Arte ottica digitale note biografiche

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Note biografiche


Note biografiche Il diffondersi dei calcolatori e della rete virtuale permette di ampliare la libertà personale e pure offre una maggiore apertura democratica, purché i nuovi strumenti siano utilizzati in modo costruttivo. Prima che i programmi di grafica permettessero di impaginare per proprio conto un libro, la pubblicazione di testi era riservata solo agli addetti ai lavori. Naturalmente permane anche oggi un problema di fondo: i testi specialistici come questo, se non entrano nel circuito della Università o delle Accademie, rischiano di rimanere ignorati. Mancano infatti i potenziali fruitori che sono gli iscritti ai corsi. Ora, in base alla mia personale esperienza, posso affermare che, senza opportune conoscenze o “raccomandazioni”, è ben difficile avere l’occasione di inserirsi nelle istituzioni di “alta cultura”. Comunque ho avuto l’occasione di insegnare Scenotecnica ad Urbino come supplente e, per diversi anni, ho potuto insegnare, come docente esterno, Disegno prospettico presso l’Accademia di Belle Arti di Bologna. Purtroppo, venendo a mancare l’emerito professore Mario Brattella, i nuovi arrivati hanno compiuto un abuso, estromettendomi. L’Accademia ha dovuto risarcirmi per l’anno di insegnamento non concesso che mi spettava, ma i responsabili, come succede in Italia, rimangono ancora là a fare il bello e cattivo tempo, almeno finché qualcun altro più furbo non li sostituirà. Infatti per ogni furbo c’è sempre qualcuno ancora più furbo e in cima alla piramide dei furbi, come si usava dire un tempo, c’è il diavolo che, a ben pensarci, non è poi stato così furbo, avendo ottenuto l’inferno in cambio del paradiso. La mia lamentela per non essere stato confermato nell’insegnamento senza motivazioni non riguarda solo l’aspetto politico o del diritto. Infatti la gestione clientelare delle cosiddette istituzioni di “alta cultura” inficia l’aspetto didattico. Nell’Accademia di Belle Arti di Bologna si sono allargati a macchia d’olio gli insegnamenti teorici, privi di carattere tecnico. Prediligere corsi prettamente teorici, a livello storico o critico, proprio nelle Accademie, che dovrebbero essere caratterizzate per i laboratori, finisce per disperdere in mille rivoli l’insegnamento. Certamente è utile insegnare la storia dell’architettura e dell’urbanistica, ma se il docente ben preparato sotto l’aspetto culturale non è affiancato da un altro docente esperto dal punto di vista tecnico e pratico, non si formerà nessun progettista valido. In altri termini sarebbe assurdo che a gestire i laboratori o l’intera Accademia fossero soltanto intellettuali che non sanno usare matita o pennello e nemmeno accendere un computer. Sono necessari entrambi gli aspetti e devono essere compresenti, ma non sbilanciati come, ad esempio, nel DAMS, soltanto teorico. Ho l’impressione, forse non fondata, ma basata su mie precise esperienze, che a livello universitario la scuola, almeno in Italia, soffra di una sorta di schizofrenia: o si insegnano discipline prettamente “umanistiche”, tra cui sono inserite (non del tutto a ragione) le materie artistiche (vedi DAMS) o si insegnano materie prettamente tecnico-scientifiche. Da un lato si trascura la tecnica, dall’altro si trascura, all’opposto, l’aspetto umanistico.


