3 gennaio 2018 mostra del 500 palazzo strozzi

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Appunti d’arte, Mara Torricelli

Implacabile Bellezza‌

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Appunti d’arte, Mara Torricelli

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Video di presentazione https://www.youtube.com/watch?v=G-42QD4W--g https://www.youtube.com/watch?v=EDbVJGHS468 https://www.youtube.com/watch?v=fUGc6jlpct0 https://www.youtube.com/watch?v=PNzDx1lhSpI https://www.youtube.com/watch?v=hROrliGoodk https://www.youtube.com/watch?v=WB09HKAHLtI https://www.youtube.com/watch?v=G7Qhs0d1Kfo

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premessa

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Apollo e Giacinto di Benvenuto Cellini

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Cellini Il 3 novembre del 1500 nasceva a Firenze Benvenuto Cellini, scultore, orafo, scrittore, artista italiano tra i più importanti del manierismo, dal carattere sanguigno e facile all’ira,…una vita assai tormentata la sua, un aspetto che lo avvicina molto a quella del Caravaggio, vissuto un secolo più tardi. Di lui abbiamo un ritratto vivido che ci arriva da parte del critico letterario Giuseppe Baretti che nel XVIII scrisse: “… Noi non abbiamo alcun libro della nostra lingua tanto dilettevole a leggersi quanto la Vita di quel Benvenuto Cellini scritta da lui medesimo nel puro e pretto parlare della plebe fiorentina. Quel Cellini dipinse quivi se stesso con sommissima ingenuità, e tal quale si sentiva di essere […] cioè animoso come un granatiere francese, vendicativo come una vipera, superstizioso in sommo grado, e pieno di bizzarria e di capricci; galante in un crocchio di amici, ma poco suscettibile di tenera amicizia;lascivo anzi che casto; un poco traditore senza credersi tale; un poco invidioso e maligno; millantatore e vano, senza sospettarsi tale; senza cirimonie e senza affettazione; con una dose di matto non mediocre, accompagnata da ferma fiducia d’essere molto savio, circospetto e prudente. Di questo bel carattere l’impetuoso Benvenuto si dipinse nella sua Vita senza pensarvi su più che tanto, persuasissimo sempre di dipingere un eroe …” Tra il 1546 e il 1571, anno della sua morte, Benvenuto Cellini realizzò, per proprio diletto e senza aver ricevuto alcuna commissione per essa la scultura in marmo “Apollo e Giacinto” conservata al Museo Nazionale del Bargello L’opera, rimasta incompiuta, rimase nell’atelier dell’artista e poi lasciata alle intemperie nel Giardino di Boboli per due secoli, solo nel 1940 fu ritrovata da Kriegbaum e poi trasferita al museo del Bargello. Oltre alla diatriba con Baccio Bandinelli per l’acquisizione del blocco di marmo, che tempo addietro glielo aveva offerto, è da segnalare la difficoltà nella lavorazione causata dalle crepe nella pietra, un problema segnalato dallo stesso Cellini che nella sua biografia “Vita” così scriveva “ io mi pentitii più volte di averlo mai cominciato a lavorare”. Cellini fu maestro nel tradurre le potenzialità poetiche di una scena così densa di emozioni…egli riunisce i due amanti scolpendoli nello stesso blocco di marmo e dà loro il colore bianco di morte. Accentua, inoltre, il dramma, anticipando la metamorfosi di Giacinto nel fiore che porterà il suo nome”. L’opera fa riferimento all’amore infelice fra Apollo e Giacinto, sul punto di morire per poi trasformarsi in fiore ( Metamorfosi di Ovidio, L X)

