versione a 3 frazioni e di creare una formazione a loop con qualsiasi trituratore. “Siamo orgogliosi di questo prodotto perché rappresenta la sintesi dei nostri valori, esperienza, innovazione e qualità” afferma Filippo Cappozzo, Sales Director dell’azienda “a partire dal lancio e dall’inizio della produzione avvenuto a fine 2017 la nostra nuova Hextra sta riscuotendo un successo mondiale tra tutti i nostri distributori e clienti internazionali”. Ecostar è sinonimo della più avanzata e raffinata tecnologia nel settore della separazione meccanica dei rifiuti e dei materiali di scarto. Grazie alla tecnologia brevettata Dynamic Disc Screening, oggi molte tipologie di rifiuto possono essere impiegate con efficienza per fornire combustibili e fonti d’energia pulite, come biomassa e CSS, oppure sostanze utili all’agricoltura e alla silvicoltura, come il compost.

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BROKK PRESENTA QUATTRO NUOVI ROBOT DA DEMOLIZIONE DI ULTIMA GENERAZIONE Brokk ha fatto il più grande lancio di prodotti nella storia dell’azienda ad Intermat Parigi. Quattro nuovi modelli di macchine sono stati presentati ed introdotti in una sola volta, insieme con la nuova serie propria di martelli idraulici Brokk e tre nuove pinze frantumatrici per calcestruzzo dalla consociata Darda. I quattro nuovi modelli di macchine portano lo straordinario rapporto peso/potenza, prerogativa di Brokk, ad un nuovo livello grazie alla tecnologia unica SmartPowerTM. I quattro nuovi modelli Brokk sono: il forte e leggero Brokk 170, il potente e flessibile Brokk 200, il performante Brokk 300 e il Brokk 520d macchina Green diesel con attenzione all’ambiente. Il nuovo BROKK 170 sostituisce il BROKK 160 nella gamma. Partendo dal meglio del Brokk 160, aggiungendo il Brokk SmartConceptTM, la potenza di SmartPowerTM, l’affidabilità di SmartDesignTM e l’ergonomia e la produttività di SmartRemoteTM, il Brokk 170 è la macchina da demolizione finale per l’industria edile. Con un motore elettrico da 24 kW SmartPowerTM, questa macchina leggera ottiene il 15% in più potenza di demolizione rispetto al suo predecessore. È equipaggiato con il nuovo martello idraulico Brokk BHB 205 e con la nuova pinza Darda CC440 con ben 45 t di forza frantumatrice. Tuttavia, mantiene le stesse dimensioni compatte del Brokk 160 e l’ampia gamma di utensili, pienamente compatibili tra i due modelli. Il nuovo BROKK 200 definisce una nuova classe di peso per i robot da demolizione, colmando il divario tra il BROKK 170 e il BROKK 300. E lo fa comprimendo la potenza di un Brokk da 3100 kg, il B280 in una macchina da 2100 kg, grazie alla tecnologia Brokk SmartPowerTM. Questa macchina da 27,5 kW può utilizzare utensili più pesanti, 350 kg una categoria di peso al di sopra del relativo peso della macchina con la potenza idraulica giusta per abbinarli. Rispetto al suo fratello minore Brokk 170, il Brokk 200 viene fornito con il nuovo martello idraulico Brokk BHB 305 che ha il 40% in più di forza e la nuova potente pinza frantumatrice Darda CC480. In tutto, il Brokk 200 rappresenta il nuovo standard nella demolizione radiocomandata compatta – ideale per progetti e applicazioni pesanti ma con difficoltà di accesso. Il nuovo BROKK 300 è un esempio impressionante di quanto velocemente i robot da demolizione BROKK si evolvono per soddisfare le sempre crescenti esigenze del settore. In sostituzione del recente modello Brokk 280, il nuovo Brokk 300 viene fornito con il più potente martello idraulico Brokk BHB 455 con il 40% in più potenza. Equipaggiato con la nuova tecnologia Brokk SmartPowerTM, la potenza di uscita è aumentata a 37 kW per fornire il flusso idraulico e la pressione idonea per alimentare i più pesanti e più potenti utensili abbinati. Leggermente più lungo del Brokk 280 e con un peso di 500 kg di più, il Brokk 300 mantiene ancora la stessa larghezza e l’altezza consentendo l’accesso agli stessi siti di lavoro confinati. Un nuovo sistema braccio aumenta rispettivamente la portata verticale e orizzontale ad un impressionante 6,5 e 6,1 metri. Infine, il BROKK 520D stabilisce un nuovo standard per i robot da demolizione a motore diesel con un più grande martello idraulico che concede il 40% in più potenza rispetto al BROKK 400D che viene di fatto sostituito. Questa macchina eco-friendly da cinque tonnellate viene fornita con due scelte di motorizzazioni diesel: lo stage 4/Tier 4 Final Kohler, unità che si allinea con la nuova normativa di emissione UE e North American standard, e Kubota disponibile per il resto del mondo. Il nuovo Brokk 520D è leggermente più pesante e più lungo del vecchio Brokk 400D, che vanta un più grande martello idraulico il BHB 705 da 700 kg. e un braccio più lungo di 250 mm. Il suo sistema di braccio più robusto e l’aumento significativo delle prestazioni idrauliche, può gestire la stessa vasta gamma di utensili più pesanti e più potenti già disponibili per il Brokk 500 presentato l’anno scorso. Per finire, il Brokk 520D aggiunge anche i miglioramenti intelligenti di Brokk SmartDesignTM che semplificherà la manutenzione quotidiana e aumenterà il tempo di funzionamento della macchina.