L’avvento del calcolatore ha, però, dimostrato che la componente tecnica non può più essere trascurata, ormai è necessaria sia nel campo umanistico sia, in particolare, nella sfera delle discipline visive. L’ipertrofia dell’aspetto tecnico-scientifico, all’opposto, ha poi evidenziato come sia necessario rivalutare la componente umanistica. Infatti più la società si evolve dal punto di vista tecnologico, più sembra decadere dal punto di vista umano. Le mie competenze che, a causa del vissuto personale, coprono sia il campo matematico che quello creativo, forse non sono state ritenute adatte alla preparazione degli studenti delle Belle Arti o, più probabilmente, non facevo semplicemente parte della nuova consorteria che si è venuta a creare a Bologna. Cultura (ufficiale) e politica sono strettamente intrecciate e nessun paese può veramente evolversi se l’insegnamento è “libero” solo sulla carta, mentre di fatto viene, talvolta, gestito in termini privati entro la cosa pubblica. In particolare la mia preparazione nel campo della geometria analitica e descrittiva deriva sia da una mia particolare predisposizione, sia dal mio percorso di studi piuttosto tortuoso. In realtà, ancor prima della geometria, il disegno è stato, da sempre, la mia passione: da bambino riempivo quaderni di storie a fumetti. A scuola, invece, il fumetto era proibito. Si parla degli anni sessanta. Proibire a un bambino di esprimere la propria creatività lo può bloccare; a quei tempi non c’era, però, quella sensibilità pedagogica che c’è oggi. Alle elementari i bambini non dovevano disegnare fumetti, dovevano invece risolvere problemi piuttosto complessi (per la loro età) anche di geometria, con pure le equivalenze. Anni fa sottoposi ai miei allievi di quarta superiore un problema di geometria tratto dal mio quadernetto di quarta elementare. Consultandosi tra loro, gli studenti dell’Istituto d’Arte hanno impiegato quasi un’ora per fornire la soluzione. La mia maestra, dai capelli di un rosso Tiziano che contrastava con il suo grembiule nero dal colletto bianco, era dolce nei modi, ma era pure severa nel contempo. Talvolta dava da risolvere un problema di geometria dell’anno successivo. Io lo risolvevo e ricevevo un dieci con lode. Questi voti "autografi" li arricchivo con cornicette e li conservo tuttora. Alle superiori, negli anni settanta, per comodità, frequentai il liceo scientifico che, da Bologna, aveva appena aperto una succursale nel mio paese. Le materie, secondo quella didattica che risaleva ancora a Gentile, erano ben calibrate tra umanistiche e scientifiche, era previsto il disegno e anche la filosofia. Purtroppo c’era pure il latino, per me molto ostico (fui rimandato a settembre). Nel biennio insegnava matematica la figlia di un colonnello: una signorina bionda, alta e di bell’aspetto, ma dall’aria molto fredda. Una mia compagna di classe, addirittura, svenne per la tensione durante una interrogazione. L’avvenente professoressa ci torchiò con algebra, equazioni e disequazioni.


