Formazione a Distanza Management della sublussazione della lente nel fachico e nello pseudofachico
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Indice dei contenuti 4
Cause di sublussazione naturale del cristallino Dott. Vincenzo Orfeo
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Sindrome di Marfan: tecnica chirurgica Prof. Aldo Caporossi
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Tecniche e parametri faco per una minore invasivitĂ Dott. Alessandro Franchini
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Sublussazione del cristallino: gestione delle complicanze chirurgiche Prof. Daniele Tognetto
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Cause di sublussazione della IOL Prof. Giovanni Alessio
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Tecniche di fissazione della IOL a bulbo chiuso Dott.ssa Simonetta Morselli
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Tecniche di impianto a fissazione iridea Dott. Scipione Rossi
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Tecniche di impianto a sospensione sclerale Dott. Riccardo Sciacca
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Gestione delle complicanze Dott. Giorgio Tassinari
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Vincenzo Orfeo Domenico Boccuzzi
Cause di sublussazione naturale del cristallino
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er sublussazione del cristallino, anche nota come ectopia lentis, si intende lo spostamento del cristallino dalla sua posizione naturale. Numerose sono le cause che possono determinare tale processo. Possiamo suddividerle in tre categorie: • Traumatiche • Secondarie alla degenerazione zonulare nelle cataratte ipermature • Associate a sindromi sistemiche In questo capitolo descriveremo le forme di sublussazione del cristallino associate alle sindromi sistemiche in cui tale patologia si manifesta con una frequenza elevata (Tabella 1)1; le sindromi in cui tale manifestazione compare raramente sono citate nella tabella 22.
Sindrome di Marfan Omocistinuria Sindrome di Weill-Marchesani Sindrome di Ehlers-Danlos Ectopia del cristallino familiare Deficit di Sulfito ossidasi Aniridia Tabella 1. Patologie sistemiche associate a sublussazione del cristallino
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Figura 1. Sindrome di Marfan. Ipermobilità articolare
MANAGEMENT DELLA SUBLUSSAZIONE DELLA LENTE NEL FACHICO E NELLO PSEUDOFACHICO
Sindrome di Crouzon
Sindrome di Conradi
Sindrome di Refsum
Sindrome di Pfaundler
Sindrome di Kniest
Sindrome di Pierre Robin
Disostosi Mandibolofaciale Sindrome di Wildervanck Sindrome di Sturge-Weber Figura 2. Sindrome di Marfan. Lussazione del cristallino nel settore supero-temporale alla slit lamp
Deformità di Sprengel
Tabella 2. Patologie sistemiche raramente associate alla sublussazione del cristallino
Sindrome di Marfan La Sindrome di Marfan è una patologia autosomica dominante, (prevalenza è 1/5000) caratterizzata da una disfunzione del tessuto connettivo. L’alterazione è del gene FBN1 (cromosoma 15q21) che codifica per la fibrillina-1, una glicoproteina della matrice extracellulare che funge da componente strutturale di microfibrille di 10-12 nm leganti il calcio. Queste microfibrille rappresentano un elemento strutturale di supporto del tessuto connettivo elastico e non elastico di tutto il corpo. Manifestazioni cliniche
Il fenotipo è caratterizzato da soggetti alti con gambe e braccia molto lunghe ed aracnodattilia (Figura 1). Possono verificarsi anche alterazioni a carico delle valvole cardiache, dell’aorta, dei polmoni, del sacco durale che contiene il midollo spinale, dello scheletro e del palato duro. Alla lampada a fessura si nota la sublussazione del cristallino, caratteristicamente nel settore supero-temporale per la presenza di tessuto collagene e vascolare e zonula difettosa (Figura 2). Questo tipo di anomalia è presente alla nascita e non è progressiva. La zonula è ancora attaccata alla lente e pertanto può residuare un po’ di accomodazione. Iridodonesi e facodonesi possono essere presenti1.
Omocistinuria L’Omocistinuria classica è una patologia caratterizzata dal deficit di un enzima, la cistationina beta-sintetasi. Tale patologia a trasmissione autosomico-recessiva, presenta una prevalenza di 1 : 20.000 ed è caratterizzata dalla mutazione del gene CBS (cromosoma 21q22.3). Manifestazioni cliniche
È una malattia multisistemica, caratterizzata dal coinvolgimento degli occhi, dello scheletro, del sistema nervoso e dell'apparato vascolare. I pazienti non hanno anomalie evidenti alla nascita e la diagnosi viene effettuata all’incirca verso i 3 anni quando l’ectopia lentis provoca forte miopia ed iridodonesi. SPECIALE LA VOCE AICCER
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Cause di sublussazione naturale del cristallino
La sublussazione del cristallino si verifica all’incirca nell’85% dei casi ed è provocata dalla presenza di una zonula debole che si rompe. In questa circostanza il cristallino si disloca infero-nasalmente (Figura 3) oppure in camera anteriore. Non è presente accomodazione e la condizione tende facilmente a progredire3.
Sindrome di Weill-Marchesani La Sindrome di Weill-Marchesani è una rara malattia congenita del tessuto connettivo, trasmessa con tratto autosomico dominante o recessivo. La forma Figura 3. Omocistinuria. Sublussazione del cristallino nel settore infero-nasale autosomica recessiva è la più frequente; in questi casi sono state identificate mutazioni omozigoti nel gene ADAMTS10 (19p13.3-p13.2). La proteina ADAMTS10 è un membro della famiglia delle proteasi della matrice extracellulare ed è espressa nella cute, nei condrociti fetali e nel cuore dell'adulto e del feto. La prevalenza non è nota. Manifestazioni cliniche
La sindrome è caratterizzata da bassa statura, brachidattilia, rigidità articolare e anomalie oculari caratteristiche. Bassa statura (generalmente, al di sotto del 3° centile) e brachidattilia sono presenti nel 98% dei pazienti. Le anomalie oculari comprendono la miopia (94%), la microsferofachia (84%), la lussazione del cristallino (73%), il glaucoma (80%) e la cataratta (23%). Altre caratteristiche comprendono l’assottigliamento della cute ed i difetti cardiaci. Nel 13% dei casi è stato osservato un deficit cognitivo di grado lieve. La microsferofachia progressiva determina miopia di origine lenticolare, variabile tra -3 e -20 diottrie. La zonula del cristallino può essere lassa ed andare incontro a rottura durante la seconda decade di vita, determinando ectopia lentis (Figura 4). Si può verificare un glaucoma acuto da blocco pupillare in quanto la lassità zonulare consente al cristallino di spostarsi anteriormente, incrementando quindi l'apposizione cristallino-iride4.
Figura 4. Sindrome di Weill-Marchesani
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Sindrome di Ehlers-Danlos La sindrome di Ehlers-Danlos (EDS) comprende una serie di patologie ereditarie contraddistinte da lassità dei legamenti e iperelasticità della cute
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La forma classica (EDS 1 e 2) è causata da un'anormalità pro alfa 1 (V) e pro alfa 2 (V) del collagene di tipo V, codificato dai geni COL5A1 e COL5A2; meno frequentemente del collagene alfa 1 (I), codificato dal gene COL1A1. Manifestazioni cliniche
La sindrome EDS si manifesta con iperestensibilità cutanea, cicatrici sottili ed estese, ipermobilità articolare (Figura 5). Altri sintomi possibili sono: pelle traslucida e morbida al tatto, pseudotumori molluscoidi, complicazioni da lassità articolare, ipotonia muscolare, lividi all’occorrenza di traumi minimi con la tipica forma Figura 5. Sindrome di Elhers Danlos. Iperestensibilità cutanea, ipermobilità articolare a carta di sigaretta. Un terzo dei pazienti manifesta dilatazione della radice aortica. Come per le altre sindromi in cui è alterata la formazione del collagene, anche nella Sindrome di Ehlers-Danlos si può riscontrare ectopia lentis. Tale complicanza è molto più rara rispetto alla Sn. di Marfan e all’Omocistinuria. Non vi sono stime in letteratura sulla percentuale di comparsa di ectopia lentis5.
Ectopia Lentis Familiare L’ectopia lentis familiare è una patologia a trasmissione autosomico dominante la cui manifestazione può essere congenita oppure tardiva (in alcune famiglie è stata dimostrata una trasmissione autosomico recessiva con un certo grado di consanguineità dei genitori). Manifestazioni cliniche
Il quadro clinico è caratterizzato dall’ectopia lentis bilaterale, simmetrica e con lo spostamento del cristallino verso l’alto e temporalmente. In alcuni casi l’entità dello spostamento non è simmetrico nei due occhi. Esistono due forme di ectopia lentis: una stazionaria e una progressiva. L’analisi del linkage ha dimostrato un’associazione della malattia al gene della fibrillina (FBN 1) localizzato sul cromosoma 15 (lo stesso della sindrome di Marfan).
Iperlisinemia L’iperlisinemia è una patologia a trasmissione autosomico recessiva causata da un’alterazione metabolica del ciclo di degradazione della lisina. È causata dal deficit dell'enzima bifunzionale alfa-aminoadipato semialdeide sintasi, codificato dal gene AASS (mappato in 7q31.3). Quest'enzima ha sia un’attività lisina-chetoglutarato reduttasica (LKR), sia un’atSPECIALE LA VOCE AICCER
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Cause di sublussazione naturale del cristallino
tività saccaropina deidrogenasica (SDH) e catalizza le prime due fasi della degradazione della lisina. Manifestazioni cliniche
La patologia è caratterizzata dalla presenza di un’elevata concentrazione nel sangue e nel liquido cefalorachidiano di Lisina con ritardo nello sviluppo fisico e mentale, lassità nei muscoli e nei legamenti ed anemia. L’ectopia lentis non è una manifestazione costante della patologia6. Figura 6. Aniridia
Sulfocisteinuria (deficit di sulfito ossidasi) La sulfocisteinuria è una patologia a trasmissione autosomico recessiva, causata dall’alterazione dell’enzima sulfito-ossidasi, importante per la trasformazione dei solfiti in solfati. Manifestazioni cliniche
La sulfocisteinuria si manifesta con alterazioni del tono muscolare, ritardo psicomotorio e crisi tonico/cloniche resistenti al trattamento. La risonanza magnetica cerebrale mostra atrofia cerebrale e altre lesioni correlate all'ischemia ipossica. La dislocazione bilaterale del cristallino è un segno caratteristico della malattia e di solito è presente dopo il periodo neonatale. La prognosi non è buona: molti pazienti che presentano la malattia nel periodo neonatale muoiono nella prima infanzia o nell'infanzia; quelli che sopravvivono sviluppano un deficit cognitivo grave. Sono però state descritte anche forme ad esordio tardivo, che presentano un fenotipo clinico meno grave (ipotonia e lussazione del cristallino), che migliorano con un apporto limitato di proteine7.
Aniridia L’Aniridia è una patologia oculare di tipo congenito caratterizzata dalla parziale o totale assenza dell’iride e ipoplasia della fovea (Figura 6). L’aniridia è una patologia che si manifesta con elevata penetranza associata ad altre anomalie oculari quali cheratopatia, ipoplasia foveale, cataratta, glaucoma ed ectopia lentis. L’aniridia è causata dalla mutazione localizzata sul cromosoma 11, (11p13) del gene PAX6 che controlla i processi di sviluppo e formazione dell’occhio e del cervello8.
