EyeSee 3/2021

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ANNO III

/2021

RIVISTA SCIENTIFICA E DI INFORMAZIONE OFTALMOLOGICA

PER ASPERA AD ASTRA

Attraverso le difficoltà dell’emergenza sanitaria, le nuove tendenze e le criticità della terapia intravitreale e della gestione del paziente

APPROFONDIMENTO LARGO AI GIOVANI L’Uroboro di Asclepio

Verso dove nessuno è mai giunto prima

CASI DA INCUBO Tight roll, lose temper?

FGE S.r.l.-Reg. Rivelle 7/F - 14050 Moasca (AT) - Redazione: Strada 4 Milano Fiori, Palazzo Q7 – 20089 Rozzano (MI) - Anno III - N. 3/2021 - Trimestrale



Sommario Redazione Timothy Norris Laura Gaspari, MA redazione@eyeseenews.it www.eyeseenews.it

2 Editoriale 4 Cover Topic

PER ASPERA AD ASTRA

Pubblicità info@fgeditore.it tel 01411706694

10 Riflettori sull’Esperto

Direttore responsabile Ferdinando Fabiano f.fabiano@fgeditore.it

14 Largo ai Giovani

Grafica e impaginazione Cristiano Guenzi Coordinamento scientifico Vittorio Picardo, MD Hanno collaborato a questo numero: Pasquale Aragona, MD, PhD Francesco Bandello, MD, FEBO Fabio Briganti, Zeiss Carlo Cagini, MD Ciro Caruso, MD Giamberto Casini, MD Filippo Cruciani, MD Paolo Lanzetta, MD Silvano Larcher, Hoya Massimo Ligustro, Comitato Macula Luigi Mele, MD, PhD Sorcha Ní Dhubhghaill, MD, PhD, MRCSI(Ophth) FEBOS-CR Paolo Nucci, MD, FEBO Giorgio Parisotto, Essilor Jack Parker, MD, PhD Paolo Pettazzoni, Optovista Andrea Piantanida, MD Matteo Piovella, MD Emilio Rapizzi, MD Magda Rau, MD Giuseppe Scarpa, MD Daniele Tognetto, MD Rolando Toyos, MD Omer Trivizki, MD Pasquale Troiano, MD Editore FGE srl – Fabiano Gruppo Editoriale Redazione: Strada 4 Milano Fiori, Palazzo Q7 – 20089 Rozzano (MI) Sede legale: Regione Rivelle, 7 14050 Moasca(AT) Tel 0141/1706694 Fax 0141/856013

UNA MANO TESA VERSO IL PROSSIMO

VERSO DOVE NESSUNO È MAI GIUNTO PRIMA

20 Casi da Incubo

TIGHT ROLL, LOSE TEMPER?

24 Approfondimenti

LA CAMPAGNA OCCHIO SECCO: LA PREVENZIONE E IL PERCORSO PER LA VISITA SPECIALISTICA PASSA IN FARMACIA

28 Approfondimenti

L’UROBORO DI ASCLEPIO

32 Approfondimenti

IL CROSS LINKING CORNEALE

34 Approfondimenti

L’AZIONE ANTALGICA DEI FANS

36 Eventi Congressuali 40 Tecniche Chirurgiche PIÙ SEMPLICE, PIÙ VELOCE, PER PIÙ PAZIENTI

42 Ottica Fisiopatologica LENTI FREE FORM, PARTE 2

44 Dal Mondo dell’Ottica 46 News dalle Aziende

Registrazione presso il Tribunale di Asti n. 1/2020 del 05/02/2020 Copia omaggio

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Editoriale

UN INVITO AL DIALOGO

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Di Massimo Ligustro, Presidente Comitato Macula

Tutte le interviste contenute in questo numero sono consultabili collegandosi al sito:

www.eyeseenews.it 2

Anche per un paziente affetto da una patologia oculare trattabile solo con la terapia intravitreale, il 2020 è stato un annus horribilis. Come per moltissimi altri malati sottoposti a terapie croniche, la pandemia di COVID ha reso particolarmente difficile la gestione delle patologie oculari, ha ridotto gli accessi e ha imposto contromisure tali da trasformare una terapia già non priva di difficoltà come quella intravitreale in una nostra personale odissea. Come Presidente del Comitato Macula, ho raccolto in questi mesi le esperienze e le vicissitudini di molti pazienti che ad oggi ancora non sono riusciti ad ottenere un ripristino a regime della terapia a causa della pandemia, lanciando, assieme al Dottor Danilo Mazzacane, al Professor Massimo Nicolò e al Gruppo Oculisti Ambulatoriali Liberi, delle iniziative rivolte ad offrire tutto l'aiuto possibile al paziente maculopatico. Da questo sforzo comune è nato in particolare il servizio di libera consulenza medica telefonica SOS Macula, assieme ad altre campagne di prevenzione di grande successo. Essendo un paziente maculopatico io stesso, ho visto ed ho avuto la possibilità di apprezzare in prima persona il mirabile sforzo compiuto dai medici oftalmologi del nostro Paese, alla costante ricerca di soluzioni atte a garantire la continuità e la qualità del servizio ai pazienti nonostante le mille difficoltà. Sono stati gli stessi medici a dare valore e fiducia alle associazioni di pazienti, nella consapevolezza che solo con uno sforzo congiunto sarebbe stato pos-

sibile ridurre al minimo l'abbandono della terapia. In questo modo è stato possibile iniziare a delineare un percorso: da una parte ci si adoperava per mantenere il paziente informato e seguito, dall'altra si facilitava il lavoro di entrambe le parti con un'uscita graduale dalla sala operatoria, l'apertura di clean rooms dedicate alle iniezioni intravitreali e l'adozione di tecnologie adeguate come il carrello a flusso laminare. Nonostante le difficoltà e l'irreparabile danno inflitto dalla pandemia alla nostra salute, vedere medici, pazienti e associazioni di categoria lavorare insieme ad un obiettivo comune è stato di grande conforto. Tuttavia, a poco più di un anno dalla fondazione del Comitato Macula, e alla vigilia del nuovo anno, il primo rintocco del 2021 non è stato a festa. Il 28 dicembre 2020, l'AIFA ha emanato la Nota 98, regolando severamente il protocollo e sconsigliando l'uso di ogni spazio al di fuori della sala operatoria per le intravitreali, rendendo di fatto pressoché impraticabili soluzioni innovative come le clean rooms e imponendo un rigido passo indietro rispetto ai progressi ottenuti con fatica nel tentativo di adattarsi alla pandemia tutt'ora in corso. Ciò che ha fatto la Nota 98 è stato gettare sale su una ferita già aperta. Che la terapia intravitreale sia sempre stata onerosa per il Sistema Sanitario Nazionale è ben noto, specialmente a livello ministeriale. Ad aggravare ulteriormente la già complessa situazione attuale, la politica


Ciò che ha fatto la Nota 98 è stato gettare sale su una ferita già aperta

Massimo Ligustro

Massimo Ligustro

in merito al trattamento intravitreale è da sempre fortemente orientata al risparmio a discapito del paziente, dissuaso dal rivolgersi al pubblico in quanto le terapie più recenti ed efficaci sono disponibili unicamente rivolgendosi, a proprie spese, al settore privato. Un problema che affligge le categorie meno abbienti della popolazione e che potrebbe essere gradualmente risolto con il dialogo tra le parti. Alle sfide imposte dalla pandemia, i medici hanno risposto rafforzando il dialogo con il paziente, tracciando un percorso comune verso un miglioramento e un superamento de-

gli standard antecedenti la crisi sanitaria, con iniziative di gran pregio. Oggi, tuttavia, è necessario nuovamente chiedere a gran voce un miglioramento dell'accessibilità, il rispetto delle tempistiche e la garanzia della massima sicurezza ed efficacia delle terapie intravitreali. Soluzioni che potrebbero essere facilmente ottenute con una regolamentazione delle clean rooms e l'adozione da parte del Sistema Sanitario Nazionale di farmaci più specifici a beneficio del paziente. Abbiamo già accolto la mano tesa di una gran parte della comunità medica. Ora è il turno della politica. 3


Cover Topic

PER ASPERA AD ASTRA Attraverso le difficoltà dell’emergenza sanitaria, le nuove tendenze e le criticità della terapia intravitreale e della gestione del paziente nella riflessione di tre specialisti italiani.

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Intervista al Dottor Giuseppe Scarpa, Direttore dell’UOC di Oculistica dell’Ospedale Ca’ Foncello di Treviso, al Professor Daniele Tognetto, Direttore della Clinica Oculistica dell’Università di Trieste e al Professor Carlo Cagini, Direttore della Clinica Oculistica dell’Università di Perugia. Per collegarsi al video, scansionare il codice QR

Dottor Giuseppe Scarpa, Direttore dell’UOC di Oculistica dell’Ospedale Ca’ Foncello di Treviso

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Lo stato di emergenza sanitaria causato dalla pandemia da COVID-19 tutt’ora in corso ha cambiato radicalmente, e in particolare nei suoi momenti di picco, le abitudini e le procedure cliniche degli specialisti di tutto il mondo. Oggi, anche grazie alla campagna di vaccinazione estesa in tutti i continenti, la possibilità di tornare alla normalità antecedente la crisi sta iniziando piano piano a diventare sempre più una realtà. Dopo un periodo di complessità organizzative e la necessità di continuare, anche in condizioni difficoltose, terapie non differibili come le terapie intravitreali per salvaguardare la qualità del visus dei pazienti, gli specialisti italiani si interrogano sulla validità delle procedure adottate. Quali tenere e quali lasciare in serbo per le prossime emergenze. “Nel momento in cui il COVID stava colpendo più duramente, alcune attività sono rimaste bloccate, sono state spostate o sono state gravemente compromesse nel processo di repentina transizione”, ricorda Giuseppe Scarpa, Direttore della UOC di Oculistica e Direttore del Dipartimento di Chirurgie Specialistiche dell’Ospedale di Treviso. “La somministrazione endovitreale dei farmaci anti-VEGF ha delle tempistiche che devono essere rispettate; una terapia che porta con sé un importante volume di procedure che devono essere erogate. Bloccare anche solo una parte di tutto il processo avrebbe compromesso seriamente la qualità della vista di molti pazienti”, osserva. “Durante le fasi più aggressive della pandemia le sale operatorie avevano smesso completamente o in gran parte di essere agibili e questo ha

messo gli oftalmologi davanti alla necessità di capire come fronteggiare questa problematica”, aggiunge. PER ASPERA In una simile situazione, la ricerca di una soluzione e di una procedura innovativa che conciliasse la necessità di spazi e il controllo del flusso dei pazienti è diventata una priorità per tutta la comunità oculistica, in primis allo scopo di salvaguardare la vista dei propri pazienti. “Durante la prima ondata, Treviso era uno dei centri più duramente colpiti dal COVID e la sala operatoria era completamente inagibile”, ricorda Scarpa. “Avevamo un carrello a flusso laminare e ho quindi deciso, in accordo con la Direzione Sanitaria, di creare delle salette iniettive al di fuori della sala operatoria e al di fuori dell’ambulatorio chirurgico dove già in precedenza erano state migrate le somministrazioni intravitreali. Una scelta che aveva inizialmente creato delle titubanze, proprio per la forte uscita dagli schemi rispetto a ciò che si era abituati a fare”, osserva. “Tuttavia l’alternativa era quella di sospendere le iniezioni e questo avrebbe causato un danno irreparabile a migliaia di pazienti. Alla fine la decisione di usare il carrello a flusso laminare e creare così una sala iniettiva con alti standard qualitativi è stata approvata”, aggiunge. “Sotto il punto di vista organizzativo è stata una soddisfazione”. “Abbiamo faticato nel cercare di mantenere la disponibilità di trattamento per i nostri pazienti”, racconta Carlo Cagini, Direttore della Clinica Oculistica dell’Università di Perugia. “Dovevamo trovare nuove soluzioni, non avendo ancora un carrello a flus-


di Timothy Norris

Durante le fasi più aggressive della pandemia le sale operatorie avevano smesso completamente o in gran parte di essere agibili e questo ha messo gli oftalmologi davanti alla necessità di capire come fronteggiare questa problematica

Giuseppe Scarpa

Professor Daniele Tognetto, Direttore della Clinica Oculistica dell’Università di Trieste

so laminare. In attesa di fare il salto di qualità con un carrello personale, ci siamo mossi a trovare ambulatori chirurgici già dotati di questa tecnologia. Nel frattempo il numero di pazienti che non si presentava per il trattamento continuava a crescere, con una diminuzione che ha toccato il venti per cento”, osserva il Professor Cagini. “Questo nonostante la presenza di tutte le procedure per la loro salvaguardia, dal tampone, al distanziamento, alla gestione dei tempi”, aggiunge. Sul dorso dell’ultima ondata di COVID, la forte spinta all’adattamento, necessaria a mantenere a galla la gestione e la cura del paziente, ha aperto la via ad una riflessione su ciò che è stato necessario fare e ciò che è possibile ricavare dell’esperienza. “Situazioni di crisi come questa costringono a rivedere i protocolli operativi, riorganizzando tutte le procedure per ottenere l’ottimizzazione dei percorsi diagnostici e terapeutici”, spiega Daniele Tognetto, Diret-

tore della Clinica Oculistica dell’Università di Trieste. “Le iniezioni intravitreali sono state sospese solo per un breve periodo grazie al fatto che esse venivano già effettuate in un ambulatorio chirurgico di classe A, ben strutturato, di semplice accesso, e completamente indipendente dalla sala operatoria, ma vicino al reparto di degenza”, spiega ancora. “Nei momenti di picco pandemico il nostro reparto è stato trasformato in un reparto COVID e perciò siamo stati costretti ad effettuare le iniezioni intravitreali in sala operatoria con la procedura dei tamponi e degli accessi controllati ad essa legati. Abbiamo registrato una diminuzione nel numero di trattamenti e di conseguenza abbiamo rivalutato tutte le procedure per garantire un accesso dei pazienti più snello, veloce e sicuro, sia per evitare assembramenti che per fornire al paziente la massima sicurezza”, aggiunge il Professor Tognetto. “Ognuno di noi ha usato le strutture che aveva a disposizione fin quando ha potuto, salvo poi cercare una soluzione alternativa quando ciò non fosse più possibile. Tuttavia, in questo periodo, ci si è resi conto che portare le iniezioni intravitreali fuori dalla sala operatoria è fattibile”, osserva Scarpa. “Una volta finita l’emergenza COVID, il fatto di avere una clean room dedicata, con tutti i vantaggi che essa ha portato in termini di logistica e rapidità, dovrebbe essere da considerare come alternativa all’ambulatorio chirurgico”, suggerisce. “Quest’ultimo è già un passo avanti rispetto alla sala operatoria, ma non è ottimale per la nostra attività quanto una clean room dedicata”, aggiunge Scarpa.

Secondo Cagini, l’uscita delle iniezioni intravitreali dalla sala operatoria non comporta maggiori rischi per il paziente, ma deve essere un’opzione percorribile. “La tendenza verso uno snellire questo processo portandolo fuori dalla sala operatoria, ed eventualmente fuori dall’ambulatorio chirurgico, c’è”, spiega Cagini. “Le evidenze cliniche che abbiamo raccolto in questo periodo su cinquemila iniezioni non indicano un più alto tasso di endoftalmiti, anzi, mostrano addirittura una leggera riduzione. Un dato, questo, in linea anche con molte esperienze estere”, osserva. “Muoversi in questa direzione è possibile: i vantaggi clinici ci sono e ancor più i vantaggi organizzativi. Occorre che qualcuno faccia il passo, che proponga questa modalità organizzativa alle Direzioni Sanitarie, che faccia pressione sul settore tecnico in modo da indirizzare i percorsi verso una standardizzazione del processo, e ottenere così maggiori garanzie per il salto di qualità”, afferma il Professor Cagini. NOTA 98 La volontà di uscire dalla sala operatoria si pone in netto contrasto con l’istituzione della Nota 98 AIFA del 28 dicembre 2020, relativa alla prescrizione, a carico del SSN, e alla somministrazione intravitreale di anti-VEGF nella AMD e DME, che definisce la regolamentazione e i requisiti per effettuare iniezioni intravitreali limitate a spazi chirurgici ben identificati. L’istituzione della Nota 98 ha scatenato reazioni da parte non solo di associazioni di medici, ma anche da parte di associazioni di pazienti maculopatici.

