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120 anni di storia Brianzola: la Famiglia Colombo

Vittorino Colombo

Tina Colombo Marcello Menni

“...siamo in politica come cattolici e per affermare i valori del cattolicesimo democratico e non per altre ragioni...�

Tina Colombo

Marcello Menni

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Anche grazie a libri come questo si ha la forza per continuare lo sforzo per rendere più bella, più ricca e più a misura d’uomo la nostra Terra.

Carlo Tremolada

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Un ringraziamento particolare al Prof. Angelo Caloia e al Cav. Giuseppe Palmisano per i consigli e lo sprone per iniziare e finire questa opera sulla vita di una famiglia straordinaria.


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A tanti poi il ringraziamento della pazienza con cui hanno saputo consigliare e dirigere queste poche pagine: Don Giulio Giacometti, Antonio Airò, Clementina Barili, Carlo Bianchi, Luigi CantÚ, Elisabetta Cicigoi, Enrico Colzani, Stefano Ottina, Gilberto Perego, Carlo Tremolada


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Sommario

La Brianza e le sue radici: uomini pii e devozioni

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L’impegno sociale e politico dei cattolici in tempi difficili: Aquilino Colombo

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Due Vocazioni a confronto: Giuseppe e Vittorino Colombo

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Albiate e dintorni: la comunità e gli amici di Vittorino

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Così lontano, così vicino: i fratelli Colombo in missione per il mondo

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Una famiglia, una terra, tante lezioni

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Appendice

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Introduzione

Ogni mese di Agosto, con passo lento e con lo sguardo ai faggi secolari del parco, quasi ad assimilarne la placidità, Vittorino Colombo passeggiava nei pressi di Villa Campello, sede del municipio di Albiate. Qui in paese lo ricordiamo anche così. Intento a respirare quell’aria buona e fresca e ristoratrice della sua Brianza, dopo un anno di lavoro speso al servizio dell’amministrazione di un Ministero, dopo le fatiche della politica. Aveva attenzioni ed una parola per tutti e tutti lo salutavano da vecchi amici ed i cittadini lo seguivano con stima. E ricordiamo con ammirazione ed affetto la riservatezza, pronta ad aprirsi al più comprensivo sorriso, di Don Pino Colombo, che lasciava intravedere una profonda dedizione allo studio ed alla riflessione teologica.

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La vicenda familiare dei Colombo è stata disegnata dai favori della Provvidenza. Non è facile trovare, in due sole generazioni, una tale dovizia di intelletto, di Fede, di perseveranza nel lavoro e costanza nella modestia. Sarebbe troppo azzardato affermare che la terra di Brianza, o più precisamente il sole di Albiate, abbiano determinato una tale favorevole successione di eventi e di circostanze che hanno prodotto splendidi frutti per la Nazione, per la Teologia e per l’imprenditoria; di certo la nostra comunità è onorata di avere avuto la possibilità di veder nascere e crescere i talenti di Aquilino, Pino, Vittorino e Tina Colombo. Nel testo si narrano le vicende storiche della Brianza di fine Ottocento e degli anni più belli del secolo scorso, in quelle vicende si inseriscono gli intrecci della vita della famiglia Colombo e si percorrono, con notizie inedite, le tappe di intelligenze che pensarono pioneristicamente alla Cina di quel tempo ed ai suoi rapporti con il mondo e l’Europa, alla costituzione di una Provincia di Brianza, alla più alta scienza teologica e alla vicinanza spirituale con i Sommi pontefici del tempo.

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Un grande ringraziamento a Tina Colombo che ha raccolto dall’intimo degli affetti la memoria dei fatti e delle circostanze ed agli autori che con la loro chiarezza rendono percepibile il senso di vite complesse, rigogliose e laboriose quale esempio per tutti coloro che ricercano testimonianze di impegno al servizio delle persone e della ragione, nel nome della Fede. Filippo Viganò Sindaco di Albiate

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Prefazione

Siamo cresciuti ed abbiamo lavorato sulle sponde del Lambro: la nostra professione e il nostro impegno ci ha portato spesso lontano ma si può dire che io e i Signori Colombo siamo stati nutriti dalla stessa terra, dagli stessi valori, dalle stesse emozioni. Io più giovane dei tre fratelli, ho condiviso le gioie e le fatiche con loro delle grandi trasformazioni di un territorio che ha saputo diventare uno dei centri economicamente più vitali del nostro Paese. Il volume “La Famiglia Colombo - 120 anni di storia brianzola”, che esce in un anno come il 2008 carico di ricorrenze importanti per i Signori Colombo - il 25’ anniversario della nomina di Vittorino a Presidente del Senato e della morte della signora Silvia, il 60’° anniversario dell’ordinazione sacerdotale di Don Pino - , ricostruisce la storia di una famiglia a cui tanti sono ancora vicini nell’affetto e nel ricordo. Il 2008 è legato anche a una ricorrenza importante per la Banca di Credito Cooperativo di Triuggio, da quest’anno significativamente BCC della Valle 17


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del Lambro: proprio trent’anni fa veniva inaugurata la nuova sede di Triuggio, a cui ne sono seguite 12, di cui una appena inaugurata. A quell’inaugurazione significativamente era presente il Senatore Vittorino Colombo, che ha sempre sostenuto e appoggiato l’attività cooperativa, con l’amicizia e l’affetto di chi sa che era cosa sua, della sua gente. Suo padre Aquilino era stato uno dei fondatori del cooperativismo bianco della Brianza - con le sue floride cooperative di consumo, le leghe cattoliche e le prime esperienze di “finanza bianca” come la BCC di Carate Brianza tanto voluta da Don Costante Mattavelli - e aveva certo avuto modo di conoscere e apprezzare il lavoro di Don Pietro Meroni, che può essere considerato fra i più importanti ispiratori della nostra realtà. E certo Vittorino non dimenticò mai l’importanza di istituzioni che concretamente aiutassero la vita dei suoi concittadini, magari più deboli o in difficoltà. Se Don Pino, la cui riservatezza e bonomia appena tradivano la sua sconfinata cultura e profondità intellettuale, è il tipico esempio di sacerdote della nostra terra, che nelle opere o in cattedra dà il meglio di sé per lo sforzo tenace e la ferrea volontà di dare aiuto al proprio popolo e alla propria 18


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Chiesa, Vittorino Colombo ci ha lasciato la testimonianza di un impegno straordinario di politico attento alla società. Ma nel suo impegno non era distaccato, sfuggente, vago: era invece concreto, corretto, animato da vera amicizia e simpatia per chi gli si avvicinava e gli tendeva la mano. Chi gli ha voluto bene e della sua amicizia è stato onorato, ama ricordarlo sorridente come nelle belle fotografie che accompagnano questo testo. Da ultimo un ringraziamento doveroso va alla signorina Tina Colombo, che in questo libro ha saputo riversare alcuni dei suoi ricordi più belli, come nessun altro avrebbe mai potuto fare, con l’affetto di sorella e figlia ammirata e dedita al ricordo lucido e affettuoso, anche come Presidente Onorario della Fondazione Vittorino Colombo, dei suoi cari. Anche grazie a libri come questo si ha la forza nel ricordare un passato magari difficile, faticoso, ma certo pieno di lezioni per il futuro - per continuare lo sforzo per rendere più bella, più ricca e più a misura d’uomo la nostra Terra. Carlo Tremolada Presidente BCC della Valle del Lambro 19


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Capitolo 1

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La Brianza La Brianza - presto provincia a tutti gli effetti - è oggi sinonimo di ricchezza e operosità, di piccole fabbriche e abili imprenditori che talvolta hanno fatto fortuna e aperto aziende in tutto il mondo: Fumagalli Romario, Valli, Caprotti sono nomi noti ormai al grande pubblico, e non solo per il proprio impegno aziendale. Spesso si dimenticano, però, le radici profonde di una terra che in pochi decenni ha cambiato notevolmente la sua fisionomia geografica e la sua composizione sociale. Ancora negli anni ’60, quando già da quasi un secolo fiorivano le opulente filande - i setifici e i cotonifici - che insieme ai mobilifici sono a lungo stati il biglietto da visita di quella terra, la Brianza era considerata una terra povera ma accogliente, una profonda campagna nel cuore della Lombardia. Per i milanesi era un buen retiro, come nel Settecento e nell’Ottocento, un luogo dove sfuggire al caldo e all’afa estiva della città fra le col22


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line verdi della valle del Lambro e del Seveso.

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Una terra umile, ma bellissima e da sempre celebrata come un piccolo meraviglioso microcosmo e non solo in Italia. Il grande Stendhal, l’aveva eletta a proprio luogo ideale, magnificando così un suo viaggio fra la valle del Lambro e il lago di Pusiano: “La Brianza è il paese più delizioso di tutta l’Italia, per la placidezza dei suoi fiumi, per la moltitudine dei suoi laghi, ed offre il rezzo dei boschi, la verdura dei prati, il mormorio delle acque, e quella felice stravaganza che mette la natura né suoi assortimenti”.

La Brianza e le sue radici: uomini pii e devozione

Ma più ancora la Brianza era uno dei cuori pulsanti del cattolicesimo ambrosiano. Non c’è plaga della grande diocesi lombarda che abbia dato più vocazioni sacerdotali e religiose, che abbia fatto fiorire un laicato più convinto e una rete associativa più solida di quella brianzola.

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Grandi personaggi e grandi cattolici, quindi. Un nome su tutti, quello di Papa Pio XI, che tanto ha dato alla Chiesa italiana. Il padre di Achille Ratti, Francesco, era di Desio, e fu attivo quale direttore in vari stabilimenti per la lavorazione della seta, comunicando ai cinque figli la concretezza, il realismo e l’importanza del lavoro. Il Ratti non dimenticò la lezione né la sua terrà, dedicandosi con grande passione prima come Dottore (1888) poi come Prefetto (1907) della Veneranda Biblioteca Ambrosiana allo studio di Carlo Borromeo - che ebbe nella Brianza (come diremo in seguito) uno dei suoi luoghi di elezione - pubblicando la monumentale Acta Ecclesiae Mediolanensi, ancor oggi uno dei maggiori contributi per la comprensione della complessa e ricca figura del Santo. Ed adoperandosi, come confidente e amico di alcune famiglie illustri i Cornaggia, i Borromeo, i Melzi - della Milano a cavallo fra il XIX e il XX secolo, a stemperare non poche tensioni sociali, fra cui quelle terribili del 1898, inau24


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gurando così la vocazione di una Chiesa attenta alla società e alle sue dinamiche, anche politiche, e che sia il suo papato che la Diocesi di Milano erediteranno.

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A Pio XI si affiancano tante vocazioni eclatanti come quella del Beato Luigi Talamoni o del servo di Dio Luigi Monti o del Card. Dionigi Tettamanzi. Ma anche quelle poco note - quanto fondamentali per la storia di questa gente. Molte sono nate nelle case del PIME, del Betharramiti, dei Concezionisti (molto amati e favoriti dall’Arcivescovo Achille Ratti), dei Barnabiti, punti di riferimento importanti ed umili, vero humus in cui la fede di un popolo è cresciuta e si è corroborata. Ma anche in luoghi simbolicamente fondamentali. Uno fra tutti Villa S. Cuore di Triuggio - un nome che ritornerà in questa storia - in antico Zuccone [collina] San Giovanni, centro si spiritualità e di riflessione fin dal ’500, quando l’ultimo erede del patrimonio dei nobili Morigia, Giacomo Antonio, la lascerà all’ordine 25


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dei Chierici Regolari di S. Paolo, comunemente noti come Barnabiti. Morigia, vescovo di S. Miniato prima, di Firenze e Pavia poi e Cardinale di Santa Romana Chiesa, fu un teologo e un filosofo molto stimato. Insofferente ai condizionamenti dei sovrani temporali - e del Granduca di Toscana in particolare - preferì ritirarsi in Lombardia piuttosto che subire i pesanti “dazi” che gli venivano imposti. Spirito libero, quindi come Sant’Antonio Maria Zaccaria, uno dei santi più amati dai milanesi, insieme a lui fondatore dei Chierici regolari. Ordine questo tutto dedito al sapere e alla formazione in un tempo in cui la Chiesa, sotto l’attacco di Lutero e di Calvino, è percorsa da molti mali: pastori miopi, ignoranza religiosa, fede di superficie. Sant’Antonio Zaccaria combatte tutto questo, denuncia, mobilita, porta la parola di Dio alle persone e negli ambienti più diversi, sorprende, ravviva la fede in 26


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molti; e viene persino denunciato, come eretico e come ribelle. Ma i due processi si concluderanno con due trionfali assoluzioni e con un motto “Correre verso Dio e verso gli altri”, atteggiamento tanto caro a questa “Brianza bianca”, sempre attiva e in fermento. Capitolo 1

La Brianza e le sue radici: uomini pii e devozione

Villa S. Cuore era la casa di preghiera, di studio e anche di riposo dei Religiosi che amavano prepararsi proprio qui nella loro opera missionaria di evangelizzazione delle campagne. Lo splendido paesaggio, un poggio che da sulla Brianza e che apre il cuore, la tranquillità del luogo e la salubrità dell’aria, l’hanno fatta diventare per secoli un ritrovo per tanti protagonisti della storia religiosa - e non solo - della Brianza: San Carlo Borromeo, ad esempio, che amava rifugiarsi nei pochi momenti di riposo dalle sue lunghe visite pastorali. O Sant’Alessandro Sauli figlio del Senatore di Milano confessore di San Carlo e di Niccolò Sfondrati, poi Papa Gregorio XIV. 27


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Questa Casa ospitò anche il Segretario del Borromeo, il Venerabile Carlo Bascapè il quale prima di diventare Vescovo di Novara proprio in questa Casa scrisse la vita del San Carlo: “Qui sono venuto oggi per ridurmi a Zuccone san Giovanni a scrivere la vita del Santo Cardinale, non potendo se non altrove…”. Così si legge in una sua lettera. Bastano questi nomi per fare di questo luogo uno dei veri centri - anche se negletto - della Controriforma in Italia, inaugurando un periodo di fervore religioso e di riflessioni fra i più importanti per la Chiesa e a cui la Brianza deve tanto. Vi soggiornò pure il Venerabile Cosimo Dossena che aveva combattuto accanto a di Ottavio Gonzaga e al Gran Duca d’Austria contro i Turchi a Lepanto, di cui certo si ricorderà Achille Ratti quando, nominato Nunzio Apostolico in Polonia, chiederà gli venga affidato la dignità arcivescovile con il titolo in partibus infidelium di Lepanto. 28


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Dossena si fece poi Barnabita, divenne Generale dell’Ordine e Vescovo di Tortona.

