50anni di Democrazia Cristiana Milanese

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ELIANA VERSACE

1942 1994 50ANNI di Democrazia Cristiana Milanese Prefazione di Angelo Caloia




Autore Eliana Versace, dottore di ricerca in Scienze Storiche presso l’Università Cattolica di Milano, ha pubblicato il libro: Montini e l’apertura a sinistra. Il falso mito del “vescovo progressista”. Collabora all’attività storico-archivistica della Fondazione Vittorino Colombo di Milano.

Curatore del Volume Marcello Menni Prefazione Angelo Caloia

Introduzione Mons. Bruno Maria Bosatra Editoriale Valerio Marazzi

Nota conclusiva del Comitato Editoriale per la Storia della Democrazia Cristiana Milanese Carlo Bianchi e Michelangelo Prenna Copertina & Grafica marazzipartner.com www.marcomarino.agency Casa Editrice STET - Torino




Prefazione



In pochi giorni quindici anni fa fu scritta la fine della Democrazia Cristiana, una storia durata cinquant’anni. Molti furono i nostalgici, altrettanti quelli che considerarono una fortuna la fine della pretesa dell’unità dei cattolici in politica.

Forse cominciano ad essere maturi i tempi per qualche timido giudizio per una parabola, come quella democristiana, che ancora oggi suscita commenti contrastanti, richiami a eredità ideali e voci interessate a drenare il voto dei pochi nostalgici.

Le molte espressioni critiche sono ormai parte di un certo “politichese”. Ma la Democrazia Cristiana, che ha traghettato l’Italia dalle distruzioni della guerra alle fortune del boom economico, ha salvato il Paese da derive autoritarie di ogni segno e colore, trasmesso le pulsioni inter7


classiste e le esigenze di un popolo e portato il Paese in Europa, è ormai nella storia.

Tutto vero, come è vero che la “Balena bianca” non ha saputo rinnovarsi fino in fondo come hanno saputo fare i partiti “fratelli” in Germania, Austria e Spagna: cambiando uno stato elefantiaco e colmo di inefficienze; risolvendo le tematiche della rappresentatività e degli interessi nella vita del Paese; prevenendo fenomeni carsici come la corruzione di vasti settori della vita pubblica e l’allontanamento inesorabile di larghe fasce di elettori.

È difficile far capire che cosa è stata veramente la Democrazia Cristiana nel nostro Paese e a Milano, in particolare, dove l’impegno corale di un mondo, quello cattolico, si è potuto esprimere dopo un ventennio di silenzio e di intimidazioni. Un mondo variegato, fatto di uomini della strada che dedicavano - fino in fondo - la loro vita ad un ideale grande che aveva nello sviluppo, nella socialità e nella attenzione per la persona l’humus più profondo.

Su di essi, specialmente a Milano, sembra calato un velo, come se la città fosse nata ieri o ieri l’altro e la loro memoria sia diventata un’antica8


glia imbarazzante, da guardare con la sufficienza di “chi sa come fare”.

Certo gli uomini della DC a Milano non furono privi di contraddizioni, di errori, di avidità: ciononostante erano carichi di attivismo, di desiderio di coinvolgere la città, di progettualità - magari inadeguata e utopistica - ma certo sincera.

Oggi Milano sembra incarnare la lucida analisi che il CENSIS nel suo rapporto per il 2007 ha fatto della società italiana: “un’inerzia diffusa, una specie di antropologia senza storia, senza chiamata al futuro. Una realtà sociale impastata di pulsioni, emozioni, esperienze e, di conseguenza, particolarmente indifferente a fini e obiettivi di futuro, quindi ripiegata su se stessa. Una realtà sociale che inclina pericolosamente verso una progressiva esperienza del peggio[…]”, un insieme inconcludente di “elementi individuali e di ritagli personali” tenuti insieme da un sociale di bassa lega”.

La DC, ancorché collante imperfetto, era tutt’altro che di bassa lega: aveva un collegamento profondo con la società civile di cui comprendeva i problemi riuscendo a proporre qualche soluzione innovativa. Essa sapeva che per far politica, come per fare società, impresa, scuola, 9


due erano gli elementi fondamentali: giovani disposti a spendersi fino in fondo; e una formazione ricca di riflessione, ascolto elaborazione. È questa la DC che a Milano ha saputo creare una rete straordinaria di luoghi di incontro e di riflessione, che si sono dimostrati capaci di sopravvivere agli sconvolgimenti e che sanno dare ancor oggi qualche frutto. Una classe di giovani politici che, non sempre e non solo in politica, hanno saputo dare con l’impegno sociale, professionale, culturale un grande contributo a Milano.

Essi si sono formati alla scuola di alcune generazioni di uomini e donne a loro modo straordinari: da Luigi Meda, ad Albertino Marcora, a Vittorino Colombo e a tanti altri che la memoria degli addetti non faticherà a rievocare.

Ricordarli oggi non è un esercizio di pura erudizione, ma uno sforzo che la Fondazione Vittorino Colombo sta facendo per offrire alle nuove generazioni qualche spunto di riflessione e una speranza: non è sempre c’è stata “mucillagine”.

Il volume, realizzato dalla dott.ssa Versace, collaboratrice presso gli archivi della Fondazione, 10


non ha carattere di completezza né sui singoli profili né sull’esaustività degli stessi.

Questa agile operetta vuole solo contribuire a risvegliare e riunire nel ricordo i tanti amici che molto avrebbero ancora da dire e che - sull’onda di mai sorpassate virtù - potrebbero ancora farlo. Angelo Caloia

Presidente Fondazione Vittorino Colombo

Ordinario di Economia Politica presso la Facoltà di Giurisprudenza della Università Cattolica del S.Cuore di Milano

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Introduzione



Come tutti indubbiamente ricordiamo, nell’autunno del 2006, al Convegno ecclesiale di Verona, ogni regione d’Italia si volle presentare idealmente accompagnata e sostenuta dalle credenziali di emblematiche figure, recenti o remote, comunque rappresentative di quell’inconfondibile vissuto di santità cristiana, semplice e quotidiana, che è motivo di fierezza, non soltanto religiosa, per il nostro Paese. Nel presente volumetto, che ci è oltremodo caro presentare, la giovane e valente ricercatrice Eliana Versace si studia di rivisitare e mettere in luce non già la virtù canonizzata dei “Santi da altare”, ma un ampio mosaico di variegate forme di servizio ai fratelli, assunte nel nome del Vangelo, che della santità cristiana fanno in qualche modo però percepire l’inconfondibile “soave profumo”.

Il percorso, semplice e lineare, propone una galleria di ventisette personaggi - due sole le donne - nati tutti quanti a un dipresso tra la Rerum Novarum e la Quadragesimo anno, tutti ormai già scomparsi tra la metà del secolo XX ed i primissimi anni del XXI, accomunati dal primo all’ultimo - in sintonia con la lezione di 15


grandi uomini di chiesa: il card. Ferrari, mons. Francesco Olgiati, padre Gemelli, il card. Schuster, il futuro Paolo VI - dal desiderio di vivere un cristianesimo “fuori di sacrestia”, nell’assunzione generosa e tenace di impegni sociali, amministrativi, politici, sindacali, entro l’orizzonte di quella realtà che Giuseppe Lazzati avrebbe chiamato un giorno con felice espressione - echeggiante verosimilmente dal testo a lui carissimo dell’A Diogneto - la “città dell’uomo”.

Originari della nostra campagna o di piccoli comuni piemontesi, delle Marche o della Toscana, in più casi invece espressione tipica di una Milano alto-borghese ed imprenditoriale, i nostri personaggi mostrano nei loro itinerari quanto il capoluogo lombardo - in una inconfondibile stagione sociale ed ecclesiale - abbia saputo esprimere in termini di accoglienza verso le fresche e generose forze giovanili e quanto abbia a queste aperto spazi e percorsi per un’azione disinteressata anche nei campi più ardui e più ingrati: dal ruolo di assessore o di sindaco a quello di parlamentare, dalla attività di ministro a quella di funzionario a livello europeo. Dinanzi ai limpidi e luminosi ritratti, interessante può risultare l’individuazione di alcuni comu16


ni denominatori: i nostri esponenti di quel caratteristico cattolicesimo sociale che fu detto non senza arguzia “di rito ambrosiano” si presentano quasi sempre formati in Azione Cattolica, patrioti combattenti nella Grande Guerra (sino a raccogliere perciò benemerenze e decorazioni), tenaci oppositori del regime fascista (al punto da compromettere la propria sicurezza familiare, da dover a un tratto riparare nella vicina Svizzera, terra d’asilo, da giungere a vivere l’esperienza della detenzione a San Vittore o del campo di concentramento); dopo la tragedia del secondo conflitto mondiale essi sono poi in prima fila nel progettare con altri amici il futuro del Paese, nell’organizzare i quadri del nuovo partito dei cattolici italiani sul ceppo della solida eredità sturziana (con sfumature peraltro differenti: dalla prospettiva neoguelfa a quella degasperiana o gronchiana).

Nevralgico appare più o meno per tutti il momento dell’apertura a sinistra, delle cosiddette “giunte difficili”, della collaborazione strategica con i socialisti, degli anni di svolta coincidenti con la fine dell’episcopato milanese di Montini e con l’inizio del Concilio Vaticano II. Eliana Versace, che di Paolo VI è attenta studiosa e fine conoscitrice, vede una sorta di “cartina di tornasole” nel confronto tra i nostri 17


personaggi ed il presule bresciano: non esita così a sfatare ancora una volta - come in un suo recente apprezzatissimo saggio - l’immagine stereotipata di un Arcivescovo aperturista, ponendone viceversa in luce le grandi prudenze e le costanti cautele. Mentre auguriamo - soprattutto ai giovani - una fruttuosa lettura degli agili profili, raccomandiamo di non perdere di vista il variegato spettro di realtà ed istituzioni sulle quali l’impegno dei nostri personaggi produsse nel tempo una felice e feconda ricaduta sociale e culturale: dalla Pro juventute di don Carlo Gnocchi alla Croce Bianca, dall’Ospedale di Santa Corona al Pio Albergo Trivulzio, dalla Veneranda Fabbrica del Duomo all’Ambrosianeum, dal Touring Club al Circolo Filologico Milanese, dall’INAM all’Istituto Autonomo Case Popolari, dalla Triennale all’Ente Fiera di Milano. Volesse il cielo che tanto impegno e tanti frutti si rinnovellassero ai nostri giorni! Mons. Bruno Maria Bosatra

Direttore Archivio Storico Diocesano di Milano

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Ester Angiolini (1911-2006)


(1911-2006)

Ester Angiolini

Ester Angiolini nasce ad Almenno San Bartolomeo, in provincia di Bergamo nel 1911 in una famiglia numerosa e di salda fede cattolica. Dopo la nascita di Ester la sua famiglia si trasferì nella Svizzera tedesca dove l’Angiolini trascorse la sua infanzia per ritornare a Milano nel 1924. Dopo un ulteriore trasferimento a Cesate Milanese, dove la giovane ragazza iniziò a lavorare in un cotonificio, la famiglia Angiolini rientrò nel capoluogo lombardo. Qui Ester partecipò attivamente alla vita parrocchiale aderendo alla Gioventù femminile di Azione Cattolica e diventando ben presto una propagandista. Nel 1936 l’Angiolini diventa impiegata alla Montecatini, dove si andava diffondendo l’esperienza dei “raggi” di Azione Cattolica, intesi come metodo per cristianizzare quel duro ambiente di lavoro. Attraverso i raggi venivano affrontate tematiche di carattere sociale e politico, altrimenti censurate dal regime fascista. Al suo mondo di lavoro l’Angiolini dedicò diversi articoli apparsi su “Le nostre battaglie”, giornale della Gioventù di Azione Cattolica. 22


Durante la guerra si prodigò nell’assistenza ai perseguitati politici ed agli ebrei, mantenendo i contatti con i gruppi della Resistenza. Dopo la Liberazione Ester partecipò alle attività del movimento sindacale ed aderì alle Acli, divenendo membro del consiglio provinciale delle Acli milanesi. L’Angiolini, rappresentò la corrente cristiana del sindacato nel Comitato direttivo provinciale e nel Comitato direttivo nazionale di Federchimici negli anni del sindacato unitario per aderire, al momento della scissione sindacale nel 1948, alla Cisl. Posta di fronte all’incompatibilità tra cariche sindacali e cariche politiche, Ester scelse di dedicarsi all’attività politica. Nel 1951 l’Angiolini, nota a tutti come “la signorina”, era stata eletta consigliere comunale a Palazzo Marino, nelle liste democristiane. Sostenuta dall’Azione cattolica e dalle Acli milanesi, Ester fu rappresentante della corrente della sinistra sociale della D.C. e nel suo impegno, prima come consigliere e successivamente come assessore al Comune di Milano, prestò molta attenzione alle necessità ed ai problemi dei ceti più disagiati della popolazione milanese. Affrontò infatti il problema degli alloggi, dell’assistenza, della scuola e dell’educazione, e della famiglia. Nella seconda metà degli anni cinquanta si occupò delle scuole materne di Milano. 23


(1911-2006)

Ester Angiolini

Nel 1961, anche l’Angiolini condivise la scelta politica della Democrazia Cristiana per la formazione di una giunta di centrosinistra insieme ai socialisti, senza rinunciare alla propria ispirazione ideologica. Proprio alle elezioni comunali del 1960 i candidati aclisti ebbero un grandissimo successo riportando eletti ben sei candidati. Fu quindi con il sostanziale appoggio della sinistra sociale democristiana che i vertici locali del partito, appartenenti alla sinistra di Base, giunsero a varare la prima giunta di centrosinistra a Milano. Nell’amministrazione pubblica milanese l’Angiolini si occupò dapprima del settore dello Stato civile, che proprio negli anni sessanta iniziava ad essere informatizzato, e successivamente, dal 1970 al 1973, Ester fu assessore all’Igiene e alla Sanità, impegnandosi anche per l’igiene ambientale cittadina e lavorando nell’ambito della lotta alle tossico dipendenze. Nei due anni successivi le venne affidato l’Economato, di cui si occupò fino al 1975 quando, dopo trent’anni, la Democrazia Cristiana passò all’opposizione. Per 24


l’Angiolini, si doveva trattare di una “opposizione intelligente” che avesse come primario obiettivo il bene dei milanesi. Proprio nell’agosto del 1975, di fronte alle difficoltà anche organizzative, della nuova giunta, l’ Angiolini, dai banchi dell’opposizione, prestò la sua esperta collaborazione nelle questioni amministrative “per dare una mano a Milano”, venendo per questo ricordata come “sindaco d’agosto”, in quanto unico consigliere comunale presente in città, a disposizione dei cittadini. Per dieci anni ancora l’Angiolini partecipò alla vita politica di Milano, dagli scranni del Consiglio comunale fino al 1985, quando le scelte della dirigenza del partito la costrinsero a non ripresentarsi. Continuò comunque la sua attività nella Commissione femminile della D.C. di Milano, nella Consulta sanità cittadina, in alcuni consigli di zona e, sul piano culturale, nel Centro Studi Achille Grandi. Morì a Milano nel 2006. Note bibliografiche: M. Bocci, Ester Angiolini nella città di Ambrogio, Ned, Milano 1992. C.Fontana, All’ombra di Palazzo Marino 1941-1981, Mursia, Milano 1981.

