Alberobello: storia enogastronomia civiltà

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Storia, memoria, ricordo e passione (Mafalda Baccaro)

Il territorio, i vigneti e i vitigni autoctoni, il vino nella storia e nella cultura locale, le sigle dei vini, una guida all’abbinamento dei vini locali con le ricette tradizionali di Puglia.


Alberobello Alberobello (alt. m. 420, ab. 11.000 circa) sorge tra due colli. Sulla sommità occidentale, che corrisponde alla parte più antica, si ergono i trulli, costruzioni uniche al mondo, a forma di cono, la cui origine si perde nella storia. Il paesaggio circostante, ricco di uliveti, vigneti e ciliegi, si presenta con doline del tipo carsico o con terrazzi, la cui genesi è legata a fenomeni tettonici. La forma dell’intera zona è stata determinata dall’azione di erosione operata dalle acque meteoriche, sia in superficie sia in profondità, sulle rocce calcaree. Da queste rocce stratificate è tratto il materiale da costruzione utilizzato per la copertura dei tetti conoci dei trulli: le tipiche “chiancarelle”.

i Turchi per la difesa d’Italia, diede l’investitura del feudo comprendente la Selva ad Andrea Matteo Acquaviva, Conte di Conversano. I Conti portarono nella Selva molta gente e impegnarono i contadini per dissodare e coltivare la terra. Ad essi concessero dei vantaggi nel pagamento delle gabelle, ma non concessero diritti, tra cui alcuna forma di proprietà. I contadini ebbero facoltà di costruire delle abitazioni, ma con l’espresso divieto di impegarvi la calce: così era più facile per i Conti espellere i

La storia Il nome di Alberobello risale probabilmente all’XI secolo. Un documento attestante una donazione da parte di Roberto Decerano al Vescovo di Monopoli riporta l’indicazione di un territorio boscoso denominato “Sylva atu nemur arboris belli” (Selva o bosco dell’albero della guerra), appellativo derivato dalla memoria di un fatto d’arme o agguato di briganti. Questa denominazione si ritrova anche in una pergamena del 1272 che lo storico Domenico Morea rinvenne nell’Abbazia di S. Benedetto in Conversano e in un’altra di Roberto D’Angiò, re di Napoli dal 1309 al 1343, che donava questa “Selva” al nascente Comune di Martina Franca. Nel 1481, il re di Napoli Ferdinando d’Aragona, volendo mostrare benevolenza nei confronti della Casa degli Acquaviva di Conversano, che aveva subito molti danni durante la guerra contro

coloni “scomodi” demolendone la casa. Questa motivazione, tuttavia, sembra essere più una leggenda che vera storia. La “Prammatica De Baronibus”, voluta dagli Aragonesi e adottata anche durante la dominazione spagnola, vietava ai conti e ai baroni di costruire “acciò villa e non terra, né castello”. Le improvvisate abitazioni, denominate “casedde”, in caso di ispezione, potevano essere prontamente abbattute, disseminando le pietre disordinatamente. Nel 1609, fu eretta la prima cappella, che costituì l’inizio dell’attuale Santuario dei S.S. Cosma e Damiano. Il principale fondatore di Alberobello fu il cosiddetto “Guercio di Puglia”, il Conte Gian Girolamo II di Acquaviva, che favorì l’incremento delle casedde e che 2


volle erigere nel 1635 una grande villetta, con forno, molino, beccheria e locanda per i viandanti. Egli era devotissimo ai Santi Medici Cosma e Damiano, tanto che chiamò Cosmo il suo figlio primogenito. Nel 1797, Alberobello fu liberata dalla sottomissione ai Conti di Acquaviva da Ferdinando IV, re di Napoli. Fu allora che si italianizzò l’antica “Sylva aut nemus arboris belli” in Alberobello.

poli, Fasano, Locorotondo, Noci, Putignano. I terreni di Alberobello erano coltivati soprattutto a seminativo e legumi, fino alla I guerra mondiale, terminata la quale, molti terreni demaniali furono affidati a giovani tornati a casa e rimasti senza lavoro. Negli anni tra la I e la II guerra mondiale, furono impiantati i primi vigneti, dopo aver dissodato i terreni boschivi e pietrosi. Oggi, Alberobello è un centro agricolo di notevole importanza nella Valle d’Itria. Alberobello produce olio di qualità eccellente, squisiti prodotti caseari e vini prodotti con uve di alta qualità, provenienti da vitigni autoctoni, quali il Negramaro, il Primitivo di Manduria, il Primitivo di Gioia. Molti vini alberobellesi hanno vinto premi prestigiosi, giungendo a rappresentare la Puglia nel panorama dell’enologia italiana.

