La nudité de la femme est plus sage que l'enseignement du philosophe

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La nudité de la femme est plus sage que l'enseignement du philosophe ( Paul Eluard )

E' la concretezza dei fatti a dimostrare la verità che il poeta Paul Eluard inserisce nella lirica dedicata a Max Ernst. Le proporzioni, la rotondità delle forme, la flessuosità delle curve, l'espressività, l'armonia di un giovane corpo femminile superano ogni trattato di filosofia ed il senso di saggezza che ne deriva è superiore alla dotta disquisizione di un filosofo. Infatti nessun filosofo potrà mai esporre in modo così armonico le proprie teorie sulla natura, come invece questa fa nel disporre le forme anatomiche umane che inspiegabilmente coniugano funzioni e bellezza. Per di più la bellezza che incarna il nudo femminile stupisce ed è umanamente inspiegabile. Non si riesce infatti a concepire come la natura abbia prodotto tale contrappunto di dolci forme tramite la sola legge della selezione naturale, quando dovrebbe essere predominante la creatura più agguerrita ed aggressiva. Da questo punto di vista sarebbe più plausibile che la natura avesse selezionato soltanto esseri con conformazioni mostruose, provvisti di spine, zanne, artigli, aculei, non forme sinuose e vellutate, non molli rotondità, non crini vaporosi. In questo senso è più mostruosa la forma di una giovane donna in fiore che l’apparire di draghi alati, di serpenti ricoperti di scaglie, di mostri marini iridescenti, di insetti pelosi o di crostacei corazzati. La forma umana sembra racchiudere in sé qualcosa di divino. Le varie parti del corpo, interconnesse tra loro, sembrano, nella loro armonia, seguire leggi superiori, trascendenti. L’anatomia umana, invece di appare come frutto del caso, appare piuttosto come il risultato di un preciso progetto, dove sono applicate in modo rigoroso le regole della geometria, secondo precisi rapporti proporzionali. Ai dotti umanisti rinascimentali non sfuggì questa constatazione, infatti scrissero trattati sulla "Divina proportione"; essi tentarono di scoprire in quale modo si potessero applicare al corpo umano le regole astratte della geometria e inversamente come dalle conformazioni anatomiche si potessero dedurre canoni geometrici. Il fine era scoprire quali formule o regole fossero alla base della bellezza, per poterle poi applicare all’arte e all’architettura.


In realtà i teorici del Rinascimento per dedurre questi canoni si riferirono preferibilmente alla figura maschile, piuttosto che a quella femminile, e furono normalmente le raffigurazioni dell’uomo, piuttosto che quelle della donna, a sovrapporsi alle piante degli edifici o ad illustrare i canoni proporzionali. Tuttavia l’interesse per "la nudité de la femme" non venne meno, furono piuttosto motivi moralistici collegati alla religione a privilegiare la rappresentazione del nudo maschile rispetto quello femminile. In effetti i pittori dell’epoca avevano a disposizione prevalentemente modelli maschili, anche quando si trattava di rappresentare figure femminili. Qualcosa di analogo succedeva pure a teatro, dove si utilizzavano i castrati piuttosto che le voci femminili. L’armonia della figura umana rimane comunque inspiegabile indipendentemente dal sesso, ma occorre precisare che soltanto le forme femminili presentano quella morbida delicatezza, quella soave dolcezza che le rendono particolarmente attraenti. Infatti la caratteristica unica della donna è quella di portare in grembo la vita e questa peculiarità fa sì che anche le sue forme la rispecchino. Il portamento femminile, il modo garbato, le eleganti sinuosità hanno una specificità propria che giustifica perfettamente l'asserzione del poeta. Che poi l’elemento femminile, di cui la nudità è simbolicamente l'essenza, abbia una "saggezza" che le è propria, tale da trascendere le speculazioni filosofiche, è confermato da diverse fonti. Anzitutto dalla Bibbia, dove la Sapienza è presentata sotto le forme femminili. Anche Jacopo Fo vede nella figura femminile un archetipo del sacro, cosa che è pure confermata dalle statuette paleolitiche, dove probabilmente la raffigurazione della donna gravida si riconnette alla fertilità. Sempre Jacopo Fo sostiene che gli antichi popoli matriarcali ritenevano che una grande madre avesse generato ogni creatura e contrappone la Ruah, sorta di Spirito Santo al femminile, al Dio maschile portatore di un ordine patriarcale. In alcune lingue, come il tedesco, è la memoria ancestrale della originaria divinità femminile che declina il sole, die Sonne, appunto al femminile. Anche in culture lontane dalla nostra come quella giapponese, la divinità riveste sembianze femminili nella figura di Amaterasu, che significa splendore del cielo, somma divinità solare. Sarà poi, per l’appunto, proprio "la nudité de la femme", impersonata da una bellissima divinità danzante senza veli, a fondare da un lato la poesia e a richiamare dall’altro la dea Amaterasu fuori dalla grotta dove si era rinchiusa, oscurando il mondo.