Dovetti seguire lezioni private presso una anziana insegnante per rimediare l’insufficienza. Mi riceveva in una casa ottocentesca del centro storico, dalle finestre con gli scuri e dalle ampie stanze fredde. Prima di congedarmi mi illustrò i concetti basilari della geometria non euclidea, argomenti che non avevano nulla a che fare con il programma. Le professoresse anziane sono dotate di quell’intuito che deriva dall’esperienza, infatti sin da allora l’argomento mi incuriosì e mi rimase impresso. Dal cinque passai al sette e fornivo la soluzione alle compagne con foglietti che passavo sotto banco, ma i miei interessi erano altri e mi sforzavo al minimo. Il terzo anno venne a insegnare filosofia un sacerdote molto preparato che mi appassionò alla disciplina. Lessi le Confessioni di Sant’Agostino e pure alcuni saggi sulla storia della filosofia. Purtroppo l’anno successivo fu trasferito. Arrivarono invece le “prof sessantottine” che disapprovavano lo studio sui manuali e pretendevano che si andasse direttamente alle fonti. Io venivo a scuola con i manuali e quelle mi guardavano storto, questo creava solo confusione. Come potevo andare alle fonti se non ero guidato da un manuale? Poi mi interessava la sintesi. Tuttavia mi incuriosiva molto pure l’architettura e la storia dell’arte. Mi procurai un manualetto sulla storia dell’architettura e collezionai i fascicoli di una enciclopedia di Storia dell’Arte che vendevano in edicola. Terminato il liceo, anche a causa di quei “prof” contestatori, non avevo affatto le idee chiare su quale percorso indirizzarmi. Uno zio geometra avrebbe voluto che studiassi Architettura, ma a Bologna c’era solo Ingegneria civile. Ero piuttosto perplesso, ma poi mi iscrissi a quella facoltà. Era il periodo degli “anni di piombo”, ma io, nella “torre d’avorio” di ingegneria, quasi non me ne accorsi, se non era per il fumo dei lacrimogeni. Le lezioni erano stracolme di studenti, erano centinaia e centinaia di maschi, mentre ricordo solo due ragazze di cui una, alta e mora, indossava la pelliccia. I professori riempivano le lavagne di formule, io le trascrivevo su un quadernetto senza capirci molto, al momento. Poi a casa rileggevo gli appunti e, con l’aiuto dei libri, riuscivo a decifrare quei geroglifici. I docenti di analisi matematica, ordinario e assistente, erano piuttosto comici. Il primo vestiva sempre con bretelle e camicia a quadretti, era fanatico delle dimostrazioni. Il secondo, con folte sopracciglia nere, mostrava invidia nei confronti del primo ed era invece un fanatico delle esercitazioni, aveva pure scritto un corposo libro con migliaia di problemi risolti. Questi personaggi mi ispirarono un fumetto che poi ho pubblicato: Marco Masetti, Corso completo di mattamattica a fumetti, 2015, ISBN 88-93060-10-3 Le materie che più gradivo erano Geometria, insegnata da Bruno D’Amore, e Disegno. Il disegno geometrico, da eseguire a mano con matite e china, presentava tavole piuttosto scarne ed essenziali, molto tecniche. Alcuni compagni mi presero per folle perché avevo arricchito un disegno con particolari non richiesti.


Gli argomenti di geometria erano inizialmente per me incomprensibili, si parlava di ipersfere, punti immaginari all’infinito e altre astrusità. Con il tempo, però, nella mia mente si chiarivano i concetti. Talvolta andavo a letto la sera senza aver trovato la soluzione a un problema e, al mattino, mi risvegliavo con la soluzione in testa. Questo dimostra che la parte logica del cervello elabora dati anche durante il sonno. Il problema era che non si finiva più di mettere carne al fuoco, c’era la chimica con le ossidoriduzioni, la fisica con le leggi del moto e della gravitazione. Sembrava che dovessero imbottirci il cervello con concetti sempre più astratti, senza tregua. Gli esami avevano dato buoni risultati, ma ormai avevo esaurito le forze, senza concedermi una vacanza, ed erà già iniziato il secondo anno. Non mi veniva data la possibilità di rielaborare quanto appreso. Osservando due miei compagni che avevano risultati eccellenti, notai che uno si era buttato talmente a capofitto nello studio da nemmeno accorgersi, mentre era in prima fila, che doveva sternutire. Cosi emise muco e quant’altro di fronte al professore. L’altro, invece, era dotato di una sorprendente capacità di sintesi: racchiudeva i concetti in poche righe utilizzando una sorta di stenografia di sua invenzione, come scrivere x' al posto di perché. Ne ho dedotto che questi studi ingegneristici sono adatti soltanto per chi possiede una mente di quest’ultimo tipo. Persone come me, dotate di fantasia e di spirito analitico invece che sintetico, non sono adatte per questo genere di studi che potrei definire a “rullo compressore”. In effetti se ci si soffermasse, come facevo io, su singoli aspetti per approfondirli o reinventarli, si verrebbe schiacciati dalla mole di materiale propinato senza sosta. Che io sia dotato di fantasia se ne accorse l’assistente di Disegno II che, però, non era ingegnere ma architetto. Occorreva trovare soluzioni abitative per moduli piuttosto ristretti e racchiusi tra due pareti in cemento. Comunque fantasia o fantasticheria non sembrano essere appropriate per gli ingegneri, questo, almeno, me lo disse esplicitamente il docente di Costruzioni: ” Non stia lì a fantasticare, noi vogliamo i calcoli ! ”. Ancora studente, ebbi l’occasione di supplire un docente di educazione tecnica alle medie e constatai che gradivo il lavoro di insegnante, necessitavo però di un titolo. Mi sembrava eccessivo, a questo fine, proseguire gli studi di ingegneria, quando ero già stremato per aver sostenuto soltanto nove esami su trenta. Lavorando per l’allestimento di un carro carnevalesco, venni a sapere che a Bologna c’era l’Accademia di Belle Arti. Pertanto ripartii da zero, dato che a tal fine gli studi precedenti non erano presi in considerazione. Dovetti pure sostenere l’esame del liceo artistico come privatista. La cosa principale da fare in Accademia era frequentare i corsi, funzionava, infatti, come una scuola superiore, con tanto di registro delle assenze. L’insegnamento che più mi ha arricchito fu quello di scenotecnica, tenuto dall'emerito professore Pietro Lenzini che si sforzava, con pochissimi allievi, di fare come a ingegneria, ovvero utilizzare gesso e lavagna per illustrare le costruzioni. In più svolgeva una parte teorica ricca di documentazione iconografica. Pittore e scenografo, sapeva coniugare arte e tecnica.