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Anche Giuseppe Parini veniva spesso a Zuccone a riverire i suoi antichi maestri. Infatti fu iniziato alle belle lettera proprio dai padri Barnabiti. E pure il Manzoni, prima allievo dei Somaschi e poi dei Barnabiti, giovanissimo, vi fece qualche passaggio sulla strada per la sua villa di Lecco. Poi le requisizioni napoleoniche faranno calare il silenzio e la rovina su questi luoghi: venne persino impiantato un allevamento di bachi da seta e una filanda.

La Brianza e le sue radici: uomini pii e devozione

Solo il 3 febbraio 1917 la Compagnia di Gesù con Padre Beretta di Sirone, riscatta la Casa. Dopo anni di paziente restauro il 4 giugno 1922 viene inaugurata e chiamata “Villa Sacro Cuore” giacché in quella occasione fu posta la statua del Sacro Cuore, alta 5 metri, sulla torretta della casa.

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Fu proprio in quegli anni che iniziarono le pie visite e i ritiri e gli esercizi spirituali di tanti uomini e donne della Diocesi - che la acquisirà nel 1987 e la farà, con le parole del card. Martini, “un luogo nel quale accogliere il popolo di Dio per accostarlo alla Parola del Signore, per fargli gustare, per insegnargli a leggere la propria vita nella Sua Luce” - alla Villa. Fra di essi molti di Albiate, una piccolo borgo, fra i più piccoli della Brianza, ma le cui storie saranno centrali nel nostro libro. Una famiglia albiatese, che molto ebbe a che fare con la Villa, ci interessa in particolare: i Colombo.

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Albiate Albiate, ora come alla fine dell’Ottocento, era una piccola cittadina di poche migliaia di abitanti a cavallo delle due sponde del fiume Lambro. Il fiume in questa zona ha scavato nei millenni un solco profondo contribuendo, così, a dare al territorio la caratteristica e suggestiva forma di una valle bordata di magnifici e secolari alberi secolari. Il fiume non ha segnato solo la geografia ma pure il tessuto economico dello zona: sfruttando la forza del fiume erano nati numerose filande - di seta prima e di cotone poi - che occupavano una abbondante manodopera e davano alla zona anche nell’Ottocento - un sapore di piccola isola industriale in mezzo alle sterminate - e occorre dirlo sovrappopolate e povere - campagne brianzole. A cavallo della II guerra mondiale - un quadro non molto dissimile all’inizio del secolo le tessiture erano molto più numerose delle cascine: per le prime le più famose e organizzate Bernardo Caprotti SA, la filatura di Albiate, la filatura Lino 31


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Canapa al Lambro, la Standartex e le più piccole - dal nome dei proprietari - Gatti Abele, Alessandro, Carlo e figli, Emilio, e Giuseppe Tettamanzi; per le seconde le Cascine Canzi, Dosso, Fornacetta, Malpensata, Manzoli, Marianna e Pressosa. Un dato interessante è che all’inizio del ’900 agiva una Lega Cattolica del Lavoro, una istituzione antesignana del sindacato i cui membri erano 380 operai e 125 contadini, quasi a significare una maggiore presenza di manodopera industriale in un’Italia pur ancora prevalentemente agricola. Un contesto così particolare ha da subito portato ad un fermento sociale, amministrativo e religioso. La fine di una società contadina e patriarcale in cui i figli restavano nella grande famiglia allargata della cascina, aveva portato nuovi e pressanti problemi: l’individuazione di luoghi per la cura e l’educazione dei figli fuori dalle mura domestiche, la creazione di scuole di formazione che venissero incontro ai bisogni delle fabbri32


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che, la costruzione di occasioni di socializzazione, svago, ma anche di formazione spirituale in un contesto, come quello industriale, che implicava nuove situazioni, come l’emancipazione femminile, il deterioramento della famiglia allargata, la nascita di una riflessione sui propri diritti sociali e sul lavoro. I sacerdoti e i numerosi religiosi sul territorio albiatese non sono insensibili a questi - per certi versi - turbinosi mutamenti sociali, ed anzi diventano i più attivi promotori di nuove opere.

La Brianza e le sue radici: uomini pii e devozione

Tre sacerdoti, in particolare, furono fra i più attivi, con i loro coadiutori, in molte delle più significative opere di Albiate: Don Carlo Martinelli, Don Felice Milanese, Mons. Giuseppe Sala. I tre parroci che per quasi 100 anni (dal 1896 al 1993) ressero le sorti della comunità. Don Martinelli inaugurerà la nuova Chiesa parrocchiale nel 1903 e l’oratorio maschile nel 1911, e il suo collaboratore Don Edoardo Bonzi - che rimase ad 33


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Albiate fino al 1923 per poi essere rimosso in odore di “modernismo” per le sue posizioni sociali e politiche d’avanguardia - fu il fondatore e primo segretario della sezione albiatese del Partito Popolare e fra i fondatori della prima cooperativa di consumo fra Albiate e Triuggio. Sotto il dottissimo Don Milanese - autore fra l’altro della prima storia di Albiate - si inaugurò - per l’interessamento di don Giuseppe Sala - nel 1944 la prima scuola serale professionale, di cui fu per anni direttore il prof. Aldo Zelioli. Ma anche ai religiosi si devono opere importantissime: se alle suore Ancelle della Carità di Brescia, ad Albiate dal 1900, si deve la fondazione dell’asilo e a lungo la cura delle opere femminili (oratorio e catechismo), dal 1899 le suore figlie di S. Eusebio si sono concentrate sulla cura e la pastorale dei poveri e degli infermi.

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Da ultima la comunità dei Betharramiti presente dal 1947 che a lungo ebbe ad Albiate il Seminario Maggiore per l’Italia, ma che si specializzò negli anni come casa d’accoglienza per il mondo cattolico organizzato della Diocesi (aclisti, ai democristiani, ai ciellini…), diventando un centro molto importante per la formazione spirituale e culturale, specialmente dei giovani. Senza questa lunga premessa sarebbe del tutto incomprensibile una storia sulla famiglia Colombo, una famiglia albiatese fortemente radicata nella realtà sociale, culturale e religiosa del suo territorio.

La Brianza e le sue radici: uomini pii e devozione

Le pagine che seguono solo il racconto - incompleto e frammentario - ma il più possibile fedele della vita di Aquilino, Sindaco di Albiate, di sua moglie Silvia e dei loro figli Don Giuseppe, Vittorino e Ernestina.

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Ci sono personaggi della storia della Brianza che hanno lasciato un segno profondo, anche se sono oggi poco ricordati, per la loro eredità prima di tutto spirituale e morale. Nel 1890 nasce ad Albiate Aquilino Colombo: la sua famiglia è modesta, come ricorda Don Felice Milanese, ma assai dignitosa. Aquilino è intelligente e operoso: se ne accorge Don Bonzi all’Oratorio maschile che si tiene ancora sulla piazza di S. Fermo, non essendo ancora costruito l’Oratorio del 1911. Lo sprona così a continuare gli studi, per quel poco che era possibile allora, a conseguire “la sesta”: un vero traguardo. E poi a cercare un lavoro a Milano, come impiegato. Il Colombo ha fortuna: proprio nella città Ambrosiana diventa impiegato. Negli anni ’20 la sua vita famigliare e lavorativa ha due importante svolte: conosce la moglie Silvia, milanese ma di origine albiatese, che sposerà nel 1921; trova, inoltre, impiego in una azienda tessile del 38


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gruppo francese Textilose e ben presto ne diventa direttore. Proprio in quegli anni Aquilino allaccia una profonda amicizia con l’ing, Allocchio, un personaggio di cui vale la pena di raccontare qualcosa.

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L’impegno sociale e politico dei cattolici in tempi difficili: Aquilino Colombo

L’amico del Colombo era un giovane industriale a capo di una nuova e innovativa azienda, la Allocchio Bacchini, che fondata nel primo dopoguerra, diventa ben presto uno dei più bei nomi della industria manifatturiera italiana. Gli ingegneri Antonio Allocchio e Cesare Bacchini si interessarono, a modello di quanto stava succedendo nel Regno Unito (prime trasmissioni nel 1919 e nascita della BBC nel 1921) e negli Stati Uniti (prima radio, la 8MK di Detroit, nel 1920), cominciarono progettare ricevitori radiofonici di buon design e grande qualità. Nel 1924 Costanzo Ciano, ministro delle poste nel primo governo Mussolini, intuendo l’enorme potenzialità della radio, favorì con diversi provvedimenti legislativi la nascita della prima emittente italiana: l’Unione Radiofonica Italiana. 39


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L’URI esordì il 6 ottobre 1924, in una sala in Via Maria Cristina a Roma, con un annuncio letto in diretta da Ines Viviani Donarelli. Fu poi trasmessa un quartetto d’archi di Haydn e, infine, la prima trasmissione si concluse con il bollettino meteorologico, la borsa e le notizie. Con una buona dose di inventiva e coraggio i due ingegneri lanciarono una linea di ricevitori radiofonici di altissima qualità e prestigio come il modello Radioalba R82 e il Mod.53. Per i primi anni fu una produzione di nicchia: l’alto costo degli apparecchi - circa 3.000 lire quando il reddito medio annuo non superava le 1.000 lire - ne limitava l’uso alle famiglie più abbienti e a un anno dalla prima trasmissione, si contavano in tutto il territorio nazionale solo 26.855 utenti. Aquilino era un impiegato coscienzioso: partiva ogni mattina facendosi accompagnare con un biroccio alla stazione di Triuggio sulla linea Milano - Molteno e 40


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arrivava puntuale con il treno e un viaggio in tram. Ed un uomo curioso delle cose del mondo, della politica e della società: si ricorda come uno dei pochissimi lettori di Albiate del “Corriere della sera”, nel periodo dell’antifascista e grande liberale Senatore Albertini a cui era abbonato. Una lettura che faceva nascere lunghe - ma bonarie - discussioni con il parroco fedele abbonato de “L’Osservatore romano”. Dell’Ing. Allocchio, suoamico , era diventato anche uomo di fiducia, tanto che quando la famiglia si trovò pochi anni dopo in difficoltà quest’ultimo non esito ad intervenire. Ma non dimenticò nemmeno la sua “piccola patria” albiatese. Proprio a cavallo della Grande guerra il mondo sociale di matrice cattolica era in profondo fermento: la fine dell’Opera dei Congressi (1904), il progressivo attenuarsi del non expedit, il radicarsi della coscienza di una dottrina sociale della Chiesa di straordinaria modernità e l’affacciarsi sulla scena di alcuni personaggi che domineranno la scena italiana per 41


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lunghi anni per statura e dirittura morale, avevano profondamente incendiato i cuori dei giovani brianzoli. Non fu un caso che proprio negli anni della prima maturità del Colombo cominciò ad agire nel territorio brianzolo uno dei più emblematici personaggi della storia del movimento sociale italiano: Achille Grandi. Costui - che molti anni dopo sarebbe divenuto uomo di punta del sindacato cattolico e delle ACLI nonché punto di riferimento ideale e non solo per Vittorino Colombo - si impegnò sia nella Direzione delle Opere Cattoliche di Como, città dove era nato, sia nella Lega Cattolica del Lavoro di Monza. Proprio a sua profonda conoscenza del territorio e della sua gente lo porterà a diventare vice presidente del Sindacato Italiano Tessile (SIT), che aveva contribuito a far nascere nel 1908. Da questo momento comincerà la sua esperienza sindacale che lo porterà nel 1918 alla presidenza del SIT e nell’esecutivo nella Confederazione Italiana dei Lavoratori (CIL), la neonata organizzazione sindaca42