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Dott. Vincenzo Orfeo Autore di U.O. di Oculistica riferimento Clinica Mediterranea, Napoli Tel. 081 7611251 • Fax 081 7259777 vincenzorfeo@tin.it
1. CROCE, JENSEN AD. Manifestazioni oculari nella sindrome di Marfan e homocystenuria. Am J Ophthalmol 1973; 75:405 2. Bombay Hospital Journal, Vol. 51, No. 1, 2009 3. JEAN MARIE SAUDUBRAY; Homocystinuria due to cystationine beta-syntase deficiency: Orphanet 2005 (www.orpha.net)
4. L. F AIVRE -O LIVIER ; Orphanet Maggio 2006 Bibliografia (www.orpha.net) 5. D. GERMAIN; Orphanet Giugno 2006. (www.orpha.net) 6. Orphanet Ottobre 2006 (www.orpha.net) 7. Orphanet Settembre 2007 (www.orpha.net) 8. O. ROCHE Orphanet Luglio 2005. (www.orpha.net)
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Aldo Caporossi Angelo Balestrazzi Orsola Caporossi Lucia Russo Rosario Denaro
Sindrome di Marfan: tecnica chirurgica
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a Sindrome di Marfan è un disordine multisistemico ereditario del tessuto connettivo, caratterizzato principalmente da un’elevata altezza, una lunghezza sproporzionata di arti e dita, iperestensibilità delle articolazioni, dilatazione aortica e prolasso della valvola mitrale. Con una incidenza stimata tra 1/5000 e 1/20000, rappresenta il secondo più frequente disordine del tessuto connettivo dopo l’osteogenesi imperfetta1. Le anomalie oculari associate sono rappresentate da ectopia del cristallino (lentis), cataratta, miopia e distacco di retina. L’ectopia del cristallino è l’anomalia oculare che la caratterizza. Si definisce ectopia lentis la condizione clinica legata allo stiramento delle fibre zonulari nella quale la dislocazione del cristallino avviene su un piano frontale, mentre lo spostamento in senso anteroposteriore viene definito sublussazione o lussazione. Circa 20 anni fa la Sindrome di Marfan è stata identificata come un patologia dovuta a un disordine della fibrillina, un componente delle fibre elastiche, le cui fibre sono extracellulari e formate da un core elastinico. La fibrillina è stata identificata nella Zonula di Zinn, in quanto secreta dalle cellule dell’epitelio non pigmentato del corpo ciliare. Il meccanismo esatto che conduce allo stiramento delle fibre zonulari rimane incerto, ma è stato ipotizzato un effetto patogenetico legato ai frammenti di fibrillina degradata. La patogenesi dell’ectopia lentis è correlata ad un asimmetrico eccesso di lassità delle fibre zonulari. La dislocazione del cristallino colpisce circa il 60% dei pazienti affetti da Marfan e generalmente è bilaterale e superotemporale. L’esame
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istologico ed immunoistochimico2 su occhi affetti da sindrome di Marfan ha dimostrato fibre zonulari di numero ridotto, sottili, stirate e di diametro irregolare. Tali fibre, paragonate a casi controllo normali, sono risultate anelastiche e di facile rottura. È stato inoltre notato che anche l’inserzione delle fibre sulla capsula del cristallino non è normale, con una riduzione della fibrillina presente. Ad oggi non esistono ricerche che spieghino l’evidenza clinica legata all’asimmetrica resistenza delle fibre zonulari, che risulta essere minima nelle zone stirate e massima nelle zone contratte. In termini di qualità funzionale inoltre è costantemente presente una compromissione legata alla miopizzazione e all’astigmatismo lenticolare, per non entrare nel ruolo delle aberrazioni indotte dalla ectopia. Tali alterazioni sono sempre progressive.
Chirurgia dell’Ectopia Lentis Il trattamento chirurgico dell’ectopia lentis è stato storicamente considerato difficile e con un elevato rischio di complicanze importanti quali il distacco di retina o il glaucoma secondario3. Per questo motivo è stato inizialmente privilegiato un approccio conservativo. Nel corso degli anni è stato lungamente dibattuto il metodo di gestione più sicuro e sono state suggerite sia soluzioni non chirurgiche che chirurgiche. In ambito chirurgico sono state proposte numerose tecniche che prevedevano approcci anteriori, limbari o pars plana3-6. Ad oggi, anche in presenza di una tecnologia di facoemulsificazione estremamente evoluta, pensiamo che nelle ectopie non traumatiche possa ancora avere un ruolo preminente la lensectomia pars plana con vitrectomo specialmente se accompagnata dall’utilizzo di recenti dispositivi quali gli anelli di tensionamento capsulare. Vogliamo fare in questa sede un’analisi di vantaggi e svantaggi tra approccio anteriore e pars plana. Via anteriore: facoemulsificazione La chirurgia con facoemulsificazione è sicuramente quella a cui siamo più abituati e confidenti. Nonostante la confidenza con questa tecnica, prima di affrontare un’ectopia per via anteriore, è bene aver presente quali siano le problematiche che possono rendere questi interventi estremamente difficili e adatti solo a chirurghi di comprovata esperienza3. La capsuloressi rappresenta uno dei momenti più delicati in caso di ectopia, poiché nella parte lassa in cui le fibre zonulari hanno ceduto, la possibilità di controllo è più difficile e si renderà necessario lasciare più capsula per non avvicinarsi troppo all’equatore; d’altra parte, il versante opposto si trova al di sotto dell’iride (anche se ben dilatata), verso il corpo ciliare. Per tali motivi si finisce per eseguiSPECIALE LA VOCE AICCER
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Sindrome di Marfan: tecnica chirurgica
Figura 1. Ingresso pars plana all’equatore del cristallino
Figura 2. Idrodissezione pars plana
Figura 3. Aspirazione pars plana mediante vitrectomo delle fibre lenticolari
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re capsuloressi piccole, decentrate e con elevato pericolo di fughe. Dopo aver eseguito la capsuloressi, la idrodissezione richiederà ancora attenzione, ma tale fase potrà risultare meno problematica se nel frattempo si saranno applicati dei retrattori sul bordo della ressi, al fine di tenere la capsula anteriore distesa ed il sacco più stabile. Durante la facoemulsificazione e l’aspirazione delle masse è consigliabile utilizzare dei parametri di flow e vuoto contenuti, prestando attenzione a lavorare all’interno del sacco, per non provocare catture della ialoide con movimentazioni in camera anteriore. Le modalità di distensione e ricentratura del sacco, che seguono la facoaspirazione, verranno trattate nel successivo paragrafo insieme alla tecnica pars plana, essendo identiche per entrambe le metodiche.
Via posteriore: lensectomia pars plana Utilizziamo questo approccio da più di un decennio. Negli ultimi anni la tecnica è stata progressivamente rivista e modificata soprattutto alla luce delle innovazioni tecnologiche che hanno accompagnato lo sviluppo della chirurgia oftalmologica4-6. Il principio della scelta è stato legato inizialmente alla volontà di eseguire una tecnica intracapsulare dove si potesse evitare di disperdere materiale lenticolare in camera vitrea, eliminando il sacco capsulare solo al termine della chirurgia e cercando di limitare quanto più possibile una vitrectomia soprattutto in caso di ialoide integra. In parole povere, la lensectomia intrasacculare con asportazione successiva della capsula svuotata del suo contenuto era una prima fase preparatoria di un successivo impianto secondario di lente intraoculare a fissazione sclerale. Questo primo step chirurgico avviene nelle seguenti fasi: una volta denudata la sclera con un lembo congiuntivale a base fornice ed eseguita una cauterizzazione diatermica della sclera, e dopo aver inserito un anterior chamber maintainer (ACM) al limbus, si esegue un ingresso pars plana a 2.5/3mm dal
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limbus (variabile legata ad età del paziente e dimensioni del bulbo) con lama da 20G per vitrectomia. Nel medesimo tempo la lama penetra attraverso l’equatore del cristallino al suo interno e tramite essa si cerca di disorganizzare le fibre cristalliniche (Figura 1). Con una cannula rettilinea da idrodissezione si separa poi la corticale dal sacco capsulare (Figura 2); a questo punto, con estrema attenzione, si entra con il vitrectomo all’interno del cristallino e si procede ad aspirazione e ghigliottinamento del contenuto lenticolare, posizionando la bocca del vitrectomo in maniera tale da non danneggiare assolutamente il sacco (Figura 3): la chirurgia avviene in totale isolamento da camera anteriore e camera vitrea, permettendo un sicuro contenimento delle masse. Fino a qualche tempo fa l’intervento, come detto in precedenza, si chiudeva con l’asportazione del sacco. Negli ultimi due anni però, in considerazione delle altissime percentuali di successo chirurgico in termini di conservazione di un sacco capsulare estremamente resistente e stabile seppure solo nei settori di contrazione zonulare (supero-temporale in caso di Marfan), abbiamo messo a punto un ulteriore step chirurgico finalizzato all’impianto consensuale di lente intraoculare7-8. Per questo, una volta terminata l’aspirazione con vitrectomo del contenuto lenticolare, si riempie attraverso l’ingresso pars plana il sacco con una sostanza viscoelastica coesiva; a questo punto si chiude l’ingresso sclerale con vicryl, si rimuove l’ACM e si esegue un tunnel clear cornea da 2.75mm di larghezza e di circa 2mm di lunghezza, si inietta una viscoelastica dispersiva in camera anteriore e si esegue un’attenta capsuloressi anteriore (anche in questo caso di esecuzione estremamente difficile) (Figura 4). Si procede quindi al posizionamento di un anello di pensionamento capsulare; la nostra scelta è rappresentata dal modello proposto da Cionni (Figura 5) che presenta un occhiello simile a quelli presenti nelle IOL per fissazione sclerale. L’occhiello dell’anellino permette un passaggio fondamentale ai fini dell’impianto. Infatti prima dell’inserimento dell’anello si passa una sutura in Polene 10/0 ad ansa con ago rettilineo per fis-
Figura 4. Capsuloressi anteriore
Figura 5. Anello di Cionni con occhielli per fissazione sclerale
Figura 6. Fissazione di Sacco e IOL alla sclera
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Sindrome di Marfan: tecnica chirurgica
sazione all’interno dell’anello. Dopo aver inserito l’anello si passa l’ago ab interno all’equatore del sacco e lo si fissa alla sclera nel punto di massima ectopia (solitamente infero-nasale). A questo punto diventa relativamente semplice impiantare una IOL pieghevole nel sacco. La nostra preferenza, in questi casi comunque, si rivolge alle acriliche idrofobe, da preferirsi per la biocompatibilità e l’indiscussa azione limitante l’opacizzazione capsulare posteriore. Nel caso in cui non fosse possibile inserire l’anello di Cionni a causa di un’ectopia eccessiva, è comunFigura 7. Occhio a fine intervento que possibile impiantare una IOL fissando la loop inferiore ed il sacco capsulare del medesimo settore alla sclera a ore 6 (Figura 6). Aspirazione del viscoelastico ed eventuale punto di sutura terminano l’intervento (Figura 7). Riteniamo che tale metodica rappresenti l’unico modo per eseguire un intervento ripetibile, nel quale il vitreo rimanga confinato e senza dispersione di residui corticali. L’anello di Cionni permette un’ottima ricentratura di sacco e IOL. Questa tecnica se ben eseguita, permette una ripetibilità molto più alta rispetto ad altre metodiche ed altre vie, mantenendo però, il vantaggio di un solo tempo chirurgico.
Conclusioni La ectopia lentis legata alla sindrome di Marfan rappresenta una patologia di difficile gestione chirurgica. Le tecniche proposte fondamentalmente si possono ricondurre a due differenti approcci, limbare e pars plana. A nostro parere l’approccio pars plana, anche grazie agli accorgimenti proposti in questo capitolo, è quello che consente maggiori margini di sicurezza in termini di contenimento del vitreo, di salvaguardia del sacco capsulare con la conseguente possibilità di impiantare una lente intraoculare nello stesso tempo chirurgico e soprattutto in considerazione della ripetibilità della tecnica. L’approccio anteriore invece è probabilmente consigliabile per chi è poco abituato alle tecniche pars plana e preferisce rimanere più vicino a metodiche più familiari.
