APPUNTI di Mara Torricelli
‌sto con le quattro capriole di fumo del focolare‌(da Ungaretti, Natale)
A cura di Mara Torricelli
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Saturnalia etruschi
Saturnalia romani 2
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Il Natale come festa ha delle origini pagane, legate al solstizio d’inverno. I Celti, infatti, a cui i romani antichi facevano riferimento in quanto “esperti” di “RELIGIO” festeggiavano questo giorno (che per noi è il 13, o il 21 dicembre) il 25 dicembre. Si tratta di una festività molto importante in tutti quei culti in cui l’adorazione del Sole, detta Eliolatria, occupava una collocazione di assoluta preminenza, e a cui il Cristianesimo si è riallacciato, in quanto il sole può essere visto come emblema della figura del Cristo. Questa festa si è poi legata a quella, importante per i Romani, chiamata i Saturnali. Saturno, il dio dell’agricoltura, e quindi della vita, veniva pregato per augurare un periodo di pace e prosperità, ed era usanza scambiarsi dei doni. Dopo il diffondersi del Cristianesimo, man mano che le persecuzioni si allentarono, si mescolarono altri culti: in Siria e in Egitto le celebrazioni del rito della nascita del sole, prevedevano che i celebranti uscissero dai santuari in cui si erano ritirati a mezzanotte, annunciando che la Vergine aveva partorito il Sole, raffigurato come un neonato.
A Roma il culto del sole comparve per la prima volta con l’imperatore Eliogabalo che tentò prematuramente di imporre il culto di Elagabalus Sol Invictus; con la morte violenta dell’imperatore (222 d.C.) il culto cessò, anche se il Sol Invictus rimase come divinità subordinata associata al culto di Mitra. Il Natale costituisce probabilmente l'esempio più significativo di come una tradizione pagana sia stata assorbita dal Cristianesimo assumendo un nuovo significato.
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Dalle catacombe di Priscilla, Roma (wikipedia)
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I culti pagani collegati alla celebrazione del sole perdurarono per molti anni, tant'è che ancora nel Natale del 460 d.C. tale circostanza portò papa Leone I ad affermare: «È così tanto stimata questa religione del Sole che alcuni cristiani, prima di entrare nella Basilica di San Pietro in Vaticano, dopo aver salito la scalinata, si volgono verso il Sole e piegando la testa si inchinano in onore dell’astro fulgente. Siamo angosciati e ci addoloriamo molto per questo fatto che viene ripetuto per mentalità pagana. I cristiani devono astenersi da ogni apparenza di ossequio a questo culto degli dei.»(Papa Leone I, 7° sermone tenuto nel Natale del 460 - XXVII - 4) Quando i missionari incominciarono la conversione dei popoli germanici, adattarono alla tradizione cristiana molte feste pagane. Le celebrazioni pagane vennero così ricondotte alle celebrazioni del Natale, mantenendo però alcune delle tradizioni e dei simboli originari. Fra i simboli moderni del Natale che appaiono derivare dalle tradizioni germaniche e celtiche compare, fra l'altro, all’inizio del 5 sec d.C. l'uso decorativo del vischio e dell'agrifoglio e l'albero di Natale.
Il presepe. Il termine deriva dal latino praesaepe, cioè greppia, mangiatoia, ma anche recinto chiuso dove venivano custoditi ovini e caprini; il termine è composto da prae (innanzi) e saepes (recinto), ovvero luogo che ha davanti un recinto. Un'altra ipotesi fa nascere il termine da praesepire cioè recingere, proteggere. L’immagine del presepe si trova per primo in Giotto che raffigurò a Padova, nella Cappella degli Scrovegni, una Natività più realistica, con dettagli naturalistici, seppur ancora legata ai canoni bizantini. Nel Quattrocento alcuni grandi maestri della pittura italiana raffigurarono scene della Natività, dette anch'esse "presepe": • Botticelli nell'Adorazione dei Magi (Firenze, Galleria degli Uffizi) raffigurò personaggi della famiglia Medici. • Filippino Lippi compose la Natività che si trova al Museo Diocesano di Milano, • Piero della Francesca la Natività della National Gallery di Londra,
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Giotto, nativitĂ , Cappella degli Scrovegni, Padova
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• il Correggio la Natività della Pinacoteca di Brera. • Anche Luca e Andrea Della Robbia hanno rappresentato scene della Natività, in bassorilievo: per tutte valga quella del convento della Verna.
