La documentazione del teatro della natura

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La documentazione del teatro della natura

Il teatro della natura viene concepito da Aldrovandi secondo le concezioni aristoteliche, suddividendone i protagonisti in marini e terrestri. Tra questi ultimi vanno annoverati anche gli animali volanti e pure le piante. Possiamo trovare una analogia tra le tipologie dei mostri marini illustrati da Aldrovandi, così come per gli ambienti in cui questi si muovono, con i costumi e con le scene degli intermezzi teatrali che erano in voga in quel periodo. I mostri terrestri descritti dallo scienziato ci ricordano, più che creature effettivamente esistenti, i luoghi deputati a rappresentare l'inferno nelle sacre rappresentazioni, con i caratteristici mascheroni in cartapesta ed i travestimenti da diavoli. Esiste, quindi, una stretta relazione tra il modo in cui gli studiosi di quel periodo descrivono il teatro della natura e le scenografie. Gli apparati teatrali mettono in scena la natura con le sue meraviglie ed i suoi ritmi, l’alternarsi delle stagioni come il variare del paesaggio dall'orrido al bucolico. Scienziati, e scenografi sono dunque accomunati nel presentare la natura come spettacolo. Ciò è dovuto anche al fatto che l'ambito scientifico non è ancora del tutto separato dalla letteratura. Gli studi naturalistici fanno ancora parte della filosofia, di conseguenza il mondo dell’immaginario e della mitologia non può essere disgiunto dalla scienza. Il teatro della natura possiede ancora un'anima, il mondo fisico non è una realtà avulsa dall'uomo con proprie leggi indipendenti, ma è ancora un riflesso del suo spirito, in quanto provengono entrambi dall'unico soffio divino che li ha creati. Ogni elemento naturale è in qualche modo antropizzato, il Sole e la Luna hanno un volto, sulla Luna è ancora possibile vedere Caino curvo sotto il fascio di spine. Il fantastico e il sogno si sovrappongono alla realtà anche perché manca la possibilità concreta di una efficace ed oggettiva documentazione, non esistono ancora strumenti tecnici tali da fornire una rappresentazione univoca e probatoria. Come è avvenuto per la redazione dei Vangeli, ogni evento degno di nota è trasmesso anzitutto per via verbale. La trasmissione verbale permette al il mito di riconnettersi con il reale. E' emblematico, ad esempio, il caso del pesce vescovo, parlante e benedicente, che secondo Aldrovandi sarebbe stato pescato nel mar Baltico.


Ad ogni evento inusuale vengono poi sovrapposte congetture ed ipotesi stravaganti e fantasiose, cui viene attribuito lo stesso valore di realtà del fatto stesso. E' quello che accade ancor oggi nel caso di luci in cielo. Dall’avvistamento di oggetti volanti non identificati si arriva a diffondere, da parte di persone dalla fervida fantasia, descrizioni particolareggiate di navicelle spaziali e addirittura a ricostruire nei dettagli forme umanoidi di alieni, classificandone pure le diverse tipologie, in linea con quanto faceva Aldrovandi nel caso di mostri e di draghi. La sola trasmissione verbale, dunque, mancando di riscontri oggettivi esterni, si presta a sconfinare nell'immaginario. La contaminazione tra elementi scientifici ripresi dalla natura e il teatro, all’epoca di Aldrovandi, deriva dalla sensibilità manieristica che da una parte ricerca il meraviglioso e dall’altra esaspera la regola con la necessità di teorizzare e incasellare. Il gusto per lo spettacolare e il ridondante non lo si osserva soltanto nei costumi per le scene, ma anche nella moda, dove prevale il gusto per il pomposo e per lo sfarzo. Anche la pittura tende mettere in scena gli elementi naturali per suscitare meraviglia, specie in opere come quelle di Arcimboldi che, attraverso l’accostamento di diversi elementi naturalistici, dà vita ad eventi inaspettati. Sulla stessa linea Aldrovandi, attraverso il montaggio di reperti vari, crea nuove specie per arricchire la propria collezione con elementi inusuali. Le sue raccolte presentano una specifica dimensione teatrale, essendo finalizzate a suscitare una emozione, un sussulto di meraviglia da parte del pubblico, sia per la eccezionalità dei reperti che per il loro numero sterminato, una sorta di catarsi biologica, basata sulle sorprendenti ed insolite forme del mondo naturale. Se per queste caratteristiche Aldrovandi è pienamente in linea con il gusto della sua epoca, nel suo metodo è ancora medievale, basandosi su una rielaborazione o riproposta del naturalismo aristotelico: anche le sue sperimentazioni, quali le ricerche embriologiche sulle uova, sono legate al passato, mancano di quel supporto strumentale fondato sul pensiero matematico che Galileo prima e Cartesio poi porranno alle basi della scienza moderna. Per Aldrovandi la matematica non è uno strumento indispensabile, ma una scienza fine a se stessa, conclusa in sé, come la musica.