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Prof. Aldo Caporossi Autore di Dipartimento di Scienze Odontoiatriche e Oftalmologiche riferimento Università di Siena - UOC Oculistica Azienda Ospedaliera Universitaria Senese Policlinico S. Maria delle Scotte, Siena Tel. 0577 585660 • Fax 0577 586162 caporossi@unisi.it
1. DUREAU P. Pathophysiology of zonular diseases. Curr Opin Ophthalmol. 2008 Jan;19(1):27-30. Review. 2. ASHWORTH JL, KIELTY CM, MCLEOD D. Fibrillin and the eye. Br J Ophthalmol. 2000 Nov;84(11):1312-7. 3. KONRADSEN T, KUGELBERG M, ZETTERSTRÖM C. Visual outcomes and complications in surgery for ectopia lentis in children. J Cataract Refract Surg. 2007May;33(5):819-24 4. BEHKI R, NOE¨ L L-P, CLARKEWN. Limbal lensectomy in the management of ectopia lentis in children. Arch Ophthalmol 1990; 108:809–811 5. SHORTT AJ, LANIGAN B, O’KEEFE M. Pars plana lensectomy for the management of ectopia lentis
in children. J Pediatr Ophthalmol Strabismus Bibliografia 2004;41:289–294 6. A. CAPOROSSI, A. BALESTRAZZI, L. RUSSO, G. Lasorella. La chirurgia del cristallino lussato in età pediatrica: tecnica personale e review della letteratura. Viscochirurgia Dicembre 2006:10-14. 7. KOPEL AC, CARVOUNIS PE, HAMILL MB, WEIKERT MP, HOLZ ER. Iris-sutured intraocular lenses for ectopia lentis in children. J Cataract Refract Surg. 2008 Apr; 34 (4):596-600 8. BAHAR I, KAISERMAN I, ROOTMAN D. CIONNI endocapsular ring implantation in Marfan's Syndrome. Br J Ophthalmol. 2007 Nov;91(11):1477-80. Review
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Alessandro Franchini Maria Silvia Collarino Orsola Caporossi
Tecniche e parametri faco per una minore invasività Introduzione Difetti zonulari più o meno evidenti possono essere presenti in patologie ereditarie (Figura 1) ed acquisite. Le forme secondarie si possono presentare nei pazienti affetti da cataratta traumatica, da sindrome da pseudoesfoliatio, da cataratta bianca o brunescente avanzata, in pazienti sottoposti a precedenti interventi sul bulbo oculare (trabeculectomia, vitrectomia etc.) o semplicemente in pazienti in età avanzata. In questi pazienti la fluidica ed anche la meccanica di un intervento convenzionale di facoemulsificazione può provocare un ulteriore allargamento della dialisi zonulare con il rischio sia di lussazione della lente o di frammenti di essa in camera vitrea, sia di prolasso vitreale in camera anteriore. È quindi necessario ricorrere a metodiche chirurgiche che consentano allo stesso tempo di avere un ottimo controllo e stabilità della camera anteriore anche lavorando con parametri di fluidica molto bassi e di ridurre al minimo le eventuali sollecitazioni meccaniche sulla zonula. Certamente lavorare con una camera chiusa e stabile rappresenta un fattore molto importante, poiché gli spostamenti avanti indietro del diaframma irido-lenticolare tendono a trasmettere sollecitazioni ad una zonula già lesionata ed al corpo vitreo. Si tratta del concetto di “IMMOBILE CATARACT SURGERY” su cui tanto è stato detto e scritto, che Figura 1. Dialisi zonulare congenita 16
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comporta tutta una serie di accorgimenti e precauzioni che tendono a minimizzare gli sbalzi pressori che si verificano durante l’intervento. È stato infatti dimostrato che durante un intervento di faco tradizionale soprattutto durante la rimozione del nucleo e l’impianto della lente, si possono raggiungere in camera anteriore pressioni anche superiori ai 100 mmHG. È stato anche dimostrato che tali pressioni possono rapidamente scendere nel giro di pochi secondi (per esempio al momento della rimozione degli strumenti dalla camera anteriore) determinando rapide flut- Figura 2. Diastasi irido-zonulare in paziente affetto da cataratta traumatica tuazioni dell’ordine anche di 80-100 mmHg. Abbassare la bottiglia di infusione a circa 30 cm utilizzando dei valori di flow-rate e vacuum proporzionatamente ridotti, rende tutta la facoemulsificazione più lenta e sicura. È ovvio quindi che le moderne tecniche di microincisione sia microcoassiale che bimanuale presentano dei vantaggi, in quanto ci permettono di effettuare una slow-motion phaco consentendoci di lavorare con valori di irrigazione, di flowrate e di vacuum più bassi. Naturalmente questa riduzione dei parametri deve essere supportata oltre che da una camera chiusa, dall’utilizzo di macchine capaci di garantire un ottimo controllo della fluidica così da permettere da un parte di evitare il surge post-occlusivo garantendo un’ottima stabilità della camera anteriore e dall’altra di minimizzare la quantità di energia utilizzata. Certamente da questo punto di vista i software dell’ultima generazione capaci di riconoscere l’occlusione e di ridurre il vacuum nel giro di pochi microsecondi prima dell’avvento della disocclusione, ci consentono di lavorare con macchine perfettamente sicure ed affidabili. Tutte queste precauzioni necessarie in presenza di un’evidente dialisi o lassità della zonula vanno sempre tenute presenti anche se l’esame preoperatorio non ha evidenziato problemi. Quante volte nella sindrome da pseudoesfoliatio nuclei apparentemente stabili si sono rivelati una trappola per il chirurgo. E quante volte in caso di cataratta traumatica, anche se il trauma si è verificato molti anni prima e non ci sono i benché minimi segni di iridodonesi o di facodonesi, la zonula può essere indebolita o addirittura diastasica e non necessariamente nel punto in cui si è verificato il trauma ma anche dalla parte opposta o in un’altra sede (Figura 2). Un celebre assioma infatti recita “Never trust the zonula after trauma”.
B-MICS vs C-MICS Certamente le tecniche da preferire sono quelle che consentono da una parte di minimizzare i rischi e dall’altra di incrementare i risultati. SPECIALE LA VOCE AICCER
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Tecniche e parametri faco per una minore invasività
Specialmente in questi pazienti lavorare con l’irrigazione localizzata in posizione diversa rispetto all’aspirazione presenta alcuni vantaggi1. Infatti durante una facoemulsificazione coassiale dove l’irrigazione e l’aspirazione sono collocate sullo stesso manipolo, una parte del flusso d’irrigazione è catturato dall’aspirazione immediatamente dopo essere stato emesso dalla sonda (Figura 3) ed è stato dimostrato, in numerosi studi, che anche per questo motivo, durante una faco con irrigazione aspirazione separata, si ha una Figura 3. Fluidica nella B-MICS e nella C-MICS diminuzione del consumo di BSS. Inoltre avere l’irrigazione dalla stessa parte dell’aspirazione può far si che i frammenti possano essere allontanati dalla punta del tip per un aumento delle forze di repulsione. In sostanza quindi una tecnica bimanuale può determinare un aumento della followability e della holdability di grande importanza soprattutto in questi pazienti2 (Figura 3). Ma questo non è il solo vantaggio che un’irrigazione separata dall’aspirazione può presentare nei pazienti con difetti zonulari. La riduzione del lakeage che si ha lavorando attraverso due microtunnel determina un minore rischio dell’impegno vitreale attraverso l’incisione. Inoltre lavorare con un tip sleeveless presenta anche il vantaggio di far si che l’assenza dello sleeve e l’interscambiabilità delle mani ci consenta di lavorare anche nelle zone più nascoste della camera anteriore (o del sacco capsulare) in modo da stare sempre il più lontani possibile dalla dialisi zonulare e dal rischio che il vitreo si impegni nella bocca del faco1. La bimanuale consente inoltre di gestire, specialmente se stiamo lavorando con un open ended irrigating chopper, la direzione del flusso d’irrigazione, così da poter da una parte, mantenere stabile il sacco capsulare durante la facoemulsificazione e dall’altra, evitare la cosiddetta fluid misdirection sindrome1-3. Tale sindrome può essere caratterizzata, sia dal passaggio del liquido di infusione nello spazio retrocristallinico sovraialoideo con spostamento in avanti del diaframma irido-lenticolare e conseguente improvviso abbassamento della camera anteriore, sia dal passaggio dello stesso nella camera vitrea attraverso una soluzione di continuo della membrana sovra ialoidea, con conseguente eccessiva idratazione vitreale e passaggio di vitreo in camera anteriore (Figura 4).
Tecnica chirurgica Tuttavia, sia che si preferisca utilizzare una faco coassiale o microcoassiale o una MICS bimanuale, l’importante è adottare in tutte le fasi dell’intervento manovre 18
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chirurgiche capaci di ridurre al minimo le sollecitazioni meccaniche trasmesse alla zonula. Capsulorexi
In caso di lassità zonulare i primi proA blemi possono già insorgere durante l’esecuzione della rexi. Infatti, esercitare una trazione sulla capsula potrà causare il movimento dell’intero sacco da un lato all’altro impedendo di fatto la progressione della rexi stessa. È preferibile quindi in prima istanza eseguire B una rexi piccola e centrata che aumenterà la sicurezza del chirurgo e che potrà essere allargata in un secondo Figura 4. Fluid misdirection syndrome (a – passaggio di liquido tra momento. Per eseguire la ressi in questi pazienti è ialoide e cristallino, b – passaggio di liquido in camera vitrea) preferibile utilizzare un paio di pinze idonee che garantiscano un buon controllo degli spostamenti e una sostanza viscoelastica ad alto peso molecolare e ad alta viscosità, che garantisca una buona profondità e stabilità della camera anteriore, una riduzione della convessità della cristalloide anteriore, un’ottima trasparenza e una buona pseudoplasticità (Healon GV). Un viscoelastico con queste caratteristiche farà si che nel momento in cui il chirurgo si arresta per riprendere il flap, la situazione venga congelata istantaneamente. Idrodissezione e rotazione
Un’idrodissezione e un’idrodelineazione delicata ma accurata e completa devono essere eseguite al fine di ridurre lo stress sulla zonula durante la facoemulsificazione e durante la rimozione della corticale. Anche la rotazione del nucleo deve essere delicata e in certi casi addirittura evitata. Facoemulsificazione
Un momento fondamentale è rappresentato dalla scelta della tecnica di nucleofrattura o di chopping più idonea in questi pazienti.
Nucleo Frattura Le tecniche di nucleo frattura, sia di divide and conquer che di stop and chop, fanno si che nella fase di scultura durante l’esecuzione del solco il nucleo e tutto il sacco capsulare vengano spinti con movimento centrifugo così da determinare una sollecitazione meccanica della zonula (Figura 5). Pertanto utilizzando questa tecnica è opportuno evitare di impalare il nucleo che va invece spazzolato delicatamente ottenendo la formazione del solco in più passaggi, senza creare grosse pressioni. SPECIALE LA VOCE AICCER
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Tecniche e parametri faco per una minore invasività
Figura 5. Nucleo frattura
Questo risulta particolarmente pericoloso quando siamo di fronte a un nucleo particolarmente duro o brunescente che trasmette immediatamente ogni più piccolo spostamento alla zonula. Viceversa i nuclei più morbidi presentano una corticale in grado di assorbire come un morbido cuscino la sollecitazione meccanica effettuata sul nucleo non trasmettendola al sacco e alla zonula. Inoltre in un nucleo brunescente lo spostamento orizzontale dei due eminuclei che si verifica nella fase di cracking, può essere responsabile di un allargamento del danno zonulare. Per questo motivo in questi casi può essere utile l’utilizzo di apposite pinze da cracking che oltre a determinare una frattura netta e regolare, determinano un minimo spostamento laterale dei due frammenti. Inoltre in pazienti con cataratta avanzata bianca o brunescente è sempre difficile rendersi conto a che grado di profondità siamo arrivati e a che distanza ci troviamo dalla capsula posteriore. Questo può da una parte provocare il rischio di determinarne la rottura e dall’altra di non ottenere un cracking completo che obbliga il chirurgo a ulteriori manovre non sempre semplici in pazienti con alterazioni della zonula1-2. Pertanto le tecniche di nucleo frattura, ancora oggi valide ed eseguite da un gran numero di chirurghi, non sembrano essere le più indicate in questi pazienti.