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Giacinto fu un giovane principe. L'amore di Apollo nei suoi confronti era tanto grande che, pur di stare costantemente vicino al ragazzo, il Dio tralasciava tutte le sue principali attività ed accompagnava l'inseparabile amante ovunque egli si recasse. Un giorno i due iniziarono una gara di lancio del disco; Apollo lanciò per primo ma il disco, deviato nella sua traiettoria da un colpo di vento alzato dal geloso Zefiro, finì col colpire alla tempia Giacinto, ferendolo così a morte. Apollo cercò di salvare l'adolescente tanto amato adoperando ogni arte medica a sua conoscenza, ma non poté nulla contro il destino. Decise, a quel punto, di trasformare il bel ragazzo in un fiore dall'intenso colore, quello stesso del sangue che Giacinto aveva versato dalla ferita. Il dio, prima di tornarsene in Cielo, chinato sul fiore appena creato scrisse di proprio pugno sui petali le sillabe "ai", "ai", come imperituro monumento del cordoglio provato per tanta sventura, che lo aveva privato dell'amore e dell'amicizia del giovane. Tale espressione di dolore, tuttora, si vuol ravvisare nei segni che sembrano incisi sulle foglie del Giacinto e che sono simili alle lettere A e I (segno dei lamenti divini per la perdita subita).

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Jean Boulogne

Il Mercurio volante 8


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Nel Museo Nazionale del Bargello è conservato il Mercurio volante, una tra le opere più conosciute e ammirate di Giambologna, continuamente riprodotta, tanto da divenire statua d’ornamento quasi indispensabile a ogni estetizzante apparato nell’Ottocento. Giambologna scolpisce più volte il messaggero degli dei. A Bologna, durante la sua permanenza per la Fontana del Nettuno, si propone per la prima volta di realizzare un Mercurio nell’atto di spiccare il volo, un’idea che sviluppa poco dopo, nella versione inviata all’imperatore Massimiliano II. Dopo aver realizzato varie repliche, finalmente nel 1580 Giambologna concepisce il Mercurio del Bargello, che va a ornare una fontana di Villa Medici a Roma. Il dio è raffigurato mentre si libra in aria, sospinto verso l’alto dal soffio di Zefiro che funge anche da instabile piedistallo: l’artista contravviene così all’iconografia tradizionale del Mercurio in corsa. La spinta verticale è accentuata dallo sguardo e dal gesto del dio, tesi verso l’alto, ma anche dalla figura esile e levigata dell’adolescente che sembra seguire, nel movimento elegante e manierato, l’indice che tiene alzato. In quest’opera è particolarmente evidente il virtuosismo dell’artista: sono esemplari la levigatura del bronzo, la resa anatomica del corpo di fanciullo, la classica bellezza del volto. Ma ancor più rilevante è come Giambologna riesca a muovere lo sguardo dello spettatore ininterrottamente intorno all’opera che non ha un punto di vista predominante; la statua infatti, sebbene si slanci con forza verso l’alto, produce anche un effetto di andamento spiraliforme, dovuto al movimento rotatorio delle braccia piegate con grazia (la destra tiene il magico caduceo).

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Quando, intorno alla metà del Cinquecento, di ritorno da Roma e in viaggio verso le Fiandre, il giovane scultore fiammingo Giambologna approda a Firenze – dove soggiorna più di mezzo secolo – non sa di essere destinato a mutare l’evoluzione del linguaggio figurativo contemporaneo: lo stile virtuosistico e ricercato dell’artista, improntato sulla linea a serpentina e sulla molteplicità dei punti vista dell’opera, influenzerà numerosi e sofisticati artisti attivi presso le corti di tutta Europa. Siamo nel periodo di Cosimo I e Francesco I de’ Medici, che è caratterizzato da un mecenatismo a volte retorico e declamatorio per motivi autocelebrativi, ma più spesso colto e raffinato. La scultura manierista riflette questo clima: accanto a una statuaria monumentale, tesa a imitare ossessivamente l’imponente ed eroico gigantismo michelangiolesco – con risultati non di rado tronfi e magniloquenti – si diffonde anche la produzione di opere di piccolo formato, eleganti bronzetti da esporre negli studioli o da offrire come preziosi doni diplomatici, improntati a uno stile artificioso e ricercato. L’attività di Jean Boulogne, noto in Italia come Giambologna, ben si inserisce in questa duplice inclinazione del linguaggio scultoreo a lui contemporaneo, ma parimenti riesce a sintetizzare e superare i dettami dei maestri italiani, formulando uno stile nuovo e originale che funge da tramite tra l’opera rivoluzionaria di Michelangelo e quella barocca di Gian Lorenzo Bernini. La sigla formale delle sue statuette, insuperate per virtuosismo tecnico, è la linea "a serpentina", formula costantemente adoperata dal maestro. Per la loro agevole circolazione presso le corti d’Europa, queste piccole sculture diffondono il verbo di Jean Boulogne, immediatamente recepito e imitato in Italia, in Germania e nelle Fiandre da una folta schiera di allievi e seguaci, depositari di uno stile edonistico e dégagé, e protagonisti della più felice e disincantata Maniera internazionale. (da ojloprojet.com)