Queste esperienze mi hanno convinto come Università ed Accademie siano, o fossero, a compartimenti stagni, Come era possibile che nella stessa città ci fossero scuole con didattiche e impostazioni tanto differenti, se non antitetiche? Lo stesso valeva anche all’interno dell’Università tra le diverse facoltà. All’epoca la scuola di Scenografia non forniva una laurea, ma soltanto un diploma, seppure tale diploma fosse necessario per l’insegnamento. Dunque ci si poteva iscrivere nel contempo all’Accademia e all’Università. Una compagna di corso si era iscritta al DAMS e lo stesso feci io. Sostenni soltanto due esami. In uno si ricercavano quei due filoni storici che avrebbero attraversato le arti da fine Settecento a oggi: Romanticismo e Neo-classicismo. Il docente si lamentava per aver ricevuto, a suo dire, pochi finanziamenti per questa sua ricerca e per essere stato in qual modo deriso, a tal fine, proprio dai docenti di Ingegneria. Nell’altro corso si giungeva a sostenere che Cézanne, nei suoi quadri, avrebbe applicato le equazioni di Maxwell, elaborando una prospettiva sferica a occhio di mosca. Queste considerazioni critiche piuttosto azzardate mi diedero, comunque, l’idea di approfondire gli studi sulla prospettiva, estendendoli alle prospettive curve. Gli strumenti logici per farlo li avevo appresi nel biennio di Ingegneria. Decisi di lasciar perdere definitivamente pure il DAMS quando il docente del doppio filone Romanticismo e Neo-classicismo si mise pure alla testa di un corso di fotografia. Fornì un elenco di libri da studiare e confessò, nel contempo, di non essere in grado di scattare una fotografia. Nel corso di francese, poi, non si parlava in francese, ma del “re fabbro” in italiano. Come se nei corsi di fisica, invece di insegnare la materia con esempi ed esercitazioni, si chiacchierasse di argomenti generici collegati alla disciplina. Almeno a Ingegneria veniva insegnata la meccanica e in Accademia c’era un laboratorio dove un anziano professore sviluppava negativi e stampava fotografie. Qualcuno potrebbe dedurre che Ingegneria fosse una scuola seria, mentre non lo sarebbero state DAMS e Accademie, dove sembravano talvolta confondersi creatività e corbellerie. Vero è che queste ultime scuole, DAMS e Accademie, anche oggi, non forniscono alcuna abilitazione professionale, salvo, forse, l’insegnamento. La dicotomia tra aspetto creativo e competenza tecnica riflette comunque una contraddizione di fondo. Infatti come l’essere umano si compone di tante sfaccettature che non possono essere separate l’una dalle altre, così dovrebbe essere per la scuola. Sfornare (o pretendere di farlo) giovani preparati soltanto dal punto di vista tecnico, trascurando gli aspetti umani e creativi, ovvero fare l’opposto, significa non formare persone veramente preparate. Sembra, però, che, almeno per quanto riguarda Ingegneria, le cose siano oggi migliorate. Il prof. Pietro Lenzini mi ha raccontato di essere stato invitato al Politecnico di Milano per esporre agli studenti i concetti basilari della prospettiva scenica. Addirittura ha tenuto corsi agli ingegneri per insegnare a schizzare a mano libera prospettive. Io stesso ho avuto occasione di insegnare privatamente prospettiva a una matricola iscritta al di corso di Ingegneria-Architettura all’Università di Bologna.