Chopping Viceversa le tecniche di chopping puro, sia verticale che orizzontale, sembrano trovare un’indicazione particolare nei pazienti affetti da lassità della zonula. Infatti in questo caso è la phaco-tip che aggancia e immobilizza il nucleo impedendone qualsiasi spostamento di fronte alla sollecitazione meccanica esercitata dal chop. Inoltre, mentre nel nucleo frattura la forza meccanica esercitata è centrifuga, nella tecnica di chop puro, la forza è centripeta se si esegue un chopping orizzontale e antero-posteriore nel caso di un chopping verticale. Le tecniche di chopping ci consentono inoltre di mantenere la tip del phaco 20
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Figura 6. Chopping orizzontale
ferma nel punto centrale della camera anteriore o in qualsiasi altro punto in modo tale da lavorare lontano dalla eventuale dialisi manovrando con l’aiuto del chop l’avvicinamento dei frammenti alla bocca del faco, lavorando così in completa sicurezza. La tecnica di chop puro permette inoltre, in casi in cui per la lassità della zonula è pericoloso effettuare l’idrodissezione accompagnata da un’accurata rotazione del nucleo, di rimuovere in sicurezza la lente provvedendo a choppare un piccolo spicchio di nucleo alla volta. In questo caso date le modeste dimensioni, il frammento potrà essere aspirato anche se aderente agli altri strati della lente senza esercitare eccessive trazioni. Tra una tecnica di chopping orizzontale (Figura 6) e una verticale (Figura 7), in questi pazienti è preferibile la seconda. Infatti nel chopper orizzontale deve essere comunque effettuato un cracking laterale e in casi di cataratte bianche o brunescenti non è possibile avere la percezione della profondità a cui è stato inserito il chop. Viceversa nel chopping verticale la forza è esercitata in senso antero posteriore con il chop che spinge verso il basso e il manipolo con il nucleo impalato che spinge verso l’alto. In questo modo le due forze si neutralizzano e nessuna sollecitazione meccanica viene trasmessa alla zonula. Inoltre, la tecnica verticale, essendo eseguita in campo pupillare e non in profondità, non risente di problemi di visualizzazione. Un altro vantaggio del chopping verticale è il fatto di consentire di fratturare la parte più posteriore del nucleo in maniera più completa ed efficace. Infatti la forza di separazione dei due eminuclei è trasmessa in senso anteroposteriore e si propaga facilmente fino agli strati più profondi del nucleo. Viceversa, nel chopping orizzontale la forza trasmessa in senso orizzontale può dividere solo in parte il nucleo, creando uno slamellamento degli strati profondi capace di lasciare ponti di tessuto tra i due eminuclei che costringono il chirurgo a ulteriori complesse manovre non prive di rischi e di ulteriori sollecitazioni zonulari. Vi sono inoltre, altre tecniche di chopping meno diffuse che Figura 7. Chopping verticale SPECIALE LA VOCE AICCER
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sono state proposte per ridurre al minimo lo stress zonulare. Alcune, come la “Horizontal Nagahara-style chop”4 e la “Vertical safe-chop” di Veyarano sono solo varianti delle tecniche di chopping puro, altre, come la “Supracapsular flip technique” introdotta da Maloney5 e la “Tilt and tumble” di Lindstrom1, consistono nel lussare il nucleo in camera anteriore prima di iniziare la facoemulsificazione. Questa tecnica è particolarmente indicata in casi in cui la zonula è estremamente lassa. In questi pazienti è opportuno eseguire una rexi di una larghezza tale da garantire una facile lussazione del nucleo in sede sovracapsulare. Mantenendo poi un adeguato strato di sostanza viscoelastica sopra e sotto il nucleo, si procede alla facoemulsificazione. Rimozione della corticale
Molta attenzione va anche posta nel momento della rimozione della corticale. Anche in questa fase una tecnica bimanuale è da preferire per la facilità nel raggiungere tutti i settori. Una volta agganciati, i frammenti di corticale vanno rimossi applicando una forza tangenziale e non radiale al fine di minimizzare la tensione esercitata e di favorire la loro aspirazione anche in presenza di un anello di tensione capsulare che tende a schiacciare la corteccia contro la capsula equatoriale. In casi estremi può essere necessario posizionare una spatola piatta contro il fornice capsulare al fine di esercitare una forza contraria a quella che viene esercitata rimuovendo la corticale. L’utilizzo di un manipolo con una bocca di aspirazione di solo 0.2 mm favorirà poi il mantenimento dell’occlusione anche utilizzando bassi livelli di aspirazione1. Impianto della lente
Nel caso sia presente una dialisi anche importante ma il sacco sia ancora integro, la lente dovrebbe essere posizionata in modo tale che il suo asse punti verso l’area di deiscenza capsulare così da funzionare come un parziale anello di tensione capsulare ed espandere il quadrante che ha perso la tensione centrifuga garantita dalle fibre zonulari.
Conclusioni Nei pazienti affetti da lassità o dialisi della zonula, vanno adottate tecniche chirurgiche capaci di ridurre al minimo le sollecitazioni meccaniche. La rexi deve essere piccola e centrata, l’idrodissezione delicata ma molto accurata, la rotazione del nucleo quando possibile evitata, i parametri di fluidica ridotti al minimo, la camera anteriore deve essere il più possibile a tenuta, va preferito l’utilizzo di un’irrigazione separata dall’aspirazione, vanno infine, preferite tecniche di chopping e fra esse quelle verticali. Tutto questo,unito ad altri accorgimenti descritti in altri capitoli di questa pubblicazione (anelli di tensione capsulare6, retrattori capsulari etc.) consentirà al chirurgo di risolvere brillantemente situazioni che fino a pochi anni fa sembra22
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vano destinate al fallimento. Tuttavia va tenuto presente che è importante, non soltanto portare a termine l’intervento con un sacco integro ed una lente ben posizionata, ma anche lasciare a fine intervento una situazione stabile e duratura. Infatti l’aumento dei casi di lussazione o sublussazione del sacco capsulare nei pazienti pseudofachici che abbiamo visto negli ultimi anni è probabilmente legata alla nostra capacità di salvare sacchi veramente attaccati a un filo, senza però che gli stessi vengano poi fissati adeguatamente come la tecnologia in nostro possesso ci consente oggi di fare. Dott. Alessandro Franchini Autore di Dipartimento di Scienze Chirurgiche Oto-Neuro-Oftalmologiche riferimento Università degli Studi di Firenze Tel. 055 411765 • Fax 055 4377749 alessandrofranchini@yahoo.it afranchini@unifi.it
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Daniele Tognetto Eirini Skiadaresi
Sublussazione del cristallino: gestione delle complicanze chirurgiche Le cause di dislocazione del cristallino possono essere congenite o acquisite. La dislocazione congenita può essere isolata o associata ad anomalie sistemiche e in una grande percentuale dei casi è associata ad aniridia o ad ectopia pupillare. Diverse sindromi sistemiche si associano a sublussazione del cristallino come la sindrome di Marfan, la sindrome di Ehler-Danlos, la sindrome di Usher, la sindrome di Sturge-Weber e di Groenblad-Strandberg, la disostosi cranio-facciale, il nanismo eumorfico, la sindrome di Down e di Rubinstein-Taybi, la sindrome di Weil-Marchesani, l’omocistinuria, la iperlisinemia, il deficit di solfato-ossidasi, la sindrome di Rieger, la sindrome di Axenfeld e la sindrome di Klinefelter1. Tuttavia la sublussazione del cristallino è un’entità clinica che più frequentemente è acquisita. La lassità zonulare che ne è la causa può derivare da numerose condizioni come un trauma, una ipermaturità di una cataratta in età avanzata, un uveite cronica od una miopia elevata. Esistono poi origini meno frequenti come i tumori oculari, il buftalmo e la pregressa vitrectomia. Ma sicuramente la causa più comune di una sublussazione del cristallino è la sindrome pseudoesfoliativa. La chirurgia di un cristallino sublussato è una chirurgia complessa esposta ad un alto rischio di complicanze sia intra che postoperatorie. Per questo motivo richiede la disponibilità di specifici presidi chirurgici nonché di una buona esperienza chirurgica. In passato il ricorso alle tecniche di estrazione intracapsulare od extracapsulare consentiva un successo chirurgico in una percentuale dei casi compresa circa tra il 51 ed il 58% dei casi2. Oggi la facoemulsificazione condotta con tecniche microincisionali e soprattutto l’utilizzo di dispositivi di supporto capsulare ha permesso di ottenere risultati molto 24
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incoraggianti in un percentuale di casi molto più elevata3,4,5,6,7,8. Dal momento che si tratta di una chirurgia complessa, essa richiede una precisa valutazione preoperatoria ed un’accurata pianificazione dell’intervento. In particolare è necessario valutare l’ampiezza dell’area di debolezza zonulare, la presenza di facodonesi e la presenza di prolasso vitreale. La sede della sublussazione risulta altrettanto importante poiché la sublussazione inferiore è conseguenza di una severa compromissione zonulare9. Figura 1. Inserimento di anello tensionale La scelta della tecnica chirurgica è fondamentale e condiziona la possibilità che insorgano complicanze durante l’intervento. Essa deve essere spesso modificata durante l’intervento in conseguenza di variazioni della situazione clinica10. L’entità della sublussazione può essere classificata in lieve, moderata o severa. Va tenuto conto anche della progressività della patologia, come ad esempio nel caso della pseudoesfoliazione capsulare. Una sublussazione lieve, con zonulolisi estesa per meno di 90° e lieve facodonesi può essere gestita con un normale intervento di facoemulsificazione e con impianto di IOL nel sacco. Esso va preceduto tuttavia dall’inserimento di un anello di tensione capsulare per espandere il sacco capsulare e ridistribuire la tensione dalla zona di debolezza zonulare all’intera zonula11,12,13 (Figura 1). Nei casi più gravi, con un’area di debolezza zonulare estesa tra i 90° e i 180° e una moderata facodonesi, l’impianto di IOL può essere ancora effettuato nel sacco capsulare. Tuttavia è spesso necessario l’utilizzo di uncini retrattori iridei per agganciare il bordo della capsuloressi (Figura 2) così come l’impiego di anelli di tensione capsulare modificati di Cionni (Mod. 1-L o 2-L) o di segmenti di tensione capsulare di Ahmed. La vitrectomia anteriore può rendersi necessaria per gestire un eventuale prolasso di vitreo dalla zona di dialisi zonulare14. Una sublussazione severa, con area di zonulolisi estesa tra i 180° e i 270°, associata ad una marcata facodonesi o ad una lussazione Figura 2. Posizionamento di uncini retrattori dell’iride per inferiore del cristallino, non può invece esseagganciare la capsula anteriore e stabilizzare il sacco capre gestita mediante una facoemulsificazione sulare in un caso di marcata facodonesi in sindrome pseudo esfoliativa condotta per via limbare. In questi casi può SPECIALE LA VOCE AICCER
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Sublussazione del cristallino: gestione delle complicanze chirurgiche
trovare indicazione l’estrazione intracapsulare o, in alternativa, la facoemulsificazione o la lensectomia condotte via pars plana. La vitrectomia anteriore o via pars plana può essere necessaria molto frequentemente. L’impianto di IOL può essere effettuato in camera anteriore a supporto angolare o a fissazione iridea, oppure nel solco ciliare tenendo in considerazione i vantaggi e i rischi di ciascuna di queste alternative. Le complicanze della chirurgia del cristallino sublussato possono essere intra o postoperatorie e sono legate al tipo di tecnica utilizzata. È noto che le complicanze intraoperatorie più frequenti legate alla chirurgia intracapsulare comprendono il rischio di un’emorragia espulsiva, di prolasso vitreale e di prolasso irideo. La gestione di un’emorragia espulsiva è sempre molto impegnativa e spesso, per la gravità e la progressività di un evento così drammatico, consente solo una sutura dell’incisione, rimandando a tempi da definirsi la possibilità di uno svuotamento dell’emorragia sovracoroideale. I risultati funzionali di questa condizione come è noto sono sempre piuttosto scadenti. Lo svuotamento di un distacco emorragico di coroide può essere effettuato mediante una sclerotomia associata all’impiego di un anterior chamber maintainer o all’approccio via pars plana con impiego di mezzi tamponanti15. Il prolasso vitreale e quello irideo sono invece due eventualità più frequenti ma gestibili con maggiore facilità. La vitrectomia anteriore via limbare e il riposizionamento irideo sono le procedure richieste in questa evenienza16. Le complicanze intraoperatorie più frequenti nel caso di lensectomia o di facoemulsificazione via pars plana, comprendono la dislocazione di frammenti nucleari nel vitreo e la comparsa di rotture retiniche associate o meno a distacco retinico. Esistono poi le complicanze correlate all’impianto della IOL. Il sanguinamento intraoperatorio è più frequente nelle IOL a fissazione sclerale mentre le alterazioni iridee sono più comuni nelle IOL a supporto angolare. Relativamente scarse sono le complicanze relative ad un impianto a fissazione iridea. Nel caso in cui la tecnica utilizzata sia la facoemulsificazione associata all’impiego di dispositivi per il supporto capsulare (uncini retrattori iridei, anelli o segmenti di tensione capsulare), le complicanze più comuni includono la rottura della capsula con perdita di vitreo, il prolasso vitreale dalla zona di disinserzione capsulare, la dislocazione di frammenti nucleari nel vitreo, la disinserzione del sacco capsulare e la dislocazione degli anelli di tensione capsulare o della IOL. La perdita di vitreo della sede della disinserzione può avvenire durante l’esecuzione di Figura 3. Prolasso vitreale attraverso l’area della disinserzione zonulare e suo impegno nella facotip manovre che aumentano le forze di trazione 26