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Giuseppe Brusasca (1900-1994)


(1900- 1994)

Giuseppe Brusasca

Giuseppe Brusasca, nasce all’inizio del secolo a Gabiano, un piccolo paese in provincia di Alessandria. La sua famiglia era stata molto presente nella vita pubblica del luogo. Sia il nonno che il padre erano stati sindaci ed il padre era stato anche deputato nella XXV e nella XXVI legislatura del Regno. Sin da giovane, Brusasca riceve una educazione cattolica prima presso i Salesiani e poi nelle file dell’associazionismo cattolico. Dal 1920 al 1923 sarà presidente diocesano e vicepresidente regionale della GMC (G.I.A.C.) e poi, durante gli anni universitari, aderì alla FUCI. Laureatosi in Giurisprudenza e successivamente in Scienze Economiche e politiche, Brusasca, sin dal 1919 aveva aderito al Partito Popolare, diventando membro del Comitato provinciale e dirigendo la rivista “Il domani” di Casale Monferrato. Nel 1922 venne eletto al consiglio comunale di Casale, riuscendo a conciliare gli impegni pubblici con una solida attività professionale, a cui si dedicherà esclusivamente negli anni della dittatura, dopo aver rifiutato la proposta fascista di aderire al partito in cambio dell’incarico di sindaco. Dopo l’abilitazione all’avvocatu28


ra Brusasca si trasferisce a Milano nello studio di Angelo Mauri, già deputato del Partito Popolare, entrando così in contatto con Marazza, Jacini, Meda, Malvestiti, Gronchi e mantenendo rapporti con Giuseppe Spataro. Nel 1942 anche lui parteciperà agli incontri in casa Falck e negli studi di Clerici e Marazza che avrebbero posto le basi per la nascente Democrazia Cristiana. Dopo l’8 settembre Brusasca svolgerà una intensa attività clandestina, fondando la formazione partigiana “Patria”, operante nell’alessandrino e diventando vicepresidente del Comitato di Liberazione Nazionale dell’Alta Italia. In questa veste, aveva avviato trattative, poi fallite, per la resa di Mussolini. Dopo la Liberazione, Brusasca, che si era espresso pubblicamente a favore della Repubblica, venne eletto alla Costituente ed entrò a far parte del II governo De Gasperi, nel luglio del 1946, come sottosegretario all’industria e commercio e, successivamente sottosegretario agli esteri. Insieme a De Gasperi, Brusasca sarà a Parigi, nella delegazione italiana per discutere il trattato di pace. Dopo una breve parentesi quale sottosegretario alla Difesa, Brusasca tornerà sottosegretario agli esteri e, dal luglio 1951, sarà Ministro per l’Africa italiana fino al 1953, quando il ministero verrà sciolto. Negli anni cinquanta venne nominato commissario per il coordinamento degli aiuti alle vittime 29


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Giuseppe Brusasca

dell’alluvione del Polesine, dove si trasferì per diversi mesi seguendo costantemente l’opera di ricostruzione. Brusasca venne rieletto deputato nelle prime quattro legislature, rientrando al governo nel 1955 come sottosegretario alla presidenza del consiglio con la delega ai problemi dello spettacolo. Nella V legislatura venne eletto al Senato ma, nel 1972, rinunciò spontaneamente alla candidatura e preferì dedicarsi al partito, fondando, strutturando e presiedendo il Movimento anziani della Democrazia Cristiana. Morirà a Milano nel 1994.

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Alessandro ButtĂŠ (1903-1976)


(1903-1976)

Alessandro Butté

Alessandro Buttè era nato a Milano l’11 agosto del 1903. Si formò nella Gioventù Cattolica, di cui fu vicepresidente diocesano e presidente cittadino e fu in stretto contatto con mons. Francesco Olgiati. In quegli anni Buttè scrisse su “L’Azione Giovanile” di cui diventerà direttore. Ancora giovanissimo, nel 1919, aderì al Partito Popolare ma, negli anni del fascismo, si dedicherà al lavoro in banca, pur senza accettare di prendere la tessera fascista, con grave rischio personale e per la sua numerosa famiglia. Buttè, infatti, dal matrimonio ebbe sette figli. In quegli anni coltivò i suoi interessi culturali e pubblicò, nel 1931, il libro “Leone XIII”, che ebbe la prefazione di mons. Francesco Olgiati. Nel 1943 Buttè promosse il Comitato lombardo studi per la democrazia, che avrebbe dovuto preparare i cattolici alle future responsabilità politiche. Nello stesso anno si iscrisse alla Democrazia Cristiana. L’anno successivo, insieme ad Achille Grandi e Luigi Clerici, fondò le A.C.L.I., da lui intese come “movimento sociale dei lavoratori cristiani” e nel 1947 ne divenne presidente provinciale. Due anni dopo, nel 1949, divenne direttore de “Il 34


giornale dei lavoratori”. Nel 1953 Buttè lasciò la presidenza delle A.C.L.I. essendo stato eletto deputato per la Democrazia Cristiana nella circoscrizione di Milano-Pavia con oltre 43mila preferenze. Nella Democrazia Cristiana fu anche eletto Consigliere nazionale nel 1956 al Congresso di Trento, nel 1959 al Congresso di Firenze e nel 1962 al Congresso di Napoli, sempre come esponente della sinistra sociale del partito. Insieme ad Ettore Calvi, Buttè promosse una inchiesta parlamentare sulle condizioni dei lavoratori italiani che venne approvata dalla Camera nel febbraio del 1954. L’iniziativa si ispirava ad un Libro Bianco preparato all’inizio degli anni cinquanta dalle A.C.L.I. milanesi. Nel 1958, rieletto deputato, entrò a far parte dell’ufficio di presidenza della Camera in qualità di Questore, incarico che tenne anche nella successiva legislatura. Inoltre Buttè divenne membro del direttivo del gruppo parlamentare democristiano e della Commissione permanente Lavoro e Previdenza sociale. Nel 1961, quando al Comune di Milano si realizzò la prima “giunta difficile” di centrosinistra, Buttè, nonostante la ferma contrarietà dell’arcivescovo Montini a questo esperimento politico, fu tra i sostenitori del tentativo che portò all’amministrazione di centrosinistra, guidata dal sindaco socialdemocratico Cassinis. 35


(1903-1976)

Alessandro Butté

Negli anni sessanta insieme a Ilario Bianco, Luigi Clerici e Vittorino Colombo, Buttè diede vita al Consorzio Acli-casa. Nel 1968, esaurita la sua esperienza parlamentare, si dedicò al Centro Studi Achille Grandi, da lui stesso fondato insieme agli amici Vittorino Colombo ed Ester Angiolini, e di cui rimase presidente fino alla morte che sopraggiunse il 5 maggio 1976. Note bibliografiche: E. Calvi, Alessandro Buttè. Un politico attento ai problemi dei lavoratori, “Diocesi di Milano”, n.18, ( 1977), pagg. 79-82. V. Colombo, Cattolicesimo sociale, movimento operaio, Democrazia Cristiana, Massimo, Milano 1983. G. Angeli, Buttè Alessandro, in Dizionario Storico del Movimento Cattolico in Italia (1860-1980), Casale Monferrato, Marietti 1984, vol.III-1, pagg.146-147. V. Colombo, Buttè Alessandro, in Dizionario della Chiesa ambrosiana, Ned, Milano 1987, vol.I, pagg.537-538. E. Peracchi, Alessandro Buttè nel movimento cattolico ambrosiano, Ned, Milano 1990.

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Ettore Calvi (1907-2001)


(1907-2001)

Ettore Calvi

Ettore Calvi nasce nel 1907 a Milano, nel popolare quartiere dei Navigli, presso cui trascorrerà quasi tutta la sua vita. Fin da bambino frequenta la parrocchia di Santa Maria al Naviglio, partecipando alle attività dell’Oratorio. Ma è l’incontro con mons. Francesco Olgiati, di cui aveva apprezzato il volume sulla questione sociale, che lo introduce nella Gioventù Cattolica milanese, di cui diventa propagandista, assumendo cariche direttive dal 1923 fino allo scoppio della seconda guerra mondiale. Dopo il conflitto, a cui partecipa facendo parte dei battaglioni aggregati ai Comandi Alleati, rientra a Milano, all’indomani della Liberazione. I bombardamenti, durante la guerra, avevano distrutto la stamperia presso cui Calvi esercitava la sua professione di tipografo e rientrato a Milano, Calvi ricevette dall’amico Alessandro Buttè la proposta di impegnarsi nell’attività sindacale. Iniziò quindi la sua esperienza sindacale diventando co-segretario del Sindacato dei Tipografi di Milano e per poco tempo, nel 1946, Segretario della Camera del Lavoro di Varese. Nello stesso anno Calvi viene richiamato a Milano 40


in qualità di vicesegretario della Camera del Lavoro di Milano, collaborando con gli esponenti sindacali comunisti e socialisti, fino al 1948 quando, con la scissione del sindacato unico, Calvi sarà tra i fondatori della Libera Confederazione Generale Italiana dei Lavoratori, diventandone anche segretario provinciale. In quel periodo, i sindacalisti cattolici iniziarono una stretta collaborazione con le Acli, presso la cui sede milanese di via Clerici, avevano trovato ospitalità. Anche negli altri piccoli e grandi centri della provincia il nuovo sindacato si appoggiò alle Acli che divennero, proprio in quegli anni, una fucina del sindacalismo cristiano. Negli stessi anni, dal 1950 al 1959, Calvi ricoprì l’incarico di segretario della Cisl a Milano e componente dell’esecutivo della Cisl confederale Nei primi anni cinquanta Calvi partecipò alle vita politica milanese entrando nel direttivo della Democrazia Cristiana, come esponente della nuova corrente Forze Sociali, fondata da Giulio Pastore e Mario Romani e che faceva diretto riferimento al sindacato, diventando consigliere comunale a Milano nel 1951. Due anni dopo, alle elezioni politiche del 7 giugno 1953, Calvi venne eletto deputato nella circoscrizione Milano-Pavia. In Parlamento, entrò a fare parte della Commissione Difesa, e poi, dal 1956 al 1960, diventò prima componente e poi 41


(1907-2001)

Ettore Calvi

vice presidente della Commissione Lavoro. Insieme a Buttè, che aveva ideato l’iniziativa, Calvi si fece promotore dell’Inchiesta parlamentare sulle condizioni dei lavoratori in Italia, approvata dalla Camera nel febbraio del 1954 e raccolta in ventisei volumi, e collaborò anche alla stesura della legge sull’Inacase per i contadini. Calvi venne rieletto deputato alle elezioni del 1958, nella stessa circoscrizione, ed in questa legislatura, nel governo guidato da Amintore Fanfani, diventa sottosegretario al Lavoro e alla Previdenza sociale, incarico in cui verrà riconfermato anche nei successivi governi di centrosinistra guidati da Leone e Moro, fino al 1968. In questa veste dedica molta attenzione al problema dei contratti di lavoro e all’addestramento professionale, per cui aveva deleghe speciali. Calvi verrà riconfermato deputato per la stessa circoscrizione ancora nel 1968, mentre nel 1972 sarà eletto senatore, nel collegio di Rho, entrando a far parte della Commissione Industria e Commercio. Lascerà l’attività parlamentare nel 1976, 42


continuando il suo impegno culturale e sociale con la Fondazione Luigi Clerici, da lui costituita insieme agli amici Filippo Hazon e Vittorino Colombo, fino quasi agli ultimi anni della sua vita. Ettore Calvi si dedicò anche alla poesia, in dialetto milanese, raccogliendo e pubblicando un volume di “Poesie dialettali sparse”, per cui vinse il Premio Carlo Porta nel 1990. Morì a Milano nel 2001. Note bibliografiche Aa.Vv., Ricordo di Ettore Calvi, Fondazione Clerici, Milano 2004.

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Edoardo Clerici (1898-1975)


(1898-1975)

Edoardo Clerici

Edorado Clerici apparteneva ad una famiglia dell’alta borghesia lombarda, ed era nato a Como nel 1898. Gli anni della sua formazione furono influenzati dall’incontro con mons. Francesco Olgiati, punto di riferimento di molti giovani che aderiranno al Partito Popolare e, nel secondo dopoguerra, rappresenteranno la prima generazione democristiana. Clerici studiò a Pavia dove si laureò in Giurisprudenza nel 1919, intraprendendo la carriera di avvocato. Dal 1920 al 1923 mantenne la carica di presidente della GIAC milanese e partecipò pure alla vita politica locale aderendo al PPI di cui fu l’ultimo consigliere delegato per la sezione milanese, assumendone anche la guida, dal novembre 1925, fino allo scioglimento del partito, l’anno successivo. Edoardo Clerici fu uno dei principali ispiratori del giornale “Il Domani d’Italia”, insieme a Luigi e Gerolamo Meda. Durante il periodo fascista, Clerici partecipò alle attività dell’associazione Pro Cultura e nel 1934 insieme a Luigi Meda, difese Malvestiti, Malavasi e Rodolfi nel processo ai neoguelfi, tenutosi davanti al Tribunale speciale. Nei primi anni quaranta Edoardo Clerici 46


partecipò attivamente alla riorganizzazione dell’attività politica dei cattolici, mantenendo i rapporti con gli ex popolari, come Francesco Luigi Ferrari, che visitò a Lovanio e Giuseppe Spataro, tanto che Clerici sarà presente nell’estate del 1942, in rappresentanza dei democristiani milanesi all’incontro con De Gasperi in Valsugana. Insieme a Stefano Jacini, Edoardo Clerici firmerà, il 26 luglio del 1943 all’indomani della caduta del regime, nello studio milanese dell’avvocato azionista Adolfo Tino il “Manifesto dei sei partiti antifascisti”. Dopo l’8 settembre, Clerici sarà costretto a fuggire in Svizzera, dove presiederà il Comitato di Liberazione Nazionale dei fuoriusciti democratici italiani, organizzando la pubblicazione del giornale “Libertà”, di cui fu direttore e finanziatore. In quell’anno era uscito il suo saggio “Fascismo, liberalismo, democrazia cristiana”, quasi in contemporanea con la pubblicazione delle “Idee ricostruttive della Democrazia Cristiana”. Insieme a Grandi, Gronchi, Luigi e Gerolamo Meda, Migliori e Augusto De Gasperi Clerici contribuì alla formulazione del Programma di Milano, contribuendo a far convergere il gruppo neoguelfo di Malvestiti nella nascente Democrazia Cristiana. I sedici punti del Programma, nel luglio 1943, sarebbero poi stati resi noti con manifesti sui muri di Milano. 47


(1898-1975)

Edoardo Clerici

Dopo la Liberazione, rientrato a Milano nell’estate del 1945, si impegnò politicamente con la D.C., contribuendo ad allargare il consenso verso il partito da parte delle masse cattoliche anche attraverso la pubblicazione e la diffusione del suo saggio “Perché siamo democristiani”. Clerici favorì la nascita delle Acli di cui divenne presidente provinciale e regionale dal 1945 al 1947. Nel 1946 venne eletto alla costituente nel collegio MilanoPavia e nel 1948 venne eletto alla Camera dei Deputati, ricoprendo l’incarico di sottosegretario al commercio estero nel VI governo De Gasperi. Edorado Clerici fu molto attivo anche nella vita politica milanese, diventando consigliere comunale nel 1956 ed essendo successivamente riconfermato fino al 1970 ed impegnandosi come capogruppo ed assessore al Comune di Milano. La sua carriera politica ebbe pure una tappa europea quando, dal 1949 al 1954, Clerici divenne deputato all’Assemblea Consultiva del Consiglio d’Europa a Strasburgo. Edoardo Clerici morì a Milano nel 1975.