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le cattolica, guidata dal Presidente Giovanni Gronchi fino al 1922. Grandi guiderà la CIL 1922 al 1926, che raggiungerà quasi due milioni di iscritti. Nel 1919 fu tra i fondatori del Partito Popolare e fu eletto Deputato nelle sue liste nella provincia di Como. Capitolo 2

L’impegno sociale e politico dei cattolici in tempi difficili: Aquilino Colombo

Aquilino Colombo incontrò più volte Achille Grandi: come Presidente e animatore di diverse cooperative della zona fra cui quella di consumo - fondamentale per gli operai degli opifici di Albiate - quella edilizia, che contribuì a cambiare il volto anche urbanistico del piccolo borgo brianzolo e quello dei coltivatori diretti la “Concordia”, e uno degli interlocutori più importanti sul territorio. E - anche se non è rimasta documentazione a proposito - quegli incontri si saranno certamente tenuti nella Casa del Popolo - il primo vero punto di aggregazione non ecclesiale della cittadina - tanto fortemente voluto da Don Bonzi e da Aquilino. Aderì subito al Partito Popolare di Sturzo, all’inizio del 1919 e che incontrò 43


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più volte, ne fondò la Sezione albiatese e la guidò allo schiacciante successo elettorale delle elezioni politiche del 16 novembre dello stesso anno: i popolari ottennero 442, più del doppio di socialisti (135) liberali (38) e combattenti (18). L’anno dopo in autunno Aquilino si candidò e venne eletto sindaco quasi plebiscitariamente: lui, i suoi amici, la fitta rete del mondo cattolico della zona, erano l’unica scelta seria in un periodo di grande confusione e di incertezze. Il Colombo si comportò subito con risolutezza ed energia, risolvendo alcuni problemi importanti come quello della viabilità e mettendo mano alla riorganizzazione dei servizi sociali. Ma soprattutto diede un forte impulso alle opere di formazione: la scuola popolare per gli analfabeti, l’aiuto a quei pochi che volevano e potevano studiare… Per questo ancora Don Milanese lo ricorda nei suoi scritti di storia albiatese “… lasciò non meno dei suoi predecessori un’orma profonda del suo passaggio; la tomba di lui è ancora oggi oggetto di venerazione”. 44


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Capitolo 2

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Ma fra il ’22 e ’23 le città e le campagne d’Italia cominciarono a diventare luogo di scorribanda di squadracce fasciste, che sotto la scusa di portare ordine, seminavano terrore e intimidazioni. La Brianza non fu indenne da questa situazione: il 12 luglio fu devastata la sede della Casa del Popolo di Albiate. Suo malgrado Aquilino si dimise e concentrò tutte le sue energie nell’attività delle “sue cooperative”. Non mancò, di partecipare ad una isolata rivincita sui fascisti: alle politiche del 1924 il Blocco nazionale di Mussolini che aveva ottenuto a livello nazionale uno schiacciante 66,8% mettendo le premesse per il Ventennio della dittatura - in Brianza non andò oltre il 16,8%: i Popolari avevano vinto la loro ultima battaglia. Un frase del figlio Vittorino del 1981, in occasione della dedicazione della locale sede della Democrazia Cristiana, ci consente di capire meglio questo personaggio e la sua eredità: “Egli fu cristiano e credette; egli fu cittadino ed agì”. 45


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In effetti il suo più forte insegnamento trasmesso ai figli - che erano felicemente nati nella prima metà degli anni ’20 (Ernestina nel 1922, Giuseppe nel 1923 e Vittorino nel 1925), fu proprio questo: vivere seriamente impegnati nel lavoro, nel sociale o nella politica sotto la luce di una Fede non di facciata ma di sostanza “la fede che senza le opere è vana” ricorda il figlio. E questo - sempre nelle parole di Vittorino - con uno sguardo antesignano “di uno stile umano che poi si sarebbe chiamato “umanesimo integrale” tutto rivolto “all’attuazione dei comandamenti evangelici della carità e della giustizia”. La famiglia Colombo era una famiglia brianzola serena e operosa: la moglie Silvia Caspani era una buona spalla del marito, decisa e concreta, tutta dedita ai suoi tre figli e all’attività della Parrocchia, dell’Azione Cattolica, della Sagra di S. Fermo, che ancor oggi e l’orgoglio e il vanto di Albiate.

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In una rara fotografia li si vede sorridenti e felici, Aquilino con i suoi caratteristici baffi e con la sua aria dinoccolata ed elegante; e Silvia nella sua florida bellezza di ventenne insieme ai loro bimbi. Ma un lutto improvviso ed inaspettato sconvolge questa tranquillità: il 23 febbraio 1929 Aquilino muore. Tutto sembra crollare: la famiglia senza mezzi - sembra sul punto di disgregarsi. Silvia non si da per vinta: con il lutto ancora al braccio decide che deve lavorare, tenere unita la famiglia, garantire un futuro ai figli. Sa che la vita non sarà facile: nell’ottobre di quell’anno il crollo della borsa americana nel ormai tristemente noto martedì nero con un seguito di diminuzione dei prezzi, crolli in borsa, fallimenti e chiusura di industrie e banche, aumento di disoccupati, fatti che colpiranno quasi subito anche l’Italia. E sa che sarà ancora più difficile in Brianza: con coraggio decide di trasferirsi in città - a Milano - dove abitano ancora i suoi genitori e vende la sua casa ad Albiate. 47


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Chiede un lavoro all’ing. Allocchio, alla sua fabbrica e questi le trova pure una piccola casa nelle vicinanze. Silvia si rimbocca le maniche. Per molti anni, tornata dal lavoro, tiene la casa, segue i figli nei loro studi. A casa Colombo Silvia non fa mancare nulla: i soldi non sono molti ma ci tiene che tutti siano ben vestiti e che abbiano un titolo di studio: Tina - che è già avanti di un anno con gli studi - si iscrive alle Magistrali, Giuseppe fa il liceo classico al seminario e Vittorino si iscrive ad un istituto per periti chimici. I figli dei Colombo sono svegli ed educati: all’Oratorio della Parrocchia del S. Cuore di Gesù della Cagnola, dove sono di casa, si notano subito le loro doti. Vittorino è un capobanda, parla bene e per il suo grande senso di giustizia e del dovere è ben voluto da tutti; Giuseppe, per tutti Pino, è riflessivo ed intellettuale; Ernestina, Tina, è efficiente e una buona organizzatrice. 48


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Tutti eccellono negli studi e si diplomano a pieni voti. All’ombra dell’Azione Cattolica, l’unica istituzione laicale - pur con numerose limitazione e umiliazioni (come il sequestro delle bandiere del 1931) sopravvissuta libera dal regime costruiscono senso critico si formano come cristiani adulti e responsabili. Sono gli anni (1934 - 1945) della Gioventù di Azione Cattolica di Giuseppe Lazzati, che pagò la sua fermezza di posizioni contro il Fascismo con la deportazione nei Lager tedeschi. I Colombo tornano spesso ad Albiate, specialmente durante le vacanze estive: coltivano amicizie e conoscono l’attività del padre, che tutti ricordano con affetto. Non staranno mai lontani da Albiate più di qualche mese. Pino e Vittorino cercano di dare una mano alla famiglia: per avere qualche soldo in tasca e non pesare sulla madre danno una mano ad uno zio che ha una filanda. Conosceranno, così, fin da subito la fatica del lavoro manuale e il rispetto che si deve avere per chi lo presta.

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Nel 1943 la famiglia si trasferirà per due anni ad Albiate. Ma è soprattutto in famiglia che i Colombo si formano: la madre Silvia è severa ed esigente; ma istaura con i figli un dialogo continuo: si parla soprattutto a tavola: ottima cuoca ci tiene che i figli parlino fra di loro della famiglia, dei loro problemi e non si occupino di faccende di scuola o di lavoro. Nel 1940 Tina Colombo si diploma: vorrebbe iscriversi all’Università - magari alla facoltà di matematica - ma le esigenze famigliari glielo impediscono: Silvia preferisce rimanere a casa. Tina troverà un posto nella prestigiosa fabbrica di tessuti e filati francese Textilose, come segretaria del Direttore generale. Non fu una cattiva scelta: per la figlia fu l’inizio di una magnifica carriera. Silvia Colombo continuerà a seguire con affetto e fermezza i figli fino agli anni ’80: morirà fra l’affetto dei cari nel 1983 per la complicazione di una polmonite: di 50


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lÏ a pochi mesi il figlio Vittorino sarebbe diventato Presidente del Senato della Repubblica. Proprio lui ha voluto ricordare a proposito dei propri genitori le parole che Paolo VI aveva confidato all’amico filosofo Jean Guitton. Capitolo 2

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Giuseppe e Vittorino Colombo sono sempre stati molto legati nella loro vita: le loro strade sono state, per certi versi ed apparentemente, diametralmente opposte: se il primo ha seguito una vocazione religiosa e di studio che l’ha portato ad essere - certamente uno dei più noti teologi internazionali ma - fuori dalle luci della ribalta; il secondo ha perseguito una passione politica che l’ha reso noto in Italia come deputato, senatore, sottosegretario, ministro di vari dicasteri ed infine presidente del Senato della repubblica - in Europa - come membro per ben due volte del Consiglio d’Europa - e nel mondo. Eppure la vicinanza - più che una “normale” simpatia fraterna - era prima di tutto una comunione ideale e spirituale. I fratelli Colombo avevano ereditano uno sconfinato amore per la Chiesa e una fiducia sterminata nei suoi pastori da una parte, e una religiosità profonda, complessa, assorbente dai loro genitori d’altra. Negli anni ’40 maturano le speciali vocazioni dei due fratelli. 54


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Di una si è conservato uno straordinario documento autografo, oggi conservato presso la Fondazione Vittorino Colombo.

Capitolo 3

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Si tratta di un piccolo foglio ingiallito dal tempo e consumato dall’uso. Reca sul retro una bella immagine della Madonna Coronata col bambino, che si conserva nella cappella gentilizia di Villa S. Cuore di Triuggio. Nel primo capitolo abbiamo parlato a lungo di questo luogo di spiritualità, tanto importante per la Diocesi di Milano e per la gente della Brianza e di Albiate in particolare. Anche i fratelli Colombo da adolescenti erano assidui frequentatori di questo luogo e avevano fra i Gesuiti che abitavano la Casa i loro Direttori Spirituali. All’interno di questo piccolo foglietto ci sono poche righe: la grafia chiara ed elegante è di Vittorino Colombo; la data è emblematica, l’Ottobre del 1940. L’Italia è in Guerra da pochi mesi e si appresta ad invadere la Grecia e l’alleato 55


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tedesco sta perdendo la sua prima grande battaglia sui cieli della Manica. L’Europa è insanguinata e un grande senso si incertezza e di precarietà è diffuso, specialmente fra i giovani. Il quindicenne Vittorino è alla conclusione di un ritiro spirituale: in poche righe riassume - forse con l’enfasi del periodo ma certo con la decisione e - lo vedremo negli anni successivi - la coerenza che l’ha sempre contraddistinto i pensieri che lo determineranno per una vita:

Ricordi degli esercizi spirituali Villa S. Cuore 1940

Oh Signore, fa che io abbia sempre ad appartenere alla schiera dei tuoi eroi e fa che qualche volta trovandomi un disertore, rileggendo questo mio scritto, abbia a ritrovare una nuova forza che mi faccia ritornare ancora nella schiera dei tuoi eroi. 56


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I miei propositi Una purezza angelica, adoperandomi tutto per farsi che sempre abbia di essere contenta di me la povera mamma mia.

