Il canto gregoriano bello e sublime

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Il canto gregoriano: il bello e sublime che attrae i giovani Mafalda Baccaro, Bari 20/02/2016, Abbazia Santa Scolastica, Bari. Relazione al termine del concerto del coro “In Aeternum Alleluia”, diretto da Mafalda Baccaro, con la partecipazione di Padre Gregorio Santolla o.s.b., dell’Abbazia Madonna della Scala di Noci (Bari).

COS’È IL BELLO? Se chiedessimo a questi ragazzi che hanno appena cantato com’è per loro il canto gregoriano, probabilmente vi risponderebbero: è bello. E risponderebbero bene. Ma io mi chiedo (e vi chiedo): che cos’è il bello? Perché non esiste forse una giusta definizione di bello, una che valga per tutti. Che cosa è bello per ciascuno di noi? Per qualcuno una giornata di sole, per altri una pioggia che irrighi le campagne; per qualcuno un monumento del Canova, per un altro una scultura minimalista; per qualcuno una sinfonia di Beethoven, per un altro un pezzo dodecafonico o un brano di jazz. Per qualcuno il bello è questione di gusti, qualcosa che non abbia quindi una definizione precisa. Bello potrebbe essere due cose nello stesso tempo: bello e buono. Già nella Genesi, dopo aver creato le stelle, le acque, gli animali, le piante, l’uomo, Dio osservò che tutto ciò era cosa buona e giusta. Allora potremmo dire che è bello ciò che ci fa bene. Lo dico anche al contrario: è bello ciò che non ci fa male.” Molti popoli primitivi praticavano la musica corale, ritenendola bella e utile, perché grazie ai suoni si riusciva a comunicare, si riteneva si potessero evocare gli spiriti dei defunti, allontanare il male. Un’antichissima iscrizione egiziana, risalente all’epoca del Medio Regno (dal 2190 al 1570 a.C.) dice: “Davanti a te ci sia musica e canto, gettati alle spalle crucci e pene e volgi l’animo alla gioia finché si leverà il giorno in cui dovremo viaggiare verso quella terra che ama il silenzio”. Nell’antica Grecia, la musica fu già considerata forma d’arte, capace di agire sugli stati emotivi. I grandi filosofi greci gettarono le basi per la musica come medicina omeopatica, come terapia. Per essi, la musica diventa un trinomio: è ciò che è bello, buono e vero. La musica è una divina armonia, una trinità di bello-buono-vero che conduce all’estasi. E il canto ha il potere di 1


