Virgilio,vita e opere

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Appunti di Mara Torricelli

Virgilio Vita, opera e‌.di piÚ. A cura di Mara Torricelli

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INDICE PAG 3 LA VITA (INIZIO ) PAG 4 LE BUCOLICHE PAG.8 LE GEORGICHE PAG 10 L’ENEIDE PAG 12 FOCUS: ENEA EROE “PIUS” PAG 14: FOCUS: CAPUT MUNDI

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VIRGILIO

Virgilio nacque ad Andes, vicino a Mantova nel 70 a; C. Ben presto si fece notare per la sua bravura poetica e la sua sensibilità. Le vicende della sua vita sono legate alle guerre civili: dopo l'uccisione di Cesare, Antonio e Ottaviano, i due pretendenti all'eredità lasciata da Cesare, intraprendono una battaglia a Filippi, nel 42 a.C., contro Bruto e Cassio, i cesaricidi1. Era allora consuetudine a Roma che i vincitori si spartissero le terre degli sconfitti e le donassero ai veterani2 del proprio esercito. Il territorio delle terre di Virgilio apparteneva ai vinti Ai veterani dell'esercito vincitore furono donate prime le terre di Cremona, poi, poiché evidentemente queste terre non furono sufficienti, furono distribuite anche quelle della vicina Mantova (infatti nella prima bucolica Virgilio si rammarica di abitare troppo vicino a Cremona: "ahi Mantova! troppo vicina alla sventurata Cremona!") Si assistette allora al triste esodo dei contadini e dei pastori che, caricate le loro povere cose su un carro, abbandonavano i campi coltivati per tanti anni e si mettevano in cammino in cerca di un nuovo libero territorio da occupare, lasciando la loro casa e la loro terra ad uno sconosciuto, ad uno straniero. Ma Virgilio poté salvarsi da questa disgrazia: le sue poesie, infatti, cominciavano ad essere conosciute ed apprezzate. Augusto che molto amava la poesia, fu un grande estimatore delle poesie di Virgilio. Certi amici poeti di Virgilio che già erano a Roma Asinio Pollione, Varo, Cornelio Gallo, spiegarono ad Augusto la triste situazione di Virgilio, e Virgilio poté mantenere le sue terre.

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Coloro che avevano ucciso Cesare. Cesare fu ucciso alle Idi di Marzo del 44 a.C. con colpi di coltello, proprio davanti al Senato. Famosa è la frase di Cesare, quando vide che fra gli uccisori c’era anche il figlio adottivo Bruto: “Quoque tu, Brute, filii mihi”! 2 Soldati che da più tempo militavano nell’esercito

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Ma, nonostante questa fortuna, egli non si dimenticò dei suoi amici e conterranei, e le BUCOLICHE (la prima grande opera di Virgilio) sono proprio un atto di solidarietà nei loro confronti.

LE BUCOLICHE “Bucoliche” deriva dal greco Βουκολικά (da βουκόλος = pastore, mandriano, bovaro); sono divise in 10 ἐκλογαί, ecloghe, ovvero "poesie scelte". Si tratta dunque di canti di pastori. Protagonisti sono, infatti, pastori, che, mentre le pecore pascolano, improvvisano dei canti-poesie su vicende personali (quasi sempre poesie d’amore verso le ragazze amate). Sono divise in 10 parti. Tra queste, 3 hanno un tema diverso (la 1, la 4 e la 9). La 1 e la 9 parlano, di pastori che si trovano coinvolti in questa triste esperienza di dover lasciare le proprie terre, e così esprimono la loro tristezza: la sorte sconvolge tutto e l’uomo non si può opporre, il valore poetico di qualcuno non vale niente in guerra, non c’è pietà per le dure leggi della guerra e a soffrirne sono i poveri contadini….  la prima bucolica è un dialogo tra due pastori Titiro e Melibeo. Titiro rappresenta il poeta stesso, infatti, se ne può stare all'ombra di un verde faggio a comporre poesie e canzoni perché ha riavuto la sua terra, mentre l'amico Melibeo (che rappresenta tutti gli altri) se ne sta andando incontro ad un destino sconosciuto.