Capitolo 3

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Vittorino rispetterà a fondo questa scelta vocazionale della sua giovinezza e più in là. Fu sempre una presenza attivissima nel mondo cattolico milanese ed italiano. Abbiamo detto della sua presenza all’interno della GIAC del prof. Lazzati. Questa adesione si trasformò negli anni in una bella amicizia con il futuro del Rettore dell’Università Cattolica. Dopo la Guerra Vittorino si iscriverà ai corsi serali di Economia e Commercio, seguendo con la fatica e l’impegno dello studente lavoratore i corsi del prof. Vito e del prof. Fanfani (di cui conservò sempre il manuale di Economia Politica) che considererà sempre propri grandi maestri. Fu proprio in quegli anni di studio e di fatica che entrerà in contatto con il prof. Lazzati, quasi suo coetaneo. Lazzati dopo 57


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il ritorno dalla Germania si era dedicato con grande decisione alla politica su invito di Dossetti, divenendo prima membro della Assemblea Costituente e poi deputato durante la prima legislatura. Ma non aveva dimenticato il mondo in fermento dell’Università Cattolica, che era stata uno dei bastioni della resistenza contro il fascismo e proprio nel dopoguerra stava vivendo uno dei periodi di più straordinaria fioritura. Il giovane docente di letteratura cristiana non viveva, però, l’Ateneo come un semplice luogo di erudizione fine a se stessa. Nel solco del pensiero di Maritain era allora forte il senso dell’importanza di un luogo che contribuisse veramente alla creazione di un uomo integrale, che non fosse immerso nella schizofrenia novecentesca che dipingeva un uomo scisso, incapace di trovare un senso al proprio agire e un ordine del mondo. Senz’altro, poi, Lazzati condivideva con Vittorino Colombo un’impostazione antielitaria della cultura, che non doveva 58


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Capitolo 3

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essere appannaggio di una “classe borghese” destinata al governo del Paese e della società civile: era quel forte afflato che l’Azione Cattolica aveva riassunto in un motto: “Educare il popolo”. Colombo l’aveva vista senz’altro nelle carte del padre Aquilino, il quale nel suo piccolo, ad Albiate, aveva cercato di applicarlo con la “casa del popolo”. Ma questa massima oltre a questo significato di apertura della cultura a tutti, missionariamente e quasi francescanamente, implicava una coscienza forte dell’importanza della “formazione dei formatori”, la consapevolezza di dovere sempre dare ragione delle proprie affermazioni, della proprie opere, della propria fede: è l’antecedente logico della grande idea lazzatiana della costruzione della “città dell’uomo per l’uomo”, la sua espressione preferita, e che pure piaceva a Vittorino. Fu naturale che quando Vittorino Colombo entrò in Università fu presto introdotto fra gli amici di Lazzati. Fu poi 59


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breve il passo per entrare nel sodalizio cui avrebbe - con grande riserbo - partecipato per tutta la vita: l’Istituto Secolare Cristo Re. Colombo fu sempre molto restio a parlare di questa adesione: forse si rendeva conto che il proprio stato di consacrato senza segni esteriori - come i tradizionali abiti dei religiosi o la chierica - frutto dello “spirito conciliare” che attraversava quei decenni e che invitava a vivere più intensamente la propria Fede nel mondo, avrebbe potuto creare imbarazzi, incomprensioni, opposizioni preconcette, deferenze immotivate. E specialmente per un personaggi pubblico come lui - lo vedremo presto impegnato nel sindacato, sul lavoro e poi, con alte responsabilità pubbliche. Lo si sapeva, lo si mormorava, questo status suscitava anche il sarcasmo di qualche avversario come Marcora. Ma Vittorino era fermissimo nel non parlarne, giungendo persino fino a far distruggere dalla sua segreteria tutti gli scritti che riguardavano questo aspetto della sua vita.

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La famiglia, gli amici, i suoi collaboratori hanno voluto mantenere il riserbo su questa scelta, anche per rispetto ad un’istituzione che fino a non molto tempo fa “non amava il clamore della notorietà”.

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L’inaugurazione di un sito internet “istituzionale” ci consente oggi di parlarne senza molti degli scrupoli del passato. Istituto Secolare Cristo Re è un istituto secolare della Chiesa cattolica, cioè una comunità di laici che pronunciano i voti di povertà, castità ed obbedienza, ma non conducono vita comune e si impegnano in tutti gli ambiti della vita quotidiana.

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Vittorino come gli altri membri di questa comunità destinò sempre una consistente parte del proprio reddito - anche da ministro e parlamentare - alle opere di carità dell’Istituto, proprie e al sostentamento dei confratelli in difficoltà. E c’è da dire che la sua obbedienza alla Chiesa fu tanto scrupolosa che non solo ebbe - e anche questo lo si vedrà più avan61


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ti - il rispetto profondo di tutta la gerarchia, ma divenne uno dei consiglieri più fidati di tre Arcivescovi di Milano e di due Papi. Leggendo ancora fra le descrizioni dell’Istituzione leggiamo uno stile che fu essenziale nelle vita di Vittorino: i suoi membri si impegnano “per testimoniare la propria fede e modificare le strutture sociali secondo i valori del Vangelo”. E ancora che l’Istituto si ispira “a Cristo Re perché i suoi membri intendono testimoniare la sovranità di Cristo, una regalità diversa da quella umana, perché si caratterizza come servizio ed umiltà”. Da una parte il desiderio di cambiare la società, rivolgendola al bene, alla carità e alla giustizia; dall’altro una modalità silenziosa fatta di rinunce e sacrifici, di abnegazione al servizio per gli altri. Vittorino Colombo sapeva che per contare nella società bisognava esserci, apparire, anche lottare, magari aspramente. Ma sapeva che il protagonismo smodato, 62


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Capitolo 3

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l’arrivismo e la brama di potere fine a se stessa non avrebbero portano a nulla: era meglio un passo indietro che la perdita della propria coerenza. Piccoli e grandi fatti, spesso incomprensibili prima di tutto ai propri collaboratori segnano la sua vita: viene spesso e volentieri trovato alle ultime file dei convegni e dei Seminari e - quasi a forza - i suoi segretari lo trascinano nelle prime file; nel 1952 gli viene offerta la Segretaria nazionale dei giovani delle ACLI, una posizione che gli avrebbe garantito di avvicinarsi velocemente a Roma e di diventare giovanissimo deputato nelle elezioni dell’anno dopo: Vittorino rifiuta le moltissime pressioni anteponendo l’importanza del sostegno alla famiglia e alle organizzazioni milanesi a cui appartiene. O ancora quando più volte gli si presenta l’occasione di battere nei Congressi della corrente democristiana Forze Nuove, Donat Cattin (di cui spesso non condivide metodi e un linguaggio brusco - caro a una certa sinistra democristiana) si tira indietro non volendo incrinare una amicizia di lungo corso che si 63


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era costruita nella prima legislatura - del 1958 - con cui avevano inaugurato insieme la loro vita politica nazionale. Due ultime notazioni storiche sull’Istituto fondato da Giuseppe Lazzati ci consentono di comprendere meglio Vittorino Colombo. Lazzati iniziò la sua vocazione all’interno dei “Missionari della Regalità di Cristo”, istituto secolare d’ispirazione francescana fondato da Agostino Gemelli. Nel 1939, però, insieme ad un gruppo di amici e sostenuto da monsignor Schuster, cardinale di Milano, diede vita a un sodalizio di laici denominato “Milites Christi” che verrà poi eretto a Istituto secolare di diritto diocesano nel 1952, nel 1963 avrà l’avallo pontificio ed assumerà il nome definitivo di Istituto Secolare Cristo Re nel 1969. Il “contrasto” fra Gemelli e Lazzati, forse dettato da divergenze personali, fu quasi senz’altro dovuto a una differenza di stile. Se Gemelli considerava la propria “ispirazione francescana” soprattutto come di sacrificio e di mortificazione, 64


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Lazzati voleva recuperare di essa la profonda gioia e letizia del vivere del Santo di Assisi.

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Vittorino incarna questo stile lazzatiano pur differenziandosene per l’estrema concretezza. Da una parte è rigoroso, pronto ad estenuanti campagne elettorali da cui esce prostrato fisicamente - in cui in una sera è capace di tenere fino a quattro comizi, a giornate di lavoro senza fine che conclude magari senza cenare, a viaggiare di notte in macchina fra Milano e Roma per non perdere una seduta al parlamento. Il suo stile è chiaro anche nel suo ufficio di piazza S. Ambrogio, 15 in cui dagli anni ’60 ha il suo punto di riferimento: ben lontano dagli sfarzi da certi palazzi della politica Vittorino Colombo vuole un ambiente sobrio, etereo, con pochi semplici mobili e un grande crocifisso, copia di quello di Cimabue accanto alla sua poltrona. Recentemente la Senatrice Ombretta Fumagalli Carulli ha ricordato l’area di serena semplicità “francescana” che si respirava in quei locali. 65


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Spesso non smette di lavorare e per pranzo si fa portare un panino La sua camera della casa di Ruggero di Lauria, in cui la famiglia Colombo si trasferì negli anni ’50, era persino claustrale: un letto minuscolo, una poltrona e una scrivania e tutto attorno scrivanie traboccanti di libri, di ricordi, di appunti, severamente stipati in piccoli cassetti scuri Ma Colombo ama stare con gli amici, meglio se a tavola, e proprio a tavola viene da tutti ricordato come persona deliziosa, divertente, rilassata. A Milano preferisce “I Tre Fratelli” di via Terraggio e “Bagutta”, che ha salvato dallo sfratto: le sue compagnie sono sempre piene di risate e chiassose e tutti se ne vanno allegri. Vittorino è spesso ospite degli amici: lo si vede spesso a casa dei Buttè, dei Calvi - Suoi amici di corrente - ma anche dei Milites, dei suoi amici delle ACLI.

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Ma anche casa sua è un luogo di ritrovo e di festa: la madre e la sorella invitano spesso e volentieri gli amici di Vittorino e sono rimaste molte fotografie di persone sedute a parlare sui larghi divani di belle che dominavano il grande e luminoso salotto di Ruggero di Lauria. Capitolo 3

Due Vocazioni a confronto: Giuseppe e Vittorino Colombo

Nello stesso salotto i due fratelli Colombo, magari di ritorno dalle loro lunghe giornate di lavoro si trattenevano lungamente a parlare, fino alle due o alle tre di notte. Vittorino e Don Pino avevano un rapporto schietto e asciutto ma affettuoso: entrambi sempre in giro per l’Italia e per il mondo gioivano nell’incontrarsi come quando erano ragazzi, ma non si scrivevano mai e raramente si telefonavano, quasi volessero dirsi tutto di persona, con il cuore in mano, senza mediazione. Condividevano fino in fondo un grande amore per la Chiesa, per la gente, per il lavoro ma le loro strade ben presto si erano biforcate.

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Vittorino appena dopo il diploma si era impiegato alla Montecatini, nei laboratori della Bovisa con il suo amico dell’Oratorio della Cagnola Orsenigo, dove aveva lavorato per quasi quindici anni. In quella grande fabbrica aveva sentito l’eco dei grandi scioperi operai alla fine degli anni di guerra, era entrato nel sindacato ed era stato eletto nel comitato di fabbrica quasi subito. Era nata la sua passione sociale, a difesa dei lavoratori e un po’ a modello di suo padre. Una passione che l’aveva ben presto fatto entrare nella dirigenza del Sindacato e delle neonate ACLI - di cui diventerà ben presto vicepresidente provinciale - che proprio in quegli anni nascevano sotto la guida di uno dei riferimenti ideali di famiglia - Achille Grandi e sotto gli auspici di un personaggio che lo sarebbe diventato - il sostituto alla Segreteria di Stato Giovanni Battista Montini. Giuseppe scelse una strada affatto diversa: la vocazione sacerdotale maturò in lui non superficialmente, e anzi la sua 68


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entrata in seminario fu ritardata da una grave malattia da cui si riprese quasi miracolosamente.

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I suoi anni di formazione al Seminario di Vengono sono completamente dediti allo studio - a cui viene distolto quasi di forza per la socializzazione con i suoi compagni -: si dedica con particolare amore alla lettura, in lingua originale che amava e dominava alla perfezione già nell’adolescenza, dei teologi frances: De Lubac, Blondel - il cui pensiero sarà poi oggetto della sua tesi di dottorato. Ma anche Karl Barth, il noto pastore protestante svizzero. Nomi questi che ci fanno da una parte capire che Don Pino non amava la teologia de chevet ma quella impegnativa, quella che suscitava grandi e feroci dibattiti nella Chiesa Cattolica, e con essa quei teologi coraggiosi che non temevano l’isolamento, talvolta la condanna, in nome della coerenza scientifica del loro studio. Don Pino è il più brillante studente del suo anno di messa, il 1948, quando viene 69


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ordinato dal Beato card. Schuster tutti sanno già che avrà una fulgida carriera di studioso e di teologo. Presto otterrà la licenza in Teologia (1953) cominciando ad insegnare - nel contempo - nel Seminario di Seveso: quegli anni saranno fondamentali per il futuro di Don Pino che si sentì sempre oltre che studioso e intellettuale anche e soprattutto insegnate. E forse il desiderio di rendere il più possibile e meno “chiesastico” il sapere teologico fu uno dei motivi per cui si appassionò tanto ad il progetto a cui fu più legato per tutta la vita: la riforma della Facoltà Teologica dell’Italia settentrionale. La Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale per le Regioni Lombardia, Piemonte e Tre Venezie - cui s’è aggiunta successivamente anche la Liguria - era nata dalla decisione di Leone XIII il 15 Novembre 1892 di istituirla nel Seminario Arcivescovile di Milano, a servizio della Regione Conciliare Lombarda, decisione riconfermata da Pio XI il 7 Dicembre 70


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1938, a norma della Costituzione Apostolica “Deus scientiarum Dominus”.