Egli mantiene ancora viva la suddivisione scolastica delle diverse discipline, formulando una sorta di dotta estensione del trivio e del quadrivio. Da questo si evince la sua mentalità ancora arcaica che gli impedisce di allargare la visuale e di intuire gli stretti collegamenti che sussistono fra i vari ambiti del sapere. La sua formazione ad ampio raggio che ha toccato formalmente un po' tutte le materie è ancora di tipo enciclopedico in senso riduttivo, paratattico. Lo studioso, oltre ad essere ancorato alla tradizione, non riesce nemmeno a staccarsi concretamente dalla sua città, provincia papalina, dove lui stesso è nipote di un papa. Tuttavia esiste almeno un elemento di modernità in Aldrovandi ed è costituito dalla necessità, vissuta in modo quasi ossessivo, di una efficace documentazione. Tale necessità documentaria non si limita alla sua collezione di reperti, ma piuttosto e soprattutto si attiva nella raccolta iconografica, effettuata anche con il metodo della stampa. Per Aldrovandi il disegno ha una valenza scientifica autonoma, racchiude e sintetizza le fondamentali caratteristiche dell'elemento oggetto di indagine, anche se poi il processo cognitivo sembra chiudersi con la designazione verbale dell'elemento stesso, senza approfondire troppo ulteriori aspetti, a prescindere dalle quattro cause aristoteliche e da un abbozzo di classificazione per analogia o per provenienza. L'utilizzo del disegno a fini illustrativi non è, comunque, di per sé una novità. Le raccolte medievali con erbe officinali o i bestiari presentavano sempre immagini a corredo del testo: naturalmente i disegni erano molto schematici o approssimativi, oppure fortemente stilizzati, l'elemento mitico entrava poi a far parte della stessa illustrazione. Si tendeva ad umanizzare le forme biologiche, vedendo volti nelle foglie, corpi nudi nelle radici delle piante, visi femminili nei musetti animaleschi, orsi e scimmie erano poi scambiati per "uomini selvatici". Altro elemento nuovo in Aldrovandi, oltre la insistente pretesa di conformità al vero delle immagini, è la necessità di poter riprodurre la documentazione iconografica in termini seriali mediante la riproduzione a stampa. Ad essere innovativo non è tanto l'uso in sé della xilografia, quanto la richiesta di un utilizzo sistematico, seriale, mediante la commissione di centinaia e centinaia di tavolette intagliate. C'è insomma, a monte, un intento divulgativo simile a quello di Gutemberg, anche se manca il tentativo di creare un nuovo metodo per la riproduzione in serie.


La fedeltà iconografica che Aldrovandi pretendeva dai suoi collaboratori poteva essere fornita solo dalla applicazione della prospettiva, ma nel suo caso sussisteva un problema. Molte illustrazioni richieste dallo studioso riguardavano forme fantastiche e comunque non reperibili che potevano essere costruite soltanto in modo intuitivo. Inoltre la prospettiva, come metodo descrittivo volto a rappresentare in modo oggettivo forme tridimensionali sul piano, risulta efficace per rappresentare configurazioni complesse, quali sezioni o strutture interne. L'intento di Aldrovandi, invece, era soltanto quello di dare una visione sintetica di insieme per ogni reperto, al fine di poter proseguire nella sua instancabile ricerca quantitativa. Egli doveva appagare una sindrome quasi ossessivo-compulsiva, quella di un collezionista-raccoglitore che non può sostare più di tanto su un singolo elemento. La prospettiva fu invece una tecnica di rappresentazione assolutamente necessaria, ad esempio, per gli studi di Leonardo che non avrebbe potuto concepire i suoi complessi ed articolati progetti senza tale strumento. Anche per Girolamo Fabrici d'Acquapendente, medico ed anatomista attivo a Padova sullo scorcio del sedicesimo secolo, la prospettiva fu uno strumento indispensabile per indagare la complessità delle strutture anatomiche anche interne. Comunque pure nel caso di configurazioni spaziali meno complesse, la prospettiva, grazie alla tridimensionalità dei suoi effetti ed alla visione unitaria che fornisce il punto di vista prefissato, permette di sintetizzare in una sola immagine le varie qualità dell'oggetto. Così nell'unica veduta di un elemento vegetale è possibile descriverne le diverse parti, fiori, frutti, foglie, conformazione dei rami e della corteccia, presentando contemporaneamente vari aspetti che nella realtà si riferiscono a tempi diversi o che si trovano situati su piani diversi. In questo senso possiamo prendere ad esempio le tavole di Jacopo Ligozzi che, sempre sullo scorcio del Cinquecento, illustrò l'erbario dei Medici. In ogni caso, a quei tempi, lo scienziato doveva servirsi di un buon disegnatore per documentare le sue ricerche, infatti Aldrovandi riteneva indispensabile prevedere tale figura nelle sue spedizioni. Oggi il disegnatore non è più richiesto dallo scienziato, poiché l' esigenza relativa alla documentazione è soddisfatta dalla fotografia.