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Cover Topic Situazioni di crisi come questa costringono a rivedere i protocolli operativi, riorganizzando tutte le procedure per ottenere l’ottimizzazione dei percorsi diagnostici e terapeutici

Daniele Tognetto

“Dal punto di vista normativo in merito alla somministrazione di farmaci intravitreali al di fuori della sala operatoria ci sono alcuni vuoti. D’altra parte nel consultare la Nota 98 di AIFA sono descritte norme precise riguardo al setting in cui operare”, osserva il Professor Tognetto. “Secondo la Nota 98 le iniezioni intravitreali dovrebbero essere effettuate in un ambiente idoneo alla chirurgia della cataratta, e questo può costituire un elemento di difficoltà”, osserva. “In questo ambito va precisato che l’ambulatorio di classe A è un ambulatorio chirurgico dove è possibile effettuare le iniezioni intravitreali. Esso rispetta infatti requisiti precisi come, ad esempio, pareti continue lavabili, uno spazio per il lavaggio del chirurgo, una superficie non inferiore ai sedici metri quadri che di fatto lo rendono assimilabile ad una sala operatoria”, aggiunge Tognetto. Nella necessità di mantenere stabile e ottimizzata una gestione del flusso di pazienti che necessitano di terapie continuative periodiche come quelle intravitreali e l’esigenza di soddisfare un sempre crescente numero di richieste deve andare

Professor Carlo Cagini, Direttore della Clinica Oculistica dell’Università di Perugia

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di pari passo con un miglioramento del processo logistico. “È giusto snellire, fino ad un certo punto”, afferma Scarpa. “Gestire quest’emergenza pandemica ha nuovamente confermato quanto l’oculista sia un professionista abituato a gestire numeri molto elevati, con una mentalità organizzativa innata legata alle caratteristiche tipiche della propria specializzazione. Decidere autonomamente di optare per una saletta iniettiva e spingere al massimo ha migliorato notevolmente tutto il processo. Con la saletta iniettiva il tempo di attesa del paziente nella struttura si è ridotto drasticamente, il numero di iniezioni giornaliere è aumentato e il tempo tra una procedura e l’altra è diminuito”, osserva. “Non ci sono più sale d’attesa intasate, c’è più flessibilità perché viene meno la condivisione della sala con altre specialistiche. Ciascuno che con le proprie modalità organizzative ha avuto in questo periodo uno spazio da gestire ha avuto modo di migliorare il flusso di pazienti e ha potuto notare questa cosa”, sostiene Scarpa. “Questo è un elemento positivo che dobbiamo considerare sulla base di quello che abbiamo vissuto in quest’ultimo periodo”. IN MEDIO STAT VIRTUS Definire quale possa essere la massima ottimizzazione delle procedure è importante per comprendere gli standard positivi, contrapposti ad approcci più estremi che possono al contrario creare problemi procedurali. Secondo il Dottor Scarpa il sistema “one stop clinic”, opposto della procedura in sala operatoria, non è privo di problematiche. “In gran parte degli Stati Uniti si vede il paziente, si fa la diagnosi e si fa l’iniezione il giorno stesso. ‘One stop clinic’ è l’approccio per risolvere il problema nello stesso momento in cui lo si identifica”, osserva Scar-

pa. “È una cosa bellissima per il paziente, ma è molto stressante per le organizzazioni che devono gestire proattivamente questo tipo di procedura. Il carico e scarico delle fiale, la preparazione del paziente e tutte le altre procedure non è una mole impossibile con uno spazio autonomo, ma resta complessa dal punto di vista gestionale”. “Una procedura ‘one stop clinic’ sarebbe auspicabile, ma è piuttosto complicata”, sostiene il Professor Tognetto. “Fare diagnosi e iniezioni nella stessa giornata sarebbe estremamente efficace soprattutto nel trattamento di patologie come l’AMD in cui la terapia tempestiva ha una grande importanza. Tuttavia, nelle strutture con alti volumi di trattamento con cinquemila, settemila, o diecimila iniezioni l’anno sarebbe molto difficile immaginare un approccio di questo tipo per l’enorme mole di lavoro amministrativo”. “Sarebbe molto positivo poter optare per il trattamento lo stesso giorno, magari con qualche ora di tempo tra diagnosi e trattamento. Ovviamente nel rispetto del paziente che ha il diritto di conoscere meglio la sua condizione e di pensarci anche qualche giorno. Questi trattamenti dovrebbero essere concentrati in strutture particolari, dedicate esclusivamente a questa categoria di pazienti”, afferma Cagini. “Ovviamente dovrebbe essere un centro specifico e dedicato, con un’attrezzatura adatta. Forse non siamo ancora pronti al salto di qualità, ma qualcuno prima o poi potrebbe pensare ad organizzare una struttura adibita a questo scopo preciso”, si auspica. “Potrebbe essere utile in area territoriale. Magari gestito da due o più ospedali assieme piuttosto che avere ognuno la propria singola linea iniettiva. Una simile soluzione ipotetica garantirebbe ritmi più serrati e una maggiore specializzazione nella


gestione del flusso dei pazienti”, sostiene il Dottor Scarpa. “Dall’altra parte, con una soluzione del genere si rischierebbe di perdere in parte il contatto con il paziente, e non sarebbe molto semplice per lo specialista affidare un proprio paziente ad una struttura terza”, sottolinea. “Un centro di alta specializzazione, sia per la diagnosi che per il trattamento, sarebbe una buona soluzione per elevare ulteriormente la qualità del servizio”, spiega Cagini. “In fondo è già dimostrato da studi real-life che una migliore precisione diagnostica, una tempestività del trattamento e una regolarità nei controlli sono tutti elementi che riducono il peso della terapia e aumentano i suoi benefici, e tutto questo a vantaggio del visus del paziente”, aggiunge. “A prescindere dalla realizzazione pratica, un sistema di specializzazione avrebbe tutti questi lati positivi”. VECCHIE ABITUDINI, NUOVE PROPOSTE Nella previsione di una nuova e più snella procedura nel trattamento intravitreale dei pazienti, alcuni punti procedurali rimangono, per Scarpa, Cagini e Tognetto, assolutamente saldi ed ineludibili. “Sul setting si può discutere, ma non sulla preparazione del campo operatorio”, puntualizza il Professor Cagini. “Così come qualsiasi altra chirurgia oculare, bisogna essere ferrei. Stru-

mentazione sterile, mascherina, guanti, cappellino, tutto è imprescindibile”. “La preparazione del campo operatorio nelle iniezioni intravitreali è una prassi irrinunciabile che deve includere la disinfezione della cute, l’applicazione del telino oftalmico e il posizionamento del blefarostato”. aggiunge Tognetto. Un altro elemento imprescindibile è la scelta prudente di non optare per le iniezioni bilaterali. “Solo in casi davvero limite opto per un trattamento bilaterale”, spiega Scarpa. “È una questione di prudenza, un retaggio che viene dalla nostra chirurgia”. “Non è prudente effettuare un trattamento intravitreale contemporaneamente in entrambi gli occhi”, sottoscrive Tognetto, “anche se sarebbero gradite al paziente che vedrebbe ridurre il numero degli accessi in ospedale”. “Nel timore di un effetto sistemico è molto meglio andare prudenti”, aggiunge Cagini. A fronte anche della crescente antibioticoresistenza, la preparazione preiniettiva del paziente si è ulteriormente spostata verso soluzioni alternative. “Ci sono evidenze che l’uso dell’antibiotico non sia più efficace di altre forme di disinfezione, oltre che contribuire alla formazione di resistenze batteriche che possono portare ad infezioni più aggressive”, afferma Scarpa. “Non uso più l’antibiotico né prima, né dopo l’iniezione,

e devo dire che se la scelta qualche anno fa mi dava qualche preoccupazione, i numeri che ho ottenuto mi hanno molto confortato”, aggiunge. “L’uso dell’antibiotico perde ancora più di senso quando la preparazione dello spazio operatorio è ottimale”, aggiunge Carlo Cagini. Un’abitudine messa in discussione è la visita di controllo il giorno successivo all’iniezione. “Nel periodo pre-pandemico effettuavamo i controlli il giorno dopo l’iniezione”, spiega Tognetto. “Con la pandemia abbiamo dovuto limitare il numero dei controlli del primo giorno, anche con il conforto della letteratura e all’esperienza di numerosi colleghi che già avevano rinunciato ad eseguire questi controlli”. “Il controllo post-operatorio ad un giorno durante la pandemia è stato eliminato in favore di un’istruzione data al paziente di presentarsi se riscontrava anche il minimo problema”, spiega Cagini. “È stata una decisione in linea con la letteratura, e in più con le visite il giorno dopo si rischia sempre di dare un senso di sicurezza nel paziente quando è dal quinto giorno che emergono con più facilità eventuali infezioni”, osserva. “Oggi abbiamo reso la visita del giorno dopo opzionale, più allo scopo di mantenere un buon rapporto con il paziente”. “Ai pazienti diamo un foglietto illustrativo in cui descriviamo tutti i possibili sintomi che si possono riscontrare, e in quali casi si consiglia di rivolgersi a noi”, spiega Scarpa. “Li si invita a non trascurare alcun dettaglio”. AD ASTRA Gli anni difficili per la pratica medica hanno portato ad un ripensamento delle procedure allo scopo di migliorare l’efficienza terapeutica a vantaggio del medico e del paziente. Efficacia del trattamento, gestione del flusso dei pazienti, ma anche un migliore rapporto con il paziente e un minore peso terapeutico per una maggiore aderenza al trattamento; secondo Scarpa la pandemia da COVID-19 è stata, nonostante tutto, un’occasione per riflettere. “Questo periodo particolare ha creato molte difficoltà, ma anche l’occasione di un brainstorming, ed ha offerto nuove opportunità. Penso che ciascuno dovrà, nella propria realtà, identificare il percorso

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Cover Topic Un centro di alta specializzazione sia per la diagnosi che per il trattamento sarebbe una buona soluzione per elevare ulteriormente la qualità del servizio

Carlo Cagini

L’uso del carrello a flusso laminare durante un’iniezione intravitreale presso l’Ospedale Ca’ Foncello di Treviso

più sicuro con coraggio, fiducia e positività, ma senza pericolose fughe in avanti che possono portare a problemi”, afferma Giuseppe Scarpa. “Oggi, cose che sembravano insormontabili dieci anni fa sono state superate con pazienza e buona volontà, e così sarà anche per il futuro”, conclude. “Che cosa ci riserva il futuro?” Si interroga il Professor Tognetto. “Assieme al miglioramento dei risultati clinici sta aumentando il numero di pazienti che necessitano del trattamento intravitreale. Ciò si deve 8

all’aumento dell’età media e al miglioramento delle tecniche diagnostiche che contribuiscono ad identificare più precocemente i pazienti da trattare. È quindi inevitabile l’aumento del numero di trattamenti del quale ogni struttura sanitaria dovrà farsi carico. Per fortuna si stanno sviluppando nuovi farmaci che ci permetteranno iniezioni meno frequenti, e nuove tecnologie, come i dispositivi a rilascio graduale, che permetteranno di ridurre il numero complessivo di iniezioni permettendo una gestione meno gravosa del paziente macu-

lopatico”, auspica Tognetto. “Abbiamo assistito in questi anni a cambiamenti molto importanti, e altri ne vedremo in futuro”, afferma Cagini. “Farmaci innovativi e strategie terapeutiche stanno già iniziando a tracciare una strada, e già oggi il carrello a flusso laminare sta da solo rendendo la procedura più rapida e sicura”, osserva. “È un percorso di alternative che va affrontato. In particolare per lavorare sempre al meglio e sempre meglio a beneficio del paziente, e anche della nostra professione”, conclude.


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Riflettori sull’Esperto

UNA MANO TESA VERSO IL PROSSIMO La passione, il pragmatismo e l’umanità di uno specialista

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Intervista al Professor Paolo Lanzetta, Università di Udine e Istituto Europeo di Microchirurgia Oculare (IEMO), Udine

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Il Professor Paolo Lanzetta

Un bravo specialista si riconosce certamente dalla sua abilità sul campo. Tuttavia ci sono medici che si distinguono per la curiosità, la passione e il coraggio che li spingono alla ricerca e all’innovazione, e per l’aspirazione ad allargare il proprio orizzonte di cura oltre i confini del consueto. Il Professor Paolo Lanzetta, Direttore della Clinica Oculistica e della Scuola di Specializzazione in Oftalmologia dell’Università di Udine, Fondatore e Direttore Scientifico dell’Istituto Europeo di Microchirurgia Oculare (IEMO) della stessa città, è da sempre un innovatore nel suo campo, fortemente presente sulla scena internazionale e membro dei più importanti gruppi di ricerca nell’ambito della retina. Allo stesso tempo, è impegnato nel volontariato in Paesi in cui l’accesso alle cure oftalmiche non è così scontato. Paolo Lanzetta si è raccontato ai microfoni di EyeSee, dimostrando come si può essere un grande specialista rimanendo pragmatico, ma con un profondo desiderio di aiutare il prossimo. Come noto specialista di retina, quale ritiene sia stato il suo maggiore contributo al progresso dell’oculistica? In primis mi preme sottolineare che l’oculistica comunque progredisce e progredirebbe molto bene anche in assenza di qualsiasi mio contributo. Per quanto mi riguarda ho cercato di dare un apporto personale in un’epoca ormai passata con degli studi sulle applicazioni del laser in oftalmologia, in particolar modo sulle patologie della retina, ma non solo. In tempi più recenti mi sono interessato dei leitmotiv del momento che sono

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le terapie intravitreali con i farmaci innovativi e la chirurgia mini-invasiva. Quali sono le figure più influenti per la sua carriera? Chi considererebbe un maestro o un mentore? Reputo di aver avuto una grossa fortuna e opportunità nel frequentare dalla fine degli anni ‘80 una sede che considero estremamente prestigiosa a livello nazionale e internazionale, cioè la clinica oculistica dell’ospedale San Raffaele di Milano, prima come studente interno e successivamente come specializzando. Una fortuna perché allora come oggi in quella clinica oculistica nasceva di fatto l’oftalmologia moderna nel nostro Paese, con contributi riconosciuti a livello internazionale. Questo grazie all’opera del suo Direttore, che aveva una visione particolare e unica, il Professor Rosario Brancato. In questa sede ho appreso i fondamentali del mestiere, che sono validi ancora oggi, e cioè la determinazione e la curiosità che ti rendono attivo ed entusiasta del tuo lavoro. Direi che queste e altre qualità determinanti mi sono state trasmesse da varie persone con le quali ho lavorato nel corso degli anni, tutte uscite da quella mitica clinica, e tutte per me dei maestri. Ho già citato il Professor Rosario Brancato, un vero pioniere della moderna oculistica, e poi il Professor Ugo Menchini, che era l’aiuto e l’associato di Brancato a Milano e che poi ho seguito a Udine. Menchini era un eccellente chirurgo e mi ha trasmesso molto nel mio periodo udinese. Successivamente, il Professor Francesco Bandello, che avevo già avuto modo di frequentare al San Raffaele, e che


di Laura Gaspari

Credo che l’impegno di tutti debba essere sempre quello di mantenere viva la curiosità rispetto a ciò che viene fatto in centri diversi dal nostro da colleghi, persone, amici a livello internazionale

Paolo Lanzetta

poi ho ritrovato a Udine. Tutte persone particolari, uniche, ma accomunate dalla stessa determinazione e curiosità.

Il Professor Lanzetta con una paziente

Quanto è importante la professione nella sua vita in una scala da 1 a 10? Se ci fosse la possibilità io direi 11, un 10 non sarebbe sufficiente. Sono felice di aver potuto scegliere il mestiere che ho sempre desiderato: in primis quello del medico - e su questo non avevo alcun dubbio - e in secundis quello dell’oculista. Quando ho dovuto scegliere la specialità, l’oculistica era una delle ipotesi e in questo sono stato fortunato perché mi sono reso conto che questo volevo fare. Devo ammettere che la mia professione occupa la maggior parte del mio tempo, e che molto ne viene sottratto alla famiglia. L’impegno sconfina oltre gli orari dell’attività lavorativa, occupa anche quello che teoricamente sarebbe il tempo libero, perché questo viene dedicato a preparare qualche lavoro da pubblicare, qualche relazione da presentare, o magari a riflettere sul paziente operato che non sta andando bene o sul prossimo paziente da operare. Veramente è qualcosa che ti occupa a tempo pieno, mi sento di dire, ma con piacere. Lei è presente sulla scena internazionale, coinvolto nei grandi progetti dell’oftalmologia. Quanto di tutta l’esperienza maturata all’interno di questa scena è riuscito ad applicare alla sua pratica quotidiana? È evidente e banale il fatto che un confronto internazionale sia oggi irrinunciabile ed estremamente

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Riflettori sull’Esperto Quanto si fa durante queste missioni umanitarie, che forzatamente sono una breve parentesi durante l’anno lavorativo, è una goccia nell’oceano, ma la speranza è che questa possa far germogliare qualcosa di più duraturo.