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SERIE M5 DI KELLER: PER MISURAZIONI STATICHE ED ESTREMAMENTE DINAMICHE DELLA PRESSIONE FINO A 50 KHZ

Con la Serie M5, KELLER AG definisce i criteri per la tecnica di misurazione della pressione. La combinazione di un nuovo sensore per le misurazioni statiche ed estremamente dinamiche (fino a 50 kHz), campo di temperatura di funzionamento (fino a 180°C), accuratezza di misurazione (± 0,1 %FS), dimensioni (collegamento M5) e condizionamento dei segnali remoto e preciso (0…10 V) è del tutto innovativa. L’elemento chiave per la misurazione delle variazioni estremamente dinamiche della pressione è il contatto, il più possibile diretto, del sensore con il fluido. A tal fine, i progettisti di KELLER hanno trovato una soluzione micromeccanica, senza membrana selettiva di separazione o tubo capillare e senza prodotti sigillanti o adesivi. Nella Serie M5, il sensore in silicio è saldato sul retro di un supporto che consente lo studio del comportamento dei fluidi, che viene montato a incasso nella linea di pressione. Tale raffinatezza di progettazione consente di effettuare misurazioni dinamiche di ampiezza di banda pari a 0,50 kHz e presenta molti vantaggi aggiuntivi come: l’eccellente riduzione della manodopera necessaria per il montaggio e dei rumori strutturali, l’ampia compatibilità con il fluido nonché la longevità grazie agli strati di ossido protettivo. La Serie M5 risulta essere molto efficace anche perché garantisce una sovrappressione fino a 5 volte il campo di misurazione e la linea di pressione, con una filettatura di soli ø 5 per misurazioni in luoghi poco accessibili. I sensori di pressione della Serie M5 sono ideati per temperature di funzionamento comprese tra -40°C e +180°C, con un margine di errore totale minimo (errori di temperatura compresi) di ± 1%. Senza il dispositivo remoto di trasformazione dei segnali, i sensori sono forniti con il margine tipico del segnale in uscita di 80 mV (@ 1 mA di corrente) e corredati di certificato di taratura individuale. Per le misurazioni di pressione assoluta, sono disponibili i campi di misurazione a 3 bar, 10 bar e 30 bar. La separazione del sensore di pressione e del dispositivo di trasformazione dei segnali consente di effettuare misurazioni in prossimità anche di impianti compatti, a carico termico elevato. Per non restringere l’ampio campo di variazioni dinamiche del sensore di pressione piezoresistente da 50 kHz, i progettisti di KELLER hanno messo da parte la digitalizzazione del segnale di misurazione per il condizionamento. Il percorso del segnale puramente analogico è invece calibrato in tempo reale utilizzando la soluzione elettronica di compensazione interamente gestita da un microprocessore. In tal modo, il segnale in uscita potenziato a 0…10 V conserva tutta la dinamica del segnale del sensore. Il controllo della catena di misura composta dal sensore di pressione e dal dispositivo di trasformazione dei segnali ha luogo in fabbrica, dopo aver verificato i parametri di taratura individuali. Anche il campo di temperatura di funzionamento dell’elettronica remota soddisfa i requisiti straordinari, ovvero l’intervallo compreso tra -40…+ 125 °C, da individuarsi, per esempio, sui banchi di collaudo dei motori.