La fotografia permette di realizzare prospettive in modo scientificamente esatto; variando il punto di ripresa e la focale dell’obiettivo si può intervenire sui parametri tipici della prospettiva, punto di vista e distanza. Utilizzando poi due scatti simultanei con punti di ripresa diversi è possibile ricostruire la forma tridimensionale dell’oggetto o reperto. Richard Kern, fotografo di nudi, in una intervista sostiene che la fotografia, il film e il video, più che ogni altra forma artistica, sono i moderni mezzi atti a documentare qualsiasi cosa sotto l'aspetto visuale. Fotografare nudi può essere un modo per documentare in forma scientifica ed oggettiva il teatro naturale o, più specificatamente, naturista. La documentazione, tuttavia, non coincide necessariamente con l’espressione. Anche la fotografia può comunque essere utilizzata in modo espressivo, come accade appunto per le fotografie di nudi che suscitano emozioni, tuttavia necessita della protesi costituita dall’apparecchio fotografico, per cui l’espressività è sempre mediata da questo. Si può rilevare che la stragrande maggioranza delle immagini scattate dai fotografi professionisti, per fini artistici ma anche documentaristici, riguarda singoli aspetti della nostra percezione sensoriale più comune che potremmo definire "figurativa", ovvero vengono ripresi scorci di quello che normalmente cade, o potrebbe cadere, sotto il nostro campo visivo, quali ambienti interni od esterni, con o senza persone, dove possono essere presenti elementi naturali od architettonici e di arredo. In altri termini solitamente vengono documentate forme a noi familiari. Queste forme, spesso caratterizzate da colori e da tessiture specifiche, costituiscono, a livello retinico, l'autentico teatro della nostra natura visiva. Gli elementi di questo teatro formano pure il materiale visivo che si ripresenta nel sogno. Certamente non vediamo quotidianamente atomi o galassie, almeno per via diretta. Le immagini di realtà non visibili ad occhio nudo le possiamo osservare soltanto con mezzi tecnologici quali microscopi o telescopi, oppure possiamo osservarle su supporti specifici dei quali riconosciamo comunque la struttura e le caratteristiche che possono consistere in stampe o essere costituiti da uno schermo o da altri marchingegni. In altri termini non vediamo direttamente quelle realtà, ma piuttosto i supporti dove quelle artificialmente compaiono. Infatti atomi e galassie difficilmente entrano a far parte del repertorio di immagini che compongono i nostri sogni.


Dunque, se prescindiamo dalla documentazione fotografica scientifica che potremmo considerare non figurativa quando rappresenta forme per noi non familiari, come per i vetrini di preparati biologici, risulta evidente la vocazione "figurativa" del mezzo fotografico. Parallelamente, se visitiamo esposizioni di arte contemporanea, per una buona parte degli oggetti esposti avviene il contrario, ovvero siamo di fronte ad artefici concettuali o anche ad immagini, “astratte” o “concrete” che siano, che non si riconnettono direttamente alla nostra esperienza retinica, salvo, forse, la tessitura del materiale con cui sono composte. Questi tipi di immagini difficilmente vengono registrate a livello inconscio per riapparire nei sogni o, se questo succede, si perde comunque l’intento e l’aspetto concettuale ad esse connessi. Paradossalmente proprio l’arte visiva, depositaria a livello di immagini della nostra identità umana, sembra talora abbandonare il regno del sogno per inseguire la veglia della ragione. Quando pure l’arte cede il posto alla veglia della ragione, i due emisferi del nostro cervello tentano di scambiarsi il posto, l’intuizione abbandona il campo della fantasia e cerca di utilizzare gli strumenti della razionalità. L’artista non è più l'artefice, colui che solleva l'artigianato manuale a livelli tali da sublimare l'aspetto quantitativo in qualitativo, ma un ideatore, un dotto, un filosofo capace di dare una valenza nuova ad oggetti di per sé insignificanti o addirittura repellenti. Ma insistendo soltanto su questa strada, innovativa al primo passo, ma ripetitiva in quelli successivi, il dono naturale, la manualità, la capacità di coordinare mano, occhio e cervello vengono svalutati. Per quale motivo? Forse la ragione è diventata così ipertrofica da voler dominare con la sua veglia anche il sogno? Il disegno,la pittura, ma pure la scultura, in passato ricoprivano il ruolo documentario oggi soppiantato dal mezzo tecnico. Tuttavia anche in tale funzione strumentale l’aspetto ludico, istintivo, creativo era compresente. Non era possibile una documentazione impersonale che prescindesse dalle caratteristiche soggettive e psicologiche dell'operatore. Oggi esiste, da un lato, la documentazione scientifica che è o aspira ad essere completamente impersonale, e, dall'altro, la documentazione creativa, nel senso di Kern.