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sulle fibre zonulari, come ad esempio durante la capsuloressi, durante l’esecuzione di manovre per la facoemulsificazione o durante l’impianto dell’anello di tensione capsulare o della IOL (Figura 3). La rottura della capsula a sua volta è più probabile che avvenga durante le manovre di facoemulsificazione. Può essere inoltre legata a un utilizzo improprio di uncini retrattori iridei. Il prolasso vitreale o la perdita di vitreo, in conseguenza di una rottura capsulare, sono Figura 4. Compartimentazione del vitreo ottenuta con un eventualità che possono essere gestite utiliz- viscoelastico viscoadattivo e aspirazione dei residui cortizando diverse soluzioni, anche in relazione cali impiegando la tecnica “slow motion” alle preferenze del chirurgo. L’utilizzo di sostanze viscoelastiche viscoadattive per mantenere il vitreo lontano dalla camera anteriore e per compartimentare gli spazi, consente in molti casi, in combinazione con la tecnica “slow motion”, di gestire la complicanza evitando di dover ricorrere alla vitrectomia17 (Figura 4). Quest’ultima tuttavia diventa indispensabile in diversi casi per la presenza di ampie rotture capsulari o di grosse quantità di vitreo prolassate in camera anteriore. La vitrectomia deve essere condotta “a secco” per mantenere stabile il segmento anteriore. Infatti l’irrigazione associata alla vitrectomia causa un passaggio di fluidi ad alta velocità in camera vitrea che sospinge il gel vitreale verso il segmento anteriore. Per la stessa ragione il ricorso a tecniche manuali per l’asportazione dei residui nucleari e corticali è in questi casi altrettanto fondamentale18. La dislocazione di frammenti nucleari nel vitreo è un’evenienza abbastanza rara, avvenendo solo nello 0.1-1% dei casi di facoemulsificazione. È correlata alla sindrome pseudoesfoliativa, a cataratta traumatica, all’inesperienza del chirurgo, alla durezza del nucleo, ad una pupilla stretta, all’uso di coloranti vitali e alla anestesia topica19,20. Nel caso in cui avvenga la dislocazione di frammenti nucleari nel vitreo i tentativi per il recupero degli stessi devono essere molto limitati. Il rischio di rotture retiniche e di distacco di retina è in questi casi molto elevato. Studi clinici hanno osservato un’incidenza Figura 5. Emovitreo, distacco di retina da rottura di retina podi distacco retinico compresa tra il 2% e il 4% steriore con residui lenticolari nel vitreo in un caso di tentatinel caso di rottura della capsula posteriore. vo incongruo di recupero di materiale lenticolare nel vitreo SPECIALE LA VOCE AICCER
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Sublussazione del cristallino: gestione delle complicanze chirurgiche
Nel caso di dislocazione di frammenti nucleari nel vitreo, l’incidenza di distacco retinico aumenta ed è compresa tra il 3.4 ed il 16.0% dei casi. Tale incidenza risulta più elevata nel caso vengano effettuati tentativi di recupero del materiale dislocato19,20,21 (Figura 5). La formazione di rotture retiniche è correlata alla trazione esercitata dalla base vitreale sulla periferia retinica. Tale condizione si realizza in conseguenza della rottura capsulare e del prolasso di vitreo in camera anteriore ed è accentuata dalla trazione sul vitreo conseguente sia alla vitrectomia che a manovre incongrue legate al tentativo di recuperare i frammenti lenticolari lussati. Nel caso della sublussazione del cristallino è necessario inoltre ricordare, che spesso coesistono degenerazioni vitreo retiniche periferiche, come ad esempio nella sindrome di Marfan, che favoriscono la formazione di rotture retiniche in conseguenza di trazioni vitreoretiniche anomale. Deve essere quindi posta grande attenzione alla manipolazione del vitreo. Il chirurgo del segmento anteriore deve rimuovere tutti i frammenti lenticolari presenti in camera anteriore ed effettuare una vitrectomia anteriore completa. La decisione di rimuovere i frammenti nucleari presenti in camera vitrea, eseguendo una vitrectomia ed il timing di questo intervento, è legata a molti fattori quali l’esperienza del chirurgo nel campo della chirurgia vitreoretinica o la disponibilità di un chirurgo del segmento posteriore, il tipo di anestesia, lo stato psicologico del paziente e la sua valutazione clinica18. Infine tra le complicanze intraoperatorie la dislocazione di anelli di tensione capsulare e di lenti intraoculari nel vitreo sono eventualità piuttosto rare che richiedono quasi sempre una chirurgia vitreo retinica completa22. Per quel che riguarda le complicanze postoperatorie, esse sono comuni a tutta la chirurgia del cristallino sublussato e comprendono il distacco di retina, già discusso in precedenza, l’ipertono postoperatorio, il glaucoma, l’uveite, l’edema maculare cistoide e la dislocazione della IOL e la decompensazione endoteliale. In conclusione la chirurgia della sublussazione del cristallino può presentare un grado di difficoltà anche consistente. L’impiego di dispositivi chirurgici per la stabilizzazione del sacco capsulare e di tecniche di chirurgia mininvasiva hanno migliorato la prognosi di questi casi complessi. Tuttavia esiste un’aumentata incidenza di complicanze legate alle condizioni cliniche che talora risultano particolarmente critiche. La gestione di queste complicanze richiede necessariamente una buona esperienza chirurgica che comprenda in particolare la conoscenza del trattamento del gel vitreale. Autore di Prof. Daniele Tognetto riferimento Clinica Oculistica - Università di Trieste Tel. 040 3992517 • Fax 040 772449 tognetto@univ.trieste.it
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Alessio Giovanni Carmela Palmisano Stefano Vittorio Lorusso
Cause di sublussazione della IOL
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Figura 1.
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er sublussazione si intende lo spostamento incompleto della lente intraoculare (IOL) dalla sua normale posizione anatomica. Essa può essere dovuta ad un erroneo posizionamento della IOL al momento dell’impianto, al verificarsi di una complicanza intraoperatoria, ad un difetto della lente, ad esempio una loop deformata dall’iniettore, ad uno spostamento della IOL nel postoperatorio dovuto a lassità della zonula, traumi, cedimento delle fibre zonulari e retrazione del sacco capsulare. Si tratta di una complicanza di notevole importanza per le possibili ripercussioni patologiche a carico di altre strutture del bulbo oculare e per le conseguenze funzionali che essa comporta. Una dislocazione della IOL può infatti causare reazioni flogistiche di diverso tipo ed entità, un’anomalia pupillare, trazioni vitreali, edema maculare cistoide, glaucoma secondario, edema corneale, oltre le alterazioni quantitative e qualitative della visione1,2. Essa può consistere in uno spostamento lungo l’asse anteroposteriore, su un piano perpendicolare all’asse anteroposteriore (o decentramento), una rotazione su un meridiano (o tilting) o in una associazione fra le stesse.
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Figure 2a, 2b.
Le conseguenze ottiche di una dislocazione sono diverse a seconda se si tratti di uno spostamento assile, un decentramento o un tilting. Ricordiamo che la funzione ottica di una IOL è legata alla sua posizione in rapporto all’asse visivo, alla cornea e alla retina e che uno spostamento della stessa (Figura 1), indietro provoca una variazione in senso ipermetropico (Figure 2a-b) e in avanti la variazione refrattiva è in senso miopico (Figure 3 a-b). È stato riportato3 che la variazione refrattiva finale causata da una dislocazione assile è rapportata al potere della IOL: per una IOL di 26 D, per ogni 0.1 mm di spostamento si ha una variazione refrattiva di circa 0.15 D. Questo valore è direttamente proporzionale al potere diottrico della IOL per cui aumenta per IOL di potere elevato e si riduce sino a pochi centesimi di diottria per lenti di potere vicino allo zero. In caso di decentramento della IOL (Figura 4), invece la situazione è differente: la sua funzione ottica infatti viene svolta al massimo se i suoi piani principali sono perpendicolari all’asse ottico oculare e il suo asse ottico coincide con l’asse ottico oculare. Ma se la IOL è decentrata (Figure 5a-b) si determinano aberrazioni ottiche, coma, direttamente proporzionali al potere della IOL ed alla distanza del centro ottico dall’asse visivo. La conseguenza è rappresentata da disturbi qualitativi della visione non correggibili con lenti.
Figure 3a, 3b.
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Cause di sublussazione della IOL
Figura 4.
Molto spesso si tratta di una combinazione dei diversi tipi di dislocazione (Figure 6 e 7a-b) e gli effetti ottici sono ovviamente peggiori se si tratta di IOL multifocali. I cambiamenti di posizione di una IOL nel periodo postoperatorio possono essere precoci o tardivi. In un primo periodo, cioè ore dopo l’intervento, il primo fattore che interviene in modo determinante è il ripristino del tono oculare con conseguente variazione dei rapporti interni tra le strutture oculari. Infatti l’equilibrio idrostatico completo tra CA, CP e imbibizione vitreale si raggiunge solo dopo alcuni giorni; solo allora la IOL raggiunge una sua stabilità a meno che non intervengano altre forze dislocanti. Nel primo periodo postoperatorio infatti la IOL può assestarsi subendo l’influenza di numerose forze: quella delle pareti del bulbo, quelle dell’iride, quelle elastiche delle sue loop, eventuali pressioni da residui di sostanza viscoelastica, dall’elasticità della capsula o della zonula. Il decentramento o la dislocazione di una IOL da camera posteriore ha un’incidenza calcolata fra lo 0.2 ed il 3% dopo chirurgia complicata della cataratta4,5. Non si conosce l’incidenza in seguito a chirurgia della cataratta in cui non si siano verificati eventi avversi. Numerose sono le pubblicazioni presenti nella letteratura internazionale ma si tratta in genere di case report o analisi retrospettive in una serie di pazienti. J. G. Gross e collaboratori6 nel 2004 hanno pubblicato un’analisi retrospettiva multicentrica sul trattamento chirurgico e sui fattori predisponenti la sublussazione della IOL all’interno del sacco (Figura 8) in venticinque occhi di ventidue pazienti. È stato possibile evidenziare, nelle patologie associate pre-operatorie, la pseudoesfoliatio lentis nel 44%, uveiti 16% e pregressi traumi nel 16%.
Figure 5a, 5b.
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Nel restante 24% non è stato possibile evidenziare alcuna causa. Simile percentuale di cause sconosciute (23%), è stata riscontrata da D. Davis e collaboratori7 che riportano dislocazione spontanea di IOL e sacco in media dopo 8.5 anni dall’intervento non complicato di cataratta in 86 pazienti. Fra le condiFigura 6. zioni possibili cause: pseudoesfoliatio (50%), precedente chirurgia vitreo retinica (19%), storia di traumi pregressi (6%) e uveiti (2%). Un’altra possibile causa è stata riportata da A. Kumar8 che riscontra sublussazione in presenza di fibrosi capsulare e fimosi (Figure 9, 10, 11) della capsula anteriore (Figure 9a-b-c) in soggetti con precedente sindrome da pseudoesfoliatio e/o diabete, entrambe riconosciute, in numerosi altri reports come possibili cause di fibrosi capsulare, insieme alle uveiti, degenerazioni pigmentate retiniche e distrofia miotonica9,10,11,12. Ken Hayashi e coll13 distinguono fra sublussazioni nel sacco (in-the-bag IOL dislocation) e fuori dal sacco (out-of-the-bag dislocation) (Figura 12). Nel primo gruppo possibili cause riportate sono: pseudoesfoliatio nel 44.7%, retinite pigmentosa nel 10.5%, bulbo vitrectomizzato nel 5.3%, pregresso trauma nel 5.3% e un lunghezza assiale superiore alla norma nel 5.3%. Fra le cause delle dislocazioni fuori dal sacco: impianti secondari di IOL (45.8%), complicanze chirurgiche (12.5%), cataratta matura (12.5%) e pseudoesfoliatio (8.3%). Un’iniezione intravitreale potrebbe causare prolasso di vitreo in camera anteriore con conseguente dislocazione e/o decentramento della IOL in bulbi predisposti, come riportato da Degenring e coll14 che peraltro affermano che l’Oftalmologo
Figure 7a, 7b.
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Cause di sublussazione della IOL
Figure 8, 9, 10.
deve essere a conoscenza di questa possibilità e informare i pazienti su questo possibile rischio in seguito a terapia iniettoria intravitreale. Una situazione simile si può determinare dopo capsulotomia YAG laser: è stato riportato il caso di un paziente che un mese dopo tale procedura accusò improvviso calo visivo dovuto a lussazione posteriore della IOL15. Cionni16 suggerisce l’uso di anelli di tensione capsulare durante impianto di IOL in soggetti affetti da alcuni disordini del connettivo (sindrome di Marfan, omocistinuria, iperlisinemia, sindrome di Ehlers-Danlos, sclerodermia e sindrome di WeilMarchesani) per prevenire la sublussazione e/o lussazione della stessa dopo chirurgia sul cristallino. Tra le cause di sostituzione della IOL la sublussazione della stessa è stata riportata nel 18% e il decentramento in analoga percentuale (19%)17 con il riscontro, di un miglioramento dell’acuità visiva dopo sostituzione della IOL. Al contrario Ken Hayashi e collaboratori suggeriscono l’utilizzo di tecniche chirurgiche alternative in caso di bulbi predisposti a sublussazione della IOL poiché riportano un’alta percentuale di complicanze in caso di sostituzione di IOL con impianto a fissazione sclerale associata a sutura corneale, a fronte di uno scarso recupero visivo13.
Figura 11.
Figura 12.