Paolo Lanzetta

importante, non solo per soddisfazione personale, ma per dare ai nostri pazienti il meglio di cui disponiamo. Dal contesto internazionale, ho cercato di portare l’efficienza nel nostro lavoro quotidiano, interagendo, confrontandomi, a volte ‘rubando’ dalle esperienze di miei colleghi e amici che lavorano all’estero. Questa volontà di portare l’efficienza spesso si scontra con un sistema che è restio a promuoverla per svariate motivazioni, a volte per una preparazione professionale che non è ideale, a volte per problemi organizzativi complessi. Questo ci penalizza molto, ma soprattutto penalizza i nostri pazienti, penalizza la possibilità di fornire un servizio che possa cambiare il destino della loro vista. Ancora, il confronto con realtà diverse è stato fondamentale nel rendere molto più snello il percorso dei pazienti che devono ricevere delle terapie intravitreali, o il percorso chirurgico, sia per la cataratta che per la più complessa chirurgia vitreoretinica. Credo che l’impegno di tutti debba essere sempre quello di mantenere viva la curiosità rispetto a ciò che viene fatto in centri diversi dal nostro da colleghi, persone, amici a livello internazionale per poi migliorare i percorsi di cura all’interno dei quali si muovono i pazienti e ci muoviamo noi stessi Cosa pensa dell’oculistica nel nostro Paese? Permettetemi una considerazione: purtroppo il nostro Paese esporta sempre più frequentemente medici e specialisti verso l’estero, che diventa sempre più attrattivo, mentre qui si è ancora oggi restii ad applicare modalità organizzative e modelli di sanità che sono ormai dati per scontati altrove. Un esempio lampante: l’attuale normativa sanitaria che mira alla modernità è as12

solutamente concorde sul fatto che si debbano riorganizzare i percorsi di diagnosi e terapia privilegiando, laddove sia possibile, l’ambito ambulatoriale anziché quello in regime di ricovero ordinario piuttosto che giornaliero. Credo che sia giunto il tempo di potenziare dei percorsi ambulatoriali anche a livello territoriale o comunque extra ospedaliero in generale per l’oftalmologia. C’è un caso emblematico oggi che è quello che riguarda le terapie intravitreali, in quanto coinvolgono una moltitudine di pazienti che certamente possono beneficiare di questo trattamento innovativo. Purtroppo i farmaci attualmente in uso sono tutti classificati con il codice OSP, che rende obbligatorio il loro utilizzo in un ambiente ospedaliero o che sia assimilabile ad esso. Alcune regioni, come il Lazio, hanno reso le strutture ambulatoriali territoriali assimilabili all’ambito ospedaliero. Molte altre invece non hanno affrontato questo problema, o meglio negano ancora che questa procedura e questi farmaci possano rientrare in una gestione ambulatoriale extra ospedaliera. Questo penalizza grandemente non solo gli oculisti, ma anche i cittadini. Molti di loro, in maggioranza anziani, non possono beneficiare di un trattamento in tempi adeguati in un setting adeguato. Purtroppo mi sento di dire che rispetto allo scenario internazionale, dal punto di vista organizzativo e applicativo, il nostro Paese spesso arranca e rimane indietro, e quindi la pratica quotidiana non è così efficiente rispetto a quanto vorremmo che fosse Rimanendo sull’internazionale, Lei è spesso impegnato in missioni umanitarie in Africa. Ci parli di questo aspetto. Una mia grande passione da sempre sono le missioni umanitarie

come volontario in Africa. In realtà ho dato il via a questa mia attività subito dopo il diploma di maturità, agli inizi degli anni ‘80. In quell’occasione mi recai in Burundi in un piccolo villaggio dell’entroterra, Bugenyuzi; lì il nostro compito era quello di costruire un acquedotto in un piccolo villaggio sperduto. Sostanzialmente il mio primo approccio africano è stato come muratore, e da lì è esploso il ‘mal di Africa’. Appena laureato in medicina, mi recai in Togo, ad Afagnan, presso un ospedale dei Fatebenefratelli. Era un ospedale molto bene organizzato, con una chirurgia generale molto forte, e che aveva anche un servizio di oculistica gestito da Fra Bernarde, un infermiere canadese che durante la guerra in Vietnam aveva imparato ad operare le cataratte dai medici americani. Ad Afagnan, Fra Bernarde aveva messo in piedi un ambulatorio di oculistica e un’attività chirurgica, che allora era molto basilare. Lì ebbi l’occasione di imparare e praticare l’estrazione intracapsulare della cataratta, cosa che da noi ovviamente non si faceva più da tantissimo tempo. Negli anni 2000, preso ancora dal ‘mal d’Africa’, mi sono recato in Ghana, in particolare a Sogakope, dove esiste un ospedale fondato da Padre Riccardo Novati, un frate comboniano bergamasco, oggi purtroppo scomparso, con straordinarie doti manageriali e gestionali. Si tratta di un ospedale che è noto in tutto il Ghana e nei paesi confinanti. Lì ho trovato un ambiente ideale, perché esisteva un servizio di oculistica di ottima qualità e proprio lì ho poi deciso di rinnovare negli anni le mie missioni di volontariato. Ogni volta che torno a Sogakope mi sento a casa. Lì ho anche affinato la cosiddetta tecnica SICS, small incision cataract surgery, che


Il Prof. Paolo Lanzetta durante un’operazione chirurgica di un paziente dell’Ospedale Comboni (Sogakope, Ghana)

permette dei risultati paragonabili a quelli che otteniamo con la facoemulsificazione con una chirurgia in tutta sicurezza, perché è a bulbo chiuso durante tutto l’intervento. Sogakope è una mia seconda casa, e nel corso degli anni mi hanno accompagnato in missione mia moglie e i miei figli. Mia figlia è laureata in medicina, mio figlio ha una laurea in nutritional sciences, e quindi hanno partecipato alle attività dell’ospedale. Più recentemente ho coinvolto specializzandi e altri oculisti, e abbiamo formato un vero e proprio team che lavora alacremente per due settimane a Sogakope. Pur sentendomi a casa, ogni volta è un’esperienza nuova, da cui ricevo sempre di più rispetto a quanto io possa dare. Quanto si fa durante queste missioni umanitarie, che forzatamente sono una breve parentesi durante l’anno lavorativo, è una goccia nell’oceano, ma la speranza è

che questa possa far germogliare qualcosa di più duraturo. Devo riconoscere con piacere che dopo ogni missione il ‘mal d’Africa’ si ripresenta, ed è qualcosa che ti lega in maniera indissolubile a questo continente così affascinante e così problematico. C’è un aneddoto o qualcosa di memorabile che vuole condividere con i lettori riguardo i suoi viaggi in Africa? Qualcosa di memorabile, ma che si manifesta spesso durante le missioni è il poter operare dei pazienti spesso anziani con una cataratta bilaterale. L’Africa è uno dei posti dove ancora la cataratta è una delle cause principali di cecità evitabile. Una delle esperienze più belle è operare uno di questi pazienti e verificare come dal giorno successivo l’intervento la loro vita cambi. Spesso sono anziani abbandonati in un angolo della casa perché non

in grado di muoversi e di badare a sé stessi, completamente dipendenti dagli altri, che dall’oggi al domani recuperano in maniera formidabile la propria autonomia e ricominciano a spostarsi, ad avere rapporti sociali con i vicini di casa, con i propri compaesani. Questo è un ricordo indelebile ed è qualcosa di emozionante. La lampada di Aladino: un desiderio, un’innovazione che vorrebbe ci fosse già oggi per i suoi pazienti. Se potessi interagire con il Genio della Lampada, visto il mio mestiere come medico oculista, non potrei non volere il meglio in termini di percorsi di cura. Questo è il mio desiderio più grande: un sistema ben collocato in un ingranaggio che funzioni con la precisione di un orologio svizzero per rispondere alle esigenze di tutti i nostri pazienti. 13


Largo ai Giovani

VERSO DOVE NESSUNO È MAI GIUNTO PRIMA Giovani pronti al futuro grazie all’innovazione del presente

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Intervista al Dottor Omer Trivizki, Sackler University, Tel Aviv, Israele

Dottor Omer Trivizki

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Con i cambiamenti degli ultimi anni, forzati anche dalla pandemia, ci siamo trovati davanti il bisogno di innovare la medicina e la pratica clinica. C’è stato un enorme sforzo di innovare per far fronte a tutte le necessità e una spinta ad applicare ciò che solo pochi anni fa ci sembrava fantascienza. In questo contesto le nuove leve dell’oftalmologia stanno venendo avanti. Ci sono ambienti molto stimolanti dove i giovani oftalmologi possono assorbire l’apertura e la spinta al progresso, e rendersi protagonisti del futuro dell’innovazione. Uno di questi ambienti è sicuramente la scuola di medicina della Sackler University di Tel Aviv. Nel campo dell’oftalmologia, Israele è un Paese ricco di eccellenze e sempre in testa nel campo dell’in-

novazione e della ricerca. Proprio alla Sackler University ha studiato Omer Trivizki, MD, con cui abbiamo parlato di oftalmologia in Israele, prospettive per il futuro, ricerca e digital health. AL PASSO CON I TEMPI: ESSERE OFTALMOLOGI IN ISRAELE “Per diventare oftalmologi in Israele bisogna completare la formazione medica in sei anni. La scuola di specializzazione inoltre, segue una rigida tabella di marcia”, ci spiega il Dottor Trivizki. “La specializzazione in oftalmologia è molto competitiva: nel corso degli anni bisogna guadagnare sempre più autonomia, specialmente in sala operatoria. Dopo aver completato due esami, uno scritto e uno orale, e finita la scuola, si diventa oftalmologi”. Omer Trivizki ha studiato medicina alla Sackler University di Tel Aviv, per poi continuare la specializzazione al Tel Aviv Medical Center, sotto la supervisione della Professoressa Anat Loewenstein, una delle più illustri esperte di retina dei nostri tempi. Proprio alla retina si è dedicato anche Omer Trivizki, in una scelta ritenuta più che naturale. “Lavorando così vicino ad Anat, retina è stata la scelta più sensata. Inoltre, si ha la possibilità di unire tecnologia, innovazione e pratica clinica, soprattutto nell’imaging. La retina è il campo più innovativo


di Laura Gaspari

Ho capito che prendere parte nella ricerca clinica cambia il modo in cui si pensa alla propria pratica quotidiana, e ti rende uno specialista migliore per i tuoi i pazienti

Omer Trivizki

ora, una volta lo era il glaucoma. La mia idea originale era diventare un esperto di cornea, altro campo molto innovativo, ma alla fine mi sono innamorato della retina”. Si capisce subito che l’aria che ha respirato il Dottor Trivizki è pregna di innovazione, e punta dritto verso il futuro, come EyeSee ha avuto modo di raccontare ai suoi lettori in numerosi articoli dove la Professoressa Loewenstein è stata protagonista. “Insieme alla Professoressa Loewenstein ho avuto mentori del calibro della Dottoressa Michaella Goldstein, a capo dell’unità di retina e del Professor Adiel Barak, dell’unità chirurgica. Ora come ora ho ottenuto una posizione nel dipartimento di medicina”, spiega Trivizki. Israele è un fiore all’occhiello dell’oftalmologia internazionale ed è molto presente sulla scena. “Qui l’oftalmologia è di livello molto alto, abbiamo dell’ottima tecnologia, buone pratiche e siamo conosciuti in tutto il mondo per la qualità. Partecipiamo e guidiamo molti studi importanti e anche a livello di aziende possiamo vantare ottima qualità”, afferma Trivizki. Ciò che però conta per il Dottor Trivizki è in primis ciò che una pratica di così alta qualità può offrire al vero metro di misura di un medico: i suoi pazienti. “Il più grosso vantaggio in Israele è che il sistema sanitario è pubblico. Tutti hanno diritto ai servizi di diagnostica e trattamento pagati dal governo e personalmente è la cosa migliore che io possa offrire ai miei pazienti”. RICERCA, INNOVAZIONE, INIZIATIVA, DIGITAL HEALTH Dopo la specializzazione, il Dottor Trivizki ha avuto la possibilità di vo-

lare a Miami, al Bascom Palmer Eye Institute, uno dei centri di oftalmologia più famosi al mondo, e svolgere un’importante fellowship che ha lasciato un segno nella sua carriera. “Ho avuto l’onore di far parte del gruppo del leggendario Dottor Philip Rosenfeld, con cui sto continuando a collaborare come ricercatore associato in vari progetti”, afferma Trivizki. “Bascom Palmer è il primo ospedale oftalmico negli Stati Uniti e personalmente penso sia il ‘regno dell’oftalmologia’. Ha varie sedi in Florida, e il solo campus principale, quello di Miami, è un edificio di sei piani dedicato esclusivamente all’oftalmologia, con numerose sale operatorie, centinaia di pazienti, medici e specializzandi. Quando sono arrivato ero sbalordito”. L’esperienza al Bascom Palmer ha sicuramente dato la possibilità a Omer Trivizki di crescere come clinico, ma soprattutto come ricercatore. “Le conversazioni che ho avuto con il Dottor Rosenfeld mi hanno spinto a crescere come oftalmologo, ma soprattutto come ricercatore. Mi ha insegnato a formulare le domande nel modo giusto, a motivare e supportare i miei studi. Ho capito che prendere parte nella ricerca clinica cambia il modo in cui si pensa alla propria pratica quotidiana, e ti rende uno specialista migliore per i tuoi i pazienti”, spiega Trivizki. “Sono coinvolto in qualche studio: uno sulla storia naturale dell’AMD secca, uno sul testing genetico dei pazienti affetti da AMD secca in collaborazione con il Dottor Greg Hageman, dallo Utah. Sono coinvolto in uno studio sulla terapia genica, ho collaborato con Iveric per il trattamento dell’atrofia

geografica e, non per ultimo, ho partecipato allo studio sullo Home OCT di NotalVision. Sono co-sperimentatore di molti degli studi del dipartimento, e la nostra unità di ricerca, che esiste dal 2003, è molto importante”. Trivizki ha portato con sé a Tel Aviv molto di ciò che ha appreso al Bascom Palmer. “Ho deciso di mettere in pratica quello che avevo imparato, sia a livello operativo che metodologico. Grazie a generose donazioni, siamo riusciti ad aprire il primo centro per maculopatie in Israele, e ad equipaggiarlo con i migliori strumenti diagnostici. Seguiamo il paziente con distrofie retiniche dal suo arrivo, alla diagnostica, fino al trattamento. Tutto il processo impiega circa un’ora e mezza, massimo due”, afferma Trivizki. Il centro per le maculopatie è non solo un centro di eccellenza per il trattamento delle distrofie retiniche, ma un vero e proprio polo di raccolta dati. “Come ho imparato dal Dottor Rosenfeld, considero il centro una sorta di ‘laboratorio’ perché tutti i pazienti che arrivano vengono scansionati ed esaminati utilizzando lo stesso protocollo. Questo mi permette di collezionare i dati clinici e di imaging che raccolgo, creando un enorme database sulle malattie retiniche. Lo considero il mio piano a lungo termine”, afferma. Una delle più grandi passioni del Dottor Omer Trivizki, insieme alla retina, è la digital health, ossia l’uso delle tecnologie più avanzate per il trattamento e la cura del paziente, tra cui l’intelligenza artificiale, la telemedicina, la realtà aumentata. “Durante la specializzazione ho conseguito un Master of Business Administration

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Largo ai Giovani

Il Dottor Trivizki insieme al Dottor Philip Rosenfeld

all’Università di Tel Aviv e sono stato coinvolto in molti progetti di digital health. Sono un grande fan della tecnologia”, racconta Trivizki. “Un mio progetto ha vinto un premio del Ministero della Salute israeliano nel 2018. Si trattava di un progetto operativo che tentava di fare una predizione sul perché alcuni pazienti non si presentavano più in clinica, specialmente in oftalmologia. Sono coinvolto in altri progetti in oftalmologia riguardanti l’intelligenza artificiale, sia qui che a Miami”. WHAT’S NEXT? Cosa vedono gli occhi di un giovane già così immerso nell’innovazione per il futuro dell’oftalmologia e, nello specifico, di tutto ciò che riguarda la retina? “Ci sono due aspetti che secondo me sono il vero futuro: il primo è sicuramente la terapia genica. Cambierà tutto, soprattutto il come vediamo e trattiamo i nostri pazienti. Oggi diagnostichiamo partendo dai sintomi e dall’imaging”, spiega. 16

“Quando capiremo quali sono i geni che causano queste malattie, cambieremo sia la diagnostica che il trattamento, cambierà anche il peso che il paziente dovrà sopportare. Forse un giorno passeremo da un infinito numero di iniezioni intravitreali ad una sola iniezione. La terapia genica sta già facendo progressi, ne abbiamo già di disponibile, e non è più una nicchia come prima”. Ovviamente, la grande speranza del Dottor Omer Trivizki è tutta riposta nella digital health. “C’è stata una grande spinta data dal COVID-19. Cose che prima non pensavamo realmente fattibili ora sono la realtà. Per esempio, l’Home OCT cambierà sensibilmente il modo in cui ci approcciamo a pazienti con patologie retiniche. Probabilmente molti di loro non dovranno più venire in ospedale, li terremo monitorati a distanza, riducendo il peso di dover venire in ospedale ogni mese”, afferma. “Una cosa che non ritenevo possibile è il monitoraggio

a distanza dei pazienti chirurgici, che ho visto fare a Miami durante il periodo COVID. Questo sarà un grande cambiamento. Si potranno tagliare molte visite, ripensare il modo in cui facciamo medicina, rafforzare anche il comparto imaging con tecnologie sempre più sofisticate che ci permettono una raccolta dati più approfondita. Questo è il futuro”. Ambienti stimolanti e innovativi, uniti alla curiosità e alla mente fresca e reattiva di un giovane, creano la ricetta perfetta per l’oftalmologo del domani, attento alle nuove tecnologie, pronto alle sfide e capace di usare anche i più complicati sistemi per assicurare il meglio al proprio paziente. Se si inizia oggi, coltivando talenti e innovando i centri già emergenti, saremo pronti per accogliere a braccia aperte il futuro, le sue sfide, le sue bellezze e tutto ciò che saremo in grado di raggiungere e che finora avevamo solo sognato o visto in qualche pellicola di fantascienza.