“incantare”: mentre Orfeo canta accompagnandosi con la cetra, gli alberi si sradicano e lo seguono, i fiumi smettono di scorrere, gli uccelli si fermano nel cielo, gli animali feroci diventano mansueti. Tutto è in ascolto del canto, tutto è “incanto”. In una delle opere di estetica più belle dell’antichità, Del bello e sublime di autore anonimo detto Pseudo Longino (per distinguerlo da Cassio Longino, a cui la stessa opera fu un tempo attribuita), è scritto per l’appunto che è bello ciò che è sublime. Pensate, in latino il termine sublime ha due etimologie diverse, addirittura opposte: “sub limen”, cioè altissimo, che sta sotto l’architrave della porta; oppure “sub limo”, cioè “sotto il fango”, ovvero qualcosa di sommerso, profondo, che sta sotto un’apparente bruttezza. Per Pseudo Longino la musica è alta e profonda, dunque. Trovo incredibilmente affascinante questa verticalità della musica: essa lega l’uomo creato dal fango alle infinite altezze. È su un'unica asse che si trovano l’uomo e Dio, che è grandezza e profondità. Quindi il bello non è qualcosa che si sforza di esserlo, qualcosa che si sforza di convincere, non deve per forza avere ragion d’essere o una funzione. Il bello è tutto ciò che ha valenza morale. Il bello e sublime, può stupire, meravigliare, persino turbare, nel vero senso della parola. Contemplare il bello può muovere e commuovere, può far nascere pensieri, interrogativi. Per San Benedetto, il monaco è colui che è alla ricerca di Dio, deve avere un’anima in movimento, che si pone domande, che non si appaga di nessuna risposta. Come madre e come insegnante (insegno Musica nella scuola secondaria di primo grado da trent’anni), anch’io mi sono posta delle domande. Mi sono infatti chiesta: cosa posso trasmettere di bello ai miei figli e ai miei alunni? Chiaramente, da un punto di vista musicale, la risposta non è facile, perché in questa nostra epoca la fruizione e la composizione della musica sono legate a idee consumistiche. E purtroppo queste idee hanno contagiato, per così dire, anche la musica liturgica. Nelle nostre celebrazioni parrocchiali, specialmente nelle “messe dei fanciulli”, spesso si ascoltano canti che sono melodicamente affini alla musica pop, con il rischio di sembrare delle brutte copie delle canzonette commerciali, tanto da allontanare i giovani, invece di avvicinarli. Da organista, ritengo che l’organo sia lo strumento più adatto per sostenere la preghiera e la meditazione, forse anche per la sua natura: non c’è legame fisico tra l’organista e l’elemento vibrante dello strumento (cioè le canne), e forse ciò lo rende “alto”, per tornare al significato di sublime prima detto. Altri strumenti potranno sostituirlo durante la liturgia, purchè suonati con competenza, con grazia, aggiungerei: facendo sì che chi suona non si sostituisca col centro dell’azione liturgica, che è il mistero della Morte e della Resurrezione di Cristo. Inoltre, non è scritto da nessuna parte che l’assemblea debba cantare tutto, per forza. Tra le parti cantate di una messa, ci sono parti per il celebrante, parti per il coro e parti per l’assemblea. Ci sono momenti in cui è giusto cantare, altri in cui sarebbe più opportuno ascoltare. La messa può essere un’ottima occasione per ascoltare un bel brano organistico, per esempio un post-communio.

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Stiamo vivendo giorni in cui i valori morali sono messi continuamente in discussione. Le principali agenzie educative, la famiglia, la scuola, la parrocchia, sono chiamate a trasmettere valori solidi, inalterabili nel tempo. Il canto gregoriano è un valore culturale, artistico che bisogna conservare e custodire. Ma è anche molto di più. La Costituzione conciliare sulla Sacra Liturgia “Sacrosantum Concilium”, promulgata nel 1963, all’art. 116 dice: “La Chiesa riconosce il canto gregoriano come canto proprio della liturgia romana; perciò nelle azioni liturgiche, a parità di condizioni, gli si riservi il posto principale. Gli altri generi di musica sacra, e specialmente la polifonia, non si escludono affatto dalla celebrazione dei divini uffici, purché rispondano allo spirito dell’azione liturgica”. Quindi la stessa Sacrosantum Concilium definisce il gregoriano come canto liturgico. Eppure non lo sentiamo più nella nostre parrocchie. Sembra che il canto gregoriano sia un’esclusiva delle abbazie, dei monasteri benedettini o francescani, delle messe solenni del Papa. In un convegno del 2012, il gregorianista Fulvio Rampi ha scosso i suoi ascoltatori parafrasando lo stesso articolo in questo modo: “La Chiesa, pur apprezzando da sempre le qualità artistiche ed espressive del canto gregoriano, non lo riconosce come canto proprio della Liturgia romana: perciò, nelle azioni liturgiche, pur senza escluderlo, non gli si riservi il posto principale”. Molti sacerdoti ritengono che far cantare il gregoriano ai fanciulli sia una scommessa troppo ardua. Secondo me non hanno fiducia nei giovani, li ritengono forse poco capaci di apprezzare le cose belle, tutti omologati dalle mode, dalla musica rock e pop, ai quali è bene proporre solo canti liturgici che ne richiamino gli stili, i ritmi, persino le movenze. Non è raro che questi canti siano accompagnati da gesti quali alzare e ondeggiare le braccia, battere o muovere le mani. In una chiesa del centro Italia ho visto dei ragazzi entrare in chiesa facendo il trenino e forse anche voi avrete partecipato ad una celebrazione matrimoniale in cui, al posto dell’organo, avete sentito un pianoforte digitale suonato in stile “pianobar” mentre lo stesso tastierista intonava dei canti con melodie pseudo sanremesi. Su questa decadenza della musica liturgica, il direttore d’orchestra Riccardo Muti, nel dicembre 2011, dichiarò: “Ora io non capisco le chiese, tra l’altro quasi tutte fornite di organi strepitosi, dove invece si suonano le canzonette. Probabilmente questo è stato apprezzato all’inizio come un modo di avvicinare i giovani, ma è un modo semplicistico e senza rispetto del livello d’intelligenza delle persone”. Siamo all’opposto del bello e sublime del trattato di Longino: qui c’è un bello che vuole persuadere, affascinare, coinvolgere emotivamente. Ma l’emozione si lega bene con la religiosità naturale, non con la Fede. Come sarebbe bello se ogni chiesa cattedrale, basilica o santuario avesse una “schola cantorum gregoriana” stabile, capace di eseguire i canti propri delle messe solenni e delle principali feste dell’anno liturgico, se ci fosse un organista titolato e un maestro direttore di coro che ami il canto gregoriano, che lo conosca e lo riconosca come forma espressiva della fede e fonte di autentica bellezza.