Autore di Prof. Giovanni Alessio riferimento Clinica Oculistica Università degli Studi di Bari Dipartimento di Oftalmologia e ORL Tel. 080 5593577 g.alessio@oftalmo.uniba.it
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Simonetta Morselli Romeo Altafini
Tecniche di fissazione della IOL a bulbo chiuso Introduzione Le tecniche di fissazione sclerale sono molte e ogni chirurgo tende a personalizzarle. In caso di necessità di fissazione della IOL alla sclera, il chirurgo si trova a dover affrontare una serie di difficoltà legate alla condizione oculare e alla causa che ha portato alla necessità dell’intervento stesso. La condizione dell’iride e le eventuali fibrille vitreali presenti in camera anteriore possono influenzare moltissimo il tipo di tecnica da applicare. Spesso si tratta di un intervento eseguito in seconda battuta dopo un intervento di faco complicato o dopo un trauma o in seguito ad una lussazione spontanea del cristallino naturale. L’intervento stesso di fissazione sclerale può a sua volta dare delle complicanze successive con dislocazione di una o più anse della IOL precedentemente fissate alle sclera. In rari casi, per fortuna, il paziente si presenta con una dislocazione di una o di tutte e due le anse della IOL in seguito ad un trauma o all’uso di una IOL inadatta alla fissazione sclerale, oppure per la lisi spontanea del filo che la sorregge, oppure per l’accidentale taglio del filo che buca la sclera che qualche collega non conosce la storia del paziente, ha asportato accidentalmente. In questi casi si può scegliere di ri-fissare la IOL senza asportare la lente dall’occhio e senza fare fuoriuscire l’ottica della lente dall’occhio. Tecniche Le tecniche fondamentalmente sono due: a) una che prevede di far fuoriuscire la/le loops dall’incisione b) l’altra che fissa le anse dall’esterno agganciando la/le loops con il filo di sutura senza farle fuoriuscire dall’incisione. 36
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Tecnica A
Cercheremo con l’aiuto di alcune fotografie intraoperatorie di illustrare la tecnica chirurgica. Per prima cosa è necessario individuare il tipo di lussazione della lente e se vi è presenza o meno di vitreo che ingloba in parte le loops o il corpo ottico. Forse, in questo caso, è meglio eseguire una incisione tale (Figura 1) da consentire una vitrectomia che possa liberare la lente senza provocare quindi danni trazionali durante le manovre di riposizionamento della lente. Una volta liberata la loop si può posizionarla con un uncino o una pinza, sia essa di prolene o di PMMA, al di fuori dell’incisione (Figure 2-3). A questo punto si può far passare un ago di prolene retto attraverso lo sportellino preparato per la fissazione sclerale dall’esterno verso l’interno della camera a 1 mm dal Tecnica A
Figura 1. Incisione cornea sclerale
Figure 2-3. Recupero della loop con pinze per portarla fuori dall’incisione
Figura 4. Passaggio dell’ago di polene Figure 5-6. Fissazione del polene attraverso il foro della loop
Figura 7. Riposizionamento della loop dietro l’iride
Figura 8. Legatura del polene alla sclera
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Tecniche di fissazione della IOL a bulbo chiuso
limbus e recuperarlo dalla parte opposta con ago da 27 G (Figura 4). A questo punto il filo viene recuperato attraverso l’incisione principale e fissato al foro della loop oppure alla loop in prolene con più nodi (Figure 5-6). Successivamente la loop viene riposizionata dietro all’iride con un uncino o con la pinza (Figura 7) successivamente il prolene va passato attraverso la sclera e annodato sotto lo sportellino sclerale precedentemente creato cercando di lasciare i punti lievemente lunghi in modo che non riescano a bucare la sclera (Figura 8). A favore di questa tecnica possiamo dire che permette di vedere bene la loop della lente, permette di controllare il posizionamento della IOL e che è forse più semplice di quella a bulbo completamente chiuso. Elementi a sfavore di questa tecnica sono: a) le trazioni che si possono fare sulla lente e sul corpo vitreo b) a volte è difficile far uscire la loop c) è una tecnica lunga e prevede un’anestesia generale o locale prolungata per il paziente. Noi comunque preferiamo usare questo tipo di tecnica anche se la lente fosse completamente lussata in camera vitrea. Tecnica B
Anche in questo caso credo che le fotografie intraoperatorie siano di grossa utilità per capire bene la tecnica chirurgica. Anche in un caso di lussazione totale della IOL in camera vitrea con residuo anello di Sommering completo, è possibile fissare la IOL senza far uscire le loop dalla camera. Anzi, in questo caso, abbiamo preferito usare questa tecnica proprio perché liberare le loops sarebbe stato troppo indaginoso e la fibrosi ci ha aiutato a creare un supporto per fissare la lente (Figura 9). In caso di IOL completamente lussata in camera vitrea, dopo aver eseguito una vitrectomia posteriore completa, abbiamo iniettato del Perfluoro DKLine per portare la lente a metà della camera vitrea (Figura 10) in modo che potesse essere possibile afferrala con una pinza coccodrillo per portarla dietro al piano irideo in modo da poter fissare le loop (Figure 11 e 12). A questo punto viene passato un filo con ago retto di prolene attraverso la sclera sotto lo sportellino sclerale ad 1 mm dal limbus (Figure 13 e 14) passando con l’ago sotto la loop e fuoriuscendo in cornea. Successivamente si allenta lievemente il filo di prolene con un uncino (Figura 15) per evitare che si tagli una volta che viene recuperato incanalandolo dalla parte del filo, con l’ago da 27 G attraverso la sclera (Figura 16). La stessa manovra viene effettuata anche dalla parte opposta e il prolene viene quindi fissato alla sclera, sotto gli sportellini, con dei nodi tradizionali. I vantaggi di questa tecnica sono: a) il bulbo può rimanere completamente chiuso b) è forse più veloce di quella precedentemente descritta c) può essere effettuata anche in anestesia locale (sempre che la IOL non sia completamente lussata in camera vitrea). Per contro è una tecnica in cui la visibilità della IOL è ridotta, la centratura a volte può essere imperfetta e la loop viene solo bloccata alla sclera. 38
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Tecnica B
Figura 9. IOL lussata in camera vitrea
Figura 10. Iniezione di Perfluoro DKLine per portare la IOL a metà della camera vitrea
Figura 12.
Figure 13-14. Passaggio del polene attraverso e sotto la loop
Figura 15. L’uncino allenta il filo di prolene per evitare che si tagli una volta incanalato con l’ago 27 G
Figura 16. Recupero del filo di polene con ago 27 G
Figure 11-12. Uso della pinza a coccodrillo per portare la IOL in campo pupillare
Figura 17. Ripetizione della manovra dal lato controlaterale
L’anello di Sommering può ridurre la visibilità ma a volte può esser utile per creare una sorta di foro per la sospensione della IOL stessa. Comunque sia, le tecniche di fissazione sclerale della IOL a bulbo chiuso, devono essere adattate al tipo di problema e al tipo di IOL da riposizionare, spesso la fantasia del chirurgo introduce piccole varianti che rendono queste tecniche innume revoli e personalizzate. SPECIALE LA VOCE AICCER
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Tecniche di fissazione della IOL a bulbo chiuso
Autore di Dott.ssa Simonetta Morselli riferimento Direttore Struttura complessa di Oculistica Ospedale San Bassiano Bassano del Grappa (VI) Tel. 0424 888429 simonetta.morselli@gmail.com
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Scipione Rossi Maria Trinchi
Tecniche di impianto a fissazione iridea Introduzione La sublussazione di una lente intraoculare (IOL) è una grave complicanza dopo intervento di facoemulsificazione con impianto nel sacco. Tale evento ha un’incidenza che varia dallo 0,2 al 3%1-3. Di fronte ad una sublussazione di una IOL bisogna prima di tutto chiedersi se intervenire o no. Le maggiori indicazioni alla chirurgia sono: la presenza di sintomi visivi (riduzione dell’acuità visiva, diplopia monoculare e aloni), di sintomi infiammatori a carico dell’iride e del corpo ciliare (glaucoma, sindrome glaucoma-uveite-ipoema ed edema maculare cistoide). La seconda domanda da porsi è se rimuovere la lente dislocata e progettare un impianto secondario, oppure riposizionare e fissare la lente con delle tecniche di sospensione intraoculare. La scelta chirurgica è condizionata da numerose variabili: caratteristiche della lente, grado e tipo di sublussazione e condizioni anatomiche dell’occhio. Nel 1976, Malcom McCannel4 è stato il primo a descrivere una tecnica a fissazione iridea di una lente intraoculare da camera posteriore (PC IOL) sub lussata. McCannel ebbe l’idea di suturare le anse della IOL all’iride attraverso un filo in polypropilene 10.0, durante una cheratoplastica perforante. Per diversi anni le “suture di McCannel” furono abbandonate poiché il loro confezionamento “a bulbo chiuso” sembrava un atto chirurgico troppo complesso. Soltanto nel 2003 Stark5 descrisse il modo per eseguire le suture di McCannel attraverso semplici paracentesi limbari. La moderna tecnica a fissazione iridea a “bulbo chiuso”, nei casi in cui può essere eseSPECIALE LA VOCE AICCER
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Tecniche di impianto a fissazione iridea
guita, è un trattamento minimamente invasivo che assicura un riposizionamento anatomico e ottico ideale e un centraggio “stabile” IOL6.
Tecnica chirurgica La tecnica di riposizionamento di una PC IOL con fissazione all’iride richiede un’elevata abilità chirurgica. Analizziamo quindi le diverse fasi dell’intervento. 1. Riposizionamento e centraggio della PC IOL attraverso un uncino di Sinskey o Lester introdotto attraverso una piccola incisione in cornea chiara. La possibilità di mobilizzare e centrare una IOL sublussata non è sempre possibile, dipende, come vedremo, dal tipo di sublussazione. 2. Iniezione intracamerulare di Acetilcolina (Miochol) per assicurare una pupilla rotonda e miotica. 3. “Cattura pupillare” dell’ottica della IOL e posizionamento delle anse dietro l’iride. Questa è la manovra più delicata di tutto l’intervento. Il fallimento della cattura pupillare comporterebbe la lussazione della IOL in camera vitrea. 4. Suture di McCannel con filo monoarmato in polypropilene 10.0 su un ago curvo CIF-4 (Ethicon). Fare due paracentesi, lungo la via di entrata e di uscita dell’ago, perpendicolari alla posizione dell’ansa. L’ago si fa penetrare in camera anteriore, viene passato attraverso lo stroma periferico dell’iride quindi sotto la loop e di nuovo attraverso l’iride (Figura 1). La “cattura dell’ansa” è facilitata se, durante il passaggio dell’ago nello stroma irideo, si solleva l’ottica con una spatola. Questa manovra non solo permette una corretta visualizzazione delle anse retoiridee ma permette anche di stirare in modo adeguato il tessuto irideo. Per facilitare l’uscita dell’ago attraverso la seconda paracentesi è possibile usare come guida rigida una cannula o un ago da 25 G, opportunamente introdotta dalla via di uscita. 5. Confezionamento del nodo. Estrarre con uncino Sinskey o Lester le due estremità libere della sutura attraverso una paracentesi a metà tra punto di entrata e punto
Figura 1. Cattura della loop con una sutura in polypropilene 10.0 (da Stutzman e Stark, 2003)
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Figura 2. Esecuzione del nodo che, serrato, mette in trazione l’iride e ansa con possibile deformazione cat’s-eye della pupilla (da Stutzman e Stark, 2003)
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Figura 3. Caso clinico personale
Figura 4. Nodo di Siepser. Con un uncino viene presa l’estremità distale della sutura e tirata fino alla paracentesi di entrata (da Chang et al., 2004)
di uscita del filo. Esecuzione del nodo che, serrato, mette in trazione l’iride e ansa con possibile deformazione cat’s-eye della pupilla (Figura 2). 6. Portare l’ottica della IOL dietro l’iride 7. Assicurarsi che in C.A. non ci sia vitreo Per evitare la deformazione pupillare (Figura 3), nel 2003, Condon7 modifica la sutura di McCannel utilizzando il nodo scorsoio di Siepser8. Nel 1997 Siepser8 descrisse la sutura con nodo scorsoio per riparare difetti iridei a bulbo chiuso. Per eseguire il nodo scorsoio di Siepser sono sufficienti solo le due paracentesi di entrata e di uscita. Con un uncino viene presa l’estremità distale della sutura e tirata fino alla paracentesi di entrata (Figura 4). Una volta che entrambe le estremità della sutura sono posizionate da una stessa parte (Figura 5) si procede a fare il nodo: l’estremità prossimale deve fare due giri intorno dall’estremità distale all’altra (Figura 6).