Casi da Incubo

TIGHT ROLL, LOSE TEMPER? Un occhio vitrectomizzato, un graft troppo teso, la frustrazione: la ricetta perfetta per mandare un chirurgo in crisi

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Intervista alla Professoressa Sorcha Ní Dhubhghaill, Ospedale Universitario di Anversa, Belgio e NIIOS, Rotterdam, Paesi Bassi

La Professoressa Sorcha Ní Dhubhghaill.

Per collegarsi al video, scansionare il codice QR

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“Più guadagnamo esperienza facendo DMEK, più espandiamo il range di casi che possiamo trattare con questa chirurgia. All’inizio, selezioniamo solo i casi migliori, come i pazienti con la Fuchs, o con delle camere anteriori normali, escludendo quelli più complessi. Man mano che il tempo passa e si acquisisce confidenza con i casi più semplici, iniziamo ad allargare la platea di pazienti che vogliamo trattare, perché in generale i chirurghi sono contenti dei loro risultati con la DMEK e si vuole usare questa tecnica su sempre più patologie”.

Comincia così la narrazione del caso da incubo di Sorcha Ní Dhubhghaill, MD, PhD, MRCSI(Ophth), FEBOS-CR, Professoressa all’Università di Anversa, in Belgio. Chirurgo specializzato nel segmento anteriore, ha imparato la tecnica DMEK al NIIOS di Rotterdam, con cui continua a collaborare. Proprio alla NIIOS Cornea Evening dello scorso 29 maggio, la Professoressa Ní Dhubhghaill ha presentato un caso da incubo che ha messo a dura prova i suoi nervi e la sua pazienza: un lembo per DMEK che non voleva proprio saperne di srotolarsi e posizionarsi.


di Laura Gaspari

Nei casi con precedente vitrectomia, le sfide nell’affrontare una DMEK sono maggiori e bisogna tenere in considerazione aspetti in più

Sorcha Ní Dhubhghaill

“Il paziente in questione era un uomo anziano di 81 anni, con distrofia di Fuchs e con alle spalle una vitrectomia a causa di un pucker maculare”, spiega la Professoressa Ní Dhubhghaill. La precedente vitrectomia del paziente è ciò che ha messo a dura prova il chirurgo, creando una situazione dove i nervi saldi e il sangue freddo sono tutto ciò che è necessario per non trasformare un intervento in un totale disastro. “Nei casi con precedente vitrectomia, le sfide nell’affrontare una DMEK sono maggiori e bisogna tenere in considerazione aspetti in più”, commenta. “La cosa più importante da fare quando si ha a che fare con questi pazienti è capire quanto la camera anteriore sarà profonda: si perde tutto il supporto del vitreo, che dà pieno controllo sulla profondità della camera anteriore, e aiuta a srotolare il lembo”. Non solo: la scelta del tipo di lembo, unita alla situazione pregressa del paziente, ha dato ancora più condimento alla ricetta per il potenziale disastro. “Un lembo più morbido, prelevato da un donatore anziano, è più facile da inserire in un occhio vitrectomizzato. Un lembo più teso, di un donatore giovane, come quello che ho usato io, aggiunge ulteriore complessità, perché non si può usare l’iride come contrafforte per darci del vantaggio”, spiega. L’operazione tuttavia è cominciata senza particolari problemi, non dando alla Professoressa Ní Dhubhghaill nessun sentore delle difficoltà che stavano per investirla in sala operatoria. “Ho fatto una descemetoressi, come da manuale, tutto ok. Ho rimosso il vecchio tessuto senza alcuna difficoltà, ho controllato attentamente l’orientamento dell’iniettore in cui era caricato il lembo colorato di trypan blue e nel momento in cui

l’ho inserito e ho provato ad aprirlo: lì sono cominciati i problemi”, afferma Ní Dhubhghaill. Come si può vedere nel video, gentilmente fornito dalla Professoressa Ní Dhubhghaill con la collaborazione della Dottoressa Diana Carmen Dragnea, viene creata una bolla d’aria al centro per permettere lo srotolamento, ma nel momento del passaggio dalla bolla d’aria sopra il lembo alla bolla d’aria sotto, questo si arrotola su sé stesso di nuovo. “Mancava il controllo sulla camera anteriore, come avviene in un occhio normale. Ogni volta che provavo a srotolare il lembo, perdevo sempre più trypan blue e quindi anche la visibilità. Stava andando sempre peggio”, ricorda Sorcha Ní Dhubhghaill. Lo stress e la frustrazione erano così presenti che hanno fatto completamente scordare a Ní Dhubhghaill che l’occhio che stava operando era vitrectomizzato. “In un occhio normale, se si alza la pressione, si può creare artificialmente un sostegno, cosa che non avviene in un occhio senza un vitreo. Con questo assunto in mente ho iniziato a premere sul globo oculare e quando toglievo il dito rimaneva questa indentazione”, osserva Ní Dhubhghaill. L’arma nelle mani del chirurgo in un caso come questo è solo una: la persistenza. “Ho iniettato ancora del blu con cautela e ho continuato a tentare di aprire il lembo utilizzando la bolla superiore, che mi stava aiutando ad ammorbidire le fibre più tese del lembo stesso. Era questa la strategia che dovevo usare”, afferma. “Una volta fatto questo si può andare sotto il lembo e sollevarlo. Per centrare il lembo, ho dovuto ricorrere anche a delle manipolazioni, che non si dovrebbero fare, ma in un momento di crisi non si può far

affidamento ai tips&tricks normali. In questo caso ho usato una pinza di Busin, che funziona abbastanza bene”. Una manovra piuttosto rischiosa, che potrebbe causare delle pieghe nella DMEK, e che richiede precisione e controllo. Una volta sollevato il lembo, è fatta. L’incubo per la Professoressa Ní Dhubhghaill è finalmente concluso. “Il paziente ha dovuto ricevere un re-bubbling perché abbiamo notato che c’era un distacco di più di un terzo dopo una settimana dalla chirurgia. Due settimane dopo il re-bubbling, la cornea si era sgonfiata e il paziente stava bene. Nonostante le manipolazioni vedeva 10/10 anche se qualche cellula endoteliale era compromessa. I risultati sono stati soddisfacenti nonostante la frustrazione e le difficoltà”, spiega Sorcha Ní Dhubhghaill. Ci sono delle tecniche che si possono adottare in casi come questo e sono state perfettamente descritte in letteratura in precedenza, così come ricorda la Professoressa Ní Dhubhghaill. “C’è il punch corneale di Chandra Bala che permette di tenere un cordino del graft, come se fosse un aquilone, e che aiuta a controllare la camera anteriore. Poi c’è l’infusione via pars plana, dietro l’iride, che può assottigliare la camera, descritta in precedenza da Rootman. C’è anche un’interessante tecnica che prevede l’uso dello stroma residuale per creare una camera anteriore ristretta artificialmente e srotolare il lembo su di essa”. A posteriori, casi di questo tipo hanno molto da insegnare al chirurgo, per non ripetere gli errori e per analizzare meglio la situazione. “Se dovessi trovarmi nella stessa situazione in futuro, considererei anche una tecnica suggerita da Gerrit Melles, che consiste nel creare tre piccole

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Casi da Incubo Il lembo della DMEK non riesce a srotolarsi bene a causa della mancanza di sostegno in camera anteriore dell’occhio vitrectomizzato.

incisioni nella periferia del lembo, creando una forma triplice che rompe la tensione che non fa srotolare bene il graft”. La bravura di un chirurgo sta anche nella sua capacità di ammettere l’errore e migliorarsi di conseguenza, dando prova di grande umiltà. “Cosa ho imparato? Mai mollare. Ove possibile, scegliete un lembo più morbido in questi casi. Se non lo vedete più, coloratelo di nuo-

vo con cautela. Non dimenticate il background del paziente che vi si presenta davanti, potrebbe essere la fonte dei vostri problemi. Preparatevi un largo range di opzioni: se qualcosa non funziona, provate con altro. Infine, alzate il lembo e dategli una possibilità, non potete mai sapere, a volte può sorprendervi e funzionare perfettamente. Se dovete toccare il lembo o manipolarlo, una pinza di Busin è l’ideale”, spie-

ga Sorcha Ní Dhubhghaill. Nella sua carriera, un chirurgo non smette mai di imparare, e condividere con i colleghi è una risorsa molto preziosa per tutti. “La mia speranza è che condividere il mio incubo con voi possa aiutarvi a evitare i vostri di incubi. Saper padroneggiare una tecnica chirurgica è anche essere in grado di padroneggiare le proprie frustrazioni”, conclude.


Lente per il controllo della progressione miopica nei bambini ed adolescenti La miopia sta diventando un problema sempre più diffuso a livello planetario. Per rispondere a questa problematica Ital-lenti ha sviluppato MYOKIDS, un’innovativa lente con defocus periferico, con lo scopo di limitare lo sviluppo della progressione miopica nei bambini e negli adolescenti.

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Approfondimenti

LA CAMPAGNA OCCHIO SECCO: LA PREVENZIONE E IL PERCORSO PER LA VISITA SPECIALISTICA PASSA IN FARMACIA Con seicento giornate in diverse farmacie d’Italia, la campagna promossa da Alcon punta a sensibilizzare sulla sindrome da occhio secco.

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Intervista al Professor Francesco Bandello, Clinica Oculistica, Università Vita-Salute, Istituto Scientifico San Raffaele, Milano; al Professor Pasquale Aragona, UOC di Oftalmologia dell’Università degli Studi di Messina

Il drastico cambiamento delle abitudini quotidiane e lavorative, assieme ad altre contingenze provocate dal lockdown per l’emergenza sanitaria COVID-19 hanno contemporaneamente aumentato il rischio di insorgenza di occhio secco nella popolazione, associato ad una riduzione delle visite di controllo presso gli specialisti oftalmologi, in particolare in corrispondenza con i periodi di maggiore chiusura.

Si stima che un cittadino su cinque oggi lamenti almeno un sintomo riconducibile alla sindrome da occhio secco, ma su 10,3 milioni di cittadini italiani, solo due milioni e mezzo hanno dichiarato di essersi sottoposti ad un controllo specialistico e di seguire una terapia appropriata. Un paziente ogni due, in presenza di sintomi lievi riconducibili alla malattia da occhio secco, preferisce rivolgersi direttamente al farmacista locale.

Il Prof. Francesco Bandello, MD, FEBO, è Direttore della Clinica Oculistica, Università Vita-Salute dell’Istituto Scientifico San Raffaele di Milano Per collegarsi al video, scansionare il codice QR

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di Timothy Norris

Ho una grande sensibilità nei confronti della figura del farmacista, è quella figura professionale con competenze specifiche di ampio respiro che svolge sempre più un ruolo di rilevanza nel nostro sistema sanitario

Francesco Bandello

Il Prof. Pasquale Aragona, MD, PhD, è Ordinario di Oftalmologia e Direttore dell’UOC di Oftalmologia dell’Università degli Studi di Messina

UNA MANO TESA AL PAZIENTE Prevenzione e diagnosi precoce sono molto importanti per ridurre le possibilità di esacerbazione della malattia. A questo scopo, e con in mente il benessere e la salute del paziente, Alcon ha dato via ad un’iniziativa volta a sensibilizzare la popolazione all’importanza di una diagnosi specialistica. L’iniziativa di Alcon mira a intercettare potenziali pazienti non soggetti a trattamento specialistico, rafforzando dunque un percorso virtuoso tra cittadino e medico oculista. Un percorso che a seguito del lockdown deve essere riportato in primo piano, afferma Alcon con un comunicato stampa. La Campagna Occhio Secco promossa da Alcon, iniziata nel mese di luglio e con termine a gennaio 2022, prevede un tour itinerante di 600 giornate in diverse farmacie del Paese. In queste giornate le farmacie aderenti lavoreranno a stretto contatto con gli specializzandi in oftalmologia delle migliori università italiane, che si metteranno a disposizione dei cittadini per una consulenza e un consiglio

gratuito e volontario. La campagna di sensibilizzazione riconosce l’importanza della figura professionale del farmacista nel Sistema Sanitario Nazionale come grande intermediario tra medico e

paziente e figura di primo approccio, assieme al medico di base, per chi è in cerca di un percorso di cura. “Ho una grande sensibilità nei confronti della figura del farmacista, è quella figura professionale con competenze specifiche di ampio respiro che svolge sempre più un ruolo di rilevanza nel nostro sistema sanitario”, afferma il Professor Francesco Bandello, Direttore della Clinica Oculistica, Università Vita-Salute dell’Istituto Scientifico San Raffaele di Milano. “È una figura che non solo può fare della diagnostica di primo livello, ma che accoglie il paziente che lamenta qualche problema di salute, e colloquiando con esso può comprendere quali siano i problemi e l’aiuto di cui ha bisogno”, afferma. “È spesso il farmacista che consiglia ed indirizza il paziente verso una soluzione medica presso lo specialista di riferimento”, aggiunge Bandello. Spesso sottostimata, la presenza

La Dottoressa Barbara Gallo è titolare della Farmacia Palmanova di Milano, dove si è svolto il primo incontro della Campagna Occhio Secco

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Approfondimenti

Dimostrazione di un meibomiografo ad infrarossi

sintomatologica dell’occhio secco viene considerata sopportabile da una grossa fetta della popolazione. Tuttavia, l’assenza di una diagnosi e di un trattamento adeguato possono nel tempo portare la patologia ad evolvere verso forme gravi e di difficile gestione. “Il paziente è portato a sottovalutare la sindrome dell’occhio secco fino a quando non ha delle conseguenze molto gravi”, afferma il Professore Pasquale Aragona, Ordinario di Oftalmologia e Direttore dell’UOC di Oftalmologia dell’Università degli Studi di Messina. “Queste conseguenze possono nel tempo incidere in maniera molto significativa sulla qualità della vista e quindi della vita del paziente. Ad esempio”, spiega

Aragona, “la presenza pregressa non diagnosticata e non trattata di una sindrome da occhio secco può arrecare severi disturbi postoperatori al paziente che si sottopone

ziose campagne di sensibilizzazione come questa, che fanno la loro parte per una diagnosi tempestiva e di conseguenza una terapia più efficace per il paziente”, afferma. Fino a Gennaio 2022 l’elenco delle farmacie aderenti presso cui prenotarsi per un controllo sarà visibile sul sito https://systane-it.myalcon.com/ eye-care/locator/ Per il paziente che si presenta in farmacia è possibile avere un colloquio conoscitivo, atPasquale Aragona traverso la somministrazione e la compilazione di un questionario, e una ad una chirurgia refrattiva o della foto digitale dell’occhio per verificataratta. Sono numerosi i motivi care se sussistono fattori di rischio. che rendono fondamentale la dif- Al termine dell’incontro verrà spiefusione di un’informazione corret- gata l’importanza di fare preventa e un’educazione al controllo, zione con visite specialistiche di resa possibile anche grazie a pre- approfondimento dall’oculista.

Sono numerosi i motivi che rendono fondamentale la diffusione di un’informazione corretta e un’educazione al controllo, resa possibile anche grazie a preziose campagne di sensibilizzazione come questa

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Approfondimenti

L’UROBORO DI ASCLEPIO Le riflessioni sul futuro e l’ironia maieutica del libro “Perché (non) diventare medico?” di Paolo Nucci

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Intervista al Professor Paolo Nucci, Università Statale di Milano

Paolo Nucci MD, FEBO, è Professore di oftalmologia presso l’Università Statale di Milano.