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Se la Facoltà Teologica era il frutto della fortissima volontà di due Pontefici assai cari alla famiglia Colombo - il primo per la sua Rerum Novarum e l’inizio della dottrina sociale della Chiesa, il secondo come Papa brianzolo difensore dei diritti della Chiesa e dei cattolici sotto il Fascismo - questo Don Pino lo sapeva e lo apprezzava. Non fu difficile per lui, appena ottenuta la docenza, sposare appieno l’idea del suo maestro e conterraneo don Carlo Colombo, che si lì a poco sarebbe divenuto uno dei più importanti padri conciliari, consigliere di Paolo VI e uno dei più fervidi assertori della cesura data dal concilio Vaticano II alla storia della Chiesa. L’iniziativa del trasferimento della Facoltà Teologica Milanese da Venegono a Milano fu presa con l’Arcivescovo di Milano Card. Giovanni Colombo nel 1966, con la piena approvazione da parte 71


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del Sommo Pontefice, che ne apprezzava lo spirito. Gli scopi del trasferimento, infatti, furono: sottolineare e potenziare la finalità di istituto di ricerca scientifica, propria di una Facoltà Teologica; coinvolgere le altre Regioni dell’Italia Settentrionale al fine di costituire una Facoltà Teologica più ricca di docenti, di studiosi, di ricercatori e di mezzi di ricerca scientifica; instaurare un assiduo dialogo con gli altri Istituti universitari di ricerca e di studio. Ma soprattutto quella di offrire ai laici da una parte una reale possibilità sia di conseguire i gradi accademici in Teologia, dall’altra di tenere corsi accademici di Teologia. Si ponevano così le basi per una delle più belle applicazioni del Concilio: portare all’intero popolo di Dio le basi per una riflessione consapevole e strutturata della propria Fede. La direzione della nuova Facoltà, con sede nei Chiostri annessi alla Basilica 72


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milanese di S. Simpliciano, fu affidata a Mons. Carlo Colombo che - per motivi di salute e per gli impegni come vescovo ausiliario di Milano - lasciò quasi subito molte delle sue responsabilità a il giovane brillante Don Pino.

Capitolo 3

Due Vocazioni a confronto: Giuseppe e Vittorino Colombo

Nell’anno accademico 1967-1968 ebbero inizio le lezioni del primo Ciclo di Specializzazione; nell’anno accademico 1968-1969 ebbero inizio le lezioni del Ciclo Istituzionale e nell’anno accademico 1973-1974 ebbero inizio le lezioni del secondo Ciclo di Specializzazione. La Facoltà è stata eretta canonicamente il 7 Dicembre 1969 dalla Congregazione per l’Educazione Cattolica ed i suoi primi Statuti sono stati approvati “ad experimentum” dalla medesima Congregazione in data 18 Ottobre 1972; l’approvazione definitiva degli Statuti reca la data del 22 febbraio 1993. Ognuno di questi passaggi fu gestito amorevolmente da Don Pino che nel 1985 era succeduto al maestro Carlo Colombo. Proprio nel 1993 la salute e il desiderio di 73


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dedicare le sue ultime energie interamente allo studio fra il suo studio di Ruggero di Lauria a Milano e il suo spartano appartamento del Seminario di Venegono, dominato dalla statua del grande pontefice di Desio, lo fecero dimettere. Mons. Giuseppe Colombo, come molti hanno ricordato, era un teologo di statura decisamente singolare nel panorama della teologia italiana, maestro di centinaia di sacerdoti della diocesi di Milano e di tutta Italia. Don Pino (un appellativo obbligato e sollecitato per tutti coloro che lo hanno conosciuto, apprezzato e amato) era un’autentica autorità non soltanto per la Facoltà teologica di cui è stato a lungo preside, ma sul grande seminario di Venegono dove ha abitato fino alla fine dei suoi giorni, su tutta la diocesi di Milano, e addirittura sulla Chiesa italiana. Ma la sua fama non è rimasta racchiusa solo all’ambito nazionale: è stato anche uno dei pochissimi teologi italiani conosciuti e apprezzati all’estero. 74


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Questa grandezza riconosciuta naturalmente era frutto di una profondità straordinaria del suo pensiero teologico. Come molti grandi non aveva voluto aderire ad una scuola o ad una corrente della teologia del Novecento: il suo progetto teologico è stato soprattutto solitario. Capitolo 3

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Come egli stesso non si è mai stancato di rilevare, la ragione era più che ovvia: in Italia in epoca contemporanea è sostanzialmente mancata una scuola e una ricerca filosofica e teologica. La drammatiche domande “Dove va oggi l’Occidente? Quale è il senso e il valore della sua missione storica?” proprio in Italia nell’ultima metà di secolo non hanno avuto alcuna risposta. La Pontificia facoltà del seminario di Venegono, era forse l’unica incisiva eccezione: già negli anni della sua formazione essa era una vivace scuola di teologia di cui mons. Carlo Colombo era il vero catalizzatore.

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Don Pino, riconoscente e ammirato dal maestro anche dopo la sua morte, ne ha riconosciuto l’eredità: la cura per il rigore concettuale, che assumeva nel suo caso un aspetto parossistico. Questo rigore esso doveva diventare una componente decisiva dell’insistenza a tutti nota con la quale egli raccomandava l’attenzione al metodo nella ricerca teologica. Sempre questo rigore lo ha reso diffidente, addirittura insofferente, nei confronti di molta parte della teologia del periodo successivo al Concilio; essa appariva ai suoi occhi imprecisa, prolissa, retorica, sostanzialmente inutile, e anche pericolosa. Vedeva con lucidità il pericolo degli “aggiornamenti” affrettati trasformasse la teologia da “scienza”, e forma rigorosa di sapere, ad arte della persuasione. Ma il rigore concettuale non pregiudicava il netto distacco della teologia di don Pino dalle forme che questa scienza ha assunto in epoca moderna: i binomi naturale e soprannaturale, e ragione e fede in 76


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lui sono stati affrontati in maniera del tutto innovativa.

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In particolare il tratto più radicale del progetto teologico di don Pino fu quello che spiega in particolare il rilievo centrale della predestinazione, con la rigorosa concentrazione di tutto il sapere cristiano nella persona di Cristo. La realizzazione del programma suo programma di riforma cristocentrico esigeva un profondo ripensamento antropologico, e insieme un profondo metodi per raggiungerlo.

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Egli ha avuto una consapevolezza lucida, e addirittura ossessiva, della necessità di un ripensamento radicale della teologia. Non a caso scelse come insegnamento il corso di metodologia teologica, nella nuova Facoltà teologica dell’Italia settentrionale, subentrata nel 1967 alla Pontificia facoltà di Milano. Quel corso era previsto come obbligatorio per tutti gli studenti del ciclo di licenza.

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Ma non si creda che in mons. Colombo tutta la sua ricerca si rivolgesse solo a mediazioni logiche, verso cui era insofferente e pieno di sospetti: al fondo la teologia di don Pino era un’intensa esperienza spirituale, connotata da un tratto in certo modo addirittura mistico. Mons. Angelini, suo successore, ha ben riassunto la sua tensione “l’impazienza escatologica, che facilmente si rileva nel suo pensiero, ha alla sua base appunto l’insofferenza cristiana nei confronti della prolissità del tempo presente, la cui figura minaccia d’essere interminabile, e deve invece in fretta passare”. Ma la sua grandezza è pure legata all’opera di promozione della teologia. Come “padre” della teologia italiana, non fu solo studioso ma anche organizzatore e pianificatore - l’abbiamo detto della Facoltà dell’Italia settentrionale. Alla sua iniziativa - intelligente, coraggiosa, quasi ostinata - si deve il fatto che la nuova Facoltà abbia conosciuto il proprio successo. Pochi ci avrebbero scommesso alla fine degli anni Sessanta. Le difficoltà erano molte e consistenti. 78


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Innanzitutto perché il progetto era innovativo: l’obbiettivo era rompere il privilegio clericale della teologia. Con la perdita del legame diretto con la diocesi di Milano, che era stato una garanzia per la precedente Facoltà pontificia la Facoltà non poteva contare più su alunni candidati al sacerdozio e motivati, e per il primo ciclo di studi si contava prevalentemente sui laici. Inoltre questa rivoluzione che Don Pino sposò si tenne in un anno fatidico per il nostro Paese: il 1968, l’anno della contestazione. Ma prima generazione di studenti laici si mostrò particolarmente matura e motivata e non fu toccata affatto dagli sbandamenti del movimento studentesco.

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Infine poco favorevole era anche il contesto della teologia italiana. Per rimediare a una mancanza di riflessione di oltre un secolo,occorreva far riferimento almeno per gli inizi dalla ricerca prodotta nei paesi del Nord Europa, ostaggio però nel periodo degli indirizzi più eterodossi del rinnovamento teologico internazionale. 79


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Nonostante tutto la sfida è stata sostanzialmente vinta e soprattutto grazie alla maestria di don Pino: “rigorosa, e insieme illuminata, intransigente nell’esigere il confronto, quasi impietosa nella sollecitazione a formalizzare le rispettive ragioni, ma insieme assai liberale” come la definisce Mons. Angelini. Occorre parlare un momento del carattere di Don Pino e di alcune conseguenze che tale carattere comportò nella sua vita. Da un lato era un sacerdote moderno che sapeva cogliere i fermenti della società e in un certo qual modo vi si adattava: era uno dei primi presti che aveva abbandonato il tradizionale abito talare per adottare lo “scandaloso” clergyman; ben prima di Papa Wojtyla si era dedicato con soddisfazione allo sci a Ponte di Legno, e passava le vacanze con i fratelli anche a Forte dei Marmi. Ma non era e non voleva essere un sacerdote da copertina, anzi la sua diffidenza per la notorietà e la retorica nei suoi 80


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confronti era proverbiale. Diventato già negli anni ’60 uno dei più importanti teologi internazionali (fu fondatore fra l’altro nel 1967 è dell’Associazione Teologica Italiana e dal 1980 al 1997 membro della Commissione Teologica Internazionale), nonché ascoltato consigliere di Paolo VI e Giovanni Paolo II rifiutò sistematicamente l’ordinazione episcopale che gli veniva offerta. A questo aspetto schivo del suo carattere - accettava di malavoglia anche le onorificenze come quella della Provincia - il Premio Isimbardi - nel 2003 - affiancava una autorevolezza, indubbia, spesso e in molti modi è parsa assumere tratti perentori, talvolta addirittura aspri, tali dunque da suscitare reazioni di incredulità, e quasi di fastidio. Don Pino metteva spesso in soggezione i suoi interlocutori. Questo tratto intimidente era certo da riferire a questa timidezza e a questo fastidio per ogni attenzione centrata sulla sua persona. Ciò lo disponeva a forme di comunicazione 81


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laconiche, e perentorie, tali da suscitare timore e imbarazzo. “Nel dialogo con lui, specie quando si trattava di teologia, ma anche quando si trattava più generalmente delle cose ecclesiastiche, ogni interlocutore era spesso in soggezione, quasi avesse l’impressione di dover sostenere un nuovo esame. La soggezione che incuteva minacciava di nascondere l’altro tratto della sua persona, il culto delicato e addirittura affettuoso per i rapporti di amicizia” ha sempre ricordato Angelini. La timidezza e le sue rigidità si scioglievano in particolare a tavola dove Don Pino, come il fratello dava il meglio di sé. Vi si tratteneva in particolare con gli amici di sempre: don Giovanni Moioli e don Luigi Serenthà. Ma era anche l’occasione per un assiduo confronto con i più giovani colleghi, che ha raccolto e mai si è stancato di sollecitare. Per molti anni, aveva la consuetudine di cenare con loro, una volta alla settimana; in ogni “cena teologica” la discussione di un tema era la portata principale e il compito che don Pino si riservava era soprattutto quello di incalzare con i suoi interrogativi. 82


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Ed in effetti il grandissimo numero di amici che lo ricordano affettuosamente e hanno affollato il Seminario di Venegono il giorno delle sue esequie nel 2005, testimoniano che chi sapeva superare la prima difficoltà di rapporto con lui, poteva poi contate su un uomo straordinario. Capitolo 3

Due Vocazioni a confronto: Giuseppe e Vittorino Colombo

Parleremo ancora nel prossimo capitoli di Don Pino sotto uno dei suoi aspetti più sconosciuti e che tanti hanno avuto a che fare con l’opera si suo fratello Vittorino. Non sarebbe, però, giusto concludere questo capitolo senza citare e tratteggiare almeno in parte la figura della sorella Ernestina, che si è sempre schermita di venire accostata alla vita di due fratelli così illustri, ma che certo ha contribuito molto a consentir loro di diventare quello che sono stati. Abbiamo detto che Tina era la più adulta dei fratelli Colombo, ed in un certo senso su di lei la madre aveva riversato la maggior parte delle responsabilità famigliari. A diciott’anni non aveva potuto fre83


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quentare l’Università e si era impiegata come segretaria alla Textilose specializzata in filati. Inizia così il suo interesse e la sua grande competenza per un campo che, solo più tardi, diventerà uno dei più importanti per il Paese: la moda made in Italy. Contemporaneamente aveva cominciato a badare a questi fratelli sempre in giro per l’Italia e per il mondo: è ancora vivo in lei il ricordo delle migliaia di valigie fatte e disfatte e delle lunghe attese di una telefonata e del ritorno. Grazie a lei, che ben presto aveva cominciato a fare carriera come direttore alle vendite e come direttore commerciale, divenendo per la sua tenacia ed efficienza una delle pochissime dirigenti industriali in Italia già negli anni ’50, la famiglia aveva potuto far aumentare il proprio benessere. Dalla casa che l’ing. Allocchio aveva concesso ai Colombo, finita bombardata nel ’43, si trasferirono dapprima alla ca’ 84


