La "saggezza delle folle" e l'intelligenza collettiva.

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Per qualsiasi decisione grande o piccola della nostra vita, dall'acquisto di un libro alla scelta di un lavoro possiamo chiedere un aiuto alla Rete, dove troviamo condensata l'esperienza di milioni di utenti, la cosiddetta saggezza delle folle. Questi meccanismi stanno dimostrando la capacità di stabilire reputazione, autorevolezza, attendibilità, fiducia nei rapporti professionali, economici, affettivi». È ormai comprovato, infatti, che la rete è luogo privilegiato della cosiddetta intelligenza collettiva, che si nutre dell'unione di tutte le forze in gioco e delle differenze cognitive di tutte le persone che la compongono. Un aspetto importante è che un gruppo sufficientemente ampio e diversificato è in grado di annullare gli errori commessi dai singoli, seguendo un meccanismo di automoderazione ed auto-controllo. Una riflessione sulle implicazioni e sulle potenzialità di questo fenomeno e un’analisi dei risvolti negativi legati all’uso sociale della rete.

L’uso delle nuove tecnologie, l’accesso sempre più diffuso e globalizzato al World Wide Web, stanno cambiando, giorno dopo giorno, la vita dell’uomo. Il senso etimologico della parola “comunicare”, che ritroviamo nel latino “communicatio”, cioè “mettere in comune”, ci porta ad affermare che l’uomo è un essere sociale. La necessità di farsi comprendere ha spinto l’uomo ad organizzare il proprio linguaggio, a memorizzare i messaggi orali, a cercare il modo di conservare una traccia del proprio pensiero. Ciò lo ha portato alla scrittura, alla stampa e alla diffusione di testi, suoni, immagini attraverso i mass-media. In pieno Rinascimento, quando Cristoforo Colombo stava per scoprire l’America, il grande artista e scienziato Leonardo da Vinci fece il più famoso disegno della storia: l’uomo vitruviano. L’uomo perfettamente stabile ed in equilibrio nel quadrato, che rappresenta il nostro essere terreno, mostra i suoi limiti nel cerchio, che rappresenta la perfezione divina: l’uomo finisce dove comincia Dio. Nel Romanticismo, “oltre la siepe”, come dice il grande Leopardi, c’è l’infinito. Oggi, tra l’uomo e l’infinito c’è il computer, o il palmare, o l’ultimo modello supertecnologico di telefonino. Senza Internet, ci sentiamo soli, completamente isolati dal mondo. La vita supertecnologica ha i suoi pregi e i suoi difetti. Se da una parte, troviamo informazioni gratuite (la cosiddetta “democrazia della rete”), possiamo rintracciare persone che abbiamo frequentato al liceo, prenotare una visita medica, dall’altra rischiamo di banalizzare il concetto di amicizia nei social network, poniamo limiti alle idee creative ed entriamo nel vortice della “realtà virtuale”, arrivando a non distinguere il limite tra la vita reale e la “second life”. Recentemente, colui che per primo ha usato l’espressione “realtà virtuale”, riferendosi alla comunicazione in rete, Jaron Lanier, ha pubblicato un libro: “You aren’t a gadget”, edito in Italia da Mondadori, con il titolo “Tu non sei un gadget”. Lanier vuol mettere il guardia il popolo di Internet dal rischio di diventare piccoli pezzi di un grande meccanismo, di spersonalizzarsi e diventare come macchine. L’accesso veloce alle informazioni e la possibilità di trasferirle ad altri con celerità, in


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