M. Tityre, tu patulae recubans sub Melibeo : Oh Titiro, tu mentre stai sdraiato sotto l’ombra di un ampio

tegmine fagi

silvestrem tenui Musam meditaris faggio, vai componendo una poesia avena:

silvestre con il tuo flauto sottile :

nos patriae finis et dulcia linquimus noi arva

(invece) lasciamo i territori della

patria ed i dolci campi 4


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Il cuore di Titiro, che è il cuore del poeta stesso, vibra

di

tristezza

e

indignazione verso questa sorte, ( mentre a lui "un Dio ha concesso questi ozi), e vuole ricordare in un’opera chi è meno fortunato di lui. Titiro spiega a Melibeo perché ha potuto mantenere le sue terre, e in Melibeo non c’è ombra d’invidia per questo. Infatti, struggente è la fine del dialogo in cui, notando "le ombre che scendono più alte dai monti e i camini delle case che cominciano a fumare" prega Melibeo di fermarsi con lui almeno per quella notte: divideranno da buoni amici quel poco che hanno.

T.

Hic

tamen

hanc

mecum

poteras Ma questa notte infine potrai riposare

requiescere noctem/fronde super viridi : sunt con me sopra (un letto di) verdi nobis mitia poma,/ castaneae molles et pressi copia lactis, /et iam summa procul villarum

fronde; noi abbiamo frutti maturi, castagne morbide ed abbondanza di latte cagliato e ormai le cime dei tetti

culmina fumant,/ maioresque cadunt altis de della città poco lontana fumano e le montibus umbrae. ombre scendono più alte dai monti.  Del tutto diverso è il contenuto della IV bucolica: questa, infatti, è una lode senza riserve ad un fanciullo che deve nascere e grazie al quale sarà riportata la pace nel mondo. Si sono fatte molte congetture su chi fosse questo 'fanciullo' 1) secondo alcuni sarebbe un probabile figlio di Augusto di cui si auspicava la nascita 2) secondo altri il figlio, appena nato dell'amico Asinio Pollione, su cui si appuntavano le speranze di molti (sarebbe stato anche un modo per ringraziarlo della sua intercessione presso Augusto) 3) secondo altri 5


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addirittura vi si potrebbe vedere un presentimento della nascita del Cristo, dal momento che era diffuso nel I sec. il desiderio di un bambino con la cui venuta al mondo "tornasse la mitica età dell'oro".

Interessante è l'apertura di questa quarta bucolica:

Sicilides

Muses,

paulo

maiora O Muse siciliane, innalziamo il canto

canamus /non omnes arbusta iuvant un po’ più in alto, non a tutti piacciono /humilisque Myricae

gli arbusti e le umili tamerici.

Virgilio chiama le sue "Muse" siciliane, perché egli si è ispirato ad un poeta greco della Sicilia, il poeta Teocriteo ( IV-III sec a.C.),

che

aveva

scritto

'gli

Idilli'

composizioni poetiche che avevano anch'esse come soggetti i pastori

e la campagna.

L'ispirazione è evidente, oltre che per le situazioni, anche per i nomi dei pastori che ricorrono in modo quasi identico. In seguito chiede ispirazione alle Muse perché gli diano l’ispirazione per cantare una materia più “alta” di un tono più elevato, rispetto ali dialoghi d’amore dei pastori. Infatti, dice, non a tutti possano piacere le poesie semplici…Per esprimere il concetto di semplice, umile, egli usa la metafora delle “tamerici”3, che, crescendo sulla subbia del mare, non hanno bisogno di acqua e di cure.  La nona ecloga, quasi alla fine delle Bucoliche, presenta lo stesso tema: protagonisti sono ancora due pastori (ma questa volta si chiamano Moeris e Lycida); entrambi sono davanti al triste destino di dover lasciare le loro

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terre ad uno sconosciuto, anzi, insieme parlano di un certo Menalca, proprietario terriero che perso le sue terre. Questa volta troviamo la stessa sorte e la stessa disperazione in entrambi i pastori. Sembrerebbe, questo, il primo momento del problema delle espropriazioni, quando Virgilio non aveva ancora ottenuto il favore di tenere le sue terre. Perché allora si trova in fondo all’opera invece che all’inizio?

Probabilmente perché Virgilio, molto sensibile verso i problemi altrui, consapevole della propria fortuna, vuole concludere l’opera con un accento di tristezza e di solidarietà verso i suoi compagni.

Ci sono molte prove a favore del fatto che la nona bucolica rappresenti il primo momento del problema:  il grande senso di amarezza pervade tutta la poesia: 

Meri:

MOERIS (w2-6)

O Lycida, vivi pervenimus, advena nostri

O Licida, siamo giunti vivi a (veder) questo:

(quod numquam veriti sumus) ut possessor

che uno straniero (cosa che mai ci saremmo

agelli / diceret: «Haec mea sunt; veteres,

aspettati) come padrone dei nostri campi ci

migrate, coloni»./ Nunc victi, tristes, quoniam

dicesse: “ queste cosa ora sono nostre,

Fors omnia versat, / hos illi (quod nec bene

andate via, vecchi contadini”. Ora noi,

vertat) mittimus haedos.

vinti, tristi, poiché LA SORTE TUTTO SCONVOLGE mandiamo i nostri capretti verso quello (straniero), -che la cosa non gli torni in bene!”