I trulli Alberobello è un paese conosciuto in tutto il mondo per i tipici trulli. In ogni periodo dell’anno, moltissimi turisti provenienti da varie parti del mondo (ma soprattutto giapponesi, americani, inglesi, tedeschi) salgono le vie del Rione Monti o passeggiano tra quelle dell’Aia Piccola, ammirando queste straordinarie costruzioni. La parola trullo deriva dal grecobizantino “trullos”, che vuol dire cupola. All’esterno assomigliano a costruzioni preistoriche, in cui le volta conica sorgeva direttamente dal suolo. Nei trulli, invece, vi sono muri perimetrali di forma quadrata o circolare. La loro grandezza media è di circa 5 metri quadrati. Le chianche sono le pietre utilizzate per costruire i trulli. Esse sono di origine calcarea, ricche di carbonato di calcio. Sui trulli, pinnacoli e simboli tratteggiati con latte di calce, sono il segno tangibile dell’opera del mastro trullaro. I simboli sono, per la maggior parte, di derivazione cristiana, altri sono pagani o astrologici.

I vitigni Il Negroamaro è coltivato in Puglia già dal VI sec. a.C. Il nome già ci dà informazioni sulla caratteristica del vino che ne risulta, che ha un colore rosso rubino, e un retrogusto amarognolo. Il Primitivo arrivò in Puglia e precisaLe Vie dell’Olio e del Vino mente a Gioia del Colle nel XVII sec., Alberobello si trova sul percorso delle portato dai monaci benedettini. Il vitiVie dell’Olio e del Vino, insieme a Mono- gno matura precocemente e dà un vino

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dal colore rosso tendente al violaceo, dal gusto vellutato, pieno, molto gradevole. Vitigni importanti sono il Verdeca, il Bianco di Alessano e il Fiano, che vengo- Altri vitigni di pregio sono quelli della no utilizzati per la produzione del Loco- Malvasia bianca e Malvasia nera. rotondo D.O.C.

Primitivo

Malvasia nera

Verdeca

Malvasia bianca

Bianco di Alessano

Fiano 4


Le sigle dei vini Le sigle dei vini servono a garantirne e tutelarne la qualità. Conoscerle significa sapere cosa si porta quotidianamente sulle nostre tavole. Noi vi spieghiamo quelle più diffuse.

è attribuito a vini già riconosciuti come D.O.C. da almeno cinque anni, considerati di particolare pregio, con caratteristiche qualitative esclusive per effetto di fattori naturali, storici, umani, di tradizioni, di rinomanza a livello nazionale e internazionale.

1. D.O.C. D.O.C. significa Denominazione Origine Controllata: si tratta di un marchio italiano, che certifica la zona di produzione e raccolta delle uve utilizzate per la produzione del vino su cui si trova l’etichetta. Poiché si riferisce alla zona di origine del vino, la sigla viene impiegata per identificare un prodotto di qualità, proveniente da un ambiente rinomato e lavorato secondo una serie di regole specifiche stabilite dal Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali. I vini D.O.C., prima di essere immessi sul mercato, devono superare un’analisi chimico-fisica e un esame organolettico per verificare che vi siano i requisiti previsti dal disciplinare. Tra i vini D.O.C. della nostra terra vi sono: il Locorotondo, il Primitivo di Manduria, il Salice Salentino.

3. I.G.T. La terza classificazione dei vini riconosciuta dal Governo Italiano è la I.G.T., l’Indicazione Geografica Tipica, che si applica ai vini da tavola prodotti in aree piuttosto ampie. Per ottenere questo marchio sono richiesti minori requisito rispetto ai vini D.O.C. A volte le uve per produrre questi vini provengono da un’area regionale, purché da un vitigno specifico.