Figura 5. Nodo di Siepser. Entrambe le estremità Figura 6. Nodo di Siepser. L’estremità prossimale della sutura sono nella paracentesi d’entrata (da deve fare due giri intorno all’estremità distale e all’altra (da Chang et al., 2004) Chiang et al., 2004)
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Tecniche di impianto a fissazione iridea
Per stringere il nodo le due estremità sono tirate in direzione opposta; quindi, il nodo scivola (Figura 7) nel punto di ancoraggio all’iride senza esercitare trazioni. Una volta stretto il nodo i fili sono tagliati introducendo delle forbici Vannas (Figura 7a) e l’ottica è riposizionata dietro l’iride (Figura 7b).
Figura 7. Nodo di Siepser. Tirando l’estremità dell’iride, il nodo scivola nel punto di ancoraggio irideo (da Chang et al., 2004)
Indicazioni Come è stato detto, la possibilità di eseguire questa tecnica dipende da molteplici fattori legati alle caratteristiche della lente, al tipo di sublussazione e alle condizioni anatomiche delle strutture oculari.
Caratteristiche della IOL
La IOL deve essere integra in tutte le sue parti. La lente ideale è una 3 pezzi, con anse in PMMA angolate di 5°, in materiale acrilico. Il diametro dell’ottica di 6 mm e la lunghezza totale della lente di 13 mm. Un’ottica minore di 5 mm determinerebbe, al minimo grado di decentramento (<5°), l’esposizione del bordo della lente con fastidiosi sintomi visivi. Viceversa, con un’ottica maggiore di 6 mm, i margini della lente sarebbero troppo vicini al punto di ancoraggio delle suture quindi, determinerebbero un danno meccanico. Grado e tipo di sublussazione
La sublussazione di una PC IOL fuori dal sacco capsulare (Figura 8) agevola l’esecuzione della fissazione iridea perché consente una facile cattura pupillare dell’ottica. La situazione ideale è quella in cui si verifica una parziale dislocazione della IOL con cattura pupillare10 (Figura 9). La sublussazione della IOL nel sacco (in-the-bag) (Figura 10) presenta maggiori difficoltà per due motivi11.
Figura 7a-b. Una volta stretto il nodo i fili sono tagliati introducendo delle forbici Vannas e l’ottica è riposizionata dietro l’iride (da Chang et al.,2004)
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Figura 8. Sublussazione di una PC IOL out-the-bag
Figura 9. Parziale dislocazione della IOL Figura 10. Dislocazione nel sacco di una con cattura pupillare PC IOL . La IOL è dislocata inferiormente e si trova dentro il sacco capsulare (da Hayashi et al., 2007)
Prima di tutto, la cattura pupillare del complesso IOL-sacco non è una manovra tecnicamente facile. Se risulta impossibile, si può ricorrere a un approccio posteriore12. Attraverso una sclerotomia in pars plana, eseguita nel settore in cui è presente la zonula, viene iniettato del viscomateriale che esercita una spinta in avanti del complesso sublussato (Figura 11); quindi, per fornire un supporto per tutte le operazioni di sutura, potrà essere usato un secondo strumento (ad es. ago retto e spatola da iride) (Figura 12), introdotto sempre nella stessa sclerotomia. Secondo motivo, nel caso in cui ci sia una fimosi del sacco sarà difficile attraversare con l’ago la capsula fibrotica ed inspessita. Condizioni anatomiche dell’occhio
Un buon trofismo dell’iride e una normale dinamicità pupillare sono requisiti indispensabili per la tecnica di fissazione iridea. L’iride periferica è un sito anatomico favorevole per la fissazione delle suture.
Vantaggi (Tabella 1) Nel 2003 l’American Academy Ophthalmology Technology Assessment Committee ha suffragato l’efficacia e la sicurezza della tecnica d’impianto a fissazione iridea13. La mancanza di trials clinici randomizzati non permette di considerare la sospensione iridea superiore rispetto a quella sclerale13. La tecnica a fissazione iridea consente il centraggio retro pupillare di una PC IOL sublussata. Il centraggio retro pupillare è un riposizionamen-
Figura 11. Introduzione di un viscomateriale attraverso una sclerotomia per spostare in avanti il complesso IOLsacco (da Gimbel et al., 2005)
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Tecniche di impianto a fissazione iridea
to corretto dal punto di vista anatomico e funzionale. Infatti, la posizione finale si approssima a quella originaria (sacco capsulare) con tutti i vantaggi di un impianto in camera posteriore. La fissazione delle anse flessibili all’iride determina un incurvamento posteriore del complesso aptico-ottico della IOL, facendo allontanare di fatto la parte ottica dalla superficie posteriore iridea e riducendo l’attrito da contatto e la dispersione di pigmento14. Dal punto di vista refrattivo, questo fenomeno rende l’effetto ottico simile alla situazione iniziale evitando la riduzione del potere dovuta all’anterioFigura 12. Introduzione di una spatola da iride attraverso rizzazione della IOL15. Un altro vantaggio della la sclerotomia per stabilizzare il complesso IOL-sacco durante le operazioni di sutura (Gimbel et al., 2005) tecnica è la longevità delle suture che, rispetto alla fissazione sclerale, ove anche il semplice ammiccamento può creare uno stress meccanico con possibile erosione, non subiscono sollecitazioni e danneggiamenti. È quindi un riposizionamento stabile nel tempo13 con un minimo rischio di ridislocazione16 e di endoftalmiti causate dalla presenza delle suture sclerali stesse10. D’altro canto, l’iride periferica rappresenta un sistema di sospensione ideale grazie alla sua atonia ed elasticità. Vantaggi della fissazione iridea Tecnica a “Bulbo Chiuso” minimamente invasiva Paracentesi in cornea chiara Rispetto della congiuntiva (importante per occhi con chirurgia filtrante) Maggiore stabilità della camera anteriore Minimo rischio per endoftalmiti Longevità delle suture maggiore rispetto alla fissazione sclerale Tabella 1.
Complicanze Uno studio eseguito da Guttman nel 200915 ha evidenziato un tasso di complicanze post-operatorie che varia dall’1 all’8% (follow-up medio di 8 mesi). In 144 occhi operati, l’8% presentava un aumento transitorio della IOP, l’1% un edema maculare cistoide, l’1% una cheratopatia bollosa, l’1% emorragia iridea e il 7% una ridislocazione. L’infiammazione cronica dell’iride è un’altra possibile complicanza che si verifica in due casi: per un’erronea localizzazione delle suture nella parte mobile dell’iride oppure per una eccessiva tensione delle suture19. L’irido dialisi, è un evento raro, che si può veri ficare per una manipolazione erronea della radice dell’iride20. 46
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Dott. Scipione Rossi Autore di UOC Microchirurgia Oculare riferimento Ospedale San Carlo - IDI, Roma Tel. 06 396706390 s.rossi@idi.it
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Riccardo Sciacca Vincenzo Recupero Giuseppe Scalia
Gli autori dichiarano che le immagini che compaiono nell’articolo sono originali, dichiarano inoltre di non avere alcun interesse commerciale nei prodotti menzionati nell’articolo
Tecniche di impianto a sospensione sclerale
S
ono molteplici le cause di perdita di supporto capsulare e/o zonulare: traumi (contusivi o perforanti) e complicazioni chirurgiche sono gli eventi più frequenti; le cause congenite sono rappresentate principalmente dalle sindromi di Marfan e di Weill-Marchesani, entrambe predisponenti l’ectopia lentis. Altre cause possono essere: uveiti croniche, miopia elevata, permanenza di olio di silicone in camera vitrea per lunghi periodi ed infine cataratte ipermature e pseudoesfoliatio lentis, condizioni queste, che possono complicare la chirurgia della cataratta determinando la perdita del supporto capsulare/zonulare. Se ci troviamo di fronte ad un cristallino con un’importante sublussazione possiamo optare per una facoemulsificazione o un’estrazione extracapsulare con l’ausilio di un anello di tensione capsulare o, in alternativa, procedere direttamente con una lensectomia via pars plana programmando, sin dall’inizio, l’impianto di una IOL a sospensione sclerale3. In caso giunga invece alla nostra osservazione un paziente con residui di materiale lenticolare o con l’intero nucleo lussato in camera vitrea in assenza di supporto capsulare, andrà innanzitutto eseguita una vitrectomia via pars plana, seguita da facoframmentazione in camera vitrea o facoestrazione per via limbare con accurata pulizia dei frammenti di cristallino. Il più delle volte tali manovre sono rese più agevoli dall’impiego di perfluorocarbonati (PFCL) che esercitano un’“azione cuscinetto” sul polo posteriore4,5,6. Nei casi di lussazione della IOL in camera anteriore o posteriore innanzitutto si renderà necessario l’espianto della lente. Dopo la peritomia congiuntivale, verrà realizzata un’apertura corneale di dimensioni
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tali da consentire l’asportazione della IOL, che verrà espiantata con estrema cautela solo dopo essersi assicurati di aver rimosso eventuali aderenze con il corpo vitreo. Non vi è accordo su quale sia il tipo di impianto da preferire nei casi di mancanza di supporto capsulare. Le opzioni chirurgiche a nostra disposizione sono rappresentate da un impianto in camera anteriore, dall’utilizzo di lenti intraoculari a enclavazione iridea e dall’impianto a sospensione sclerale. Prima di procedere con le suddette tecniche è indispensabile assicurarsi che il campo pupillare sia libero dalla presenza di vitreo ed evitare che fibrille dello stesso possano impegnarsi nell’apertura limbare. In tal caso si eseguirà un’accurata vitrectomia anteriore, aiutati magari dal triamcinolone per meglio evidenziare la presenza di vitreo. Si può quindi far seguire l’immissione di una bolla d’aria in camera anteriore a scopo diagnostico, per accertarsi dell’avvenuta bonifica dai residui vitreali. Tale procedura ridurrà drasticamente il rischio di decentramento della IOL e/o della pupilla e le complicanze più temibili quali l’edema maculare cistoide e il distacco di retina. La tecnica da noi preferita è l’impianto di IOL a fissazione sclerale. Questa metodica è stata introdotta da Malbran verso la fine degli anni ’80 per l’impianto di IOL in pazienti precedentemente sottoposti ad estrazione intracapsulare del critallino7,8. L’impianto a fissazione sclerale prevede l’ancoraggio delle loop della IOL alla sclera al di sotto di due sportelli base limbus creati a ore 3 e 9 (raramente è preferibile l’ancoraggio a ore 6 e 12) con l’ausilio di fili di sutura in prolene 10/0 (polipropilene non riassorbibile) ad ansa o doppiamente armati con un ago lungo retto o ricurvo. La funzione degli sportelli è consentire la sepoltura del nodo di fissazione della loop. I vantaggi di questo tipo di impianto derivano dal posizionamento della lente in camera posteriore riducendo, in tal modo, il rischio di complicanze legate ad un impianto in camera anteriore (progressiva deplezione di cellule endoteliali, sinechie con conseguente deformazione pupillare, ipertono, stati flogistici cronici)1. Si può scegliere di procedere ad un impianto a fissazione sclerale primario o secondario. Quest’ultima opzione risulta preferibile in alcuni casi per ridurre il rischio di complicanze correlato anche al notevole allungamento dei tempi chirurgici, inevitabile qualora si scelga di procedere in un unico tempo9. Sono disponibili in commercio diversi modelli di lenti intraoculari da fissazione sclerale, la particolarità di queste IOL è la presenza di occhielli alle estremità delle due loop tali da consentire l’ancoraggio del filo di sutura in prolene alla lentina stessa. Negli ultimi anni sono state immesse sul mercato anche IOL da fissazione sclerale pieghevoli, l’utilizzo delle quali richiede, naturalmente, un taglio corneale meno ampio rispetto alle lentine rigide in PMMA10. Nel caso in cui ci dovessimo trovare nell’impossibilità di reperire una IOL dedicata per sospensione sclerale è possibile, seppur non routinariamente, utilizzare una IOL da sacco capsulare con anse in materiale acrilico e con lunghezza totale di SPECIALE LA VOCE AICCER
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almeno 12,5 mm. Avvicinando, senza determinare contatto diretto, un diatermo monouso monopolare all’estremità distale delle loop, si ottiene un piccolo ispessimento di queste ultime che servirà a evitare lo scivolamento del nodo della sutura in prolene dall’ansa. L’impianto a sospensione sclerale è soggetto a diverse metodiche di esecuzione in base alle scelte del chirurgo e numerosissime sono le varianti proposte dalla letteratura internazionale. Schematicamente presentiamo le 3 modalità più frequentemente utilizzate. Le prime fasi, comuni a tutte le tecniche di fissazione sclerale, prevedono una peritomia congiuntivale seguita dalla realizzazione dei 2 sportelli sclerali a ore 3 e 9.