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Myricae, sarà il titolo di una delle più importanti raccolte di poesie di Giovanni Pascoli, che, volendo cantare le cose dei campi e della Natura, si rifà a questa metafora di Virgilio.

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 e in una situazione di contrasto, di guerra, la poesia non ha più nessun potere: Meri: ….ma le poesie (= il saper scrivere poesie)

MOERIS (w 13-14) sed carmina tantum / nostra valent, Lycida,

valgono tanto fra le armi di Marte quanto

tela inter Martia, quantum /….dicunt, aquila

dicono che valgano le colombe… mentre

veniente, columbas./

arrivano le aquile

LE GEORGICHE La seconda opera di Virgilio, le Georgiche4, appartiene ad un momento di vita più sereno dello scrittore. Virgilio è già entrato nel Circolo di Mecenate, ha cominciato a scrivere l’Eneide ed ha conquistato la fiducia di Augusto. In cambio, ha ottenuto di avere un podere tutto suo, vicino a Napoli, dove c’era una scuola Epicurea che frequentava5. La vita dei campi, lo rilassa e aiuta la sua ispirazione. Apparentemente, quest’opera è un manuale di agricoltura. Ma solo apparentemente…. Le Georgiche sono composte da quattro libri : 1) si apre con la dedica a Mecenate e la classica invocazione agli dei e alle Muse 2) è dedicato alle piante in genere ma in particolare alla vite e all'olivo, da sempre considerate le piante tipiche dell'Italia 3)è dedicato all'allevamento del bestiame 4) riguarda l'allevamento delle api. Le api sono essenziali, sia come fonte della sostanza con cui addolcire i cibi, sia perché esse costituiscono l’esempio ideale

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(dal greco γεωργικός= agricoltura) E’ la Scuola dei filosofi Sirone e Filodemo, che insegnavano l’epicureismo. La Scuola di Sirone, a Posillipo, fu “ereditata” o acquistata da Virgilio dopo la morte del filosofo . (http://digilander.libero.it/nonnatrastulli/La%20Campania%20in%20%20Virgilio.pdf ) 5

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di “governo”: ognuno sa cosa deve fare e ubbidisce ad una regina. Ognuno sta al suo posto…

L'occasione di scrivere le Georgiche venne a Virgilio da un espresso invito di Mecenate al quale, come si è visto, il poema è dedicato. L’intento era di contribuire all'incoraggiamento dell'agricoltura, uno dei punti fondamentali della propaganda augustea: di fronte alla profonda crisi determinata dalle guerre civili, alle campagne abbandonate, alla decadenza dei valori religiosi, alla minaccia dei popoli barbari che premevano ai confini dell'impero, Virgilio indica nei buoni valori della terra l’unico modo per ritornare al Mos Maiorum e per dare esempi, dunque, di comportamento ai cittadini romani dell’età augustea. Il cittadino ideale, dunque, è l’homo pius, il bonus agricola, che ricava dalla vita in campagna i comportamenti che l’uomo dell’età di Augusto doveva avere.

Le Georgiche sono un'opera fatta per aiutare i coltivatori dei campi, i contadini che curano personalmente la terra. Lo stato d'animo del poeta, come si è detto, è più appagato, sereno, quasi. Tant'è vero che , se nelle Bucoliche Virgilio diceva "sors omnia versat" (la sorte sconvolge tutto) ora dirà "labor omnia vicit improbus"( il duro lavoro vince ogni male). Nel 29 a.C Virgilio iniziò la composizione dell'Eneide, che Augusto seguiva con grande interesse, e il poeta Properzio annunziava come qualcosa che stava nascendo"più grande dell'Iliade". Nel 19 Virgilio volle recarsi in Grecia per dare l'ultima mano al suo poema, tornato a Brindisi, vi morì lo stesso anno. Le colonne a Brindisi di fronte all’abitazione dove si dice sia morto Virgilio. (https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=4362038) Vedi anche : http://www.salentoacolory.it/la-casa-virgilio-brindisi/