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storta vicino alla Cagnola, e, quindi, nella bella casa di via Ruggero di Lauria che più volte è stata ricordata. Lontani dalle preoccupazioni domestiche, appannaggio di Tina e della madre, i due fratelli possono dedicarsi alle loro passioni ed alle loro battaglie. Capitolo 3

Due Vocazioni a confronto: Giuseppe e Vittorino Colombo

La sorella li aiuta come può: come rappresentante di lista per la DC alle elezioni, finanziando il partito, facendo da dattilografa per Don Pino per i numerosi volumi che comincia a pubblicare. Negli anni ’60 tuttavia la signorina Tina - come è da tutti conosciuta - vede che i suoi fratelli hanno imboccato una buona e solida strada: Vittorino è in parlamento già da due legislature; Don Pino è un professore giovane ed affermato, onorato della fiducia di Paolo VI. Alle sue dipendenze in Textiolose alcuni anni prima aveva incontrato un giovane bocconiano molto simpatico ed efficiente, ma soprattutto dotato di un gusto straordinario: Stefano Ottina. 85


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Stefano Ottina era uno dei più bravi commerciali della sua azienda: i due diventano amici e si gettano nella costituzione nel 1965 con Vittorio Solbiati della manifattura di abbigliamento Punch. Tina ne è il direttore amministrativo ed è così efficiente e capace che ne diventa direttore generale. La Punch, grazie alla straordinaria creatività di Ottina, ricordato nel dizionario della Moda per i suoi contributi al made in Italy, subito si contraddistingue per la modellazione aderente al corpo della camicia, la “tepered body”. Ed è su questo capo che la Punch fonda le sue fortune. Ottina rivaluta a vero e proprio capo di abbigliamento di moda la camicia alla quale destina filati naturali e in mischia e particolari tecniche di tessitura. Il successo viene ed è in internazionale: nel ’75 lo Store Madonna di New York gli dedica una retrospettiva in cui vengono esposte le camicie Punch indossate da Jack Nicholson, John Lennon, Elton John, 86


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Paul Getty Jr, John Travolta, “Richard” Gere, Robert Rauschenberg.

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Il marketing di Punch è pirotecnico e all’avanguardia: le sue porcellane natalizie sono diventate un oggetto da collezione, così come le feste di presentazione delle collezione che diventano famose per il gusto e l’originalità sempre nuova. La signorina Colombo tiene i piedi per terra: pensa ai conti, ai finanziamenti, alle strategie e alle reti commerciali. Ancora oggi c’è memoria di Tina Colombo come manager di ferro.

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Da allora la signorina Tina collaborerà ancora con il dott. Ottina che si dedicherà al design e alle ricerche di storia del tessile, collezionando archivi di tessuti, ed occupandosi della creazione di fantasiossime linee di cravatte.

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1933 Milano Silvia Colombo con i figli Giuseppe, Vittorino e Ernestina 1928 rara fotografia della Famiglia Colombo


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1948 Milano Prima Messa di Don Pino nella Parrocchia del Sacro Cuore di GesĂš alla Castagnella

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1943 Cerimonia del diploma di Vittorino Colombo


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Don Pino Colombo con i suoi allievi e amici nel salotto della casa di via Ruggiero di Lauria a Milano

1973 Vittorino Colombo e mamma Silvia

Vittorino e Giuseppe Colombo con mamma Silvia davanti alla parrocchia di S. Ildefonso


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1975 Paolo VI° benedice la famiglia Colombo


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1983 il Senatore Vittorino Colombo all’apice della sua carriera: Presidente del Senato.

1978 Vittorino Colombo e Carlo Tremolada inaugurano la nuova sede della BCC di Triuggio


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1991 Vittorino Colombo guida una delegazione di Albiatesi in vista al Presidente della Repubblica Francesco Cossiga


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1984 Vittorino Colombo guida una visita dell’Istituto Italo Cinese nel grande paese asiatico. Nella Delegazione i due amici e collaboratori del Senatore: Giuseppe Palmisano e Edoardo Freddi

1980 Mons. Giuseppe Colombo incontra Sua SantitĂ Giovanni Paolo II


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Alcuni momenti del Premio Internazionale Vittorino Colombo: il Prof. Angelo Caloia, il Sindaco di Albiate Filippo Viganò, Tina Colombo, Mon. Pino Colombo, e Mons. Giuseppe Sala.

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Abbiamo detto che i fratelli Colombo torneranno spesso e volentieri ad Albiate: compreranno anche una piccola villetta bifamigliare in cui passeranno le ultime estate insieme alla madre. In un certo senso soprattutto Vittorino sentiva che quella terra gli ricordava l’eredità culturali e di valori di suo padre. Inoltre l’affetto di tutti i loro concittadini albiatesi li faceva sentire più protetti, rispetto a quella grande Milano piena di possibilità e di attrattive, ma anche di minacce e di intrighi. Un fatto importante da raccontare è un episodio di guerra relativo a Vittorino Colombo. Come abbiamo detto si era appena impiegato alla Montecatini quando viene chiamato per il servizio militare: è il tempo di guerra e tutti, in famiglia, tremano per lui. Ma Vittorino non ha paura. Sente che quel regime tanto oppressivo che il padre aveva combattuto è ai suoi ultimi giorni. Così con l’8 settembre 1943 lascia il comando militare di Baggio, ma non si da 104


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alla macchia come tanti: entra tra i partigiani.

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Vittorino ha sempre mantenuto contatti con la sua Brianza e sa che tanti suoi compaesani sono nelle schiere dei partigiani della 176° Brigata SAP “Livio Cesana” o nei Volontari per la libertà del distaccamento di Albiate e di Sovico, o ancora nei combattenti della 3° brigata “Livio Colzani” - raggruppamento “Antonio Di Dio”. Vittorino si aggrega a quest’ultima: suo compagno e amico Remo Canzi, poi presidente del Comitato di Liberazione Locale e nominato sindaco, prima nel periodo 1945 - 1946 e poi dal 1960 al 1970. Ma con lui partigiano sarà pure Cesare Ponti, sindaco nel 1951 - 1952. Non si sa molto di lui in questo periodo: si conoscono furtivi spostamenti in Svizzera, misteriosi ordini alla famiglia per passaggi di altrettanto misteriose 105


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valige, che la sorella Tina eseguiva da improvvisata staffetta partigiana. Con tutta probabilità conobbe in questo periodo Enrico Mattei, e pure la ferocia di alcuni partigiani comunisti. Questa esperienza lo proietterà giovanissimo nel CLN di fabbrica alla Montecatini della Bovisa. Stranamente Vittorino non volle mai parlare di questo periodo della sua vita, forse nella consapevolezza di essere stato un soldato semplice, e di non volere accumulare meriti che non si attribuiva, forse per dimenticare un periodo doloroso, in cui aveva visto troppe violenze. Sta di fatto che Vittorino Colombo si proclamò da quel momento in poi sempre pacifista e pacifista ad oltranza, ripetendo la frase di Pio XII che un altro suo punto di riferimento ideale, La Pira, amava ripetere che “Con la pace nulla è perduto, con la guerra tutto è perduto”. Questa stessa posizione su da lui ribadita per le guerre arabo israeliane, per la 106


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guerra del Vietnam e, da ultimo, per la prima Guerra del Golfo.

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Dopo la Guerra il Colombo tornerà spesso al suo Paese, la sua “piccola patria” che rimarrà sempre nel suo cuore: una volta o due al mese. Anche da deputato, senatore, sottosegretario o ministro, voleva visitare i suoi compaesani. Iniziavano così lunghissime discussioni alla sede del Partito o nella casa di qualcuno dei suoi vecchi amici: Dino Longoni, Fermo Gatti, Paolo Vergani, Remo Canzi, Giulio Tettamanzi...

Albiate e dintorni: la comunità e gli amici di Vittorino

E con grande disappunto dei suoi famigliari tornava distrutto nel cuore della notte a Milano, per poi essere - puntuale - alla messa del mattino in s. Ambrogio. Ma non era solo per fare chiacchiere che tornava ad Albiate. Tutti sapevano quanto gli importassero i bisogni materiali della sua comunità. Molti dei suoi assistenti nei vari ministeri a Roma, osservavano che quando il 107


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Ministro Colombo tornava dalla sua Brianza e da Albiate in particolare, dalla sua giacca uscivano richieste e suppliche di ogni genere. Il Colombo era in particolare attento alle richieste di lavoro: molti giovani anche qualificati e di belle speranze non trovavano, nel mondo chiuso e ancora povero della Brianza prima degli anni ’80, buone occasioni. Lui era sempre pronto a fermarsi per suggerire, ascoltare, prendere un appunto, garantire una segnalazione. Nel 1976 Vittorino Colombo è ormai un esponente di spicco della Democrazia Cristiana lombarda ed uno degli uomini d punta della corrente Forze Nuove, erede della sinistra sociale di Pastore, insieme a Donat Cattin. Può finalmente scegliere un collegio più “semplice” e così sceglie accanto al consueto defaticante collegio camerale di Milano (in cui nel 1958 aveva preso 60.000 preferenze individuali e negli anni 108


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successivi doppierà le 100.000) quello senatoriale di Monza. Anche qui avrà un successo straordinario raccogliendo decine di migliaia di consensi, trascinato dalla propria fama nella “sua” Brianza. Capitolo 4

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Con un occhio ancora più attento del solito segue così le “cose albiatesi”: è da poco diventato sindaco il suo amico Paolo Vergani e da qualche tempo è iniziata una grave crisi del comparto tessile brianzolo. Vittorino se ne occupa con grande cura. Conseguenza della crisi era stata anche l’insolvenza di una nota famiglia albiatese, che possedeva una nota filanda che era fallita, e di una magnifica villa: i Viganò. La famiglia di questi benestanti borghesi aveva vissuto fin dall’800 ad Albiate, patrocinando numerose opere di carità della parrocchia e dando alla cittadinanza alcuni dei suoi sindaci. Villa Campello - con il suo ampio giardino all’inglese digradante nella valle del 109


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Lambro - il suo piacevole viale alberato, significativamente noto con il nome di “viale degli innamorati” - era stato il loro vanto per decenni. Per evitare speculazioni molti albiatesi ritenevano che dovesse acquisirla il Comune. Ma l’amministrazione era senza mezzi, volta com’era ad occuparsi di ben più urgenti necessità come il rinnovo dell’acquedotto. C’era grande confusione sul da farsi: fu proprio il Senatore Colombo che diede una svolta alla “pratica” consigliando l’acquisto e utilizzando i suoi buoni uffici presso la Cassa di Risparmio delle Province Lombarde perché il finanziamento (per 186 milioni di lire, pari a diversi milioni di euro attuali) venisse concesso. Vittorino ne parlò come una “gemma acquisita alla municipalità” e suggerirà alla sorella per aiutare il comune a ripagare il mutuo di tenere qui alcune presentazioni della sua azienda, che furono memorabili per eleganza e originalità. 110


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Solo molti anni più tardi Villa Campello diventò sede del comune: era il 1990 e il sindaco Dino Longoni inaugurerà la bella e luminosa sala del Consiglio che sotto l’amministrazione Vigano diventerà la sala “Vittorino Colombo” e rimane, con le foto del Senatore e del Premio internazionale “Vittorino Colombo” dal 1997, uno dei luoghi più significativi in sua memoria. Ma l’impegno di Vittorino Colombo si riversò in molti modi ancora sulla Brianza e su Albiate. Ad esempio quando si parlò della chiusura, alla metà degli anni ‘60, della ferrovia Monza - Molteno, la stessa che Aquilino utilizzava per andare a lavorare a Milano, un gruppo di politici locali fra cui l’amico Dante Oreste Orsenigo, Giovanni Riva e Gianfranco Mattavelli si rivolse a lui per un intervento sul Direttore Generale di Ferrovie dello Stato, Schimberni. L’intervento ci fu e l’on. Colombo salvò così un pezzo della mobilità per la Brianza. 111


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Sempre sul fronte della mobilità Vittorino Colombo, insieme all’amico Walter Fontana furono attivissimi e decisivi per il ridisegno della mobilità verso Milano. La grandiosa - per l’epoca costruzione della nuova Valassina porta la firma dei due senatori che instancabilmente sollecitavano i ministri dei Lavori pubblici Merloni e Prandini. O ancora con l’intervento per la realizzazione dell’Istituto Tecnico Industriale Statale “Leonardo da Vinci” a Carate Brianza, distaccamento dell’Istituto Feltrinelli di Milano. Vittorino Colombo, che negli anni degli ACLI - con l’ENAIP - e più tardi con la costituzione della Fondazione Luigi Clerici era stato uno dei più grandi fautori della formazione professionale, teneva che in Brianza nascessero buone scuole professionali che non costringessero i giovani a spostamenti lunghi e faticosi. Di certo anche a questa operazione si deve lo sviluppo economico della Brianza d’oggi.