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Note bibliografiche: C.D. Faroldi, E. Clerici: un cattolico impegnato nella vita pubblica, in “Diocesi di Milano”, 1976, n.4, pagg.190-192. R. Broggini, I rifugiati italiani in Svizzera e il foglio “Libertà”, Cinque Lune, Roma 1979. A. Ferrari, Clerici Edoardo, in Dizionario Storico del Movimento Cattolico, Marietti, Casale Monferrato 1984, vol. III-1, pagg. 233-234. Id., Clerici Edoardo, in Dizionario della Chiesa ambrosiana, Ned, Milano 1987, vol. II, pagg. 854-855.

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Vittorino Colombo (1925-1996)


(1925-1996)

Vittorino Colombo

Vittorino Colombo nasce ad Albiate, paese della Brianza, in una famiglia profondamente cattolica, molto impegnata nella vita sociale e politica locale. Il padre di Vittorino, Aquilino, era stato uno dei fondatori del Partito Popolare di Albiate e sindaco del Comune brianzolo fino all’avvento del fascismo. Il giovane Vittorino, si impegna attivamente nella G.I.A.C., maturando un robusto sentimento antifascista e consegue il diploma di perito chimico nel luglio del 1944. Negli anni difficili della guerra e dell’immediato dopoguerra, Vittorino Colombo, per aiutare la famiglia, si impiega in fabbrica, manifestando la sua fede in diverse occasioni, con coraggio, in un ambiente in cui ancora molto forti e sentiti erano i contrasti ideologici. Impegnatosi nel Comitato di Liberazione Nazionale, alla fine della guerra Colombo partecipa attivamente all’attività delle Acli e del sindacato, con grande impegno organizzativo, collaborando con Achille Grandi, Luigi Clerici, Ettore Calvi ed Alessandro Buttè. Ma, per restare vicino alla famiglia in quegli anni difficili, rifiuterà di assumere la carica, che gli era stata offerta, di segretario gio52


vanile nazionale delle A.CL.I. Diventerà comunque vice segretario provinciale di Milano. Con grande sacrificio e fatica si laureò, da studente lavoratore, in Economia e Commercio all’Università Cattolica di Milano, e divenne dirigente del centro studi della Montecatini. In questo stesso periodo Vittorino Colombo presterà il suo fondamentale contributo alla nascita e al rafforzamento delle cooperative edilizie diventando presidente dell’UNCCEA (Unione Nazionale Consorzi Cooperative Edilizie Acli) e fondando il Consorzio Casa di cui sarà anche consigliere. L’intensa campagna elettorale del 1948 avvicinò il giovane Colombo al mondo della politica, motivandolo ad entrare nella Democrazia Cristiana dove si impegnò con la corrente sindacale “Forze Sociali”, che più avanti assunse il nome di “Rinnovamento democratico”, accogliendo tra i suoi esponenti molti membri delle Acli. Alle elezioni politiche del 1958, Vittorino Colombo venne eletto deputato con un elevato numero di preferenze, grazie al sostegno del mondo cattolico e da allora rimase ininterrottamente parlamentare fino all’inizio degli anni novanta (passando nel 1976 dalla Camera al Senato). Nel gennaio del 1961, la convergenza delle due sinistre democristiane, quella sociale e quella politica rappresentata dalla Base che, con la 53


(1925-1996)

Vittorino Colombo

segreteria di Marcora, guidava il partito in Lombardia, permise la costituzione della prima giunta di centrosinistra al Comune di Milano con l’alleanza tra democristiani e socialisti. La Base e Rinnovamento democratico, che si fronteggiavano nel partito, rappresentando la maggioranza degli iscritti, in occasione del Congresso nazionale democristiano del 1964, si presentarono unite in una lista chiamata “Forze Nuove”, che non rappresentò subito una nuova corrente perché la Base mantenne la sua organizzazione e la sua agenzia d’informazione. Forze Nuove, in cui confluirono gli aclisti e i sindacalisti di Rinnovamento Democratico, venne allora ristrutturata da Carlo Donat Cattin e Vittorino Colombo che ne assunsero la guida. Le divergenze politiche con la Base diventarono insanabili quando nel 1976 Vittorino Colombo, che pure era stato favorevole alla nascita del centrosinistra, espresse una ferma posizione contro il compromesso storico, ma anche contro i governi di solidarietà nazionale sostenuti dalla non sfiducia dei comunisti. Le due sinistre si combatterono ad un viva54


ce Congresso provinciale della D.C. milanese, in cui, per iniziativa di Vittorino Colombo, la corrente milanese di Forze Nuove si alleò al gruppo moderato di Roberto Mazzotta, con l’appoggio del Movimento popolare di Roberto Formigoni, in opposizione alla linea politica basista e morotea. Anche Carlo Donat Cattin, che inizialmente non condivise questa iniziativa di Vittorino, assunse in seguito una ferma posizione anticomunista. Vittorino Colombo ebbe anche molti incarichi di governo a partire dal III governo Moro, nel 1966, in cui fu sottosegretario alle Finanze. Dall’esperienza di Ministro del Commercio con l’estero, nel I governo Rumor, nel 1968, scaturì il suo interesse per i rapporti con i paesi dell’Est Europa, soggetti ai regimi comunisti. In questa direzione fu molto intenso il suo impegno come Presidente della Federazione delle Camere di Commercio Estere ed Italo Estere dell’Europa Centro orientale e dell’Asia (FE. CAM. EST.) e come membro di molte delegazioni europee a Varsavia, Budapest, Praga e Sofia. Il nome di Vittorino Colombo è anche legato alla costruzione di un “nuovo corso” nei rapporti politici, economici e diplomatici che aveva instaurato con le autorità cinesi, da Zhou Enlai a Jiang Zemin e Deng Xiaoping. Questa sua attività è oggi portata avanti dall’Istituto Italo Cinese 55


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Vittorino Colombo

per gli scambi economici e culturali con la Cina e dalla Camera di Commercio italiana in Cina, da lui fondati. Vittorino Colombo fu anche ministro delle Poste e telecomunicazioni, tra il 1979 e il 1980, intuendo tra i primi la novità e l’utilità delle televisioni private, anche come possibile mezzo di apostolato e partecipando alla fondazione di TV66. Tra gli altri importanti incarichi ricoperti da Colombo vi fu il ministero della Marina mercantile, dapprima tra il 1969 e il 1970 e nuovamente tra il 1978 e il 1979, accorpato ai Trasporti, mentre nel II governo Rumor, tra il marzo e il novembre 1974, Vittorino Colombo fu Ministro della Sanità. Nel 1983 ricoprì anche la carica di Presidente del Senato. Vittorino Colombo promosse numerosi studi e ricerche fondando riviste che contribuirono ad alimentare il dibattito politico quali “Città e Società”, i “Quaderni bianchi” e “Regione e potere locale”. Nell’ultimo periodo della sua vita, dal 1990 al 1994, fu membro del Consiglio d’Europa. Il 1 giugno del 1996 si spense a Milano. Il mese successivo, il 15 luglio, gli amici con cui aveva condiviso 56


tante battaglie politiche, decisero la costituzione di una fondazione a lui intitolata per ricordare e continuare la sua opera. Note bibliografiche: N. Tedeschi, Ricordo di Vittorino Colombo. Politica che passione, Fondazione Luigi Clerici- Fondazione Cariplo, Milano 2006. F. Cajani ( a cura di), Omaggio a Vittorino Colombo, Ed. I quaderni della Brianza, n.167, gennaio-aprile 2007. G. Perego- A. Airò, Sulle orme di Matteo Ricci. Vittorino Colombo pioniere delle relazioni italo-cinesi, Aracne, Roma 2007.

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Giovanni Maria Cornaggia Medici (1899-1979)


(1899-1979)

Giovanni Maria Cornaggia Medici

Giovanni Maria Cornaggia Medici, chiamato comunemente Gino, nato a Milano nel 1899, proveniva da una illustre, nobile famiglia milanese e ricevette una educazione cristiana a diretto contatto col card. Ferrari, partecipando all’esperienza della Gioventù di Azione Cattolica sotto la guida di don Francesco Olgiati. Rientrato dal fronte dove aveva combattuto durante la prima guerra mondiale, seguì gli studi di Giurisprudenza a Pavia, dove si laureò e iniziò a praticare la professione di avvocato a fianco di Edoardo Clerici. Cornaggia Medici, fu anche dirigente dell’Azione Cattolica milanese e direttore del periodico “L’Azione giovanile”. Nel primo dopoguerra aderì all’esperienza del Partito Popolare collocandosi alla sinistra del partito, vicino alle posizioni dei fratelli Meda. Richiamato alle armi durante la seconda guerra mondiale, Cornaggia Medici, combattè in aereonautica. Al termine del conflitto riprese il suo impegno nell’Azione Cattolica, di cui divenne presidente della Giunta diocesana dal 1946 al 1953. Negli stessi anni Cornaggia Medici fu presidente del Pio Albergo Trivulzio e nel 1945 assunse 60


anche la carica di presidente della Croce Bianca di Milano mantenuta, con costante impegno, per quasi un trentennio, fino al 1974. Contemporaneamente tornò alla vita politica diventando consigliere comunale democristiano a Milano nel 1946 e, dall’anno successivo fino al 1953, assessore all’assistenza e alla beneficenza nella giunta Greppi. Sempre nel 1953, De Gasperi affidò a Cornaggia la responsabilità del movimento reduci di guerra organizzato dalla Democrazia Cristiana, incarico che ricoprirà solo per pochi mesi. Nel 1948 fu candidato dalla D.C. al Senato, ma non venne eletto. Diventerà senatore nel 1953 e da allora sarà sempre riconfermato, prima nel collegio di Lodi e poi in quello di Monza, fino al 1968, quando rinunciò a presentare la sua candidatura. Al Senato sarà molto attivo nella commissione Difesa, impegnandosi in particolare per lo sviluppo dell’aeronautica militare italiana, convinto della necessità che anche l’Italia dovesse produrre dei suoi velivoli competitivi sul mercato internazionale. L’aeronautica, così come l’automobilismo, furono due grandi passioni di Cornaggia Medici che, proprio come pilota automobilistico, aveva più volte partecipato alle edizioni della “Mille miglia”. A conclusione della sua esperienza parlamentare, Gino Cornaggia Medici abbandonerà definiti61


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Giovanni Maria Cornaggia Medici

vamente la scena pubblica, fino alla morte, avvenuta a Milano nel 1979. Note bibliografiche: G. Vecchio, I cattolici milanesi e la politica. L’esperienza del PPI. 1919-1926, Vita e pensiero, Milano 1982. Id., Cornaggia Medici Giovanni Maria, in Dizionario storico del Movimento cattolico, Marietti, Casale Monferrato 1984, vol. III-1, pagg. 257-258. A.Ferrari, Cornaggia Medici Giovanni Maria, in Dizionario della Chiesa ambrosiana, Ned, Milano 1987, pag. 924. A. Belloni Sonzogni, Gino Cornaggia, un gentiluomo cristiano nella società e nella politica, Vita e Pensiero, Milano 1990. G.C. Galli, Giovanni Maria Cornaggia Medici in Parlamento, Rubbettino, Soveria Mannelli 2004. M. Frigoli, Un secolo di Croce Bianca Milano (1907-2007). Volontariato cattolico attivo nel soccorso e nell’assistenza, Croce Bianca Milano, Milano 2007.

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Rinaldo (Dino) Del Bo (1916-1991)


(1916-1991)

Rinaldo (Dino) Del Bo

Rinaldo Del Bo, comunemente chiamato Dino, era nato a Milano nel 1916 ed aveva ricevuto una solida educazione cattolica. Dopo gli studi superiori, si iscrive all’Università Cattolica di Milano, dove consegue la laurea in Giurisprudenza nel 1937 e nell’anno successivo, presso l’università di Pavia, ottiene anche la laurea in Scienze Politiche, con il desiderio di dedicarsi alla carriera scientifica ed accademica. Del Bo, infatti ottiene presto la libera docenza e viene chiamato a ricoprire un incarico all’Università di Macerata. In questi anni è intensa l’attività di carattere giornalistico di Del Bo, che fonda la rivista culturale “L’uomo”, scrivendo di questioni letterarie anche sulla terza pagina de “Il Tempo”, su “Corrente”, “Primato” “Campo di Marte” e “Frontespizio”. Alla caduta del regime, Del Bo aderisce alla nascente Democrazia Cristiana, mettendosi alla testa del movimento giovanile ed entrando a far parte, nel 1944, del comitato regionale lombardo del partito. A soli trentuno anni, nel 1947, Dino Del Bo diventa vicesegretario della D.C. milanese. Nel 1948, candidato alle elezioni politi66


che del 18 aprile, Del Bo viene eletto con più di ventimila preferenze. All’interno del partito, Del Bo si accosta in questi anni alla corrente gronchiana che si opponeva alla predominante linea politica di De Gasperi. Al convegno organizzato dai gronchiani a Pesaro, nel novembre del 1948, Del Bo si fece portavoce della posizione della corrente sulla politica estera, auspicando una posizione neutrale dell’Italia in campo internazionale e manifestando la sua contrarietà all’adesione italiana al Patto atlantico. Ma ben presto Del Bo, rivide le proprie idee, staccandosi dai gronchiani, modificando il suo giudizio sulla politica degasperiana e partecipando, nel 1951, al VII governo De Gasperi come sottosegretario al lavoro e alla previdenza sociale, incarico che gli fu riconfermato anche nel successivo governo De Gasperi. In questa veste affrontò numerose vertenze sindacali che riguardavano la Breda, l’Ansaldo, le Reggiane. Nel luglio del 1952, il segretario della Democrazia Cristiana, Guido Gonella, lo nominò segretario nazionale della SPES e, dal dicembre dello stesso anno, vicesegretario politico del partito, incarico per il quale Del Bo lasciò il governo. Richiamato al governo come sottosegretario al lavoro nel governo Pella, nel 1955 Del Bo diven67