Figura 1.
Tecnica ab externo con 2 fili in prolene singoli doppiamente armati con ago retto • Pretaglio sclerocorneale di circa 7mm • Passare l’ago retto a partire dal letto dello sportello, a circa 1,5 mm dal limbus, facendolo fuoriuscire dal limbus ad ore 12 (Figura 1) • Ripetere la procedura ad ore 3 • Ancoraggio del filo in prolene 10/0 all’occhiello dell’ansa della IOL • Apertura della camera anteriore, eventuale introduzione di bolla d’aria per meglio valutare la presenza di fibrille vitreali • Vitrectomia anteriore • Introduzione di sostanza viscoelastica in CA • Introduzione della IOL • Ancoraggio sclerale • Lavaggio della sostanza viscoelastica dalla camera anteriore • Sutura corneale e congiuntivale. Il vantaggio di tale tecnica risiede nella possibilità di eseguire le prime fasi dell’intervento a bulbo chiuso con un’agevole localizzazione del punto di ingresso che, situato ad 1,5 mm dal limbus, consente l’entrata dell’ago a livello del solco.
Figura 2.
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Tecnica ab externo con filo in prolene singolo doppiamente armato con ago retto • Pretaglio sclerocorneale • Introdurre l’ago retto a partire dal letto dello sportello e, utilizzando come guida un ago da insulina introdotto dallo sportello controlaterale, agevolare la fuoriuscita dell’ago dal sulcus (Figure 2 e 3)
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• Creare una paracentesi a livello del pretaglio, tale da consentire di tirar fuori un ansa del filo in prolene • Tagliare l’ansa di prolene e fissare i due capi agli occhielli delle anse della IOL • Allargare la paracentesi per tutta l’estensione dell’incisione • Introdurre la IOL dopo aver riempito la camera anteriore con sostanza viscoelastica • Ancoraggio sclerale • Lavaggio della sostanza viscoelastica dalla camera anteriore • Sutura corneale e congiuntivale Figura 3. La presenza di un bulbo infossato, ancor più complicato se in presenza di un naso prominente, oppure un diametro corneale ampio possono creare qualche difficoltà nell’eseguire questa tecnica, in particolar modo durante il rendez-vous tra l’ago da insulina e l’ago retto. Le tecniche ab externo hanno il vantaggio di consentire una sicura localizzazione del punto di ingresso e dunque un traumatismo minimo a carico della cornea e dei corpi ciliari, determinando così una riduzione del rischio intraoperatorio11.
Tecnica ab interno con 2 fili in prolene ad ansa armati con ago curvo lungo • Apposizione a cappio del filo in prolene 10/0 ad ansa alla loop della IOL • Apertura della camera anteriore, vitrectomia e introduzione di viscoelastico • Introdurre ab interno l’ago curvo al di sotto del piano irideo facendolo fuoriuscire dal letto dello sportello (Figura 4) • Ripetere la procedura controlateralmente • Introdurre la IOL • Apposizione di punto di ancoraggio sclerale previo taglio di un capo dell’ansa in prolene • Lavaggio della sostanza viscoelastica dalla camera anteriore • Sutura corneale e congiuntivale L’introduzione ab interno dell’ago curvo può generare qualche difficoltà nella corretta localizzazione del punto di uscita a livello del letto dello sportello sclerale, aumentando inoltre la possibilità di traumatismo dei corpi ciliari con conseguente rischio di sanguinamento. Inoltre il ricorso a questa tecnica impone di lavorare a camera aperta già dalle prime fasi dell’intervento. Un vantaggio è, tuttavia, rappresentato dal fatto che l’ago ricurvo è generalmente meno deformabile dell’ago retto. Le tecniche ab interno ed ab externo risultano sovrappo- Figura 4. SPECIALE LA VOCE AICCER
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nibili per quanto riguarda le percentuali di posizionamento post-operatorio delle IOL nel solco in base a quanto emerge da un recente studio con UBM12. Le complicanze principali dell’impianto di IOL a fissazione sclerale sono rappresentate da: edema maculare cistoide (complicanza più frequente, con un’incidenza tra il 5,8% ed il 10%), distacco di retina (incidenza tra l’1,4% ed il 4%), decentramento della IOL (incidenza tra l’1,9% ed il 4%), erosione delle suture, emovitreo (1% dei casi) e uveite (0,5% dei casi)13,14,15,16. Proprio la maggiore frequenza dell’edema maculare cistoide in questi pazienti suggerisce un attento studio pre- e post-operatorio della regione maculare avvalendosi anche di tecniche di diagnostica per immagini, quali la fluorangiografia e l’OCT16,17. Ad oggi non esiste consenso su quale sia il metodo di impianto ottimale in tutti i quei casi in cui il supporto capsulare e/o zonulare risulti insufficiente a consentire un impianto di IOL; possiamo però ritenere la fissazione sclerale una tecnica sicura che garantisce buoni risultati in termini di funzionalità visiva13,14,16,18.
Autore di Dott. Riccardo Sciacca riferimento A.S.P. Catania - Unità Operativa complessa di oculistica Acireale - Paternò (CT) Tel. 095 538874 riccardosciacca@tiscali.it
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Giorgio Tassinari Alessandro Mularoni Lillina Di Silvestre
Le immagini dell’articolo sono originali. Non vi sono interessi diretti da parte degli Autori nei prodotti che vengono presentati nell’articolo e con l’azienda produttrice
Gestione delle complicanze
I
l mantenimento del recupero visivo e di una buona qualità visiva dopo chirurgia della cataratta è legato al corretto posizionamento della IOL1. Pazienti che presentano decentramento, tilting o dislocazione della IOL lamentano disturbi visivi quali diplopia monoculare, annebbiamento e visione di aloni soprattutto serali. Inoltre, tali posizioni anomale della IOL, provocano gradi di aberrazione oculare che inficiano quantità e qualità della visione. Una IOL si definisce decentrata quando il centro dell’ottica è decentrato rispetto all’asse visivo del paziente. Decentramenti sintomatici sono quelli superiori a 1.0, 1.15 mm rispetto all’asse visivo2. Una IOL si definisce dislocata (Figura 1) quando si trova in una posizione differente rispetto alla sede di impianto (sacco-solco) e l’ottica non è più completamente presente nel campo pupillare. Una IOL si definisce tiltata quando il suo piano principale non è perpendicolare al piano irideo ma disallineata rispetto a questo. I decentramenti provocano principalmente astigmatismo, le dislocazioni diminuzioni importanti del visus e astigmatismo, il tilting disturbi del visus più lievi e comunque non correggibili con occhiali. Una visita preoperatoria mirata alla preparazione del paziente con alterata posizione della IOL deve comprendere oltre agli step standard della visita oculistica completa, anche: 1) La conta cellule endoteliali (si tratta di seconda, a volte terza chirurgia, in ogni caso di reintervento)
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2) Un esame ecografico e/o OCT del segmento anteriore per valutare: • Posizione della IOL (sacco-solco) • Presenza di residui capsulari. Quest’ultimo esame diventa indispensabile quando è difficile ottenere una buona midriasi. Una corretta valutazione biomicroscopica è indispensabile nella gestione del timing chirurgico per stabilire: 1) Il grado di sublussazione o lussazione della IOL 2) I rapporti IOL - sacco 3) L’integrità della IOL (apte danneggiate?) 4) L’integrità e la possibilità di conservazione del sacco Figura 1. Pre-operatorio: sublussazione IOL capsulare 5) La presenza di sinechie capsulo-lenticolari 6) I rapporti con il vitreo. La conservazione del sacco capsulare deve sempre essere tentata, quando possibile, per ovviare alle complicanze di rottura della barriera ematoretinica interna e all’erniazione vitreale in camera anteriore. La scelta delle tecniche di gestione delle complicanze legate alla sublussazione della IOL deve sempre considerare alcuni aspetti di ordine generale quali: • Età e condizioni generali del paziente • Terapie generali in atto (soprattutto anticoagulanti) Per il riposizionamento di una IOL dislocata, sono state descritte numerose tecniche chirurgiche fra cui: 1) Tecniche a bulbo chiuso3 2) Tecniche di impianto a fissazione iridea 3) Tecniche di impianto a fissazione sclerale4.
Complicanze delle tecniche a bulbo chiuso e loro gestione Durante l’esecuzione di queste tecniche, le IOL dislocate vengono fissate all’iride o alla sclera mediante l’utilizzo di punti di sutura in nylon o più spesso in prolene. L’insuccesso quindi è legato a: • Spostamento di una loop: in caso di lenti acriliche suturate all’iride (tecnica di McCannel) si può verificare la fuoriuscita dell’aptica dal nodo • Ovalizzazione e deformazione della pupilla • Lussazione della IOL in camera vitrea • Emorragie iridee. Trattamento: si gestiscono mediante tecniche di risutura a iride e sclera, all’asportazione della IOL e reimpianto a fis- Figura 2. Post-operatorio: impianto a fissazione iridea sazione iridea e sclerale (Figura 2). SPECIALE LA VOCE AICCER
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Gestione delle complicanze
Le tecniche di espianto di sacco e IOL dislocati ed eventuale sostituzione di IOL, sono solitamente più semplici e rapide rispetto a quelle di riposizionamento, ma presentano come principale svantaggio l’ampia apertura limbare richiesta per asportare la IOL con conseguente astigmatismo post-operatorio; inoltre espongono a un maggior rischio di prolasso vitreale ed emorragia coroideale.
Complicanze legate alle tecniche a fissazione iridea e loro gestione • Pseudofacodonesi: la lente è molto mobile, solitamente a causa dello scarso tessuto enclavato. Questo può provocare flogosi cronica e perdita delle cellule endoteliali. Trattamento: periodo di osservazione seguito da enclavazione di maggior quantità di tessuto se il quadro clinico peggiora. • Disenclavazione solitamente post-traumatica: una o entrambe le chele della lente possono sganciarsi dall’iride. La lente si disloca più frequentemente in camera anteriore, a volte posteriormente (Figura 3). Trattamento: nel caso di dislocazione in camera anteriore la lente può essere riposizionata mediante una nuova enclavazione, rinforzata a volte da suture iridee (Figura 4). In caso di dislocazione posteriore è necessario eseguire una vitrectomia, recuperare la lente ed eventualmente riposizionarla. • Atrofia settoriale dell’iride: nei punti in cui la lente è enclavata, piccoli cronici traumatismi associati ad alterazioni ischemiche possono determinare aree di atrofia iridea che predispongono a possibili sganciamenti delle chele. Trattamento: osservazione e in caso di dislocazione della lente, utilizzo di suture iridee per riposizionarla (Figura 5). Ovalizzazione pupillare: principalmente causata da tessuto enclavato troppo vicino al forame pupillare; solitamente asintomatica e stazionaria. Trattamento: si consiglia l’osservazione. • Edema maculare cistoide7. Trattamento: con terapia medica associata a Kenacort intravitreale. • Perdita di cellule endoteliali Trattamento: osservazione ed eventuale trapianto di cornea7.
Figura 3. Pre-operatorio: disenclavazione posttraumatica
Figura 4. Post-operatorio: rienclavazione
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Complicanze legate alle tecniche a fissazione sclerale e loro gestione La maggior percentuale di complicanze è legata a un posizionamento e tensionamento delle suture non
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appropriato e all’impiego di lenti prive di occhielli nelle anse7. Si possono individuare 3 gruppi di complicanze: • Alterata posizione dell’ottica della IOL che si può presentare dislocata posteriormente o in camera anteriore con conseguente decentramento e/o tilting Trattamento: se il quadro è sintomatico è opportuno agire sulle cause dell’anomala posizione mediante un riposizionamento della IOL; se l’iride è trofica si può considerare un nuovo impianto a fissazione iridea preceduto dall’asportazione della IOL a fissazio- Figura 5. Suture iridee. ne sclerale. • Errori della refrazione post-operatoria: una IOL posizionata troppo vicino o troppo distante dal piano irideo può determinare sorprese rifrattive nel postoperatorio. Trattamento: correzione del difetto visivo con occhiali, lenti a contatto e trattamenti di chirurgia rifrattiva. • Flogosi cronica per microtraumatismi a carico di iride e corpo ciliare: a questi si possono associare quadri di ipotono, ma anche ipertoni intrattabili. Microtraumi determinati dalle suture a carico della congiuntiva e della sclera possono essere causa di erosioni congiuntivali, infezioni ed endoftalmiti. Trattamento: queste complicanze solitamente richiedono l’espianto della IOL.
Dott. Giorgio Tassinari Ospedale Maggiore • Bologna Tel. 051 6478962 alessandro.mularoni@ausl.bologna.it
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Autore di riferimento
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