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IL BELLO E SUBLIME ATTRAE I GIOVANI È già da un po’ che riconosco il canto gregoriano come musica di un’autentica bellezza. Praticandolo a casa o durante le prove con il coro un tempo diretto da Padre Anselmo Susca insieme a Padre Gregorio Santolla all’Abbazia Madonna della Scala di Noci, mi era capitato di osservare che i miei bambini, che quand’erano piccoli portavo con me sempre e dovunque, leggevano e cantavano i neumi senza alcuna difficoltà. Proprio osservando i miei bambini, che allora avevano 13, 6 e 4 anni, si accese una lampadina: e se provassi ad insegnare il canto gregoriano anche a ragazzi dell’età dei miei alunni? Ne parlai con Padre Anselmo. Gli feci anche vedere le dispense che preparai pensando alla didattica del canto gregoriano rivolta ai ragazzi e ai bambini. Ne fu felicissimo. Proposi il progetto dapprima ad Alberobello, alla dirigente scolastica Beatrice De Donato, che è anche pianista e aveva avuto Padre Anselmo Susca come maestro di solfeggio al conservatorio di Monopoli. L’idea piacque tantissimo e così nacque un primo coro denominato “In Cordis Jubilo”. Era il 2007. Per non mettere la dirigente in difficoltà, non essendo stato pubblicato un bando, io mi offrii a costo zero. Del resto, avevo nella mente e nel cuore le parole di Padre Anselmo che, quando mi insegnava il canto gregoriano o mi dava lezioni di organo (sono stata la sua unica allieva di Organo principale e Composizione Organistica), diceva, citando il vangelo di Matteo: “gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date”. Trasferitasi la dirigente De Donato, riproposi il progetto a Noci alla dirigente Lenella Breveglieri. Grande entusiasmo! Padre Anselmo venne a scuola ad incontrare i ragazzi. In una classe intonò l’antifona a Santa Cecilia. Nel 2011 il coro cantò la messa solenne della Madonna della Scala, il 5 agosto. Presto il coro divenne numeroso e nel 2012 partecipammo ad un concorso internazionale, arrivando al primo posto . Con l’istituzione di due istituti comprensivi a Noci, non avendo più la dirigente Breveglieri come capo d’istituto, il progetto sembrava non avere futuro. Incoraggiata da Padre Gregorio Santolla, organizzai le prove presso il monastero nocese. Il coro dei fanciulli fu subito accolto con gioia dai monaci scaligeri. Proviamo tutti i pomeriggi del sabato. Qualunque ragazzo desideri far parte del coro è ben accetto, Padre Gregorio ed io non abbiamo mai fatto e non faremo mai selezioni. Il canto gregoriano è di tutti e può essere cantato da tutti. Se le voci sono ancora immature, con l’esercizio maturanno, la fiducia è alla base di questa formazione corale. Quando un nuovo elemento si aggiunge al coro, non si è costretti a ripetere tutto dall’inizio, repertorio e grammatica musicale. No. Si fa come nella Schola Cantorum istituita da Gregorio Magno. Chiunque entra, fa ciò che fanno gli altri. Imparerà ascoltando, praticando, tanto, di volta in volta, non si perde occasione per spiegare cosa sia un torculus o un episema. Con i ragazzi si parla un linguaggio specifico gregoriano.