Quest’ultimo tipo di documentazione, essendo mediata dal mezzo tecnico che fornirà l’immagine finale senza necessità di matite o di pennelli, prevede comunque l'intervento dell’artista volto alla progettazione e alla preparazione dell’ambiente e degli elementi da riprendere, ovvero la scenografia, i modelli o la coreografia e l'illuminotecnica, oltre, ovviamente, alle scelte stilistiche insite nelle possibilità specifiche del mezzo tecnico utilizzato. Tra queste c’è anche la possibilità di modificare l’immagine finale intervenendo sui pixel, mediante i programmi di fotoritocco che estendono le possibilità di intervento anche manuale, possibilità che, comunque, già sussistevano con la pellicola. Nel campo fotografico, in ogni caso, solo occasionalmente è previsto un intervento diretto schiettamente manuale, ad esempio nell’opera dell’artista senegalese Ousmane Ndiaye Dago che, nella fase preparatoria allo scatto, dipinge manualmente con le terre non solo gli sfondi, ma pure le modelle. La protesi tecnologica ha poi talmente allargato le sue potenzialità da permettersi di documentare anche quegli aspetti spirituali ed espressivi che non appartengono all'oggettività del mondo esterno, attraverso effetti speciali, ritocchi ed interventi di vario tipo, sostituendo la scrittura su carta con la scrittura filmica. L'unica parte che non può essere efficacemente documentata con la sola camera è quella materica, della concretezza fisica, così come la pressione della penna non può essere simulata dalla stampante del computer, mentre in parte è rispettata dalla più arcaica macchina da scrivere. In realtà è possibile scrivere manualmente anche sul calcolatore, utilizzando la penna grafica piuttosto che la tastiera, ma sono sempre necessarie le mediazioni di ulteriori protesi tecnologiche. Riguardo la manualità, il pittore Leonardo Cremonini, in un seminario tenuto presso l'Accademia Clementina, ha sostenuto giustamente che esiste una esigenza propria della mano, una esigenza che, se non è appagata, la può trasformare in assassina. La mano deve mantenere la possibilità di esprimere la nostra interiorità anche nel campo dell'immagine, come in quello della scrittura. Questa esigenza non va evidentemente vincolata a delle tecniche specifiche che possono prevedere pure le protesi innovative offerte dalla tecnologia, ma è una esigenza che va rispettata. Come il linguaggio verbale, pur nelle varie sperimentazioni, non ha mai rinunciato ai suoi ingredienti che sono le parole, così l'arte non può rinunciare alle immagini o figure che sono gli elementi del suo mondo.



Il pesce vescovo

II marinaio dal volto bruciato dal sole e scavato dall'aria salmastra rammenda le reti e racconta che di ogni vivente in terra una copia guizza squamosa negli umidi abissi del mare. Il dottor grave annuisce poi richiede ulteriori dettagli.

Nel lontano Baltico mare, un mattino brumoso, nel levare le reti, tra le alici guizzanti una forma di rosso corrusco si levò con fare imperioso.

Tra le lucide scaglie una pinna mostrava quasi a foggia di mano ed a croce in aria muoveva.

Il devoto pesce-vescovo era, misteriosa creatura del mare che esorcizza ogni pesce maligno.

Brevemente una predica fece agli attoniti pescatori, che reverenti e pii nel vasto mare riposero.


Aldrovandi e le uova II dottore risolvere intende un quesito difficile e antico: se nato l'uovo sia prima del pollo che lo stesso racchiude. Certo il singolo uovo primieramente è nato, poi seguÏ il pulcino che nasconde, ma la gallina feconda, che deposto lo ebbe, sicuramente nacque ancor prima. Il dottor dunque prepara con dovizia e con cura una serie di uova novelle per studiarne il tuorlo e l'albume. Ogni giorno ne rompe almen una, con la lente ne indaga l'interno, prende nota di ogni dettaglio, poi si cuoce una bella frittata. Ma il mistero irrisolto rimane: senza il gallo dentro il pollaio, il pulcino non può uscire dall'uovo.



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