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L’ironia non è altro che un bisturi. Un piccolo oggetto scintillante ed affilatissimo che in mani inesperte non fa altro che ferire, lacerare, causare lente ed atroci emorragie. Usata come strumento per rappezzare qualche gaffe politica, o impropriamente accreditata nel disperato tentativo di dare lustro ad una comicità scarsa e alla fetecchia, l’ironia perde ogni suo valore e diventa il più piccolo dei coltelli nelle mani di un dilettante. Uno strumento più efficace a spegnere un buon cervello piuttosto che a solleticarne gli assoni. È solo quando l’ironia finisce nelle mani esperte di un buon medico che essa mostra il suo massimo valore curativo, nutritivo, taumaturgico. Ho sempre avuto un forte apprezzamento per quell’ironia sottile che taglia di finezza le pagine di un buon libro, che sfugge nascondendosi tra una lettera d’inchiostro e l’altra attraverso momenti di intensa emozione, tristezza nostalgia, o divertimento, trasformando la lettura in uno stimolante gioco a rimpiattino senza stralci o cadute di stile. “Torno a fare il medico, perché non so fare nient’altro”, scrive Paolo Nucci nel suo più recente libro, con un taglio di fino microchirurgico a tre quarti dalla fine. “Perché (non) fare il medico?”, redatto da Piemme Edizioni, è di primo acchito, come lo definisce il suo autore, una raccolta di “appunti disordinati della mia vita, di emozioni, di occasioni di analisi, categorizzate in maniera lineare come una sorta di autobiografia”, che trapela tuttavia molto più di ciò che il suo autore menziona. Non è un caso che abbia scelto l’ironia a definire il leitmotiv di quello che (non) ho pensato potesse diventare un ibrido tra recensione ed articolo. Il libro ripercorre criti-

camente e acriticamente le varie fasi dello sviluppo professionale di un medico, dall’istante stesso in cui nasce l’interesse giovanile per la medicina al momento in cui si ripone il camice in favore delle nuove generazioni, e proprio quando Paolo Nucci, Professore di oftalmologia presso l’Università Statale di Milano, parla delle nuove generazioni, il libro risuona armonico con questo concetto. L’ironia di Nucci è maieutica, socratica: l’intero libro, dalla prima all’ultima pagina, è un’offerta ai successori. PERCHÉ PROPRIO UN MEDICO Attraverso la propria esperienza di vita, Nucci racconta come nacque la sua idea di diventare medico, dalla narrativa di Cronin alle memorie di Munthe, ma dando grande importanza al ruolo del Dr. Killdare dell’omonima serie televisiva degli anni ‘60 che fu tuttavia un veicolo di buona comunicazione medica. “Cominciai con quella visione un po’ eroica di una professione capace di metterti su un piedistallo morale”, ricorda Nucci ai microfoni di EyeSee. “Mi trovai ben presto in un ambiente universitario con ben pochi punti di riferimento, con il rischio di non trovare mai un Dottor Gillespie che può guidarti lungo il percorso. Uscire fuori dal quell’ambiente ti dà certamente la sicurezza di trovarti presto a fare parte di un team ospedaliero rispettato con un ruolo di rilievo, ma completamente ignaro che una volta incontrato il primo paziente qualcosa nella formazione non torna”, spiega Nucci. “Manca completamente l’approccio diretto, la comunicazione, il rapporto umano medico-paziente. Una cosa che si costruisce poi solo esercitando sul campo, trovando nel mezzo della tempesta i tuoi maestri di vita, quei capitani che raccontano


di Timothy Norris

Mi trovai ben presto in un ambiente universitario con ben pochi punti di riferimento, con il rischio di non trovare mai un Dottor Gillespie che possa guidarti lungo il percorso

Paolo Nucci

le storie al mozzo alle prime armi, rendendo tutto leggendario”. In questa fase per il giovane medico è molto facile dare spazio all’esuberanza dimenticando la lezione fondamentale, sostiene Nucci. “La partita è ormai aperta e la sicurezza di sé cozza con la poca esperienza mentre il giovane medico scala il ‘monte stupido’ della curva di Dunning-Kruger”, osserva Nucci. Come scritto nel libro, “può capitare che l’ego sia difficile da contenere e che per questo si corrano rischi”. La discesa verso una propria valle della disperazione è spesso difficilmente evitabile in una professione delicata come quella medica. “C’è chi si lascia prendere dagli aspetti emotivi, come è accaduto a me, e si soffre”, osserva Nucci. “Il paziente non risponde, magari ti gira le spalle o ancora peggio ti fa causa e pensi di avergli dato il massimo e che sia tutto un doloroso tradimento, fino a quando non capisci”. PERCHÉ NON SMETTERE Nessuno parla della responsabilità enorme che ci si assume, del dolore che si prova quando si è impotenti, o dell’angoscia che ci assale quando si sbaglia, così afferma Nucci tra le pagine ricordando la grossa lezione che ogni giovane medico finisce per apprendere, a volte al costo di un abbandono della professione: il medico è in fondo un essere umano. “Chi non abbandona in cerca di lidi più gratificanti ad un certo punto guarisce anche da questa fase”, spiega Nucci. “Tuttavia il peso gravoso della responsabilità resta, e percepisci chiaramente che non tutto è gratuito e che si è già immersi fino al collo in impegni amministrativi e professionali, con poco o nessun supporto da parte delle strutture e delle istituzioni, incastra-

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Approfondimenti

In circostanze come queste, il medico dovrebbe essere colui che pronuncia la parola definitiva e, alla luce della sua affidabilità e credibilità, un punto di riferimento, non qualcuno che si perde in polemiche e divisioni inaccettabili, contribuendo allo sconforto generale

Paolo Nucci

to in una routine quotidiana che non ti lascia margine di cambiamento e possibilità di frenare. Molti si disamorano della professione in questa fase”, puntualizza. Il perché diventare medico per Nucci arriva più avanti, quando tutto il vissuto diventa un bagaglio da trasmettere, nel bene e nel male, alle nuove leve. “La terza parte della vita professionale è quella in cui risiedo ora”, spiega Nucci nell’intervista con un chiaro riferimento al libro. “È il momento in cui i tuoi allievi iniziano a darti soddisfazioni, e li vedi come un’evoluzione di ciò che sei, con un rapporto quasi filiale. Questa fase mi piace davvero, perché condividi la missione, la responsabilità e diventi magister, un maestro. È un momento in cui tutti noi dovremo pensare di lasciare prima o poi lo scettro alle nuove generazioni e prendere una posizione di consigliere e guida”, afferma Nucci. AB OVO: ERRARE ED EVOLVERE La crisi sanitaria del nuovo ventennio ha gettato un fardello enorme nella normalità di ogni professionista sanitario, mettendo in discussione tutte le certezze precedentemente costruite con fatica a poco più di un secolo dalla pandemia dimenticata del 1918. “È preoccupata di non potersi più liberare ed evita il contatto, gli siede vicino e mima anche lei il gesto di respirare. Concitazione, l’allarme del paziente accanto a lui inizia a suonare, l’infermiera si alza e cerca un medico [...] Quando l’infermiera ritorna al suo capezzale dopo mezz’ora si accorge che il monitor, silenziato per qualche minuto, non ha permesso di sentire l’allarme scatenato dalla sua condizione. Ore 30

22.28: un paziente intubato e pronato, mentre il suo vicino non ce l’ha fatta”. In uno dei momenti più toccanti del libro, Paolo Nucci racconta cosa significa esercitare in circostanze in cui l’emergenza COVID ha rotto ogni schema, nel costante rischio, e talvolta certezza, di far morire un paziente isolato, dimenticato, spaventato. A partire anche da questo esempio, nella seconda parte Nucci sminuzza e analizza l’importanza vitale della comunicazione e dell’interazione con il paziente e di come esse devono diventare una capacità forte nel bagaglio non solo dell’infermiere, ma anche del medico. Un richiamo ad un contatto umano ora più che mai di estrema importanza, emerge dalla visione degli errori del passato. Un processo che deve imporre allo specialista di saper mantenere il controllo, comprendere il fenomeno e saperlo comunicare al paziente, sia esso sul lettino di un ambulatorio o attraverso lo schermo di un televisore, per evitare che la già caotica situazione globale e la delicata posizione del medico vengano ulteriormente aggravate. “Purtroppo però noi medici siamo stati i comunicatori peggiori (penso soprattutto ai moltissimi interventi in questa o quella trasmissione televisiva), ci siamo mostrati spesso pontefici conflittuali e solo di rado siamo riusciti a informare e orientare come avremmo dovuto. In circostanze come queste, il medico dovrebbe essere colui che pronuncia la parola definitiva e, alla luce della sua affidabilità e credibilità, un punto di riferimento, non qualcuno che si perde in polemiche e divisioni inaccettabili, contribuendo allo sconforto generale”, sottolinea con forza Nucci nel suo libro.

UN GALLO AD ASCLEPIO Il medico è una figura fallibile, sostiene Nucci, una figura perfezionabile che non può e non deve farsi influenzare in determinati campi dalle derive politiche e istituzionali, ma deve, invece, guidarle e rafforzare il loro operato in meglio. Una professione che deve porsi ora come figura maestra per il domani senza dimenticare le lezioni e i maestri di ieri. Insegnare un approccio più umano alle nuove generazioni è possibile e deve essere necessario, preparando le nuove leve a rinnovarsi a loro volta, superando rigori e tradizionalismi non più accettabili. Il giuramento di Ippocrate, a cui Nucci fa una rispettosa riverenza nelle pagine finali del libro, non ha ancora smesso di modernizzarsi. Anzi, deve essere preso in esame per considerare cosa è oggi e cosa sarà domani l’etica di un medico che sempre più si deve trovare a rivalutare la propria deontologia nei confronti di temi di grande importanza per la dignità umana, tra cui spicca in assoluto il diritto all’eutanasia legale. Un passaggio di testimone che deve spingere la professione a migliorarsi ancora, generazione dopo generazione in un costante circolare evolversi di allievi e maestri. “La speranza che questo libro venga letto anche dai giovani che coltivano il desiderio di professare la medicina mi spinge a espormi su quello che credo debba essere il ruolo del medico in un contesto tanto delicato: di certo non un compito di mero osservatore, quanto piuttosto di guida etica, proprio perché in questo ambito la scienza è impotente e gli aspetti politici, quelli giuridici e la morale comune assumono un peso irrilevante rispetto al diritto di autodeterminazione dell’individuo”, scrive Nucci. Il cerchio si chiude, ma mai del tutto. Ogni singolo giro uroborico è in fondo un po’ una spirale.


Riducono la progressione miopica in media del 1

60%

MiYOSMART: le lenti intelligenti per la gestione della miopia nei più giovani Hoya è leader nella gestione della miopia nei più giovani. MiYOSMART è la prima lente oftalmica con esclusiva Tecnologia D.I.M.S. che gestisce la progressione della miopia in modo semplice, efficace e non invasivo. La sua efficacia è dimostrata da uno studio clinico di due anni su bambini dagli 8 ai 13 anni1 e da un terzo anno di follow-up2. 1 Lam CSY, Tang WC, Tse DY, Lee RPK, Chun RKM, Hasegawa K, Qi H, Hatanaka T, To CH. Le lenti per occhiali con tecnologia DIMS (Defocus Incorporated Multiple Segments) rallentano la progressione della miopia: uno studio clinico randomizzato di 2 anni. British Journal of Ophthalmology. Pubblicato online per la prima volta il 29 maggio 2019. doi: 10.1136/bjophthalmol-2018-313739. 2 Lam CS, Tang WC, Lee PH, et al. Effetto delle lenti per occhiali a segmenti multipli di defocus incorporati (D.I.M.S.) sul controllo della miopia nei bambini cinesi: risultati di uno studio di follow-up sul terzo anno. British Journal of Ophthalmology Pubblicato Online per la prima volta: 17 marzo 2021. doi: 10.1136/ bjophthalmol-2020-317664.

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Approfondimenti

IL CROSS LINKING CORNEALE Migliorare sicurezza ed efficacia

L

di Professor Pasquale Troiano, Direttore UOC Oculistica Ospedale Sacra Famiglia Fatebenefratelli, Erba e Dottor Ciro Caruso, Dirigente UOSD Centro Trapianti Corneali Banca Occhi, Ospedale Pellegrini, Napoli

Il Professor Pasquale Troiano

Il Dottor Ciro Caruso

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Le conoscenze sui meccanismi che possono condurre a un Cross Linking corneale (CXL) più sicuro ed efficace si sono molto evolute. I protocolli epi-on sono più sicuri degli epi-off. Con l’introduzione del CXL personalizzato basato non su parametri empirici - come il protocollo originale di Dresda - ma su parametri scientificamente validati della concentrazione media di penetrazione della riboflavina senza rimozione dell’epitelio corneale e della velocità di consumo della stessa durante l’irraggiamento, si è raggiunta un’efficacia sovrapponibile a quella del Dresda, ma con parametri di sicurezza incomparabilmente superiori. Inoltre, la metodica epi-on personalizzata ha il grande vantaggio di ridurre molto il tempo necessario per l’imbibizione corneale e per l’irraggiamento e rilascia un’energia complessiva sulla cornea molto inferiore a tutti gli altri protocolli. Nel protocollo Dresda, dopo la rimozione dell’epitelio, la cornea è imbevuta di riboflavina allo 0,1% per 30 minuti. Quindi la cornea è esposta per 30 minuti ad un’irradiazione ultravioletta (UV-A) di 370 nm con una potenza di 3 mW/cm2 e un diametro del fascio di 9 mm per un’energia totale di 5,4 J/cm2. Durante l’irradiazione UV-A, è necessario mantenere un film pre-corneale continuo di riboflavina che, con la sua azione schermante, evita danni allo strato endoteliale. Il Dresda induce la reticolazione a una profondità di 250/350 µm, per cui è indispensabile uno spessore corneale minimo di 400 µm per evitare danni endoteliali. In alternativa, è possibile applicare una soluzione ipotonica per far aumentare lo spessore della cornea fino ai necessari 400 µm. I parametri utilizzati nel Dresda

sono tutti empirici. Non esistono dati che spieghino scientificamente la scelta di quei parametri. Le importanti complicanze osservate col Dresda sono legate alla rimozione dell’epitelio e alla quantità di energia irradiata. Tutti i protocolli basati sul Dresda risentono dello stesso problema di base: ogni parametro è definitivo empiricamente sulla base delle esperienze dei diversi autori. Circa dieci anni fa è stato introdotto il primo protocollo basato su dati scientifici che hanno descritto la cinetica di penetrazione e l’equazione di consumo della riboflavina. Questo protocollo è stato denominato CXL CUSTOM FAST. Si tratta di una procedura di CXL transepiteliale eseguita con riboflavina-vitamina E tocoferolo polietilenglicole succinato (TPGS). L’equazione di consumo della riboflavina e la sua cinetica di penetrazione associata con vitamina E rappresentano le basi sperimentali di questa procedura. La conoscenza del consumo di riboflavina sotto l’effetto degli UV-A e della concentrazione media della stessa nella cornea durante tutto il trattamento, hanno consentito di creare un algoritmo che permette di eseguire un CXL epion con fluenza UV-A più rapida e più bassa, modulata e costruita sugli spessori corneali, che rispetta la soglia di sicurezza endoteliale di 0,35 mW/cm 2, che si mantiene costante per tutta la durata del trattamento. Questa procedura è definita personalizzata perché calcola i parametri del trattamento sulla base dei valori pachimetrici e di curvatura corneale. È noto che il fenomeno del Cross Linking è dovuto alla combinazione di due meccanismi che intervengono nella procedura: l’intensità del fascio UV-A utilizzato e la riboflavi-


Mappa tangenziale prima (a sinistra) e dopo il trattamento

na con la sua duplice funzione schermante e fotosensibilizzante. Il Dresda stabilì l’utilizzo di un’intensità pari a 3 mW/cm2 in maniera empirica e ci si accorse subito che produceva danni all’endotelio. Per questo Wallensak dimostrò la necessità di continuare a somministrare la riboflavina anche durante la fase dell’irraggiamento. La presenza costante di un film precorneale di riboflavina assicura una maggiore protezione endoteliale, ma rende la procedura imprevedibile e non riproducibile a causa delle innumerevoli varianti di curvatura delle cornee cheratoconiche che rendono lo strato precorneale di riboflavina più spesso alcune volte, meno in altre, ma sempre diverso da caso a caso e anche in punti diversi della stessa cornea. Altri protocolli di CXL, partendo dal Dresda, hanno applicato la legge di reciprocità di Bunsen Roscoe, secondo cui è possibile aumentare l’intensità e diminuire la durata del trattamento in modo da mantenere costante l’energia totale di 5,4 J/cm2 del Dresda. Questa legge è inapplicabile per tessuti organici trasparenti come la cornea. Nonostante questo, sono sorti i protocolli cosiddetti “accelerati” come la iontoforesi che applicano intensità di 9, 18 o 45 mW/ cm2 con durate proporzionalmente minori. La numerosa bibliografia su questi protocolli riporta risultati negativi sull’efficacia (rafforzamento biomeccanico della cornea) e sulla sicurezza (infezioni, smerigliatura dello stroma, melting, danno dell’endotelio). Per contro, nel Protocollo CUSTOM FAST Epi-on (cfCXL), una volta identificato il consumo di riboflavina e la sua concentrazione media nello stroma corneale, è stato sviluppato

un modello matematico in grado di mettere in un’unica relazione tutti i parametri coinvolti durante il trattamento. Questo ha dato origine a un software che calcola intensità, durata e diametro del trattamento per ogni singola cornea, mettendo in relazione spessore corneale minimo, AK e sue coordinate. Inoltre, partendo dalla teoria delle deformazioni elastiche di Timoshenko, è stato sviluppato un algoritmo in grado di calcolare il diametro del fascio UV, parametro fondamentale per la riuscita del CXL. Lo stesso algoritmo consente anche di risalire alla percentuale di variazione del modulo di Young confrontando i dati topografici tra il pre e il post trattamento. In futuro tale nuovo indice, se validato, potrebbe rappresentare un ottimo marker di riuscita del CXL, attraverso l’informazione dell’avvenuta variazione dell’elasticità della cornea. Il cfCXL è un algoritmo di trattamento senza rimozione epiteliale, con 15 minuti di imbibizione corneale con una soluzione di TPGS riboflavina-vitamina E, con fascio d’irradiazione ultravioletta da 370 nm centrato sull’area corneale più curva della cornea e con un diametro variabile da caso a caso e sulla base del calcolo del software. L’intensità del fascio d’irradiazione, l’energia totale e il tempo di esposizione sono molto inferiori rispetto al Dresda. Queste considerazioni matematiche si basano sulla teoria dei gusci elastici e dimostrano che la procedura cfCXL con fasci UV-A di diametro < 7 mm, situati nell’area corneale più curva, provocano un rapido appiattimento, insieme a una più rapida flessione della porzione non trattata. Con questa metodica la somministrazione di riboflavina durante la

fase d’irraggiamento non serve e la rendono elettiva nel trattamento di ectasie con spessori corneali al di sotto dei 400 nanometri dove l’espansione corneale con riboflavina iposmolare è sempre molto rischiosa poiché questa ha un coefficiente di assorbimento molto inferiore alla isosmolare mettendo a rischio la funzione di protezione dell’endotelio corneale e non raggiungendo i risultati sperati d’efficacia. I vantaggi del CXL CUSTOM FAST epi-on rispetto al Dresda e alle altre metodiche empiriche derivate dal Dresda sono: � riduzione dei tempi di trattamento; � inferiore energia complessiva a carico della cornea; � mantenimento costante della soglia di sicurezza endoteliale; � intensità d’irraggiamento modulabile; � diametro del fascio d’irraggiamento minore; � possibilità di trattare cornee sottili senza ricorrere a soluzioni iposmotiche; � assenza di complicanze gravi. Sono stati necessari quasi venti anni per passare da un protocollo empirico come il Dresda basato su valori stabiliti euristicamente, a una metodica con solide basi scientifiche, efficace, riproducibile e enormemente più sicura come il CXL CUSTOM FAST epi-on. È un’importantissima innovazione tecnologica e terapeutica che permette di trattare in piena sicurezza soggetti giovani garantendo l’irrigidimento corneale, insieme con un miglioramento topografico-morfologico del profilo corneale, cheratometrico, rifrattivo e visivo. Il CXL CUSTOM FAST epi-on rappresenta la migliore soluzione in assoluto per le cornee sottili. 33