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Rinaldo (Dino) Del Bo

tava sottosegretario agli esteri nel I governo Segni. Nonostante l’intensa attività governativa, allo stesso tempo Del Bo diede decisivo impulso alla nascita della rivista “Rassegna di politica e storia”, su cui troveranno spazio le sue riflessioni e le sue proposte politiche. Contemporaneamente Del Bo non trascurava i suoi interessi letterari, scrivendo un saggio “La volontà dello stato” che gli fece vincere, nel 1956, il Premio Viareggio. Nel 1957, il presidente del Consiglio Adone Zoli, lo chiamò a ricoprire l’incarico di ministro per i rapporti con il parlamento, che mantenne anche nel governo Fanfani, costituitosi dopo le elezioni politiche del 1958, in cui Del Bo ottenne un buon risultato, nonostante qualche perplessità su di lui, sollevata in alcuni ambienti cattolici milanesi ed avallata dallo stesso arcivescovo di Milano, Montini, in merito ai suoi rapporti con la sinistra di Base, a cui Del Bo si era avvicinato. Del Bo rimase al governo anche nel successivo governo Segni, in qualità di ministro del commercio estero, incarico ricoperto fino al 1960, quando prese le distanze dal governo costituito da Fernando Tambroni, che, 68


come lui, per qualche tempo, alla fine degli anni Quaranta era stato vicino alle posizioni di Gronchi, per poi distanziarsene ed approdare ad una cauta politica neocentrista. Dal 1960 in avanti Del Bo rinunciò a partecipare all’attività ministeriale e scelse l’impegno sul piano internazionale alla guida della C.E.I.A., fino al 1967, rinunciando, per incompatibilità anche al mandato parlamentare. In seguito, lasciata la politica, Del Bo, coniugherà la sua attività in campo finanziario e bancario con i suoi interessi culturali e letterari dando alle stampe numerosi saggi contenenti le sue riflessioni sul sistema politico, tra i quali “Verso un nuovo assolutismo?”, La crisi dei dirigenti, ma anche opere letterarie come la raccolta poetica “Il cavallino di bronzo”, o “Le mattine del mese di maggio”, con la prefazione di Carlo Emilio Gadda, e “La lettera ai colossesi”, pubblicata l’anno prima della sua morte, in cui Del Bo tornava alla riflessione sui grandi temi sociali che erano stati al centro del suo impegno politico. Dino Del Bo morì a Roma nel gennaio del 1991. Note bibliografiche: Dino Del Bo, Orientamenti politici, Same, Milano 1953. Id., Cattolici italiani di fronte al socialismo, Cinque Lune, Roma 1956. Id., La volontà dello Stato, Garzanti, Milano 1956.

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Giordano Dell’Amore (1892-1981)


(1892-1981)

Giordano Dell’Amore

Giordano Dell’Amore, figlio di un diplomatico del ministero degli esteri, era nato al Cairo nel 1892. Dopo il diploma di ragioniere, conseguito a Bologna, studiò Economia all’Università Bocconi di Milano, dove conobbe il politologo Gaetano Mosca, con cui svolse la sua tesi di laurea. Già nel 1919 Dell’Amore aveva aderito al Partito Popolare. Dell’Amore continuò il suo percorso accademico in Bocconi ma, nel 1937, ottenne un incarico in Università Cattolica come docente di Economia delle aziende di credito. In Cattolica Dell’Amore conobbe e divenne amico di Fanfani, anche se non condivise le proposte politiche espresse dai dossettiani. Negli anni Quaranta a Milano partecipò agli incontri da cui sarebbe scaturita la Democrazia Cristiana, mantenendosi su posizioni moderate e anticomuniste. Nel 1946 Dell’Amore divenne deputato provinciale a Milano e due anni dopo assunse l’incarico di presidente della Deputazione provinciale, per divenire infine presidente dell’Amministrazione provinciale. Nel 1952 gli venne conferito l’incarico di presidente della Cassa di risparmio delle provincie lombarde. 72


La sua presidenza, che durò fino al 1979, si distinse per la creazione del Mediocredito, nel 1953, la grande attenzione al settore agricolo e l’istituzione di una Fondazione per le opere sociali, con intenti assistenziali. Venne, inoltre ,avviata la sezione per le Opere pubbliche che permise alla Cariplo di finanziare molte attività degli enti pubblici lombardi. Su impulso della Cariplo venne creato l’Ortomercato di Milano, che venne successivamente ceduto al Comune di Milano. Nel 1954 Dell’Amore venne chiamato da Fanfani come ministro del Commercio Estero nel suo primo governo varato il 18 gennaio 1954, ma durato solo poche settimane. All’inizio degli anni Sessanta, quando la Democrazia Cristiana milanese, contro il parere dell’arcivescovo Montini, si apprestava ad attuare la prima giunta di centrosinistra, Dell’Amore, partecipò ad alcune riunioni con esponenti moderati del mondo cattolico milanese contrari all’esperimento di centrosinistra: in quell’occasione dagli ambienti cattolici vicini alla Curia giunse anche la sollecitazione ad una disponibilità del Dell’Amore per la carica di Sindaco di Milano che, però, non fu accolta dai vertici locali della Democrazia Cristiana. Alle elezioni politiche del 1963 Dell’Amore verrà eletto senatore nelle liste democristiane. 73


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Giordano Dell’Amore

Nel 1967, Giordano Dell’Amore diventa rettore dell’Università Bocconi, dove deciderà l’istituzione di un corso di laurea in Lingue. In quegli anni maturò in lui un interesse per le difficoltà creditizie dei Paesi in via di sviluppo, che lo indurrà nel 1977 a promuovere Finafrica, associazione che si proponeva, tra i suoi scopi, l’assistenza tecnica per la costituzione di Casse di Risparmio in Africa, corsi di formazione in Bocconi per i quadri dirigenti dei paesi africani e lo studio sui problemi del credito nei paesi africani. Inoltre fondò l’Associazione mondiale delle Casse di Risparmio di cui divenne primo presidente. Nella diocesi ambrosiana, Dell’Amore assunse anche l’incarico di presidente del Comitato promotore del Convitto ecclesiastico di Saronno e della Giunta cattolica per l’emigrazione, divenendo anche consigliere della Caritas ambrosiana. Nel 1979. Dell’Amore lasciò la presidenza della Cariplo e morì due anni dopo, nel gennaio del 1981, a Milano.

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Note bibliografiche: Aa.Vv., La vita economica nel magistero della Chiesa, Giuffrè, Milano 1966. G. P. Melzi D’Eril, Con quattro sindaci a Palazzo Marino (1955-1970), Cavallotti editori, Milano 1988. A. Ferrari, Giordano Dell’Amore. L’uomo e il banchiere, Rusconi, Milano 1989 Id., Dell’Amore Giordano, in Dizionario storico del movimento cattolico in Italia 1980-1995, Marietti, Genova 1997, pagg.294-295.

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Enrico Falck (1899-1953)


(1899-1953)

Enrico Falck

Enrico Falck, figlio del senatore Giorgio Enrico, esponente di spicco dell’industria metallurgica, nasce a Laorca di Lecco nel 1899. Si forma nella Gioventù Cattolica milanese, guidata da mons. Francesco Olgiati, a contatto con Migliori, Edoardo Clerici, i Meda. Particolarmente interessato ai problemi del mondo agrario, Falck si laurea in Agraria alla Scuola superiore di agricoltura di Milano e inizia presto a visitare i più importanti siti agricoli in Europa, ma anche nell’America del Nord e del Sud. Nel 1926 collabora con i fratelli nella gestione delle aziende paterne di cui, nel 1946, diventerà presidente. Durante il Ventennio, Falck, che aveva aderito ancora molto giovane all’esperienza del Partito Popolare, rifiutò di prendere la tessera del Partito Nazionale Fascista ed anzi si avvicinò al movimento guelfo di Malvestiti. Tra il 1942 e il 1943 Falck contribuì alla nascita della Democrazia Cristiana, partecipando ed ospitando nella sua residenza, le riunioni clandestine che portarono alla definizione del Programma di Milano. A causa delle sue posizioni antifasciste anche Falck, nel 1945, venne arrestato e 78


incarcerato per tre mesi a Como. Liberato, fu uno dei responsabili del Comitato di Liberazione Nazionale dell’Alta Italia. Dopo la Liberazione Falck mantenne il suo incarico nell’industria di famiglia, ma si impegnò anche politicamente divenendo, nel 1946, consigliere comunale per la Democrazia Cristiana, nel Comune di Sesto San Giovanni e, nel 1948, senatore, eletto nel collegio di Lecco con un elevato numero di preferenze, sempre nelle liste democristiane. In quegli anni si interessò molto alle tematiche europee: fu infatti membro del Comitato esecutivo del Movimento Europeo, membro dell’Assemblea consultiva del Consiglio d’Europa e vicepresidente della Lega di cooperazione economica, rivolgendo la sua attenzione soprattutto ai temi dell’agricoltura e dello sviluppo energetico. Fu inoltre governatore del Rotary. Negli ultimi anni della sua vita, Falck intensificò il suo impegno nella vita culturale milanese, partecipando alla fondazione dell’ Ambrosianeum, istituzione culturale fortemente voluta dal card. Schuster e sostenendo anche finanziariamente l’Istituto Sociale ambrosiano e l’Ucid lombarda e nazionale, di cui, insieme ad Angelo Costa e al card. Siri, fu uno dei più importanti ispiratori. Morì prematuramente nel 1953.

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Note bibliografiche: E. Falck, Saggi politici e sociali, Ambrosianeum, Milano 1955.

A. Ferrari, Falck Enrico, in Dizionario della Chiesa ambrosiana, Ned, Milano 1987, vol. II, pagg. 1178-1179. D. Bardelli, Ambrosianeum. Cinquant’anni di impegno culturale a Milano, Franco Angeli, Milano 1999.

Enrico Falck

(1899-1953)

G. Vecchio, Falck Enrico, in Dizionario Storico del Movimento cattolico, Marietti, Casale Monferrato 1984, vol. III-1, pagg. 345-346.

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Erisia Gennai Tonietti (1900-1974)


(1900-1974)

Erisia Gennai Tonietti

Erisia Gennai nasce a Rio Marina, in provincia di Livorno. Dopo gli studi superiori e il diploma in ragioneria, milita nell’Azione Cattolica e già nel 1919 aderisce al Partito Popolare. Dopo il matrimonio con Giovanni Tonietti, Erisia si trasferì a Milano dove riprese il suo impegno sociale e politico. Fu diverse volte delegata regionale delle donne cattoliche lombarde e, durante la Resistenza, utilizzò anche le strutture dell’Azione Cattolica per stabilire collegamenti con i gruppi partigiani. Erisia Gennai divenne anche presidente dell’Istituto Ospedaliero Santa Corona e vicepresidente nazionale della Federazione italiana associazione regionale ospedali. Nel 1948 venne eletta deputato per la Democrazia Cristiana nella circoscrizione Milano-Pavia e venne riconfermata anche nelle successive quattro legislature, fino al 1968. Nel 1961 fu anche parlamentare europea. In Parlamento fece parte della Commissione sulla condizione dei lavoratori in Italia e di quella per il lavoro femminile, partecipando in seguito anche ai lavori della Commissione bilancio e della 84


Commissione lavoro nell’industria e commercio. Importanti e significative furono le sue proposte di legge e le sue interpellanze per la tutela dei figli illegittimi e per la tutela fisica ed economica delle madri lavoratrici. Su queste tematiche fu particolarmente attiva, partecipando a diversi dibattiti, convegni e congressi sull’assistenza femminile. All’inizio degli anni Settanta si ritirò dalla vita politica e morì a Milano nel 1974. Note bibliografiche: A. Majo, Orientamenti e attività della Chiesa milanese nell’immediato dopoguerra, in Aa. Vv., Milano fra guerra e dopoguerra, De Donato, Bari 1979. R. Farina, Gennai Erisia in Tonietti, in Dizionario biografico delle donne lombarde (568-1968), Baldini e Castoldi, Milano 1995, pag. 513.

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Agostino Giambelli (1893-1978)


(1893-1978)

Agostino Giambelli

Agostino Giambelli, nato a Milano nel 1893, apparteneva ad una famiglia di umile estrazione sociale. I genitori erano entrambi operai, ma Giambelli proseguì gli studi conseguendo il diploma magistrale e laureandosi in Ingegneria al Politecnico di Milano. Giambelli, come la maggior parte degli uomini della sua generazione, partecipò alla Prima guerra mondiale. Rientrato a Milano aderì con entusiasmo al Partito Popolare assumendo incarichi dirigenziali in ambito locale, nel 1924. Quando il Ppi passò all’opposizione del fascismo, partecipò al Comitato delle opposizioni di Milano e mantenne i contatti con la dirigenza romana del partito. In questi anni maturò in Giambelli un forte sentimento antifascista che lo rese, durante il Ventennio, oggetto di ripetuti controlli della polizia. Anche Giambelli partecipò alle prime riunioni milanesi che avrebbero portato alla nascita della Democrazia Cristiana e fu attivo nella resistenza antifascista, partecipando anche all’incontro, mediato dal card. Schuster in arcivescovado, tra Mussolini e i capi del Comitato di Liberazione dell’Alta Italia. Il C.L.N. di Milano affidò proprio a Giambelli l’inca88


rico di commissario al S.e.p.r.a.l. (Servizio approvvigionamenti alimentari). Il 7 aprile del 1946, Giambelli venne eletto consigliere comunale a Milano per la Democrazia Cristiana e partecipò come assessore al lavori pubblici della giunta Greppi. Venne riconfermato consigliere comunale alle successive amministrative del 1951, 1956, 1960 e 1964, rimanendo assessore ai Lavori pubblici per quattordici anni, dal 1946 al 1960, con i sindaci Greppi e Ferrari. Tra il 1953 e il 1954 ricoprì anche la carica di segretario provinciale della Democrazia Cristiana milanese e negli stessi anni collaborò con la Pontificia opera di assistenza. Da assessore ai Lavori pubblici partecipò attivamente alla ricostruzione della città nell’immediato dopoguerra e si impegnò particolarmente per la costruzione della prima rete metropolitana. Dopo le elezioni amministrative del novembre 1960, in cui venne rieletto, Giambelli entrò in aperto dissenso con i vertici locali della Democrazia Cristiana, in merito alla costituzione di una giunta di centrosinistra allargata al partito socialista. Già in campagna elettorale Giambelli si era fatto promotore, insieme ad altri otto candidati democristiani, di un documento contro l’alleanza con i socialisti. In quel frangente politico Giambelli, che contro la costituzione della giunta di centro89


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Agostino Giambelli

sinistra, si appellò anche al segretario nazionale del partito, Moro, era in stretto contatto con l’arcivescovo Montini, anch’egli molto contrariato da questa operazione politica. L’esperienza amministrativa di Giambelli continuò negli anni seguenti e nel 1964, gli venne nuovamente affidato l’incarico di assessore, prima ai trasporti e poi all’edilizia. Morì a Milano nel 1978. Note bibliografiche: A. Giambelli, Milano in cinque anni (Sintesi della ricostruzione), Massimo editore, Milano 1951. Aa.Vv., Milano fra guerra e dopoguerra, De Donato, Bari 1979. G. Vecchio, Giambelli Agostino, in Dizionario storico del Movimento cattolico, Marietti, Casale Monferrato 1984, vol.III-1, pagg.409-410. A. Vareschi, Giambelli Agostino, in Dizionario della chiesa ambrosiana, Ned, Milano 1987, pagg. 1427-1428. G.P.Melzi D’Eril, Con quattro sindaci a Palazzo Marino (1955-1970), Cavallotti editori, Milano 1988.