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Morendo affidò il manoscritto agli amici, pregando di non pubblicarlo, ma Augusto non lo permise e lui stesso ne seguì le fasi di stampa. L’ENEIDE “Eneide (Aeneis): poema epico composto forse fra Napoli e Roma, in dieci anni (tra il 29 a.C. e il 19 a.C.) è suddiviso in dodici libri. Opera monumentale, considerata dai contemporanei della stregua di un'Iliade latina, fu il libro ufficiale sacro all’ideologia del regime di Augusto sancendo l'origine e la natura divina del potere imperiale. Naturalmente il modello fu Omero. Essa narra la storia di Enea, esule da Ilio e fondatore della divina gens Iulia. Il poema rimase privo di revisione, e nonostante Virgilio prima di partire per l'Oriente ne avesse chiesta la distruzione e ne avesse vietata la diffusione in caso di sua morte, esso fu pubblicato per volere dell'imperatore” (da Wikipedia)

Dopo che Ottaviano vinse nella battaglia di Azio (31 a.C.) e divenne imperatore con il titolo di Augusto, Virgilio fu chiamato a celebrarne le origini mitiche con un poema epico. Per mostrare che la potenza di Roma era voluta dal fato Enea ricorre ai vaticini alle profezie e ai colloqui con l’oltretomba. Così quando nel I libro Venere va da Giove, perché vede che per l’ira di Giunone i Troiani erano in pericolo, e teme che essi non possano giungere alla terra del Fato, si sente rispondere: “Hiis ego nec metas rerum nec tempora pono…imperum sine fine dedi”6. E poi, nel II libro, Enea racconta che, quando si accorge che nella corsa verso le navi la moglie Creusa non è più con lui, torna indietro nell’incendio, ma gli appare Creusa che gli dice:

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Per questi io non pongo limiti di spazio e tempi…ho deciso (per loro) un impero SENZA FINE

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“…non haec sine numine divum

" ….. Queste cose non accadono senza il volere

eveniunt; nec te comitem hinc portare Creusam

degli dei; nè ti è lecito portare di qui Creusa come

fas, aut ille sinit superi regnator Olympi.

compagna,

longa tibi exsilia et vastum maris aequor

o lo permette lui, i re del celeste Olimpo. Lunghi gli esili per te e la vasta distesa del mare

arandum,

da solcare,

et terram Hesperiam venies, ubi Lydius arva

e giungerai alla terra Esperia, dove il lidio Tevere

inter opima virum leni fluit agmine Thybris.

tra campi fecondi di semi scorre con lieve corso.

illic res laetae regnumque et regia coniunx

Lì (avrai) sorti propizie e regno e sposa regina,

parta tibi”

fatti per te…..".

E così, quando nel VI libro Enea incontra il padre Anchise negli Inferi, ascolta da lui il vaticinio secondo il quale la grandezza di Roma avrà il compito di essere benevola con i vinti e di opprimere i superbi “parcere subiectos et debellare superbos”(perdonare i vinti e sconfiggere i superbi). E nell’VIII libro attraverso la descrizione dello scudo di Enea si celebrano le glorie di Augusto e di tutta la casa Giulia. Enea riflette l’animo di Virgilio, che ha subito dolorosamente la guerra e ne conosce tutti i dolori. Il poeta, infatti, piange spesso la morte di giovani innocenti (Lauso, Eurialo, Niso) ed anche nell’Eneide è presente quel dolore che si notava nella Bucoliche e nelle Georgiche. Ma l’autore pensa che ogni dolore debba essere sopportato per dare degna origine a Roma ed è questo lo scopo per cui, partendo da Troia Enea affronta le incognite di un lungo e pericoloso viaggio, ed è questo lo scopo per cui tanti giovani eroi moriranno prima di arrivare nel Lazio e vincere, finalmente, le popolazioni locali.

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Focus: ENEA, eroe “pius” Nel poema virgiliano dell’"Eneide" emerge la figura del protagonista Enea, inteso come "eroe” e “pius". Questo concetto tramandatoci dalla classicità romana sembra entrare in crisi se si prende in considerazione Enea nelle vicende che affronta nel Lazio. L’assurdo è costituito dal fatto che all’eroe ed al pius - proprio perché sia tale - è chiesto di annullare i valori dell’eroismo e della pietà umana sostituendoli con un’inflessibile devozione al Fato.