Approfondimenti

L’AZIONE ANTALGICA DEI FANS Il loro utilizzo in chirurgia oftalmica

I

di Dottor Giamberto Casini, Azienda Ospedaliero Universitaria Pisana e Università di Pisa Facoltà di Medicina e Chirurgia

Dottor Giamberto Casini

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I farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS) sono analgesici e antiflogistici che agiscono bloccando la produzione di prostaglandine, i principali mediatori lipidici dell’infiammazione e del dolore tramite l’inibizione delle cicloossigenasi COX-1 e COX-2. Questi farmaci, per uso topico, vengono comunemente utilizzati nella pratica oftalmologica per il trattamento e la prevenzione di complicazioni infiammatorie postoperatorie, in particolare nella chirurgia della cataratta, nella chirurgia refrattiva, nella chirurgia vitreoretinica, nella terapia parachirurgica del glaucoma. L’uso dei FANS può rappresentare una valida alternativa alla terapia antinfiammatoria con farmaci steroidei, particolarmente nelle chirurgie più complesse1. I FANS sono farmaci sicuri e ben tollerati, con pochi e lievi effetti indesiderati come bruciore, irritazione, cheratopatia puntata superficiale e ritardata guarigione delle ferite. Eventi avversi gravi sono rari e si manifestano prevalentemente in pazienti con pregresse patologie severe della superficie oculare2. Si consiglia sempre di rispettare la posologia consigliata nell’applicazione topica, e di comprenderne la farmacodinamica, rispettando le modalità di somministrazione e facendo del buon monitoraggio per raggiungere l’obiettivo terapeutico senza incorrere in eventuali controindicazioni. I BENEFICI DELL’USO DEI FANS IN CHIRURGIA OFTALMICA I FANS sono largamente utilizzati nella profilassi preoperatoria e postoperatoria in diversi ambiti della chirurgia. Ad esempio, nella chirurgia vitreoretinica e della cataratta i FANS riducono l’infiammazione e il dolore nei giorni successivi all’inter-

vento e l’incidenza di complicanze postoperatorie, come l’edema maculare cistoide3. Inoltre, stabilizzano la dilatazione della pupilla riducendo la miosi intraoperatoria. Nella chirurgia refrattiva i FANS hanno dimostrato di avere numerosi vantaggi rispetto ai farmaci cortisonici in quanto capaci di mantenere stabile la IOP, ridurre il rischio di infezioni, minori ritardi nella riepitelizzazione e cicatrizzazione corneale, e di avere un impatto benefico sul dolore e sintomatologia4. L’uso dei FANS è indicato anche nella chirurgia vitreoretinica episclerale, nelle crioapplicazioni, nella panfotocoagulazione estesa e nella chirurgia laser come l’utilizzo del laser YAG, l’argon laser, la trabeculoplastica (ALT) e la chirurgia Laser Trabeculoplastica Selettiva (SLT). Pertanto, i FANS topici possono essere largamente utilizzati nella pratica oftalmologica grazie all’elevata attività antinfiammatoria, le proprietà analgesiche, oltre alla loro sicurezza e tollerabilità e la capacità di penetrazione in camera posteriore per prevenire complicanze5. KETOROLAC: LA SUA AZIONE ANTALGICA IN CHIRURGIA OFTALMICA Il ketorolac trometamina è un principio attivo derivato dall’acido arilacetico appartenente alla categoria FANS con proprietà antinfiammatorie, analgesiche e antipiretiche, la cui attività si basa sull’inibizione della sintesi delle prostaglandine, mediatori del dolore e dell’infiammazione, che vengono rilasciate in risposta ad un trauma diretto, come un intervento chirurgico. I farmaci con tale principio attivo sono ben noti per la loro marcata azione analgesica e sono tra i più usati per il trattamento del dolore. Si sono dimostrati superiori rispetto


ad altri antinfiammatori (come i salicilati) grazie all’inibizione delle prostaglandine, soprattutto della PGE2, responsabile dell’attivazione di alcuni recettori periferici coinvolti nella trasmissione del dolore. Non per niente, si tratta dei farmaci più utilizzati, in alternativa o in associazione alla terapia con oppiacei, nel trattamento del dolore postoperatorio di media o grave entità. Nelle sue applicazioni in chirurgia oftalmica, ketorolac ha dimostrato in numerosi studi di avere una spiccata azione antidolorifica: infatti, riduce in modo significativo il dolore oculare postoperatorio già il giorno successivo l’operazione, a differenza del gruppo placebo6. L’efficacia, unita all’alto profilo di sicurezza, lo rende un importante alleato del chirurgo oftalmologo per garantire una buona riuscita e alte aspettative in un’operazione della cataratta o refrattiva7. In uno studio comparativo pubblicato nel 2007 su Journal of Cataract and Refractive Surgery si è messa a confronto l’efficacia di ketorolac trometamina e nepafenac, un altro FANS topico largamente utilizzato in chirurgia oftalmica, specialmente per la cataratta8. Una differenza importante tra i due FANS è essenzialmente biochimica. Nepafenac è un profarmaco che, applicato per via oftalmica, penetra nella cornea e viene convertito dalle idrossilasi del tessuto oculare in amfenac, un acido osso-monocarbolissico con azione analgesica. Lo studio, prospettico randomizzato in doppio cieco e condotto su 193

pazienti con cataratta, ha voluto valutare i risultati oggettivi e sintomi soggettivi dopo l’intervento. I pazienti di entrambi i gruppi (ketorolac vs nepafenac) lamentavano sintomi soggettivi comparabili, dolore e malessere preoperatorio simili. Entrambi i FANS topici sono stati ben tollerati nei due gruppi, con pochissimi casi di effetti collaterali postoperatori. Tuttavia, il gruppo ketorolac ha registrato un migliore controllo del dolore rispetto al gruppo nepafenac, dimostrando che ketorolac trometamina è superiore a nepafenac in termini di soddisfazione del paziente, aderenza alla terapia e sopportazione del dolore postoperatorio. La soddisfazione del paziente è una priorità per la pratica medica, soprattutto quando si tratta di chirurgia e il controllo del dolore. Livelli ridotti di dolore consentono al paziente di sopportare meglio le conseguenze di un intervento con un atteso aumento dei livelli di soddisfazione, una riduzione del peso terapeutico e una maggiore aderenza, assieme ad una ridotta incidenza di complicanze come l’edema maculare cistoide come conseguenza della chirurgia della cataratta. Per ottenere il risultato migliore si consiglia di partire almeno un giorno prima dell’intervento con la terapia antinfiammatoria e proseguire per una settimana postoperatoria.

1 Bellucci et al. Documento di Consenso: Razionale di utilizzo clinico degli antinfiammatori in oftalmologia. 2015, Science Promotion, p. 22 2 Bellucci et al, p.14 3 Bellucci et al, pp. 21-22 4 Bellucci et al, p. 38 5 Bucci FA Jr, Waterbury LD (2011) A randomized comparison of to-aqueous penetration of ketorolac 0.45%, bromfenac 0.09% and nepafenac 0.1% in cataract patients undergoing phacoemulsification, Current Medical Research and Opinion, 27:12, 2235-2239, DOI: 10.1185/03007995.2011.626018; Bucci FA Jr, Waterbury LD. Prostaglandin E2 inhibition of ketorolac 0.45%, bromfenac 0.09%, and nepafenac 0.1% in patients undergoing phacoemulsification. Adv Ther. 2011;28(12):1089-1095. doi:10.1007/s12325-011-0080-7; 6 McCormack PL. Ketorolac 0.45% ophthalmic solution. Drugs Aging. 2011;28(7):583589. doi:10.2165/11207450000000000-00000 7 Price MO, Price FW. Efficacy of topical ketorolac tromethamine 0.4% for control of pain or discomfort associated with cataract surgery. Curr Med Res Opin. 2004;20(12):2015-2019. doi:10.1185/030079904x16759 8 Duong HV, Westfield KC, Chalkley TH. Ketorolac tromethamine LS 0.4% versus nepafenac 0.1% in patients having cataract surgery. Prospective randomized double-masked clinical trial. J Cataract Refract Surg. 2007;33(11):1925-1929. doi:10.1016/j.jcrs.2007.07.017 35


Eventi Congressuali

18° CONGRESSO INTERNAZIONALE SOI 2021 SOCIETÀ OFTALMOLOGICA ITALIANA Si è svolto a Roma dall’8 all’11 luglio 2021, nella suggestiva cornice del Centro Congressi Rome Cavalieri Waldorf Astoria, il 18° Congresso Internazionale SOI 2021. Un’edizione molto importante poiché la prima in presenza dall’inizio della pandemia di COVID-19. Un segno molto importante per l’oftalmologia italiana che vuole ripartire, con la voglia di rivedersi e trovarsi a discutere dei temi più importanti. Abbiamo intervistato alcuni dei suoi protagonisti, raccogliendo per voi informazioni, novità, storie e opinioni.

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18° CONGRESSO INTERNAZIONALE SOI, NEL SEGNO DELLA RIPARTENZA Il Presidente della SOI Matteo Piovella tira le somme del 18° Congresso Internazionale svoltosi in presenza a Roma alle porte del post-pandemia. Piovella parla delle conseguenze del COVID-19 sulla pratica clinica dell’oftalmologia e le difficoltà che l’oftalmologo e i pazienti hanno dovuto subire durante l’emergenza. La riapertura richiede un aggiornamento del sistema sanitario pubblico, in particolare nella garanzia di migliori cure e di tecnologie più innovative nella chirurgia della cataratta. 36

LE INTERAZIONI DELLA LUCE BLU CON L’APPARATO VISIVO Pasquale Troiano, Vice Segretario SOI, ci riassume la sua relazione in diretta dal 18° Congresso Internazionale della SOI sulle interazioni che ha la luce blu con l’apparato visivo. Esse sono molteplici e conoscerle è molto importante quali sono le implicazioni sui nostri occhi e quali sono le difese e accortezze che possiamo adottare.


EFFICACIA E SICUREZZA DI HYDRUS MICROSTENT Magda Rau, ospite Internazionale al 18° Congresso internazionale SOI 2021, ha parlato della sua relazione sull’efficacia e la sicurezza di Hydrus Microstent per la riduzione della pressione intraoculare, una procedura micro-invasiva per il trattamento del glaucoma ad angolo aperto.

LE COMPLICANZE SUB MACULARI NEL POST CHIRURGIA VITREORETINICA Emilio Rapizzi riassume il suo intervento al 18° Congresso Internazionale SOI sulle complicanze sub maculari nel periodo post vitrectomia. Il Dottor Rapizzi condivide con i colleghi tips&tricks su come trattare queste complicanze.

GLI EFFETTI TOSSICI DELLA LUCE Filippo Cruciani, dal 18° Congresso Internazionale SOI, ci parla degli effetti dannosi della luce sui nostri occhi. Ci sono tuttavia dei modi che possono aiutare a contenere questi danni, grazie all’uso di filtri particolari che possono schermare e proteggere.

FDA APPROVA INTENSE PULSE LIGHT (IPL) PER IL DRY EYE Rolando Toyos ha annunciato durante il 18° Congresso Internazionale SOI a Roma l’approvazione da parte della FDA del sistema Intense Pulse Light (IPL) per l’occhio secco, un’innovazione che ha dimostrato eccezionali risultati.

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Eventi Congressuali

SIMPOSIO SOI - EYESEE

LE LENTI PROGRESSIVE INDIVIDUALI: CARATTERISTICHE TECNICHE E CAMPI DI UTILIZZO IN BASE ALLE NECESSITÀ CLINICHE E ALLE ATTIVITÀ QUOTIDIANE Si è svolto il 9 luglio, in occasione del 18° Congresso Internazionale SOI al Centro Congressi Rome Cavalieri Waldorf Astoria, il simposio organizzato dalla stessa Società Oftalmologica Italiana e EyeSee sulle lenti progressive individuali. L’obiettivo era di fornire agli oculisti, grazie anche agli interventi delle aziende, gli elementi per consigliare la lente più adeguata in base alle esigenze specifiche del paziente, e conoscere lo sviluppo, le caratteristiche tecnico-pratiche e le loro diverse tipologie.

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UNA CORRETTA ANAMNESI E REFRAZIONE PER LA PRESCRIZIONE DELLA LENTE PROGRESSIVA In diretta dal 18° Congresso Internazionale SOI, Luigi Mele ha sottolineato l’importanza del ruolo dell’oculista nel fare una corretta anamnesi e refrazione per prescrivere in modo accurato e corretto le lenti progressive al paziente, permettendo anche una buona sinergia con l’ottico che dovrà costruire l’occhiale su misura. 38

L’EVOLUZIONE TECNOLOGICA DELLE LENTI PROGRESSIVE Giorgio Parisotto, Head of Training & Medical Relations per Essilor, ha parlato al simposio SOI - EyeSee ospitato dal 18° Congresso Internazionale SOI della storia delle lenti progressive, dai primi progetti fino alle più moderne tecnologie.


PARAMETRI COSTRUTTIVI DI UNA LENTE PROGRESSIVA L’Ingegner Paolo Pettazzoni, Presidente e AD di Optovista, ha condiviso la sua relazione al Simposio SOI - EyeSee sui parametri costruttivi di una lente progressiva. Il Simposio è stato ospitato nel contesto del 18° Congresso Internazionale della SOI 2021 a Roma.

LE TIPOLOGIE DI LENTI PROGRESSIVE IN BASE ALLE DIVERSE ATTIVITÀ Silvano Larcher, responsabile delle relazioni con la classe medica di Hoya Italia, ha riassunto la sua relazione al simposio SOI - EyeSee ospitato dal 18° Congresso Internazionale della SOI. Ogni attività ha bisogno delle sue lenti progressive specifiche per avere le migliori prestazioni per il portatore presbite, dall’ufficio, allo sport, fino alla guida.

IL DESIGN DELLE LENTI PROGRESSIVE Fabio Briganti, Product Manager di Carl Zeiss Vision, ci parla della sua relazione sul design delle lenti progressive, nell’ambito del simposio SOI - EyeSee sulle lenti progressive individuali, ospitato dal 18° Congresso della SOI.

LENTI PROGRESSIVE E FORIE Andrea Piantanida, in diretta dal simposio SOI-EyeSee organizzato nel contesto del 18° Congresso Internazionale SOI, parla della criticità della prescrizione della lente progressiva in presenza di forie. Il Dottor Piantanida descrive i casi in cui è possibile prescrivere la lente progressiva e quelli in cui non lo è, dando consigli ai propri colleghi.