La tradizione pittorica di raffigurare la Natività fu seguita poi dalla rappresentazione tridimensionale, allestita in occasione delle festività natalizie, ossia a ciò che comunemente si intende oggi con il termine "presepe". Questa usanza, all'inizio prevalentemente italiana, ebbe origine all'epoca di San Francesco d'Assisi che nel 1223 realizzò a Greccio la prima rappresentazione della Natività, dopo aver ottenuto l'autorizzazione da papa Onorio III.
FESTA DELLA LUCE Dunque, tutti i popoli europei anticamente festeggiavano il Solstizio d’inverno e al centro dei rituali di festeggiamento c’era il fuoco. Il FUOCO o la LUCE, avevano il senso della speranza: come noi, se siamo al buio, accendiamo la luce, così essi, nei giorni più bui e brevi dell’anno, desideravano al luce. Per questo i nostri antenati facevano grandi falò all’aperto. E dentro le case, nei camini, bruciavano un ceppo di legno molto grosso, ma così grosso che poteva durare giorni. Dietro l’accensione del ceppo c’era tutto un rituale. La tradizione del Ceppo Natalizio era diffusa praticamente in tutte le regioni italiane, fino a qualche decennio fa. Per esempio, a Siena, sopravviveva la “festa del ciocco” (ciocco è la trasposizione toscana di “ceppo”) Ciòcco (da ioccum, i.n)–pezzo di legno da ardere, ceppo: (Enciclopedia Treccani) “Il babbo mise un gran c. di quercia Su la brace” (Pascoli). Locuzioni: • restare, rimanere come un c., restare intontito, inebetito: • il colpo lo fece restare lì come un ciocco 7
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La cometa, fonte di luce.
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Bambini, intorno ad un grande ciocco
• dormire come un c., dormire sodo, profondamente. • Natale di ciocco al sole, Pasqua di cocco al carbone. Se a Natale fa caldo a Pasqua sarà così freddo che ci vorrà il carbone.
“L'usanza aveva luogo la Vigilia di Natale, quando il capofamiglia bruciava nel camino di casa un grosso tronco di legno, che poi veniva lasciato ardere anche nelle successive dodici notti fino all'Epifania i resti del ceppo venivano poi conservati, in quanto si attribuivano loro proprietà magiche (si credeva che favorissero il raccolto, l'allevamento, e spesso venivano riutilizzati per accendere il ceppo dell'anno successivo. A seconda delle culture, erano diverse le piante che venivano scelte per questa tradizione: i francesi preferivano gli alberi da frutta, gli inglesi il frassino, il pino o la quercia, gli scozzesi la betulla, i serbi la quercia, ecc. Che si trattasse di una tradizione molto antica e diffusa è testimoniato dal fatto che in alcune lingue il termine con cui si indica il ceppo si ritrova nei termini per 9
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I contadini portano un grande ceppo
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indicare il Natale (come il lituano kalėdos, che significa letteralmente "sera del ceppo") o la vigilia di Natale (come il croato badnjak, che significa anche "ceppo")o da altri nomi come "Festa di' Ceppo" locuzione usata in Toscana e legata alla tradizione locale) Da questa tradizione deriva anche quella del dolce chiamato ciocco natalizio o tronchetto di Natale, molto diffuso nei Paesi di lingua francese, dove è chiamato - come il ceppo - bûche de Noël
Il CEPPO Con un po' di semplificazione potremmo definire il Ceppo come il babbo di Babbo Natale e forse anche della Befana e dell'Albero di Natale. Nelle campagne il capoccia ( o PATERFAMILIAS LATINO) teneva d'occhio durante l'anno, la grandezza e la natura dei ceppi che venivano estratti dai campi, dai boschi, e sceglieva, mettendolo ad asciugare, quello più adatto per andare nel camino la sera della vigilia di Natale e bruciare davanti alla famiglia riunita nella veglia. Per ceppo s'intende propriamente quel blocco che sta a fior di terra e sotto questa, dove si annodano le radici e da dove il fusto della pianta si eleva verso il cielo. Grande simbolo di unità, nodo di forze, emblema della famiglia con i polloni e virgulti, immagine della vita per la forza. Il Ceppo doveva durare fino alla Befana. In città le cose erano più complicate, ma il ciocco, piccolo o grande ardeva comunque la notte di Natale in ogni casa. Non era solo una cosa fisica, adatta a scaldare nel freddo, ma molto di più: era il simbolo dell'unione del cielo e della terra, con la luce; dell'unione e dell'amore 11