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Padre Gregorio interviene spiegando il significato dei canti. Ogni canto è occasione per fare una breve catechesi. I suoi suggerimenti sono unici: dalla lallazione alla meditazione, il passo è breve. A volte ci fa sognare: ci fa fare un viaggio indietro nel tempo, o ci fa immaginare di trovarci nella cattedrale di Notre-Dame. I ragazzi sono attratti dal piacere di sentirsi parte di un gruppo in cui non dovranno dimostrare nulla, ma solo essere se stessi e imparare un’arte raffinata. Sono fieri di saper leggere una scrittura antica e sono consapevoli della responsabilità di dover custodire, divulgare, proteggere una tradizione del proprio territorio, della propria tradizione religiosa e culturale, qualcosa di bello e sublime. Si rendono conto della ricchezza del canto gregoriano, che ha un canto per ogni celebrazione domenicale, per ogni solennità, sono in grado di accorgersi che ogni canto ha una sua fisionomia che lo rende diverso da qualunque altro. Hanno compreso che il canto sottolinea la Parola, quella con la P maiuscola. Si accorgono che dopo un’ora e mezza di prova vivono in uno stato di benessere, perché il canto gregoriano ti distacca dalla quotidianità e ti eleva verso uno stato di grazia. Ovviamente, essendo un coro di voci bianche, questo è un coro in continua evoluzione. Oggi può essere formato da dieci elementi, domani dalla metà o dal doppio. I ragazzi crescono, cambiano, cambia la loro voce, cambiano i loro interessi. Ci sono ragazzi che vanno via e ragazzi che fanno parte di questo coro da moltissimo tempo e che conservano una voce pura, ancora adatta alla monodia gregoriana. Sono ragazzi che rinunciano a un’oretta di passeggiata con i loro coetanei, che hanno maturato scelte contrastanti con le illusioni del mondo moderno, che cercano Dio e che non trovano nulla di “vecchio” nel canto gregoriano. Sono ragazzi che non vanno alla ricerca di emozioni facili. Sanno che il canto gregoriano è difficile, ma lo è quanto basta. Sanno che i risultati non si vedono subito, ma con prove e prove. Non di rado, si stupiscono della bellezza delle melodie. Alcuni hanno memorizzato un ricco repertorio, tanto da suggerire i canti da eseguire in determinate occasioni. Hanno sviluppato e affinato i loro gusti estetici, perciò sono molto critici nei confronti dei canti pop, anche se non si sottraggono alle prove di canto con il coro della loro parrocchia. Quanto ho detto dimostra che il canto gregoriano non è roba vecchia, complicata, per intenditori sopraffini, da eseguire in concerto per un pubblico selezionato. È la musica di Sacra Romana Chiesa, le melodie gregoriane sono le radici cristiane e musicali d’Europa: facciamo in modo che il canto gregoriano non sia un ospite nella sua stessa casa.

Mafalda Baccaro

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