TREVI BENNE E KOMATSU (GIS) PER L’ESERCITO ITALIANO Venerdì 12 Gennaio 2018, sono stati forniti al 6° Reggimento Genio Pionieri dell’Esercito Italiano 2 Frantumatori Girevoli Multi Kit modello MK 15 di TREVI BENNE installati su escavatori cingolati KOMATSU PC 210NLC-8. La consegna delle attrezzature da demolizione è avvenuta ad Amatrice, teatro di uno dei più devastanti eventi sismici avvenuti in Italia. Gli escavatori KOMATSU, forniti dal concessionario GIS, sono stati collaudati ed equipaggiati come da specifiche richieste (verniciatura ufficiale approvata dal Ministero della Difesa con procedura di finitura in policromia militare, attrezzature tutte in nero opaco, allestimento per impiego in operazioni notturne). Entrambi i Multi Kit forniti all’Esercito prevedono un Kit Frantumatore indicato per ridurre elementi in cemento separando il tondino di armatura dal calcestruzzo e un kit Cesoia per il taglio di materiali di natura ferrosa come profilati, lamiere, tubazioni. TREVI BENNE ha tenuto direttamente sul campo un corso pratico al personale dell’Esercito sulla conoscenza, l’uso e il corretto funzionamento del Frantumatore Girevole Multi Kit MK 15 e sulle procedure di aggancio/sgancio dei due Kit intercambiabili. L’Esercito Italiano utilizzerà queste macchine per impieghi di tipo civile: saranno messe a disposizione per interventi della protezione civile, per fronteggiare calamità naturali e saranno utilizzate dai reparti del Genio nelle operazioni di varia natura, in Patria come nelle missioni all’estero.

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APPUNTAMENTI SPS IPC DRIVES

PARMA, DAL 22 AL 24 MAGGIO

SPS IPC Drives Italia, sorella della tedesca SPS IPC Drives, è la fiera annuale, organizzata da Messe Frankfurt Italia, che riunisce fornitori e produttori del mondo dell’automazione industriale. Con un record di espositori, oltre 800, l’ottava edizione sta già registrando una crescita complessiva del 10% dimostrando come anche i big player del digitale abbiano scelto SPS Italia come vetrina per presentare la propria offerta per la digitalizzazione e l’industria connessa, ampliandosi così verso i mondi della robotica collaborativa: IIoT e m2m, Big Data e Analytic, Realtà Aumentata, Intelligenza Artificiale e Cyber Security.

www.spsitalia.it

AGROENERGIA

MILANO, 5 GIUGNO

Il seminario organizzato da Agroenergia fa parte di una serie di eventi itineranti che nel corso dell’anno affronteranno differenti tematiche legate all’innovativo settore delle energie rinnovabili prodotte in agricoltura. L’evento di Milano sarà dedicato alla filiera del Biometano, tematica di sicuro interesse vista la recente approvazione del Decreto Biometano, durante il quale sarà possibile ragionare su alcuni punti fissi e farsi un’idea della fattibilità di progetti di conversione o di nuova realizzazione per il biometano.