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Tecniche chirurgiche

PIÙ SEMPLICE, PIÙ VELOCE, PER PIÙ PAZIENTI Il trapianto lamellare della membrana di Bowman: un’esperienza in evoluzione da dieci anni

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Intervista al Dottor Jack Parker, Parker Cornea, Birmingham (USA)

Per collegarsi al video, scansionare il codice QR

Il Dottor Jack Parker

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Quella del trapianto lamellare della membrana di Bowman è una storia iniziata circa dieci anni fa nei Paesi Bassi, presso il NIIOS di Rotterdam, la clinica del Dottor Gerrit Melles. Una tecnica chirurgica che, grazie al lavoro pionieristico di professionisti come la Dottoressa Isabel Dapena, sta continuando ad evolvere e adattarsi per un numero sempre più esteso di pazienti. Con sempre più semplificazione e meno invasività, sta dimostrando le sue grandi potenzialità per il trattamento del cheratocono, come ha spiegato ad EyeSee Jack Parker, MD, PhD, che ha adottato la tecnica anche con i suoi pazienti. “La versione originale, la ‘inlay’, risale al 2011-2012, quando un paziente si è presentato al NIIOS di Gerrit Melles con un haze significativo dopo una LASIK”, spiega il Dottor Parker. “Gerrit ha messo dunque in

campo la sua expertise professionale nella cura delle ferite corneali e ha capito che la funzione della membrana di Bowman è di fare da barriera anatomica tra lo stroma e l’epitelio corneale: questa può essere disturbata dalla chirurgia refrattiva con il laser, con conseguenti fenomeni di cicatrizzazione”. Ragionando su questo assunto, il Dottor Melles ha sperimentato questo intervento chirurgico per ripristinare la membrana di Bowman, con ottimi risultati per il paziente e dando conferma della sua teoria. “Credo che questo l’abbia ispirato a pensare ancora di più alle proprietà meccaniche della membrana di Bowman e a quelle patologie in cui essa è frammentata o danneggiata: una di queste è proprio il cheratocono”, afferma Parker. La tecnica eseguita dal Dottor Melles prevedeva la dissezione della cornea per creare una tasca in cui inserire la membrana di Bowman prelevata da un donatore. Il problema però nasceva su come far aderire il lembo e sui rischi nell’operazione di dissezione. “Creare questa tasca corneale è difficile, potenzialmente pericoloso e richiede del tempo perché si sta cercando di dissezionare una cornea molto sottile, danneggiata e molle. Sbagliare è possibile, e quindi anche inserire il graft poteva risultare arduo”, commenta Parker. Per risolvere questo problema il Dottor Gerrit Melles ha capito che probabilmente era meglio rimuovere dell’epitelio della cornea del paziente, posizionare il graft sopra la cornea e lasciarlo asciugare per farlo aderire, senza aprire delle tasche. Da quest’idea nasce lo sviluppo della tecnica ‘onlay’ della Dottoressa Isabel Dapena. “Grazie al lavoro pionieristico della Dottoressa


di Laura Gaspari

È estremamente semplice rispetto al vecchio metodo, anche se molto simile

Jack Parker

Il trapianto lamellare della membrana di Bowman: il preoperatorio e il postoperatorio

Dapena, insieme al Dottor Melles, si è scoperto che la risposta migliore al problema dell’aderenza del lembo è proprio l’asciugatura all’aria. Da qui la denominazione ‘onlay’”, spiega Jack Parker. La tecnica onlay, illustrata brillantemente nel video commentato dal Dottor Philip Dockery, è sostanzialmente uguale a quella inlay, senza però la creazione della tasca corneale. L’epitelio corneale viene rimosso delicatamente da una spugna chirurgica, viene applicato sopra

il graft della membrana di Bowman e lasciato asciugare per circa 30-45 minuti. La chirurgia si conclude applicando una lente a contatto per bendaggio sulla superficie dell’occhio. L’innovazione della Dottoressa Dapena ha ampliato anche le indicazioni di questo tipo di trapianto. “La Dottoressa Dapena ha scoperto che il trapianto lamellare della membrana di Bowman non solo è utile per le ectasie corneali come il cheratocono, ma anche per tipi di occhi con scarring,

come ad esempio le cicatrici erpetiche”, spiega Parker. “Sembra quindi che questo tipo di intervento coinvolga una vasta categoria di pazienti, da chi ha un cheratocono, a chi ha un ectasia corneale, fino a pazienti con ectasia causata da una cheratotomia radiale. Sembrerebbe idoneo pure per chi presenta delle anomalie all’interno della cornea. Quindi non sappiamo ancora per certo chi sono i pazienti nello specifico”. I dati sui pazienti per la tecnica ‘onlay’ non hanno ancora un follow-up maturo, a differenza di quelli della tecnica ‘inlay’. “Nei pazienti con cheratocono, la tecnica inlay stabilizzava la forma della cornea nell’80%-90% degli occhi circa. Si è riusciti a bloccare il deterioramento e molti occhi sono tornati alla forma normale”, commenta Parker. “I dati sulla onlay invece sono più recenti ed immaturi, non sappiamo ancora cosa succede ai pazienti, ma da quel che ho visto nella mia esperienza a Birmingham e nei Paesi Bassi, e in quella della Dottoressa Dapena, la tecnica onlay raggiunge gli stessi effetti e successi, stabilizzando la forma della cornea e sistemando un po’ la normale curvatura e trasparenza”. Più semplice, meno invasiva e rivolta a più pazienti. Questa è la formula vincente dello sviluppo della Dottoressa Dapena di una tecnica già efficace e presente nella pratica chirurgica da una decina di anni. “È estremamente semplice rispetto al vecchio metodo, anche se molto simile. Credo che la onlay abbia sostituito comunque la inlay in molte indicazioni. L’aspetto veramente affascinante però è l’utilizzo su più pazienti e in sempre più indicazioni”, conclude Jack Parker. 41


Ottica Fisiopatologica

LENTI FREE FORM, PARTE 2 Sinergie proficue alla ricerca del massimo grado di personalizzazione

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Intervista al Dottor Luigi Mele, U.O.C Oculistica, Servizio Trapianti Corneali della A.O. Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli e Presidente del Comitato Scientifico della Fondazione Salmoiraghi & Viganò

Il dottor Andrea Piantanida

Dottor Luigi Mele

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EyeSee inaugura una nuova sezione dedicata all’ottica fisiopatologica, con una serie di tre articoli che mirano ad approfondire le caratteristiche, i vantaggi e le indicazioni delle lenti progressive e monofocali Free Form. Sulla coda del Simposio della Società Oftalmologica Italiana organizzato insieme la redazione di EyeSee al 18° Congresso Internazionale della Società Oftalmologica Italiana, la parte 2 mira ad evidenziare l’importanza fondamentale della sinergia tra figure professionali dietro alla perfetta prescrizione e alla massima soddisfazione del paziente con le innovative lenti Free Form. Il processo verso la creazione di una lente progressiva Free Form ad altissime prestazioni inizia dalla visita oculistica del paziente. Con alcune eccezioni, le lenti progressive possono essere adatte alla maggior parte dei pazienti in età adulta. “Quasi tutti i pazienti presbiti possono usare le lenti progressive. Sono lenti particolarmente adatte sia per coloro che lavorano ai videoterminali, che a quelli che lavorano come autisti, e in generale a tutti coloro che fanno un lavoro che richiede una messa a fuoco a più distanze in breve tempo”, spiega il Dottor Luigi Mele, MD, PhD, Oculista presso l’U.O.C Oculistica, Servizio Trapianti Corneali della A.O. Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli e Presidente del Comitato Scientifico della Fondazione Salmoiraghi & Viganò. “Non c’è alcuna controindicazione specifica, anche una casalinga o chi lavora a casa può tranquillamente giovare di una lente progressiva. Si tratta di un’evoluzione della normale correzione ottica di un presbite, di un superamento della necessità di avere un paio di occhiali per lontano e uno per vicino”, osserva Mele. “È come avere una automo-

bile che allo stesso tempo ti permette di fare comodamente lunghi viaggi in autostrada e districarsi agevolmente nel traffico cittadino, superando così la necessità di avere due automobili una ‘per vicino’ e una ‘per lontano’”, sottolinea Mele. Secondo il Dottor Luigi Mele, le criticità con le lenti progressive Free Form sono molto rare. “Con le vecchie lenti progressive alcuni pazienti con problemi rilevanti al tratto osseo cervicale e problematiche posturali importanti ad esse collegate potevano avere delle difficoltà relative all’adattamento, ma questo è un problema ormai superato grazie all’accurata personalizzazione raggiunta negli ultimi anni delle lenti progressive Free Form. La criticità maggiore è ancora presente con i pazienti affetti da forme di strabismo”, osserva Mele. “Alcune forie, non consentono l’utilizzo di lenti progressive. Questo è tuttavia un problema che viene individuato subito attraverso una approfondita visita oculistica”, spiega Mele. La prima figura di importanza nel processo di prescrizione di una lente Free Form è l’oculista. L’obiettivo di ottenere una lente di massima resa e dal veloce adattamento passa attraverso l’anamnesi, l’esame obiettivo e la visita oculistica completa. “Spetta all’oculista procedere ad un’anamnesi accurata, che deve sia essere clinica finalizzata a individuare eventuali patologie come diabete, pressione arteriosa, patologie neurologiche, problemi cervicali e ossei”, spiega Mele. “A fianco a questo, è necessaria anche un’anamnesi occupazionale in cui l’oculista analizza le necessità visive in base alla professione e alle condizioni lavorative. È un elemento molto importante che si deve sempre associare ad una visita oculistica approfondita. Step finale è


di Timothy Norris

Non dobbiamo anteporre gli interessi commerciali e personali, ma mettere in prima linea il nostro lavoro, gli interessi del paziente, le sue necessità e la sua soddisfazione

Luigi Mele

la prescrizione della lente con potere diottrico preciso e perfettamente bilanciata che verrà inviata all’ottico, il quale, grazie alle sue competenze tecniche procederà a raccogliere tutti quei parametri antropometrici necessari al confezionamento e rilascio di un sistema progressivo Free Form caratterizzato dalla massima precisione e personalizzazione”, aggiunge. Una lente progressiva nasce da un sodalizio professionale, una collaborazione tra oculista ed ottico a beneficio del paziente. “È un rapporto da cinquanta e cinquanta”, afferma Mele. “Cinquanta per cento del lavoro spetta all’oculista e l’altro cinquanta per cento è competenza dell’ottico. Solo se l’oculista lavora al meglio nella sua metà e l’ottico pure, si può avere un risultato del cento per cento. Stiamo parlando del massimo punto di incontro tra il mondo dell’oculistica e il mondo dell’ottica e una buona lente progressiva non è solo il frutto del buon lavoro di due singole parti, ma della collaborazione piena di entrambe le figure professionali”, sostiene Mele. “Ognuno nel

rispetto dei propri ruoli, nel mettere a disposizione le proprie competenze professionali è in grado di fare la sua parte per fornire al paziente una lente progressiva perfetta. Perfettamente personalizzata”. Della necessità di una stretta alleanza tra oculista e ottico si è parlato durante il Simposio SOI-EyeSee “Le lenti progressive individuali: caratteristiche tecniche e campi di utilizzo in base alle necessità cliniche e alle attività quotidiane” al 18° Congresso Internazionale SOI. “Il Simposio aveva come obiettivo di partenza il rilancio di una joint venture necessaria e fondamentale tra oculista e ottico nella prescrizione e nel confezionamento del sistema progressivo di ultima generazione”, racconta Mele. “Due figure professionali che si sono confrontate, ma specialmente interfacciate per dimostrare quanto una stretta collaborazione nel campo delle lenti progressive sia essenziale per ottenere la migliore lente a beneficio del paziente”. La cura per il dettaglio, la personalizzazione, il dialogo e la collaborazione

tra figure professionali sono elementi essenziali di un sistema che mette il paziente al centro. La filosofia alla base della costruzione di una lente Free Form è una mano tesa parimenti all’oculista e all’ottico. “Non dobbiamo anteporre gli interessi commerciali e personali, ma mettere in prima linea il nostro lavoro, gli interessi del paziente, le sue necessità e la sua soddisfazione”, afferma Mele. “Solo in questo modo si potrà ottenere un lavoro collaborativo, sinergico, proficuo ed efficace”, conclude. Scarica il filmato.

A cura del supporto tecnico Salmoiraghi & Viganò 43


Dal Mondo dell’Ottica - Tecnologie di Produzione LENTI OFTALMICHE RODENSTOCK E PRESCRIZIONI PRISMATICHE Con il presente articolo, oltre che parlare di prescrizioni prismatiche, desideriamo condividere le geometrie di lenti oftalmiche più idonee per queste tipologie di compensazioni ottiche.

di Mauro Nocera Product Manager Lenti & Strumenti Rodenstock Italia

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In presenza di prescrizioni prismatiche siano esse riferite a problemi della visione binoculare, a limitazione dei campi visivi o a problemi posturali, alcune tipologie di lenti oftalmiche, meglio di altre, offrono agli utenti migliori performance visive. Contrariamente a quanto avviene nella pratica clinica italiana, in Germania le prescrizioni prismatiche sono molto frequenti specialmente parlando di utenti presbiti portatori di lenti progressive: una visione perfettamente bifoveale assicura le migliori performance e il pieno utilizzo dei campi visivi, prerogativa particolarmente importante per questa tipologia di prodotti. Questa cultura di prescrizione nasce alla fine degli anni sessanta grazie a Hans Joachim Haase che ha sviluppato un metodo di implementazione della visione binoculare attraverso le lenti oftalmiche: il metodo MKH (misurazione e correzione secondo Haase) prevede l’esecuzione di una serie di test finalizzati ad ottenere una compensazione ottica che produca evidenti miglioramenti nel comfort, nitidezza, stabilità delle immagini, sensibilità al contrasto e nella soglia di stereopsi. Ogni qualvolta è presente un errore di posizione dell’immagine retinica, sia che venga compensato in modo dinamico (motorio) o statico (sensoriale) o in entrambe le modalità, la prescrizio-

ne prismatica rappresenta una tra le diverse modalità compensative. Per prima cosa va detto che una prescrizione prismatica non deve essere convertita con un decentramento ottico, in quanto decentrando una lente oftalmica si decentrano anche le aberrazioni geometriche: già nello sguardo dritto in avanti sono presenti maggiori aberrazioni e nei movimenti laterali dello sguardo si manifestano aberrazioni astigmatiche fortemente differenziate. Guardando invece direttamente attraverso il punto di riferimento di una lente prismatica (cioè con prisma di costruzione), la lente presenta il potere diottrico richiesto e la zona esente da aberrazioni si dispone simmetricamente intorno a questo punto. Bisogna però tener conto che, rispetto alle lenti tradizionali, le lenti prismatiche presentano aberrazioni più marcate (cromatiche, astigmatismo e distorsioni) ancora più apprezzabili con i movimenti dello sguardo: fortunatamente il sistema visivo è in grado di controllare queste aberrazioni ripristinando rapidamente la normale percezione spaziale. Rimane pertanto fondamentale la selezione della geometria oftalmica che possa da una parte minimizzare questo disagio iniziale e dall’altra poter garantire le migliori performance funzionali nel tempo. Ai fini del comfort e del miglior risultato estetico è sempre opportuno considerare: • lenti con geometria freeform personalizzata (Multigressiv) o individualizzata (Impression), ancor meglio nelle rispettive versioni biometriche (Biometric Intelligent Glasses); • lenti preferibilmente di basso-medio indice (1.50 o 1.60) nelle ipermetropie, riservando l’alto indice (1.67) solo nelle alte miopie; • la costruzione precalibrata, a miglior contenimento degli spessori e del peso; • un trattamento antiriflesso Solitaire al top di gamma. Tenuto conto di quanto sopra, sia che si tratti di lenti monofocali, sia di lenti progressive, grazie alle nuove generazioni di lenti oftalmiche le prescrizioni prismatiche non rappresentano più un problema di adattamento per gli utenti.


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News dalle aziende

ITAL-LENTI PRESENTA LE NUOVE LENTI MYOKIDS PER IL CONTROLLO DELLA PROGRESSIONE MIOPICA NEI BAMBINI E AD ADOLESCENTI

S

Sappiamo che la miopia è un problema sempre più diffuso e destinato a crescere a livello planetario. Le statistiche infatti indicano un costante e significativo aumento negli ultimi 20 anni e ad oggi un terzo della popolazione mondiale risulta essere miope. Il trend rilevato suggerisce dati destinati a crescere, con una proiezione che porterà al superamento della soglia del 50% nel 2050. Le ricerche svolte dimostrano che le cause sono focalizzate nelle mutate abitudini di vita, principalmente nell’aumento dell’attività visiva a distanza ravvicinata, spesso utilizzando dispositivi digitali e nel mi-

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nor tempo trascorso in spazi aperti. Il controllo dell’evoluzione della miopia nei bambini ed adolescenti è uno degli argomenti di maggiore interesse in quest’ultimo periodo, in relazione al costante incremento delle miopie, soprattutto nelle fasce di età di soggetti in età scolare dai 6 ai 14 anni Gli studi finora effettuati mettono in evidenza che oltre il 60% della miopia si sviluppa già dai 6/7 anni fino all’adolescenza, pertanto la prevenzione della miopia infantile, con l’adozione di misure precauzionali, diventa un fattore importante al fine di limitare la costante progressione di questo difetto visivo. Per rispondere a questa necessità, spiega Paolo Marchesi Product e


Marketing Manager di Ital-lenti, rifacendoci ai numerosi studi svolti a livello internazionale, ci siamo concentrati nello sviluppare una nuova famiglia di lenti con defocus periferico - MYOKIDS - che permettono, oltre alla correzione del difetto refrattivo, anche di controllare l’evoluzione miopica. Ricerche a livello internazionale hanno confermato che la parte centrale della retina dei pazienti miopi mostra un defocus miopico, mentre la parte periferica mostra un defocus ipermetropico, che è la causa principale dell’aumento della miopia. L’utilizzo con continuità delle lenti con defocus periferico da parte di bambini miopi in età scolare dai 6 ai 14 anni garantisce un controllo della progressione del difetto refrattivo e del conseguente allungamento assiale del bulbo oculare PRINCIPIO DI PROGETTAZIONE DELLE LENTI CON DEFOCUS L’area centrale della lente offre il reale potere diottrico, per garantire ai portatori l’adeguata correzione refrattiva per lontano. La tecnologia Free-Form di MYOKIDS consiste in una zona ottica centrale di 9 mm per correggere il difetto miopico nella visione da lontano e un defocus periferico che si estende su tutta la superficie della lente. Questa caratteristica della lente con defocus miopico, come dimostrato dagli studi, è in grado di ridurre e controllare l’allungamento assiale del bulbo oculare causato dalla sfocatura periferica ipermetropica, controllando e ritardando così in maniera efficace la progressione della miopia nei giovani portatori. TRATTAMENTI Per una maggiore protezione le lenti MYOKIDS vengono fornite con trattamento super-indurente DuraKids, sviluppato per garantire maggiore resistenza alle lenti, sollecitate dall’intesa attività dei bambini e dei ragazzi. È possibile richiedere le lenti MYOKIDS anche con trattamento Iron Kids, per proteggere le lenti dei giovani portatori dall’usura e dagli agenti atmosferici, migliorando la visione e facilitando la pulizia delle lenti.