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Achille Grandi (1883-1946)


(1883-1946)

Achille Grandi

Achille Grandi nacque a Como nel 1883 e ancora fanciullo dovette lasciare la scuola per aiutare la famiglia in difficoltà economiche, lavorando come apprendista tipografo. Ricevette una salda educazione cattolica partecipando alle attività educative dell’oratorio comasco di San Filippo. In quegli anni maturò una viva coscienza sociale che lo spinse ad impegnarsi nel movimento sindacale bianco sin dal 1906. Nello stesso tempo partecipò attivamente anche alle opere cattoliche diocesane. Nel 1908 venne eletto consigliere comunale a Como, mantenendo una posizione contraria all’alleanza dei cattolici con i tradizionalisti ed i moderati, mentre il timore del socialismo spingeva, invece, le gerarchie cattoliche ad approvare e promuovere intese tra cattolici e liberali che sfoceranno nel Patto Gentiloni. Un contrasto su questi aspetti col vescovo di Como, mons. Archi, indurrà Grandi a trasferirsi a Monza dove, nel 1914, diventerà segretario della Lega cattolica del lavoro. Nel 1919 anche Grandi fu accanto a don Sturzo nella fondazione del Partito Popolare figurando tra i firmatari dell’ap94


pello per il nuovo partito, e alle elezioni di quell’anno venne eletto deputato nei collegi di Como e Milano. L’avvento del regime fascista, a cui Grandi si oppose decisamente fin dall’inizio della dittatura, e lo scioglimento della Confederazione sindacale bianca (C.I.L.), di cui Grandi era diventato segretario nel 1922, subentrando a Gronchi, lo indussero ad un provvisorio ritiro dalla vita pubblica. Attraverso saltuari e modesti impieghi, Grandi riuscì a mantenersi fin quando il P.I.M.E. di Milano non gli offrì la direzione della sua tipografia. A partire dal 1938 però ripresero gli incontri clandestini tra cattolici tra cui Malvestiti, Gronchi, Marazza, Edoardo Clerici, insieme ad esponenti socialisti e comunisti, in merito al progetto di un sindacato unitario. Grandi partecipò alle trattative che, nel giugno del 1944, condussero al Patto di Roma e all’unità sindacale e, accanto a Di Vittorio e Canevari, divennne segretario generale della confederazione sindacale unitaria (C.G.I.L.). Per assicurare una solida formazione cristiana ai cattolici che avrebbero dovuto operare nell’ambito sindacale, Grandi promosse la costituzione delle Acli, istituzione che sarebbe dovuta rimanere legato alla gerarchia ecclesiastica. Grandi, che ebbe l’appoggio e l’incoraggiamento di mons. Montini, presentò il progetto dell’associazione anche al pontefice Pio 95


(1883-1946)

Achille Grandi

XII, e divenne il primo presidente nazionale delle Acli. Nel 1946 Grandi fu eletto nelle liste democristiane alla Costituente e diventando vicepresidente ma, il 28 settembre di quello stesso anno, morÏ nella sua casa di Desio. Note bibliografiche: A. Grandi, Sindacalismo cattolico (1906-1946), Fondazione Pietro Seveso, Monza 1976. A. Grandi, I cattolici e l’unità sindacale. Scritti e discorsi (1944-1946), Editrice sindacale italiana, Roma 1976. V. Pozzar, La corrente sindacale cristiana (19441948), Ed. Cinque Lune, Roma 1977. V. Saba, Grandi Achille, in Dizionario Storico del movimento cattolico in Italia (1860-1980), Marietti, Casale Monferrato 1982, vol. II, pagg. 259-268. B.M. Bosatra, Grandi Achille, in Dizionario della Chiesa ambrosiana, Ned, Milano 1989, vol. III, pagg. 1513-1517.

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Luigi Granelli (1929-1999)


(1929-1999)

Luigi Granelli

Luigi Granelli nasce a Lovere, in provincia di Bergamo, il 1 marzo del 1929. Dopo il diploma di scuola professionale inizia a lavorare nell’azienda artigiana familiare per poi trovare impiego, come operaio specializzato, alle acciaierie Italsider, dove resterà sino al 1952. Questa esperienza, congiunta alla formazione cristiana ricevuta frequentando la Gioventù di Azione cattolica, contribuirà a far maturare in lui un forte interesse per le problematiche del cattolicesimo sociale, che studierà con passione da autodidatta, stimolandolo all’impegno politico nella Democrazia Cristiana (che a Bergamo era guidata da Enzo Zambetti), a cui si iscrive nel 1945. Insieme agli amici Chiarante, Magri, Leidi, Granelli si batterà per rinnovare il partito, dirigendo la rivista “Il Campanone”, periodico della D.C. bergamasca, dalle cui colonne intraprese le sue prime battaglie per una maggiore giustizia ed equità sociale. Nel 1953 Granelli aderì alla nuova corrente democristiana della Sinistra di Base, costituitasi nel settembre di quell’anno, dopo un convegno a Belgirate, sulla sponda piemontese del Lago Maggiore, a cui parteciparono numerosi 100


esponenti della Democrazia Cristiana e del mondo cattolico, delusi dalla linea politica del partito, che aveva portato alla sconfitta nelle elezioni politiche del 7 giugno 1953. Attorno al periodico “La Base”, da cui la corrente prese il nome, si ritrovarono giovani esponenti della cosiddetta “terza generazione democristiana”, così definita dopo la prima, quella degli ex popolari, e la seconda, formatasi durante gli anni della dittatura fascista prevalentemente nelle organizzazioni cattoliche. La nuova corrente non aveva una struttura unitaria ed una omogenea distribuzione nazionale essendo piuttosto, almeno inizialmente, una federazione di gruppi il cui centro principale ed originario era Milano. La proposta politica avanzata dalla Base, sin dalle sue origini, fu quella dell’apertura a sinistra e del coinvolgimento del Partito Socialista nella maggioranza parlamentare e nel governo del Paese, insieme alla rivendicata esigenza di una maggiore autonomia ed indipendenza dei laici, nell’azione politica, dalla gerarchia ecclesiastica. Granelli, tra le intelligenze più vive della corrente, sarà molto attivo nel dibattito politico di quegli anni difendendo con ardore le posizioni della corrente e diventandone ben presto uno dei principali leader, non solo a Milano, ma anche a livello nazionale. Nel 1956, al Congresso di 101


(1929-1999)

Luigi Granelli

Trento della Democrazia Cristiana, sarà eletto Consigliere nazionale e l’anno successivo, entrerà nella Direzione nazionale del partito e fonderà il periodico “Stato Democratico”, di cui sarà anche direttore. Nel 1958, alle elezioni politiche, anche Granelli presentò la sua candidatura alla Camera, nella circoscrizione Milano-Pavia, che però venne duramente osteggiata da alcuni settori del mondo cattolico ambrosiano e dallo stesso arcivescovo Montini, con cui il Granelli aveva avuto in campagna elettorale un vivace confronto privato. Granelli, che in quell’occasione non venne eletto, rimase nel gruppo dirigente della Democrazia Cristiana lombarda, guidata da Giovanni Marcora e, dalle colonne dei periodici della corrente e del quotidiano della D.C. locale, “Il Popolo Lombardo”, continuò la sua battaglia per l’alleanza politica tra democristiani e socialisti, contribuendo alla formazione della prima giunta di centrosinistra al comune di Milano nel 1961. Dal 1965, quando venne eletto consigliere comunale a Milano, al 1969 fu capogruppo democristiano al Comune di Milano e nel 1968 venne eletto alla 102


Camera. Riconfermato nel 1972 e nel 1976, entrò a far parte della Commissione Esteri e Bilancio, diventando anche membro della Commissione di vigilanza sulla Rai. Dal 1973 al 1976 ricoprì l’incarico di sottosegretario agli Esteri, occupandosi con particolare attenzione dei problemi legati all’emigrazione ed organizzando la prima Conferenza nazionale degli italiani all’estero. Dal 1976 al giugno del 1979 Granelli fu parlamentare europeo e capo della delegazione italiana. Nel 1979 lasciò la Camera per il Senato, eletto nel collegio di Cantù, ed entrò a far parte della Commissione Esteri del Senato, della Giunta per gli Affari Europei e della Commissione Antimafia. Alle successive elezioni politiche, nel 1983, Granelli fu eletto al collegio di Vimercate, subentrando a Marcora, scomparso nel gennaio di quell’anno. Nel collegio di Vimercate sarà riconfermato anche nel 1987 e nel 1992. Al Senato si impegnò nella Commissione Esteri e nella commissione bicamerale sulle stragi, guidando il gruppo di indagine sul sequestro e l’assassinio di Aldo Moro. Granelli fu Ministro della Ricerca scientifica e tecnologica nei due governi guidati da Bettino Craxi dal luglio 1983 al 1987 e ministro delle Partecipazioni Statali nel VI governo Fanfani, dall’agosto del 1987 all’aprile del 1988. Della 103


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Luigi Granelli

attività ministeriale vanno ricordati la costituzione dell’Agenzia spaziale italiana, il deciso aumento della spesa per la ricerca scientifica e la costituzione del laboratorio per le biotecnologie a Trieste. Come ministro delle Partecipazioni statali, Granelli promosse la privatizzazione di Mediobanca e della Lane Rossi, mentre si oppose all’accordo ENI-Gardini sul progetto Enimont. Nell’ultima fase della sua lunga ed intensa esperienza politica, Granelli fu impegnato come vicepresidente del Senato, dal 1992 al 1994. In quell’anno, dopo lo scioglimento della Democrazia Cristiana, che Granelli non condivise, pur avendo aderito al Partito Popolare, decise di non ripresentare la sua candidatura alle elezioni politiche tenutesi nel marzo di quell’anno. Negli ultimi anni della sua vita partecipò e continuò a stimolare il dibattito politico-culturale fondando l’Associazione Popolari Intransigenti, sorta nel settembre 1994. Fece parte del Consiglio dell’Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia, collaborò con molti quotidiani e riviste e diresse il bimestrale di studi politici 104


“Stato Democratico” ed il mensile di politica e cultura “Il domani d’Italia”. Dopo una lunga malattia morì a Milano il primo dicembre del 1999. Note bibliografiche: G. Rumi, La Base:una nuova sinistra a Milano, in Id., Milano cattolica nell’Italia unita, Ned, Milano 1983. G. M. Capuani- C. Malacrida, L’autonomia politica dei cattolici, Interlinea, Novara 2002. G. Chiarante, Tra De Gasperi e Togliatti. Memorie degli anni Cinquanta, Carocci, Roma 2006. E. Versace, Montini e l’apertura a sinistra. Il falso mito del “vescovo progressista”, Guerini e Associati, Milano 2007.

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Filippo Hazon (1926-1995)


(1926-1995)

Filippo Hazon

Filippo Hazon nasce a Milano nel 1926 figlio del noto anglista Mario Hazon, autore di un celebre vocabolario e, sin da bambino, riceve una solida educazione cattolica frequentando assiduamente la parrocchia milanese di Santa Maria della Passione. Hazon partecipa alle attività parrocchiali guidate da mons. Sironi, che avrà su di lui molta influenza ed inizia una intensa e duratura collaborazione con Giancarlo Brasca, giovane parrocchiano molto impegnato nell’associazionismo giovanile. Fu Brasca ad introdurre Hazon nell’Azione cattolica milanese, mettendolo in contatto con mons. Francesco Olgiati, costante punto di riferimento per i giovani cattolici milanesi e con Giuseppe Lazzati, che tra il 1934 e il 1943 fu presidente della Giac ambrosiana. Hazon fu, insieme a Brasca, il fondatore e primo presidente della Gioventù studentesca, sorta nell’agosto del 1945, “non con l’intento di essere opera della G.i.a.c. e fare semplice proselitismo, ma per essere movimento capace di elaborare una propria proposta culturale”. Hazon e Brasca predisposero e pubblicarono il “Manifesto Programmatico della 108


Gioventù studentesca”, a cui faceva seguito un appello agli studenti cattolici ad impegnarsi per la rinascita cristiana, democratica e civile dell’Italia. Hazon, che aveva completato gli studi laureandosi in Giurisprudenza ed era diventato assistente alla Cattolica di Diritto del lavoro, rimase alla guida della G.S. milanese fino al 1950, quando gli fu affidata la direzione de “L’Azione giovanile”, che tenne fino al 1953. In quell’anno iniziò la sua attività di segretario dell’Ufficio studi delle Acli milanesi e dell’Istituto sociale ambrosiano, creato nel 1946 da Mario Romani. Numerosi articoli sulla rivista dell’istituto “Realtà sociale d’oggi”, testimoniano il suo interesse per le questioni del lavoro, dell’impresa, del sindacato e della dottrina sociale della Chiesa. Gli anni dell’I.s.a. furono determinanti anche per il suo impegno civile. Già membro del consiglio provinciale e nazionale delle Acli, Hazon nel 1956, viene eletto consigliere comunale a Milano per la Democrazia Cristiana e diventa assessore al Lavoro e statistica. In questa veste crea l’Ufficio lavoro e problemi sociali e, come strumento di programmazione, anche l’Ufficio Studi e organizzazione. Per sua iniziativa nasce nel 1959 il Centro studi per il Piano Intercomunale Milanese (P.I.M.), di cui diventa presidente della giunta esecutiva nel 1961, quando rieletto al Comune, entra a far parte della 109


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Filippo Hazon

giunta di centrosinistra guidata da Cassinis in qualità di assessore all’Urbanistica. Hazon assunse molti provvedimenti per migliorare l’edilizia popolare a Milano e dotare la città di nuove aree verdi, presiedendo il Consorzio intercomunale milanese per l’edilizia popolare e il Consorzio per il Parco Nord. Verrà riconfermato assessore all’Urbanistica fino al 1970, quando lascia il Comune per continuare la sua esperienza politica alla Regione Lombardia, dove ricoprì l’incarico di assessore all’istruzione, che manterrà fino al 1983, impegnandosi soprattutto nel valorizzare e riqualificare la formazione professionale. Hazon indirizzerà in questo senso anche molte attività della Fondazione Luigi Clerici, di cui fu cofondatore insieme all’amico Vittorino Colombo, nel 1972. Negli anni ottanta, venne affidata ad Hazon anche la presidenza della Co.N.F.A.P. (Confederazione Nazionale Formazione e Addestramento Professionale) che tenne fino al 1986, quando fu nominato commissario straordinario del Policlinico di Milano. La costante attenzione al problema della formazione 110


professionale dei giovani lo indurrĂ a guidare, quale direttore, la Scuola superiore del Commercio, dei servizi e del Turismo di Milano, incarico tenuto fino a pochi mesi prima della morte, avvenuta a Milano nel 1995. Note bibliografiche: A.a. V.v., Ricordo di Filippo Hazon, Fondazione Luigi Clerici, Milano 1997.

