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Quando la moda è ROCK
from VANITY FAIR ROCK
by Manuel Caria
Un volume che racconta stile ed estetica dei più grandi artisti rock, tra provocazioni e scelte che hanno segnato la storia della musica e del fashion: guardare le ultime passerelle (Pitti Uomo compresa) per credere.
Quando da bambino negli anni 60’ passava ore incollato alla TV a guardare le esibizioni delle sue rockstar preferite all’Ed Sullivan Show, o quando teenager girovagava nei locali di Detroit, la sua città d’origine, alla ricerca delle band più interessanti, John Varvatos non aveva idea che il suo destino sarebbe stato nella moda.
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Lui voleva essere su quei palchi, diventare come Keith Richards e Jimmy Page, fare della musica la sua esistenza: il rock era tutto il suo mondo, i suoi eccessi e i suoi virtuosismi erano l’unica cosa che per lui contasse davvero. A interrompere simili sogni di gloria ci pensò la realtà dei fatti: John si rese presto conto di non essere abbastanza bravo per pensare di eguagliare i suoi idoli; il talento non si inventa, e non c’era storia, era un musicista mediocre.
Jonh Varvatos
Ma le passioni sono dure a morire e così dopo il college, con un’avviata carriera nel fashion retail che presto lo avrebbe visto passare al lato “creativo” del sistema, il ragazzo comprese una cosa tanto semplice quanto essenziale: moda e musica sono due universi molto, molto vicini. E a ben guardare il modo di vestirsi e lo stile di parecchi artisti è stato un tassello fondamentale per il loro successo, tanto quanto canzoni e assoli alla chitarra. Perché non creare una collezione che partisse a quella stessa voglia di sperimentare e provocare? Sono passati parecchi anni da quella intuizione, e oggi Varvatos è considerato lo stilista delle rockstar: un percorso naturale e che spiega anche la sua ultima avventura, un libro pensato e assemblato come un gigantesco diario di appunti dedicato al talento e allo stile di tutti quegli artisti che hanno plasmato la sua visione della moda (E non solo la sua: come le ultime passerelle femminili d’autunno e quelle attuali di Pitti Uomo dimostrano, la tendenza rock è più viva che mai).
“Rock in Fashion”, edito da Harper Design, cataloga e divide per temi le immagini che più hanno influenzato il suo stile, dando così vita a un tributo al genio di quegli artisti che attraverso le loro performance hanno ridefinito la concezione stessa di moda.
I diversi capitoli sono divisi per “tipologie”, in modo da esaminare impatto e sviluppo di ciascun elemento: ci sono i cappelli, l’optical, l’animalier, il denim, l’androgino e così via. Le foto sono potenti ed evocative, e permettono al designer di scomporre e analizzare ogni scelta estetica, rivelando la cura e la “precisione” con cui erano stati concepiti.
Illuminanti poi sono le considerazioni fatte sul tema da diverse rockstar nel corso degli anni e qui raccolte:
“Marc Bolan, disincantato e ironico, sosteneva che gran parte del suo successo fosse dovuto proprio a quello che indossava e solo in seconda battuta alla musica, mentre Johnny Ramone spiegava l’evoluzione che aveva portato The Ramones a quel look così riconoscibile e preciso come un percorso lungo, fatto di tentativi ed errori (avevano anche preso in esame il glam con tanto di paillettes e leggings, abbandonando poi l’idea perché consapevoli che certi abiti sarebbero stati bene solo sui fisici più asciutti e sottili).”
Ancora, ci sono le scorribande nei negozi di vintage alla ricerca di bluse di pizzo e scialli da indossare con poco altro (in questo il maestro indiscusso era Robert Plant, voce dei Led Zeppelin), l’uso delle T-shirt per lanciare provocazioni e messaggi, e persino la voglia dei più giovani di emulare i propri miti: Patti Smith raccontava di come avesse studiato per mesi le foto di Keith Richards prima di tagliarsi i capelli a sua immagine e somiglianza, dando così l’addio a musica folk e spirito hippy. Ci sono le analisi di Keith Richards su come l’abbigliamento dei Rolling Stones fosse stato spinto all’estremo per accentuare l’antitesi con la “perfezione” dei Beatles, ci sono le difficoltà di David Bowie per convincere la sua band a puntare su insiemi più provocanti e androgini, la decisione di Steven Tyler degli Aerosmith di attaccare la sua tunica portafortuna ormai a brandelli all’asta del microfono, dando il via così a uno dei suoi “simboli” più riconosciuti (l’aveva anche riempita di tasche segrete per la sua scorta di quaalude, in modo da non restarne sprovvisto a metà concerto).
La passione e il rispetto di Varvatos per quell’universo è palpabile, e spiega anche perché a fare da testimonial per le sue collezioni abbia sempre preferito alle starlet di grido e ai modellini imperbi i volti carismatici e vissuti di quegli artisti. Slash e i Velvet Revolver, Iggy Pop, Jimmy Page: sono loro i suoi interpreti ideali, perché tutto è cominciato con il loro carisma e la loro capacità di comprendere quanto la moda fosse essenziale al loro messaggio. E, a giudicare da certe immagini, come dargli torto?