Il Lazio è per Enea la terra del Fato, ma una volta raggiunto, egli si trova costretto ad essere per il Lazio l’uomo di quel Fato, la causa della desolazione per tutti quelli con cui entra in contatto, assolutamente al di là e Enea fugge con il padre Anchise

contro la sua scelta personale. Enea accetta di essere il genero atteso da Latino. Questo lo rende responsabile di tutte le stragi che avverranno e dello sconvolgimento della casa di Latino. Enea rappresenta anche UN NUOVO TIPO DI EROE:  Egli opera scelte diverse, grazie alle quali si trasforma dall’antico eroe che lotta in armi anche di fronte ad un inevitabile scacco, al "nuovo" eroe che sceglie la fuga, senza più sentirla come una viltà, ma come una dolorosa necessità imposta dal Fato.  Sono, infatti, i prodigi che lo costringono a convincere Anchise alla partenza e quindi a farlo desistere dal ritornare in battaglia: la fuga, l’esilio, l’assunzione del nuovo ruolo coincidono con il volere degli dei. Un eroe omerico non sarebbe mai fuggito mentre la propria città moriva. Il nuovo eroe, invece, osserva scrupolosamente il volere divino, proprio in nome di quella che sarà la sua caratteristica dominante, "la pietas", l’obbedienza agli dei: una caratteristica dell’età di augusto (forse anche un 12


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implicito suggerimento di cosa Augusto voleva che i suoi sudditi facessero nei suoi confronti??). Una cosa simile non faceva parte dei poemi epici e delle cittadelle micenee.  Inoltre, nel momento in cui Enea veste i panni del naufrago e del viaggiatore, sua peculiarità non è la capacità di attendere, di riflettere, la “métis", insomma, ma sempre la pìetas, che porta ad un successo meno solitario di quello degli eroi omerici (Ulisse, Achille) ma, nello stesso tempo, è più faticoso e doloroso.  Enea ricopre il ruolo di un personaggio sdoppiato: da una parte c’è il dovere della missione da compiere, come gli hanno chiesto gli dei; dall’altra ci sono i suoi sentimenti privati come innamorarsi di Didone, credere che ogni approdo sia la città giusta…e la sua capacità di rinunciare ad essi in nome di una più urgente esigenza. Enea è un personaggio triste, spesso solo nelle decisioni e nelle responsabilità.  Alla fine Enea non E’ IL PERSONAGGIO CHIESTO DA AUGUSTO, probabilmente. Augusto difficilmente avrebbe chiesto di delineare il suo avo leggendario con un animo così tormentato, tipico di un eroe UBBIDIENTE, ma non CONVINTO di ciò che fa, forse. Infatti, l’Eneide è spesso descritta come il poema del dolore ( vastissimo è il campo semantico del dolore7)

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Vedi http://www.commentariaclassica.altervista.org/gagliardi.pdf

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Focus: da dove viene l’espressione “Roma, caput mundi” Da wikipedia

Roma capitale imperiale all'apice dell'espansione territoriale

L'espressione latina caput mundi, riferita alla città di Roma, significa capitale del mondo noto, e si ricollega alla grande estensione raggiunta dall'impero romano tale da fare - secondo il punto di vista degli storiografi imperiali - della città capitolina il crocevia di ogni attività politica, economica e culturale mondiale. La prima testimonianza la abbiamo da Livio (Tito Livio, Ab Urbe condita libri, I, 16): parlando della morte di Romolo egli riporta la leggenda che durante un comizio davanti al popolo fu circondato da una nube (un temporale? Un prodigio?) dopo di che Romolo era scomparso. Grande fu il turbamento di tutti. Alla fine, un senatore anziano venne in pubblico e disse che gli era apparso Romolo e gli aveva detto di riferire queste parole ai Romani: « "Abi, nuntia"" inquit ""Romanis, caelestes ita velle ut mea Roma caput orbis terrarum sit; proinde rem militarem colant sciantque et ita posteris tradant nullas opes humanas armis Romanis resistere posse."" »

« "Va' e annuncia ai Romani che la volontà degli dei celesti è che la mia Roma diventi la capitale del mondo. Quindi si impratichiscano nell'arte militare e sappiano e tramandino ai loro figli che nessuna umana potenza è in grado di resistere alle armi romane."»

L'espressione caput mundi venne utilizzata anche da  Il poeta latino Lucano nella sua Pharsalia(Marco Anneo Lucano, Pharsalia, II, 655-656): « ipsa, caput mundi, bellorum maxima merces, Roma capi facilis [...] »

« la stessa Roma, capitale del mondo, la più importante preda di guerra, agevole a soggiogarsi [...] »

 da Ovidio negli Amores (Ovidio, Amores, I, 15, 25-26): 14


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« Tityrus et fruges Aeneiaque arma legentur, Roma triumphati dum caput orbis erit »

« Titiro e le messi e le armi di Enea si leggeranno finché Roma sarà la capitale del mondo soggiogato »

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fine

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