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Stefano Jacini (1886-1952)


(1886-1952)

Stefano Jacini

Stefano Jacini, nasce a Milano nel 1886, discendente di una delle più note famiglie della nobiltà agraria lombarda. Il nonno, di cui portava il nome, era stato ministro dei Lavori pubblici tra il 1860 e il 1867, con Cavour, Lamarmora e Ricasoli ed aveva promosso la grande inchiesta agraria svoltasi tra il 1877 e il 1884. Jacini, che si era laureato in Giurisprudenza a Genova, già sul finire del 1906 aveva partecipato, insieme a Tommaso Gallarati Scotti e Alessandro Casati alla fondazione della rivista “Rinnovamento”, di chiara ispirazione modernista. Esperto conoscitore della lingua tedesca, Jacini intendeva render noto, attraverso la rivista, il dibattito culturale dei cattolici liberali tedeschi. Jacini, guardava infatti con attenzione all’esperienza del protestantesimo luterano che poteva offrire spunti “efficaci e attivi” per un progresso religioso e culturale. Nonostante la condanna del modernismo, avesse colpito anche questa rivista, Jacini continuò collaborarvi fino alla sua chiusura nel 1909. In seguito, continuò ad occuparsi di ricerche storiche e si dedicò ad attività religiose e sociali, partecipando all’ l’Opera di assistenza per gli italiani emigrati in Europa (nata nel 1900 e poi diven114


tata “Opera Bonomelli”). In quegli anni Jacini frequentò intensamente il vescovo Geremia Bonomelli, considerato esponente di spicco del cattolicesimo liberale, e fu proprio il vescovo di Cremona ad incoraggiare la ripresa della suo impegno culturale e politico. Jacini, infatti, divenne consigliere comunale a Milano nel 1910 e, nel 1914, anche consigliere provinciale. Allo scoppio della Prima guerra mondiale si mantenne inizialmente su posizioni neutraliste, dovute forse anche alle sue numerose amicizie tedesche... ma successivamente partecipò al conflitto ottenendo diverse decorazioni al valor militare. Subito dopo la guerra entrò nel Partito popolare, di cui condivideva il carattere aconfessionale, mantenendo le sue posizioni di cattolico liberale, distante sia dalla destra integralista che dalle posizioni della estrema sinistra del partito, vicina a Guido Miglioli. Jacini fu deputato nella XV, nella XVI e nella XVII legislatura del Regno, partecipando, pur con molti dubbi alla secessione dell’Aventino, poiché credeva ancora possibile condurre una forte politica antifascista in Parlamento. Con l’avvento del regime anche Jacini decadde dal ruolo di deputato, perdendo anche i suoi incarichi all’Opera Bonomelli e al Circolo filologico milanese. Fu in questo periodo della sua vita che si dedicò agli studi storici pubblicando una biografia del nonno e diversi studi sul Risorgimento, incentrati sul rapporto tra 115


(1886-1952)

Stefano Jacini

cattolici e liberali e tra cristianesimo e democrazia. Allo scoppio della Seconda guerra mondiale, Jacini fu richiamato alle armi ed inviato in Albania. Rientrato in Italia, nel 1943, prese parte alle riunioni milanesi per formulare il programma del nuovo partito democratico cristiano che, per Jacini, doveva mantenere una posizione aconfessionale ed autonoma rispetto alla Chiesa cattolica, riprendendo il modello sturziano. Nello stesso anno entra nel CLN di Milano ma, dopo l’8 settembre, è costretto a rifugiarsi in Svizzera e svolge una importante funzione di collegamento con i gruppi della resistenza francese. Subito dopo la Liberazione, Jacini presiede il primo comitato nazionale democristiano ed è ministro della Guerra nel gabinetto Parri e, con le elezioni del 1946, membro della Costituente. In quell’occasione, coincidente col referendum istituzionale, Jacini espresse pubblicamente il suo sostegno all’istituto monarchico, pur riconoscendo le colpe del sovrano venuto meno ai suoi doveri nei confronti del Paese proprio nei più difficili momenti della guerra. Alla Costituente uno dei suoi interventi più significativi fu quello per l’inclusione dei Patti lateranensi nella 116


Costituzione, nella convinzione di salvaguardare così la pace religiosa nel Paese, poiché, pur preferendo un’“amichevole e rispettosa separazione dei poteri”, era consapevole che la complessa situazione storico-politica del Paese non lo avrebbe permesso. Con le elezioni del 1948 Jacini divenne senatore, assumendo l’incarico di presidente della Commissione Esteri del Senato, vicepresidente dell’assemblea consultiva del Consiglio d’Europa e membro del Consiglio permanente dell’Unesco. All’interno del partito espresse posizioni di minoranza, collaborando saltuariamente al periodico “Realtà politica”, sorto nel 1949, attorno a cui si riunì un variegato e disomogeneo gruppo politico sorto in opposizione alla politica di De Gasperi ed in contrasto con la sinistra del partito, detto della “Vespa”, a cui parteciparono anche Quinto Tosatti, Stefano Reggio D’Aci e Carmine De Martino. Stefano Jacini morì improvvisamente a Milano nel maggio 1952. Note bibliografiche: G. Vecchio, I cattolici milanesi e la politica. L’esperienza del Partito Popolare 1919-1926, Vita e pensiero, Milano 1982. N. Raponi, Jacini Stefano, in Dizionario storico del movimento cattolico, Marietti, Casale Monferrato 1984, vol. II, pagg. 289-293. A. Belloni Sonzogni, Jacini Stefano, in Dizionario della chiesa ambrosiana, Ned, Milano 1987, vol.III, pagg. 1638-1639.

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Giuseppe Lazzati (1909-1986)


(1909-1986)

Giuseppe Lazzati

Giuseppe Lazzati nasce il 22 giugno del 1909 a Milano, dove riceve la sua formazione scolastica e partecipa assiduamente alle attività dell’associazione San Stanislao, sotto la guida di mons. Luigi Testa. Lazzati che era inserito nell’Azione Cattolica milanese, frequentò l’Università Cattolica, laureandosi in Lettere classiche ed iniziando un lungo percorso accademico che lo porterà alla libera docenza nel 1939, ma solo nel 1958 ad entrare in ruolo come professore di Letteratura cristiana antica. Nel 1934 venne chiamato dal card. Schuster alla presidenza della GIAC ambrosiana, incarico che terrà sino al 1943. Sempre nel 1934 Lazzati decide di entrare nell’Istituto dei Missionari della Regalità di Cristo, istituto di laici consacrati, fondato da Padre Gemelli, da cui uscirà però nel 1938. Incoraggiato dal cardinale Schuster, l’anno seguente, Lazzati fondò un istituto secolare, i Milites Christi Regis, con lo scopo di intensificare la presenza e l’azione dei laici cattolici nel mondo. L’istituto venne riconosciuto canonicamente nel 1952, per diventare successivamente, nel 120


1969, Istituto secolare di Cristo Re. All’inizio degli anni Quaranta Lazzati partecipò agli incontri, ispirati da Gemelli e organizzati in casa del professor Padovani con altri docenti della Cattolica tra cui Fanfani, Dossetti, don Carlo Colombo, sulla situazione sociale e politica del paese. Ma, dopo l’8 settembre del 1943, Lazzati, che era stato richiamato alle armi come ufficiale degli alpini, venne fatto prigioniero dai tedeschi e internato in un campo di concentramento in Germania e poi trasferito in Polonia, da cui rientrò solo due anni dopo, nell’agosto del 1945. Al suo ritorno in Italia incoraggiato, sembra, anche dal card. Schuster, Lazzati si impegnò nella vita politica, venendo eletto alla Costituente e poi, nel 1948, divenendo deputato per la Democrazia Cristiana nella circoscrizione Milano-Pavia. In quegli anni Lazzati si avvicinò molto alle posizioni di Dossetti. Era diventato vicesegretario della Democrazia Cristiana ed aveva “trascinato in politica” secondo un’espressione usata proprio da Lazzati gli amici della Cattolica, (tra cui Fanfani), che si ritrovavano spesso in gruppo, a Roma, dove costituirono quella che loro stessi chiameranno la “Comunità del porcellino”. Alle riunioni di questo gruppo - una fucina di idee politiche e riflessioni storico-religiose - in cui si 121


(1909-1986)

Giuseppe Lazzati

affrontavano tematiche importanti come la necessità di una politica economica di stampo keynesiano o la distinzione, sostenuta da Lazzati tra azione politica ed azione cattolica, in polemica con l’Azione cattolica ed i Comitati Civici di Gedda, maturò anche la nascita della corrente dossettiana di Cronache sociali. Come Dossetti, anche Lazzati non condivise alcune scelte politiche degasperiane, giudicate troppo inclini al liberalismo. Alle elezioni politiche del 1953, quindi, Lazzati decise di non ripresentare la sua candidatura e di abbandonare la politica attiva, per tornare ai suoi incarichi universitari e all’impegno nell’associazionismo cattolico. Nel 1961 il cardinale Montini, che dal 1955 era divenuto arcivescovo di Milano, dopo richieste insistenti giuntegli sin dal suo arrivo in diocesi da più parti decise la sostituzione del direttore del quotidiano cattolico “L’Italia” retta fino ad allora da mons. Ernesto Pisoni e, dopo numerose consultazioni e forse anche per intervento stesso del Papa Giovanni XXIII, decise di assegnare l’incarico di direttore a Lazzati. In quegli anni, nonostante la ferma contrarietà dei 122


vescovi italiani e dello stesso Montini, la Democrazia Cristiana aveva varato le “giunte difficili”, alleandosi col Partito Socialista. Lazzati, che su questo esperimento politico aveva una visione differente e più positiva rispetto a quella di Montini, si trovò da direttore de “L’Italia” a dover giustificare la svolta politica democristiana presso un elettorato cattolico disorientato, che, però, doveva necessariamente rimanere compatto attorno al partito. Dopo l’elezione al pontificato di Paolo VI, Lazzati rimase ancora un anno direttore de “L’Italia”, fino al 1964, quando lasciò l’incarico per assumere quello di presidente della Giunta diocesana milanese di Azione Cattolica, in stretto contatto col nuovo arcivescovo di Milano, Giovanni Colombo. Negli anni successivi aumentarono gli impegni accademici di Lazzati che, nel 1965, diventerà preside della facoltà di Lettere e Filosofia della Cattolica e, nel 1968, in piena contestazione studentesca, succederà ad Ezio Franceschini come Rettore della stessa università. Lazzati riuscì a contenere la protesta giovanile attraverso il dialogo col movimento studentesco, ma in quegli anni lo stesso concetto di “università cattolica” doveva essere ridefinito. Lazzati cercò allora di rinsaldare il legame tra l’Università Cattolica e la Chiesa italiana attraverso la creazione di centri di 123


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Giuseppe Lazzati

cultura sul territorio e di corsi annuali di aggiornamento culturale che coinvolsero numerosi docenti e rilanciarono il ruolo dell’ateneo milanese nel panorama nazionale. In alcuni di questi corsi si affrontarono i temi della laicità, dello Stato democratico, del rapporto tra cristianesimo e cultura, offrendo contributi innovativi al dibattito culturale e politico. Nel 1983 Lazzati lasciò il rettorato e negli ultimi anni della sua vita si dedicò alla associazione “Città dell’uomo”, da lui creata nel 1985, con lo scopo di diffondere una cultura politica animata dai principi del cristianesimo e attenta ai principi fondamentali della Costituzione repubblicana. Lazzati morì il 18 maggio 1986, a Milano.

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Note bibliografiche: L.F. Pizzolato, Lazzati Giuseppe, in Dizionario della Chiesa ambrosiana, Ned, Milano 1987, vol. III, pagg. 1677-1680. A. Oberti, Profilo spirituale di un laico cristiano, ed. Ave, Roma 1991. Id. Giovanni Battista Montini e Giuseppe Lazzati, ed. Ave, Roma 1992. V. Sesti, Giuseppe Lazzati. L’itinerario spirituale di un cristiano, Ned, Milano 1992. L. Pazzaglia, Lazzati Giuseppe, in Dizionario Storico del Movimento cattolico. Aggiornamento 1980-1995, Marietti, Genova 1997, pagg. 345-350. G. Alberigo (a cura di), Giuseppe Lazzati (1909-1986):contributo per una biografia, Il Mulino, Bologna 2001. M. Malpensa, A. Parola, Lazzati: una sentinella nella notte (1909-1986), Il Mulino, Bologna 2005. L. F. Pizzolato, Fede e cultura in Giuseppe Lazzati, Vita e Pensiero, Milano 2007.

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Piero Malvestiti (1899-1964)


(1899-1964)

Piero Malvestiti

Piero Malvestiti nasce ad Apiro, in provincia di Macerata, nel 1899, ma si trasferisce presto in Lombardia dove studia in un collegio religioso, ottenendo il diploma in ragioneria. A Milano, Malvestiti partecipa attivamente alla vita dell’associazionismo cattolico sotto la guida di mons. Francesco Olgiati, divenendo un attivo propagandista della Gioventù cattolica. A 17 anni si arruola volontario nella Prima guerra mondiale e dal fronte ritorna gravemente ferito. Gli viene per questo motivo conferita una Croce di guerra al merito e, nel 1923, diventerà il segretario milanese dell’Unione nazionale reduci. Ma la subordinazione dell’associazione degli ex combattenti al regime fascista spingerà Malvestiti ad abbandonare il suo incarico e fondare una Lega lombarda dei reduci di guerra, che avrà però vita breve e verrà sciolta dal governo fascista. Pur impegnato nelle organizzazioni cattoliche, Malvestiti non aderì al Partito Popolare, che gli sembrava troppo incerto nell’opposizione al fascismo. Il suo forte antifascismo, già maturato dopo la legge Acerbo, lo spinse, nel 1924, a tenere una intensa commemorazione di don Minzoni, davanti alla Basilica di Sant’Ambrogio nel primo anniversario 128


della sua tragica morte, ad opera di due squadristi fascisti. In quegli anni il suo impegno è soprattutto dentro l’Azione Cattolica, ma nel 1928, insieme a Malavasi crea il Movimento Guelfo d’azione, con un manifesto programmatico intitolato a “Cristo Re e il popolo”, in cui si prevedeva il superamento del fascismo, la cui dottrina conteneva tutti gli elementi negativi del mondo moderno. Al regime fascista si contestava un “volto bifronte”, con due nomi che erano “menzogna e rapina”. La menzogna era rappresentata da un cattolicesimo ostentato e da un falso patriottismo e la rapina era data dalla distruzione di ogni libertà. In occasione del quarantesimo anniversario della “Rerum Novarum”, nel 1931, i guelfi diffusero un manifesto fortemente antifascista. Tra il 1932 e il 1933 altri manifesti, venivano diffusi clandestinamente. Nel 1933, fallì il tentativo dei guelfi di collegarsi al movimento di Giustizia e Libertà e l’anno successivo, nel gennaio del 1934, Malvestiti e Malavasi furono arrestati, subirono un duro processo in cui vennero difesi da Edoardo Clerici, ma mantennero un atteggiamento deciso anche dopo la condanna espressa da Tribunale a cinque anni di carcere. Malvestiti venne trasferito nel carcere di Pianosa, ma dopo poco tempo, a causa della sua cagionevole salute, gli venne concessa la libertà, con la promessa di non compiere attività politica. Tornato a Milano, per Malvestiti divenne difficile riprende129