2. D.O.C.G. Il marchio D.O.C.G., Denominazione Origine Controllata e Garantita, è di origine italiana e indica l’origine geografica di un vino. Sull’etichetta, il nome geografico della zona viticola o del nome storico del prodotto in combinazione con la zona di produzione devono essere indicati obbligatoriamente. Questo marchio 5


Le ricette tradizionali di Alberobello 

PRIMI E SECONDI PIATTI

Purè di fave con cicorielle selvatiche Si mettono a bagno le fave secche per almeno dodici ore, quindi si lessano e si passano al setaccio. Si condiscono con  olio di oliva. A parte, lessare le cicorielle e servirle con il purè. Il sale va messo nell’acqua di cottura.

Orecchiette (Ricchitedd) Le orecchiette sono lavorate sulla madia. Si impasta la semola di grano duro con l’acqua, si assottiglia la pasta fino a ridurla alle dimensioni di un grissino, poi si stacca, di volta in volta, un pezzettino con il coltello. Questo pezzettino di pasta va strofinato ocn maestria sulla madia e girato intorno ad un pollice, fino ad assumere la caratteristica forma convessa, dalla superficie rugosa. Le orecchiette si possono servire in svariati modi. Ad Alberobello si condiscono con:  Ragù di coniglio (dopo aver rosolato in olio di oliva dei pezzi di coniglio, si aggiungono vino bianco, cipolla triturata, sugo di pomodoro, sale e si fa cuocere il tutto lentamente);

Ragù di braciole (sottili fette di carne farcite con formaggio grattugiato, pepe, sale, prezzemolo e aglio. Il procedimento di cottura è come quello descritto sopra). Cime di Rape (si fanno lessare nella stessa acqua salata le orecchiette e le cime di rape. Le cime vanno aggiunte quando mancano circa due minuti alla cottura della pasta. In una padella, si fa soffriggere in olio di oliva extravergine, uno spicchio di aglio con qualche acciuga deliscata: questo condimento va versato sulle orecchiette e rape).

Ricotta Forte (un prodotto caseario locale, ci vogliono 50 gr. Circa di ricotta forte per porzione).

VINI CONSIGLIATI Al purè di fave è bene abbinare un bianco Locorotondo D.O.C., mentre si consiglia un Negroamaro sulle orecchiette al ragù di coniglio e un Primitivo in abbinamento alle orecchiette con il ragù di braciole. Anche per le orecchiette con le cime di rape o con la ricotta forte, è consigliabile abbinare un vino bianco. 6


Le ricette tradizionali di Alberobello I DOLCI DI NATALE Cartellate Ingredienti per la pasta: Farina g. 1.000 Zucchero g. 100 Olio g. 100 Uova n. 2 tuorli Vino bianco secco q.b. Latte q.b. Pettole

Ingredienti per il condimento finale:

Ingredienti per la pasta:

Vincotto q.b. Zucchero q.b. Cannella q.b.

Farina g. 1000 Patate lessate g. 500 Lievito di birra g. 50 Sale fino g. 25 Acqua tiepida q.b. Olio d’oliva extravergine q.b. Zucchero semolato e a velo q.b. (oppure Miele)

Esecuzione della pasta Disporre la farina sulla spianatoia aggiungere olio caldo, pochissimo latte con lo zucchero sciolto (quanto ne basta per sciogliere lo zucchero), i tuorli battuti. Impastare. Se è necessario altro liquido aggiungere vino bianco riscaldato. Ottenere un pasta abbastanza consistente, quindi stenderla e tagliarla con la rotella dentata a strisce di circa 4 cm. di larghezza. Procedere ad arrotolare la smartellata pizzicando la strisciolina di pasta. Lasciar riposare 12 – 24 ore, quindi friggerle.