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Ma per venire alla Valle del Lambro, Vittorino Colombo favorì una riqualificazione edilizia senza pari. Con gli amici del Consorzio ACLI - Casa di Milano e con quelli del Consorzio Casa Milano, dopo la dopo la dolorosa frattura dovuta alla “scelta socialista” della dirigenza aclista di Labor, Edoardo Freddi, Giuseppe Palmisano, Elio Malvezzi e tanti altri, vennero costruite per gli albiatesi numerose case in edilizia convenzionata che contribuirono a risolvere l’annoso problema della casa in una terra da sempre sovrappopolata. Infine, ma non meno fondamentale punto, Vittorino Colombo guarda con grande favore alla nascita nel 1954 della Cassa Rurale ed Artigiana di Triuggio, espressione concreta dei principi cooperativi della mutualità senza fini di lucro che suo padre Aquilino aveva sostenuto quasi vent’anni prima. I primi soci e beneficiari della sua attività creditizia sono agricoltori ed artigiani locali; nel 1994, a seguito modifica del 113


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Testo Unico, la Cassa Rurale ed Artigiana assume la denominazione di Banca di Credito Cooperativo allargando la compagine sociale anche al resto della cittadinanza, alla fine del 2007 la BCC di Triuggio che nel frattempo ha fondato filiali comuni di Triuggio, Macherio, Vedano, Sovico, Veduggio con Colzano, Biassono, Cassago Brianza, Besana, Bulciago e Briosco e in tutti i comuni ad essi limitrofi fino a Valmadrera in provincia di Lecco, ha deciso di darsi un nuovo nome, quello di Banca di Credito Cooperativo della valle del Lambro.

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Per tutti questi anni Colombo rimarrĂ vicino alla sua nascita e alla sua dirigenza: amico del Senatore e attuale Presidente, il Cav. Carlo Tremolada, ne conserva per questo un ricordo affettuoso.

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Non ha senso in questo capitolo ricordare in maniera sistematica la storia dei lunghi viaggi per il mondo di Vittorino e Don Pino Colombo. Se del primo abbiamo un suo resoconto in “La Cina verso il 2000” che pubblicò nel 1986 e il bel libro “Sulle orme di Matteo Ricci -Vittorino Colombo - Pioniere delle relazioni Italo Cinesi” del suo segretario Gilberto Perego e del giornalista dell’”Avvenire” Antonio Airò, del secondo non si sa quasi nulla: non è rimasto un diario e le poche lettere sono ancora da riordinare nell’archivio donato dalla sorella Tina al Seminario di Venegono. Ci basterà quindi ricordare qualche curiosità mai evidenziata fin ora e il perché di una missionarietà che ha sempre caratterizzato i fratelli Colombo. Lo stesso Don Pino ce lo spiega in una bella frase “a nostro avviso i compiti attuali dell’Occidente in quanto cristiano consistono innanzitutto nel recupero della sua identità di Terra del già e non ancora; il che, a ben vedere, ha il preciso 118


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significato della conversione a Cristo alla quale segue la missionarietà”. Espressione questa impegnativa che precede di molti anni la polemica sulle radici cristiane della nostra cultura e la loro necessità nel rapportarsi con il mondo.

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I due fratelli sanno che senza partire da una profonda fede e un recupero forte della propria identità spirituale ogni dialogo con l’esterno è inutile: si ricadrà solo in un’utilitaristica caccia alla affermazione della propria ideologica visione del mondo e della storia, e ogni contatto naufragherà nell’incomprensione reciproca. Solo con la maturità di Vittorino e di Don Pino i due decidono di provare esperienze all’estero: sono gli anni ‘60 ed entrambi hanno oramai alle spalle un lungo cammino spirituale ed umano. Entrambi hanno nelle orecchie le espressioni “mediazione culturale”, “inculturazione della fede”, “importanza teologica del destinatario” tanto care alla riflessione dell’uomo che entrambi considerano 119


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un maestro di vita: Giuseppe Lazzati (Don Pino fra l’altro coordinerà la commissione teologica che vaglierà gli scritti del fondatore dei Milites in vista dell’apertura della sua causa di beatificazione). Entrambi sanno quanto la loro opera sia fondamentale nei Paesi oltre le cortine - di ferro e di bambù - e si mettono a disposizione della Chiesa che cerca di riannodare con difficoltà i rapporti con comunità cristiane decimate e disorientate e di “normalizzare” i rapporti con regimi dichiaratamente atei ed ostili alla Santa Sede. Vittorino Colombo è già negli anni ‘60 in Bulgaria, in Polonia, in Ungheria, in molte missioni diplomatiche. Don Pino viaggia in incognito in Unione Sovietica dove forse è incaricato di riprendere i contatti con la Chiesa Ortodossi e i pochi fedeli raccolti intorno alla Chiesa di S, Luigi dei Francesi a Mosca. E poi negli anni ‘70 si apre la grande “operazione Cina” di Vittorino tramite 120


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l’Istituto Italo cinese. Nel 1971 Colombo manda in perlustrazione insieme ad alcuni operatori economici don Franco Demarchi che gli apre le strade per i suoi numerossimi viaggi successivi.

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Perego e Airò ci hanno spiegato alcuni dei motivi per la nascita di Vittorino Colombo di questo amore per la Cina, che lo porterà ad essere oltre che uno degli artefici dei rapporti fra questo paese e l’Italia, anche uno dei più a lungo riconosciute come tale amico del popolo cinese, e consigliere della Santa Sede nei rapporti con esso. Vittorino Colombo, che è diventato ministro del Commercio Estero, riceve da Nenni, nuovo titolare della Farnesina un’investitura a fare qualcosa. Contemporaneamente l’amico La Pira lo sprona con paterna pressione: piovono ammonimenti, inviti, richiami a specifiche responsabilità... Vittorino Colombo non si è ancora insediato al ministero che La Pira gli scrive, il 26 novembre 1968, 121


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esortandolo all’azione: “... dipende da voi; ci vuole per queste cose coraggio storico, politico; ci vuole la “fede totale” in questo..... metti mano all’aratro: tu e gli altri amici: aprite all’Italia, all’Europa, un solco vitale pieno di speranza cristiana, terrestre e celeste”. Due mesi dopo il 4 febbraio 1969, La Pira torna alla carica: “Vengo da Parigi, ho visto persone di peso relativamente ai tre grandi problemi: Vietnam, Cina, Medio Oriente: conclusione? Continuare sino in fondo l’operazione Cina (porta il segno cristiano della speranza !) . L’abbiamo iniziato noi da tanti anni...”. Infine nel 1971, quando Vittorino Colombo è allontanato dagli incarichi ministeriale la Corrente e Donat Cattin lo investono per il Partito dei rapporti con la Cina: alcuni lo chiamano risarcimento altri l’inizio della sua opera più importante. Ma pochi sanno che un non detto dell’agire di Vittorino Colombo nasceva dai suoi ricordi albiatesi.

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Fra i cittadini illustri di Albiate si annovera, infatti, un Padre Angelo Vergani. Questo religioso nacque nel 1901, entrò non giovanissimo nel PIME (1927) enel 1931 fu inviato in Cina dove rimase fino alla sua espulsione del 1953, emorì a Milano nel 1968. Capitolo 5

Certamente Vittorino ricordava le sue lettere pubblicate negli anni ‘30 sul bollettino parrocchiale. L’affetto di Vittorino Colombo per il PIME, vera e continua presenza missionaria cattolica in Cina lungo tutto il ‘900, e con Padre Angelo Lazzarotto in particolare, forse si spiega anche da questi lontani ricordi di infanzia.

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E forse non fu pure ininfluente che negli anni di soggiorno di Padre Vergani in Cina fosse Vicario Apostolico (1926) e poi vescovo (1942 fino al 1951) il caratese Mons. Enrico Valtorta, anch’egli Missionario del PIME e molto amico del Parroco Don Felice Milanese.

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Ma Vittorino Colombo era stato anche un viaggiatore in Occidente. Si ricorda un suo memorabile viaggio negli Stati Uniti negli anni ’50. Vittorino già allora riconosce i limiti di una politica estera spesso aggressiva e poco portata al dialogo. Vittorino Colombo è un giovane sindacalista e frequenta alcuni corsi ad Harvard: quelle aule della storica università impara, però, quanto gli Usa siano all’avanguardia nei confronti della Vecchia Europa. Imparerà molte lezioni: una di queste fu quella che chiamerà “la politica dei cento fiori”. Proprio il Colombo, come ministro delle Poste e Telecomunicazioni, comprenderà come una apertura e un pluralismo del sistema radiotelevisivo siano la garanzia di una buona democrazia. Fu proprio lui che incoraggerà tanti amici, fra cui Giuseppe Palmisano e Carlo Mazzucchelli a fondare una delle prime emittenti private: TVM66 - Canale 6.

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Il progetto di fondare un network di ispirazione cristiana naufragherò ma sarà una grande palestra per numerosi giovani giornalisti ancora oggi volti noti della TV.

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Il 2008 è un anno importante per la famiglia Colombo: saranno i sessant’anni dalla ordinazione sacerdotale di Don Pino, i 25 anni dalla elezione di Vittorino a Presidente del Senato, il suo traguardo politico più importante e della scomparsa di Silvia, gli 85 anni dalle coraggiose dimissioni di Aquilino Colombo da Sindaco, il primo anno di vero riposo dal lavoro della signorina Tina. La famiglia Colombo non ha bisogno di fare bilanci: quello che hanno lasciato alla Brianza, al loro Paese, alla Chiesa testimonia a loro favore. Forse un bilancio devono farlo coloro che ne ammirano l’opera. Nel 1996 se ne è andato il Senatore Colombo, mons. Colombo nel 2005. Tanto era cambiato negli anni vorticosi del dopoguerra da quando avevano cominciato la loro opera. Entrambi se ne sono andati in un periodo di disorientamento diffuso che oggi si ripropone più forte. Ma Vittorino e Don Pino Colombo non disperavano: continuavano a informarsi, a pubblicare le loro idee, a spronare a darsi da fare, a “spor128


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carsi le mani” anche in quella transizione difficile, tanto defatigante. E così non lasciavano i loro compagni alla disperazione e allo scoraggiamento, ricordando i momenti ben più difficili trascorsi, sotto il Fascismo e durante la Guerra, dalla loro famiglia. Forse questo tratto del loro carattere - il non lasciarsi mai piegare - insieme al loro grande desiderio di costruire per la loro terra, la loro gente e la loro Chiesa, hanno fatto sì che il Senatore e il Monsignore non solo siano tanto ricordati, benvoluti, ammirati per la loro vita tanto straordinaria nella propria normalità; ma al contempo se ne voglia continuare l’eredità di approccio intelligente e pragmatico alla realtà, la riflessione lucida sulle cose, l’ottimismo sulle energie positive che la società civile, i giovani e il mondo cattolico portano con sé. A pochissimi giorni dalla morte di Vittorino i suoi amici erano già all’opera: tante telefonate, molte lettere e una disponibilità straordinaria. Il 15 luglio 1996 in tanti sodali di Vittorino costituivano la Fondazione Vittorino Colombo. 129


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Ogni anno la Fondazione e il Comune di Albiate ricordano il Senatore con il Premio Premio Internazionale Vittorino Colombo ormai giunto alla undicesima edizioni sotto gli auspici del prof. Angelo Caloia, Presidente della Fondazione, e il dott. Filippo Vigano, che di Albiate è Sindaco. A pochi giorni dalla scomparsa di Don Pino tanti suoi allievi della facoltà teologica hanno cominciato l’opera di recupero di tante sue carte inedite. Vale la pena di concludere questa breve opera - che non ha voluto essere storica, ma un affettuoso ricordo di una famiglia e della sua straordinaria e ordinaria epopea contemporanea - con alcune parole di Vittorino Colombo, che i suoi famigliari certamente condividono e condividevano: “... non ci si pensa tanto nel periodo giovanile quando l’esigenza, l’urgenza del fare, del progettare, del costruire, non ti dà quasi il tempo di fermarti a riflettere. Tutto ti spinge a guardare avanti, al mondo da ricreare, anche al bene da compiere e quasi ti senti indispensabile, pro130


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prio come se il mondo non potesse vivere senza di te. Nel periodo della maturità (o della terza o quarta età) è tutt’altra cosa. Il tempo sembra rallentato. No, non fugge via come il vento, ma passa e trascorre lasciando spazi che sembrano infiniti e per i pensieri più disparati. L’urgenza del fare non è più così impellente, ma più ragionata; anche la tua incidenza nel tempo e nella storia risulta riportata nei limiti della ragione e della realtà: cioè una parte piccola quasi infinitesimale dell’umanità. Quale peso reale, quale incidenza, quale presenza? E in queste condizioni è facile sentirsi soli... È con queste convinzioni, frutto del dono della fede ho trovato serenità, fiducia, gusto della vita e quindi il ritorno alla salute dell’oggi, ma anche il gusto, la gioia, il desiderio.. dell’attesa, del dopo, della vera vita finale, che deve passare anche attraverso l’ostacolo della morte. Tutto è previsto. Tutto ha un senso. Recupero della salute, o gioia e desiderio dell’attesa. Che fare? Non resta che ringraziare Dio che ci è Padre”.