www.agroenergia.eu

VIENNA, DAL 7 AL 9 GIUGNO

EDA CONVENTION

Dopo il DDR Forum & Expo tenutosi lo scorso giugno a Bruxelles, EDA, European Demolition Association, organizza l’annuale Convention 2018 che questa volta verterà sui temi della demolizione e decontaminazione. Durante la convention sarà possibile incontrare clienti, buyer, costruttori e associazioni europee legate alla demolizione, con la finalità di far crescere e conoscere il settore e le imprese che ne fanno parte. A conferma della sempre maggior connessione riscontrata tra le attività di demolizione, bonifica e riciclaggio da quest’anno la convention ha cambiato nome in “Demolition and Decontamination”.

www.europeandemolition.org

MCTER BIO-GAS

SAN DONATO MILANESE, 28 GIUGNO

mcTER Bio-Gas – Biometano – Mostra Convegno Soluzioni e tecnologie per impianti a Bio-Gas / Biometano è un evento verticale giunto alla settima edizione che unisce una parte espositiva a una componente formativa. I visitatori dispongono di: un’area espositiva con i leader di settore, numerosi convegni, workshop, corsi, coffee-break e buffet offerti dagli sponsor, atti dei convegni scaricabili in pdf, attestati di presenza e crediti formativi. mcTER Bio-Gas – Biometano si svolge in concomitanza con mcTER Cogenerazione, mcTER Forest.

www.mcter.com

REMTECH

FERRARA, DAL 19 AL 21 SETTEMBRE

RemTech è l’evento italiano più specializzato sulle bonifiche dei siti contaminati, la protezione e la riqualificazione del territorio. Si rivolge a una community qualificata e diversificata e si presenta quest’anno in una veste rinnovata ed ampliata, composta da nove segmenti tematici, scuole, academy, hub internazionali e poli di innovazione: REMTECH e REMTECH EUROPE bonifiche dei siti inquinati, COAST tutela della costa, porti e sedimenti, ESONDA dissesto idrogeologico e frane, GEOSISMICA mitigazione del rischio sismico, INERTIA sostenibilità delle opere e riutilizzo dei materiali, RIGENERACITY rigenerazione urbana e social housing, CLIMETECH cambiamenti climatici e strumenti di misura, CHEMTECH, riconversione e chimica circolare, FOCUS NUCLEARE rischi e decommissioning.

www.remtechexpo.com

FORUM MECCATRONICA

TORINO, 26 SETTEMBRE

Forum Meccatronica è una mostra-convegno ideata dal Gruppo Meccatronica di ANIE Automazione e realizzata in collaborazione con Messe Frankfurt Italia. Il quinto appuntamento dal titolo “L’esperienza manifatturiera italiana nel passaggio al 4.0: tecnologie e competenze” si svolgerà presso il CNH Industrial Village di Torino. I più importanti fornitori di soluzioni meccatroniche che operano sul mercato italiano presenteranno, anche attraverso casi applicativi, degli approfondimenti su differenti aspetti tecnologici quali motion control, robotica, software industriale, impiantistica, con una particolare attenzione alla progettazione meccatronica e a tutte quelle tecnologie e competenze che il passaggio al 4.0 richiede.

www.forumeccatronica.it

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Anno 11 - Numero 43 – Giugno 2018 ISSN 2421-2938

Direttore responsabile: Massimo Viarenghi Direttore commerciale: Maria Beatrice Celino Coordinamento editoriale: Maeva Brunero Bronzin Collaboratori: Rosa Bertuzzi, Nicla Cea, Maria Beatrice Celino, Jean Pierre Davit, Claudia Ferrari, Giorgio Ghiringhelli, Alessandro Gualtieri, Emilio Guidetti, Cristina Leonelli, Valeria Menichini Lunghi, Cinzia Silvestri, Laura Veneri, Carlo Zaffaroni.

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Comitato Scientifico: Maria Rosaria Boni (Sapienza Università di Roma) Daniele Cazzuffi (CESI spa) Laura D’Aprile (MATTM, Roma) Luciano De Propris (Consulente ambientale) Ennio Forte (Università degli studi di Napoli) Luciano Morselli (Università di Bologna) Andrea Quaranta (Giurista ambientale – Cuneo) Gian Luigi Soldi (Città Metropolitana di Torino) Federico Vagliasindi (Università di Catania) Mariachiara Zanetti (Politecnico di Torino)

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