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Il ciocco enorme brucia sul fuoco
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della famiglia con il fuoco e, dal suo essere polaritĂ di forze benefiche, emanazione di flussi positivi nella casa e nella terra. Intanto non era posto semplicemente sul fuoco e incendiato, ma veniva benedetto, ornato, cosparso di vino, o di grasso, burro e acceso dal capo di casa. I riti, gli usi e anche le superstizioni che sono legati a questo pezzo di legno fanno pensare che le sue ascendenze siano molto lontane, al paganesimo e anche al di lĂ di quello; non certo come uso natalizio, ma come un fuoco sacro legato alle credenze e ai riti del solstizio d'inverno. Era in collegamento diretto col sole, nel segno della luce e del fuoco, con le forze telluriche nel segno della natura stessa della pianta, e con il mondo dei morti, nel segno della cenere e delle credenze pagane delle anime abitatrici delle piante e delle realtĂ naturali. A questa nuova entitĂ che veniva ad abitare per poco la casa, si collegavano usanze varie, tra le quali la piĂš conosciuta e vistosa era quella di portare doni ai bambini. Questi regali (si trattava di cose semplici, come dolci, frutta, modesti giocattoli) si potevano disporre sopra il Ceppo stesso nella mezzanotte del Natale, se le dimensioni lo permettevano, oppure si facevano cadere in vari modi o dal camino o da qualche altra apertura. I bambini, prima d'arrivare al momento di avere i doni, andavano in un'altra stanza, oppure venivano bendati e recitavano una preghiera, detta L'Avemmaria del Ceppo, che dice: Ave Maria del Ceppo, Angelo benedetto! L'Angelo mi rispose Ceppo mio bello, portami tante cose!
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Il Ceppo parlava, rispondeva, si comportava come una sorta di spirito e da qui è venuta la sua trasformazione in entità eterea antropomorfa, fino a prendere le forme concrete di fantoccio, e quindi quelle, trovate forse per la strada, di Babbo Natale. Per semplificare l'offerta dei doni, si passò alla sua stilizzazione, prendendo le linee essenziali e riducendolo a una piramide, di forma all'incirca regolare per i più comuni; di forma invece più allungata quasi monumentale per quelli di lusso. Fatto con assicelle di legno, più piccolo o grande secondo la necessità e la ricchezza della famiglia, aveva delle cornici orizzontali che correvano lungo le facce, tagliandolo in ripiani, in modo che i doni, postivi sopra, non scivolassero e si presentassero ben sistemati ed esposti. A Firenze, nei giorni precedenti il Natale, si apriva il mercato dei ceppi che si teneva sotto le Logge del Porcellino e vi si trovavano dolci, regali, e vari ingredienti per allestirlo. Era di solito ben ornato, secondo la ricchezza del contesto: coperto di stoffa, con festoni, nappe e ciondoli, fiocchi multicolori, pinoli dipinti infilati a corona nello spago. Qua e là c'erano pine, ricoperte di carta argentata o colorate, e in cima, stava la più grossa, coperta d'oro. Talvolta sulla cuspide, invece della pina, veniva posto un pupazzo, una figura umana, di pezza o intagliata. L'apparato stava in mezzo alla tavola più grande della casa o del salotto, con i bambini che gli ronzavano intorno adocchiando i dolci. In certi posti il Ceppo rimaneva ornato, ma vuoto, poi verso mezzanotte spariva e durante la cena, o al suono dei dodici tocchi, si sentiva bussare alla porta. – Chi è? chiedeva la mamma. – Il Ceppo, si sentiva rispondere. – Grazie, venite pure.