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GIUSEPPE COLOMBO (1923-2005) I suoi studi e il suo insegnamento sono avvenuti nei seminari milanesi. La ricerca teologica di don Pino si è così accompagnata strettamente all’attività di professore nella facoltà di Vengono. Un’esperienza fondamentale fu l’organizzazione, come collaboratore del preside mons. Carlo Colombo, della facoltà teologica dell’Italia settentrionale con sede nei chiostri di s. Simpliciano in piazza Paolo VI a Milano. In questa facoltà tenne a lungo la docenza di metodologia teologica. Dal 1985 al 1993 ne fu il preside. Opere principali: La ragione teologica (1995); La teologia italiana. Materiali e prospettive 1950-1993 (1995); Del Soprannaturale (1996); Teologia sacramentaria (1997). Con altri autori: L’evidenza e la fede (1988). Si tratta in gran parte della sistemazione in volume ed eventualmente del completamento di una lunga serie di studi pubblicati nel corso dell’attività di insegnante e studioso.

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Diverse sue opere sono scritte in collaborazione: questa scelta ne sottolinea il continuo dialogo anche critico con altri teologi, soprattutto milanesi. Ebbe, in particolare, una grande amicizia con Luigi Serenthà e Giovanni Moioli, due colleghi che la morte si prese mentre erano ancora nel pieno dell’attività. Don Pino fu per Milano una figura eccezionale di maestro. Negli ultimi anni di vita scrisse anche dei piccoli libri di riflessione e di meditazione, aperti a un pubblico più vasto. Alcune sue frasi: Da L’ordine cristiano (1993) La creazione in Cristo di ogni uomo non è da intendere come una spinta che butta l’uomo nel vuoto senza rete, ma come un gesto amoroso - l’immagine, se non apparisse un po’ sentimentale, è quella dell’abbraccio - di Gesù che crea l’uomo attirandolo a sé per ispirargli, la sua vita. Fare la volontà del Padre implicava da un lato l’affidamento completo a Lui, come se la propria vita Gesù non la tenesse nella proprie mani, ma l’attendesse, istante per istante da Dio/il Padre e, dall’altro, l’apertura al prossimo, nel senso di non vivere per sé, ma per gli altri. 136


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L’eucaristia è l’invito alla comunione di vita con Gesù Cristo...significa condividere la medesima sorte. È da ammirare la fede e il coraggio dei genitori che presentano al battesimo il loro bambino: lo candidano al “destino” di Gesù Cristo. Gesù Cristo che prega non intende cambiare la volontà del Padre, ma farla propria.

Da Verso il tramonto (2004) La fede può crescere e diventare sempre più posseduta. E lo diventa in dipendenza dalla relazione della persona che crede con Gesù Cristo...costituita dall’unione, donazione di Gesù Cristo, che è sempre data, e quindi è sempre totale e definitiva; e dalla risposta di chi crede, che non è mai totale e definitiva.... La fede si confonde e scorre silenziosamente con la vita vissuta (...) In conclusione, il principio della differenza tra i privilegiati e i normali è la fede.

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VITTORINO COLOMBO (1925-1996) Nato ad Albiate (Milano), il 3 aprile 1925, morto a Milano il 1° giugno 1996. Ha conseguito la Laurea in Economia e Commercio presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Fino al 1958 esercita l’attività professionale nei settori di ricerche e commerciale della Montecatini di Milano (Bovisa). Membro della commissione Interna del Consiglio Provinciale e Nazionale della Federchimici CISL e del Consiglio generale della CISL di Milano. Già Vicepresidente delle ACLI di Milano, ricopre l’incarico di membro del Consiglio Provinciale e Nazionale delle ACLI. Consigliere Nazionale della DC, dirige l’ufficio Centrale DC per i problemi dell’Economia e del Lavoro per gli Enti Locali e per il programma Sociale. Presidente dell’UNCCEA (Unione Nazionale Consorzi Cooperative Edilizie ACLI) e direttore della rivista “Partecipare”, periodico ACLI. 139


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25 maggio 1958 , Eletto Deputato Circoscrizione di Milano-Pavia.

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28 aprile 1963, Rieletto Deputato nella stessa Circoscrizione. 23 febbraio 1966 - 24 giugno1968, Sottosegretario alle Finanze nel III Governo Moro. 19 maggio 1968, Rieletto Deputato nella stessa Circoscrizione. 12 dicembre1968 - 8 agosto 1969, Ministro del Commercio con l’Estero nel I Governo Rumor. 5 agosto 1969 - 27 marzo 1970, Ministro della Marina Mercantile nel II Governo Rumor. 7 maggio 1972, Rieletto Deputato nella stessa Circoscrizione. 14 marzo 1974 - 23 novembre 1974, Ministro della Sanità nel V Governo Rumor. 20 giugno 1976, Eletto Senatore nel Collegio di Monza.

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29 luglio 1976 - 11 marzo 1978, Ministro delle Poste e Telecomunicazioni nel III Governo Andreotti. 11 marzo 1978 - 20 marzo 1979, Ministro dei Trasporti e Marina Mercantile nel IV Governo Andreotti. 20 marzo 1979 - 4 agosto 1979, Ministro delle Poste e Telecomunicazioni nel V Governo Andreotti 3 giugno 1979, Rieletto Senatore nel Collegio di Monza. 4 agosto 1979 - 4 aprile 1980, Ministro delle Poste e Telecomunicazioni nel I Governo Cossiga. 26 giugno 1983, Eletto Senatore nel Collegio di CantĂš. 15 giugno 1987, Eletto Senatore nel Collegio di Sondrio. Nel gennaio del 1983 Vice Presidente del Senato. Nel maggio del 1983 Presidente del Senato.

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5 aprile 1992, Rieletto Senatore nel Collegio di Sondrio. Membro di numerose Commissioni: Lavoro, Industria, Finanze, Tesoro, Esteri e Commissioni per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi. Membro dell’Assemblea del Consiglio d’Europa e dell’Unione dell’Europa Occidentale (UEO) dal 1990 al luglio del 1994 e Presidente della Commissione relazioni parlamentari e pubbliche del Consiglio d’Europa. Ha guidato delegazioni Europee a: Varsavia, Budapest, Praga, Sofia, Madrid, Helsinki ed Israele. Presidente dell’Istituto Italo Cinese per gli Scambi Economici e Culturali e della Camera di Commercio Italiana in Cina, ha instaurato rapporti con i massimi dirigenti della Repubblica Popolare Cinese: Zhou Enlai, Zhao Ziyang, Hu Yaobang, Li Peng, Jiang Zemin e Deng Xiaoping. Presidente della Federazione delle Camera di Commercio Estere ed Italo Estere dell’Europa Centro Orientale e dell’Asia in Italia (FE. CAM. EST.). Presidente onorario della Camera di Commercio Italo Coreana per gli scambi economici e culturali Fondatore e Consigliere del Consorzio Casa Milano. 142


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Autore di numerose pubblicazioni: Commercio estero e politica di piano, Franco Angeli, Milano (1970) La giungla Sanitaria, Vallecchi, Firenze (1977).

Frammenti del pensiero politico di Vittorino Colombo a) La politica come servizio “La politica deve essere intesa come servizio da rendere alla comunità delle persone, espressione del servizio primario di ciascuno verso tutti, in una visione organica e solidale del corpo sociale; una concezione, cioè, delle forze politiche e dei loro ruoli visti come espressione delle aggregazioni di base e delle loro aspirazioni, che nessuna ideologia può incasellare. È la traduzione in termini storici attuali di una grande aspirazione cristiana, di solidarietà, e di servizio che, se nel suo compimento va oltre i tempi della storia e oltre i tempi della realizzazione politicamente compatibili, contribuisce tuttavia a fondare orientamenti e valori, in perfetta sintonia con le esigenze di rinnovamento della società”. (V. Colombo, Cattolicesimo sociale, movimento 143


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operaio, democrazia cristiana. Editrice Massimo, Milano 1983).

b) La crisi dei valori 1) “Siamo di fronte ad una crisi di identità che non è solo nostra (della D.C.), ma che ha coinvolto tutto il mondo cattolico italiano. Una crisi prodotta dall’affermazione di una nuova cultura che potremmo chiamare del disimpegno e del privato,e che ha sostituito quella precedente basata sui valori, sull’impegno e sulla solidarietà. Noi dobbiamo riuscire a contrapporre alla dimensione uomo , che è propria del marxismo, coì come della filosofia libertaria, una dimensione cristiana dell’uomo, che è unità e dualità insieme: la sua natura materiale deve essere innestata nella sua natura spirituale per essere unitariamente “persona”. Ripristinare i valori dello spirito significa riaffermare il valore della razionalità e della libertà, ossia di quei valori che danno dignità e consapevolezza di se stessi, che contrassegnano il passaggio dalla pura spontaneità istintiva alla capacità di scelta libera e responsabile.” (V. Colombo, Appunti sparsi. “Archivio privato Vittorino Colombo; 1981).

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2) “L’azione politica oggi è appiattita: sembra accompagnare con stanchezza o con improvvisate frenesie stati di necessità permanenti. Si è letteralmente bloccati da piccoli atteggiamenti tattici e si fa fatica a ritrovare la dignità e l’intelligenza di un disegno strategico che sia capace di preparare l’avvenire, di realizzare una vita nuova, una “città dell’uomo” nuova(...). Senza, dunque, un forte ritorno alle origini sul piano della riscoperta dei valori, su quello culturale e su quello formativo, qualsiasi tipo di impegno nelle realtà temporali non può dare frutti validi duraturi. Dobbiamo evitare dunque di fare discorsi troppo umani, di corto respiro, da piccolo cabotaggio, da riflusso nel privato, che nascondono certamente “peccati di omissione” e che impediscono la concreta testimonianza di fede nella storia.” (Vittorino Colombo, Spiritualità e politica. “I Quaderni albiatesi”. N 6. p 10. Albiate, 4\11\1982.) c) Il ruolo dei cristiani in politica “Vorrei partire, in questa mia riflessione, citando un passaggio significativo di La Pira: come si può essere consapevoli della propria vocazione cristiana che associa in Cristo ciascuno con tutti, e non sentire poi la necessità di operare perchè la cristianità si costruisca secondo un tipo di struttura socia145


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le nella quale la fraternità umana si concreti in istituzioni economiche, giuridiche, politiche e culturali storicamente adeguate? In tali enunciazioni appare evidente l’indicazione inequivocabile dell’obbligo, per i cristiani, di un impegno diretto ed attivo nella vita politica per la costruzione di una società in cui primeggi il valore della persona umana e della fraterna solidarietà; una società che è cristiana per la presenza di tali segni. Un impegno diretto ed attivo che rafforza il ruolo specifico del partito politico nella nuova condizione democratica. In antitesi con la tradizione liberale, si afferma la funzione preminente dei partiti nella vita democratica. La vecchia democrazia liberale consentiva una scarsa partecipazione del popolo all’esercizio del potere, dal momento che nessun organismo permanente lo interessava ai problemi politici, e soprattutto perchè l’esercizio del suo diritto di partecipazione veniva limitato unicamente al momento del voto, che avveniva ogni quattro o cinque anni. Invece, nella nostra concezione il partito politico si caratterizza quale strumento di inserimento e di partecipazione diretta e permanente delle masse nella vita dello Stato.” (V. Colombo, Cattolicesimo sociale, movimento operaio, democrazia cristiana. Editrice Massimo, Milano 1983). 146


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d) I paesi in via di sviluppo “Sempre più numerose sono le voci che fanno eco a quanto detto dal Presidente J. F. Kennedy, secondo il quale occorre dare un aiuto ai paesi poveri “perchè è giusto”, per un imperativodi ordine morale cioè, che deve costituire la base più certa e consistente di una politica del tutto umana nella storia dell’umanità. La Populorum Progressio indica tre doveri: di solidarietà, di giustizia sociale e di carità universale. Sviluppo, sottolinea Paolo VI, che esige trasformazioni audaci e profondamente innovatrici, alle quali ciascuno deve prendere parte coraggiosamente. Il trasferimento dei concetti di giustizia e di solidarietà sociale dal campo degli individui a quello delle nazioni è, dunque, qualcosa che indica veramente un progresso dell’umanità e che fa profondamente pensare all’instaurazione in terra della divina giustizia. Purtroppo, amaramente, occorre constatare che se grande è il valore dell’affermazione di principio, scarsa ne è l’attuazione!” (V. Colombo, Commercio estero e politica di piano. Franco Angeli Editore, Milano 1970).

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Si ringrazia la Fondazione CARIPLO per i contributi che hanno permesso il riordino dell’archivio Vittorino Colombo, senza il quale questo Volume non avrebbe potuto essere realizzato.


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120 anni di storia Brianzola: la Famiglia Colombo

Vittorino Colombo

Tina Colombo Marcello Menni

“...siamo in politica come cattolici e per affermare i valori del cattolicesimo democratico e non per altre ragioni...�

Tina Colombo

Marcello Menni

120 anni di storia Brianzola: la Famiglia Colombo

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