(1899-1964)

Piero Malvestiti

re i contatti con gli amici neoguelfi a causa dei costanti controlli della polizia. Eppure all’inizio degli anni Quaranta il gruppo di Malvestiti riuscì a stabilire rapporti con ambienti cattolici come quelli legati ad Achille Grandi o a don Primo Mazzolari. Nel febbraio 1942 anche De Gasperi partecipò a riunioni tenutesi nello studio milanese di Malvestiti. Nell’agosto di quell’anno seguì l’incontro a Borgo Valsugana e nel settembre a Milano, a casa di Enrico Falck (alla presenza di Gronchi, Clerici, Jacini, Malavasi), in cui si formulò un programma per il nuovo partito. Mentre gli ex popolari pensavano di rifondare il loro vecchio partito, i neoguelfi, che nella loro azione si riferivano costantemente all’ambito religioso, furono decisi nel proporre per il nuovo soggetto politico il nome, che poi venne accettato, di Democrazia Cristiana. Nel pensiero politico neoguelfo, la stessa democrazia era intesa come una conseguenza storica del cristianesimo. Dopo l’8 settembre 1943, anche Malvestiti dovette rifugiarsi in Svizzera dove collaborò con le riviste dei rifugiati e da qui si spostò in Val d’Ossola, divenendo ministro delle Finanze di quella repubblica partigiana. 130


Nel 1945 partecipa, in qualità di membro del C.L.N. dell’Alta Italia, all’insurrezione di Como. Nel dopoguerra Malvestiti venne eletto deputato alla Costituente diventando, nell’ottobre del 1947, sottosegretario alle Finanze e successivamente al Tesoro per diventare, nel 1952, ministro dei trasporti e, nel 1954, col governo Pella, ministro dell’Industria. Nel 1958 gli venne affidata la vicepresidenza della Commissione C.E.E. e poi, la presidenza dell’Alta Autorità della C.E.C.A., incarico che tenne fino al 1963. In quello stesso anno Malvestiti venne candidato alle elezioni politiche nella circoscrizione di Milano-Pavia, ma non riuscì ad essere eletto e concluse con questa amara sconfitta la sua intensa vita politica. Morì l’anno seguente il 5 novembre 1964. Note bibliografiche: C. Brezzi, Il cattolicesimo politico in Italia nel ’900, Teti, Milano 1979. Id., Malvestiti Piero, in Dizionario storico del movimento cattolico in Italia, Marietti, Casale Monferrato 1984, vol. II, pagg. 321-325. G. De Antonellis, Malvestiti Piero, in Dizionario della Chiesa ambrosiana, Ned, Milano 1987, vol. III, pagg. 1856-1860. C. Bellò, L’onesta democrazia di Piero Malvestiti, Ned, Milano 1985. M. Bocci, Oltre lo stato liberale. Ipotesi su politica e società nel dibattito cattolico tra fascismo e democrazia, Bulzoni editore, Roma 1999.

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Achille Marazza (1894-1967)


(1894-1967)

Achille Marazza

Achille Marazza era nato a Borgomanero, in provincia di Novara, nel 1894. Studiò a Milano, aderendo al circolo universitario della FUCI “Contardo Ferrini”, di cui diventerà vicepresidente diocesano. Marazza combatté nella Prima guerra mondiale come volontario e ne riportò una grave ferita. Partecipò sin dall’inizio all’esperienza del Partito Popolare e, nel 1920, dopo aver conseguito la laurea in Giurisprudenza a Pavia, iniziò la sua vita politica attiva, candidandosi alle comunali di Borgomanero e alle provinciali di Novara. Con l’avvento della dittatura, Marazza fu preso di mira ed aggredito dalle squadre fasciste nel 1923. Si dedicò, quindi, esclusivamente alla professione di avvocato a Milano. Ma già nel 1938, nel suo studio milanese, iniziarono a ritrovarsi clandestinamente i fratelli Meda, De Gasperi, Malvestiti, Grandi, Migliori, preparando la strada ad una ripresa dell’impegno politico attivo dei cattolici. Durante la Seconda guerra mondiale Marazza fu richiamato alle armi ed inviato in Slovenia, da dove tornò solo dopo l’8 settembre 1943. Rientrato in Italia partecipò attivamente alla resistenza 134


nell’Ossola ed a Milano, dove venne designato da De Gasperi quale rappresentante della Democrazia Cristiana per l’Alta Italia. In questo ruolo partecipò ai colloqui che si svolsero in arcivescovado tra Mussolini e il cardinale Schuster il 25 aprile 1945, per la resa dei fascisti, in un clima molto teso e già compromesso. Negli anni della ricostruzione, Marazza si impegnò attivamente partecipando ai governi di Parri e De Gasperi come sottosegretario alla Pubblica Istruzione. Venne eletto a Milano alla Costituente con quasi 25mila preferenze e nominato nuovamente sottosegretario negli altri governi De Gasperi, prima al ministero di Grazia e Giustizia e poi agli Interni. Nel VI governo De Gasperi, Marazza divenne ministro del Lavoro interessandosi all’addestramento professionale, al collocamento e predisponendo un progetto di legge sul diritto di sciopero che, però, non venne discusso dal Parlamento. Marazza fu tra i partecipanti al gruppo di “Concentrazione” che, in opposizione alle indicazioni di Fanfani, fece eleggere Gronchi alla presidenza della Repubblica nel maggio 1955. Qualche mese dopo, nel luglio 1955, proprio Marazza venne eletto con l’appoggio fondamentale dei “concentrazionisti”, alla presidenza del Gruppo parlamentare democristiano, ancora una 135


(1894-1967)

Achille Marazza

volta contro le indicazioni della segreteria che aveva predisposto la candidatura di Zaccagnini, espressione della corrente di maggioranza “Iniziativa democratica”. A Milano, Marazza divenne presidente dell’Istituto di studi sul lavoro ed assunse anche l’incarico di presidente dell’A.T.M. Dal 1947 al 1967 fu presidente della Fabbrica del Duomo, dove, godendo della fiducia degli arcivescovi succedutisi in quegli anni, promosse numerosi lavori di rifacimento e restauro. Marazza fu molto vicino a mons. Bicchierai e divenne anche consigliere d’amministrazione del quotidiano della diocesi “L’Italia”, dopo la sostituzione di mons. Pisoni con Giuseppe Lazzati, nel 1961. Marazza morì nel 1967 a Suna, lasciando i beni del suo patrimonio alla sua città natale, Borgomanero, dove è stata costituita una Fondazione Marazza.

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Note bibliografiche: A. Canavero, Marazza Achille, in Dizionario Storico del movimento cattolico, Marietti, Casale Monferrato 1984. G. P. Melzi D’Eril, Marazza Achille, in Dizionario della Chiesa ambrosiana, Ned, Milano 1987, vol.III, pag.18731874. V. Carini Dainotti, Achille Marazza. Il nostro difficile novecento, Fondazione Marazza, Borgomanero 1987.

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Giovanni Marcora (1922-1983)


(1922-1983)

Giovanni Marcora

Giovanni Alberto Marcora, figlio di un allevatore e commerciante di bestiame, nasce ad Inveruno nel 1922. Inizia presto a seguire il padre nelle sue attività commerciali e nello stesso tempo completa gli studi ottenendo il diploma di geometra. Dopo una breve attività lavorativa come capocantiere vicino Zara, che era ancora territorio italiano, Marcora, nel 1942 dovette prestare servizio militare vicino a Bressanone. Ma, dopo l’8 settembre 1943, scelse di impegnarsi nella resistenza, che avrebbe dovuto rappresentare per lui “l’inizio di una storia di democrazia, di tolleranza, di rispetto dei valori ideali e politici delle diverse componenti della realtà italiana”. La sua attività di partigiano, col nome di battaglia di “Albertino”, si svolse nell’alto milanese, nelle province di Novara e Varese e nell’Ossola, come vicecomandante delle divisioni partigiane “Alfredo Di Dio”, al fianco del comandante “Alberto” cioè Eugenio Cefis, di don Federico Mercalli e soprattutto di Enrico Mattei, membro del Corpo Volontari della Libertà e guida carismatica dei partigiani cattolici a cui Marcora rimarrà sempre molto legato. Cefis e Marcora, dopo la strenua difesa 140


della Repubblica d’Ossola, parteciparono alla liberazione di Milano. La passione civile maturata con la resistenza indirizzò “Albertino”, verso un concreto impegno politico. Dopo le elezioni del 7 giugno 1953, da cui la Democrazia Cristiana uscì ridimensionata, Marcora fu tra gli organizzatori della riunione di Belgirate, nel settembre di quell’anno, in cui nacque la nuova corrente democristiana della Sinistra di Base. La corrente, che raccoglieva giovani democristiani di varia provenienza geografica e differente estrazione culturale, era un insieme di “tribù sparse” secondo una definizione del fiorentino Nicola Pistelli, di cui Marcora fu efficace coordinatore, sostenendo economicamente anche le diverse riviste della corrente, intuendo l’importanza della stampa per diffondere le idee della Base. Proprio dalle colonne dei periodici “La base”, “Prospettive”, “Stato democratico” e con l’Agenzia Radar, i basisti avanzavano la loro proposta politica prospettando il dialogo con i socialisti per coinvolgerli nell’amministrazione del paese, staccandoli dai comunisti, ed auspicando una Democrazia Cristiana più laica ed autonoma dalla gerarchia ecclesiastica. Marcora nel 1954 diventa vicesegretario provinciale della D.C. e, nel 1958, segretario provinciale succedendo a Camillo Ripamonti eletto in Parlamento. In questa veste si trovò a gestire la 141


(1922-1983)

Giovanni Marcora

formazione della prima giunta di centrosinistra al Comune di Milano e, per tale motivo, ebbe rapporti tesi e difficili con l’arcivescovo Montini, contrario all’operazione politica di centrosinistra. Ma il centrosinistra era ormai una realtà consolidata quando Marcora, alle elezioni politiche del 1968, divenne senatore, eletto nel collegio di Vimercate. Al Senato legò il suo nome alla legge sull’obiezione di coscienza, facendola approvare nel 1972. L’anno successivo divenne vicesegretario della Democrazia Cristiana e nel 1974 assunse l’incarico di ministro dell’Agricoltura, che terrà fino al 1980, imprimendo un’importante impulso al settore agricolo anche grazie all’approvazione della Legge Quadrifoglio, che innovava profondamente la politica agroalimentare italiana, incentivandone lo sviluppo. Marcora fu anche imprenditore agricolo, proprietario di una vasta tenuta a Bedonia, nel parmense. Nel 1973 Marcora fu tra gli organizzatori di un Convegno economico, tenutosi a Perugia, per elaborare una soluzione politica alla recessione economica che colpiva il Paese. In quegli stessi anni, dal 1970 al 1975, e poi più avanti dal 142


1980 sino alla morte, Marcora coniugò i suoi impegni politici nazionali con la carica di sindaco di Inveruno, Suo paese natale, a cui fu sempre molto legato. Nella seconda metà degli anni settanta, Marcora appoggiò la politica di rinnovamento e dialogo con i comunisti portata avanti dal nuovo segretario politico della D.C., il moroteo Benigno Zaccagnini, che scelse tra i suoi consiglieri uomini della Base e come vicesegretario il basista Giovanni Galloni. Con la tragica morte di Aldo Moro declinò la politica di solidarietà nazionale di cui Marcora era uno dei più convinti fautori ed egli si dedicò all’attività di governo, divenendo nel 1980 ministro dell’Industria, Commercio e Artigianato, incarico che tenne per due anni, nonostante fosse già gravemente ammalato. Morì infatti a Milano, a soli sessant’anni, nel febbraio del 1983. Note bibliografiche: G. Rumi, La Base, una nuova “sinistra” a Milano, in Id., Milano cattolica nell’Italia unita, Ned, Milano 1983. L. Castoldi, Marcora. Storia di un leader, Editrice Riuniti, Milano 1986. G.M. Capuani - C. Malacrida, L’autonomia politica dei cattolici, Interlinea, Novara 2002. G. Chiarante, Tra De Gasperi e Togliatti. Memorie degli anni Cinquanta, Carocci, Milano 2006. G. Di Capua, Albertino Marcora politico del fare, Rubbettino, Soveria Mannelli 2007. 143



Luigi Meda (1900-1966)


(1900-1966)

Luigi Meda

Luigi Meda nasce a Milano nel luglio del 1900 ed è il secondo figlio di Filippo Meda, noto esponente del mondo cattolico milanese attivo nell’Opera dei Congressi. Il giovane Luigi, dopo il diploma desiderò continuare gli studi presso un Collegio militare e per qualche tempo si trasferì alla Nunziatella di Napoli. Ma, ancora giovanissimo, nel 1917, si arruolò volontario nel corpo degli alpini, partecipando così alla Prima guerra mondiale. Il fronte vedeva già impegnati altri membri della sua famiglia come il fratello maggiore Gerolamo e la madre crocerossina. L’esperienza della Prima guerra mondiale lasciò una vivissima impressione nel giovane Meda, a contatto con uomini più anziani di lui e di diversa provenienza regionale: per il suo impegno Meda riceverà tre Croci di guerra e due Benemerenze. Rientrato dal fronte, frequentò la facoltà di Giurisprudenza a Pavia e nel 1919, insieme al fratello, aderì al Partito Popolare di don Sturzo, diventando uno dei principali animatori della rivista “Il Domani d’Italia”, accanto a Francesco Luigi Ferrari. Meda scriverà anche su “Civitas” e “Risorgimento”, affrontando i 146


temi del lavoro, del mondo agrario ed industriale. All’interno del Partito Popolare i fratelli Meda, espressero posizioni diverse da quelle paterne in merito ai rapporti col partito fascista: mentre per Filippo Meda era possibile continuare la collaborazione col governo Mussolini, i due fratelli dissentirono su questa linea ma, per rispetto per le posizioni del padre, rifiutarono di entrare nel Consiglio nazionale del partito. Luigi Meda collaborò all’attività legale del padre che, nel 1927, prenderà la difesa di De Gasperi, quando gli venne mossa l’accusa di espatrio clandestino. Negli anni della dittatura, si mantenne molto attivo sul piano culturale, nell’Azione Cattolica e nell’Associazione “Pro Cultura”, intessendo anche rapporti con gli antifascisti di Giustizia e Libertà e con il gruppo dei guelfi. Anche Meda nel 1943 partecipò alla redazione del “Programma della Democrazia Cristiana”, apparso a Milano dopo il 25 luglio, diventando subito uno dei principali organizzatori della resistenza a Milano fino a quando, nel novembre del 1943, venne arrestato e incarcerato a San Vittore. Liberato nel 1944, per intercessione del card. Schuster, Meda continuò la sua lotta con i partigiani, diventando presidente del Comitato di Liberazione Nazionale di Milano. Nella città liberata e tornata alla democrazia, Meda partecipò 147