Impastare patate passate lessate e frantumate, sale, del vino bianco, lievito e acqua tiepida (quella in cui sono state cotte le patate). Lavorare fino ad ottenere un impasto morbido e lasciar riposare per un’ora circa. Formare delle palline d’impasto con il cucchiaio e friggerle in abbondante olio bollente. Quando le pettole diventano dorate, si prelevano dalla padella e si fanno asciugare su della carta assorbente, prima di essere spolverati di zucchero a velo o di essere passaCondimento finale: te nel miele riscaldato. Da mangiare calMettere a bollire in una padella una de! quantità sufficiente di vincotto (in alternativa può essere usato il miele). PassarVINI CONSIGLIATI vi dentro le cartellate (basta una girata di qua e di là) quindi posarle su un piatto Masseria Scorace, Fiano di Puglia, IGT, passandovi sopra un po’ di zucchero e Cantina del Locorotondo. cannella. 7


Le ricette tradizionali di Alberobello I DOLCI DI NATALE

Vi consigliamo anche:

Le sfogliatelle

i panzerottini ripieni di pasta reale e il torrone di Natale, fatto con le mandorle e il miele.

Ingredienti per l’impasto Farina 00 g. 1.000 Olio g. 200 Vino bianco q.b. Un pizzico di sale e un pizzico di zucchero Ingredienti per il ripieno Mandorle al naturale con buccia da tritare a pezzetti non piccolissimi g. 500 Cacao un manciata Uva passa una manciata Cioccolata fondente e pezzettini q.b. Chiodi di garofano in polvere e cannella q.b. Marmellata di qualsiasi gusto q.b.

Le pettole

Esecuzione: Ottenuto l’impasto utilizzando l’olio riscaldato e il vino riscaldato q.b., stendere la pasta e suddividerla in tanti quadra- Veduta notturna di Alberobello ti di circa 15 - 20 cm. di lato. Ungere di olio il lato superiore e poggiarvi sopra un po’ di tutti gli ingredienti sopra elencati. Aggiungere un cucchiaino di olio e chiudere come un cartoccio. Spennellare con olio e mettere sopra un poco di zucchero. Infornare a forno caldo a 180 gradi per circa 15 – 20 minuti (controllare la cottura e sfornare quando diventano dorate). 8


Il Museo del Vino e della Civiltà Contadina e la Cantina Albea La Cantina Albea è un grande edificio costruito agli inizi del Novecento, su commissione di Luigi Lippolis, imprenditore alberobellese molto colto e lungimirante. Egli volle che la cantina non fosse soltanto una costruzione destinata ad attività produttive, ma che essa avesse uno stile tale da integrarsi con il territorio e da passare alla storia come esempio di archeologia industriale. L’aspetto esterno è semplice e sobrio, mentre all’interno altissime volte a stella, di ispirazione mediorientale, si raccordano con dei pilastri massicci in pietra. Le fogature sono realizzate con terra rossa. L’acciaio delle attrezzature che servono per produrre il vino non stona con il territorio, perché la Cantina Albea è stata fatta con pietra locale (la stessa dei trulli), le pareti sono bianche e il pavimento è realizzato con chianche dal colore nocciola tenue. Dentro la cantina, vi sono delle profonde e fresche cisterne naturali, che servivano per la fermentazione dei mosti. Le cisterne scavate assomigliano a quelle che si trovano nei trulli, che servivano un tempo all’approvvigionamento dell’acqua. Alberobello, Patrimonio Universale dell’Umanità (UNESCO), produce vini eccellenti, con uve di vitigni di alta qualità.

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Il Museo del Vino e della Civiltà Contadina Il turista che viene ad Alberobello a visitare la zona monumentale dei trulli resta abbagliato dal bianco delle antiche casedde di pietra e dalla perfezione geometrica con cui sono costruiti i coni in pietra calcarea. Tra le viuzze del paese, resta anche catturato dagli odori dei caminetti accesi, dei forni che producono pane casereccio e taralli, delle ricette pugliesi cucinate nei trulli abitati. Per terminare il percorso delle immagini, delle sensazioni e dei profumi di Alberobello, il turista può visitare il Museo dell’Olio e chiudere il percorso con la visita al Museo del Vino e della Civiltà Contadina, allestito nei locali della Cantina Albea, fortemente voluto dal suo proprietario, il Cav. Dante Renzini, il “Mastro Dante” della TV. L’idea di raccogliere in un unico luogo tutti i vecchi attrezzi agricoli e gli arredi delle case di un tempo era venuta però a Giampiero De Santis, assessore prima del Comune di Alberobello, poi anche provinciale, prematuramente scomparso a causa di un incidente stradale. Il Museo del Vino porta il suo nome.