La donna "svelata" che mette in mostra le sue forme mollemente sinuose al ritmo della musica è dunque superiore alla filosofia anche perché incarna la poesia e le arti in genere, in quanto è capace di suscitare curiosità ed emozione. Ancora oggi la natura è declinata al femminile, infatti è madre natura. Una madre, però, che ha perso da tempo le sue caratteristiche umane ed è divenuta impersonale, talvolta crudele, talvolta semplicemente amorfa, un semplice oggetto da cui difendersi oppure da sfruttare o da deturpare. Furono le sconvolgenti discoperte iniziate con Galileo e culminate con il secolo dei lumi a relegare la madre terra alle più oscure periferie di un informe infinito, per cui anche la natura, sostituita dal cieco caso, ha perso ogni residuo di maternità. Leopardi, pur essendo conscio che ormai è il maschile e raziocinante caso ad aver preso il posto della femminile natura, non rinuncia a personificarla e a invocarla, ma preferisce chiamarla matrigna. Riallacciandoci ancora alla letteratura, è interessante anche rilevare quale valore profondo Goethe attribuisca alla donna: "Das ewig Weibliche zieht uns hinan", scrive il poeta nella chiusura della seconda parte del Faust. Questi versi, messi efficacemente in musica da Lizt nel suo poema sinfonico dedicato appunto a Faust, ci confermano come sia l’elemento femmineo a trascinarci in alto. Nel poema sinfonico che fa da pendant a questo e che è dedicato a Dante e alla sua commedia, il ciclo si chiude con il Magnificat, lirica al femminile di altissimo valore spirituale attribuita tradizionalmente alla Vergine Maria. Mancando dunque l’elemento femminile che ci solleva in alto, finiamo per ancorarci soltanto al mondo della concretezza, della natura fisica, della materia bruta. E’ in questo mondo prettamente maschile che sembra muoversi prevalentemente il nostro Ulisse Aldrovandi, medico, logico, scienziato in odore di eresia. Sembra in lui mancare l'elemento femminile della poesia, del canto, del gesto ludico e gratuito, del movimento danzante che pone in sé il suo fine, rappresentato appunto dalla "nudité de la femme". Anche quando il dotto bolognese sconfina nel mitico, o nell’immaginario, non lo fa come gioco o per dare libero sfogo alla fantasia, ma pretende che anche questi aspetti entrino a far parte di una seriosità che rischia di cadere nel ridicolo.


Come nel caso del drago che avrebbe rinvenuto in un fosso, forse dopo una notte passata in osteria con gli amici. Ulisse colleziona conchiglie, sassi, animaletti disseccati, stampe, tutti utilizzati a scopo dimostrativo e documentario, cercando di organizzare questa oggettistica in un maschio sistema logico, basato sulle classificazioni tradizionali e pedantesche di cause e concause, secondo il modello dell'aristotelismo medievale. Se poi vogliamo vedere un elemento femminile, materno o forse semplicemente paterno, nella sua figura lo possiamo incontrare nell’orto botanico, che egli cura con genuina passione, anche se poi applica nella classificazione delle pianticelle la sua solita metodologia pedantesca e verbosa. Tale metodologia basata sulla parola presuppone la completa acquisizione delle proprietà di un determinato reperto semplicemente mediante l'attribuirvi un nome, cosi come faceva Adamo nel mitico paradiso terrestre. Questo semplice stratagemma costituisce, assieme all'armamentario della logica soltanto formale di stampo aristotelico, il principio ordinatore della vasta "Wunderkammer" del dottore, realizzata disperdendo il patrimonio della famiglia. Ulisse, quindi, ha più le caratteristiche di un collezionista piuttosto che quelle di uno scienziato, animato come è da questa sindrome compulsiva che lo spinge insaziabilmente ad accumulare sempre nuovi oggetti, per enumerarli, etichettarli e disporli ordinatamente entro le nicchie di vaste scaffalature. Tale processo iterativo non può presentare un limite e quindi il termine dell'esistenza sopravviene prima della fine del processo stesso che rimane incompiuto, traducendosi poi in una eredità di oggetti vari, alcuni dei quali contenuti in ben 4444 cassettini, come testimoniato da documenti dell’epoca. Il collezionismo spinto alle estreme conseguenze diventa così un processo tendenzialmente senza fine, un movimento circolare e ripetitivo sul tipo del nastro di Möbius, dove la ricerca dell'infinito si spegne in un vano affannarsi che ti riporta sempre al punto di partenza. Il collezionismo fine a se stesso diventa la dannazione e la Wunderkammer si trasforma in inferno, un luogo chiuso dove innumerevoli oggetti senza vita sono congelati in loculi perenni e dove ci si affanna a ripetere le stesse mosse per scovare una via di uscita che non c'è, se non a livello virtuale. In questa circolarità di procedure si aspira al trascendente, ma essendo appunto circolarità, cioè figura chiusa, non vi si arriverà mai.