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Quando la porta si apriva si trovava il Ceppo ricolmo di regali, che veniva portato trionfalmente sulla tavola. Già il passaggio dalla cosa alla persona si era verificata anche nelle campagne, dove si chiamava con tale nome un fantoccio di pezza, ripieno di paglia, con un grosso cesto vuoto infilato nel braccio: veniva calato dalla finestra con una fune, lasciandolo nel buio della notte, mentre tutti restavano in attesa. Durante la cena suonavano alla porta.
– Chi è? – Il Ceppo.
Si tirava su la corda e appariva il Ceppo-fantoccio col canestro pieno di regali, che veniva accolto con festa, canti e applausi.
Il Ceppo e i ceppi Già a Firenze si sa che c'era l'uso, nelle case più ricche, di fare più ceppi: uno per ogni bambino che si trovava nella famiglia. Vi sono testimonianze che alla fine dell'Ottocento in Toscana il Ceppo ormai veniva impersonato da un omone mascherato con una testa di grandezza smisurata, con una capigliatura folta e arruffata: quando i bambini lo battevano con dei bastoncini, faceva cadere su di loro dolci e regali. È una scena che ricorda la bacchiatura di un albero da frutto e da qui all'albero di Natale il passo è breve. Inoltre una delle ritualità seguite per
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Un altro tipo di ciocco: il tronchetto dolce
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avere i doni era anche quella più comune: il padre, o il nonno, battevano sul Ceppo un bastoncino dicendo:
–
Ed ora, cosa cade per Pierino?
E subito cadeva il dono destinato a quel bimbo. –
E ora, cosa cade per Paolo?
E subito cadeva il regalo per Paolo.
Questo si diceva battere il Ceppo, un'altra operazione che ricorda ancora l'albero. Altre forme, si avevano in diverse zone. A Siena era un piccolo carretto con sopra una piccola botticella, con un paio di buoi al traino e un contadino baffuto che guidava le bestie. Era realizzato rozzamente, con legno intagliato col coltello: il carro veniva ornato, riempito di doni e faceva la funzione del Ceppo piramidale. La figura si ritrova ancora sui mercati campagnoli, o come soprammobile nelle case, ma ormai quasi nessuno immagina che possa essere un ceppo. La presenza delle bestie ci riporta a un'altra tradizione della notte di Natale, nella quale, gli animali parlano tra loro, forse ricordando il bue e l'asino che ricevettero Cristo nella loro mangiatoia.
Proprietà e credenze popolari Dalle sue faville si traevano presagi. Il capofamiglia la notte di Capodanno scoteva il Ceppo dicendo:
– Quanto verrà di grano? 19
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Se le scintille che uscivano dal Ceppo e volavano su per il camino erano molte, era segno che il raccolto sarebbe stato abbondante, se erano poche il raccolto sarebbe stato scarso. E così continuava: –
Quanto verrà di vino?
–
Quanto verrà di olio?
–
Quanto verrà di castagne?
Si stuzzicava, si batteva il Ceppo con la paletta o con le molle del fuoco per fargli fare le monachine, le scintille che uscendo dalla cappa del camino andavano a portare prosperità nei campi. Le sue ceneri venivano sparse nei terreni coltivati per tenere lontane le malattie delle piante e propiziare buoni raccolti. I tizzoni venivano riaccesi durante le tempeste per tenere lontani i fulmini.
Chi dorme la notte di Natale col capo appoggiato al Ceppo (o vicino a questo) vedrà realizzati i suoi sogni. Un frammento incombusto del Ceppo si toglieva dal camino e si metteva spento sotto il letto: aveva la proprietà di proteggere la casa dagli spiriti maligni. Con i carboni del Ceppo si segnavano i buoi e altri animali malati per guarirli dagli influssi negativi”(liberamente tratto da https://www.toscanaoggi.it/Cultura-Societa/Natale-la-tradizionedel-Ceppo)
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