che si usavano già prima della nascita di Cristo e utilizzato fino a qualche decennio fa. Si possono vedere vanghe, zappe, forche, gioghi, torchi e botti, oltre ad una ricca documentazione fotografica. Il visitatore può immaginare il faticolo lavoro dei contadini di Alberobello, sente provenire dalle vecchie botti il profumo del mosto e del vino e conosce varie tecniche di vinificazione, da quelle più antiche a quelle dei nostri tempi. Il Museo è aperto a tutti. Gli anziani rinfrescano vecchie memorie, ricordano le fasi della loro vita e la fatica che hanno dovuto sopportare durante il lavoro della potatura delle viti e della vendemmia. I giovani mostrano sempre maggiore interesse verso questo museo, tanto che è frequentemente visitato dalle scuole, di ogni grado. Il museo suscita la curiosità dei più piccoli e diventa libro vivo per gli studenti delle scuole ad indirizzo agrario, enologico, alberghiero, commerciale.

Il Museo è un tributo alla cultura agricola ed enologica di Alberobello. Chi lo visita fa un tuffo nel passato, confronta le macchine ipertecnologiche moderne con i vecchi agricoli e può seguire le tracce dell’evoluzione della storia dell’agricoltura e della produzione del vino in Puglia e nella Valle d’Itria, in particolare. Vi sono strumenti agricoli come quelli 10


Il Vino e la Civiltà Contadina La vigne de la wi’teve jè pambanute, vejeète ce la zappe e ce la pute. La vigna della vedova è ricca di pampini, beato chi la zappa e chi la pota. Quann jè timbe de la pute, né ziène, né nepute; quann arrive u betegnà, zezìje de qua, zezìje de là. Quando la vigna si zappa e si pota, né zii, né nipoti; quando arriva la vendemmia, zio di qua e zio di là. Vigne sopra vigne sèmbe chiande e mmà vennigne. Vigna sopra vigna, sempre pianti e mai vendemmi. A chi nan g pièce u mijr, u Signor nge fèsc manghè l’acqu’. A chi non piace il vino, il Signore faccia mancare l’acqua.

Ci pute u mese de marze, o è cciucce o è pazze. Chi pota nel mese di marzo, o è asino o è pazzo.

La vigne jè tigne. La vigna è tigna.

De Sand Larienze, va a ’a vigne e ficchete mmienze. Da San Lorenzo, vai alla vigna e mettiti in mezzo.

Famme povere ca te fazze ricc’ (deice a vign). Fammi povera e ti farò ricco (dice la vigna). Nun fa chiange u ceppone, ca chiangenne chiangenne se ne more. Non far piangere la vita, perché, piangendo piangendo, muore. Ce wè jenghje li vutte, zappa affunne e pote curte. Se vuoi riempire le botti, sappa profondo e pota corto.

De Sand Mechèle, l’uva jè comme o mmèle. Di San Michele, l’uva è come il miele. U mijre tramutat’ stè quaranta dei malète. Il vino travasato sta quaranta giorni malato. Ce febbraj l’avaj tutte, fasciaie scelé u mijre jind i vutte. Se febbraio avesse tutti i giorni (come gli altri mesi), farebbe gelare il vino nelle botti.

Acque e zappodde fàscene i cepodde. Acqua e zappature fanno i tralci.

Quann u candenijre stè nnanze a porte, u mijre jè aciite. Quando il cantiniere sta davanti alla porta, il vino è aceto.

Zappa la vigna u mese d’aguste, ci uè jènchje u tine de muste. Zappa la vigna il mese di agosto, se vuoi riempire il tino di mosto.

U galandòme nate bève u mijre sòpe all’anzalàte. Il galantuomo (nato) beve il vino sopra l’insalata. 11


Venite ad Alberobello!

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Venite ad Alberobello!

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Venite ad Alberobello!

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Venite ad Alberobello!

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