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Danti

Vincenzo Danti - Leda e il cigno 1570, marmo

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Giambologna Ratto delle sabine

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Quando la morte è bella…… Morte di Adone (Vincenzo de Rossi, 1570)

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La Venere di Giambologna davanti alla VirtĂš di Jacopo Ligozzi 15


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Giambologna, Fata Morgana (1572; )

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Pietro Bernini, San Martino divide il mantello col povero (1598 circa;) 17


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Michelangelo Buonarroti, il Dio fluviale (Tevere) (1526-1527 circa; Modello in argilla, terra, sabbia, fibre vegetali e animali, caseina, su anima di filo di ferro; interventi successivi: gesso, rete in ferro; )

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Lo studiolo di Francesco I

Quanto agli “stili dello Studiolo”, da sottolineare come la mostra di Palazzo Strozzi raduni per la prima volta le sei lunette (tutte inedite a eccezione dell’Umiltà di Pietro Candido) eseguite da alcuni artisti coinvolti nell’impresa dello Studiolo di Francesco I in Palazzo Vecchio (che riunì molti dei più grandi artisti del tempo) e che costituiscono un singolare ciclo di carattere profano. Non conosciamo il committente, ma possiamo spingerci a dire che queste immagini, “quasi fossero parole da unire in un discorso retorico [...] ci parlano ancora oggi dell’austera visione della vita” del committente, “e di come egli dovesse fermamente credere che solo la Fatica e l’Umiltà fossero capaci di condurlo all’Onore e guidarlo in un comportamento ispirato alla Giustizia: un insieme di virtù capace di sconfiggere il Tempo che tutto divora, e di condurlo infine alla Verità, che anche nel Discorso sopra la Mascherata di Baldini era detta figlia del Tempo” (così Carlo Falciani nella scheda in catalogo). Quelli appena elencati sono, per l’appunto, i soggetti delle sei lunette: 1. la Fatica (Santi di Tito), 2. l’Umiltà (Pietro Candido), 3. la Giustizia (Francesco Morandini detto il Poppi), 4. l’Onore (attribuito a Giovanni Balducci detto il Cosci), 5. il Tempo (Giovanni Maria Butteri), 6. la Verità (Lorenzo Vaiani dello Sciorina). Protagonisti d’un ciclo che voleva affermare i valori in cui il suo committente credeva e che rispecchiano lo spirito dell’epoca.

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Immagine: Maso da San Friano, Ritratto di Sinibaldo Gaddi (1564)

La fatica

L’umiltà 20


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la giustizia

la fortezza 21


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Amore e Psiche

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Un dettaglio‌

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E poi……

SITOGRAFIA https://www.finestresullarte.info/778n_recensione-mostra-cinquecento-firenze-palazzo-strozzi.php https://www.palazzostrozzi.org/mostre/cinquecentofirenze/ http://www.nove.firenze.it/cinquecento-a-firenze-gia-migliaia-alla-mostra-di-palazzo-strozzi.htm https://viaggimarilore.wordpress.com/2017/10/23/il-cinquecento-a-firenze-la-mostra-di-palazzostrozzi/ http://www.artribune.com/arti-visive/archeologia-arte-antica/2017/09/mostra-cinquecento-palazzostrozzi-firenze/

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