I mostri di Ulisse Aldrovandì

"Ipse dixit", esclama il buon Ulisse nel descrivere con precisione la "centrina" e la "rana caudata", che il valente artigiano ricomporre dovrà coi ramarri e coi rospi catturati in campagna, con le bisce e le tinche pescate nei fossi. Disseccato, il reperto fornire potrà una copia fedele del raro esemplare, chiaramente descritto dall'antico filosofo. Per i mostri marini nascosti negli abissi insondabili, il dottor fornirà gli esatti dettagli ricavati da autorevoli testi al paziente incisore che, con perizia nel legno di pero, staglierà ogni rara figura. Ogni erbetta, ogni arbusto, di ogni albero le fronde, il pittore dovrà con dovizia di tinte accurate fedelmente illustrare. All'Adamo novello nessuna creatura che nel vasto mondo abbia dimora sottrarsi potrà. Egli la chiamerà per nome, indicandone in più cause, qualità e accidenti. Nulla potrà sottrarsi alla classificazione.



Odissea adrovandiana illustrata La nuditĂŠ de la femme est plus sage que l'enseignement du philosophe (Paul Eluard) L' antico dottore, al tremulo lume, aguzza l'opaco suo sguardo da anni di studi velato sul ponderoso volume istoriato, per ricercare caparbio nella "Monstrorum Historia" la creatura piĂš rara e sublime. L'immane leviatano quale isola folta di palme appare di lontano al navigante ignaro, ma ecco sbuffa dal capo squamoso un gelido vortice di salmastri vapori e in un baleno ingoia vascello e marinaio. L'astuto pesce-diavolo, tra rilucenti squame di fredda porpora vivida, esibisce impudente duplici corna drizzate su lubrichi seni rigonfi e pendenti. Testuggini lente trascinano l'intarsio di grevi corazze, pesci spinosi rigonfi come vesciche galleggiano, di serpi le spire annodate intrecciano ruvide scaglie. Tra ritorte chiocciole armate di zanne e di antenne, appaiono viscidi rospi provvisti di code e di aculei; brulichio di minuscoli insetti ronza e vibra cangiante. Enormi dragoni dispiegano fregi su ossute tese membrane, sospesi nell'aria vibrante allungano gli esili colli,


poi grevi si posano sulle aspre alture scoscese. Senza posa l'acuto filosofo continua a sfogliare il ricco bestiario illustrato, ma né la selva intricata, né l'oceano impetuoso intendono far mostra del mostro dei mostri. Ma ecco, oh sorpresa, alzando lo sguardo si svela al dottore, sul muro affrescata, nuda effige superba della Venere antica, sospesa leziosa sull'onde marine. Oh dolci movenze di armoniche curve, oh di morbide carni rotondità fiorite, oh boccioli accoppiati su dolci frutti succosi! Contrasti di rosei velluti e di nere selve fluenti in morbide chiome, collane di perle ridenti entro cuscini di sinuosi coralli, di pupille vivaci voluttuoso brillare: come potete emergere mai dagli abissi del caos? Oh creatura celeste! Al dottore lo sguardo si accende: il nudo di donna è più saggio del più esperto provetto filosofo.


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