PROTEZIONE LUCE BLU Retina Kids è l’innovativo materiale realizzato con uno speciale pigmento che permette di ridurre al minimo gli effetti delle radiazioni ultraviolette e della luce blu dannosa, che viene ampiamente emessa dai dispositivi digitali.

centrata sugli assi verticale ed orizzontale, in relazione al centro pupillare che deve essere perfettamente allineato con il centro ottico della lente. La montatura deve essere perfettamente assestata e stabile sul volto del bambino.

CONTROLLI PERIODICI SUGGERITI L’utilizzo di lenti per il controllo dell’evoluzione della miopia deve essere monitorato dal Medico Oculista in sinergia con il professionista della visione. Allo scopo di verificare l’effettiva funzionalità delle lenti si consiglia di effettuare controlli semestrali per un periodo di almeno 2 anni.

IL CATALOGO LENTI KIDS Le lenti MYOKIDS rientrano nel catalogo dei prodotti Kids recentemente introdotto da Ital-Lenti, una gamma di lenti specificatamente progettate e realizzate per le necessità visive di bambini e ragazzi. Grazie alle innovative tecnologie di calcolo Free-Form l’azienda ha sviluppato dei design specifici, realizzati considerando le esigenze visive dei portatori più giovani, che sono diverse rispetto agli adulti. Il risultato sono lenti che garantiscono un’eccezionale qualità di visione, soprattutto per refrazioni importanti. Anche le lenti MYOKIDS rientrano nel programma “Sostituzione agevolata” di Ital-lenti.

REGOLE PER IL MONTAGGIO Per garantire una ottimale performance delle lenti, il montaggio deve essere effettuato rispettando l’asse orizzontale che viene indicato nella tamponatura. Per un efficace risultato è indispensabile valutare con attenzione la scelta della montatura, che deve essere adeguatamente

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News dalle aziende

LENIVAbio GARZE STERILI L’IGIENE OLTRE LA CURA DELLE PALPEBRE

L

LENIVAbio garze sterili monouso sono imbevute di una soluzione isotonica tamponata, contenente Acido Ialuronico, Aloe Vera (estratto da foglie), Ruscus aculeatus (estratto secco), Citrus extract (Biosecur®). La soluzione è priva di alcol, senza parabeni, senza lattice. LENIVAbio rispetta il film idrolipidico presente sulla superficie cutanea. • Il Biosecur® è approvato dalla Food and Drug Aministration come sicuro addittivo antimicrobico (Certificato GRAS) ed agisce come antisettico tenendo sotto controllo la carica batterica e aiutando quindi a prevenire i possibili processi infettivi. • Il Ruscus aculeatus ha proprietà antiflogistiche, antiedemigene, vasotrofiche e astringenti in grado di limitare la permeabilità vascolare • L’ Acido ialuronico grazie alle sue proprietà favorisce idratazione ed elasticità del sottile e delicato

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strato di pelle della zona perioculare e palpebrale. L’Acido ialuronico inoltre è capace di interagire con recettori specifici nello spazio intracellulare ed indurre fenomeni riparativi dei tessuti in sofferenza (wound healing). • L’aloe vera ha dimostrato di inibire la produzione di radicali liberi, di contrastare la flogosi, contrastare le infezioni batteriche, virali e micotiche, favorire i processi di riepitelizzazione. LENIVAbio è indicato dove occorre “l’igiene oltre la cura” nella rimozione di residui da desquamazione della superficie palpebrale o secrezioni conseguenti a fenomeni infiammatori e/o allergici o come coadiuvante nella cura di alcune patologie oftalmiche come congiuntiviti, blefariti e blefarocongiuntiviti. LENIVAbio, per la sua peculiare formulazione, trova impiego nella profilassi prima e dopo interventi di chirurgia oftalmica.


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KIDS è la gamma di lenti realizzate da Ital-Lenti appositamente progettate per i bambini. Il design delle lenti Kids è ottimizzato HTS XUJHNFQN UFWFRJYWN UWJHTS‫ܪ‬LZWFYN per bambini che hanno esigenze visive IN[JWXJ WNXUJYYT FI ZS FIZQYT UJWHMऍ [NXZFQN__FST NQ [NHNST F INXYFS_J WNITYYJ e con parametri ergonomici ridotti. .Q WNXZQYFYT XTST QJSYN HTRUQJYFRJSYJ personalizzate che garantiscono FN GFRGNSN ZSѣJHHJ_NTSFQJ VZFQNYऄ IN [NXNTSJ FXXTHNFYF FQQF RFXXNRF protezione dalle radiazioni UV e IFQQF QZHJ 'QZ IFSSTXF JRJXXF IFN dispositivi digitali

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LENTI

CORREZIONE DELLA MIOPIA La zona di visione monofocale offre una visione nitida.

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CONTROLLO DELLA PROGRESSIONE MIOPICA La tecnologia H.A.L.T.(2) crea un volume di segnale in grado di rallentare in media del 67% la progressione della miopia(1).

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NO COMPROMESSI Estetica, sicurezza, semplicità.

DUE ANNI DI STUDI CLINICI HANNO DIMOSTRATO L’EFFICACIA DELLE LENTI STELLEST™ Prospettici, randomizzati e in doppio cieco Durata: 2 anni 104 bambini miopi: lenti monofocali (50) e lenti Stellest™ (54)

EFFICACIA DELLE LENTI STELLEST™ NEL CONTROLLO DELLA MIOPIA Le lenti Essilor® Stellest™ rallentano in media del 67% (0,99D) la progressione della miopia, rispetto alle lenti monofocali, se indossate 12 ore al giorno(1). 0,25

LINEA BASE

6M

12M

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Le lenti Stellest™ rallentano l’allungamento dell’occhio in media del 60% (0,41 mm) rispetto alle lenti monofocali, se indossate 12 ore al giorno(1).

24M

0,80

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6M

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0,69 mm 0,60 -0,48D

-0,50 -0,75

0,99D (67%)

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CAMBIAMENTO IN AL (MM)

CAMBIAMENTO IN SER (D)

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0,41 mm (60%) 0,40 0,28 mm 0,20

-1,25 -1,46D

-1,50 -1,75

0,00 Lenti monofocali

Lenti Stellest™ indossate almeno 12 ore al giorno ogni giorno

Lenti monofocali

Lenti Stellest™ indossate almeno 12 ore al giorno ogni giorno

(1) Rispetto alle lenti monofocali standard, se indossate almeno 12 ore al giorno. Risultati di studi clinici prospettici, controllati, randomizzati e in doppio cieco di due anni - 104 bambini miopi divisi in due gruppi: lenti monofocali (50) e lenti Stellest™ (54) - I risultati di efficacia si basano su 32 bambini che hanno dichiarato di indossare lenti Stellest™ almeno 12 ore al giorno ogni giorno - Eye Hospital della Wenzhou Medical University - J. Bao, A. Yang, Y. Huang, X. Li, Y Pan, C. Ding, E. W. Lim, J Zheng, D. P. Spiegel, Y. L. Wong, B. Drobe, F. Lu, H. Chen. (2) Highly Aspherical Lenslet Target


EFFICACIA DELLE LENTI STELLEST™ NEL CONTROLLO DELLA MIOPIA 2 bambini su 3 che hanno indossato le lenti Stellest™ non hanno avuto bisogno di un cambio di prescrizione dopo il primo anno(1). Dopo il primo anno, l’allungamento assiale o bulbare di 9 bambini su 10 che indossavano le lenti Stellest™ è stato simile o più lento rispetto ai bambini non miopi(1).

BENEFICI AGGIUNTIVI 100% dei bambini ha una visione nitida con le lenti Stellest™(1). 91% dei bambini si è completamente adattato alle nuove lenti in 3 giorni(1). 94% dei bambini si sente a proprio agio con le lenti Stellest™.

GESTIONE DELLA MIOPIA CON LE LENTI STELLEST™

VISITA 1

PRIMO CONTROLLO E PRESCRIZIONE

01

Verifica assetto montatura Prima impressione visiva VISITA 2

CONSEGNA E CONSULENZA

02

Controllo acuità visiva (lontano e vicino) Prova degli occhiali per 15 minuti Tempo di utilizzo raccomandato: almeno 12 ore al giorno ogni giorno Periodo di adattamento per una settimana

Verifica adattamento VISITA 3

VISITA DI CONTROLLO

03

Possibile aggiustamento dell’assetto della montatura Risposta ad eventuali domande

+ 2 settimane

Controllo acuità visiva (lontano e vicino) VISITA 4

VISITA DI CONTROLLO

04 + 6 mesi

Refrazione oggettiva e soggettiva (con ciclopegia) e misura lunghezza assiale Controllo accomodazione e visione binoculare Follow-up ogni 6 mesi

(1) Rispetto alle lenti monofocali standard, se indossate almeno 12 ore al giorno. Risultati di studi clinici prospettici, controllati, randomizzati e in doppio cieco di due anni - 104 bambini miopi divisi in due gruppi: lenti monofocali (50) e lenti Stellest™ (54) - I risultati di efficacia si basano su 32 bambini che hanno dichiarato di indossare lenti Stellest™ almeno 12 ore al giorno ogni giorno - Eye Hospital della Wenzhou Medical University - J. Bao, A. Yang, Y. Huang, X. Li, Y Pan, C. Ding, E. W. Lim, J Zheng, D. P. Spiegel, Y. L. Wong, B. Drobe, F. Lu, H. Chen. Essilor® e Stellest™ sono marchi registrati di Essilor International. © Essilor International – Marzo 2021


News dalle aziende

HOYA SURGICAL OPTICS: SOLUZIONI INNOVATIVE PER LA CHIRURGIA DELLA CATARATTA

O

HOYA Surgical Optics, i cui prodotti sono utilizzati dai chirurghi oculisti di tutto il mondo, è leader mondiale nello sviluppo di lenti intraoculari precaricate per soddisfare le diverse esigenze e metodiche chirurgiche. Da sempre in prima linea con una gamma di prodotti dalle caratteristiche uniche, Hoya lavora a stretto contatto con chirurghi e

Flavio Longato Business Development Director EMEA HOYA Surgical Optics

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pazienti per meglio comprenderne le esigenze. Con oltre 10 milioni di lenti intraoculari vendute in tutto il mondo, grazie alla qualità ed alla sua dedizione HOYA Surgical Optics ha conquistato la fiducia dei chirurghi. Tra i nostri prodotti di punta, presentiamo NANEX multiSert+™, VIVINEX™ Toric multiSert™, iSert®.

NANEX multiSert+TM Nanex multiSert+™ è il più piccolo sistema di iniezione al mondo per lente intraoculare C-loop precaricata idrofoba e progettato per incisioni fino a 1.8 mm. Con il suo innovativo design consente al chirurgo di effettuare una chirurgia della cataratta con incisioni sub-2.2 mm senza compromessi. Grazie al suo sistema di trattamento della superficie all’ossigeno attivo, il materiale di cui è fatto Nanex multiSert+™ dimostra una forte adesione capsulare e una significativa riduzione della PCO comparata ad una superficie non trattata. Nanex multiSert+™ è un sistema precaricato 4-in1 che prevede diverse opzioni a disposizione del chirurgo: iniezione a stantuffo e iniezione a vite in un unico dispositivo, disegnato per consentire un rilascio fluido della lente rispetto ad altri sistemi di iniezione e per mitigare la possibilità di brusco rilascio.


VIVINEX™ Toric multiSert™ La IOL torica idrofobica glistening-free Vivinex™ Toric, precaricata nel collaudato iniettore multiSert™, offre una qualità visiva per i pazienti senza pari e un’eccezionale stabilità rotazionale. Progettata per fornire una straordinaria qualità ottica, Vivinex™ Toric ha dimostrato nei risultati clinici degli studi condotti all’Università di Vienna una eccellente stabilità rotazionale per un’accurata correzione dell’astigmatismo grazie alla superficie dell’ansa texturizzata. Nessuna lente ha ruotato più di 5° dall’orientamento al termine dell’intervento chirurgico fino a 6 mesi dopo l’operazione, per una rotazione media pari a 1,1° [intervallo: 0,0°– 5,0°]. Tra gli altri benefici di questa innovativa IOL torica troviamo il materiale di cui è composta, acrilico, idrofobico e glistening free, il design proprietario asferico dell’ottica, che migliora notevolmente la qualità dell’immagine. In presenza di decentramento, il coma è inferiore in HOYA Vivinex™ rispetto alle IOL dei principali concorrenti per un diametro pupillare di 4,0 mm. E’ inoltre possibile calcolare precisamente il potere del cilindro con l’ausilio del nuovo HOYA Toric Calculator 4.3.

250/251 – 254/255 iSert iSert ® è l’alternativa più prevedibile e veloce rispetto ai sistemi di iniezione IOL caricati manualmente ed è progettato per supportare l’impianto in una sola fase. Semplice, veloce, prevedibile, iSert® è stata giudicata dagli specialisti come semplice da usare e con un tempo medio di iniezione della IOL più rapido rispetto a quello manuale migliorando l’efficienza e la produttività. Il suo design è progettato per ridurre l’opacizzazione della capsula posteriore (PCO) grazie al comprovato materiale acrilico idrofobo.

La vista come interesse primario per HOYA In HOYA Surgical Optics, consentiamo ai chirurghi oculisti di migliorare la vista e la qualità della vita di milioni di persone che soffrono di cataratta, per aiutarli a celebrare la vita, visivamente. I nostri prodotti sono noti per offrire sicurezza, affidabilità e facilità d’uso. Qualità, fiducia, dedizione e attenzione ai dettagli sono profondamente radicate nella nostra eredità giapponese e nel marchio HOYA. Come definisce il nostro claim, siamo focalizzati sulle singole necessità del chirurgo e del paziente. Nello stesso tempo abbiamo un respiro globale impegnandoci nella distribuzione delle nostre lenti precaricate in tutto il territorio mondiale. 53


NOVITÀ EDITORIALI

Redazione: Strada 4 Milano Fiori, Palazzo Q7 – 20089 Rozzano (MI) Sede operativa: FGE srl − Regione Rivelle 7/F − 14050 Moasca (AT) – Tel. 0141 1706694 – Fax 0141 856013 e-mail: info@fgeditore.it − www.fgeditore.it



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Nanex multiSert+ TM

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CHIRURGIA MICROINCISIONALE DELLA CATARATTA SENZA COMPROMESSI

IOL NanexTM Collaudato materiale acrilico idrofobo: più di 10 milioni di lenti impiantate nel Mondo in 15 anni 1 Significativa riduzione della PCO: processo di produzione brevettato che include un esclusivo trattamento all'ossigeno attivo della superficie posteriore della lente.2

Iniettore multiSert+TM Protezione dell'incisione:3 il più piccolo iniettore disponibile per un sistema di lente intraoculare C Loop idrofoba precaricata.4 Impareggiabile prevedibilità e controllo di iniezione: un rilascio della lente controllato grazie al sistema di iniezione precaricato unico e brevettato da HOYA.5 Sistema precaricato con 4 possibilità di impianto: iniezione a stantuffo o a vite, beccuccio in 2 modalità di elongazione in funzione della preferenza del chirurgo e del singolo caso chirurgico.

Il sistema precaricato NanexTM multiSert+TM elimina i compromessi tradizionalmente associati alla chirurgia della cataratta con incisioni sub 2,2 mm

References: 1. Data on file, HOYA Medical Singapore Pte. Ltd, 2018. 2. Matsushima H, et al. Active oxygen processing for acrylic intraocular lenses to prevent posterior capsule opacification. J Cataract Refract Surg. 2006; 32:1035-1040; (PCO study in rabbit eye). 3. Comparative porcine eye study: study result. David J Apple International Laboratory for Ocular Pathology, University Hospital Heidelberg. Report on file. 4. Data on file, HOYA Medical Singapore Pte. Ltd, 2019. 5. Data on file, HOYA Medical Singapore Pte. Ltd, 2019.



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