Finalmente, anche il disegno prospettico e quello a mano libera sono previsti nell’ordinamento degli studi di tipo tecnico e progettuale. Invece presso l’Accademia di Belle Arti di Bologna sembra si trascuri la prospettiva che è fondamentale non solo per i progettisti, ma pure per gli artisti in generale. Eppure proprio codesta Accademia, per secoli, è stata all’avanguardia in questa disciplina, mentre ora pare ridotta a una sorta di Cenerentola. Questo vale anche per la riforma dei licei artistici che ha ridotto all’osso le discipline geometriche. Lo studio della prospettiva, come ogni disciplina scientifica, richiede tempo, dedizione e pure sforzo, questo non solo da parte dei discenti, ma soprattutto da parte dei docenti. Chissà non sia questo il vero motivo per cui si è deciso di trascurarla proprio nelle scuole artistiche, per lasciare campo a una “creatività” fine a se stessa e non impegnativa.


Il testo presenta una collezione di tavole con reticoli modulari realizzati mediante formule matematiche. Queste sono state tradotte nel linguaggio parametrico GDL, utilizzato all’interno di Archicad per generare elementi architettonici e di arredo. Grazie alla forma parametrica sono possibili molteplici varianti per ogni tipologia e configurazione. Sono raffigurati sia reticoli bidimensionali, la cui distorsione crea effetti spaziali, secondo i principi dell'arte ottica, sia reticoli tridimensionali prospettici con vari metodi di costruzione curvilinea. Marco Masetti, dopo aver superato il biennio propedeutico di Ingegneria, si è diplomato in Scenografia presso l'Accademia di Belle Arti di Bologna. Successivamente si è laureato al biennio specialistico AS2, Discipline dello Spettacolo-Scenografia, Ha insegnato nelle Accademie di Belle Arti: Scenotecnica come supplente a Urbino e Disegno Prospettico come contrattista a Bologna. E' titolare di cattedra per Discipline Geometriche presso il Liceo Artistico Venturi di Modena. Vive a San Giovanni in Persiceto, in provincia di Bologna. Ha pubblicato: La veglia della ragione, Roma, 2007, una raccolta di poesie e immagini che ripercorre gli sviluppi della scienza, prendendo spunto dal naturalista bolognese Ulisse Aldrovandi. La prospettiva scenica e tridimensionale, Bologna, 2009, un testo che, con gli strumenti della geometria e dell’ottica, affronta l’omologia tridimensionale, utilizzata nei rilievi ed in teatro. La prospettiva e la costruzione dello spazio figurativo, Tricase (Lecce), 2014, analizza diverse tipologie prospettiche: piane, curve e tridimensionali, sia attraverso la geometria che con l’analisi applicata al calcolatore elettronico. Corso completo di mattamattica a fumetti, Tricase (Lecce), 2015, una satira sull’insegnamento dell’analisi matematica nelle università degli anni settanta. Programmazione GDL e geometria analitica, Tricase (Lecce), 2015, un testo dove la geometria cartesiana si traduce in disegno, con applicazione dell’algebra al linguaggio GDL. Odissea aldrovandiana illustrata, Tricase (Lecce), 2017, riproduzione in fac-simile con immagini della tesi dattiloscritta del biennio specialistico presso l'Accademia di Belle Arti di Bologna. La veglia-Libro d’artista, Tricase (Lecce), 2017, rielaborazione in termini poetici e pittorici della suddetta tesi, relatore Mario Brattella..


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