(1900-1966)

Luigi Meda

alla vita politica diventando consigliere comunale nel 1946, partecipando alla prima giunta del dopoguerra, presieduta da Antonio Greppi e venendo eletto alla Costituente, dove si occupò prevalentemente dei problemi economico-sociali. Nel 1948 gli fu affidato l’incarico di sottosegretario alla Difesa, che terrà fino al 1950, quando divenne delegato italiano presso la commissione speciale dell’O.n.u. per i prigionieri di guerra, partecipando attivamente ad incontri e colloqui internazionali e raccogliendo una notevole documentazione sui dispersi italiani, soprattutto sul fronte russo. In questo ruolo Meda favorì anche l’opera della Fondazione Pro Juventute di don Carlo Gnocchi. Nel 1956, abbandonata l’attività parlamentare, Meda diventò consigliere comunale a Milano, dove venne riconfermato anche nelle successive consultazioni elettorali del 1960 e del 1964, accettando gli incarichi di assessore prima all’Istruzione, poi al Bilancio ed infine di vicesindaco. In quegli anni, in cui la politica italiana si confrontava sul tema dell’apertura a sinistra e nei comuni si attuavano le prime “giunte difficili” con il coinvolgimento 148


socialista, Meda, nonostante la contrarietà a lui nota dell’arcivescovo Montini su un tale esperimento politico, incoraggiò i tentativi democristiani di alleanza con i socialisti, accettando il ruolo di vicesindaco nella prima giunta di centrosinistra a Milano, guidata dal socialdemocratico Cassinis. Per Meda, infatti, il centrosinistra rappresentava una necessaria e tardiva collaborazione tra le due principali forze popolari italiane, appunto cattolici e socialisti, ed anche in questa posizione Luigi Meda si distingueva profondamente dalle posizioni moderate del padre. Nel 1963 Meda divenne presidente del Circolo culturale “Giancarlo Puecher”, d’ispirazione cattolico democratica, ma, nel 1966 si spense improvvisamente. Note bibliografiche: C. Grampa, (a cura di), Luigi Meda fra noi, ed. Puecher, Milano 1967. A. Ferrari, Luigi Meda. Da Giolitti a Moro, Ned, Milano 1982. A. Ferrari, Meda Luigi, in Dizionario Storico del Movimento cattolico, Marietti, Casale Monferrato, 1984, vol. II, pagg. 363-366. A. Ferrari, Meda Luigi, in Dizionario della Chiesa ambrosiana, Ned, Milano 1987, pagg. 2150-2151. M. Bocci, Oltre lo stato liberale. Ipotesi su politica e società nel dibattito cattolico tra fascismo e democrazia, Bulzoni, Roma 1999.

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Gian Paolo Melzi D’Eril (1908-1992)


(1908-1992)

Gian Paolo Melzi D’Eril

Gian Paolo Melzi D’Eril, appartenente ad una illustre famiglia milanese, nasce nel capoluogo ambrosiano nel 1908, e frequenta, sin da ragazzo, il circolo cattolico giovanile parrocchiale situato nel cortile della Basilica di Sant’Ambrogio. Nel centralissimo quartiere milanese trascorse la sua giovinezza, decidendo di iscriversi, nell’ottobre del 1926, alla facoltà di Giurisprudenza dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, di recente fondazione e riconosciuta giuridicamente dallo Stato solo due anni prima. In Cattolica conobbe Guido Gonella e frequentò Amintore Fanfani, suo coetaneo e compagno di corso. Negli stessi anni, Padre Gemelli e mons. Olgiati, che conosceva dagli anni del liceo, lo coinvolsero nelle associazioni studentesche universitarie. Dopo la laurea Melzi D’Eril intraprese la professione forense a cui si dedicò fino allo scoppio della guerra. Tra il 1940 e il 1941 fu impegnato nelle operazioni militari in Albania e successivamente in Grecia, prima a Patrasso, poi a Tebe ed Atene ed, infine, nel 1943 fu inviato in Slovenia. Dal fronte Melzi D’Eril scrisse frequentemente a don Carlo Gnocchi, in servizio come cappel152


lano militare, a cui era legato sin dagli anni Trenta da una solida amicizia. Dopo l’8 settembre del 1943 Melzi D’Eril fu prigioniero dei tedeschi e venne internato in Polonia, vicino alla località di Czestochowa; tra i suoi compagni di prigionia vi era anche Giovanni Guareschi. Rientrato a Milano, nel dopoguerra, si avvicinò alla politica, introdotto nella Democrazia Cristiana da Cornaggia Medici. Nel 1956 diventa consigliere comunale ed assume l’incarico di assessore supplente al personale nella giunta guidata dal socialdemocratico Virgilio Ferrari. Melzi D’Eril fu riconfermato al consiglio comunale milanese anche alle successive consultazioni elettorali del novembre 1960, che furono precedute da un intenso dibattito politico sulla opportunità di un’alleanza con il partito socialista. Questa linea, sostenuta dalla dirigenza locale del partito, guidata dagli uomini della Sinistra di Base, era incoraggiata anche dal segretario nazionale del partito Aldo Moro, nonostante permanesse la contrarietà dell’episcopato italiano e dell’arcivescovo di Milano, Montini, che ripetutamente si rivolse ai dirigenti democristiani per scongiurare la nascita di un’amministrazione di centrosinistra. In quel contesto Melzi D’Eril, si schierò contro l’alleanza con i socialisti, in polemica con Moro con cui ebbe un duro confronto, 153


(1908-1992)

Gian Paolo Melzi D’Eril

e rifiutò l’incarico di assessore al Personale nella “giunta difficile” con il Partito socialista, guidata dal socialdemocratico Cassinis. Rieletto alle elezioni del 1964, Melzi D’Eril partecipò alla giunta Bucalossi gestendo l’assessorato allo Stato civile e ai Servizi civici. Ma, con l’improvvisa morte di Luigi Meda, nel 1966, un rimpasto dell’amministrazione portò Melzi D’Eril ad occuparsi dell’assessorato al Bilancio. Nel 1968, riconfermato nuovamente in consiglio comunale, in una tornata elettorale che vedeva ritirarsi dalla scena pubblica esponenti democristiani come Edoardo Clerici e Agostino Giambelli, a Melzi D’Eril vennero affidati l’incarico di vicesindaco e l’assessorato al Bilancio, alla Programmazione e agli Affari Legali. In questa veste si trovò a gestire con rigore e fermezza le intemperanze dei contestatori sessantottini e le manifestazioni violente dell’autunno caldo del 1969. Nel 1970 Melzi D’Eril lasciò volontariamente l’impegno in comune e partecipò alle prime elezioni regionali, venendo eletto consigliere per la Democrazia Cristiana e contribuendo alla costituzione di una giunta di centrosinistra presie154


duta dal democristiano Piero Bassetti, al fianco del quale era stato per lunghi anni in consiglio comunale. Melzi D’Eril partecipò anche alla vita culturale e sociale milanese, operando in alcune istituzioni pubbliche come il Touring Club e presiedette la Fabbrica del Duomo, succedendo ad Achille Marazza. Morì a Milano nel 1992. Note bibliografiche: G. P. Melzi D’Eril, Frammenti di vita di un milanese di una certa età, Cavallotti editori, Milano 1981. Id., Con quattro sindaci a Palazzo Marino (1955-1960), Cavallotti editore, Milano 1988. Id., Momenti e personaggi, Editori Etnie, 1994.

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Giovanni Battista Migliori (1893-1978)


(1893-1978)

Giovanni Battista Migliori

Giovanni Battista Migliori nasce a Milano nel 1893 e riceve la prima formazione scolastica presso il Collegio San Carlo, completando poi gli studi superiori al Liceo Manzoni. Sin dagli anni giovanili, che coincidono con l’episcopato del card. Ferrari, Migliori si avvicina all’associazionismo cattolico milanese, conoscendo mons. Francesco Olgiati, importante figura di riferimento per molta parte dei giovani cattolici della città. Dopo il diploma, Migliori studiò Legge a Pavia, laureandosi con una tesi sulle organizzazioni professionali cattoliche in Italia, che venne pubblicata con una prefazione di Toniolo. A Pavia, negli anni universitari, entrò nella FUCI, diventandone, nel 1913, Presidente nazionale e mantenendo questo incarico fino al 1918. Negli stessi anni Migliori partecipò alla Prima guerra mondiale, come ufficiale di cavalleria. A Milano, nei primi anni del dopoguerra, aderì al Partito Popolare diventando nel 1920 delegato della sezione milanese e consigliere nazionale del Partito, molto vicino alle posizioni di Luigi Sturzo. In quegli anni Migliori mantenne una posizione moderata, anche se, nel 1924, ini158


ziò a pubblicare una serie di corsivi sul quotidiano cattolico “L’Italia” di tono chiaramente antifascista. Durante il periodo della dittatura, dopo lo scioglimento del P.P.I. Migliori si dedicò all’esercizio della professione forense e pubblicò molti articoli sulle riviste specializzate, occupandosi delle tematiche riguardanti il Concordato tra Stato e Chiesa. Negli stessi anni, divenne presidente della Associazione Pro Cultura, membro della Società storica lombarda e scrisse un intenso volume su Benedetto XV. Migliori mantenne sempre il contatto con gli ex compagni del Partito Popolare e, nel 1942, partecipò agli incontri clandestini, insieme a Grandi, Malvestiti, Falck, Marazza, per la ricostituzione di un partito democratico-cristiano, contribuendo alla stesura del Programma di Milano. Dopo l’8 settembre del 1943 dovette fuggire in Svizzera, continuando, però, a scrivere sul periodico “Libertà”. Subito dopo la guerra, Migliori assunse l’incarico di commissario straordinario degli Istituti Ospedalieri di Milano. Nel 1946 fu capolista alle elezioni amministrative ed eletto consigliere comunale a Milano, divenendo anche presidente della Deputazione provinciale. Dal 1948 venne eletto deputato nella circoscrizione di Milano, e riconfermato alle politiche del 1958 e del 1963 con numerose preferenze. Centrale, nella sua attività parlamentare fu l’impegno in 159


(1893-1978)

Giovanni Battista Migliori

difesa della moralità pubblica, l’attenzione alla famiglia e la tutela dell’istituto del matrimonio. Migliori divenne, nel 1951, Alto Commissario per l’Igiene e la Sanità, contribuendo ad avviare la formazione in Italia di un Ministero della Sanità. Fu, inoltre, presidente di vari Enti tra cui il Centro Didattico Nazionale Scuola e Famiglia, la Consulta Enti Locali della DC, l’Istituto Sieroterapico milanese e l’Istituto di Studi Penitenziari. Anche dopo aver rinunciato alla candidatura al Parlamento, nel 1968, continuò a partecipare al dibattito politico del Paese e, nel 1970, fu tra i promotori del referendum per l’abrogazione della legge sul divorzio. Migliori morì a Saronno nel giugno del 1978.

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Note bibliografiche: G. Fanello Marcucci, G.B. Migliori: una vita tra politica e cultura, “Diocesi di Milano�, n.19 (1978), pagg.367-369. G. Vecchio, Migliori Giovanni Battista, in Dizionario Storico del Movimento Cattolico in Italia (1860-1980), vol.III-2, Marietti, Casale Monferrato 1984, pagg. 557-558. A. Belloni Sonzogni, Migliori Giovanni Battista, in Dizionario della Chiesa ambrosiana, Ned, Milano 1990, vol. IV, pag.2222.

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Pier Virgilio Ortolani (1921-2006)


(1921- 2006)

Pier Virgilio Ortolani

Pier Virgilio Ortolani nasce a Milano nel settembre del 1921, dove trascorre la sua giovinezza, impegnandosi presto nella vita parrocchiale ed entrando nell’Azione Cattolica. Inizia a lavorare nella fabbrica Richard Ginori ma nel 1940 viene chiamato alle armi e partecipa alla Seconda guerra mondiale scegliendo, dopo l’8 settembre 1943, di combattere insieme ai partigiani nella lotta di liberazione nazionale. Già l’anno successivo, Ortolani è tra gli organizzatori della Democrazia Cristiana nell’alto milanese, coniugando questo impegno con l’incarico di segretario delle Acli a Varese e successivamente commissario provinciale a Roma. Particolare interesse dedica, in quegli stessi anni, alle questioni sindacali, curando in qualità di commissario, nel 1947, a Caltanissetta, le Acli e l’Organizzazione sindacale dei minatori. A Milano Ortolani segue fin dalle origini le vicende del sindacalismo cattolico, ricoprendo vari incarichi di segreteria tra il 1948 e il 1950 quando viene nominato segretario aggiunto della Cisl di Milano accanto ad Ettore Calvi, segretario generale, diventando anche consigliere nazio164


nale dell’associazione. Nel 1959 sostituirà alla segreteria generale Calvi eletto deputato. In quegli anni, Ortolani promuove la formazione culturale dei giovani sindacalisti organizzando, con la collaborazione dei docenti dell’Università Cattolica Guido Baglioni e Sergio Zaninelli, dei corsi residenziali nella Villa Cagnola di Gazzada. All’impegno sindacale Ortolani affianca presto anche l’impegno politico diretto, militando nella Democrazia Cristiana, in cui fu membro del Comitato provinciale di Milano. Dal 1958 al 1963, viene nominato consigliere di amministrazione dell’Ente Autonomo Fiera di Milano e nel 1965 diventa vicepresidente per l’Istituto nazionale per l’assicurazione contro le malattie, proprio in rappresentanza dei lavoratori, incarico che gli verrà riconfermato fino al 1975, anno in cui venne sciolto il Consiglio d’amministrazione. Nel giugno del 1970 torna alla politica attiva candidandosi nelle liste democristiane e venendo eletto alla Regione Lombardia, nella circoscrizione elettorale di Milano. In Regione Lombardia, Ortolani ricopre diversi cariche, occupandosi soprattutto delle problematiche relative alla sanità. Nel luglio 1971 diventa presidente del Centro lombardo di educazione sanitaria. Ortolani verrà riconfermato anche alle successive elezioni regionali del 1975, nella stessa circo165


(1921- 2006)

Pier Virgilio Ortolani

scrizione, diventando vicepresidente del Consiglio regionale fino al 1978, quando gli venne affidato il ruolo di assessore agli Affari generali, Organizzazione e Personale, che tenne fino alla fine della legislatura. Per la terza volta consecutiva fu rieletto consigliere regionale nel 1980, diventando presidente della III Commissione consiliare permanente “Sicurezza sociale” . L’ultimo periodo della sua vita fu dedicato alla struttura assistenziale della “Sacra Famiglia” di Cesano Boscone, a cui fornì il suo costante sostegno nella cura dai minorati, soprattutto di quelli mentali, con grande dedizione. Morì a Milano nel 2006.

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"‌ è questa la DC che a Milano ha saputo creare una rete straordinaria di luoghi di incontro e di riflessione, che si sono dimostrati capaci di sopravvivere agli sconvolgimenti e che sanno dare ancor oggi qualche frutto‌" Angelo Caloia

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